Giornale di Brescia - 8 agosto 2016

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GIORNALE DI BRESCIA · Lunedì 8 agosto 2016

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SPETTACOLI

Ricky Tognazzi porta emozioni dal «paese più straziato» Un migliaio di spettatori ieri mattina a 2.300 metri per la lettura più attesa di «Passi nella neve» In quota Nicola Rocchi

Hanno trovato una scintillante mattina di sole gli spettatori - circa un migliaio - saliti a piedi ieri mattina fino alla Costa di Casamadre, a 2.300 metri di quota sopra Ponte di Legno. Sono venuti ad ascoltare Ricky Tognazzi nella lettura più attesa di «Passi nella neve», la rassegna dedicata alla memoria della Grande Guerra, riproposta ormai da 11 anni, con ammirevole tenacia, da Vittorio Pedrali. Chi è arrivato fin qui ha fatto bene: Tognazzi è entrato con calore e intelligenza nei panni del giovane ufficiale sconosciuto, che racconta nel diario le sue esperienze belliche dal 29 ottobre 1917, poco dopo Caporetto, fino al termine del conflitto. /

Cronaca. Una cronaca non fa-

cile da proporre, per la sua natura intimista («minimalista» l’ha definita l’attore) che Tognazzi ha saputo cogliere e restituire. Il racconto è fatto anche di lunghe attese, di tempo trascorso in un ozio forzato, aspettando di giungere nel cuore della battaglia. E l’assurdità del conflitto si rivela pure in questi spazi vuoti, che la voce di Tognazzi ha percorso con il tono di chi si guarda in-

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sadi dissennato», che si fa strada con la notizia della vittoria italiana sul Piave: «il fiume fetente, sulle cui rive al di là dell’acqua e poi a perdita d’occhio non si vedono che rovine e distruzione».

Passi nella neve. Ricky Tognazzi durante la lettura in quota // SERVIZIO PHOTO DIGITAL VECLANI

Guerra. Trascinato emotiva-

mente dall’onda della guerra, il giovane ufficiale è anche attorno con desolazione e un tento a cogliere i cambiamenpo’ di stupore. ti che la situazione eccezionaLo spettacolo inizia alle 11, le provoca in lui. Sono meno descrivendo l’incontro con i forti, in questa lettura, le scesoldati reduci da Caporetto, ne cruente e di battaglia; c’è che «laceri, sudici, disarmati, piuttosto un lento deragliare trascinando a fatica le scarpe dell’anima, che lo stesso autosfondate, avanzano lungo re osserva con distacco a volte strade infangate con lo sguar- ironico: «Sto trasformandomi do perso nel vuoto». È l’inizio in un guerriero perfetto: intadel viaggio verso la linea del gliato nel più duro metallo! Piave, attraverso strade «sudi- Cosa questa che un poco ce e ingombre di veicoli e car- m’impensierisce». riaggi». A visioni dolorose si alTognazzi mostra di aver ternano incontri ed episodi ben compreso questo doppio surreali: come in quel paese registro, mentre, nel grande dove «il compito più gravoso» anfiteatro delle montagne cadegli ufficiali è «di prendere mune, legge che «la guerra in partead alcunefemontagna ha un inste da ballo, fatte Il diario dubbio e pittoredi luci sfolgoranti «minimalista» sco lato estetico e di sciocche risa- di un giovane che,nonostantetutte». to, mi ammalia, ufficiale da dopo Il protagonista una sensuale maha con sé un li- Caporetto, fino gnificenza». bro: il «Pinoc- alla fine della Il pubblico segue chio» speditogli Grande Guerra la narrazione in sidalla sorella Elvilenzio, applaudenra. E il racconto del suo lento do nelle brevi pause musicali sprofondare nella guerra di- e lungamente alla fine. Negli venta l’avventura di un burat- ultimi brani, all’«indescrivibitino sospinto verso l’ignoto le commozione» che coglie dei propri sentimenti: «La l’ufficiale nelle strade di Trieguerra mi chiama, mi trascina ste italiana, fa seguito il viagverso di sé con la sua voce am- gio in treno in un paesaggio maliante e io voglio solo arri- «lugubre e martoriato». Tovare a vederne sempre più da gnazzi ferma l’applauso per presso il terribile volto. Che concludere coi versi di «San sia come stare nel ventre di Martino del Carso» di Ungaquel famoso pesce, prossimi retti: «È il mio cuore il paese ad essere digeriti?». Tognazzi più straziato». Anche il giovasi aiuta con ampi gesti delle ne soldato, a suo modo, deve braccia, passa da momenti di pensarla così: «Della guerra, sommessa malinconia a ruggi- che mi ha così intimamente ti di rabbia contro il nemico, o mutato, non ho capito quasi di quella «gioia che ha qualco- nulla». //

In ascolto. Il pubblico attento, disseminato nell’anfiteatro naturale a Costa di Casamadre (2.300 metri)

«Me l’avevano detto, ma non credevo che fosse così bello» L’incontro Ricky Tognazzi sosta a lungo con gli spettatori, che numerosi lo circondano dopo lo spettacolo alla Costa di Casamadre. Chiacchiera, scherza, domanda pareri («Sono stato troppo lungo?»), si fa coinvolgere in mille fotografie, firma autografi. Poi racconta ai giornalisti quanto l’esperienza l’abbiacoinvolto: «È stato molto emozionante - dichiara -: me l’avevano raccontato, ma non credevo che fosse così bello». /

Come si è calato - gli chiediamo - nella lettura? Ho provato a immaginare un ragazzo del ’99, che all’inizio del racconto ha 18 anni. Prende il suo fagotto e va in quella guerra che rischia di essere dimenticata, ma che ha cancellato un’intera generazione. In Inghilterra c’è un giorno che tutto il Paese dedica ai caduti: vengono ricordati con un papavero rosso. Ho studiato per un po’ in Inghilterra e mi ha sempre colpito quel culto della memoria, qualcosa che da noi non è così presente. Ci scordiamo della devastazione provocata dalla

Prima guerra mondiale. Quindi ben vengano momenti come questi, in cui si racconta la guerra, anche mostrando la contraddizione tra i sentimenti forti che provavano i soldati e l’orrore a cui andavano incontro. Certo, questo ufficiale va a combattere persino con entusiasmo, ma quando vede i morti, quando torna a casa e deve confrontarsi coi familiari, le cose cambiano. La guerra ti devasta: affrontare la pace diventa quasi più difficile. Che impressione le ha fatto il testo? È un racconto minimalista, fatto di piccoli avvenimenti nella cornice della grande storia. Non ci sono vicende incredibili; eppure sono episodi che colpiscono l’immaginario, perché sembra di veder scorrere tutte queste immagini come da un treno, in un viaggio molto impressionistico. // N. R.

LA RECENSIONE

Nell’affollato concerto in memoria di Papa Paolo VI, con un ricordo del maestro Agostino Orizio

SUCCESSO DALIGNESE PER LA FILARMONICA DEL FESTIVAL Marco Bizzarini

M

olto affollato, come sempre, il concerto d’agosto a Ponte di Legno in ricordo di Papa Paolo VI. Rapidamente occupati tutti i posti disponibili nella Chiesa parrocchiale, il momento musicale di sabato scorso ha avuto come protagonisti la Filarmonica del Festival di Brescia e Bergamo diretta da Pier Carlo Orizio, il clarinettista sloveno Darko Brlek e il Coro "I Piccoli Musici" preparato da Mario Mora. Nelle parole introduttive del sindaco dalignese Aurelia Sandrini si è fatto riferimento ai ripetuti soggiorni estivi in alta Val Camonica del Beato Montini scomparso il 6 agosto di 38 anni fa, non senza dedicare un affettuoso ricordo anche al maestro Agostino Orizio,

ideatore degli «Incontri musicali» ispirati al pensiero sull’arte del pontefice bresciano. Presentatasi con un organico cameristico, in funzione del luogo e del repertorio scelto, la Filarmonica del Festival ha affrontato col solista Brlek il Concerto per clarinetto di Mozart, pagina assai nota, ma oggi non molto frequentata. È stata un’interpretazione all’insegna della naturalezza, tesa a mettere in evidenza l’apparente semplicità di una scrittura perfetta, con quel colore espressivo così caratteristico dell’ultimo Mozart. Gli applausi al solista e all’orchestra sono risuonati già al termine del primo movimento. Senza alcun intervallo, si è passati alla parte vocale del concerto col rinomato

Coro di voci bianche dei "Piccoli Musici" di Casazza (Bg) costituito in gran parte da ragazze. Il sublime mottetto «Ave Verum» di Mozart, seppure in un’esecuzione priva di tenori e bassi, faceva ottimamente da pendant al Concerto per clarinetto, mentre il salmo «Laudate Pueri» di Michael Haydn, preceduto da un’intonazione gregoriana con arpa, restituiva una luminosa immagine sonora del rococò austriaco. Eleganze parnassiane nel «Cantique de Jean Racine» di Fauré. Morbidi impasti di arpa e archi si ripresentavano infine nei successivi componimenti del maestro londinese vivente John Rutter e in particolare nel primo, «A Gaelic Blessing», poi riproposto come bis al termine dell’applaudito concerto.


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