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Le dodici fatiche di Ercole
from A spasso tra i Miti
Era, la moglie di Zeus, era molto adirata con Ercole. Non era riuscita a ucciderlo, però gli aveva tolto la ragione. Lo aveva fatto impazzire perché lo odiava.
Senza senno, Ercole iniziò a commettere pazzie di ogni genere. La più terribile fu l’uccisione della moglie e dei figli.
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Quando prese consapevolezza dell’accaduto, il grande eroe volle in qualche modo porre rimedio all’orrendo delitto. Ma non sapeva come. Allora, si recò dall’oracolo di Delfi che lo spedì a sua volta da Eurìsteo, re di Tirinto.
In questa città greca Ercole raccontò le sue sciagure a Eurìsteo.
Gli disse il re: – Vedi, Ercole, ciò che hai commesso non può essere facilmente perdonato.
Ercole lo interruppe: – Ci sarà pure un modo per espiare la mia colpa? – e si strappava i capelli per la disperazione. – Mille e mille anni potresti piangere e disperarti, ma non basterebbe – osservò il saggio re.
Accorsero i servi, le donne, la regina, le guardie; la gente
uscì dalle case e si precipitò alla reggia. Eurìsteo non amava la confusione e, perciò, decise di liberarsi dello scomodo ospite.
Disse, dunque: – Su su, animo! Mi è venuto in mente che qualcosa, tutto sommato, potresti fare. – Sono tutto orecchi – esclamò Ercole baldanzoso. – Niente di particolare, come ti dicevo, si tratta solo di andare nella cittadina di Nemea. Devi sapere che nei boschi che la circondano s’aggira una belva feroce, che ha corpo da leone e cento teste, con cento bocche che sputano fuori un fuoco micidiale. Portami la pelle di questo mostro e vedrò cosa si può fare affinché tu possa essere perdonato.
L’impresa non sembrava facile. Salutò, comunque, il re promettendo che avrebbe ucciso il feroce mostro.
Eurìsteo non stava nella pelle dalla gioia. Si era liberato finalmente di Ercole che sarebbe stato di certo ridotto a brandelli dalla belva!
Ercole arrivò a Nemea in cerca del felino dalle cento teste. Non ci volle molto perché lo scovasse. Infatti, come l’animale orrendo avanzava per la foresta, si levava una nuvola di fumo e braci.
Le zampe del leone battevano sul terreno, le bocche si aprivano e gli alberi, incendiati, cadevano al suolo come fiammiferi consumati.
Per prima cosa, Ercole gli scagliò addosso tutte le frecce. Risultato: il leone mostruoso non fece nemmeno una piega, anzi chinò le cento teste e guardò l’eroe di sbieco. Poi gridò: – Non te l’hanno detto che le frecce mi fanno solo il solletico?
Ercole allora abbandonò a terra arco e frecce.
Intanto, il leone dalle cento teste se ne andò a dormire nella sua tana.
Ercole lo seguì.
La tana, un’enorme caverna, aveva due aperture, una per
l’entrata e una per l’uscita.
“Ora non mi sfuggirà più” pensò Ercole, mentre ne chiudeva una.
Passo dopo passo, raggiunse la belva, che russava forte producendo il suono di mille tamburi.
Ercole si chinò e gli strinse il collo, che era il punto debole dell’animale. Glielo strinse così forte che il mostro morì soffocato nel giro di pochi minuti.
Quando Eurìsteo si vide davanti Ercole con in spalla la pelle del leone dalle cento teste, si morse il labbro dalla stizza.
“Ma guarda cosa è riuscito a fare!” pensò irritato. Poi si avvicinò ad Ercole: – Bravo! – disse. – Però questa è solo la prima fatica, ti aspetta ben altro!
Allora, il re annunciò in tono deciso: – Nella palude di Lerna c’è un mostro, un’Idra con nove teste. Otto mortali e una immortale. Devi uccidere l’orribile creatura, perché esce dall’acqua e fa strage di bestiame.
“Questa volta non ce la farai…” pensò Eurìsteo, licenziando l’ospite.
Ercole arrivò a Lerna e subito si diresse alla palude. Scrutò giorni e giorni l’acqua fangosa: non si vedeva niente! A questo punto, l’eroe decise di fare una mossa: avrebbe lanciato delle frecce infuocate per stanare il mostro.
Infatti, dopo una ventina di dardi, l’Idra allungò il collo fuori dall’acqua per vedere chi l’importunava. Sgranò gli occhi, scorse Ercole e decise di sbranare lo scocciatore.
Ercole, per nulla intimorito, iniziò a menar colpi di clava. E stacca una testa e poi un’altra, era un continuo colpire. Dal
mattino al pomeriggio, l’eroe non smise di massacrare l’orrenda creatura. Rotolavano a terra i capi dell’Idra, ma subito sul collo del mostro ne spuntavano altri.
Ercole era al colmo della rabbia. Poiché si sentiva un po’

stanco, decise di porre fine al combattimento con un’altra astuzia. Incendiò dei rami e li passò dove rinascevano le teste. Così sulle ferite non potevano spuntarne altre.
Cosa accadde, allora, alla testa immortale dell’Idra? Ercole troncò di netto anche quella e la mise per benino sotto un masso. – Di nuovo qui? – domandò Eurìsteo al servo che annunciava l’arrivo di Ercole.
Stavolta il re eliminò ogni elogio. – Va’ a prendere la cerva Cerinìtide e portala qui, viva – comandò.
Ercole ci mise un anno a darle la caccia perché questa cerva era davvero speciale: velocissima, tanto che nessuno riusciva mai a raggiungerla.
Lui, però, la colpì con una freccia e così poté catturarla.
Giunse al palazzo di Eurìsteo con la cerva viva in spalla. Il re non si fece neppure vedere. Comunque, gli fece dire che ora voleva vivo un cinghiale, che faceva strage di uomini nelle vicinanze. Anche quest’impresa riuscì a Ercole.
E, così, Eurìsteo, per allontanarlo, gli chiese di aiutare il suo amico Augia.
Questo re possedeva molte greggi, ma nessuno si occupava della pulizia delle stalle.
Eurìsteo ordinò, dunque, a Ercole di ripulirle in un solo giorno.
Questa volta Ercole agì d’astuzia e deviò un fiume, che spazzò via tutto il sudiciume dalle stalle.
Saputo com’era andata la faccenda delle stalle, Euristèo diventò livido di rabbia.

– Va’ nella città di Stinfalo, adesso, e stermina tutti gli uccellacci che hanno fatto il nido nei boschi dei dintorni.
Ercole levò la clava e ruppe il piede di una statua. – Oh, perdona, grande re. Non l’ho fatto apposta – si scusò con un sorriso sulle labbra.
– Cerca di sterminare tutte quelle bestie! – ordinò Eurìsteo, mentre due consiglieri lo trattenevano per impedirgli di avventarsi contro Ercole.
Riuscì il nostro eroe a uccidere i fastidiosi uccellacci?
Anche questa volta Ercole ebbe la meglio. Prima li stanò con un fracasso di campanelli insopportabile e, non appena i volatili si levarono in volo, li trafisse con le frecce.
Eurìsteo ne sapeva una più del diavolo e non si dava facilmente per vinto. Voleva dare del filo da torcere a Ercole!
Dopo averlo mandato in varie zone della Grecia, decise di spedirlo più lontano: a Creta. Anche lì il re aveva un amico, Minosse. E pure questo amico non se la passava bene.
A Creta nessuno usciva di casa perché c’era un toro ferocissimo, che abbatteva uomini e donne. L’aveva fatto uscire dal mare il dio Nettuno, a cui Minosse aveva promesso di sacrificare ogni creatura giunta dalle acque.
Il toro, però, era parso troppo bello a Minosse, che decise di risparmiargli la vita. E Nettuno si adirò. Fece inferocire l’animale così tanto che gli abitanti di Creta, se varcavano la porta di casa, lo facevano a loro rischio e pericolo. Anche il re, per timore, rimaneva chiuso nel suo palazzo.
Ercole, in quattro e quattr’otto, domò il toro e condusse anche questo da Eurìsteo.
La perfidia di Eurìsteo, però, non aveva limiti.
Per farla breve, spedì Ercole a domare i feroci cavalli di Diomède, re della Tracia, e poi a rubare una cintura speciale che apparteneva a Ippolita, la famosa regina delle Amazzoni, che erano donne ferocissime.
Ercole salpò con una nave assieme ad alcuni valorosi guer-
rieri. Incontrò Ippolita e le chiese la cintura.
A quella provocazione la valorosa regina incominciò a gonfiare i muscoli del braccio. – Allora, proprio non vuoi darmi la cintura che ti ha donato

Marte? – ripeté Ercole. – Credi che io, la regina delle Amazzoni, mi metta a omaggiare chiunque? – Bada che sono Ercole, il possente eroe! – Torna sulla tua nave, Ercole, e non infastidirmi.
A un cenno di Ippolita, le Amazzoni assalirono Ercole e i valorosi guerrieri.
I cavalli nitrivano, volavano le frecce, fiumi di sangue scorrevano. La battaglia fu cruenta, ma alla fine Ercole ebbe la meglio. Tolse la vita a Ippolita e conquistò la cintura.
Eurìsteo la gettò sul tavolo senza nemmeno guardarla e disse: – In un’isola lontana lontana, c’è un tizio, Geríone, che è brutto da far paura: è nato con tre corpi riuniti insieme. E più brutto di lui è il suo cane che ha due teste. Voglio che tu mi porti i suoi buoi rossi.
Batté le mani il re, ed Ercole venne fatto uscire in fretta dalla sala reale.
L’isola di Geríone sembrava introvabile, ma alla fine la scoprì, vicino all’Oceano, e non ci fu scampo per Geríone e il suo cagnaccio.
Visto che con i mostri Ercole se la cavava bene, Eurìsteo passò alla frutta. Gli ordinò, infatti, di portargli tre mele d’oro dal giardino di certe ninfe, le Espèridi. Il giardino era ai confini del mondo, in un posto abitato dal popolo degli Iperbòrei.
Pensi che tutto fosse normale in questo giardino? O piuttosto non sospetti che da un momento all’altro sbuchi fuori anche qui qualche strana creatura?
I pomi, purtroppo, erano custoditi da un serpente con cento
teste. E, per farsi aiutare nell’impresa, Ercole si rivolse ad un gigante che reggeva il mondo sulle spalle. Era un altro fratello di Prometeo, che si chiamava Atlante. – Ti aiuterei ben volentieri, Ercole, ma come vedi reggo il

mondo – disse Atlante. – Fa’ scivolare sulle mie spalle il globo e va’ a prendere le dannatissime mele! – ribatté Ercole.
Eurìsteo guardò con gli occhi sbarrati quei meravigliosi frutti. Tutti pensarono che facesse così per la meraviglia. Il re, invece, li sgranava perché aveva capito che Ercole era davvero invincibile. – Adesso ti spedisco nell’oltretomba! – ruggì Eurìsteo.
Naturalmente, un mormorio di pietà sorse fra i presenti. Come poteva il sovrano decretare la morte di un eroe così valoroso?
I tagliatori di teste sguainarono i pugnali. Le donne si coprirono gli occhi con le mani.
Eurìsteo con il cuore gonfio d’ira per la grande forza dell’eroe e non ancora soddisfatto, ordinò ad Ercole di affrontare una nuova fatica. Nel silenzio assoluto il re continuò: – Va’ nel mondo dei morti e portami Cerbero, il cane con tre teste, coda di drago e serpenti sulla pelle.
Cerbero, infatti, era un animale spaventoso e molto feroce. Ad ogni suo latrato i velenosissimi serpenti di cui era coperto si rizzavano, facendo sibilare le proprie lingue orrende.
Ercole giunse alle porte del mondo sotterraneo. Cerbero era lì ad impedire ai vivi di entrare e ai morti di tornare indietro.
Ercole affrontò il ferocissimo cane senza armi, ma con la sola forza delle mani. Ucciderlo per lui fu uno scherzo: gli strinse fortemente la gola. Cerbero rimase senza respiro e senza possibilità di fare resistenza, cadendo in potere dell’eroe.
Quando Ercole arrivò al palazzo, Cerbero era ormai mezzo morto.
– Ecco quanto mi hai chiesto – esclamò mostrandolo ad Eurìsteo.
Abbandonato Cerbero, che sbavava sul tappeto davanti al trono, Ercole si precipitò fuori dal palazzo, senza nemmeno salutare, perché era stanco di uccidere o catturare mostri.
•Rispondi.
Quali fatiche ha dovuto compiere Ercole per volere di Eurìsteo, re di Tirinto? Elencale...
Che cosa intendiamo dire quando diciamo: “Quell’uomo è un Ercole?”
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