#MAGAZINE 13 GENNAIO

#magazine CORRIERE

NUMERO 8-13 GENNAIO 2022

DELUX

CHI SIAMO SUPPLEMENTO DE

IL CORRIERE DI PIANURA

Direttore Responsabile Antonio Di Maio

Coordinatore di redazione Augusto Santojanni

SOMMARIO

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LUCIO AMELIO

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#MAGAZINE Diretto da Armando De Martino Con Antonio Di Maio REDAZIONE

Graziella Tetta, Carmen Costabile Rosa Caputo, Annamaria Marmo, Fulvio Feo, Emanuela Guarnieri, Luca Marsilia Roberta Luppino, Cristina Varchetta, Daniele De Falco, Matteo Esposito, Lello Consolo, Crescenzo Mele, Chiara Ferrante, Maria Palma Gramaglia 13 GENNAIO ANNO 1 NUMERO 8

TONI SERVILLO: IL MIGLIORE

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KAZAKISTAN CHE SUCCEDE

QUINDICI ANNI FA MORIVA LUIGI SICA

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DOVE ANDIAMO? 2022

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ALZHEIMER

DRAMMA CONDIVISO

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FARE LA SPESA UN DRAMMA COMICO

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GLI HASTAG DELLA SETTIMANA

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MASCHERINE COSA CAMBIA?

ESCLUSIVE MAGAZINECORRIERE@LIBERO.IT

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#PITTELLA GIANNI

INTERVISTA A LUCA TRAPANESE

LA PAGINA DELLA DOTTORESSA CARMEN COSTABILE

DAVID SASSOLI

#ARMANDO DE MARTINO

#editoriale La personale lotta di Vincenzo De Luca al Covid e alle sue varianti tocca livelli altissimi con il risultato di ritrovarsi solo contro tutti in questa corsa alle chiusure che gli è valso il primato di Leader

durante la prima ondata. Il governatore

urla, il Governo risponde, il Tar lo boccia.

Le scuole sono aperte e lui incassa tenendo fermo il pugno su coprifuochi più o meno funzionali. Il divieto di alcolici, di "movida", questa allergia alla vita notturna che costringe i cittadini a domandarsi se in fondo il virus non sia il tappeto sotto cui nascondere altra polvere, altri obiettivi, altri fini. Napoli e la Campania resistono, leggono quotidianamente di misure restrittive e avanzano in uno slalom tra sanzioni possibili e controlli inesistenti. E si, perché se si ha la forza di vietare, di restringere, di limitare la libertà dei cittadini c'è bisogno anche di una struttura abile a controllare capillarmente il territorio, altrimenti restano solo le urla di un isolato staccato dal posto in cui vive. Sulle metro, nei bar, in ristoranti, il green pass non è richiesto quasi mai. Le scuole chiuse non lasciano automaticamente i ragazzi a casa, chiusi nelle proprie stanze, anzi. Attività sportive, centri commerciali, catechismo sono l'altra parte del tempo a cui si dedica la maggior parte della popolazione confinata in DAD. Dunque, vale la pena?

La scuola pubblica già vive un periodo di oscurantismo pesante con insegnanti alienati da questa situazione e programmi saltati, ormai da due anni, che vanno a minare la formazione critica di quella che sarà la futura classe dirigente. Già l'attuale ha fallito, basti pensare che vogliono addirittura uno come Berlusconi al Quirinale, o abbiamo avuto al Governo rivoluzionari terrapiattisti e No vax. Non ci è bastato?

La politica del terrore, quella della minaccia di catastrofe imminenti ha oramai lasciato il passo all'indifferenza poiché ci si sente soli contro il mostro, un mostro disegnato tante volte e mai realmente colpito. Viviamo in una societò liquida, per rifarci a Bauman, cioè Viviamo faccia a faccia con una sparapalloni di stimoli, continui, perpetui, senza sosta.

Non può più l'individuo fare a meno della società e dunque finiamo per restare perennemente insoddisfatti, omologati, poveri. Essendo animali sociali, senza più coscienza di sé e senza più un pensiero autonomo, siamo abituati ad aspettarci le soluzioni dagli altri finché il risolutore è capace di convincerci (come avvenuto durante il primo lockdown) a copiare le gioie, a immedesimarci in felicità altrui e non ci guardiamo più, ci prestiamo agli specchi. Il Covid ci ha spiazzati perché nessuno aveva pronta una soluzione da venderci e quando l'hanno trovata ce la propinano, a ragion veduta, senza rendersi conto che probabilmente adesso bisognerebbe correggerla. Dopo due anni un cittadino campano si pone delle domande serie: La Sanità ha avuto dei miglioramenti? I trasporti, ad esempio, hanno avuto dei potenziamenti? Le città della regione hanno avuto dei miglioramenti strutturali e urbanistici?

Che fine ha fatto l'agenda ferma al 2019?

Senza la pandemia dove saremmo ora, di cosa parleremmo, quale sarebbe il problema dietro cui rifugiarsi?

La politica raccoglie le macerie con le mani, pare quasi che voglia rallentare la ripresa per non affrontare la realtà una volta aperti gli occhi.

#GIANNI PITTELLA

Pagina 3

ll Paese, la politica, gli italiani, l'Europa ed il giornalismo hanno un vuoto ora che pesa quanto la poca conoscenza della grave perdita che abbiano avuto. Ebbene, conosco David Sassoli, non riesco a dire conoscevo, dal 2009 quando David venne eletto con una messe di voti al Parlamento europeo.

Sedevo tra quegli scranni a Bruxelles già da dieci anni mentre David era un giornalista affermato, mite di spirito, saldo nelle convinzioni e nei valori progressisti. Ci fu una immediata simpatia umana, oltre che una consonanza politica. Lui divenne presidente della delegazione italiana del PD e designò me candidato alla vice presidenza del Parlamento. Nel 2014 invece io fui eletto, anche grazie al suo aiuto determinante, presidente del gruppo dei socialisti e dei democratici e, a quel punto, fui io a designare lui vice presidente del Parlamento. Poi sappiamo come è andata.

Nel 2019 David venne eletto presidente del Parlamento in una delle fase più difficili della storia europea, con questa drammatica pandemia, non ancora alle nostre spalle, devastante per la vita e le economie degli europei e il funzionamento delle istituzioni.

David Sassoli in questa difficile temperie ha saputo svolgere questo ruolo con autorevolezza e saggezza politica, avendo come guida l'idea che l'Unione avrebbe dovuto superare gli egoismi nazionali e il dogma dell'austerità dei conti, per intervenire massicciamente a salvare l'economia e la rete sociale e sanitaria europea dal disastro. Così è stato, così è. Di Davide Sassoli ci mancherà la visione, il garbo, l'equilibrio e quel sorriso pieno di gentilezza, di forza, di fiducia nel domani.

Un uomo che riusciva a tagliare in mezzo le contrapposizioni politiche, trasversale, propositivo, ammirato e stimato da tutti i colleghi europei. Un italiano che sapeva andare oltre le contrapposizioni solite e restava fedele agli ultimi con una forza empatica notevole Non ti dimenticheremo, non ti dimenticherò.

#CRESCENZO MELE

Luca Trapanese è stato nominato lo scorso ottobre assessore alle politiche sociali dal sindaco Gaetano Manfredi in quota Cinquestelle. Lo intervistiamo ringraziandolo per la sua disponibilità e per l'opportunità che ci offre per conoscere meglio lui e le tematiche del suo assessorato.

Lei ha adottato una figlia disabile, Alba, oramai amata da migliaia di persone grazie al lavoro di sensibilizzazione da lei svolto sui social. Ha fondato un'importante associazione per la cura dei disabili, A ruota libera. Ha scritto un bellissimo libro autobiografico: Le nostre imperfezioni.

Cosa l'ha spinta ad accettare questo delicato incarico politico?

Mi ha spinto la voglia di fare per la mia città.

Sono abituato a fare. Ruota Libera l'ho realizzata con le mie energie. Ero uno di quelli che diceva "con il Comune di Napoli non voglio fare nulla, è tutto difficile e complicato". Le comunità fanno fatica a collaborare con un ente pubblico. Quindi la proposta di Gaetano Manfredi e di Roberto Fico l'ho presa come una sfida, provenendo io dalle associazioni, quindi partendo proprio da una visione opposta. Infatti sto iniziando ad ascoltare le associazioni, capire ciò che manca e come possiamo migliorare.

Creare nuovi progetti e servizi che provengano dalle associazioni.

Quali difficoltà ha incontrato e quali risultati ha conseguito il suo assessorato in questi primi 100 giorni di lavoro?

Sono soprattutto relative a progetti irrisolti o lasciati a metà. Fondi spesso inutilizzati.

Immobili ristrutturati e non affidati per cavilli burocratici. Problemi legati alla burocrazia. Ho la fortuna di gestire un settore faticoso ma affascinante, gestito da persone eccezionali perché sono riuscite a garantire una serie di attività con pochissime risorse economiche e umane.

Per gli assegni di cura abbiamo a disposizione una sola persona per mille richieste. L' assistente sociale che si occupa del dormitorio pubblico è con me su whatsapp fino alle 2 di notte per risolvere dei problemi.

Quello che ho realizzato nei primi cento giorni è non perdere neanche un euro dei bonus Covid che sarebbero stati persi se non utilizzati entro dicembre. Per i libri, per le utenze, per la spesa e a gennaio per i trasporti.

Napoli soffre di pesanti sperequazioni sociali per il suo endemico sottosviluppo economico. Come intende migliorare l'erogazione dei servizi sociali? I centri servizi sociali territoriali istituiti in tutti i quartieri riescono a rispondere al disagio della cittadinanza?

I centri sociali territoriali al momento non riescono a erogare servizi adeguati perchè sono senza risorse. Vanno potenziati insieme alle associazioni che non sono solo sentinelle sul territorio ma erogatori di servizi gratuiti.

Occorre che le associazioni vedano il Comune non come un nemico. La mia idea è di creare delle connessioni tra privati, Fondazioni e pubblico. Bisogna fare in modo che, enti e imprenditori che vogliono fare del bene vengano messi in condizioni di farlo e uscire dall'idea che il Comune possa fare tutto sempre conservando tuttavia un ruolo insostituibile di garante. Si può fare perché Napoli è una città che è molto problematica ma anche profondamente solidale.

Le risorse del PNRR come possono essere sfruttate?

Non si è arrivati ancora al terzo settore perché per il momento i fondi del PNRR sono destinati prioritariamente alle infrastrutture.

Noi della giunta siamo e ci sentiamo una squadra che intende lavorare sulla progettazione e la programmazione. Il PNRR è un'enorme opportunità per la città e dovrà essere utilizzato anche per i servizi sociali.

C'è la volontà ferma di utilizzare al meglio questi fondi partendo dall'ascolto delle persone sul territorio.

Nei ringraziamenti del suo libro lei cita tutte le persone disabili e ammalate che ha conosciuto per averla educata alla malattia, al dolore e alla morte e Alba perché con il suo arrivo inaspettato le ricorda da sempre che è possibile rinascere anche dopo tanta sofferenza. Può spiegare che cos'è per lei il dolore, quali sofferenze ha patito?

Le ringrazio perché siamo in una società che ci vuole educare alla perfezione. Così non è nella realtà. I malati. le persone che non ci sono più mi hanno educato alla sofferenza, alla morte e quindi alla vita.

Non siamo perfetti, un'ideale che non raggiungeremo mai. Bisogna cercare di essere se stessi e essere felici.

Essere perfetti non significa essere felici. Le mie sofferenze sono relative a persone che ho accompagnato fino alla fine. Nel mio libro il personaggio Pietro di cui Livio si innamora non è stato realmente il mio compagno ma mi sono rifatto ad un amico che è finito perché ammalato di sclerosi multipla e di cui sono stato tutore per il testamento biologico. Quindi credo che ci sia il bisogno di educare all' imperfezione, a che non esiste la normalità e che nessuno si può arrogare il diritto di dire cosa è normale e cosa non lo è. Dobbiamo partire dal presupposto che grazie a queste imperfezioni noi siamo unici.

Lei si è avvicinato di recente al Movimento Cinquestelle. Che idea si è fatto e che rapporto intende costruire con la base degli attivisti storici?

Con Roberto Fico stiamo lavorando da tempo al progetto di lavorare insieme al Movimento per le politiche sociali a Napoli. Sono grato al Movimento perché mi ha dato fiducia e l'opportunità di fare qualcosa per la nostra città. Trovo che gli attivisti siano eccezionali, li invidio per le competenze e l'energia. Faccio fatica al momento a stare dietro a tutto perché sono nuovo ma partecipo con interesse. Penso che è un Movimento che può fare veramente tanto perché nasce dal popolo e va ascoltato in quanto da esso possono uscire input importantissimi.

#FRANCESCO PONTICIELLO

La scena è di quelle iconiche - mentre rimbombano le urla per la scoperta del cadavere di Renato Caccioppoli, un anziano signore, il marchese, si sporge dal suo balconcino, a palazzo Cellamare, a Chiaia. Un attimo dopo, distrutto dal dolore e consapevole di cosa sia potuto succedere, si accascia sulla poltrona. Il volto ed il corpo che appaiono nella scena chiave di Morte di un Matematico Napoletano, di Mario Martone, sono quelli di Lucio Amelio, il gallerista ed agitatore culturale. Tra i più importanti intellettuali della Napoli di fine novecento.

Il suo è poco più di un cameo. perché Amelio, sebbene già presente in altre pellicole, incluso il celebre Pasqualino Settebellezze di Lina Wertumuller, candidato all’Oscar nel 1977, non era di certo un attore. Non solo o non principalmente. Lo stesso legame che il regista napoletano aveva con Amelio, malgrado il bellissimo Terrae Motus, il documentario che il regista napoletano aveva dedicato alla famosa raccolta di opere post-sisma dell’80 promossa da Amelio, non era strettamente cinematografico. Non solo e non principalmente. La Modern Art Agency, al parco Margherita, fondata da Amelio nel 1965, la galleria di palazzo Partanna, a piazza dei Martiri, a non più di 200mt da palazzo Cellamare, la Fondazione Amelio del 1982, tutte le iniziative legate all’arte contemporanea ed ai suoi principali protagonisti avevano avvicinato a Lucio Amelio le anime creative della città, incluso Martone.

Alla galleria di piazza dei Martiri ci fu addirittura la prima messa in scena di Falso Movimento, il progetto teatrale di postavanguardia di Martone, da cui tutta la scena attoriale partenopea degli ultimi 40 anni ha preso abbrivio. Falso Movimento divenne, con la fusione degli sforzi autoriali con il Teatro dei Mutamenti di Antonio Neiwiller, del Teatro Studio di Toni Servillo, Teatri Uniti. Morte di un Matematico Napoletano, con la presenza di Servillo, Neiwiller, di Carlo Cecchi[che interpreta magistralmente Caccioppoli], Anna Buonaiuto, Licia Maglietta, Andrea Renzi, Renato Carpentieri, Nello Mascia, Enzo Moscato e fino a Vincenzo Salemme, Lucio Allocca, Patrizio Rispo, in seguito protagonisti di cinema e televisione di intrattenimento, rappresenta una sorta di ritratto di famiglia dell’universo che si muoveva allora intorno a Teatri Uniti.

Ma è Lucio Amelio, la particolarità del suo percorso, che ci preme indagare. Ed allora, dalla prima incursione in ambito cinematografico di Mario Martone, lo sguardo si estende inevitabilmente ai principali protagonisti dell’arte contemporanea di fine ventesimo secolo. Kounellis, Burri, Warhol, Boetti, Palladino, Beuys, tutti cooptati dalla Modern Art Agency nella bolla artistica partenopea. E non certo per fare un’analisi strettamente artistica del ruolo di Amelio, morto nel 1994. Ci interessa piuttosto un approccio non specialistico, sottoporre l’idea che Lucio Amelio, ovviamente dal punto di vista di chi scrive, sia stata una figura di riferimento per la cultura partenopea e mediterranea. E soprattutto che continui ad esserlo. Che abbia rappresentato un’originale declinazione partenopea di cosa sia stato a New York la Factory di Andy Warhol. Un ruolo che in realtà, per il periodo che va dal 1965 dalla nascita della galleria del parco Margherita, alla sua morte, nel 1994 – gli è comunque riconosciuto. Senza assurgere ad una popolarità che travalichi l’ambito dell’arte contemporanea, nessuno mette in dubbio la sua figura o importanza. Ma l’influenza di Amelio diviene assai meno a fuoco nell’arco di tempo successivo. Lo dimostra l’oblio che qualcuno cerca di far cadere sulla sua figura. Sorte che lo accomuna ad intellettuali con epicentro a Napoli, che dopo la loro morte sono quasi scomparsi dalla memoria collettiva, Fabrizia Ramondino, Luciano Cilio, Carlo D’Angiò, Vera Lombardi, lo stesso Antonio Neiwiller o Annibale Ruccello. O a quelli che sono stati addirittura dimenticati in vita, uno su tutti Roberto De Simone. Ma Amelio è come se avesse evocato, in particolare con il fine gioco linguistico legato a Terrae Motus, ovvero trasformare una tragedia come il sisma del 23 novembre del 1980 in un positivo sommovimento delle coscienze, tutta l’incredibile energia della cultura napoletana e meridionale. Come se tutto ciò di non allineato, dalla frenesia vitalistica dello stesso Caccioppoli, la cultura filosofica di Aldo Masullo e fino alle icone pop per eccellenza, Diego Armando Maradona e San Gennaro[non solo nelle rappresentazioni di Jorit], transitando per Showmen, Balletto di Bronzo, Aria di Alan Sorrenti, Pino Daniele, ,

l’ARN di palazzo Marigliano, Bisca, 99 Posse, Almamegrettai Contropotere, la scrittura di Gomorra, indifferentemente Erri De Luca, Maurizio De Giovanni e Peppe Lanzetta, l’universo cinematografico di Antonio Capuano, Pappi Corsicato, ovviamente Mario Martone e fino a Paolo Sorrentino siano tutti dentro la visione o premonizione di Lucio Amelio. Evocati, anzi preannunciati. E ciò per il legame fortissimo che Amelio è riuscito a tessere con la valenza visionaria di una figura che ha un impatto su di lui superiore a quello dello stesso Warhol: Joseph Beuys. “La rivoluzione siamo noi”, il titolo che Beuys diede alla sua mostra alla Modern Art Agency di Amelio del 1971, fornisce una indiretta spiegazione del peso di Amelio a conclusione del cosiddetto secolo breve. L’idea che andasse messa a verifica, mostrata in termini personali, addirittura animale, mesmerica, l’incredibile energia, l’irriducibilità alla ripetitività del presente che il contesto locale stava producendo. A tutti i livelli. Questo spiega anche perché non venga riconosciuto ad Amelio un ruolo post-mortem: meglio far cadere l’oblio, al massimo riconoscere al gallerista partenopeo un ruolo passato, storicizzato. Perché evidentemente Amelio continua a spaventare, provocare, far discutere. Oggi come quando, nel 1990, decise di registrare un disco. “Ma l’amore no”. E lo fece produrre da Lino Vairetti, voce ed ispiratore degli Osanna, band napoletana progressive. Coinvolgendo come coristi lo stesso Vairetti, il giornalista Giorgio Verdelli ed uno dei fondatori della Nuova Compagnia di Canto Popolare, Patrizio Trampetti. La sua voce risuona come un’anticipazione di quella di Italo Moscato, nella scena iniziale di Libera di Corsicato. Lucio Amelio sembra dire, “la rivoluzione sono io”, ed a qualcuno questo non garba. Meglio dimenticare, nascondere, occultare. O semplicemente, non mostrare. nascondere, occultare. O semplicemente, non mostrare. In Terrae Motus, Joseph Beuys è presente con Terremoto in Palazzo, insieme a FATE PRESTO di Andy Warhol, l’opera più celebrata in Terrae Motus. Sicuramente quella di Beuys traduce in materia, in opera, l’idea centrale di Amelio: che l’evento sismico, oltre la sua tragicità, i lutti, la distruzione, possa essere metafora di un’imponente sommovimento culturale.

Un’epifania, qualcosa in grado di trasformare l’energia della terra, del sisma, in ridiscussione dell’ordine sociale. Qualcosa che oramai non regge alle aspettative della gente, alla creatività diffusa, alla febbrile forza trasformativa, che a tutti i livelli ha attraversato e pervade ancor oggi Napoli ed il meridione. Lucio Amelio era ed è questo. Una materializzazione della Capri Batterie. La deviante lampada di Beuys, “alimentata” da un limone, periodicamente sostituito, ogni volta che si secca, da uno fresco. Lucio Amelio come una sorta di still life, che in italiano si traduce con natura morta, ma suona assai meglio nella traduzione letterale - sempre vivo.

Oppure come il titolo di un altro film[che proprio a Capri Batterie si ispira] di Mario Martone, CapriRevolution. Amelio-Revolution.

#DANIELE DE FALCO

Tanti premi e riconoscenze sanciscono la carriera di un attore formidabile, quella di Marco Antonio Servillo, in arte Toni.

Protagonista di tanti successi cinematografici, talento sensazionale e versatile e recitazione caratterizzata da una forte componente emozionale. Con interpretazioni sempre più originali e ben studiate, Servillo in questo momento è di sicuro uno degli attori a cui molti registi farebbero affidamento per la buona riuscita di un capolavoro cinematografico.

Vincitore di quattro David di Donatello, quattro Nastri d’Argento e due Golden Globe, fa il suo esordio sul grande schermo nel 1992 in “Morte di una matematico napoletano”, con la regia di Mario Martone.

Nel 2008 interpreta la parte di un imprenditore legato al malaffare nel film Gomorra, pellicola di Garrone partorita dall’idea di Roberto Saviano. Determinante l’incontro avvenuto nel 2001 con Paolo Sorrentino, da cui nascerà una grande amicizia fuori dal set, raccontata in un’intervista rilasciata di recente in seguito all’uscita del nuovo capolavoro del regista napoletano E’ stata la mano di Dio. Il loro primo incontro avvenne ai Teatri Uniti di Napoli. All’epoca Servillo era un attore di cinema e teatro già affermato, Sorrentino un ragazzo giovane e alle prime armi. Nonostante l’imbarazzo iniziale, a quel giovane regista esordiente non mancò il coraggio di avvicinarsi a un attore di fama mondiale, chiedendogli di visionare la sua prima sceneggiatura dal titolo L’uomo in più. Servillo rimase stupito dalla profondità dei dialoghi e fu entusiasta di prendere parte al progetto. Non a caso, il film ebbe una nomina alla Mostra del Cinema di Venezia dello stesso anno.

Sorrentino ottenne due nomine al David di Donatello come miglior regista esordiente e miglior sceneggiatura, mentre Servillo quella come miglior attore protagonista.

Da lì ebbero inizio una serie di collaborazioni che portarono a compimento la loro unione intima e professionale in maniera definitiva, frutto di una sintonia energica e spontanea tra i due. " Aver incontrato Paolo è stata una fortuna, non me ne fregava niente del cinema all’epoca" dichiara Servillo.

Sorrentino afferma commosso:

"Toni in momenti difficili della mia vita mi ha aiutato come avrebbe fatto un padre, cioè dicendomi perentoriamente fai così.. E io l’ho fatto come ha detto lui". Nel 2004 l’attore afragolese è nuovamente protagonista nella pellicola di Sorrentino Le conseguenze dell’amore e nel 2008 interpreta in maniera sublime la parte di Giulio Andreotti nel film a lui ispirato, ottenendo un Nastro d’Argento e un David di Donatello come miglior attore protagonista. Nel 2013 arriva la svolta e La Grande bellezza, capolavoro assoluto di Sorrentino, si aggiudica la vittoria come miglior film straniero alle premiazioni degli Oscar. Il protagonista è Jepp Gambardella, giornalista e critico d’arte dalla vita dissoluta, interpretato eccezionalmente dal maestro Servillo. Un personaggio circondato dall’ ipocrisia e da amicizie frivole, tipiche di un ambiente romano chic e alto borghese. La capacità di esprimere perfettamente la sofferenza patita dal personaggio, vittima di una realtà che lo opprime e lo logora, è sensazionale.

Anche in questo caso, Servillo dimostra di essere un attore con la A maiuscola e la sua bravura, il suo successo e le sue spiccate doti di attore sono ormai note a tutti gli appassionati di cinema e ai più famosi critici d’arte internazionali. Doti da poter ammirare anche nel nuovo capolavoro targato Sorrentino E’ stata la mano di Dio, candidato agli Oscar e già vincitore di un Leone d’argento a Venezia. Una pellicola che racconta le vicende autobiografiche del regista tramite gli occhi del sé adolescente, quelli di Fabio Schisa.

Sorrentino interpreta Stefano Schisa, padre del protagonista. Un genitore affettuoso e legato indissolubilmente al figlio, spiritoso e giocoso, ma allo stesso tempo marito non esemplare. L’ attore risulta impeccabile anche in Qui rido io, film basato sulla vita di Eduardo Scarpetta e con la regia di Martone. Servillo interpreta un uomo austero e amato dal pubblico, mostrando le fragilità di un personaggio che all’apparenza risulta del tutto infrangibile. In seguito alla dura vicenda giudiziaria che lo vide contrapposto a D’Annunzio, la sentenza finale sancì la nascita del diritto alla satira e la conseguente vittoria giudiziaria da parte del capocomico napoletano.

Insomma, l’impegno e il talento di un attore a tutto tondo come lui colgono sempre nel segno.

Non a caso, Il New York Times ha collocato il talento afragolese tra i primi venticinque attori mondiali più influenti dei primi vent’anni del ventunesimo secolo, un risultato più che strameritato.

#MATTEO ESPOSITO

Diciotto milioni di abitanti. Stipendio medio di 550 euro al mese. Un territorio tato quanto mezza Europa e risorse naturali da fare gola persino alla Russia (1,6 milioni di barili di petrolio al giorno). Il Kazakistan è un mistero. La prima domanda sorge spontanea: dove si trova?

Questa miniera d’oro è il cuore dell’Asia Centrale, confinante con Russia, Mongolia, Uzbekistan e Kirghizistan. I problemi non sono di certo iniziati solo con la liberalizzazione del prezzo del Gpl avvenuto all’alba del nuovo anno.

Dal 2016, il Kazakistan ha visto numerose proteste per i continui tentativi della Cina di acquisire letteralmente lo stato. Con la totale assenza di una vera opposizione (il partito di governo vince le elezioni da sempre con il 100% dei consensi), nessuno è capace di tutelare la popolazione civile ed i suoi diritti fondamentali. E’ così che la moneta kazaka, il tenge, è schizzato da 182 dollari a 360, un aumento di valore della moneta che ha spinto molte persone a chiedere prestiti e mutui. Tutto è cambiato quando diverse privatizzazioni hanno nuovamente livellato il valore della moneta, portando ad una crisi bancaria senza precedenti. Se a questo aggiungiamo le numerose privatizzazioni nel paese e la instaurazione del più grande polo di cripto valuta al mondo, dovuto ad enormi giacimenti di minerali per microchips, questo non ha certamente aiutato alla stabilizzazione del paese. Come se non bastasse, il Kazakistan - come presto anche l’Italia - soffre di una fortissima disuguaglianza economica; da una parte gli indigenti e dall’altra gli oligarchi ultra miliardari russo-kazaki. In meno di dieci giorni di proteste, 350 vittime e migliaia di arresti. Il presidente Kassym-Jomart Tokayev ha risposto con il pugno di ferro, sciogliendo l’esecutivo, impostando il coprifuoco e sospendendo internet. E come se non bastasse, la Russia di Putin ha inviato le sue truppe. Dopo la sua indipendenza nel 1991, il Kazakistan non è stato mai attraversato da particolari rivolte o crisi sociali, grazie soprattutto al Collective security treaty organization (Csto), l’alleanza difensiva simile alla Nato di cui fanno parte alcuni stati dell’ex Unione delle repubbliche socialiste sovietiche

Purtroppo, questa situazione parrebbe non vedere risoluzioni nel breve periodo se non tramite azioni militari. Come spesso accade, è la popolazione civile a pagarne le conseguenze più drastiche, con un sempre minor numero di rappresentanti ed una quasi totale assenza di diritti umani.

Come muterà l’assetto kazako è ancora un mistero, ma una cosa è certa: la guerra fredda passa anche da qui.

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#GIULIA COMPAGNONE

Da grande vorrei essere. Vorrei essere un attore, vorrei fare il cuoco, vorrei aggiustare i computer, vorrei fare il medico, vorrei fare il calciatore.

Quando si è piccoli si desiderano tante cose, così tante che è impossibile scegliere. Tanto ci vuole tempo per diventar grandi, non c’è fretta. Questo tempo, però, non c’è per tutti. Spesso viene strappato via, senza motivo. E con il tempo si strappano via anche vite, storie, sogni. Come è accaduto a Luigi Sica. Luigi aveva 16 anni, quando la sera del 16 Gennaio 2007 fu ucciso.

Raggiunse gli amici in via Santa Teresa degli Scalzi, punto di ritrovo dei ragazzi del quartiere Sanità. Poco distante la sua comitiva, vi era un altro gruppetto di ragazzi, tra cui un quindicenne, Ciro. Con quest'ultimo iniziò uno scambio di battute che deteriorò finché Luigi diede un ceffone a Ciro. Il quindicenne si allontanò minacciando Luigi con un esplicito: «Io ti uccido». Una minaccia che si trasforma in una tragica realtà. Poco dopo Ciro tornò e con tre coltellate al cuore pose fine alla vita di Luigi. Il cuore spezzato, come i suoi sogni. Quei sogni che gli hanno impedito di realizzare. Una violenza gratuita, frutto di dinamiche criminali e di politiche educative assenti. Una violenza inspiegabile che ha inferto l’ennesimo colpo al quartiere e alla città di Napoli.

“A Luigi, vittima innocente della violenza criminale, affinché il ricordo dei suoi cari divenga memoria collettiva”, queste le parole incise per sempre su una targa della III municipalità di Napoli. Creare una memoria collettiva affinché tutte le vittime innocenti non siano morte invano. Infatti, la memoria deve essere lo strumento per creare una realtà sana, pulita. Una realtà basata sul rispetto dell’altro, sulla lotta alla criminalità creando comunità sane, trasmettendo i saperi giusti.

Includendo e non emarginando.

Anche facendo piccoli passi in avanti, perché anche quelli che sembrano essere piccoli, invisibili, in realtà sono fondamentali per costruire il terreno futuro. Però, accade spesso che non si riesca a cambiare neanche minimamente una piccola realtà ed è proprio in quel momento si deve continuare ad insistere, continuare a ricordare, ad educare. Nel grigiore e nelle strade tortuose si deve fare ancora di più, sempre di più.

Senza scuse, senza sconforto, senza scorciatoie.

Si deve continuare a perseguire la pace, la condivisione, la verità, la bellezza. Portando dentro di noi i loro sogni, come quelli di Luigi.

Come quelli di tutte le vittime innocenti che come semi crescono dentro le nostre vite.

#ANNAMARIA MARMO

L’Alzheimer è una patologia neurologica degenerativa che colpisce il cervello. La sintomatologia di questa devastante demenza è molto ampia e sempre più, gradualmente invalidante: il sintomo d’esordio è rappresentato dalla perdita di memoria, prima in forma leggera e poco rilevabile, poi man mano più evidente e grave. Alla perdita di memoria si accompagna nel tempo la difficoltà ad eseguire normali attività quotidiane, primi segnali della perdita dell’autonomia, e, a questi seguono i disturbi del linguaggio caratterizzati da anomie ed impoverimento del vocabolario linguistico. Nelle fasi più avanzate della malattia, si evidenzia un disorientamento spaziale e temporale e molto spesso delle gravi alterazioni della personalità. La persona affetta da Alzheimer finisce in uno stato di totale dipendenza, determinando così una situazione molto complessa per chi lo assiste. Prendersi cura di una persona affetta da Alzheimer può essere causa di un forte stress psico-fisico, poiché il coinvolgimento è spesso totalizzante viste le nuove e continue esigenze dell’ammalato. Assisterlo è un compito molto gravoso in quanto richiede un dispendio di energie fisiche, cognitive ed emotive, spesso per una durata di molti anni. La diagnosi della demenza e la sua comunicazione rappresentano un evento tragico e drammatico sia per il paziente che per la sua famiglia: è un percorso doloroso per entrambe le parti,all’interno del quale si attiva un processo di presa di coscienza di un cambiamento devastante .Il caregiver è la risorsa terapeutica ed assistenziale per l’ammalato, ma spesso il suo percorso di accettazione della malattia è paragonabile ad un evento luttuoso, nel quale sperimenta in primo luogo una sorta di negazione,rifiutando di credere a ciò che sta accadendo. Segue poi un iperattivismo, che si concretizza nella volontà di sostituirsi in tutto all’ammalato. Questo quadro composito è caratterizzato dalla collera, generata dalla frustrazione e dall’impotenza dinanzi ai tentativi fallimentari e da un sentimento di fuga, strategia difensiva messa in atto nel tentativo di allontanarsi dalla fonte di ansia, al fine di preservare intatta l’immagine del malato che non si accetta di modificare.

Il caregi ver è sottoposto a di versi e conti nui fattori stressanti a parti re dal l a mancanza di conoscenze sul l a mal atti a e i l suo decorso: ci ò non gl i permette una vi si one oggetti va del l a real tà e crea fal se aspettati ve che possono i ndurl o a mettere i n atto comportamenti o strategi e di soccorso errate. Inol tre l ’ ammal arsi di un membro del nucl eo fami l i are ri chi ede una ri organi zzazi one dei rapporti e del l e i nterazi oni fami l i ari che a vol te può ri sul tare di ffi col tosa, poi ché possono i nsorgere contrasti fami l i ari sul l e modal i tà di col l aborazi one e supporto reci proco. La fati ca del l a cura e l a stanchezza da essa deri vante, l a frustrazi one per i grandi sforzi messi i n atto che però non producono i ri sul tati attesi , susci ta nel fami l i are i ntensi senti menti di rabbi a di nanzi ad un compi to assai di ffi ci l e e che a l ungo o medi o termi ne non condurrà a quanto sperato. Il caregi ver dovrà qui ndi pazi entemente cercare e speri mentare sempre nuove sol uzi oni , adattandol e di vol ta i n vol ta al progredi re del l a mal atti a, pertanto una buona consapevol ezza è fondamental e perché faci l i ta l a comprensi one dei bi sogni e dei comportamenti del mal ato.

#CARMEN COSTABILE

nutrition facts a cura della Dott.ssa Carmen Costabile Biologa Nutrizionista

Per quanto riguarda i cereali, il termine raffinato di certo non è da leggere in senso figurato: “molto fine e ricercato, che raggiunge un alto livello di squisitezza o perfezione” (vocabolario online Treccani). I cereali raffinati, infatti, a differenza di quelli integrali, subiscono un maggior numero di lavorazioni che portano ad una perdita di micronutrienti e fibre, ma anche di proteine. Quest’ultime infatti sono contenute nella parte più esterna del chicco, la crusca, che durante la raffinazione viene rimossa insieme al germe, allo scopo di trattenere la parte più consistente del chicco, la mandorla amilifera, ricca di amido dalla cui macinazione si ottengono le farine e di conseguenza tutti i prodotti derivati.

È così facile intuire come i cereali integrali siano più nutrizionalmente validi rispetto a quelli raffinati. Inoltre, le fibre contenute: permettono un miglior controllo della glicemia e un rilascio più lento degli zuccheri nel sangue, diminuendo il picco glicemico post-prandiale; permettono di “trattenere” il colesterolo e a non farlo assorbire a livello gastro-intestinale, con la conseguente riduzione del suo rilascio nell’organismo e contribuendo quindi a diminuire i livelli di colesterolo e LDL ematici. Oltre a questi fattori, legati maggiormente a stati patologici, i cereali integrali sono utilizzati spesso nelle diete dimagranti perché danno anche maggiore sazietà; ma il solo fatto di assumerli non porta a perdere peso: anche gli alimenti integrali non sono il “segreto” per dimagrire, se non mangiati nelle giuste quantità.

Attenzione, però. Non tutti i casi patologici preferiscono i cereali integrali. Quest’ultimi sono sconsigliati in caso di colon irritabile o infiammazioni legate all’apparato gastrointestinale, ad esempio.

Infine, va ricordato che i prodotti integrali confezionati, nella maggior parte dei casi, non sono “vero integrale”. Infatti, per l’industria alimentare è conveniente raffinare le farine e solo poi reintrodurre la crusca per rendere il prodotto legislativamente “integrale”. Il prodotto si trova così arricchito dell’involucro esterno del cereale ma perde il germe. Questo permette una maggior conservazione, ma impoverisce i valori nutrizionali del prodotto.

Quindi, rispondendo alla domanda iniziale, mangiare cereali raffinati non porta a nessun evento catastrofico per il nostro organismo. In un soggetto sano è bene prediligere i cereali integrali, non solo frumento e riso, ma anche farro, orzo, avena, segale, mais e pseudocereali (come quinoa, amaranto e grano saraceno).

Spesso, infatti, chi compra integrale è più consapevole dal punto di vista delle scelte alimentari e ha uno stile di vita attivo. I cereali raffinati non sono da demonizzare, ma sono da evitare specialmente quando contenuti in cibi che sono anche ricchi di grassi e zuccheri aggiunti, come merendine e prodotti da forno, in quanto molto calorici e poco sazianti.

Come sempre, variare le fonti è la scelta ottimale per un’alimentazione completa e a minor rischio di carenze nutrizionali.

#GRAZIELLA TETTA

Nella mia famiglia, ma credo in tutte le famiglie c’è l’insana abitudine di mangiare più volte al giorno, ma i cibi, non compaiono per magia nel frigorifero, o sulle mensole della dispensa, vanno cercati, trasportate nei carrelli, pagati, infilati nelle buste, caricati in macchina e riposti. In passato, fino a quando non esistevano che i negozi di quartiere la spesa era esclusivo appannaggio delle donne per la quasi totalità casalinghe. Mai che un marito, un padre si sia visto carico di sporte della spesa, al massimo e solo di domenica mattina, lo si poteva vedere attraversare il cortile del palazzo con un “cartoccio” di dolci e, per i più “domestici”, anche un pezzo di pane poteva fare capolino tra le sue mani, ma niente di più. Oggi, con i ritmi frenetici che scandiscono la vita delle famiglie, l’unico momento da dedicare alla spesa è il fine settimana. Così la spesa, da compito femminile, è diventato lavoro di coppia e, visto che tutti gli acquisti familiari devono essere concentrati in un’unica giornata, ecco che si predilige il centro commerciale più fornito, con più negozi ed offerte. Quello più lontano da casa quindi, è un classico! Arrivati subito si presenta la prima causa di litigio: il carrello la cui scelta è appannaggio del genere maschile che sa come scegliere il migliore, quello le cui ruote vanno dritte, che non cigolano, quindi dopo aver messo la moneta e provatene un’infinità, l’uomo sceglie quello che per lui ha tutte le caratteristiche richieste. Da lì comincia la spesa vera e propria, consapevole che per noi donne la parola spesa comprende “un’occhiatina” a tutti, ma proprio tutti, i negozi nei corridoi, dopo aver abbandonato Lui su una panchina, con la carrozza scelta ci si avvia nel supermercato vero e proprio. Ora la tipologia delle coppie non è unica: c’è la coppia classica quella in cui lui è solo quello che spinge il carrello con aria afflitta, borbottando ad ogni prodotto che viene scelto, perché la sua signora guarda con attenzione tutte le confezioni di yogurt, leggendo le calorie che contiene soppesando se sia meglio acquistarne uno da 48 o uno da 52 o annusa tutte le confezioni di ammorbidente.

C'è poi la nuova e moderna tipologia di coppia, quella in cui è lui a scegliere cibi e bevande, quella in cui è lui a sapere se è il caso di acquistare il pane bianco o con un po’ di farina integrale e che pontifica sul potassio contenuto nelle banane, irritando la donna che, poi gli ricorda, piccata, che, una volta arrivati a casa, tutte le belle teorie esposte verranno dimentica al momento di mettere mano ai fornelli, c’è la coppia in cui sia lui sia lei comprano e allungano allegramente la mano verso gli scaffali, salvo, poi, criticare ogni acquisto dell’altro passando dalla definizione di inutile a poco sano, discutendo ogni qualvolta un prodotto tocca il carrello; c’è la coppia in cui uno dei due ha parossistici attacchi dinanzi alle offerte e agli sconti, acquistando quantità industriali di carta igienica o di così tante bottigliette di salsa barbecue da condire una grigliata condominiale, spingendo quello che non si lascia attirare dallo sconto a chiedere pietà perché sa che dovrà nutrirsi di fagioli almeno per un mese per evitare che scadano e per non vanificare l’acquisto” conveniente”. In tutte le tipologie la tensione è a livelli pericolosi.

L’apice si raggiunge, però, al momento di riporre gli acquisti nelle borse. Sorvolando sulle lamentele perché lui o lei hanno dimenticato quelle riciclabili, si possono riscontrare altre due tipologie: i maniaci dell’ordine e i confusionari, come riconoscerli?

La tipologia A infila gli acquisti con metodica sistematicità nelle borse, mette le bottiglie sui bordi, la pasta al centro, il roastbeef sopra le fettine e il macinato su tutto in compagnia delle uova, ma tutto questo suscita le ire funeste di chi solitamente, getta tutto alla rinfusa, ossia la tipologia B, che odia perdere tempo alla cassa che si stufa di tirare fuori due-tre volte i cibi per dargli la posizione più consona al loro ruolo, anche perché qual è il loro ruolo? Così la tensione sfocia in rispostacce, in buste strattonate, in musi lunghi che mettono a dura prova le unioni, nei visi irati e tirati, è al supermercato che si saggia la solidità delle coppie, se si sopravvive alla tensione della spesa, se la settimana dopo si decide di ripetere l’esperienza, allora è Amore, quello vero, quello con la A maiuscola, o forse quello con la dispensa più piena.

#LELLO CONSOLO

#HASTAGDELLASETTIMANA

Su Twi tter conti nua l a saga del tampone. Qual cuno ha scri tto : “fra un po' non conteremo pi ù i posi ti vi , ma i negati vi ” facci amo pri ma.

Insi eme a Del ta e ad Omi cron è comparsa anche Del tacron dal l a fusi one del l e due vari anti , per sconfi ggerl a chi ameranno Dragonbal l .

D. A. D o non D. A. D, questo è i l probl ema, l ' account di @ci cci orosi na ci ri corda: “ La di datti ca a di stanza si curamente non va bene, ma vi ri cordo che quel l a i n presenza ci ha l asci ato Bari l l ari e l a Cuni al “ . Ecco.

Berl usconi vuol e i l qui ri nal e, i suoi fanno paragoni azzardati , anche i l padre del tenni sta Dj okovi c azzarda, l ' account di @mi chel acucchi ri assume: “ Berl usconi come Perti ni , Dj okovi c come Gesù. . . Al tri paragoni ad capocchi am?” Sal vi ni stati sta, per esempi o.

Le battute sul tenni sta si sprecano c' è chi l o chi ama “ Dj onovaxkovi c” chi pensa : “ Era ovvi o che Dj okovi c avesse qual cosa i n serbo” e chi i mmagi na che, ri fl ettendo sul l a fi gura barbi na fatta, i l campi one ri peta i l suo nome si l l abandol o come un toscano qual unque “Dj oKovi c”. Ce n' è anche per i l Presi dente del consi gl i o, l ' account @recchi e ci ta: “ Draghi i ntanto fa l a conferenza stampa ci tando Massi mo Troi si “ scusate i l ri tardo”, i gi ornal i sti fanno l e domande, i l PIL sal e e l a borsa ce l ' ha chi ce l ' ha”

Un account anonimo fa una riflessione condivisibile: “Comunque per sapere se quest' anno sarà positivo o negativo, non servirà l' oroscopo, né le previsioni del governo, basterà un tampone.

Qualcuno ha preso alla lettera il motto “circondatevi di persone positive” e allora amici, vicini, parenti, vaccinati, chi è stato positivo e lo è di nuovo insomma sembra l' assalto a Fort Apache. Io, speriamo che me la cavo.

#FULVIO FEO

Ormai è un dato di fatto, i l nostro Paese è sotto pandemi a, col pi to da un vi rus che fi no a due anni fa, era per noi sconosci uto, e per i l qual e l e al te cari che governati ve e perfi no l ’ OMS, sono fi ni ti i n un tunnel , . Per vedere l a l uce, hanno dovuto i ntensi fi care gl i i nvesti menti nel l a ri cerca, per capi re quanto meno cosa avevamo davanti ossi a un qual cosa di sconosci uto che, con i l tempo, avrebbe portato a drasti ci cambi amenti al nostro sti l e di vi ta. Tutel are e sal vaguardare l a sal ute del ci ttadi no è di ventata l a pri ori tà del l o Stato i tal i ano per sperare quanto pri ma di usci re defi ni ti vamente da questa pandemi a. Moti vo per cui è stato i mposto l ’ obbl i go del l ’ uso dei Di sposi ti vi di Protezi one Indi vi dual e. Ma cosa sono veramente i D. P. I? i di sposi ti vi di protezi one i ndi vi dual e sono quel l e attrezzature desti nate ad essere i ndossate dal l avoratore o da chi unque ci ttadi no, per proteggerl o contro uno o pi ù ri schi di per l a si curezza o l a sal ute durante i l l avoro. Il testo uni co sul l a si curezza e sal ute del l avoro, (D. Lgs. 81/08) subentrato al l ’ ex (D. Lgs. 626/1994) ed i ntegrato a sua vol ta dal (D. Lgs. 106/2009), defi ni sce i Di sposi ti vi di protezi one i ndi vi dual e, come ”qual si asi attrezzatura desti nata e tenuta dal l avoratore al l o scopo di proteggere contro uno o pi ù peri col i suscetti bi l i di mi nacci are l a propri a si curezza o l a sal ute durante i l l avoro nonché ogni compl emento ad essi desti nati a tal e scopo. ” I D. P. I. pi ù uti l i zzati al meno da due anni sono senza dubbi o l e mascheri ne, ri conosci ute come strumento essenzi al e per combattere l a pandemi a SARS-CoV-2. 2. Il l oro uti l i zzo è andato crescendo i n mani era esponenzi al e tanto è che sul mercato sono usci te mi l i oni di mascheri ne anche personal i zzabi l i , facendol o di ventare un accessori o di tutti i gi orni , ma non avendo quel l e

certi fi cazi oni atte al l a protezi one del l e vi e respi ratori e per combattere i l vi rus, cosa di versa i nvece quel l e ri conosci ute dal Mi ni stero del l a Sal ute e che oggi si fa fati ca a reperi re. Le mascheri ne ri conosci ute e garanti te sono quel l e che fanno parte del l a categori a D. P. I. per l a protezi one del l e vi e respi ratori e, e vengono cl assi fi cate con i marchi FFP1 – FFP2 – FFP3. Pri ma del l e emi ssi oni sul mercato, i vari test hanno evi denzi ato che l e pri me ri escono a fi l trare l ’ 80% del l e parti cel l e sospese nel l’ ari a, l e seconde al meno i l 94% e l e terze fi no al 99%, Poi ci sono l e mascheri ne chi rurgi che l e qual i devono essere conformi al l a norma UNI E ISO 14683 l e qual i ri entrano nel l a categori a “maschere facci al i ad uso medi co”. Esse vengono testate e ri testate i n l aboratori competenti , passando dal l a fi l trazi one al l a respi rabi l i tà, al l a resi stenza agl i schi zzi , e al l o stesso i mbal l aggi o. Per tanto i n base al l oro uti l i zzo, e per combattere l a ormai Pandemi a che ci attanagl i a con l e sue vari anti , l ’ uso del l e mascheri ne è fondamental e per l a nostra sal vaguardi a e per l a sal vaguardi a degl i al tri , e per i nformazi one general e, e gi usto ri cordare che l e mascheri ne possono essere ri uti l i zzabi l i (se marcate con l a l ettera R) non ri uti l i zzabi l i (se marcate con l e l ettere NR), sono a norma quel l e che coprono naso bocca e parte del mento, chi amate “ semi facci al i ”. I di sposi ti vi FFP2 ed FFP3 devono essere i mpi egati nei reparti ospedal i eri e nei l uoghi dove si trovano pazi enti contagi ati . Le mascheri ne chi rurgi che possono essere uti l i zzate anche dal l a popol azi one e dagl i operatori sani tari quando si accede i n stanze con pazi enti che hanno di agnosi sospette. Esse vanno sosti tui te ogni 4 ore, mentre l e FFP2 e l e FFP3 ogni 8 ore, Ad oggi con l e nuove di retti ve del Governo, l e mascheri ne FFP2 e FFP3 devono essere uti l i zzate dal l a popol azi one tutta anche al l ’ aperto.