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Premio Galileo
Sarà una Giuria formata da studenti universitari e da studenti di 10 scuole secondarie di secondo grado, provenienti da tutta Italia a determinare, nell’ambito della cinquina selezionata dalla giuria nominata dal Comune di Padova, l’opera da premiare in una cerimonia pubblica che si svolgerà il 18 novembre 2023 nell’aula Magna dell’Università di Padova. Gli studenti inoltre, prenderanno parte a pieno al Premio Galileo, grazie a una serie di attività loro dedicate a Padova durante La Settimana della Scienza.
Di seguiti i cinque finalisti:
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Su un altro pianeta
Amedeo Balbi, Rizzoli Editore
C’è un futuro per l’umanità fuori dalla Terra? È realistico pensare di fondare colonie e insediamenti industriali su altri pianeti o satelliti?
Con le sue competenze da astrofisico e il talento da divulgatore scientifico, Amedeo Balbi ci accompagna in un inedito percorso tra scienza e immaginazione, proponendoci una riflessione tanto suggestiva quanto profonda sul rapporto fra l’uomo e l’universo.
Materiali per la vita
Devis Bellucci, Bollati Boringhieri
Editore
«Partendo dalle più antiche protesi fino ad arrivare ai recenti sviluppi dell’ingegneria tissutale, la scienza dei biomateriali si è mossa con l’intento di trovare un’intesa, un parlare comune tra le cose che ci circondano e la sostanza vivente di cui siamo fatti. In questa vasta terra di confine, illuminata dalle leggi della fisica e della chimica e bagnata da un misterioso oceano biologico, si dibattono alcuni dei nostri più profondi desideri: scrollarci di dosso il tempo, appianare le imperfezioni, abbattere se non la mortalità della natura umana, almeno i segni del suo impietoso avvizzire».
La malattia da 10 centesimi Agnese Collino, Codice Edizioni Storia della polio e di come ha cambiato la società. La storia di una malattia oggi dimenticata, che ha rivoluzionato il modo in cui la società affronta le grandi epidemie. Prototipo di tanti casi mediatici in tema di scienza e medicina, la poliomielite è la prima vera malattia della società contemporanea.
Siamo tutti Greta
Sara Moraca ed Elisa Palazzi, Edizioni Dedalo
L’emergenza climatica è, prima ancora che un argomento di studio della scienza, un’esperienza umana. Le conseguenze del riscaldamento globale stanno già modificando la vita di intere comunità, donne, uomini e bambini, ponendoli di fronte a rischi maggiori e a notevoli sfide di adattamento. Questo originale volume raccoglie in presa diretta le voci di abitanti di diverse parti del mondo, di chi vive sulla propria pelle la crisi climatica, dai nativi groenlandesi che lottano per evitare l’apertura di una miniera là dove i ghiacci in ritirata hanno messo a nudo preziose terre rare, alla giovane ricercatrice che progetta stazioni meteo smart per favorire l’agricoltura in Uganda.
In Alto Mare
Danilo Zagaria, Add Edizione
Un percorso alla scoperta del mondo sottomarino: foreste di kelp e praterie di posidonia, distese di ghiaccio galleggiante, capaci di ospitare e nutrire pesci variopinti; granelli di sabbia che sono gli ingredienti insostituibili del mondo contemporaneo, dalle isole artificiali di Dubai agli smartphone.
La giuria che ha selezionato i cinque finalisti era composta da Telmo Pievani (presidente), Dario Bressanini, Clara Caversazio, Davide Coero Borga, Francesca Matteucci, Beatrice Mautino, Sergio Pistoi, Nico Pitrelli, Simona Regina, Elisabetta Tola e Andrea Vico.
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Quando nel 2016 si è cominciato ad entrare nel particolare della missione, qualcuno ha detto che una missione non può essere una missione se non c’è un logo, se non c’è quello che gli inglesi chiamano patch. I loghi di missione di solito rappresentano strane navicelle, satelliti, cose così, un po’ astruse. Qualcuno ha però ritenuto che bisognasse trovare qualcosa di sensato, che fosse giunto il momento di spremersi le meningi per dare un ulteriore significato ad una missione già piuttosto impegnativa. Sia chiaro, non è che uno va nello spazio a fare il turista, va nello spazio a lavorare. Nell’ottica di dare un ulteriore significato alla missione l’Agenzia spaziale italiana e l’Agenzia spaziale europea che promuovevano la missione, hanno pensato di unire la tecnologia, che è quella primaria per le agenzie spaziali, all’arte e a all’umanesimo, alla parte più intima delle persone, della razza umana. Molte sono state le idee, finché è saltato fuori il Maestro Pistoletto che con le sue idee e con la sua arte riesce a portare tutti nei posti dove tutti si sentirebbero o si sentono un pochettino strani. E quindi si è proposto di lavorare assieme mettendo a disposizione il simbolo del terzo paradiso. Mi era capitato, qualche tempo prima, di partecipare ad un dibattito che metteva in luce come l’uomo stesse modificando, e non in bene, la natura. Eravamo in tre sul palco del Teatro Argentina, i primi due hanno parlato di disastri, mostrando proprio la terra vista da fuori, col cambiamento che c’è stato nel tempo a dimostrare come la Terra si stesse degradando. Io ho preferito un messaggio di speranza, parlando del rapporto tra natura e artificio che non necessariamente deve essere conflittuale, ma possono trovare un equilibrio, un’armonia, un terzo paradiso: da una parte il mondo naturale, nell’altro cerchio il mondo artificiale. Nel cerchio centrale dobbiamo trovare l’equilibrio e l’armonia, dobbiamo trovare il nuovo mondo, dobbiamo avere l’arte di mettere insieme i contrasti per trovare la soluzione, per creare un elemento nuovo che non esisteva. I due elementi si incontrano al centro e producono qualcosa che non c’era, è il fenomeno stesso della creazione, quindi questo è il simbolo della creazione adottato dalla sintesi tra natura e artificio.
Abbiamo preso il simbolo di Pistoletto, e l’abbiamo infilato dentro una patch. Da un lato c’è il DNA che rappresenta la scienza, dall’altro lato c’è un libro che rappresenta la conoscenza. E nel mezzo c’è la Terra. Da questi due elementi nasce la Terra. E quindi la VITA, il nome della missione, una parola che si legge come tale in quasi tutte le lingue del mondo, ma che non si esaurisce così, perché il suo acronimo sta per vitalità, innovazione, tecnologia e abilità, cioè capacità di fare le cose.

E siccome si voleva cercare di coinvolgere la gente il più possibile, renderla partecipe, è stata realizzata una app che permetta di aggiungere una propria foto ad un’opera in continuo aggiornamento, il terzo paradiso composto da immagini provenienti dallo spazio e da ogni parte del mondo, tutti in quel momento autori di un’opera unica, mai più ripetuta, perché in continuo cambiamento. Una missione di tutti per tutti.
Vista la tua passione per la fotografia l’avrai trovata adeguata. Un poco artista sei pure tu.
NESPOLI - La fotografia è una cosa che mi è sempre piaciuta, anche da ragazzo. Paradossalmente mi piace ricordare che se sono oggi astronauta in parte lo devo anche alla fotografia che è una delle mie passioni, appunto, fatto che mi spinge ad esortare sempre i ragazzi a cer- care dentro di loro le loro passioni e lavorare su quelle, non cercare di fare una cosa che non gli interessa, che non sanno solo per mero interesse economico. Devono fare le cose che li fanno sentire bene.
Se visitate la sede italiana dell’Agenzia Spaziale Europea troverete un ritratto di Paolo Nespoli su un specchio…
PISTOLETTO - Lo specchio che rappresenta Paolo Nespoli e che ho donato all’Agenzia Spaziale Europea rappresenta un momento del mio percorso creativo. Ci sono due elementi nella mia opera. Un elemento è la persona che vogliamo ritrarre. E per poter ritrarre questa persona dobbiamo fare una fotografia. Diversamente da tutto ciò che passa nello specchio la fotografia coglie un attimo che invece nello specchio resta per un solo istante. Che sarebbe un ventiquattresimo di secondo. Tolto il ventiquattresimo secondo l’immagine cambia nello specchio. Non abbiamo mai la stessa immagine… è il cambiamento continuo dello spazio tempo. C’è lo spazio e il tempo che nel presente si articolano e cambiano continuamente. Quindi c’è lo spazio tempo che trasforma l’immagine che ha fissato la fotografia. Quell’immagine diventa la memoria di un momento. Di quel momento. Ma dentro al quadro abbiamo tutta la parte specchio che cambia continuamente. Da allora, da quando è stato esposto quel quadro a oggi, sono passati milioni di persone. Il mondo è cambiato milioni di volte, perché uno specchio lo puoi portare sulla Luna, lo puoi portare su Marte, lo puoi portare in qualsiasi punto della Terra, rispecchia sempre qualsiasi luogo, quindi rispecchia tutto lo spazio, e tutto l’esistente. Quindi è lo specchio dell’esistente che muta nel tempo e nello spazio, mentre invece l’immagine è una memoria di un istante che rimane fissa per sempre. Qui abbiamo proprio questa idea della memoria stessa, abbiamo le fotografie delle persone che sono state importanti in questo luogo. Abbiamo delle immagini che sono fisse e sono memoria. L’immagine sopravvive e vive col tempo che cambia il quadro specchiante, in un rapporto tra l’esistenza istantanea del presente e quanto fissato in memoria. È la formula della creazione. È il Terzo Paradiso. Spazio, tempo, massa ed energia si sono unite al centro e hanno creato l’universo, il Big Bang, che poi si dilata e pian piano diventa spazio/ tempo, ma anche massa ed energia perché lo spazio tempo, senza la fisicità delle cose non esisterebbe. La fenomenologia di cui si parla è fondamentale frutto di un lungo lavoro artistico, che ho compiuto in tantissimi anni per arrivare alla formula della creazione. La scien- za va apprezzata, noi stiamo con la pratica della scienza, della tecnologia, di tutto l’impegno che si sta sviluppando nello spazio e nella ricerca. È per questo che noi siamo qua, per combinare arte e realtà scientifica.
Questa è la ragione per cui le agenzie spaziali, che sono sostanzialmente legate alla ricerca e alla tecnologia, cercano di unire le forze con la parte artistica, perché quando si prendono delle cose che sono quadrate e precise e si suddividono in tantissime altre forme, si vede in un modo completamente diverso e questo lavoro spetta proprio agli artisti. Che vanno a vedere con l’immaginazione, che vanno a toccare le cose che noi ancora non sappiamo, non vediamo. Ma in realtà anche la scienza parte da un’immaginazione, da un’intuizione. C’è sempre un’intuizione. Poi si va a vedere se questa intuizione è giusta o meno. Ma la prima operazione è intuitiva, sia per l’arte che per la scienza. Poi l’arte, l’intuizione dell’arte può portare anche a delle considerazioni fenomenologiche, così come la scienza. Dall’intuizione si passa alla fenomenologia dando delle garanzie di verità.
Una discussione sul rapporto tra arte e scienza con un pizzico di filosofia… Veniamo al tuo ultimo libro, Paolo: l’unico giorno giusto per arrendersi è l’ultimo… quanto ha di autobiografico?
NESPOLI - Prima di quest’ultimo libro avevo scritto un altro paio di libri, di stile divulgativo, quindi quei libri che parlano di come si vede la Terra da lassù. La mia intenzione era di dare degli spunti affinché i ragazzi prendessero queste idee, le cogliessero e guardassero al futuro con speranza e con capacità, con la voglia di fare qualcosa. Poi in effetti ho avuto un problema fisico abbastanza grosso e devo dire che scrivere i libri era l’ultima cosa che mi passasse per la testa. Però l’editore del primo libro, mi ha detto “Paolo, perché non scrivi un altro libro?” Io ho detto non se ne parla nemmeno. “Dai scrivi la tua autobiografia”. Vabbè ci penserò, ho risposto, e ci ho pensato. Dopo una decina di giorni l’ho richiamato e gli ho detto: “ho deciso un paio di cose. La prima che scriverò un libro. La seconda che non scriverò la mia biografia, la terza che voglio scrivere un romanzo. Chi era presente a quella video riunione mi ha guardato come fos- si un folle: “ci pensiamo un attimo e te lo diciamo, ci risentiamo tra una decina di giorni”. Quando mi hanno ricontattato, hanno detto di essere d’accordo sul romanzo ma mi avrebbero affiancato un ghost writer per aiutarmi a semplificare i concetti avendo il timore che, come ingegnere, potessero essere un po’ asciutti. Così è nato il romanzo. È chiaro che c’è una parte del mio vissuto. La crescita è come entrare in una foresta e la difficoltà è trovare la strada e il coraggio per attraversarla e uscire dalla parte opposta. La selva oscura di dantesca memoria. Il coraggio di immaginare qualcosa, di provare a realizzare un sogno possibile. Quando ero più giovane non ce l’avevo perché partivo dal presupposto che il sogno non si sarebbe mai realizzato e quindi sarebbe stato inutile provarci. E invece il messaggio che ho voluto trasmettesse questo libro è che devi avere fiducia in te stesso, devi immaginare qualcosa e devi provare a realizzarla anche quando ti appare impossibile. E questa è una cosa che mi ha insegnato Oriana Fallaci. Mi domandò cosa volessi fare da grande. Io cominciai a tirar fuori le cose più strane, non riuscivo a rispondere alla domanda. A un certo punto, siccome lei continuava a sollecitarmi, a un certo punto gli ho detto: “da piccolo volevo fare l’astronauta”. Ma in quegli anni quanti italiani andavano nello spa- zio? Adesso cominciamo ad andare, ma allora era una cosa impossibile. E questo è quello che avevo sentivo fino ad allora, la visione buia della foresta che mai sarei riuscito ad attraversare. Poi grazie ad Oriana Fallaci mi resi conto che nonostante l’età, avevo già 27 anni, avrei potuto provarci. Il fisico c’era, mancavano altri due requisiti: una laurea e un’ottima conoscenza della lingua inglese. Lasciai l’esercito, presi una laurea e imparai l’inglese e poi provai a fare l’astronauta. Non è stato facile, ma alla fine ce l’ho fatta. Questo è il messaggio che ho voluto dare nel romanzo.

Lei Maestro, invece, da dove ha cominciato?
PISTOLETTO - Trovo una consonanza nel nostro percorso. Anche per me è stata la stessa cosa, un po’ prima perché sono più vecchio. Mi ci sono ritrovato anche io in quella selva oscura, dove ci sono solo animali rapaci. E in un mondo di animali rapaci la scuola ti insegnava, giustamente, ad essere buono, attento, generoso, simpatico, beneducato, eccetera. Poi vedi che il mondo nella realtà non dà quell’esempio, gli esempi del mondo sono tutti il contrario. Quando io andavo a scuola dovevo imparare il credo in Dio e il credo in Mussolini. Per le strade c’era scritto credere, obbedire, combattere, guai pensare. Credere, obbedire e andare ad ammazzare, sennò si è ammazzato. Questo è stato, tu hai fatto l’esercito, hai vissuto un po’ da vicino queste cose.
Mio padre era pittore, mi ha insegnato l’arte, faceva anche restauro di quadri antichi. Ho imparato la storia dell’arte toccando la materia artistica del passato. Mia madre invece mi iscrisse in un istituto di ricerca di pubblicità dicendo a mio padre come il passato fosse destinato a svanire e il futuro stesse nella pubblicità. E mi iscrisse, per combinazione, nell’istituto del miglior pubblicitario italiano, Armando Testa. Era ancora giovane ma già affermato. La prima cosa che disse fu: “per fare la pubblicità dovete conoscere perfettamente l’arte moderna, perché l’arte moderna scavalca tutto quello che è stato fatto, porta alla novità e noi dobbiamo pensare che dobbiamo ispirare la gente, il futuro. Dobbiamo ispirare la fiducia nel prodotto, dobbiamo dare vita al prodotto e per farlo dovete conoscere l’arte, l’arte moderna. E così come allievi cominciammo a frequentare i musei d’arte, le collezioni private e pubbliche. Capii che l’arte moderna offriva una autonomia e una individualità all’artista che lo portava a decidere lui senza dipendere da niente. Fare un segno proprio, una propria immagine, una propria espressione, al punto che gli artisti d’avanguardia degli anni ‘40 ’50 realizzavano
Il mondo è cambiato milioni di volte, perché uno specchio lo puoi portare sulla Luna, su Marte, lo puoi portare in qualsiasi punto della Terra, rifette sempre qualsiasi luogo, rispecchia tutto lo spazio, e tutto l’esistente opere delle quali nessun critico poteva commentarle negativamente perché non avevano paragoni, era l’autonomia assoluta dell’artista. Si arrivò alla conquista dell’individualità pura dell’artista. Per caso andai ad una mostra sui lavori di Fontana: erano tre tele bucate. La gente davanti alle tele era scandalizzata, si riteneva presa in giro. All’inizio non capivo, ma non ero in grado di giudicarle negativamente. Quelle tele erano importanti. Non capivo, ma mi sono fermato a riflettere che se un artista aveva fatto tali opere doveva avere delle buone ragioni per farlo. Io non le conosco, mi dicevo, ma riconosco che le ha fatte perché aveva una ragione. Io devo riconoscere qual è la mia ragione perché possa diventare arte. Capii che dovevo scoprire chi ero, chi sono, cosa sono, perché esisto, perché il mondo c’è e mi ci hanno messo dentro. Allora l’unica risposta che avevo non era un segno, ma il fatto che non potevo negare di esistere perché guardandomi nello specchio potevo vedermi. Ecco che nasce la ricerca dell’autore. L’autoritratto, che ha una storia. Gli artisti hanno sempre cercato la propria identità attraverso l’autoritratto. E cominciai a lavorare sull’autoritratto, ma poi far passare la mia immagine dallo specchio alla tela era un’impresa incredibile, senza dover decidere io come dipingermi. Compresi allora che il vero potere stava nello specchio e allora ho cercato pian piano di rendere specchi come una tela. Lo specchio doveva accogliere la mia immagine e l’unico modo per renderla oggettiva era usare la fotografia. Quello che si vede nello specchio non è null’altro che la verità oggettiva. La fotografia mi dà la possibilità di fissare un attimo nello specchio. Quindi abbiamo del tempo fissato, immobile che diventa memoria e il tempo che passa ogni volta che ci specchiamo. Abbiamo il tempo fisso e quello in movimento. Ma questo specchio non è solo tempo, è anche spazio, perché senza lo spazio non ci sarebbe il tempo. Di più, nello specchio c’è lo spettatore, la gente che guarda il quadro, non più solo io, l’autore. Quindi l’autoritratto dell’artista diventa l’autoritratto del mondo e quindi la gente che si riflette ha gli stessi diritti artistici miei. Allora ho capito che l’identità era quella. Io sono noi, noi siamo io. Questa è la società, nasce il concetto di indagare l’arte pian piano per scoprire tutte le fenomenologie che stanno in questo spazio tempo, partendo anche dalla convinzione che tutte le problematiche di quella foresta sarebbero state illuminate, e questa forma per me è l’illuminazione della foresta, il simbolo della creazione. Questo simbolo della creazione non rimane astratto come un fenomeno che l’arte porta al riconoscimento anche del rapporto con la scienza, ma è uno strumento da usare come una formula matematica. Non è che quando tu usi la tavola pitagorica stai facendo Pitagora, la usi. Questa è una formula da usare. Ecco perché il mio concetto all’inizio di come risolvere il problema sociale, diventa, con questa formula, la possibilità di risolvere il problema sociale, quindi diventa società, diventa fenomenologia dell’io sono qua, tu sei qua, nei due cerchi, quello al centro lo dobbiamo creare insieme. È la formula della creazione comune. Quello che ha fatto l’astronauta, quello che ha fatto l’artista, hanno lo stesso punto di partenza, ed entrambi, seppur ognuno a modo suo, hanno raggiunto la stessa formula per poi portarla avanti insieme. Avanti insieme. Noi siamo tutti dentro, abbiamo tutti questa facoltà di creare, però dobbiamo saperla usare. Noi a Città dell’arte (La fondazione Pistoletto a Biella ndr) abbiamo creato un’accademia per questo. Si parte dalla scuola dell’arte e della società. L’arte entra in tutti i mestieri. I mestieri hanno bisogno di questa dinamica creativa che fa sì che l’arte li unisca creando la società e quindi è politica, è tutto, è democrazia. Abbiamo anche inventato una parola che non è più solo democrazia, ma è demo praxia, demo pratica.




