Arskey Magazine 1

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arskey/Art | Intervista a Stefano Arienti

l'apparente semplicità nasconde un procedimento mentale o un'intuizione più complessa realizzato per la Bicocca e come le muffe che si sviluppavano libere intorno al colore che avevo apposto sul muro. Quando c'è la possibilità mi piace molto confrontarmi con spazi grandi e suggestivi che mi offrono nuovi stimoli creativi, senza intimidirmi e mettermi in soggezione. È lo spazio stesso, in questi casi, che sprona attivamente la creazione dei miei lavori. G.C: C’è una relazione diretta tra lo spazio espositivo, la sua memoria, e le opere che crei? Mi riferisco, oltre alle mostre già citate prima in spazi industriali, anche a quella del 2005 alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e a quella di Mantova a Palazzo Ducale dello scorso anno, dove per esempio la tua corda realizzata con i giornali era chiamata a dialogare con gli affreschi. S.A: La corda di giornali era esposta con modalità differenti sia nella mostra di Torino che in quella di Mantova; nel primo caso su una moquette rossa mentre nel secondo era posata sul pavimento di cotto del palazzo. Questo è un esempio di come la stessa opere possa assumere diverse fisionomie anche a seconda dello spazio e del tipo di installazione. Lavorare in relazione all'ambiente, e alla sua forte memoria, quando questa è rilevante come per questi due palazzi, è una situazione che mi interessa molto; se posso cerco di far rientrare nel mio lavoro anche la memoria e le caratteristiche intrinseche dell'ambiente che ospita i miei lavori. G.C: Nelle tue “ Turbine”, o negli origami, i lavori che poi hanno contribuito a darti visibilità nel mondo dell’arte, riutilizzi la materia per creare altre forme. C’era una sorta di sottrazione che portava all’ottenimento di nuove forme. Dove nasce l’idea di quei lavori così elaborati e allo stesso tempo fragili? S.A: È bene precisare che i miei non sono mai stati dei veri e propri origa-

mi, proprio perché questa tecnica prevede una disciplina e un'intenzionalità molto precise e mirano alla costruzione di qualcosa. Mi considero molto poco un artista disegnatore e plasmatore, anche se ho realizzato tanti disegni; preferisco utilizzare forme e materiali che esistono già in natura per riuscire a far parlare quegli elementi intrinseci e potenzialmente già latenti nel materiale stesso. Piegare a metà le pagine di un libro risulta un gesto semplicissimo che però crea una forma complessa una volta terminata l'elaborazione. Il risultato dei miei lavori può sembrare complesso a un primo avviso, ma in realtà il processo realizzativo è molto semplice e il risultano non presenta particolari problemi strutturali. L'unica fragilità è riscontrabile nella materia stessa di cui sono costituiti. Ho sempre prediletto l'utilizzo di materiali comuni, che ci circondano tutti i giorni, partendo dall'idea che l'opera d'arte sia uno stimolo, un esempio, di come utilizzare il mondo. G.C: Ci sono problemi conservativi per questo tipo di materiali? S.A: Certamente, visto che la nostra cultura materiale è composta da elementi effimeri. G.C: La gestualità è alla base dell’operato artistico ma ancora di più lo è per il tuo. I lavori di piegatura della carta, ma anche le cuciture sui poster che tu stesso tagli e cuci, sono opere in cui il gesto, l’atto creativo è essenziale. Come procedi? S.A: Definendomi un artista pratico faccio rientrare in quest'aspetto anche la manualità. Molto spesso comunque la prassi creativa è più complessa di quello che sembra vedendo l'opera compiuta e l'apparente semplicità nasconde un procedimento mentale o un'intuizione più complessa. La manualità è per me un elemento sensuale, un intrattenimento che permette all'artista di trasformare la materia che ci circonda in opere che sono per-

sonalmente più attraenti, con una qualità estetica evoluta grazie all'intervento diretto dell'artista. Entrare direttamente dentro la materia spesso vuol dire “entrarci direttamente con le mani”, anche se nei miei lavori sovente utilizzo macchine o tecnologie digitali che aiutano l'elaborazione. G.C: C'è una fase progettuale legata ai tuoi lavori oppure dall'idea iniziale parti subito con la realizzazione? S.A: Nel mio caso la progettazione avviene molto spesso in corso d'opera. Iniziare la manipolazione della materia è già una prima forma attiva di progettazione mentre ulteriori sviluppi e continui accorgimenti vengono presi successivamente, una volta che si riscontrano i problemi. Questo secondo me contraddistingue molto l'idea di progettazione nel mondo dell'arte rispetto ad altri campi. G.C: Hai un team di collaboratori che ti aiutano tecnicamente nella realizzazione delle tue opere? S.A: Ho delle persone che collaborano con me a seconda delle necessità e delle maestranze di cui ho bisogno per un dato lavoro. Sono assolutamente convinto che un artista, anche se lavora eseguendo tutto da solo, in realtà non fa mai niente singolarmente. Questo perché c'è uno stretto dialogo con chi poi fruisce il tuo lavoro, anche durante la fase di realizzazione, contribuendo con suggerimenti e riflessioni a dare nuove idee e vie interpretative al lavoro stesso. G.C: Nell’ultima mostra alla Galleria Minini hai presentato delle lastre di marmo e ardesia incise con tematiche naturali, legate al mondo dei campi. Questi lavori come sono realizzati? S.A: Questi ultimi lavori hanno un iter abbastanza lungo che parte da fotografie che ho realizzato personalmente e che successivamente vengono trasformate in disegni, poi scansionati e lavorati nel mio studio. L'incisione sulle lastre, selezionate in


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