Architettiverona 120

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RIVISTA TRIMESTRALE DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO FONDATA NEL 1959

Ampie facoltà — Ab Urbe condita

Forti le mura — Caserme ritrovate

Terza edizione — Anno XXVIII n. 1 Gennaio/Marzo 2020 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1056 del 15/06/1992 Poste Italiane SpA — Spedizione in Abbonamento Postale – 70% NE/VR

ISSN 2239-6365

La storia siamo noi — L'industria si fa città

2020 #01 Una visione sistemica — Astrazione e realtà

120 Di vite e di pietra — Verso il paesaggio


New MultimediaShowroom Showroom New Multimedia


New Multimedia Showroom: la tecnologia Sever al servizio dei progettisti Si è aperto il nuovo spazio interattivo multimediale sviluppato da Sever per offrire nuove opportunità alla comunicazione e comprensione del progetto La professionalità e il know how di SEVER, maturati in cinquant’anni di esperienza, hanno visto negli ultimi anni il naturale sviluppo e integrazione delle forniture contract anche nel settore alberghiero e domestico. 01

Da qui l’esigenza di creare un nuovo format di presentazione multimediale ed interattivo, gestito da un sistema domotico intelligente. Il nuovo showroow di SEVER, offre una nuova possibilità di comunicazione e coinvolgimento emozionale “dentro il progetto”. Uno spazio allestito come luogo di incontro tra progettisti e committenti, all’interno del quale le tecnologie della struttura permettono di visualizzare immagini, video, progetti e clip multimediali.

New Multimedia Showroom

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L’elevata tecnologia utilizzata consente proiezioni in 4K su schermi e monitor ad altissima risoluzione, controllati da telecamere con sensori di presenza in modo tale che l’utilizzatore possa gestire la presentazione anche con il solo ausilio del movimento delle mani. All’interno dello Showroom sono collocate un’area di consultazione/riunioni e un’area break. SEVER mette a disposizione dei progettisti che vorranno farne uso la propria struttura per la presentazione e/o condivisione dei loro progetti di qualunque natura essi siano. SEVER è partner e fornitore ufficiale AMG, AUDI, MERCEDES, PORSCHE, SMART, VOLVO E VOLKSWAGEN. 02 01-02. Vedute dello Showroom multimediale ricavato all’interno della sede Sever a Verona. 03-04. Sezione e dettaglio del progetto esecutivo dell’allestimento.

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progetto

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Verso il paesaggio di Angela Lion, Daniela Tacconi

progetto

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Forti le mura di Nicolò Olivieri

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editoriale

Una visione sistemica di Carlo Peraboni

Ampie facoltà di Alberto Vignolo

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PROGETTO

Caserme ritrovate di Marzia Guastella

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saggio

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PROGETTO

Ab Urbe condita di Federica Guerra

Astrazione e realtà di Claudia Tinazzi

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PROGETTO

La storia siamo noi di Camilla Furlan, Giorgia Negri

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saggio

Di vite e di pietra di Michelangelo Pivetta

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progetto

L’industria si fa città di Laura Bonadiman

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Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959 Terza edizione • anno XXVIII n. 1 • Gennaio/Marzo 2020 rivista.architettiverona.it

https://architettiverona.it/rivista/

Direttore responsabile Amedeo Margotto

Direttore Alberto Vignolo

Editore Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della provincia di Verona Via Santa Teresa 2 — 37135 Verona T. 045 8034959 — F. 045 592319 architetti@verona.archiworld.it

Redazione Federica Guerra, Angela Lion, Luisella Zeri, Damiano Capuzzo, Daniela Tacconi, Filippo Romano, Leopoldo Tinazzi, Camilla Furlan, Laura Bonadiman, Giorgia Negri, Marzia Guastella, Nicolò Olivieri rivista@architettiverona.it

DISTRIBUZIONE La rivista è distribuita gratuitamente agli iscritti all’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona e a quanti ne facciano richiesta all’indirizzo https:// architettiverona.it/distribuzione/

Art direction, Design & ILLUSTRATION Happycentro www.happycentro.it

Concessionaria esclusiva per la pubblicità Promoprint Paolo Pavan: T. 348 530 2853 info@promoprintverona.it

referenze Fotografiche Lorenzo Linthout

contributi a questo numero Carlo Peraboni, Michelangelo Pivetta, Claudia Tinazzi

Si ringrazia Federica Provoli

Stampa Cierre Grafica www.cierrenet.it

L’etichetta FSC ® garantisce che il materiale utilizzato per questa pubblicazione proviene da fonti gestite in maniera responsabile e da altre fonti controllate.

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Gli articoli e le note firmate esprimono l’opinione degli autori, e non impegnano l’editore e la redazione del periodico. La rivista è aperta a quanti, architetti e non, intendano offrire la loro collaborazione. La riproduzione di testi e immagini è consentita citando la fonte.

2020 #01


Ampie facoltà

Una scorribanda tra le scuole di architettura rivela una intensa e fertile attività progettuale incentrata sui temi che la città e il territorio veronese suggeriscono

Testo: Alberto Vignolo Foto: Lorenzo Linthout

Per chi esercita nelle varie declinazioni possibili l’antica professione dell’architetto, il periodo degli studi rimane quasi sempre avvolto entro un’aura mitologica. Tra ricordo e nostalgia – rigorosamente canaglia – di corsi e ricorsi, incontri con maestri, professori e docenti di ogni ordine e grado, il percorso formativo culmina nell’agognato progetto per la tesi di laurea, che per molti diventa l’occasione per intraprendere un viaggio di “ritorno a casa”, con la proposta di temi legati al territorio di provenienza. È per questa ragione che ritroviamo molte proposte per Verona, che di una scuola di architettura è priva, sparse tra le varie sedi universitarie del nord

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Italia, da quelle che storicamente hanno attratto buona parte dei potenziali architetti veronesi (Venezia in primis) a una delle più giovani, Mantova, divenuta di fatto la scuola di riferimento per la città e la provincia grazie alla sua contiguità territoriale È dunque una scorribanda tra quelle che un tempo si chiamavano facoltà, poi ribattezzate semplicemente “scuole”, quella proposta in questa rassegna di progetti di tesi, organizzata attorni ai temi forti che la città suggerisce. L’eredità del passato, nelle sue stratificazioni identitarie, si offre come tonificante

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01-02. Rovine in attesa di progetto: il teatro Romano e la Dogana d’acqua.

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palestra per un esercizio del rappresentazione dello spirito dei progetto capace di cogliere la tempi. È sparita da ogni orizzonte difficile sfida del rapporto tra nuovo l’edilizia sociale, l’housing in senso e antico, tra memoria e attualità, tradizionale e popolare, assieme tra musealizzazione e attivazione all’orizzonte urbano del piano: meno di usi contemporanei. Che siano i retini e più render, con un livello di resti della città romana o di quella approfondimento e di elaborazione fortificata – mura e caserme –, formale dei lavori, con le dovute antichi palazzi o nuove rovine di differenze, di grande raffinatezza e una non lontana storia industriale, generosità. Viene da chiedersi cosa o ancora i paesaggi caratterizzanti ne sarà dei giovani laureati nel loro la dimensione estesa del territorio, status di quasi-architetti-provetti appare la forte consapevolezza di un una volta gettati nell’orbita della principio della professione qui conservazione ed oggi, dove « Il percorso formativo non meramente non sembra culmina nell’agognato teorico o purtroppo vincolistico, trovare asilo progetto di tesi che bensì radicato nel un concetto per molti diventa dna progettuale alieno da ogni l’occasione per delle nuove considerazione intraprendere un generazioni. La produttiva come simbolico viaggio ricucitura delle la generosità. di ritorno a casa » trame urbane Sappiamo che attraverso i fili un progetto della storia, antica o recente che didattico può concedersi una sia, è frutto di ponderosi lavori libertà creativa e propositiva che di ricerca e approfondimento nel farsi delle trasformazioni analitico sui contesti fisici e sociali, urbane ci sogniamo tra norme e che suffragano le sintesi declinate vincoli, modelli culturali e piani secondo le vocazioni, gli indirizzi, gli di business. Senza lotto né legge: imprinting e le capacità di ciascuno, ancora una volta, forse per l’ultima nel rapporto tra docente e studente volta. Con il loro carattere audace e attraverso la caratterizzazione e felicemente incosciente, questi culturale di ciascuna scuola. progetti offrono un tonificante punto Sarebbe interessante ripercorrere di vista alternativo alla sonnacchiosa all’indietro le stagioni dei progetti di consuetudine dello status quo tesi, perché appaiono come la chiara cittadino.

03. L’architettura militare, inesauribile risorsa per la città: particolare della facciata della Caserma Catena.

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PROGETTO

Ab Urbe condita Il confronto con le testimonianze di età romana sulle quali Verona è costruita offre un singolare teatro d’azione per la ricerca didattica tra storia e progetto Testo: Federica Guerra

Verona

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A fronte di un unico tema, quello del rapporto del progetto contemporaneo con le testimonianze storiche del mondo romano così numerose a Verona, i progetti di laurea che di seguito presentiamo rappresentano diverse declinazioni di un unico assunto: da un lato la possibilità di rendere i reperti archeologici linfa vitale, ispirazione di un percorso museale che racconti la storia del manufatto ma che, anche, ne inserisca il suo significato all’interno di una visione più ampia sul ruolo storico, sociale e urbano del reperto stesso, attraverso la conoscenza approfondita della sua genesi, legando indissolubilmente composizione e conoscenza. Dall’altro indagare il ruolo che tali reperti hanno, oggi, nel contesto urbano della città consolidata. Ma anche gli stessi tre esempi di reperti archeologici oggetto delle tesi, rappresentano a loro volta diverse tematizzazioni del progetto: i resti archeologici della villa romana di Valdonega come ritrovamento archeologico oggetto di una indispensabile musealizzazione finalizzata alla conservazione e alla divulgazione, il Teatro Romano come oggetto urbano che ne ha condizionato la morfologia e che pertanto deve uscire dalla segregazione fisica a cui pare condannato per tornare ad essere parte della città, i resti della villa romana scoperti sotto l’ex cinema Astra esemplificano il tema dell’edificio nell’edificio. Il diverso approccio al tema del recupero potrebbe, infine, essere esemplificativo di tre scuole di architettura, anche se generalizzare l’apporto didattico di un docente all’intero istituto potrebbe rivelarsi fuorviante. E tuttavia l’approccio di Eleonora Variola per il recupero dell’ex cinema Astra, dove progetto funzionale e progetto strutturale si intersecano intimamente, non può che rimandare all’impronta più tecnologica che l’Università di Trento ha nel suo corso di laurea in Ingegneria Edile-Architettura, così come pare leggere un connotato più pragmatico, più specificatamente e tradizionalmente compositivo nella tesi di Chiara Gottardi per un nuovo percorso urbano per il museo archeologico al Teatro romano, sostenuta presso il corso di Laurea Magistrale in Architettura al Politecnico di Milano – Polo

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di Mantova. Mentre, infine, stupiscono per la raffinatezza teorica e l’impronta quasi metafisica le tesi di Eleonora Sorbi e Natalia Liuzzi e quella di Chiara Rossin, sostenute presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze, per la realizzazione di un museo presso la villa romana di Valdonega, la prima, e il progetto di recupero del Teatro romano, la seconda. Quanto le risorse personali dei nuovi architetti piuttosto che l’imprinting delle diverse scuole influiscano su ciascun progetto è difficilmente ricostruibile, ma tutte rappresentano un mirabile spunto di riflessione, una visione possibile della città antica.

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01-02. ll Teatro Romano nel suo rapporto con la collina, uno dei principali temi della ricerca didattica, e veduta dei percorsi interni al teatro (foto di Lorenzo Linthout).

03. Progetto di N. Liuzzi, E. Sorbi: rappresentazione astratta ma inequivocabile nei suoi tratti essenziali di una delle sale dell’Antiquarium: la sala Venetia.

Valdonega villa romana

Il tema di questo lavoro riguarda la necessità di dare riparo alla Domus romana scoperta in Valdonega negli anni ‘50 e di rendere visibile al pubblico la raccolta di circa duecento anfore antiche provenienti da una campagna di scavo nella zona dell’ex Campo Fiera. Un tema pertanto duplice e senza una apparente concatenazione teorica. Il corposo lavoro di analisi è risultato funzionale allo scoprire l’intimo e profondo legame esistente, invece, tra i due spunti di progetto: la connessione tra i due elementi viene individuata nel “viaggio”, ovvero il percorso compiuto dalle antiche anfore dalla Spagna, individuata come luogo di origine di alcune di esse, al loro arrivo in terra veneta e quindi nelle Domus dell’antica Verona. Il viaggio delle anfore diventa pertanto metafora del viaggio che il visitatore effettuerà all’interno dell’area museale progettata, che, trascendendone l’aspetto fisico, diventerà un “viaggio dell’anima” attraverso le emozioni, le immagi-

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PROGETTO

Ab Urbe condita 04. Esploso con i volumi attraversati dal fil rouge del percorso museale. 05. L’analisi storica sottesa al progetto parte dall’individuazione degli assi generatori della maglia urbana.

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ni, le suggestioni che le tappe del viaggio potranno suggerire, per preparare il visitatore alla meta finale, la ri-scoperta dell’antica Domus. L’edificio viene immaginato come una macchina del tempo, “che isola il visitatore dalla realtà esterna trasportandolo da un ambiente all’altro attraverso stretti e bui cunicoli (come una riedizione di uno scavo archeologico)”. Un gioco continuo quindi di contrazioni e dilatazioni dello spazio, dai cunicoli ai vuoti dove sono allestite, una per ciascuna sala, le diverse Dressel (denominazione archeologica delle anfore rinvenute). Ogni sala è caratterizzata da materiali o elementi che suggeriscono il luogo di provenienza dell’anfora esposta: si va dalle pareti con pannelli di metalli differenti che avevano reso famosa l’Hispania, agli azulejos che rivestono la stanza Baetica. Attraversando un lungo spazio caratterizzato da una forte verticalità, che rappresenta il passaggio del Mare Nostrum, si approda alla Campania felix dove un evocativo pavimento in pietra nera rimanda al complesso rapporto di questo territorio con il Vesuvio e il suo terreno vulcanico. Per arrivare poi alla sala Apulia, caratterizzata

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scuola Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Architettura titolo Antiquarium. Progetto di musealizzazione degli scavi della casa romana di Valdonega e della collezione delle anfore veronesi progetto Natalia Liuzzi, Eleonora Sorbi relatore prof. Michelangelo Pivetta correlatore: arch. Davide Lucia 06

anno accademico 2016-2017

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06. Sezione di progetto con il grande vuoto sulla Domus romana. 07. Il vuoto basilicale che sovrasta il triclinio, “motore” della macchina intorno al quale si avvita tutto il percorso museale. 07

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08. Il ninfeo con l’esposizione completa della raccolta antiquaria con la rampa che ritorna alla quota della Domus. 09. Ipotesi di prospetto dell’edificio con la rampa che accoglie il visitatore dalla strada.

dal tema del ponte che la Puglia ha rappresentato tra Occidente e Oriente: qui un ponte aereo pavimentato come uno stralcio della via Appia pugliese ospita due Dressel. E poi ancora Histria, dove alcuni setti in pietra guidano il visitatore in un labirintico rapporto con l’anfora qui mostrata, mimando il difficile approdo alle frastagliate coste istriane. Ed infine Venetiae, l’arrivo, dove l’anfora si staglia su un fondale in pietra rosso Verona. Giunti lungo questo percorso ascensionale alla parte più alta dell’edificio si sbuca in un grande vano che taglia verticalmente tutto l’edificio, all’interno del quale una rampa elicoidale, fiancheggiata da tutte le altre numerose anfore esposte in nicchie perimetrali, ridiscende al cuore dell’architettura, la Domus romana. L’ambiente principale della Domus è sovrastato da un vuoto basilicale che, prendendo luce da una stretta fenditura sulla copertura, illumina i segreti della villa ipogea riportandola a una nuova vita: qui il visitatore carico delle esperienze e delle competenze acquisite lungo il percorso, ne potrà fare, finalmente, piena esperienza.

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PROGETTO

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10. Progetto di E. Variola: studi preliminari sull’andamento della maglia urbana romana, ruotata rispetto alla città consolidata. 11. L’edificio moderno del cinema nel suo rapporto con la rotazione degli scavi archeologici. 12. Piante di progetto alle diverse quote: risulta chiaramente leggibile l’asse generatore della composizione in riferimento agli scavi archeologici.

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scuola Università degli Studi di Trento Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile-Architettura titolo Progetto di recupero dell’ex Cinema Astra - Verona progetto Eleonora Variola relatori prof. Giorgio Cacciaguerra prof. Marco Ballerini anno accademico 2015-2016 13

Astra ex cinema

Il ritrovamento di una villa di età imperiale nelle fondamenta della platea del Cinema Astra, a Verona, insieme al necessario recupero dell’immobile dismesso, sono le basi del progetto di Eleonora Variola. Come tenere assieme il pregio dell’edificio realizzato nel 1930 come cinema, interessante esempio dell’architettura razionalista locale, e il valore testimoniale dei ritrovamenti archeologici? Il nodo teorico sul ruolo del restauro critico viene risolto con un rimando al dibattito svolto negli anni Quaranta del Novecento sul “giudizio di valore”: al progetto viene demandato il compito di farsi carico della distinzione criticovalutativa tra ciò che è da mantenere e recuperare e ciò che è da integrare e sostituire. In aiuto di questa riflessione teorica vengono le condizioni attuali del manufatto, fortemente compromesso da anni di abbandono e dalla conseguente obsolescenza. L’operazione più interessante del progetto, che costituisce l’anello di congiunzione tra il nuovo e l’antico, è l’individuazione (supportata da una accurata analisi storico-urbanistica) di una rotazione della maglia urbana tra città romana e città consolidata, con la possibilità di individuare un’asse obliquo che, originato dalle rovine romane, si pos-

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sa riflettere come asse generatore del progetto contemporaneo. Da ciò deriva la complessa articolazione degli spazi, in funzione di un riuso dell’edificio come Centro per le arti e lo spettacolo, un luogo fluido che fa della dinamicità degli spazi il proprio connotato principale. Più interessante e più caratteristico dello specifico lavoro di tesi è l’indagine strutturale, svolta non come elemento accessorio o successivo al progetto, ma come momento esso stesso generatore di ordine e protagonista della composizione. Una grande trave di acciaio volutamente sovradimensionata segna, per tutta l’altezza dell’edificio, l’andamento della distribuzione spaziale dei diversi ambiti (sale prove, sale concerto, sala per proiezioni cinematografiche). L’altro elemento caratteristico è la scelta di ricomporre la continuità delle facciate lungo via Oberdan, proponendo un nuovo controprospetto che chiude la piazzetta antistante il vecchio fabbricato: una struttura leggera e semitrasparente in acciaio e vetro, una sorta di tenda-sipario, che recupera uno spazio intermedio tra interno ed esterno, un grande foyer che introduce al cuore del progetto.

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13. Sezione di progetto con la grande trave che segna l’asse obliquo di smistamento degli spazi. 14. La ricomposizione della continuità dei prospetti su via Oberdan con la controfacciata in acciaio e vetro.

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PROGETTO

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15. Progetto di C. Gottardi: planivolumetrico con evidenziati gli elementi del progetto: l’edificio ovest, la chiusura del proscenio, i percorsi a monte e gli spazi ipogei a est.

16. Le sale interne del corpo est con i servizi accessori e la rampa di salita alla quota del camminamento esterno. 17. Sezione che evidenzia i diversi livelli di distribuzione tra interno ed esterno. 18. Prospetto dal fiume. 19. Veduta d’insieme.

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Teatro Romano #1

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Due filoni di pensiero si confrontano sul Teatro Romano di Verona. Da un lato un approccio storicistico che, a fronte di un’attenta analisi del ruolo urbano del teatro al momento della sua costruzione, tendono a riproporne il rapporto con la città rievocandone l’assetto originale: non ovviamente tramite una sua ricostruzione, ma rievocandone l’originaria monumentalità come fondale alla via Postumia in stretto rapporto con il colle, vedendo in ciò la sua autenticità. L’altro approccio, pur partendo dallo studio della sua conformazione originaria, tende a rendere il reperto archeologico parte viva del tessuto urbano contemporaneo, ripensandone la fruizione in termini di accessibilità e visitabilità. Il teatro quindi come documento storico da mantenere nella sua integrale leggibilità allo stato attuale ma anche corpo vivo necessario di cura e protezione. Il progetto di Chiara Gottardi sembra riferirsi a questa seconda visione, soprattutto nelle premesse che vedono svuotare le due aree laterali al teatro per recuperare spazi utili alla realizzazione di un edifi-

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Polo territoriale di Mantova titolo Arena Minor Museum. Progetto per un nuovo percorso urbano per il Museo Archeologico del teatro Romano di Verona 17

progetto Chiara Gottardi relatore prof. Luigi Mario Spinelli anno accademico 2016-2017

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Ab Urbe condita

PROGETTO 20. Piante alle diverse quote dell’edificio di ingresso con il percorso che si snoda tra biglietterie, aree di servizio e l’accesso, tramite la riattivazione dell’intercapedine romana, all’ascensore verso il museo archeologico. 21. Prospetto dell’edificio di ingresso.

cio di servizio (accesso, biglietteria, servizi, ristoro) che rendano il reperto archeologico visitabile e fruibile. Da qui si snoda un percorso, utilizzabile anche durante gli spettacoli estivi, che porta al museo archeologico recentemente rinnovato e, oltre, al belvedere sul colle. Un progetto quindi che non entra nel merito del monumento ma che, con grande rispetto, se ne tiene a lato, con l’intento di valorizzare e rendere riconoscibili nel loro stato attuale i reperti archeologici, puntando piuttosto a ricostruire la funzionalità autentica dell’accesso alle terrazze e al colle, ovvero la promenade dell’antico teatro quale parte di un complesso molto articolato che, oltre al teatro stesso, comprendeva i camminamenti superiori fino al tempio in sommità. Ne nasce una sorta di parco archeologico che estende l’intervento a tutta l’area, riattivandone il ruolo urbano. Le sezioni consentono di leggere le complesse articolazioni degli spazi tra interno-esterno, edificio-percorsi, soprasuolosottosuolo, reperto archeologico-edificio contemporaneo. La proposta si articola pertanto in cinque elementi: l’edificio d’ingresso a ovest, il setto curvo che racchiude e delimita il sito archeologico, i percorsi interni al teatro con un collegamento (tramite ascensore posto nell’intercapedine romana) al museo archeologico, gli spazi ipogei ad est a servizio delle attività teatrali, il muro di chiusura del proscenio che completa la chiusura dell’area archeologica. Un progetto concluso, che mira a “conservare la percezione di questo tratto di città, nel tentativo di rimettere in uso in maniera più efficiente ciò che ha lasciato il passato”.

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scuola Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Architettura titolo Un’estate veronese. Ricostruzione effimera della scena del Teatro Romano di Verona progetto Chiara Rossin relatore prof. Michelangelo Pivetta

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Teatro Romano #2

Di tutt’altro tono e di tutt’altri presupposti il lavoro di questa tesi che pur affrontando lo stesso tema della precedente, il recupero del Teatro Romano, esamina la possibilità di ricostruzione dell’antico. L’obbiettivo in questo caso ha a che fare con la ri-creazione della suggestione offerta dall’antico teatro allo spettatore, la riproduzione dell’effetto-sorpresa provocato dalla maestosità dell’antico proscenio, individuando in questa operazione la possibilità di riappropriazione da parte dell’uomo contemporaneo del reperto archeologico. Un’operazione psicologica più che lo svolgimento di un tema compositivo, quindi, perché qui, in questa sottile operazione tutta teorica, sta la chiave interpretativa del progetto. Ma, superando la logica compositiva, a quale quadro di riferimento si poteva rivolgere Chiara Rossin per individuare gli elementi del progetto che ha, comunque come tale, delle necessità funzionali da rispettare? Il tema dell’ “effimero” sembra rispondere perfettamente a questa necessità e non nel senso, o non solo nel senso, di temporaneità dell’oggetto, ma soprattutto nel senso di “… simulare quadri spaziali, falsificando tempi e dimensioni …”. Così, rifiutando facili mimetismi e senza piegarsi al cospetto della storia, il lavoro di tesi propone di rievocare le originarie misure della scena del teatro e il suo ruolo architettonico con un non-edificio costi-

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22. Progetto di C. Rossin: studio degli assi generatori della maglia urbana. 23. Veduta zenitale dell’intervento. 24. Raffronto tra il frammento ridisegnato dal Caroto nel Cinquecento e la ricostruzione “effimera” del progetto contemporaneo.

anno accademico 2018-2019

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Ab Urbe condita

PROGETTO 25. Pianta a quota +25 m: l’edificio si sta via via spogliando della propria matericità. 26. Veduta della città attraverso il monumentum.

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tuito da uno scheletro di travi d’acciaio, esili solai e una pelle in EFTE (membrana in polimero semitrasparente). La struttura va a ricostituire l’ingombro dell’antico prospetto scenico ospitando al suo interno gli spazi di servizio alle rappresentazioni, uno spazio espositivo e un bar, ma fungendo anche da belvedere accessibile alla città. I riferimenti sono le architetture dell’effimero, da Serlio ad Aldo Rossi, dal Teatrino Scientifico di Purini-Thermes per le Estati Romane all’operazione visionaria di Edoardo Tresoldi a Siponto, laddove “il duplice fronte della nuova scena diviene mediazione tra rovina e contemporaneità, manifesto dell’eterna temporaneità dell’architettura”. Un’operazione di astrazione che vede l’edificio non nella sua solida fisicità, ma nel suo ruolo evocativo, nella sua possibilità di essere riconosciuto come monumentum e quindi tornare a far parte della città. Il volume rievocato diviene man mano che si sale sempre più “impalpabile” perdendo via via la pelle, poi l’orizzontalità dei solai e da ultimo rimanendo uno scheletro nudo, liberandosi della materialità della forma per rimanere puro concetto, una sagoma che ricrea quello che può sembrare un paradosso ma che un tempo era realtà.

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27. Spaccato assonometrico dell’edificio dall’interno: intimo fascino del teatro. 28. Sezione trasversale: il rapporto con la rovina.

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PROGETTO

Forti le mura

Esaurita da tempo la funzione militare e difensiva, la cinta muraria e le opere fortificatorie si prestano per il loro ruolo urbano a rappresentare l’identità storica e culturale dei luoghi

Testo: Nicolò Olivieri

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Verona Lugagnano Dossobuono

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Assediare, come ci insegnano i dizionari, significa fermarsi, accerchiare un luogo per indebolirlo, isolarlo, indurlo alla resa, espugnarlo. La relazione tra la città e il suo territorio è da sempre necessaria alla sopravvivenza dei popoli, motivo per cui l’assedio mira ad intaccare in maniera progressiva i luoghi circostanti per giungere solo alla fine alla conquista dell’urbs”. Verona, città bellica per eccellenza, è caratterizzata planimetricamente da due elementi che la cingono entro una forma definita e riconoscibile: l’Adige e le Mura. La storia veronese è fortemente legata alla sua cinta muraria, testimone e al tempo stesso protagonista di vicende che ne costruiscono l’identità storica e culturale. Sottoposta nei secoli a repentine mutazioni – ampliamenti, demolizioni, ricostruzioni, rinnovamenti –, oggi la robusta cortina costituita da bastioni, lunghi 02 tratti di mura veneziane e torri scaligere, al fianco delle monumentali estende per circa nove chilometri abporte sanmicheliane, tiene insieme bracciando il nucleo cittadino, giunge tutte le sue fasi e sopravvive con or- a noi come un vero e proprio raccongoglio. to degli oltre duemila anni di storia Ciò che accomuna i progetti di tesi della città. raccolti in questa rassegna è pro- La constatazione che le mura non prio il recupero sarebbero servidi questi luoghi te mai più per la « Diverse ipotesi abbandonati e funzione difenprogettuali di recupero dimenticati dasiva originaria, delle mura assecondano gli abitanti: prodà inizio al suo getti attraverso i lento e inesorail monumento e quali ricostruire bile destino: la ridanno funzionalità l ’ i m m a g i n a r io città progressivaalla città contemporanea » mente lascia che collettivo della città, in un luovengano avvolte go che incarni il senso stesso di co- dalla trascuratezza. Prima ancora di munità. Il binomio tra città storica e un decadimento fisico e materiale si città moderna può e deve essere supe- assiste a un sentimento comune di dirato attraverso una serie di operazioni menticanza. chirurgiche di modifica dell’immagi- E proprio la dimenticanza, il pensare ne, lasciando però inalterata la forma. che una volta esaurita la funzione miLa cinta muraria veronese, che si litare e difensiva tale monumento, al

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pari delle opere di architettura civile, non abbia più ragione di essere, è alla base di un pensiero che alla fine del XIX secolo, sulla scia della grandiosa trasformazione avvenuta a Vienna, porta numerose città europee a liberarsi delle proprie mura. Nella città di Verona tale trasformazione non è avvenuta se non per piccolissimi tratti (isolamento delle porte, brecce), ed è dunque possibile apprezzare le strutture di fortificazione in tutta la loro complessità. Proprio in questo contesto troviamo diverse ipotesi progettuali di recupero architettonico che assecondano il monumento e ridanno funzionalità alla città contemporanea.

01-02. Elementi del sistema fortificatorio che cinge la città di Verona (foto di Lorenzo Linthout).

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Forti le mura

PROGETTO

Porta San Giorgio

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Il primo approccio al Monumento parte dall’idea di recuperare preesistenze di valore storico e culturale ricercando delle attività che permettano di garantire un buon risultato in termini di riutilizzo, come il turismo. Il progetto insiste sull’area di San Giorgio e sul forte austriaco costruito nel 1835, che nel 1936 fu interrato di 4,5 metri a seguito del rifacimento della riva dell’Adige, alterandone la conformazione. Sempre in quegli anni la rondella delle Boccare, opera veneziana del 1520 modificata successivamente dagli austriaci, venne nascosta alla vista della città a seguito della costruzione di un grande complesso ospedaliero, il che ne determinò negli anni l’abbandono; e il visconteo Castel San Pietro, datato 1393, nel 1801 venne distrutto in buona parte dai francesi e successivamente ricostruito come lo vediamo oggi. Nel progetto di Luca Forlati e Filippo Frigo sono presenti due diversi approcci: la “demolizione” per tutte le strutture incoerenti al contesto e la “valorizzazione” gli edifici storici seguendo il principio di “ridefinizione” del sistema fortificato. Nello specifico, la parte di progetto sviluppato nell’area adiacente alla chiesa di San Giorgio ha intenzione di riconfigurare il lungadige riportandolo alla quota originaria di imposta del bastione oggi interrato, attraverso uno scavo profondo 4,5 metri. Attraverso tale strategia si genera una corte a ridosso del bastione, sulla quale viene costruito un centro culturale aperto sia ai cittadini che ai turisti, attrezzato con aule, laboratori didattici, un auditorium alla quota della corte e un’area espositiva che si sviluppa dal-

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03. Progetto di L. Forlati, F. Frigo: mappa della città di Verona caratterizzata dai due elementi che la cingono, l’Adige e le Mura. 04. Concept del progetto: il tracciato che mette a sistema gli elementi esistenti e le azioni. 05. Nuovi sistemi di risalita rendono fruibile il percorso in sommità alle mura. 06. Sviluppo del progetto dal Parco dell’Ombroso a Castel San Pietro.

scuola Università IUAV di Venezia Corso di Laurea Magistrale in Architettura e Culture del Progetto titolo Progetto per la valorizzazione e rigenerazione dell’area di San Giorgio a Verona con recupero di continuità del sistema difensivo fortificato progetto Luca Forlati, Filippo Frigo relatore prof. Maura Manzelle anno accademico 2017-2018

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PROGETTO 07. Esploso assonometrico del centro culturale sito nell’area di San Giorgio. 08. Sezione in cui si evidenzia l’area ipogea. 09. Suggestione interna con un’ipotesi di esposizione.

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10. Sezione e veduta esterna del centro culturale sul fronte Adige. 11. Spaccato assonometrico: in evidenzia il rapporto tra gli spazi.

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la quota +4,5 metri fino a raggiungere la copertura calpestabile. Per quanto riguarda il recupero della rondella di San Giorgio, si è pensato a una rifunzionalizzazione trasformando l’area in zona ristoro. Il fulcro del progetto è quello sviluppato a ridosso della chiesa di San Giorgio dove è situato l’ingresso principale, posizionato fronte bastione, il quale aprendosi sulla corte principale permette lo sviluppo del progetto. Uno studio approfondito è stato riservato alle aree ipogee relativamente all’illuminazione, creando tagli zenitali che permettono la diffusione di luce soffusa schermata da teli barrisol.

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PROGETTO 12. Progetto di G. Marchesini, F. Tozzi: sistema di risalita con ballatoio sulle mura con dettagli materici. 13. Il percorso sospeso che connette la cinta muraria alla Rondella delle Boccare.

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Forti le mura 14. Schema rappresentativo del concept con le prime indicazioni del progetto.

Rondella Boccare

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Il secondo approccio al monumento -mura è sviluppato sempre nell’area settentrionale della città, un percorso che ad oggi è interrotto in molti tratti e considerato solo in parte, ma che può dare l’opportunità di riconoscere le impronte di una storia complessa e poco conosciuta, nonché di avere una nuova prospettiva su Verona. L’intenzione del progetto di Giulia Marchesini e Francesca Tozzi è quella di sviluppare una passeggiata attraverso la quale è possibile immergersi nella storia: tra mura, valli, colline, torri e rondelle, alcune aperte, alcune chiuse, alcune convertite da baluardo militare a spazio per i cittadini; tra queste una, dimenticata e quasi irraggiungibile, sconosciuta ai più: la Rondella delle Boccare. Proprio in questa rondella si è sviluppato il fulcro del progetto, un luogo affascinante, la cui atmosfera offre una qualità spaziale che questo progetto andrà a valorizzare, al fine di restituirla alla città. L’idea progettuale si basa sullo studio dell’atmosfera del luogo e dei caratteri che la rendono così suggestiva, nella volontà di enfatizzarli per riportare alla luce e restituire a Verona uno spazio per il silenzio, la meditazione, per lo stare, per l’ammirare e godere della bellezza. Il culmine del progetto sarà apprezzabile nei giorni di pioggia quanto l’acqua che penetrerà dalle bucature della volta verrà enfatizzata dalla particolare acustica dello spazio, la luce che scivola dall’alto illumina il luogo sottolineando la volta e i suoi dettagli costruttivi. L’intervento definito risulta minimale, ma determinante poiché enfatizza le caratteristiche all’ambiente e l’atmosfera del luogo,

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni titolo Un’altra Verona: la città tra mura e cielo progetto Giulia Marchesini, Francesca Tozzi relatore prof. Luca Basso Peressut correlatore: arch. Arnaldo Arnaldi anno accademico 2014-2015

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che si apprezza posizionando quattro vasche in ottone dal diametro di 3,5 metri sotto le bocche di sfiato dei cannoni, al fine di raccogliere l’acqua piovana e attraverso di essa generare suoni e nuove sensazioni. Le vasche in ottone, oltre a raccogliere l’acqua che scivola naturalmente all’interno della Rondella, permettono al visitatore di vivere diverse esperienze legate alle sensorialità dello spazio, basate sulla percezione atmosferica e poetica dei materiali, della luce, della natura e dello scorrere del tempo all’interno della Rondella. Le mura verranno riqualificate, con interventi puntuali lungo tutto il percorso, rendendole quindi accessibili. Sono stati definiti dei punti fissi con lo scopo di recuperare le funzioni del passato arricchendole con usi contemporanei, raffinati interventi chirurgici, necessari e non invasivi, che

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permettono il ritorno all’antico splendore del sistema di ronda. Il tutto viene contraddistinto da un fil rouge che ci accompagna lungo tutto il percorso definendone identità e unità. Attraverso questo progetto si desidera riportare l’attenzione sul percorso e sulle mura, ma allo stesso tempo spostare il focus sulla città storica a cui, per costruzione, le mura danno le spalle, attraverso mirador puntuali sulla città. Recuperando il percorso di ronda, verrà aperta una vista sulla città a 360°, sia sul centro storico che sui quartieri periferici, rispetto alle mura e le colline circostanti.

15. Sezione assonometrica della Rondella delle Boccare, fulcro del progetto. 16. Veduta interna in una simulazione di progetto.

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Mura meridionali

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Il terzo approccio al Monumento si prefigge l’obbiettivo di portare la collettività a abitare il grande vuoto situato a ridosso delle mura, questo limite che altro non è che un interno urbano da tematizzare, in modo da farlo tornare ad assumere quei valori in cui la cittadinanza si riconosce. Una serie di “situazioni”, di folies, proliferano in prossimità o sulle mura meridionali della città: sono le macchine d’assedio che aiutano in quest’ultimo combattimento non contro ma per la città, per espugnarla dalla condizione di marginalità in cui si trova costretta. Il linguaggio utilizzato è effimero: poiché è linguaggio proprio degli strumenti d’assedio antichi, strutture mobili e leggere ma allo stesso tempo robuste, quasi sempre realizzate in legno con dei rinforzi in ferro. Il progetto di Giulia Miniaci viene sviluppato su due aree specifiche che presentano criticità e potenzialità: l’area a sinistra del bastione di San Ber-

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nardino e l’area compresa tra il bastione Santo Spirito e il bastione dei Riformati. Entrambi gli interventi si basano sull’azione del fermarsi, sostare in attesa di valicare quel limite o semplicemente sostare per piacere, per godere della bellezza di un luogo oggi di difficile fruizione. Nell’area compresa tra il bastione Santo Spirito e il bastione dei Riformati sono stati collocati su entrambi i lati due lunghe stecche coperte sotto le quali è possibile allestire in maniera flessibile, secondo l’occorrenza, un mercato coperto e zone dedicate allo street-food. Questi elementi rettilinei accentuano la prospettiva della strada che si conclude con un ponte pedonale tra i due tratti di mura interrotti dalla strada per consentire il passaggio. Il vallo che si crea tra il terrapieno e il bastione di Santo Spirito è stato invece dedicato alla principale manifestazione che vi si svolge: il festival latino americano che si tiene ogni anno nel mese di luglio. Qui il progetto si risolve in due elementi circolari, geometria ripresa dalla tipologia militare delle rondelle, che vengono spezzati in specifici punti per inquadrare le mura. E così si genera l’anfiteatro, dedicato agli eventi di musica e di balli caraibici, che inquadra l’orecchione sinistro del muro austriaco, La prima “macchina d’assedio” è posta tra il bastione di San Zeno e il bastione di San Bernardino. L’intervento si fa spazio in un’area ristretta, partendo da una zona limitrofa alla strada che è stata ridisegnata come piazza, da cui parte un lungo tubo perpendicolare alle mura che si insedia tra gli edifici esistenti. Superati questi, l’elemento lineare assume la sua spazialità configurandosi come una struttura metallica isotropa, che rimanda ad

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scuola Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Architettura titolo L’assedio. Continuare l’architettura delle mura di Verona progetto Giulia Miniaci relatore prof. Michelangelo Pivetta correlatori: dott. Vincenzo Moschetti prof. Sandro Parrinello anno accademico 2017-2018

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17. Progetto di G. Miniaci: masterplan. 18-19. Veduta e planimetria del parcheggio nell’area compresa tra il bastione di Santo Spirito e quello dei Riformati. 20-21. Veduta e planimetria dei due elementi circolari spezzati per inquadrare le mura, che definiscono un anfiteatro e un’area food-drink.

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22. Sezione assonometrica della pensilina nell’area dedicata allo street food lungo via Città di NÎmes. 23-25. Assonometria e simulazioni di progetto della passerella a ricongiunzione dei bastioni limitrofi di Santo Spirito e dei Riformati.

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una torre d’assedio. Il lungo elemento cieco che è stato progettato nell’ascesa vuole indicare un momento di sospensione del tempo nel passaggio da una dimensione ad una dimensione “altra”, corrispondente proprio all’atto del varcare. L’altra macchina d’assedio ha la funzione di ricucire un tratto di mura andato demolito: un ponte che scavalca via Città di Nimes e mette in collegamento i due bastioni limitrofi di Santo Spirito e dei Riformati. Esso si imposta sul primo attraverso una grande strombatura che invita all’ingresso, per poi andare a restringersi fino al punto in cui si spezza formando un angolo ottuso con una rampa lineare che raggiunge l’altro estremo. Il punto di rottura tra i due elementi è posto a sbalzo sulla strada e manifesta la discontinuità tra i due attraverso una cesura, unico punto del ponte da cui si può guardare verso l’esterno. Anche qui dunque si ha una sospensione del tempo cronologico e solo attraverso la piccola fessura è possibile recuperare la dimensione reale fino al momento in cui non si passa all’estremo opposto. Il primo padiglione, quello di San Bernardino, assume ancora una volta una forma circolare. Il progetto si configura come un percorso ascendente che si poggia sui due estremi, dove si trovano i punti di accesso e uscita, per poi staccarsi da terra per tutta la sua estensione in un grande sbalzo: questo consente di occupare l’area senza andare ad intralciare l’attuale percorso naturalistico lungo le mura. Il padiglione sul bastione di San Zeno è ancora una volta un percorso, questa volta lineare, posto in continuità con il tratto di mura che si innesta su Porta San Zeno, di cui riprende la dire-

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26. Il padiglione posto sul bastione di San Zeno con la grande bocca strombata in larghezza e in altezza. 27-28. Sezione tecnologica del padiglione-museo interattivo delle Mura a San Bernardino.

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zione. Esso si conclude in una grande bocca strombata in larghezza e in altezza, che fa da foyer per lo spazio lineare dedicato all’esposizione vera e propria e si conclude proprio di fronte alla porta, segnando la conclusione dell’infilata di folies previste dall’intervento territoriale.

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PROGETTO

Forti Dossobuono Lugagnano

Il quarto approccio si lega alla cinta più esterna delle mura, ovvero al sistema di difesa territoriale che si basava sul funzionamento sinergico dei forti, i punti di vedetta più distanti, primo campanello di allarme in caso di attacco. I forti Lugagnano e Dossobuono vengono costruiti tra il 1860 e il 1861 dall’esercito Austriaco che all’epoca aveva il controllo di Verona. Fanno parte del secondo campo trincerato e sono situati a circa sei chilometri dalla cinta muraria che all’epoca delimitava il centro abitato veronese. Oggi la loro posizione è strategica, vista la vicinanza al centro città, alla zona di Verona Fiere, all’aeroporto Catullo e ai caselli autostradali di Verona Nord e Verona Sud, che li pongono al crocevia tra due delle più importanti arterie stradali che collegano l’Italia al resto d’Europa. Le due fortificazioni, sulle quali verte questa tesi, sono state costruite a partire dallo stesso progetto, elaborato

29. Progetto di A. Basso, D. Bortignon, M. Malocco, F. Olivo: inquadramento dei forti di Dossobuono e Lugagnano. 30. Forte di Lugagnano: pianta piano terra. 31. Sezioni con simulazione dell’intervento di progetto.

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dal Capitano ingegnere Daniel Salis-Soglio, e sono quindi “gemelle”; i progetti realizzati differivano solo per alcuni piccoli particolari come la dimensione delle aperture. Il sistema di difesa territoriale di cui i forti facevano parte costituiva una rete che oggi non è più apprezzabile e di difficile riconoscimento. Il ripristino fisico di tale connessione non appare realizzabile vista l’espansione urbanistica che ha coinvolto quest’area della città. Il progetto di Andrea Basso, Daniele Bortignon, Mattia Malocco, Francesco Olivo si propone di ripristinare idealmente il rapporto che i forti avevano con il territorio, proponendoli come luogo comune di rappresentanza, divulgazione e commercio che permetta alle floride realtà vitivinicole sparse nel territorio veronese di mettersi a sistema, risultando così più facilmente accessibili ad un pubblico più ampio. La volontà è quella di creare un centro che descriva la cultura vinicola veronese e che, attraverso un’esposizione permanente dei prodotti della

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zona dia maggior visibilità a tutti i produttori della provincia. Al forte Dossobuono si concentrano le funzioni a maggior vocazione commerciale. Il piano terra è destinato ad ospitare gli uffici esposizione del consorzio, mantenendo un’anima più commerciale che permetta l’interfaccia tra produttore e consumatore, mentre il piano primo ospita un albergo esclusivo dove l’architettura la farà da padrone incrociandosi con il tema del vino che caratterizza il recupero del forte. Le caponiere ospitano rispettivamente: uno spazio destinato a cantine o consorzi ospiti e la cantina storica veronese. Nel fronte di gola saranno presenti un bar e un ristorante che possono funzionare anche indipendentemente dal resto del complesso. Negli edifici di costruzione italiana sono previste sale per conferenze, aule per corsi legati alla formazione enogastronomica e uno spazio per eventi all’aperto.

scuola Università IUAV di Venezia Corso di Laurea Magistrale in Architettura per il Nuovo e l’Antico titolo Restauro dei forti Dossobuono e Lugagnano a Verona progetto Andrea Basso, Daniele Bortignon, Mattia Malocco, Francesco Olivo relatore prof. Paolo Faccio anno accademico 2016-2017

32. Forte di Dossobuono: planivolumetrico e programma funzionale. 33. Sezioni di progetto.

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PROGETTO

Caserme ritrovate

Le architetture militari rappresentano nel contesto veronese una solida palestra per l’esercizio della progettazione tra recupero dei manufatti, nuovi innesti e necessità di riannodare le maglie urbane

Testo: Marzia Guastella

Verona Peschiera del Garda

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Osservando l’ampio scenario delle architetture militari di Verona si riaccende quel dibattito culturale che, ormai da alcuni anni, tenta di trovare una soluzione al difficile compito di intervenire sul costruito. Strettamente legati a una funzione difensiva, questi edifici hanno condizionato notevolmente la crescita della città, diventando componenti essenziali per definirne l’identità. Si tratta di opere di grande pregio architettonico, oltre a una documentata memoria storica, che sono state escluse dal processo di trasformazione dei tessuti 02 urbani e che, nella maggior parte dei casi, attendono ancora oggi un inter- Al centro della questione ci sono, sivento concreto per ricostruire quella curamente, dinamiche politiche ed profonda frattura con il contesto men- economiche che si distinguono caso tre si perde giorno dopo giorno una per caso; esiste, però, un aspetto che piccola parte del loro splendore. accomuna tutti questi siti militari: L’impossibilità di prevedere un gene- l’obiettivo della conversione, che derico disegno di riuso implica un’atten- finisce le linee guida di un progetto ta valutazione sul di qualità e che, significato più in modo sem« L’obiettivo della intimo dell’inpre più frequenriconversione definisce tervento in grado te, si riflette in le linee guida di ogni di comprendere quel l ’occasione progetto, per soddisfare le per soddisfare le la singolarità di un luogo, esito di esigenze di una comunità esigenze di una una storia lunga restie restituire un frammento comunità e travagliata; ciò tuendo un framdi storia alla città » non pone limimento di storia ti alla creativialla città. tà, piuttosto rileva la necessità di una È una sfida molto difficile che viene grande consapevolezza e capacità cri- affrontata con coraggio e riconoscitica oltre a una maggiore responsabi- mento dagli autori dei progetti di laulità nella definizione della soluzione rea descritti di seguito dove si scorgoprogettuale. Bisogna trovare un me- no interessanti intrecci compositivi e todo di progettazione dove “l’atten- relazionali. Ancora una volta, mentre zione sia posta primariamente al pro- sembra finalmente prendere avvio il blema del senso, delle relazioni cioè loro effettivo recupero, la ricerca dicon quanto appartiene al contesto, dattica torna ad indagare sulle infinialla sua attualità e materialità, alla te potenzialità dell’Arsenale Austriasua storia, alla sua funzione nel pro- co che, insieme alla Caserma Catena cesso di riproduzione sociale” come (Riva di Villasanta), potrebbe offrire affermava Bernardo Secchi. nuovi spazi pubblici alla città di Ve-

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01. Veduta della corte centrale dell’Arsenale di Verona (foto di Lorenzo Linthout). 02. Progetto di E. Fanterla: pianta piano terra. 03. Il ponte pedonale che scavalca il recinto murario consente una nuova percezione degli spazi dell’Arsenale. 04. La copertura mobile del teatro ipogeo in continuità con gli spazi aperti pubblici.

rona e riacquisire un ruolo degno del confronto con presenze storiche e monumentali di grande rilievo a servizio di cittadini e turisti. Analogamente, il progetto per il centro di Peschiera del Garda, strappando la sua veste di “vuoto urbano”, potrebbe finalmente raccontare e divulgare le vicende del suo territorio. Le proposte progettuali si confrontano con aspetti e problematiche differenti tentando di far emergere conoscenza e metodo, elementi essenziali per intervenire con rispetto verso il luogo, la storia e la collettività.

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Arsenale

Lo studio condotto da Edoardo Fanteria per l’Arsenale di Verona si sofferma sul concetto di fisicità dell’architettura intesa come insieme delle sue componenti che determinano un sistema di relazioni tra elementi e storie differenti. Il progetto si articola dall’esterno verso l’interno: un ponte pedonale fortifica il legame con il contesto attraverso un percorso piuttosto ripido che, prendendo avvio in margine alla vasca

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Caserme ritrovate

PROGETTO

nei giardini antistanti, scavalca il recinto murario permettendo ai cittadini di conquistare finalmente gli ampi spazi interni. Dalla sommità del percorso si scorgono nuove relazioni visive che non cancellano quelle esistenti ma, semplicemente, le arricchiscono per acquisire maggiore consapevolezza del luogo prima di proseguire verso l’interno. Dopo un brusco cambio di direzione si percorre un tratto in discesa che consente l’ingresso ai nuovi padiglioni, adibiti a luoghi del commercio per fronteggiare le necessità della comunità. I banchi alimentari e i vari servizi rispettano l’impianto spaziale originale ma la relazione con l’antico risulta di forte contrasto per la scelta di utilizzare un disegno esile e un materiale dominante come l’ottone brunito. Il padiglione alimentare permanente si confronta con quello dirimpetto del commercio temporaneo che, nell’ultimo tratto, diventa un giardino d’inverno; il confronto viene mediato da piccole architetture destinate a spazi per uffici e associazioni, mentre il grande vuoto intorno diventa un parco per il mercato all’aperto che ripropone la struttura interna delle

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campate attraverso alberi di tiglio e ippocastano. Percorrendo l’asse principale, naturale prolungamento del ponte di Castelvecchio, si raggiunge la Palazzina di Comando nella quale si inseriscono gli spazi per la Commissione Nazionale Italiana UNESCO: uffici, mostra permanente e temporanea, archivio, sala conferenze e laboratori. Oltrepassata la soglia, si entra nella grande corte centrale dove l’attenzione viene catturata da tre elementi: una rampa che scende nel terreno, la vasca d’acqua che dialoga con l’Adige e la copertura mobile del teatro ipogeo. Attraverso la rampa, si accede ad un foyer che accoglie e guida l’utente verso il museo di storia naturale e il teatro. Il museo si sviluppa in un percorso ascensionale verso la superficie esterna, fiancheggiato da un giardino ipogeo sullo sfondo, nel quale filtra un fascio di luce attraverso il taglio ricavato nella copertura metallica del padiglione; dal foyer è possibile scegliere una seconda direzione che, attraverso ambienti cavernosi evocativi del paesaggio circostante, conducono al teatro dal carattere innovativo dove l’assenza degli elementi di separazio-

05. Interno del museo ipogeo. 06. II pozzo di luce nella parte più profonda dell’edificio in una sezione generale del progetto. 07. Il mercato dei fiori tra le campate di uno dei padiglioni.

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scuola Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Architettura titolo Tra le cose. Progetti per la città di Verona dentro l’Arsenale Franz Josef I progetto Edoardo Fanterla relatore prof. Michelangelo Pivetta correlatori: dott. Vincenzo Moschetti prof. Sandro Parrinello anno accademico 2016-2017

ne tra scena e pubblico consentono a chiunque di partecipare allo spettacolo. Ritornando in superficie, è possibile, infine, fruire di spazi e servizi accessori contenuti nei padiglioni circostanti offrendo l’opportunità di svolgere attività specifiche, come quelle proposte nei laboratori dell’Accademia per l’Opera Italiana, oppure semplicemente incontrarsi nel padiglione per il lavoro condiviso dove si prediligono attività collettive per la comunità, uno spazio che rappresenta l’ultimo tassello di un progetto tanto atteso dalla città.

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08. Progetto di F. Varesano: la consistenza edilizia attuale della caserma Catena-Riva di Villasanta. 09. Plastico del progetto. 10. Masterplan: in bianco i nuovi volumi. 11. Veduta assonometrica del progetto. 12. L’interno della corte del nuovo edificio.

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Le dinamiche progettuali che hanno segnato la storia dell’Arsenale negli ultimi decenni si sono rivelate fondamentali nella scelta del tema di studio sviluppato per la caserma Riva di Villasanta a Verona da Francesco Varesano. Nata per esigenze militari nel primo Seicento, la caserma è stata oggetto di vari ampliamenti che hanno assimilato, nel tempo, anche diverse funzioni come la possibilità di fornire assistenza medica in un periodo di forte carenza delle strutture ospedaliere. Tra gli obiettivi, il progetto intende sostenere l’idea di una comunità attiva che si sposa perfettamente con il vissuto di un edificio militare; d’altronde, è abbastanza noto come, nonostante le rigide direttive, la vita all’interno di questi edifici avesse lo scopo di instaurare delle relazioni umane e lavorative favorevoli alla nascita di una comunità ben organizzata. Il concept trova chiari riferimenti nell’organizzazione dell’edificio du-

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Polo territoriale di Mantova titolo Verona Hospitale. Un progetto per la comunità ospedaliera tra storia e funzione progetto Francesco Varesano relatore prof. Massimo Ferrari correlatori: prof. Alberto Bologna prof. Claudia Tinazzi anno accademico 2018-2019 11

rante il periodo “medico-militare” come conseguenza di una reale necessità che la città di Verona manifesta a causa del notevole incremento degli utenti negli ospedali, anche in seguito alla realizzazione del polo di Borgo Trento; pensata come una cittadella a supporto dell’odierna istituzione ospedaliera, la caserma offre l’occasione di beneficiare di spazi e servizi dove, attraverso uno specifico programma funzionale, si instaurano nuove relazioni che rendono gli utenti parte della stessa comunità senza alcuna distinzione. Fulcro del progetto è l’edificio storico con la sua tipologia “a corte” che diventa il modulo della nuova composizione planimetrica caratterizzata da un sistema di tre corti interconnesse tra loro e interpreti di un costante dialogo tra l’impianto originario e i nuovi inserimenti.

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Il progetto di recupero ha fornito, senza dubbio, quei parametri necessari affinché la struttura originaria non venisse alterata; i diversi spazi per uffici, camere e servizi, contenuti nel volume che custodisce la corte principale, si presentano come elementi scatolari con una forma stretta e lunga disegnata dai setti strutturali tra i quali si collocano. In prossimità dell’ala austriaca, collegata al volume precedente tramite un innesto “a baionetta”, diventa significativo il corridoio continuo che costituisce un tema ricorrente nell’intero progetto. Anche il disegno del nuovo centro ribadisce l’idea di uno spazio terapeutico completo utilizzando gli elementi di passaggio come una promenade di sensazioni legate alle diverse attività ed esperienze. L’aspetto architettonico e compositivo del centro si scopre attraverso una continuità con la volu-

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Caserme ritrovate

PROGETTO 13. Schema assonometrico relativo al recupero della caserma con evidenziati i nuovi elementi. 14. Schema assonometrico relativo all’area residenziale e alla ex polveriera. 15. Prospetto ovest.

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metria originale della caserma dove le intersezioni con l’esistente rappresentano il vero punto di forza mentre forme e caratteristiche sono riprese al fine di generare un riflesso dell’impianto originale. All’interno, le varie attività sportive, ricreative o riabilitative, previste per questo edificio, sono consentite da uno specifico sistema di setti murari che riduce l’utilizzo di pilastri interni. L’ultimo volume è dedicato alle residenze per utenti che necessitano di cure mediche quotidiane e si inserisce nel contesto secondo un asse parallelo alla polveriera austriaca, utilizzata per una piccola biblioteca, con la quale si relaziona attraverso una serie di spazi collettivi. La presenza di un centro di accoglienza così articolato assume un’importanza rilevante al fine di migliorare il servizio attualmente fornito dalla città di Verona che prova costantemente a farsi spazio nel panorama internazionale, per le sue avanguardie in campo medico, e accoglie l’opportunità per presentarsi come una “Verona Hospitale”.

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16. Progetto di A. Bellini, D. Pelagatti, P. Righetti: : planivolumetrico e sezione urbana.

17. Schemi morfologici relativi agli edifici preesistenti,alla torre e alle case sul fiume. 18. Modello della corte con i patii della biblioteca ipogea.

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Caserma Catena #2

Nel medesimo contesto si inserisce anche il progetto urbano di Andrea Bellini, Davide Pelagatti e Pietro Righetti, orientato a una riconversione dell’area per uso scolastico-universitario. Il masterplan dialoga con la storia del luogo attraverso un disegno semplice, all’interno del quale i nuovi volumi di progetto si susseguono in una sequenza lineare, prevedendo delle pause che si identificano in grandi vuoti colmati da aree verdi e attrezzature sportive. L’aspetto di centralità che emerge dalla composizione si annulla

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in corrispondenza della polveriera austriaca, il cui differente allineamento genera un punto di tensione. Il ritmo di pieni e vuoti si relaziona anche con i tracciati del tessuto urbano, dai quali si aprono nuovi punti visuali annullando totalmente quell’idea di chiusura che caratterizzava il complesso militare con il suo recinto. Il primo volume è costituito da un corpo lineare per le aule didattiche che si inserisce di fronte al corpo austriaco con le medesime dimensioni; una passerella leggera diventa l’unico elemento di continuità con l’esistente per mostrare chiaramente i segni dell’intervento mentre la grande

piazza centrale ha il compito di mediare le relazioni volumetriche e, allo stesso tempo, instaurare un dialogo con la biblioteca ipogea attraverso dei vuoti che si configurano come patii adibiti a studio e relax. L’edificio a torre, posizionato a nord, funge da perno dell’area e si innesta su un corpo basso con il quale costituisce un complesso residenziale. La parte inferiore, accessibile da ogni lato, riprende gli allineamenti con la caserma e contiene la tipologia cluster idonea per l’uso temporaneo da parte degli studenti. Gli alloggi privati si collocano, invece, all’interno della parte che si eleva per sedici piani,

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PROGETTO

Caserme ritrovate

19. Modello della corte destinata ad usi didattici. 20-21. Pianta piano terreno e sezione prospettica della corte per la didattica. 22-23. Vedute del volume residenziale con la torre e del percorso in prossimità del bastione. 24. Piante piano terra, piano tipo e prospetti delle residenze sul fiume.

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compositivamente separata da una parete vetrata sull’intero perimetro dopo i primi tre. Seppur apparentemente lontana dai lineamenti della caserma, la torre si relaziona in maniera rispettosa con il contesto e in particolare con la vicina torre abbaziale della basilica di San Zeno Maggiore cercando di non superarne l’altezza. Anche i due volumi rivolti verso l’Adige sono concepiti per l’uso residenziale privato; si tratta di edifici a pianta pentagonale che prediligono il rapporto con l’acqua e la visuale sul fiume. Il piano terra racchiude spazi comuni in dialogo con il parco, men-

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni titolo Trasformazione urbana dell’area dell’ex caserma Catena a Verona progetto Andrea Bellini, Davide Pelagatti, Pietro Righetti relatore prof. Stefano Guidarini correlatore: arch. Marcello Bondavalli anno accademico 2015-2016

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tre i livelli superiori accolgono ciascuno tre alloggi con un corpo scala centrale; l’ultimo livello assume un aspetto differente per la presenza di un attico leggermente arretrato e rivestito con materiale ligneo. La scelta di inserire delle attività pubbliche a stretto contatto con un servizio privato comunica la forte volontà di offrire un’occasione di rinascita per il quartiere che non fosse limitata ad un uso specifico ma consentisse di sfruttare pienamente le potenzialità dell’area.

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Caserme ritrovate

PROGETTO 25. Progetto di S. Negrelli: masterplan. 26-27. I fronti sul Canale di Mezzo.

Peschiera piazzaforte

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Passando da una piazzaforte a un’altra, l’approccio verso un sito militare si arricchisce di nuove sfaccettature come nel progetto di recupero del Padiglione Grandi Ufficiali di Peschiera del Garda presentato da Sara Negrelli. Situato nel cuore del centro storico, l’edificio ottocentesco si presenta come un corpo lineare a due piani fiancheggiato da una banchina alberata che lo separa dal Canale di Mezzo. Il progetto mira a rendere fruibile questa architettura e a divulgare quegli aspetti che sono andati perduti nel tempo; il recupero del padiglione come sede per l’Istituto di Studi Storici del territorio benacense diventa quindi un’occasione per raccontare la storia del territorio del lago di Garda. L’analisi del contesto ha evidenziato

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni titolo Peschiera del Garda: between history, landscape, culture and tourism. Redevelopment of the historic center and recovery of the padiglione Grandi Ufficiali progetto Sara Negrelli relatore prof. Massimo Ferrari correlatore: prof. Claudia Tinazzi anno accademico 2017-2018 28

la necessità di affrontare alcune problematiche urbane: così il Canale di Mezzo, con le sue diverse funzioni, e il retrostante Parco Catullo diventano elementi essenziali del progetto. In origine, l’area del parco era stata verosimilmente concepita come una piazza, ma i vari avvenimenti hanno trasformato il sito in una grande area verde dove la presenza di alberi molto alti cancella ogni relazione visiva. L’intenzione di restituire lo status di piazza contribuisce a definire un equilibrio tra gli edifici e a stabilire un primo livello di divulgazione rafforzato dalla presenza di alcune statue raffiguranti personaggi storici nella loro dimensione quotidiana; così l’utente incontra Michele Sanmicheli mentre disegna le mura di Peschiera, o Napoleone III mentre sfregia le tavole di progetto del Forte Salvi perché insoddisfatto dal lavoro del Genio Militare.

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Sul fronte opposto, le relazioni mutano e l’edificio deve confrontarsi con il Canale e i problemi legati alla perdita della funzione originaria. Il masterplan propone interventi minimi con elementi leggeri capaci di ambientarsi nel contesto: il ponte pedonale, in parte mobile, si adatta alla conformazione del canale cercando di non imperdire il transito delle imbarcazioni; i moli e le piattaforme per i ristoranti sono concepiti con tipologie differenti ma eguagliati da sistemi e materiali propri delle palafitte per mantenere una omogeneità formale. Anche il nuovo attracco per il battello turistico, sul lato est del canale, valorizza un servizio che ha sempre avuto un sapore un po’ precario, mentre la torre panoramica ricorda un elemento della fortezza e diventa l’ennesima occasione per tracciare i passi della storia. Il recupero del Padiglione introdu-

28. La piazza nel Parco Catullo. 29. Studio per la statua dedicata a Michele Sanmicheli da collocare nella piazza.

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PROGETTO

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Caserme ritrovate

ce un salto di scala nel progetto e si definisce con un intervento piuttosto complesso nel tentativo di riportare l’edificio all’assetto asburgico originale, eliminando quegli elementi che nel corso del ‘900 hanno arrecato disomogeneità perché in balia di usi differenti. Il programma funzionale, suddiviso in tre macro aree, segue le tracce degli spazi originari, consentendo una fruizione fluida dell’intero edificio dove le attività principali sfruttano le stanze a sud mentre i servizi si concentrano nella fascia interna. Il corpo centrale accoglie le attività dedite alla conservazione e consultazione didattica, le ali laterali sono riservate, da un lato, a servizi per gli utenti, dall’altro ad attività di ricerca e divulgazione culturale. Per motivi legati all’assetto architettonico, l’edificio non risultava in grado di accogliere uno spazio da adibire alla funzione di auditorium, per il quale il progetto prevede un nuovo volume galleggiante sulla sponda settentrionale. L’intervento si configura come una prosecuzione delle attività inserite nel Padiglione ma, allo stesso tempo, conclude quel processo progettuale che aveva caratterizzato l’intero ambito urbano.

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30. Sezione prospettica sul Padiglione. 31. Padiglione: pianta del piano terra. 32. Veduta sul canale di Mezzo con gli elementi galleggianti del progetto. 33. Pianta e sezione dell’auditoriumm galleggiante.

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PROGETTO

La storia siamo noi

Edifici e palazzi storici racchiusi nel tessuto consolidato della cittĂ ricercano un equilibro tra recupero architettonico, usi contemporanei e addizioni consapevoli dei linguaggi della modernitĂ

Testo: Camilla Furlan, Giorgia Negri

Verona

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A Verona, il tessuto urbano consolidato è testimone di una storia che ha radici profonde e racconta la sua trasformazione nel tempo dovuta ad avvenimenti e circostanze appartenenti a diversi periodi storici. Gli edifici presi in esame da alcuni tesi, così come altri presenti nella città, sono sopravvissuti nei secoli mutando sia la loro forma che la loro funzione ed oggi risultano costituiti da stratificazioni di stili architettonici di vario pregio. Denominatore comune dei progetti è quello di riportare alla luce questi edifici ricchi di storia e bellezza conferendogli un nuovo ruolo nel contesto contemporaneo e, nello stesso tempo, preservarne la storia raccontata attraverso le loro stratificazioni. L’approccio progettuale a questi manufatti inizia, infatti, con la conoscenza dell’edificio stesso: lo studio e la ricostruzione della loro storia attraverso ricerche bibliografiche e di archivio costituiscono un passaggio preliminare obbligato e fondamentale per poter definire un progetto che ne mantenga l’autenticità e l’essenza originaria. Il progetto di restauro, necessario per evitare la perdita irreversibile di elementi architettonici di pregio, non basta per ridare vita ad un edificio: occorre conferirgli una nuova identità nel panorama urbano odierno per tornare ad essere un elemento riconoscibile dalla comunità, rispondendo alle nuove esigenze e contribuendo ad uno sviluppo qualitativo degli spazi pubblici. Il progetto di recupero, inteso come “riuso”, impone spesso all’edificio di subire un’ennesima stratificazione più o meno invasiva. Tra gli interventi presentati emerge senza dubbio il tema del rapporto tra nuovo e antico, dove le scelte progettuali partendo dal rispetto della preesistenza e da alcune sue componenti fondamentali, prendono diverse strade per cercare di creare nuovi cuori pulsanti all’interno della città, con nuove funzionalità studiate sempre con un occhio di riguardo per il contesto che li circonda. (GN)

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01-02. La corte su via San Nazaro e una delle sale interne di palazzo Bocca Trezza nelle condizioni attuali (foto di Lorenzo Linthout). 03. Il portale sul fiume della Dogana d’acqua (foto di Lorenzo Linthout).

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Palazzo Bocca Trezza

Palazzo Bocca Trezza, originariamente Murari dalla Corte Bra, è un edificio storico la cui origine risale all’XI secolo. Costruito su un lotto gotico compreso tra le attuali vie XX Settembre e San Nazaro, è caratterizzato da diverse stratificazioni. All’età rinascimentale si deve il corpo principale, il cui portico bugnato era chiuso su via San Nazaro da un volume che mascherava la ricchezza del palazzo, così come sul lato opposto non era possibile cogliere la presenza del giardino. Nel XIX secolo la famiglia Bocca Trezza modificò l’assetto del palazzo demolendo i corpi su strada, ad eccezione dei due fabbricati d’angolo su via XX Settembre, tutt’ora esistenti. Dal 1922 il fabbricato è diventato proprietà del Comune di Verona e ha ospitato varie funzioni che hanno portato all’aggiunta di un corpo a L nella corte secondaria, nascondendo il fabbricato cinquecentesco. Dal 1965 al 2010 l’edificio ha ospitato l’Istituto d’Arte N. Nani, e dopo di allora è abbandonato. Il progetto di Irene Segala e Sara Tamelli mira a conservare e valorizzare la parte cinquecentesca, dialogando con gli interventi più recenti per cercare di restituire unità al complesso riproponendo il tema della corte protetta; la connessione tra Via San Nazaro e Via XX Settembre trova nel

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La storia siamo noi

PROGETTO

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04. Progetto di I. Segala, S. Tamelli: planimetria generale a livello delle coperture. 05. Schema funzionale ai vari livelli. 06. Sezione di progetto in cui si evidenzia il rapporto tra palazzo storico, nuovi edifici e spazi aperti. 07. Prospetto nord su via San Nazaro con il nuovo volume che va a chiudere il fronte urbano. 08. Prospetto sud su via XX Settembre con il muro traslucido alto quattro metri. 09. Sezioni sul museo etnografico ospitato sia nella parte storica del palazzo che nel nuovo volume.

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giardino un punto di aggregazione e integrazione. Per far rivivere il palazzo è stata pensata una funzione di centro culturale e museo delle etnie, dedicati alla conoscenza e condivisione delle diverse culture che caratterizzano il quartiere, per trasformare le diversità in punti di forza. La rimozione di tetti e solai delle addizioni ottocentesche porta a preservarne solo le facciate, attraverso le quali è possibile intravedere i due nuovi volumi semi trasparenti. Tali addizioni, dichiaratamente contemporanee, sono indipendenti dall’esistente ma riprendono in maniera semplificata geometrie, altezze e ritmi delle parti storiche, uno dei due ricostruisce il fronte su via San Nazaro. All’interno, contengono servizi e passerelle metalliche di collegamento con la parte cinquecentesca. Per ripristinare l’assetto della corte secondaria si prevede inoltre la demolizione del volume a L di recente costruzione. L’accesso principale al palazzo da via San Nazaro è pensato come uno spazio libero e permeabile. Da qui è possibile accedere al museo al primo piano – sia nella parte storica che nell’addizione contemporanea - oppure raggiungere gli ambienti del centro culturale. L’allestimento in acciaio nero si distingue tra supporti leggeri che permettono di ammirare gli ambienti affrescati, e scatole chiuse per la proiezione di immagini in forte contrasto con il rivestimento traslucido in policarbonato. Il grande spazio aperto verde gioca un ruolo fondamentale a livello urbano. Analogamente al cortile su via San Nazaro, anche il giardino era in origine chiuso da un edificio prospiciente via XX settembre. Il progetto ricostruisce il fronte originariamente chiuso su via XX Settembre con un muro traslucido alto quattro metri tra i due edifici agli angoli dell’area lotto; due portali in metallo permettono l’ingresso al giardino. Il Fiumicello, interrato ne-

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Polo territoriale di Mantova titolo Between history and culture. Transformation of Bocca Trezza palace in a cultural centre 07

progetto Irene Segala, Sara Tamelli relatore prof. Luigi Mario Spinelli anno accademico 2017-2018

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gli anni ’50 del 900, viene rievocato portando l’acqua all’interno del giardino, lungo il muro esistente sul confine ovest; lo spazio aperto viene arricchito dall’inserimento di due padiglioni che accolgono un caffè e una serra, per favorire l’incontro e l’interazione sociale tra le diverse culture che abitano il quartiere. Il nuovo centro culturale si pone come simbolo del quartiere di Veronetta. La scelta del rivestimento in policarbonato per i nuovi volumi lascia intravedere di giorno le attività svolte all’interno, e li fa risplendere nell’oscurità grazie alla luce artificiale interna. (GN)

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La storia siamo noi

PROGETTO 10. Progetto di G. Mischi: veduta del Palazzo Boldieri-MalaspinaBottagisio prima dei restauri iniziati nel 2018. 11. Ricostruzione delle fasi di evoluzione storica del palazzo. 12. L’apertura della corte riconnette il palazzo al contesto urbano.

Palazzo Bottagisio

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Esempio di architettura stratificata in cui rimane leggibile l’iniziale matrice gotico- veneziana, palazzo Boldieri Malaspina Bottagisio si colloca appena fuori la cinta romana, tra porta Leoni e la chiesa di San Fermo. Le sue origini risalgono alla seconda metà del ‘400, mentre l’ultima addizione risale agli anni ‘70 del 1900. Il palazzo è passato dall’essere una residenza nobiliare a sede per gli uffici della Provincia di Verona; da più di dieci anni si trova in stato di abbandono e in evidente condizione di degrado. Per definire un progetto di rifunzionalizzazione compatibile con il carattere monumentale dell’edificio, il progetto di Giulia Mischi affronta una riflessione su come rivitalizzare i luoghi dell’abbandono. Una prima operazione necessaria è quella di aprire le sue porte al pubblico rivelandone gli spazi interni. In un secondo momento si deve definire una funzione tale per cui il luogo diventi un polo attrattivo. La corte, nucleo centrale del palazzo ed elemento di mediazione con il contesto urbano, diviene accessibile dall’androne su via Leoni, tramite il qua-

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le si può salire alla camera picta edificata dai Boldieri attraverso la scala monumentale settecentesca costruita dai Malaspina. Il grande salone al piano nobile è considerato il cuore del palazzo; compatibilmente con il suo restauro, la scelta è di riutilizzarlo come ufficio informazioni turistiche, sfruttando la posizione strategica dal punto di vista turistico del palazzo nel centro cittadino. La rimozione delle tramezze interne, oltre a comportare un miglioramento dal punto di vista strutturale, viene eseguita nell’ottica di riproporre la spazialità originale del salone; nuovi divisori leggeri composti da telai metallici con tamponamenti opachi o traslucidi, staccati dalla muratura perimetrale e dal soffitto ligneo, riprendono la suddivisione degli ambienti definita da Angerer nel 1860. I divisori fungono anche da supporti espositivi per i frammenti di intonaco decorate provenienti dalle tramezze ottocentesche. Il solaio del piano nobile sopra l’androne di ingresso, datato alla fine del XV secolo; è in legno di abete rosso a doppia orditura ed è decorato nei listelli e nel tavolato. La necessità di preservare i decori del solaio e al tempo stesso le pavimentazioni in terrazzo alla veneziana ha comportato la progettazione di una struttura di rinforzo a barre e a cavi in acciaio poste in addossamento alle travi esistenti, forzata ad agire in parallelo e in modo attivo con esse: una struttura di sezione contenuta, leggera, flessibile, distinguibile come contemporanea e rimovibile. (GN)

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scuola Università degli Studi di Trento Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile-Architettura titolo Palazzo Boldieri-MalaspinaBottagisio a Verona: il restauro dei luoghi, fra conservazione e riuso dopo l’abbandono progetto Giulia Mischi relatore prof. Alessandra Quendolo prof. Diego Misseroni correlatore: arch. Nicola Badan anno accademico 2017-2018 13

13. Il salone al piano nobile dopo l’intervento di restauro previsto dal progetto. 14. Rilievo geometrico e fotomosaicatura della sezione longitudinale del palazzo. 15. Pianta del salone al piano nobile con nuovi divisori leggeri.

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PROGETTO 16. Progetto di N. Donisi: allestimento dedicato a Giulietta e Romeo nella nuova destinazione museale del palazzo. 17. Foto storica del fronte su via Catullo. 18. Pianta piano terra.

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La storia siamo noi 19. L’esposizione valorizza l’intervento di ricostruzione del palazzo ad opera di Libero Cecchini negli anni ‘70. 20. Pianta piano primo. 21. Sezione.

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Affacciato su Corte Farina, il settecentesco Palazzo Mosconi venne edificato su preesistenze romane, medievali e cinquecentesche. A seguito dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale furono distrutte l’ala nord e la parte medievale. Successivamente il palazzo restò abbandonato per alcuni anni fino a una prima ricostruzione di parte dell’ala sinistra. Nel 1969 interviene Libero Cecchini con il ripristino della simmetria originale della facciata settecentesca, sottoposta a un restauro conservativo; il volume distrutto viene invece ricostruito ex novo con un linguaggio moderno che dà luogo a una libera spazialità interna in cemento armato a vista e una grande articolazione di piani, vedute e collegamenti verticali. Il palazzo è sede della Banca Cattolica del Veneto fino alla sua dismissione e abbandono dall’inizio degli anni duemila. Esaltare la storia e i protagonisti di Verona: questo l’obiettivo del progetto di Nicola Donisi per il riuso di Palazzo Mosconi, pensato per l’allestimento di un Museo delle Tradizioni e della Cultura di Verona. Anche in questo caso, il palazzo diventa il luogo entro cui valorizzare differenti aspetti culturali della città. Il progetto, sfruttando i contrasti tra zone di luce e ombra, le doppie altezze e i caratteristici lucernari circolari, prevede un percorso alla scoperta di Verona, dalla storia e dall’architettura alle tradizioni, passando attraverso i personaggi che l’hanno contraddistinta. L’esposizione ha inizio da Corte Farina dove si prevede di allestire spazi dedicati a giochi della tradizione veronese. La hall, affacciata sulla grande finestra del maestro Cecchini, introduce alla visita grazie a schermi interattivi incentrati su differenti aree tematiche (artigianato, medicina, cucina). Si prosegue al piano primo con una sezione dedicata a Berto Barbarani e Angelo Dall’Oca Bianca, personaggi del secolo scorso simboli della veronesità, ai quali è dedicata una scultura nel punto di maggior rilievo del percorso espositivo, visibile anche dai livelli superiori. I supporti regolabili delle opere permettono l’osservazione da differenti punti di vista. Per le sculture dedicate agli innamorati di Verona, un’area a doppia altezza permette di simulare il balcone di Giu-

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Polo territoriale di Mantova titolo Un museo per le tradizioni e la cultura di Verona. Proposta di valorizzazione e tutela del patrimonio veronese in Palazzo Mosconi progetto Nicola Donisi relatore prof. Barbara Bogoni anno accademico 2013-2014 19

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lietta, la cui statua è posta sulla balconata mentre quella di Romeo cerca di spingersi verso l’alto, entrambe illuminate dalla suggestiva luce proveniente dal lucernario cilindrico soprastante. Nell’area circostante riferimenti a Shakespeare e Dante e alcune videoproiezioni della storia degli innamorati. A conclusione del percorso, al primo e al secondo

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piano, il progetto espositivo viene incentrato sulle festività e gli eventi principali che caratterizzano la realtà veronese e sulla sua storia, dalle dominazione romana sino ai conflitti mondali. L’ultima sezione è dedicata alle arti figurative, trattando la pittura di Paolo Veronese e l’architettura di Michele Sanmicheli. (CF)

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PROGETTO 22. Progetto di A.Cavarzere, F. Dal Cengio: le stratificazioni delle epoche nell’edificio. 23. Prospetto interno della copertura del volume a tutta altezza. 24. Tre finestre sulle epoche del palazzo. 25. Fasi costruttive della copertura.

La storia siamo noi 26. Sezione prospettica sull’esposizione: Architettura, Arte e Storia. 27. La teca che musealizza il grande serramento di Cecchini verso il cortile. 28. Particolari relativi al recupero dei lucernari circolari.

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Conservare, esaltare e valorizzare: questi gli obiettivi del progetto di restauro conservativo di Palazzo Mosconi elaborato da Alessia Cavarzere e Francesca Dal Cengio, per un uso espositivo e la musealizzazione del palazzo stesso. Il progetto prevede un primo intervento all’intradosso della copertura, vero e proprio prospetto interno caratterizzato da un quadro fessurativo avanzato a causa della scarsa resistenza agli agenti atmosferici: viene prevista una nuova impermeabilizzazione e la risarcitura delle fessurazioni mediante l’impiego di una malta adeguata a quella preesistente. In secondo luogo, il progetto esalta la grande finestra circolare sulla corte interna attraverso una pulitura e riverniciatura della cornice metallica e una sigillatura delle lastre di vetro, senza alternare le caratteristiche del serramento stesso, conservato grazie al posizionamento di una teca, un secondo infisso che garantisce adeguata tenuta. Il concept funzionale prevede l’esposizione di alcune opere seguendo le stratificazioni storiche del palazzo: galleria d’arte contemporanea nelle parti cecchiniane, arte antica e moderna nel palazzo settecentesco, un museo archeologico al piano terra e interrato, infine nell’attico la sede della Società Belle Arti di Verona. Lo studio dei percorsi prevede l’ingresso da Corte Farina attraverso piattaforme elevatrici, di cui una posizionata ove era stata realizzata una scala elicoidale progettata da Cecchini e successi-

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scuola Università IUAV di Venezia Corso di Laurea Magistrale in Architettura per il Nuovo e l’Antico titolo Palazzo Mosconi a Verona: conservazione dell’innesto novecentesco e valorizzazione delle stratificazioni progetto Alessia Cavarzere, Francesca Dal Cengio relatore prof. Sara Di Resta correlatore: prof. Paolo Faccio anno accademico 2017-2018 26

vamente demolita, esaltandone il guscio in calcestruzzo armato. L’esposizione è volta a esaltare l’architettura, l’arte e le stratificazioni storiche, e si esprime in maniera differente nei vari ambiti. Punto focale è la teca che si affaccia sul cortile interno, che rappresenta la connessione tra l’intervento moderno e il palazzo settecentesco; analogamente al livello interrato un serramento fisso evidenzia le mura di Gallieno, riportando alla luce gli scavi di ricostruzione e alcune fondazioni medievali I supporti espositivi sono ispirati alle forme presenti nel palazzo: espositori per statue che traggono forma dai volumi cilindrici degli oculi sospesi, espositori per dipinti che, come la finestra verso la corte, incorniciano l’arte con elementi rettangolari e profili metallici. Differenti invece gli espositori volti ad esaltare le stratificazioni storiche, con alcune rivisitazioni di tavoli in marmo progettati da Libero Cecchini, definiti come capitelli decostruiti. (CF)

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7 Historical evolution of the PROGETTO ntext: the Filippini district

La storia siamo noi

ancient district of Braida (from the German “breit” = “open space”, “square”) was limited, ady in the land register of the Veronesi Statutes of 1276, by the streets that today are called Filippini, via Macello, via Pallone and Via Ponte Rofiolo. It was including the numerous alleys of area, up to the limit of the wide roads Scipione Maffei and San Fermo. Beyond the area of the ana, between the Adige and the straight stretch of the road San Fermo, opens the district of the pini. The district’s name derives from the monastery attached to the homonymous church of the ers of the Congregation of the Oratory of St. Filippo Neri, which has been established in 1715.

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View of the Filippini district in 1925. In the foreground the slaughterhouse and the covering of the public laundry of the Vo’. On the right the last natant mill.

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29. Progetto di G. Mari, M. Modena: il fronte sul fiume, stato di progetto. 30. Il quartiere Filippini in una immagine nel 1925. 31. Nella sezione longitudinale si riconoscono i nuovi solai indipendenti dalle strutture esistenti.

Nel 1745, a seguito di un concorso bandito dal Senato Veneziano e su progetto del conte Alessandro Pompei, fu edificata la Dogana dell’acqua con funzioni di stoccaggio e ripartizione delle merci trasportate via fiume, con l’obiettivo di impedire il commercio illecito. Seguirono numerosi interventi volti sia al miglioramento della struttura che alla protezione dalle inondazioni che nel XIX secolo segnarono la città di Verona. I bombardamenti della Seconda guerra mondiale lasciarono la struttura priva della copertura, utilizzata dal 1965 come deposito del Canoa Club Verona. Il progetto di Giada Mari e Michela Modena propone di trasformare l’ex Dogana dell’Acqua in un centro che descriva la storia di Verona attraverso il fiume, rifunzionalizzandola da stanza a cielo aperto a spazio chiuso, esaltando così le potenzialità latenti della struttura e il suo valore simbolico. Il progetto prende avvio dall’eliminazione di alcuni elementi incongrui, come le chiusure di alcune fi-

nestre e del varco di accesso al fiume, e il risanamento conservativo della cortina muraria, consolidando le parti di intonaco interno ancora intatte e sostituendo quello esterno. A risarcire la mancanza della copertura viene previsto un semplice tetto a capanna che riprende la morfologia della copertura originaria; finestre e portali sono chiusi da serramenti in acciaio corten. Lo spazio espositivo ricavato all’interno è distribuito, conservando la simmetria del fabbricato, tra i livelli esistenti e due nuovi livelli impostati alla quota del vecchio mezzanino e dell’ultimo rocchio delle colonne, sostenuti da pilastri in acciaio corten; l’arretramento dei solai rispetto ai solai esistenti e alle murature permette una corretta identificazione del nuovo intervento. All’altezza del secondo livello si aprono un belvedere all’aperto e alcuni lucernari; un nuovo livello interrato è destinato a servizi. L’accessibilità è garantita da due corpi scala disposti simmetricamente, un ascensore e da alcune passerelle aeree. A livello urbano, un percorso pedonale ricollega i

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni titolo Architettura, memoria, contemporaneità. Progetto per il Museo del Fiume nell’ex Dogana d’Acqua a Verona progetto Giada Mari, Michela Modena relatore prof. Emilio Faroldi correlatore: prof. Filippo Bricolo

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punti focali del vecchio sistema doganale, il Macello di Ponte Aleardi e la Dogana, dando luogo a una sequenza di spazi pubblici. Nell’area oggi adibita a parcheggio è previsto l’inserimento di un bar e l’organizzazione degli spazi aperti collegati tramite rampe: una prima rampa conduce a un patio coperto da cui è possibile avere una vista diretta sul fiume, e da qui raggiungere il bar, da dove ricollegarsi allo spazio espositivo con un ascensore diretto al piano interrato oppure attraverso una scalinata tangente al lato del bar, a conclusione del percorso che si collega con l’Ex Dogana. (CF)

anno accademico 2016-2017

32-33. Vedute di progetto: la Dogana vista dall’Adige e uno spazio espositivo interno. 34. Pianta piano terra.

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35. Progetto di R. Abou Hadir, A. Pelucchi: masterplan e prospetto urbano dal fiume. 36. Schizzi di studio relativi alla rampa di accesso agli spazi espositivi nella Dogana di terra. 37. Veduta di insieme della Dogana con gli interventi di progetto.

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Il progetto di Ribal Abou Hadir e Alessandra Pelucchi mira a riqualificare il quartiere Filippini che, nonostante la prossimità al centro, è percepito come marginale rispetto ai principali punti di interesse della città. Qui, infatti, i servizi doganali hanno segnato per molto tempo l’avanzare del tempo con attività quali la ricezione, la disinfestazione e lo smistamento delle merci trasportate via fiume. Ed è proprio la relazione con il fiume che il progetto si prefigge di migliorare, riportandolo in primo piano grazie alla riqualificazione degli spazi più significativi insistenti nell’area, cui dare unità area richiamando ne la memoria storica in chiave contemporanea e dotando il lungofiume di diversi interventi situati in posizioni strategiche e unificati dal medesimo linguaggio architettonico. L’obiettivo si traduce quindi in un intervento che mira a recuperare la relazione fra il tessuto urbano e il fiume attraverso la realizzazione di una promenade sul lungo-

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni titolo MoCart Verona. The dogana riverfront in Verona. Proposal of re-enhancement and creation of a contemporary art museum progetto Ribal Abou Hadir, Alessandra Pelucchi

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fiume che, partendo da San Fermo, raggiungerà le ex-Dogane, continuando sui giardini privati che danno sul fiume, fino a raggiungere lo spazio pubblico dell’ex mattatoio che ora ospita un ristorante, botteghe artigiane e uno spazio espositivo. L’intero lungofiume viene interpretato come una linea continua modellata dalle forze provenienti dal tessuto urbano consolidato, dando vita a quelle connessioni trasversali che portavano direttamente al fiume. Il nuovo lungofiume può per tanto essere interpretato come una piazza urbana all’interno del tessuto storico, in continuità con una successione di micro spazi urbani esistenti. Quali funzioni che possano portare nuova linfa vitale al quartiere, musei e librerie possono giocare un ruolo attivo quali luoghi di inclusione sociale. Nel quadro di una mappatura degli spazi espositivi presenti a Verona, il progetto per un nuovo museo di arte contemporanea denominato MoCart prevede spazi chiusi e all’a-

perto destinati sia all’esposizione di una collezione permanente che a mostre temporanee e installazioni, ricostruendo l’integrità volumetrica della Dogana d’acqua e caratterizzando la grande corte della Dogana di terra con una rampa di accesso a spazi espositivi in parte ipogei. Il “Tempo” inteso come trasformazione, contrasto, riflessione su tecnologie e reinterpretazione dei canoni classici in chiave contemporanea è il tema della raccolta permanente attraverso l’esposizione di opere di artisti legati al contesto veronese, mentre per l’esposizione temporanea il progetto prevede l’istallazione di alcune sculture di Ron Mueck, uno scultore iperrealista australiano, che riproduce il corpo umano a una scala maggiore, attraverso una reinterpretazione dei canoni classici con lo scopo di esaltare la relazione con lo spazio. (CF)

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relatore prof. Luca Basso Peressut correlatore: arch. B. Grigolo anno accademico 2015-2016

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38. Sezione longitudinale sugli spazi espositivi ricavati nella Dogana d’acqua. 39. Piante ai vari livelli del nuovo museo d’arte contemporanea. 40. Lo spazio ricostruito della Dogana d’acqua.

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PROGETTO

L’industria si fa cittĂ

Aree dismesse e fabbricati ex industriali inglobati nella cittĂ contemporanea ne rappresentano la continua e spesso irrisolta tensione tra tabula rasa e conservazione della memoria dei luoghi

Testo: Laura Bonadiman

Verona Legnago

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Verona è caratterizzata da una notevole presenza di aree industriali dismesse, un tempo simbolo di sviluppo economico e sociale e oggi abbandonate, emarginate dal resto del tessuto urbano e senza una funzione specifica. Queste zone rappresentano peraltro la memoria e la storia di una città, e i progetti presentati di seguito rappresentano una raccolta di scenari potenziali che non includono necessariamente la demolizione, soluzione spesso adottata in questi casi. Il filo conduttore dei lavori presi in esame è senza dubbio la conservazione e la valorizzazione del patrimonio industriale, azione che potrebbe innescare un processo di rigenerazione urbana, ricucendo parti di città ad oggi isolate dal contesto. Queste aree potrebbero sopperire alla necessità di nuovi usi sempre più richiesti nella città contemporanea, garantendo una soluzione al consumo di territorio. La rifunzionalizzazione di questi ambiti diventa quindi una necessità, e risulta evidente come non ci si possa più sottrarre al confronto con questo tema. Le aree industriali assumono un ruolo decisivo nei processi di rigenerazione, que-

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01-03. Scenari post industriali: capannoni nella ZAI di Verona sud, la simbolica ciminiera del Lanificio Tiberghien e l’edificio multipiano della Manifattura Tabacchi (foto di Lorenzo Linthout).

« Queste aree industriali potrebbero sopperire alla necessità di nuovi usi nella città contemporanea garantendo una alternativa al consumo di suolo» sto poiché sono spesso collocate in luoghi strategici ed occupano ampie superfici territoriali. Possono quindi diventare un’opportunità per lo sviluppo della città, sia da un punto economico sia culturale, mantenendo allo stesso tempo l’identità storica dei manufatti. La rigenerazione urbana non è però cosa facile. Non può essere realizzata solamente recuperando un edificio, ma deve esserci una visione più ampia. Per questo bisogna lavorare sulla

definizione di nuove relazioni, tra il vecchio ed il nuovo, tra queste aree ed il loro contesto, integrando parti di città che oggi non dialogano più tra loro. Lo scenario tratteggiato da questi progetti va in parallelo con l’avvio di una serie di interventi di rigenerazione urbana (Manifattura Tabacchi, ex officine ferroviarie di Porta Vescovo...), mentre rimane a tutt’oggi incompiuta la riconversione di ciò che avrebbe dovuto rappresentare il fulcro del rilancio di Verona Sud, ovvero gli ex Magazzini Generali. Portata a termine l’integrale sostituzione delle ex Officine Adige con un grande mall commerciale, in sospeso è l’altro grande nodo urbano nel quadrante est della città, l’area del lanificio Tiberghien, dopo una affrettata demolizione di buona parte di ciò che restava della memoria industriale del luogo. Analogo discorso vale per Legnago, dove di un ampio comparto produttivo rimane un superstite fabbricato dalle caratteristiche rilevanti, a fronte di una urbanizzazione improntata ai modelli ineludibili dello shopping.

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PROGETTO

L’industria si fa città

Strategia urbana // Forme del vivere

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Ex BAM

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Tra i residui di un recente passato industriale, la cosiddetta ex Bam nella zona nord-ovest di Verona (Ponte Crencano) dopo la dismissione dell’attività ha reso disponiStrategia urbana bile un’area entro un tessuto fortemente consolidamessa a sistema degli spazi aperti to: ragione per la quale i progetti avanzati per la sua 10 riconversione hanno determinato un fitto dibattito e anche aspre polemiche nel tempo, soprattutto da parte dei vicini residenti. Risale al 2012 l’approvazione di un PUA (Piano Urbanistico Attuativo) che prevede per l’area uno sviluppo principalmente verticale, con quattro edifici residenziali di altezze comprese tra i nove e i dieci piani, e un edificio ad uso commerciale su due livelli. Scarsa importanza viene data allo spazio pubblico, solo il 18% dell’area, una percentuale molto bassa soprattutto se confrontata alle esigenze dei cittadini del quartiere, i quali risentono della mancanza di luoghi di aggregazione e aree verdi. Il progetto di Massimo Falconi vuole porsi in contrapposizione al piano urbanistico – che sta nel frattempo entrando nella fase esecutiva del cantiere – ipotizzando differenti tipologie abitative e una maggiore presenza di spazi pubblici (64% dell’area) con la realizzazione di un parco lineare e di “piazzette” pavimentate, che rendono permeabile l’area. Il fine è quello di suggerire una proposta alternativa al PUA già approvato, che coniughi la necessità

Processo lavorativo 11

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Massimo Falconi

04. Progetto di M.Falconi: dal concept alla soluzione finale. 05. Strategia urbana: messa a sistema degli spazi aperti. 06. Masterplan. 07. Modello insediativo.

scuola Università IUAV di Venezia Corso di laurea magistrale Architettura e Innovazione titolo Forme del vivere: proposta per la riqualificazione di un’area urbana dismessa a Verona progetto Massimo Falconi

Sezione trasversale

Masterplan Masterplan Masterplan

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08. Fasi progettuali: definizione del tessuto sul bordo occidentale; vuoto lineare; completamento sul bordo orientale. 09. Modello architettonico.

relatore prof. Marco Ferrari 07

anno accademico 2017-2018

Masterplan

Prospettiva

Sezione longitudinale

Definizione Definizione del tessuto del tessuto Definizione del tessuto Definizione del tessuto Vuoto lineare. esistenteesistente sul bordo occidensulesistente bordo occidensul bordo occidenesistente sul bordo occidentale. 08

Completamento di elementi architettonici sul bordo 12 orientale.

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tale. tale. tale.

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Modello 1:200 - prospetti 09

di densificare il tessuto cittadino senza trascurare il valore e il ruolo dello spazio pubblico in relazione alle esigenze della collettività. La strategia di progetto si basa sulla potenzialità di riconnessione nord-sud del sito e sulla sua posizione baricentrica rispetto al quartiere, e si sviluppa attraverso tre azioni: la ridefinizione del tessuVuotoVuoto lineare. Vuoto lineare. Completamento Completamento di elementi di elementi lineare. Completamento di elementi to urbano; il completamento di due edifici esistenti Completamento di elementi architettonici sul bordo architettonici architettonici sul bordo sul bordosul bordo dell’area; la costruzione di un vuoto architettonici sul bordo verde urbano Inserimento orientale. Modello 1:500 orientale. orientale. orientale. che attraversa l’area e funge da cerniera. Il tessuInserimento urbano 13 to urbano proposto è caratterizzato da un sistema Modello 1:500 di edifici liberi sul lotto che crea una successione 13 di spazi pubblici pavimentati che si affacciano sul nuovo parco. I piani terra ospitano funzioni che vanno dalle attività commerciali ai servizi di quartieri alle attrezzature collettive, garantendo un uso articolato degli spazi. Le abitazioni sono caratterizzate da nuovi modelli abitativi di tre tipologie: grandi appartamenti condivisi, ville urbane e mini-appartamenti. La scelta basata su questa diversità è dovuta alla volontà di creare un insieme sociale eterogeneo che esplori differenti forme del vivere. Modello 1:200

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PROGETTO

L’industria si fa città

10. Articolazione tipologica: i tre modelli abitativi. 11. Veduta prospettica di progetto. 12. Schizzi di studio degli alloggi. 13. Sezione longitudinale di progetto.

Articolazione tipologica // Forme del vivere

Massimo Falconi

TIPOLOGIA A Shared apartment 2° - 3° piano

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Prospettiva

Sezione trasversale TIPOLOGIA B Villa urbana 1° piano

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P

TIPOLOGIA C Mini appartamenti 1°piano

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13 Sezione longitudinale 17

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Massimo Falconi

Questo lavoro è un chiaro esempio di come l’architettura debba tener conto delle necessità degli abitanti e della vita quotidiana, senza la creazione di nette distinzioni tra ciò che è pubblico e ciò che è privato ma, piuttosto, mettendo in relazione i due ambiti con l’obiettivo di creare una città aperta e permeabile. Allo stesso modo il progetto non insegue la ricerca di novità formali, legate alle logiche di mercato, ma indaga la possibilità di creare nuovi contesti e cambiamenti all’interno delle condizioni attuali. Al progetto di Massimo Falconi è andato il premio per la “Miglior tesi di laurea 2018” dell’Università Iuav di Venezia. La motivazione ha Approfondimento sottolineato // Forme del vivere come la tesi “si fonda su una posizione di «realismo critico» molto matura, che ribalta radicalmente le previsioni urbanistiche di un piano particolareggiato mediocre, che offriva una dotazione si spazi pubblici molto limitata: il progetto di tesi non solo aumenta drasticamente la quantità di spazio pubblico, ma arricchisce il luogo con tipologie abitative innovative”.

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14. Planimetria di insieme al piano terra. 15. Veduta interna di un alloggio della tipologia A, shared apartment.

Shared apartment Pianta 2° e 3° piano

Modello scala 1:20 vista interna

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L’industria si fa città

PROGETTO

Tiberghien

Il lanificio Tiberghien ha rappresentato una delle più grandi realtà industriali storiche di Verona. Situato nel quadrante ovest della città, al confine tra i quartieri di San Michele Extra e Borgo Venezia, ha influenzato lo sviluppo urbanistico delle aree limitrofe come fonte primaria di occupazione per un lungo periodo. La sua nascita è da riportare agli inizi del ‘900 quando i fratelli Tiberghien, membri di una famiglia di industriali francesi operanti nel settore laniero, acquistarono il terreno su cui sarebbe sorta la futura fabbrica. Successivamente all’entrata in funzione dello stabilimento, nel 1907, vennero costruiti altri edifici a servizio della fabbrica quali abitazioni per i lavoratori e i dirigenti, convitti per le operaie, un circolo ricreativo, una colonia estiva e un campo sportivo. Sopravvissuto con grande difficoltà ma senza ingenti danni ai conflitti bellici, nella seconda metà del ‘900 è andato progressivamente incontro al suo declino tra alterne vicende, fino a quando nel 2004 la fabbrica è stata chiusa definitivamente. Dopo una decina di anni di abbandono, a causa dell’elevato degrado dell’area, nel 2016 sono iniziate una seria di demolizioni, incuranti del valore di archeologia industriale presenti fino a quel momento. Ad oggi la superficie dell’area, di circa sette ettari, è occupata per la maggior parte da edifici abbandonati. Il progetto di Filippo Forlati – precedente alle de-

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16. Progetto di F. Forlati: strategie di riuso. Dall’alto a sinistra: definizione dei percorsi interni; sviluppo della mobilità lenta; conservazione dei manufatti di pregio; realizzazione di corti verdi; integrazione tra nuovo intervento e preesistenza; uso flessibile degli spazi coperti. 17. Veduta di uno degli spazi interni coperti caratterizzati da mixitè funzionale. 18. Uno spazio aperto ricavato tra le maglie della fabbrica.

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Figura 5.2 Sezione longitudinale del pacchetto di copertura proposto dal nuovo intervento. Figura 5.3 Sezione trasversale del pacchetto di copertura proposto dal nuovo intervento.

per la definizione dei nuovi spazi. I pannelli isolanti sono rifiniti da un’insieme di pannelli in cartongesso, con i relativi supporti, che ripropongono nelle forme e colori quelli presenti originariamente. Per il manto di copertura si propone il riutilizzo delle tegole di tipo marsigliese originali e meglio conservate. All’estremità il manto è fatto terminare da una scossalina metallica che risolve la soluzione d’angolo in maniera innovativa rispetto all’originale, realizzata tramite l’utilizzo di tegole. Il sistema di smaltimento dell’acqua piovana avviene tramite pluviali interni come in precedenza.

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2. chiusura verticale - serramento 3. chiusura verticale - lamiera sagomata - guaina ardesiata - pannello in abete - pannello isolante in fibra di legno - barriera al vapore - pannello in cartongesso

scuola Università degli Studi di Trento Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile-Architettura

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titolo Strategie di RI.U.SO per l’archeologia industriale. Il caso dell’ex lanificio Tiberghien a Verona progetto Filippo Forlati relatori prof. Claudia Battaino prof. Marco Ballerini correlatori: prof. Krzysztof Lenartowicz arch. Luca Zecchin

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19. Sezione longitudinale e trasversale del nuovo pacchetto di copertura. 20. Il fotoinserimento del progetto nel contesto urbano evidenzia il rapporto con l’intorno.

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21. Le nuove passerelle di collegamento sul fronte sud.

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PROGETTO

L’industria si fa città

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22. Sezione longitudinale generale. Gli elementi strutturali in ghisa conservati rimandano alla forte regolarità spaziale della fabbrica. 23. Planimetria generale: strategie per una nuova porosità urbana.

molizioni - basa le sue strategie soprattutto sul dialogo con le preesistenze. La mixitè funzionale derivante dall’inserimento di attività contemporanee sarebbe in grado di favorire l’integrazione economica, sociale e morfologica dell’area, mantenendo allo stesso tempo i manufatti pregevoli e di maggior valore storico. Questo processo porterebbe a una ricucitura di una parte di città ad oggi distaccata dal contesto in cui è inserita. Notevole importanza è data allo studio della mobilità, attraverso la creazione di percorsi interni ad uso esclusivo di pedoni e ciclisti, oltre ad un potenziamento e miglioramento di quelli già esistenti al di fuori dell’area. In questo modo si genera una connessione tra la circolazione interna e quella esterna di quartiere. Ampie superfici sono destinate a verde, compresi alcuni giardini realizzate tra le maglie della vecchia fabbrica, andando a costituire un sistema facilmente fruibile da parte dei cittadini, realizzando una nuova centralità ambientale e urbana. Tutto ciò senza ulteriore utilizzo di suolo, ma mediante la riconversione di un’area di importante valore architettonico e sociale, testimonianza di un’epoca storica.

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scuola Università IUAV di Venezia Corso di Laurea Magistrale in Architettura e Culture del Progetto titolo Riconversione e ricucitura: strategie per il riuso e la rigenerazione della ZAI veronese progetto Elisa Montagna relatore prof. Maura Manzelle correlatori: prof. Massimo Rossetti prof. Federica Di Piazza

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Magazzini EVA

Il tema del recupero del patrimonio industriale trova nella ZAI (Zona Agricola Industriale) di Verona, nel quadrante meridionale della città, un’ampia casistica. A partire da un’attenta analisi del contesto contesto a scala urbana e delle condizioni di attuale dismissione di molte sua parti, il progetto di Elisa Montagna si focalizza sui Magazzini Eva (Esportatori Veronesi Associati), tra i primi ad essersi insediati negli anni ‘50 nel tessuto della ZAI. Posti in prossimità all’asse di viale del Lavoro e al quartiere di Borgo Roma, occupano una vasta area, all’incirca 27.000 mq; al loro interno veniva smistata e conservata in celle frigorifere la materia ortofrutticola. I magazzini, ancora oggi di proprietà privata, versano in condizioni di abbandono; nel Piano degli Interventi del 2011 è prevista la demolizione completa degli stabili per permettere l’insediamento di un nuovo complesso a funzione ricettivo-commerciale. La ricerca progettuale, in opposizione alle previsioni del Piano, pone attenzione sul valore di memoria collettiva rappresentato dal complesso dei Magazzini EVA. L’area è un elemento di intermediazione e riconnessione tra il tessuto storico della ZAI e quello residenziale del quartiere di Borgo Roma, in evidente contrasto sotto vari punti di vista: funzionale, spaziale e morfologico. Il progetto

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24. Progetto di E. Montagna: i magazzini EVA evidenziati in giallo nel tessuto della ZAI. 25. Il muro abitato: l’ingresso. 26. Esploso assonometrico di progetto. 27. I magazzini EVA in una foto d’epoca.

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L’industria si fa città

PROGETTO 28. Box in the box per gli spazi commerciali e terziari: la modularità dei volumi permette la flessibilità di aggregazione. 29. Il processo di scarnificazione effettuato sugli edifici della fabbrica. 30. Spazi di lettura e studio all’interno del blocco sud. 28

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si articola sull’applicazione di tre strategie: reinterprezione del carattere architettonico della fabbrica, innesto di nuove funzioni collettive e private, e rivitalizzazione dell’area come catalizzatore sociale. Per ri-attivare il luogo dismesso, viene introdotto un mix funzionale tra residenza, attrezzature collettive, commercio, spazi espositivi e aree verdi. L’approccio architettonico nei confronti degli edifici esistenti varia, nel rapporto tra contenitore e contenuto, a seconda dell’utilizzo dello spazio stesso, individuando tre diversi approcci. Nel rapporto tra la funzione residenziale e la fabbrica, quest’ultima svolge solamente il ruolo di contenitore: i volumi residenziali sono, infatti, autonomi sotto ogni punto di vista e si inseriscono al suo interno mantenendo una distanza necessaria all’alloggiamento degli impianti. Questo distacco sottolinea l’opposta vocazione funzionale del vecchio e del nuovo. Gli alloggi, sviluppati su tre livelli, sono studiati per ospitare principalmente studenti e artisti. Il secondo approccio si riferisce agli spazi serventi della fabbrica, quali le celle frigorifere o i locali di servizio, dove si prevede l’inserimento di depositi.

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31. Mix funzionale di progetto. 32. Spazi di ristorazione all’interno della campata commerciale. 33. Il nuovo viale di accesso. 34. Sezione sugli spazi commerciali.

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Le nuove funzioni accessorie sono coerenti con le quelle originarie: non subentra, concettualmente, la necessità di un reale distacco fisico. Il terzo approccio si sviluppa nella campata centrale dell’edificio, rappresentando una mediazione tra l’ambito residenziale e quello industriale-artigianale. Qui si innestano funzioni pubbliche e commerciali, con box modulari e componibili in vetro che garantiscono permeabilità visiva, discostandosi dalla struttura e mantenendo inalterati gli spazi della fabbrica. Infine il muro di cinta, un tempo elemento di sicurezza per la fabbrica, diventa permeabile con l’aggiunta di nuovi varchi, aprendosi così al contesto e incentivando la fruizione dell’area.

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PROGETTO

L’industria si fa città

Legnago

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Spostando la nostra attenzione fuori dalla città, troviamo a Legnago l’area Montedison, anch’essa una zona ex industriale inutilizzata. La sua storia inizia nel 1901 quando la Società Anonima Agricola Veronese promuove la costruzione di una fabbrica di perfosfati nei pressi dell’abitato di Legnago. L’impianto, caratterizzato da edifici di grandi dimensioni, si espande velocemente a causa dell’aumento della richiesta produttiva. Negli anni ’30 la fabbrica rappresenta non solo un posto di lavoro e un luogo di produzione, ma anche il simbolo dello sviluppo tecnologico della città. La chiusura arriva nel 1971, gli edifici passano di mano in mano fino ad essere abbandonati definitivamente nel 1992. L’unico rimasto ad oggi in piedi è il magazzino a forma parabolica, costruito nel 1954 e successivamente ampliato. L’intera area e già stata oggetto di un programma integrato di riqualificazione urbana, edilizia ed ambientale (P.I.R.U.E.A.) tra il 1998 e il 2005, firmato dall’architetto Mario Botta. Il progetto prevedeva l’inserimento di un mix funzionale con insediamenti residenziali e pubblici, la realizzazione di un grande parco e il restauro del paraboloide, da destinare ad attività culturali e sportive. Il progetto di Alberto Donella ha preso in esame quest’area per la valenza che ha assunto nel territorio. Collocata a metà tra il centro storico e la zona artigianale, ha lo scopo di generare nuovi rapporti, dove edifici industriali, privati e verde dialogano tra loro. Grande importanza è stata data al recupero del paraboloide in quanto patrimonio di archeologia industriale. Il progetto prevede di mantenere inalterata la sua struttura in cemento armato, inserendo all’interno della campata centrale tre volumi scatolari, scanditi dal passo degli archi parabolici. Questi elementi, posti in sequenza e con uguali dimensioni, sono costituiti da vetro e acciaio e rimangono indipendenti rispetto alla struttura dell’edificio; al loro interno ospitano un auditorium, un teatro e un ambiente espositivo. Nelle due campate laterali, un tempo adibite a stoccaggio di concimi, si prevedono uno showroom e una zona di ristoro. All’interno dell’area è stato ipotizzato anche l’inserimento di una zona residenziale, distinta in due

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scuola Università IUAV di Venezia Corso di Laurea Magistrale in Architettura per il Nuovo e l’Antico titolo Recupero dell’area Montedison di Legnago progetto Alberto Donella relatore prof. Serena Maffioletti correlatori: prof. Paolo Foraboschi arch. Sara Pezzutti arch. Enrico Busato anno accademico 2016-2017 37

tipologie: case a schiera e in linea. Le prime sono raggruppate in quattro edifici rettilinei, progettate per ospitare un nucleo familiare di quattro persone, ognuna avente affaccio su un patio privato. La tipologia in linea, nella zona ovest dell’area, si compone di quattro corpi accoppiati a due a due, con alloggi di varie dimensioni, in base alle necessità dell’utenza. Un altro tema fondamentale è quello del verde. Il progetto prevede un grande parco urbano che si estende per tutta l’area e si inserisce tra gli edifici, con uno studio ben preciso di filari alberati, posti ad interassi costanti. Questo permette di dare all’area maggior respiro, creando un nuovo rapporto tra edificato e spazio pubblico.

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35. Progetto di A. Donella: inquadramento urbano del progetto. 36. Planimetria generale. 37. Edificio residenziale in linea: pianta, sezione e prospetto. 38. Paraboloide: prospetto e sezioni trasversali. 39. Veduta aerea del sito con il paraboloide, stato di fatto.

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SAGGIO

Una visione sistemica Una indagine sui fenomeni dell’abbandono nel perimetro urbano di Verona è la chiave di lettura per una proposta didattica di recupero e rigenerazione del patrimonio dismesso nella cittĂ consolidata Testo: Carlo Peraboni *

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il tema indagato

La riflessione sul ruolo che il progetto può svolgere nel recupero e nella rigenerazione del patrimonio immobiliare dismesso nella città consolidata entra nell’approfondimento didattico con un approfondimento orientato a cogliere l’insieme delle problematicità che il tema propone; il percorso di progetto è volto al comporre un insieme articolato di riflessioni, funzionali al far maturare consapevolezze ed indicazioni strategiche. La tesi sul caso studio di Verona Est esplora il tema dei “luoghi abbandonati” della città, luoghi e spazi che si presentano spesso come caratterizzati in termini differenti sia per il loro percorso evolutivo che per dimensione e contesto di localizzazione. Luoghi che hanno da sempre avuto la capacità di attrarre e affascinare il progettista: quanto più emarginati, incompleti e destrutturati, risultano capaci di esprimere compiutamente l’interesse proprio di luoghi che hanno avuto una ragione d’essere nel loro contesto, temporale e sociale, ma che in virtù di una successiva evoluzione hanno smarrito la propria dimensione funzionale. Il tema che oggi questi luoghi pongono al progetto della città è duplice: da un lato il conservare e trasmettere il loro valore identitario in termini di “contenitore” di identità locale e pertanto interpretare il bisogno della città di ancorarsi a luoghi e situazioni capaci di “raccontare” la loro storia. Questo tema si lega alla necessità di riconoscere e conservare i valori propri del luogo, distinguendone i caratteri e identificandone i significati entro l’insieme degli elementi costituenti il sistema urbano preesistente. Dall’altro lato, essi rappresentano

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straordinarie opportunità per ripensare al rapporto tra luoghi “singolari”, spesso dotati di straordinario valore identitario e il “sistema” delle funzioni presenti nella città. Un tema che apre interessanti opportunità per un significativo ripensamento relativamente al ruolo che questi luoghi possono avere nel processo di ridefinizione della stessa struttura urbana in termini di maggiore sostenibilità. Si tratta di temi che nel recente passato hanno raccolto interesse ed hanno attivato numerose iniziative di “censimento” volte al recuperare e documentare la situazione dei singoli elementi; informazioni articolate capaci di generare consapevolezza rispetto all’insieme delle risorse, materiali ed immateriali, presenti in questi luoghi. Ricostruzioni analitiche, spesso di carattere puntuale, che hanno rappresentato un interessante punto di partenza funzionale al restituire i caratteri formali e funzionali di questi luoghi e che hanno restituito immagini complesse e articolate relativamente alle rilevanti opportunità che questi luoghi rappresentano per il progetto della città contemporanea.

i caratteri del lavoro

Le peculiarità dell’approccio progettuale possono essere riassunte, seppure schematicamente, attraverso tre temi che caratterizzano l’insieme delle strategie di intervento proposto: - la necessità di disporre di un sistema di conoscenza strutturato. Ovvero l’articolazione di un percorso analitico che si avvale di un apparato di documentazione ampio e differenziato per quanto riguarda le tecniche di rilevamento, le scale di restituzione e i criteri di rappresentazione. Una documentazione che si articola e specifica in relazione ai caratteri dei contesti analizzati e agli obiettivi assunti, superando la logica del “censimento”, ma che ricerca e sperimenta un approccio di conoscenza di carattere multidisciplinare. Alle informazioni sugli spazi costruiti e sulle funzioni caratterizzanti i contesti si aggiungono indicazioni sulla dimensione e sui caratteri degli spazi inedificati, riconoscendone il significato identitario ed il valore ecologico; - la verifica sistematica delle proposte di progetto con riferimento ad una scala di lavoro ampia, che non considera solo la ristretta dimensio-

01. Verona Est: carta dei limiti e delle opportunità a livello insediativo, infrastrutturale e ambientale-paesisticopercettivo. 02. Individuazione delle aree su cui sono stati approvati dei Piani Attuativi.

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SAGGIO

03-04. Strategia di rete: legenda e planimetria. 05-07. Strategie locali di recupero: riconversione, aree verdi, cronoprogramma di massima.

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ne dell’ambito di intervento né quella del suo più stretto intorno, bensì indaga l’insieme delle relazioni che il progetto stabilisce a livello urbano e territoriale. Riconoscere le relazioni con i diversi ambiti della città e il ruolo, che dentro essi, il progetto svolge permette di delineare un framework delle interazioni dentro cui procedere nel definire i caratteri propri del progetto e le sequenze delle soluzioni che esso propone. In questo senso l’elaborato ricerca una verifica di coerenza complessiva tra le singole trasformazioni previste e il sistema degli elementi coinvolti cogliendo e valorizzando l’insieme delle relazioni e facendo emergere (o più spesso riemergere) la struttura identitaria della città; - da ultimo si sperimenta, non senza difficoltà, una visione sistemica degli interventi e delle risorse urbane coin-

volte. Sperimentazione importante nel contesto attuale per poter leggere e riconoscere la città come sistema dentro cui le reti (materiali ed immateriali) si sovrappongono, generando nodi di differente complessità e stabilendo relazioni riconoscibili come rilevanti sia a livello intra-sistemico (connessioni tra ambiti urbani e territori), sia a livello infra-sistemico (relazioni tra luoghi e funzioni). L’insieme di questi tre temi rappresenta il nucleo principale dell’esplorazione progettuale proposta; una esperienza didattica che punta a focalizzare la propria attenzione sulla necessità di passare da visioni progettuali realizzate “al discreto” ad una elaborazione di carattere sistemico entro cui le singole progettualità si verifichino come complementari e coerenti.

il percorso proposto

Il percorso di elaborazione è partito dal verificare e contestualizzare l’esito di una attività di indagine sui fenomeni dell’abbandono e della dismissione nel perimetro urbano di Verona; questa indagine poneva in evidenza gli aspetti quantitativi del fenomeno dell’abbandono e sottolineava l’eterogeneità delle situazioni urbane entro cui questi luoghi si collocavano. Una seconda parte è stata dedicata al cogliere le modalità di trattamento di questi luoghi nell’ambito della pianificazione comunale; si è svolta un’attività ricognitiva volta al comprendere in che modo il valore identitario di questi luoghi trovasse uno specifico riferimento entro i progetti di trasformazione in discussione, e di come queste riflessioni spesso articolate si trasferissero entro gli strumen-

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ti che guidano, dal punto di vista normativo, i processi di trasformazione urbana. Questa ricognizione ha evidenziato come i progetti, anche laddove caratterizzati da una significativa attenzione relativamente ai temi di carattere architettonico, risultassero spesso difficili da leggere in termini di reciproca connessione e caratterizzati da un approccio frammentario e poco riconoscibile nei termini propri di una pianificazione urbanistica. Emergeva inoltre una ripetitività tipologica e funzionale delle soluzioni proposte, poco attenta a restituire il valore e le potenzialità relazionali che questi luoghi sono in grado di instaurare, sia con il loro intorno, ancora attivo e vitale, ma soprattutto, con altri frammenti, potenzialmente capaci di identificarsi in una rete di reciproche complementarietà. La terza parte dell’elaborato si è concentrata sulla formulazione di un progetto che cercasse di connettere alcuni dei luoghi segnalati come interessanti dal quadro analitico, prevedendo una rete coerente di interventi funzionale al rafforzarne le potenzialità reciproche e capace di metterle in relazione con le emergenze rilevate nel territorio circostante. L’elaborato finale di concept plan si propone quindi come uno strumento di verifica e di coordinamento delle singole proposte attuative e diviene strumento progettuale funzionale al fornire una visione sistemica dell’insieme degli interventi che si realizzeranno, seguendo percorsi e strategie attuative differenti, internamente al comparto di progetto.

scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni titolo Luoghi dell’abbandono: la rigenerazione urbana di Verona Est attraverso una visione sistemica progetto Dejan Tinto

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relatore prof. Carlo Peraboni anno accademico 2016-2017

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* Carlo Peraboni è Professore associato in Urbanistica presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. Il suo impegno accademico si è articolato, nel corso degli anni, in differenti attività: docente, coordinatore di progetti di ricerca, relatore di tesi di laurea e curatore di dissertazioni di dottorato. È componente del Collegio del Dottorato di ricerca in Architettura dell’Università di Firenze, curriculum di Architettura del paesaggio e responsabile della sezione Land Repair Lab presso il Laboratorio di Ricerca del Polo Territoriale di Mantova.

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Astrazione e realtà

Nel passaggio decisivo dalla didattica alla professione, l’insegnamento dell’architettura al Politecnico di Milano mette in opera la ragioni degli edifici nel difficile rapporto tra scuola e società Testo: Claudia Tinazzi *

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La storia dell’architettura, in particolar modo nel Novecento ma costantemente fino a tempi più vicini a noi, racconta quanto il progetto di tesi di laurea alterni, nelle biografie di molti architetti, un differente giudizio di valore che, in una intermittenza di merito, lo trasforma da ultimo esercizio didattico – ideale negli obbiettivi e nella distanza da concretezze e modi vicini alla professione – a primo progetto reale inserito in un lungo indice biografico che definisce via via una consapevolezza progettuale sempre più matura fino a trasformarla in prassi e consuetudine di un mestiere che ci accompagna per tutta la vita. È storia nota ai più che Gian Luigi Banfi, Lodovico Belgiojoso, Ernesto Nathan Rogers ed Enrico Peressutti, prima di fondare lo studio B.B.P.R., si laureano nel 1932 in Architettura al Politecnico di Milano scegliendo di discutere una tesi “di gruppo” anziché individuale – scelta non così consueta per quei tempi – che consisteva nella progettazione di una serie di edifici su un «terreno immaginario» con un taglio «prevalentemente accademico», in coerenza con l’impostazione data alla scuola milanese da Camillo Boito, che ne era stato direttore per anni. D’altro canto, la serie monografica di tre volumi che illustra la straordinaria sequenza di progetti realizzati o solo immaginati da Aldo Rossi pone all’indice, come primo progetto dell’autore, un teatro e un centro culturale immaginato nell’intersezione tra Corso Venezia e la cerchia dei Navigli a Milano, frutto della tesi di laurea discussa sempre al Politecnico di Milano nel 1959 sotto la guida di Piero Portaluppi. Nulla di paragonabile alla ricchezza di disegni, testi, riflessioni, fotografie che accompagnato le scelte progettuali successive

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ma la precisa intenzione di iniziare il corposo regesto personale con il racconto sintetico, un disegno e una descrizione del progetto finale della carriera universitaria, sembra oggi meno scontata di quanto possa apparire ad occhi distratti. Anche la contemporaneità ha esempi noti e meno noti, ma è forse importante sottolineare come il piccolo progetto di padiglione-museo per l’accesso agli scavi dell’Artemision (2007-2012) – che è valso a Vincenzo Latina il premio più prestigioso, la Medaglia d’Oro della Triennale di Milano nel 2012 – è in realtà il risultato di un ragionamento più ampio che a partire dalla tesi di laurea discussa allo IUAV sotto la guida di Francesco Venezia, riferita ad un museo archeologico proprio nella stessa area siracusana, ci possa far ridiscutere con ottimismo quella frattura che sempre di più sembra essersi creata tra la realtà all’interno e all’esterno dell’Università. Per tutte queste spinte ideali e per le ragioni sottese, è impossibile non considerare con serietà quanto l’occasione della tesi di laurea rappresenti per noi, al Politecnico di Milano, ma si può dire in tutte le Scuole di Architettura italiane, una scelta di campo capace di segnare indelebilmente l’indirizzo futuro di un architetto. In realtà crediamo che questo momento di passaggio, che ammette le due visioni opposte, possa prendere da entrambi i punti di vista le qualità più proprie, un felice strabismo: un progetto in un certo senso libero dai tempi spesso costretti della professione, ideale nel superare ragioni non sempre coerenti e spesso imposte da logiche lontane dalla qualità propria dei luoghi ma al tempo stesso concreto nella interpretazione più sincera del-

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01. Progetto di V. Villa, F. Zullo: assonometria del nuovo Polo Universitario nel comparto di Borgo Roma a Verona. 02. Collage: le preesistenze del manicomio e le nuove giaciture di progetto.

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la realtà, un progetto in cerca di un confronto – diretto o indiretto – con le ragioni che rendono l’architettura necessaria. La fatica che sempre più spesso accompagna il lavoro nelle nostre Università obbliga oggi a una profonda riflessione sull’insegnamento, costringe ciascuno di noi, impegnati a diverso titolo nella Scuola, a domandarci ormai quotidianamente ciò che Rosaldo Bonicalzi nel 1979 ha posto con determinata semplicità ad Aldo Rossi: “Perché insegni? AR: Potrei risponderti che, come tutti gli italiani, cerco un posto sicuro, la mutua e la pensione, in realtà se cercassi questo potrei accettare situazioni migliori all’estero. Non insegno nemmeno per passione o amore all’insegnamento come dicono molti miei colleghi. E allora? Forse perché da quando ci siamo ostinati a cambiare l’Università credo che la Scuola sia parte della realtà italiana e che possiamo lavorare per il progresso. Finora siamo stati smentiti dal Ministero. Ora vedremo. Casomai potremo andarcene”. A quarant’anni di distanza la risposta di Rossi, nel suo disarmante disincanto, non sembra poi così lontana dall’oggi, da ciò che ancora crediamo e cerchiamo di portare avanti nelle nostre aule. Cambiare l’Università ma anche in qualche modo partecipare attivamente della collettività nella quale viviamo, rovesciare e ridiscutere quel difficile rapporto tra la Scuola e la Società. Non crediamo sia possibile insegnare a progettare, educare a immaginare e costruire l’architettura senza ambire a questo profondo radicamento alla Società e quindi alla realtà che viviamo. Non lo crediamo perché da studenti abbiamo riconosciuto e ammirato, nella guida di alcuni maestri

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l’importanza di questo radicamento, non lo crediamo perché da architetti questo attaccamento alla realtà preme innanzitutto a noi, non lo crediamo – ancora – perché la contemporaneità sembra richiedere prepotentemente questa rifondazione per non isolare completamente e definitivamente le ragioni profonde della nostra disciplina. Solo così questo incontro può farsi costruttivo, ovvero quando la profondità di una ricerca che per definizione è garantita dall’istituzione universitaria può dialogare con la città, con le differenti realtà urbane e con i suoi protagonisti. Spesso, come docenti, siamo chiamati a frenare quell’ansia di immaginazione veloce del presente e del futuro per alimentare con pazienza quel desiderio di conoscenza, di adeguatezza e di bellezza alle volte solo faticosamente intuito dai giovani futu-

« I progetti di tesi diventano possibilità di un dialogo positivo quanto critico tra la composizione, la tecnologia, le strutture » ri architetti, spesso rallentando noi stessi e ricercando ancora oggi quei capisaldi irrinunciabili da cui non poter prescindere, ma allo stesso tempo sperimentando quei gradi di libertà necessari per formare i giovani con onestà. Nessun compromesso, ma libertà dovute per poter essere capaci responsabilmente delle future scelte. Il dialogo positivo, il confronto propositivo ma oggi anche il confronto serrato tra docenti e studenti incarna come sempre, concretamente, questo confine entro il quale tutto accade.

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Scontro tra aspettative sempre nuove e metodi consolidati, tra aspirazioni giovani e ricerche profonde in atto da tempo. Ernesto Nathan Rogers scriveva: “L’insegnamento diventa sempre di più un colloquio fra docente e discente, dove il primo potrà largire i risultati della sua esperienza, delle sue opere, delle sue meditazioni, delle sue conoscenze elaborate lungo gli anni e pertanto statisticamente più probanti, ma non potrà mai imporre una dottrina precostituita che serva da tranquilla norma nella quale si acqueti l’ansia dei più giovani”. Forse è questo l’unico atteggiamento con cui affrontare la Scuola oggi, da docenti, da architetti e da studenti. In questa prospettiva i diversi gradi di libertà possono aleggiare nelle nostre aule; allargare o stringere queste libertà è compito di chi guida, fissare i principi fondanti rimane la questione cruciale per stabilire i confini della ricerca e garantire risultati trasmissibili mai personali o autocelebrativi. La disponibilità, la passione ma anche la fiducia, spesso inconsapevole di chi

03. Attacco a terra dei nuovi edifici e vista dall’autostrada A4. 04. Sezione prospettica della nuova biblioteca e auditorium.

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05. Esploso assonometrico generale. 06-07. La torre dei dipartimenti, vista e piano tipo. 08-09. L’edificio della biblioteca-auditorium, vista e piano delle sale lettura.

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apprende, può realmente permettere di lavorare assieme, con verità ad un progetto comune. L’architettura stessa in fondo è ricerca, ricerca incessante della forma più adeguata ai temi che la Società pone, di quella forma eloquente che è coerenza perfetta tra il significato, le ambizioni, l’idealità ma anche le regole e la ragione degli edifici che siamo chiamati a costruire. “L’architettura dunque mette in opera la ragione degli edifici. Ragioni che appartengono al reale; non le inventa né tanto meno le impone chi progetta. Chi progetta, se è capace, le porta alla luce”. è questa capacità critica, di cui scrive Antonio Monestiroli, alla quale crediamo sia importante tendere nel nostro lavoro, a Scuola come al di fuori, nella continua verifica sincera tra le ragioni più profonde e le aspirazioni più ideali ed è questo il punto di partenza da

cui dovrebbe partire ciascun progetto di tesi. Obiettivo principale di ognuna ricerca espressa attraverso un progetto concreto diventa quindi quello di creare un luogo all’interno dell’Università dove, con il tempo necessario, volutamente privo della cecità prodotta dall’ansia di una conclusione vicina, ristabilire in modo chiaro il rapporto fra teoria e progetto, tra la città e l’architettura, tra l’architettura e la sua costruzione. Questa profondità in un certo senso “spensierata” e “senza committente” ci permette di individuare i temi e le realtà urbane non ancora al centro del dibattito politico e culturale di una città, o al contrario ogni ricerca usa a pretesto una concretezza solo intuita per sottolineare valori celati più generali capaci di ribaltare la visione di un manufatto, di un pezzo di città o della città stessa. Ecco allora che il possibile ampliamento della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università di Verona nell’area del complesso ospedaliero di Borgo Roma – mostrato in queste pagine e discusso nell’a.a. 2017-2018 a Milano – si pone a pretesto, a partire da una concreta domanda attuale di nuovi spazi per la didattica, per riconsiderare un’area di Verona la cui crescita più recente sembra aver cancellato piccole tracce di una storia sedimentata fatta di preesistenze architettoniche da preservare, di segni naturali parti di un sistema territoriale radicato da far riemergere e di una vocazione assistenziale dell’area che riconosce nel susseguirsi di lebbrosari, xenodochi ed hospitali una sostruzione sociale che può ancora oggi costituire un’opportunità interna alla città di Verona ma allo stesso tempo di respiro nazionale e internazionale in riferimento alla struttura di ricerca.

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Il progetto, nell’interpretazione più contemporanea del tema che incrocia Università e Ospedale, evolve questa lunga tradizione riconosciuta, insediando in continuità con gli spazi per la cura il nuovo centro universitario e di ricerca immaginando un unicum che permetta l’incrociarsi delle due comunità a cui la nuova cittadella è dedicata: i medici, i pazienti con le loro famiglie e gli studenti, i docenti e ricercatori. Le impronte al suolo si sommano in questo progetto alle stratificate linee che nel tempo hanno definito un territorio lontano dalla città storica oggi fortemente inciso solo dai segni più contemporanei, dall’infrastruttura autostradale che ne coglie solo i caratteri frammentari. I nuovi edifici, ciascuno con il proprio carattere definito dalle attività interne, seguendo le giaciture degli antichi confini in parte ancora esistenti, sottolineano il senso di protezione e riservatezza che da sempre contraddistingue questi luoghi adibiti alle cure assistenziali. Aule didattiche, spazi per la ricerca, biblioteca e auditorium nella loro giustapposizione misurata sottolineano un disegno che in realtà sembra quasi solo riscoperto a partire dal rapporto con lo spazio verde, contenuto all’interno, che ne diventa centro. Prefigurando così quell’idea di professione “colta” arricchita dalle qualità interdisciplinari, i progetti di tesi diventano possibilità di un dialogo positivo quanto critico tra le diverse discipline – la composizione, la tecnologia, le strutture – nel confronto spesso serrato ma condiviso tra architetti e ingegneri che nel migliore dei casi costruisce grandi tavoli di lavoro rivolti all’onesta qualità e profondità del progetto. Un obbiettivo tanto vero nelle nostre aule quanto nelle nostre città.

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni titolo Un ponte tra università e azienda ospedaliera. Progetto del nuovo Polo Universitario nel comparto di Borgo Roma a Verona progetto Vittoria Villa, Francesca Zullo relatore prof. Massimo Ferrari correlatore: prof. Claudia Tinazzi anno accademico 2017-2018

* Claudia Tinazzi (Verona 1981) si laurea in architettura nel 2005 al Politecnico di Milano con Antonio Monestiroli. Dottore di ricerca all’Università IUAV di Venezia, svolge dal 2005 attività didattica e di ricerca alla Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano. Dal 2013 è docente a contratto di Composizione architettonica e Urbana nello stesso ateneo. Nella sua attività di ricerca ha approfondito la figura di alcuni architetti del Novecento, in particolare il lavoro di Aldo Rossi.

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Di vite e di pietra Il ruolo della scuola di architettura tra ricerca, didattica e apertura verso il territorio: Firenze e l’esempio del progetto per una cantina in Valpolicella Testo: Michelangelo Pivetta *

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terza missione

Vi sono occasioni necessarie nell’ambito dell’educazione universitaria, passaggi fondamentali per studenti e docenti che vanno affrontati e superati non solo in quanto parte di una asciutta programmazione ministeriale ma perché oggetto insito nelle finalità di quello strano ambiente, sempre in bilico tra ricerca, didattica e professione che nei dipartimenti di architettura trova luogo più che in altri. L’Università da anni punta sempre di più verso l’apertura al mondo esterno, recuperando finalmente buona parte di quelli che furono, fin dai tempi di Irnerio e della Scuola di Diritto di Bologna, i fondamenti del rapporto tra Scuola e Società, fino ad introdurre recentemente a chiare lettere il concetto di “terza missione” come attività centrale e di “apertura verso il contesto socio-economico mediante la valorizzazione e il trasferimento delle conoscenze”. Così accade che aziende o privati richiedano all’Università di svolgere attività di supporto allo sviluppo di temi particolarmente complessi, che condotte in collaborazione con realtà produttive e professionali hanno l’obiettivo di ampliare le possibilità di successo attingendo al vasto bacino di conoscenza e risorse umane che l’istituzione universitaria è in grado di offrire. Ma la “terza missione”, è bene ricordarlo, non può essere avulsa dai precedenti due mandati, anzi, in un processo di continua osmosi i diversi ambiti contribuiscono in modo omogeneo all’accrescimento di sé stessi. Ricerca e didattica quindi supportano il trasferimento di conoscenze così come quest’ultimo rigenera e modifica gli assunti raccolti ed espressi negli

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altri due: un ciclo chiuso in cui teoria e prassi trovano reciproco supporto e applicazione. In questo sistema di relazioni vi è la possibilità di mettere in campo, per una verifica preliminare, le energie di studenti a conclusione del loro percorso di studi e alla ricerca di temi con cui terminare la propria esperienza di studenti ed iniziare, allo stesso tempo, quella di professionisti. Lo svolgimento di tematiche specifiche durante il percorso di tesi ha l’innegabile valenza di approssimare in modo sempre più vicino al “reale” l’attività progettuale degli studenti, quindi di confrontarsi con problematiche oggettive, fattuali, così da essere in grado di predisporre soluzioni verificabili direttamente sul campo. La virtù di un percorso di tesi svolto in questo modo acquisisce quello spessore che forse dovrebbe sempre avere l’ambito dell’architettura, divenendo contenitore per esperienze di tipo multidisciplinare e luogo di scambio tra giovani energie e realtà sovente ieratiche nel loro assecondare la consuetudine come fatto imperscrutabile. Su queste basi, nel 2016 un’azienda vinicola ha siglato con il Dipartimento di Architettura di Firenze una convenzione per il supporto tecnico ad un articolato progetto di miglioramento fondiario di un terreno nell’alta Valpolicella con l’obiettivo, né semplice né semplicistico, di riconfigurare attraverso il progetto di architettura non solo l’idea legata alla produzione del vino ma, in modo più ampio, proporre un nuovo campo di relazioni tra territorio, paesaggio e produzione che fossero in grado di evolvere la spesso riduttiva prassi cognitiva del vino in Valpolicella. Da qui dopo più di un anno di lavo-

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01. La loggia aperta sul paesaggio. 02. Nel planivolumetrico, la geometria della cantina è completata dal padiglione delle degustazioni e dalla guest house. 03. L’appassimento: nuovi templi e nuovi sacerdoti.

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ro affiancato da paesaggisti, enologi, consulenti agrari ed esperti di marketing, l’architettura ha preso forma non solo in una soluzione edilizia ma in un più ampio insieme sinergico di proposte che, una volta realizzate, andranno a costituire una novità quasi assoluta rispetto al territorio. Un successo disciplinare dell’Università quindi, che producendo ricerca con l’ausilio di laureandi e borsisti e mettendola infine al servizio della collettività, è riuscita a dare compimento, all’unisono, a tutti i suoi fondamentali mandati. Bacco Reloaded: un memoriale per il vino

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04. Dall’alto, piante a livello dell’appassimento, zona visitatori e cantina. 05. Sezione trasversale tipo. 06. La torre delle barrique antiche. 07. Pianta e veduta del padiglione delle degustazioni estive. 08. Prospetti verso valle.

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Il dio del vino come del piacere e dell’estasi è noto per esser un’entità insidiosa. I riti a lui dedicati per qualcuno, solitamente, finivano male. Bacco è un dio di bellezza anomala, fuorviante, le cui origini fisiologiche lo pongono al confine anche della mitologia: generato dalla madre fu cresciuto in una coscia di suo padre, Giove. Una impressionante traslazione biologico-chirurgica del grembo tale da far meditare sulla singolare attualità di questo antico mito, degno di una novella di William Gibson. Attribuito ai riti di questo dio è stato ritrovato qualche anno fa nella piana di Lucca, perfettamente conservato, un tempio ligneo di epoca etrusca. Sorgeva su un isolotto dell’antica palude circondato da un vitigno del quale sono emersi dagli scavi anche i tralci e le foglie. All’interno solo una panca a evocare ancora oggi la sacralità del rito del simposio contenuto in un’architettura dell’assenza dove l’unico ornamento è un antenato italico del blockbau.

Questa architettura del passato resiste a raccontarci come vi siano imprescindibili valori che legano il rito al suo dio, come la liturgia che per secoli ha legato la divinità, attraverso il suo nettare, ai suoi devoti sia ancora in qualche modo potentemente rintracciabile, sotto forme diverse, ai giorni nostri. Allo stesso modo e in qualche misura, le dinamiche proprie della terra a ovest di Verona, compressa tra le Prealpi, il Garda e intagliata dalla cesura dell’Adige, comunicano una sana resistenza del contadino ad aprire le porte di quercia della propria cantina e divulgare i segreti del suo lavoro. Non perché abbia nulla da nascondere ma perché il vino che produce è frutto della terra, del lavoro fisico, dell’antica saggezza della famiglia. Vi è un acuto senso di identità legata all’idea di radici tra coloro che vinificano per passione prima che per lavoro. Nella Valpolicella le cantine, quelle autentiche, hanno centinaia d’anni e sono il caveau (il francese c’azzecca sempre) in cui è raccolta e protetta la parte più pura del legame con la terra e la pietra che le ha costruite, quella sostanza del tutto che qui trova compimento in un unico prodotto. Questi aspetti hanno avuto il modo di incanalarsi in un pensiero critico divenendo le basi per questo progetto che è frutto di un lavoro di cui l’esito compositivo è solo l’ultima propaggine. La cantina vuole riassumere un’ideale posizione dell’architettura nel suo ampio confronto con i temi della trasformazione agricola e del territorio, dell’insediamento e del paesaggio, del lavoro e della sua orgogliosa manifestazione. Il progetto, in definitiva, è escamotage per parlare d’altro, per mettere in mostra, prima di tutto, non sé stesso

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scuola Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Architettura titolo Memorie retiche. Progetto di una cantina in Valpolicella progetto Elisa Monaci, Luisa Palermo

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relatore prof. Michelangelo Pivetta correlatori: prof. Luca Barontini arch. Davide Lucia

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come troppo spesso accade nella contemporaneità, ma ben altro. La composizione vuole essere strumento attraverso il quale raccontare millenni di cultura del vino e di escavazione della pietra, modificazione della natura in paesaggio, lavoro dell’uomo su di un contesto che delle tracce agricole e delle cave mitiche che hanno costruito antichi monumenti ha fatto vere archeologie. Ciò che emerge alla fine è una sorta di composizione geometricamente ipotattica: solo un muro e alcuni piccoli frammenti. Un esploso funzionale attorno ad un muro tra infi-

niti altri, fatto della stessa pietra cavata da sempre ma costruito secondo nuove regole della tecnica, prossimo, anzi già necessariamente all’interno del discorso della non forma. Questo muro non è sostruzione di terreni come i suoi progenitori ma, come il tempio lucchese, contenitore silente, nuovo tempio, qui dell’arte peculiare dell’appassimento delle uve. Un transito funzionale come per la gestazione di Bacco, dal grembo di Semele alla gamba di Giove, dalla terra alla vite, dalla pietra all’edificio. Tutto il resto è ciò che è strettamente necessario: percorsi didattici delle paleo-cave e

della biodiversità della zona, vigneti sperimentali e di salvaguardia per le rarità e infine un padiglione effimero, tempio nel tempio, ove la liturgia della comunione con il dio, solo in alcuni precisi momenti dell’anno, potrà ancora aver luogo. L’architettura, quella distante dalle logiche della mercificazione, necessita di esprimere sé stessa attraverso occasioni di dialogo e scontro con gli elementi che ne determinano i confini, di qualsiasi natura essi siano, perché così ha modo di raccontare, come in questo caso e ancora una volta, vere e grandi storie.

anno accademico 2015-2016

* Laureato presso l’Università IUAV di Venezia con Franco Purini, Michelangelo Pivetta ha conseguito il Dottorato in Progettazione Architettonica e Urbana presso l’Università di Firenze, dove è Ricercatore abilitato IIa Fascia e Professore Aggregato di Progettazione Architettonica presso il Dipartimento di Architettura. Il principale campo di applicazione della sua ricerca teorica è il progetto e il suo manifestarsi attraverso l’equilibrio effimero tra tecnica, forma e costruzione.

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PROGETTO

Verso il paesaggio

Le declinazioni del progetto nel passaggio dalla cittĂ consolidata alla dimensione estesa del territorio: misura e scala degli oggetti architettonici in relazione ai caratteri ambientali e paesaggistici

Testo: Angela Lion, Daniela Tacconi

Verona Monte Baldo

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Verso quale paesaggio la nostra società vuole mirare, oggi? Quali le politiche di tutela? Su che scale urbanistiche, ma soprattutto urbane, e su quali principi progettuali si vuole fondare il nostro prossimo futuro? La Convenzione europea del paesaggio tenutasi a Firenze il 20 ottobre del 2000 definisce il paesaggio come una “determinata parte di territorio, cosi come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”, introducendo i concetti di politica del paesaggio, di obiettivo di 02 qualità paesaggistica, di salvaguardia e di gestione dei paesaggi e infine di questi studenti – ora architetti laureapianificazione dei paesaggi. A ognu- ti – partendo dalla ricerca storica, acno dei diversi punti la Carta dà una curata e puntuale, attraverso esempi mission: salvaguardia e pianificazio- similari fino alla sintesi progettuale. ne, definizione di un ambiente di vita, Il rapporto tra architettura e paesagconservazione attraverso l’interven- gio può essere declinato sia in chiato – o meno – dell’uomo per uno svi- ve conservativa quando la dimensione luppo sostenibile storica è preponarmonizzando i derante – vale « La dimensione vari processi mel’esempio dei repaesaggistica è la chiave tamorfici dovuti sti del Lazzadi lettura dei lavori allo sviluppo soretto nel quadro presentati partendo da ciale, economico del parco fluviale e ambientale, ma tematiche e scale differenti dell’Adige – sia soprattutto atin termini innoe proponendo differenti traverso “le aziovativi alla ricerspunti progettuali » ni fortemente ca di un nuovo lungimiranti, equilibrio comvolte alla valorizzazione, al ripristino positivo, come nel sistema delle coro alla creazione di paesaggi”. ti agricole della pianura veronese, Questa convenzione altro non è che esempi di edifici caratterizzanti l’ala chiave di lettura dei percorsi che le zione dell’uomo nella costruzione del tesi presentate hanno affrontato, par- paesaggio antropizzato. Per giungetendo da tematiche e scale differenti e re al respiro territoriale delle reti di proponendo differenti spunti proget- percorsi, sia in senso strategico che in tuali. Temi complessi, idee lungimi- chiave simbolica, segnate da elementi ranti ricche e articolate hanno saputo architettonici puntuali. cogliere il nocciolo di questioni at- Il paesaggio altro non è che lo spectuali. Il territorio veronese, dalla pia- chio della società in cui viviamo: gli na fluviale ai rilievi montuosi, è sta- artefici li dobbiamo ricercare solo in to letto e interpretato dalla mano di noi stessi. (AL)

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01. Particolare della rovina del tempietto al Lazzaretto di Verona (foto di Lorenzo Linthout). 02. Il corso dell’Adige a sud della città. 03. Il monte Baldo: un tratto dell’itinerario CAI 651 nei pressi dell’inizio della riserva LastoniSelva Pezzi.

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Quattro corti

La ricchezza del paesaggio veronese, nei suoi tratti geografici e nella sua organizzazione territoriale, è la risultante di una ricerca approfondita e puntuale di tessuti dalla storia antica. Questo è quanto racconta Andrea Fratton nel suo progetto incentrato su un’area a sud di Verona, dal quartiere di S. Lucia fino ad Alpo, Povegliano e Grezzano. Attraverso un’analisi approfondita della

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PROGETTO

Verso il paesaggio

morfologia dei luoghi in assenza di uno sviluppo lineare nella suddivisione fondiaria, della storia dei siti e del paesaggio in continua evoluzione, si arriva al tema progettuale del riuso della corte volto a fini sociali. “È possibile pensare a un recupero di queste vecchie strutture come nuovi centri aggregativi? La scommessa di questo lavoro - afferma Fratton - è cercare di integrare i caratteri spaziali propri di tali nuclei con le necessità funzionali contemporanee, attraverso un disegno compositivo unitario”. Il progetto diventa significativo nel momento in cui, a seconda dell’area d’intervento, se ne comprendono le potenzialità e i bisogni, variando così le proposte per i quattro esempi individuati, tre nel comune di Povegliano e uno a Villafranca. In passato il fulcro della vita lavorativa e sociale delle campagne era la corte. Nel tempo il processo che ha portato all’abbandono delle zone agricole ha rivisto anche l’assetto insediativo, modificandone il modo di vivere di questi spazi costruiti. Cambiando le forme dell’abitare, cambiano anche le abitudini. Quello che si sfalda non è solo un tessuto insediativo, ma anche

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un tessuto sociale che perde coesione. Da qui l’obiettivo di riportare le cascine al loro ruolo di centralità territoriale, integrando le attività agricole con usi sociali quali fattorie didattiche, centri di studio, foresterie o centri di recupero per persone in difficoltà. Per Corte Ortaia l’intervento di recupero è volto alla conservazione con il ripristino delle parti ammalorate e l’aggiunta di alcuni nuovi corpi di fabbrica che contribuiscono a definire un nuovo spazio a corte. Corte Piletta, isolata nella campagna irrigua e toccata solo da una strada bianca tra Povegliano e Grezzano, è destinata a centro diurno per disabili assieme a una foresteria e spazi multifunzione, che occupano sia l’antica pila secentesca lungo il canale che la vicina stalla con porticato e la più recente casa colonica a sud. Su Corte Nuova, composta da tre blocchi con caratteristiche estremamente diverse, l’articolato progetto adibisce all’ospitalità e a funzioni annesse dedicati gli edifici preesistenti e i nuovi. L’approfondimento progettuale su Cascina Verde a Villafranca di Verona prevede la conservazione

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni titolo La campagna come luogo del vivere condiviso. Sul recupero di quattro corti agricole tra Villafranca di Verona e Povegliano Veronese progetto Andrea Fratton relatore prof. Massimo Ferrari correlatore: prof. Claudia Tinazzi anno accademico 2019-2020

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04. Progetto di A. Fratton: uso del suolo, gerarchie e modelli insediativi in ambito padano. 05. Cascina Verde, planivolumetrico e assonometria. 06. Corte Nuova, planivolimetrico e veduta prospettica. 07. Corte Ortaia, veduta prospettica. 08. Cascina verde, veduta prospettica. 07

del corpo dominicale, la demolizione dell’annesso rustico piÚ recente e una nuova addizione. Obiettivo: avviare un nuovo centro per la vendita di prodotti agricoli coltivati e trasformati nelle aree limitrofe, con annesso orto, serra, ristorante e laboratorio per la trasformazione dei prodotti. A fronte di una disposizione volumetrica lineare emerge rispetto alle altre proposte la complessità del nuovo fabbricato, che comprende una serra, un ristorante aperto sulla corte e sul filare di piantata, magazzini e depositi e infine un blocco servizi. (AL)

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PROGETTO

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09. Progetto di E. Bortoli, A. Pellizer: il Lazzaretto all’interno dell’ansa fluviane nel Parco dell’Adige sud. 10. Pianta e profili, stato attuale. 11. Elementi per la ricomposizione volumetrica delle celle.

Lazzaretto

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Punto di partenza dell’analisi progettuale sul Lazzaretto di Verona ad opera di Elena Bortoli e Alberto Pellizer è lo studio delle cause che hanno portato alla realizzazione di strutture di questo tipo a seguito della diffusione del morbo della peste, da metà del XIV secolo fino alla sua quasi totale scomparsa nel XVIII secolo. Luoghi di prevenzione e medicamento ma anche di segregazione, isolamento e controllo, i lazzaretti diventano ben presto elementi architettonici ben definiti: spazi chiusi, posto debitamente fuori dalle città, circoscritti e invalicabile, definito da elementi con una funzione ben definita (celle, locali di servizio e luoghi di preghiera). Il Lazzaretto di Venezia, quelli di Milano e Genova, gli esempi di La Spezia, Messina, Livorno, Cefalonia, e poi Corfù, Fiume, Ancona, Cagliari, Trieste, Montenegro, Ragusa, Bergamo e infine Trapani fanno parte di quei modelli architettonici di confronto che hanno consentito una let-

tura più puntuale e articolata dell’esempio veronese. Sorto ad est del fiume in un’area di natura alluvionale che per il suo modificarsi è definita ‘oltre Adige, rimane a tutt’oggi dopo la sostanziale espansione urbana ottocentesca, ai margini della città . Del Lazzaretto si conserva solo in parte il tempietto del Sanmicheli, eretto nel XVI secolo. L’origine dell’impianto architettonico risale al Cinquecento; la complessità tipologica dell’insieme è restituita, oltre che dall’analisi storiografica e dal confronto con i modelli di riferimento, dall’anamnesi attraverso il rilievo fotografico e quello architettonico. Le scelte progettuali sono guidate dall’intento di conservare, proteggere e valorizzare lo stato di rovine in cui sono giunti ai nostri giorni il tempietto, le celle e gli altri frammenti dell’impianto originario a seguito delle due esplosioni del 1945. La finalità del progetto di restauro è proteggere i resti, ricreare l’idea dello spazio delle celle con una doppia copertura, ripristinare la cupola del tempietto, creare un giardino con se-

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scuola Università IUAV di Venezia Corso di Laurea Magistrale in Architettura per il Nuovo e l’Antico titolo Oltre le rovine. Un parco archeologico nei pressi dell’Adige. Progetto di conservazione e valorizzazione del Lazzaretto di Verona progetto Elena Bortoli, Alberto Pellizzer relatore prof. Emanuela Sorbo anno accademico 2017-2018

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dute per eventi e passeggiate con lo scopo di valorizzare il luogo e renderlo parte del Parco Naturale dell’Adige. “Le rovine di un edificio, mostrano che altre forze e altre forme, quelle della natura, sono cresciute nelle parti scomparse o distrutte dell’opera d’arte (…). In altri termini, il fascino delle rovine è che un’opera dell’uomo viene percepita alla fine come un prodotto della natura” (Georg Simmel, Saggi sul paesaggio). (AL)

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12. Veduta della soluzione di progetto per la parziale ricostruzione delle celle. 13-14. Esplosi degli elementi e veduta del tempietto con la copertura ricostruita.

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Verso il paesaggio

PROGETTO 15. Progetto di M. Morganti: analisi del sistema del verde, delle funzioni e delle infrastrutture. 16. Approfondimento progettuale: masterplan. 17. Schema strategico. 18. Il sistema delle connessioni: reti e nodi per la mobilità lenta.

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Parco Adige nord

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Il doppio abbraccio con cui l’Adige cinge il centro di Verona nasconde il rapporto duraturo, esclusivo, spesso proficuo ma talvolta tormentato tra la città e il suo fiume: l’Adige per secoli ha rappresentato una risorsa energetica e una fonte di benessere per i cittadini, ha garantito il collegamento alle rotte del nord Europa assicurando a Verona una rilevanza commerciale, militare e strategica. Ha contribuito allo sviluppo della città ma ha anche provocato con le sue piene danni e distruzioni, condizionandone la conformazione. Col tempo l’economia è cambiata e i rapporti con il fiume sono diventati sempre più fragili, fino a ridursi quasi del tutto con la costruzione dei nuovi muraglioni dopo la grande alluvione del 1882. Il progetto di Matteo Morganti propone di restituire all’Adige un ruolo da protagonista, trait d’union tra aree urbane diverse ma anche tra città e provincia. Le potenzialità del percorso lungo il fiume vanno dalla capacità di collegare aree lontane a quella di recuperare il rapporto perduto tra la città e l’acqua, alla possibilità di garantire una maggiore sicurezza per la mobilità ciclo-pedonale. L’ambito di studio individuato è il Parco dell’A-

dige Nord, un’ampia area verde tra Verona e Parona che può essere valorizzata proprio grazie al lungadige che lo attraversa. Ma come attribuire un’identità a un’area che, sebbene in parte già evidenziata nel Piano degli Interventi per la sua vocazione a diventare parco, risulta ancora priva di un’immagine e di funzioni riconoscibili? La proposta elaborata individua qui un possibile punto nodale per la mobilità lenta; il tragitto ciclabile già esistente lungo l’Adige, che attraversa la zona del parco, permette di raggiungere agevolmente Pescantina, ma garantisce anche un facile collegamento ad altri percorsi di rilevanza sovraregionale come la Ciclovia del Sole e quella verso Venezia. Il parco in questa prospettiva può strutturasi in modo da accogliere una varietà di funzioni legate alla mobilità ciclabile, riutilizzando con risorse limitate alcune costruzioni abbandonate: una ex fabbrica può diventare un centro servizi per ciclisti, una vecchia corte rurale può rinascere e trasformarsi in ostello. Tra le nuove funzioni non devono infine mancare piccole attività commerciali che forniscano beni e servizi ai ciclisti, capaci di produrre ricavi da reinvestire nello sviluppo e nella manutenzione del parco. Se questo progetto ha come obietti-

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Polo territoriale di Mantova titolo RE3: a strategy to RElink the Adige with its territory. REdiscover, REclaim, REdefine progetto Matteo Morganti relatore prof. Chiara Geroldi correlatore: arch. Andrea Castellani anno accademico 2016-2017

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vo principale la restituzione del fiume alla sua città tramite la creazione di nuovi spazi pubblici lungo le rive - in linea con sperimentazioni analoghe avviate in varie città europee - il suo successo dipende in primo luogo dall’attivazione di funzioni che, oltre ad attrarre i cittadini, siano sostenibili dal punto di vista sia economico che ecologico. La ricerca di un sistema efficace di funzioni prende le mosse dall’analisi della vocazione dei luoghi e dall’indagine tramite sondaggi delle percezioni dei potenziali utenti, risulta quindi indispensabile per scongiurare l’ennesima creazione di spazi pubblici destinati a rimanere sottoutilizzati o peggio ancora del tutto abbandonati. (DT)

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PROGETTO

Verso il paesaggio

19. Progetto di G. Brunoni, C. Tezza: inquadramento territoriale dell’area di studio. 20. Sviluppo planimetrico e altimetrico del sentiero CAI 651 con l’indicazione degli interventi proposti. 21. Fotoinserimento dell’intervento Porta 651.

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Monte Baldo

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Eugenio Turri considerava il Monte Baldo “un modello di mondo”, una sorta di territoriomuseo capace di illustrare storie primordiali che parlano di geologia, di ghiacciai, di piante e di animali che si adattano per sopravvivere. Per valorizzare e divulgare la conoscenza dei molteplici aspetti che caratterizzano la catena montuosa del Baldo, il progetto di Giulia Brunoni e Christian Tezza propone lungo il sentiero CAI 651 un itinerario composto da sette tappe, che percorre il crinale superiore dalla stazione di arrivo della funivia panoramica Malcesine-Monte Baldo al Rifugio Telegrafo. Si definisce così una sorta di museo diffuso composto da una sequenza di stazioni architettonico-paesaggistiche, dedicate ciascuna a un carattere peculiare che contraddistingue la catena baldense. 1. Porta 651 (Introitus). A poca distanza dalla stazione di arrivo della funivia una sequenza verticale di pannelli in acciaio brunito rappresen-

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scuola Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Polo territoriale di Mantova titolo CAI 651. Un percorso di valorizzazione sull’Altavia del Monte Baldo progetto Giulia Brunoni, Christian Tezza relatore prof. Sara Protasoni anno accademico 2014-2015

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ta l’introduzione al percorso; un padiglione a cielo aperto rivestito con lo stesso materiale illustra l’intero progetto. 2. Le Fasce Fitoclimatiche (Graduale). Un volume proteso a sbalzo sul versante ovest del Baldo offre al visitatore un punto panoramico sulla vegetazione dei declivi sottostanti: su un dislivello di quasi duemila metri si succedono gradualmente cinque fasce fitoclimatiche diverse, una varietà eccezionale che ha reso famoso il Baldo, dovuta alla sua conformazione e all’effetto mitigatore del lago. 3. Il Circo Glaciale (Tractus). La tappa inserita nella Val d’Angual ricorda l’origine della conca naturale che la accoglie, uno dei sette circoli glaciali del Baldo; una passerella aerea in acciaio brunito evidenzia il tratto di parete subverticale che costituisce la testata del circolo. Al termine del per-

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22. Fotoinserimento dell’intevento “Le Fasce Fitoclimatiche”. 23. La nuova segnaletica proposta per l’intero itinerario. 24. Schemi concettuali relativi a “Le Fasce Fitoclimatiche”. 23

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PROGETTO 25. “Il Circo Glaciale”: percorso di inquadramento e planimetria. 26. Fotoinserimento dell’intervento “Il Circo Glaciale”. 27. Dettagli esecutivi: sezione trasversale e longitudinale della scala.

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corso un punto informativo illustra la formazione del sito. 4. La Fauna (Offertorio). Per mostrare la grande varietà della fauna locale viene scelta una formazione rocciosa sagomata dall’erosione dei ghiacci e delle acque; il progetto prevede di ridefinire il sentiero, in questo punto più stretto a causa dei fenomeni franosi, delimitandolo con pannelli la cui giacitura si adegua alle irregolarità delle rocce esistenti. In una cavità naturale sono posizionate alcune sedute in calcestruzzo per la sosta e l’attesa dei camosci che si offrono alla vista. 5. Il Bivacco (Hallelujah). Al riparo di una parete rocciosa pressoché verticale il volume progettato, rivestito di lastre in zinco-titanio, segue l’inclinazione delle vicine stratificazioni dolomitiche. Dotato di autosufficienza energetica e idrica, garantisce un riparo per gli escursionisti riconoscenti. 6. La Morfostruttura (Antifona). La vista sul versante est rivela i meccanismi orogenetici che hanno formato il Baldo: una serie di pieghe a conca-

vità inversa che si alternano, come in un’antifona, in anticlinale e sinclinale. Il progetto di questa tappa è una scultura spigolosa in lastre di acciaio brunito, un’interpretazione della morfostruttura baldense derivata dalla sua detriangolazione. 7. Telegrafo (Communio). La tappa si propone di riordinare la zona di arrivo al rifugio Telegrafo, individuando due assi principali su cui posizionare gli elementi di progetto; la creazione di gradonate con lamine in acciaio infisse a terra e pietrame riprofilano i sentieri che qui convergono; viene sistemata la piattaforma per gli elicotteri e creata una zona conviviale semicircolare, luogo di ritrovo e condivisione per gli escursionisti. La conquista del massiccio baldense si configura dunque come un percorso iniziatico, una figurativa ascesa mistica cadenzata da tappe che, come canti liturgici in una funzione religiosa, conducono alla progressiva presa di coscienza di un mondo unico e prezioso.

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28. Sezione trasversale e longitudinale dell’intervento “Telegrafo”. 29. Fotoinserimento di “Telegrafo”.

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