architetti napoletani 11 - aprile 2009

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architettinapoletani

rivista bimestrale dell’ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori di napoli e provincia

numero speciale - aprile 2009

Paolo Pisciotta

presidente

Gerardo Maria Cennamo

tesoriere

Gennaro Polichetti

Vincenzo Corvino Pio Crispino Giancarlo Graziani Beatrice Melis Luca Modestino Gennaro Napolitano Antonio Zehender Francesco Cassano Ermelinda Di Porzio Antonella Palmieri Vincenzo Perrone Fulvio Ricci

segretario

vice presidenti

consiglieri

direttore responsabile Paolo Pisciotta

redazione del numero speciale Pio Crispino Giulia de Angelis

direzione e redazione Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Napoli e provincia Piazzetta Matilde Serao, 7 tel. 081.4238259 - 081.4238279 fax 081.2512142 http://www.na.archiworld.it e-mail: infonapoli@archiworld.it editore Paparo Edizioni s.r.l.

grafica Ivano Iannelli

Registrazione del Trib. di Napoli n. 5129 del 28/04/2000

in questo numero

contributi

Paolo Pisciotta

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Giulia de Angelis

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Pio Crispino

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argomenti

Lo stato dell’arte del restauro dei giardini e parchi storici delle residenze sabaude

Mirella Macera

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Progettare nuovi siti conservando il patrimonio culturale 12 Vlasta Oreb

Ultimi progetti 15 João Ferreira Nuñes

Urban Transformations

Tilman Latz

Terre perdute: nuove centralità urbane

Jacqueline Osty

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distribuzione gratuita agli architetti iscritti all’albo di Napoli e provincia, ai Consigli degli Ordini Provinciali degli Architetti e degli Ingegneri d’Italia, ai Consigli Nazionali degli Architetti e degli Ingegneri, agli Enti e Amministrazioni interessate spedizione in abb. Postale 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96-fi liale Napoli

Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano il Consiglio dell’Ordine né la redazione della Rivista.

Venaria Reale, Torino


Parco urbano, Duisburg, Latz

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Paesaggio, tema ineludibile

Parco urbano, Duisburg, Latz

L

e questioni legate al paesaggio sono ormai un tema ineludibile, in primo piano nel dibattito mondiale e strettamente connesse alla professione di architetto. È del 2000 la Convenzione europea del paesaggio che definisce quest’ultimo, nel senso più estensivo, come quella “parte del territorio così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”. Definizione ripresa pressoché alla lettera dalla terza parte del nostro Codice dei beni culturali e del paesaggio, che identifica il paesaggio come territorio “espressivo di identità”. Paesaggio inteso non più, dunque, nell’accezione romantica di un tempo, ma come complessa stratificazione di elementi naturali e fattori antropici, così come è giunta fino a noi. Oggi è dunque più che mai urgente occuparsi del paesaggio, tutelarlo, progettarlo, immaginarne le possibili modificazioni compatibili con i suoi valori, in una prospettiva di sviluppo sostenibile. In quest’ottica si inquadra l’interesse che l’Ordine degli Architetti P.P.C. di Napoli e Provincia ha mostrato negli ultimi anni per questo tema, organizzando quei fortunati cicli di conferenze che sono andati sotto il nome di “Martedì verdi”, giunti alla terza edizione. Lo scopo di questi cicli di conferenze, organizzati dall’Ordine insieme all’Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio, è quello di parlare di paesaggio direttamente con i paesaggisti, invitati a relazionare sui loro ultimi progetti, mettendo in luce anche i diversi approcci da nazione a nazione. Divulgare, dunque, la conoscenza dell’architettura del paesaggio grazie all’intervento di chi, sullo scenario mondiale, si occupa di questo settore ai livelli più alti. Nei precedenti cicli si è registrata la presenza di paesaggisti di fama internazionale quali Jordi Bellmunt, Bet Figueras, Franco Zagari, Stefan Tischer, Mirella Macera, Vlasta Oreb, Joao Ferreira Nunes, Tilman Latz, Jacqueline Osty, con un notevole riscontro di interesse da parte di tutti gli scritti. E quest’anno, a partire dal 28 Aprile e fino a Giugno, sarà la volta del siciliano Benedetto La Macchia, dello svizzero Paolo Burgi, di Gabriele Kiefer ed Henri Bava, del francese Philippe Coignet. Ancora una volta, la “casa degli architetti” è il luogo di confronto e di crescita per tutti coloro che credono che fare architettura oggi implichi necessariamente un allargamento degli orizzonti disciplinari e un aggiornamento costante sul dibattito internazionale. Paolo Pisciotta presidente Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Napoli e provincia

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Venaria Reale, Torino

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Paesaggio, urbanistica e sostenibilità

Parco Dora Spina, Torino, Latz

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l paesaggio italiano è conosciuto universalmente per le sue bellezze naturali e per lo straordinario patrimonio storico e culturale, che rendono ancora riconoscibili le tracce di un lungo processo di modellamento e di adeguamento dei territori alle società. Tuttavia, il lungo silenzio legislativo sulle questioni del paesaggio per quasi cinquanta anni ha portato alla distruzione delle risorse naturali ed alla crescita incontrollata delle città. Un silenzio, questo, che ha denunciato l’inadeguatezza dell’urbanistica e delle politiche territoriali a saper guardare e interpretare i fenomeni di un mondo e di una cultura che cambiavano, senza capacità di comprenderne le profonde implicazioni sulla maniera di “produrre” il territorio prima ancora di saperlo orientare verso il futuro. Ne sono stati conseguenza i deludenti risultati della pianificazione paesistica, irrigiditi tra il dominio della tutela e quello dei valori estetici, incapaci di trovare argomenti e risposte alle questioni in gioco, oltre che insensibili a tracciare una nuova “missione” del paesaggio italiano. Con la Convenzione europea sul paesaggio - sottoscritta nel 2000 e ratificata dall’Italia nel 2006 - non solo si è data una definizione di paesaggio, ma si sono introdotti anche gli “obiettivi di qualità paesaggistica” e si sono indicati i tipi di “azione” che si applicheranno a tutto il territorio degli Stati partecipanti alla Convenzione. Con il Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, noto anche come Codice Urbani, invece, viene definito il paesaggio, disciplinandone la tutela e la valorizzazione. Il paesaggio, insomma, è diventato un concetto importante e giuridicamente rilevante nel nostro sistema legislativo. Con questa “nuova” definizione e concezione del paesaggio si individuano specifiche competenze professionali di chi progetta il recupero del paesaggio e dell’ambiente “costruito”. Il progetto del paesaggio si confronta con rimpianti di un passato irripetibile, dalla rievocazione di processi di produzione di paesaggi oggi irriproducibili all’ incapacità delle politiche territoriali di ancorarlo ai processi di trasformazione a diverse scale del territorio. Oggi l’ urbanistica può ricollocarsi disciplinarmente e culturalmente competendo con le sfide che lancia la nuova emergenza ecologica sul futuro delle nostre risorse, tra cui quella dell’urbanistica sostenibile. Una definizione convincente dell’urbanistica sostenibile è, senza dubbio, quella che la definisce come una strategia che lega lo sviluppo territoriale, sociale e economico alla conservazione delle risorse ambientali non riproducibili e alla rigenerazione di quelle riproducibili. Si tratta, ovviamente, di una semplificazione, ma l’efficacia di questa definizione è dovuta all’ affinità con quella più nota (anche se non la prima) di sviluppo sostenibile contenuta nel Rapporto Bruntland del 1987, vale a dire “la capacità di assicurare il soddisfacimento dei bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro bisogni”; una definizione, quest’ultima, che contiene un evidente riferimento alla quantità e alla qualità delle risorse ambientali. L’aspetto più interessante delle sperimentazioni di pianificazione sostenibile fino ad ora conosciute riguarda la concreta applicazione dei principi della sostenibilità urbanistica, o, se si vuole, l’ “incorporazione” nel piano delle strategie e delle misure che la rendono possibile. In Campania, con la nuova legge urbanistica di dicembre 2004, si è riaperta la sfida del governo del territorio con le regole che individuano nello sviluppo e nella sostenibilità ambientale gli obiettivi strategici dell’ organizzazione del territorio.

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Le conferenze di pianificazione, previste dalla legge urbanistica regionale, attraverso il processo di partecipazione pubblica, forniscono al pianificatore un quadro effettivamente completo delle tematiche da affrontare e si prestano meno alla tentazione di effettuare modifiche arbitrarie, in quanto le norme concordate portano con sé la forza della condivisione e del consenso, unitamente a regole più adeguate alle attuali dinamiche di crescita economica. Si potrà, quindi, determinare lo sviluppo attraverso le norme, che, interpretando le potenzialità del territorio, potranno convincere gli investitori ad attivare l´enorme serbatoio delle risorse private. La nuova pianificazione regionale si spinge fino all´aspetto del territorio, con la Convenzione europea del paesaggio, della quale la Campania risulta capofila. La cura dei nuovi paesaggi e la salvaguardia di quelli esistenti rappresentano una fondamentale risorsa per una regione dove il turismo rappresenta o potrebbe rappresentare una voce non trascurabile dello sviluppo economico. Tutta l´attività regionale in materia di urbanistica è intesa a delegare alle Province e ai Comuni la regolamentazione dei loro territori, assegnando ad essi gli obiettivi strategici dello sviluppo e della sostenibilità ambientale. Una partita, questa, che vede la Regione assumere sempre più il ruolo di legislatore per lasciare alle realtà locali l´interpretazione delle vocazioni territoriali. Pio Crispino vicepresidente Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Napoli e provincia

Venaria Reale, Torino

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imartedìverdi I

European City, Kirchberg, Luxemburg, Latz

l successo riscosso dal primo ciclo dei “Martedì verdi” ci ha dato innegabile prova della sete di conoscenza nei riguardi del paesaggio. Abbiamo quindi organizzato un secondo ciclo di conferenze ancora più ricco, non solo di incontri, ma anche di contenuti. Sono stati invitati professionisti che si occupano di paesaggio nelle sue molteplici sfaccettature. Si è discusso del progetto del restauro dei giardini della Reggia della Venaria Reale con l’Arch. Mirella Macera, dei processi di costruzione del paesaggio operati dal paesaggista portoghese Joao Ferreira Nunes nella progettazione dell’area dell’Expo del ‘98 a Lisbona o del waterfront della città di Anversa, della riqualificazione di aree industriali dismesse come quelle nel parco di Duisburg e del progetto per il parco Dora a Torino o della discarica Hirija a Tel Aviv, curati dal paesaggista tedesco Tilam Latz, e della progettazione di parchi urbani e spazi pubblici realizzati dalla paesaggista francese Jacqueline Osty e dalla croata Vlasta Oreb. In questo momento è importante “trattare di paesaggio” e capire come esso nelle diverse zone del globo sia un’entità viva e mutevole nel tempo, che l’uomo, dal suo esistere, ha sempre trasformato sia per poterne meglio godere, quando creava i giardini per il proprio piacere, sia per sfruttarne al meglio le risorse. E’ il paesaggio che ci chiede ora di aiutarlo a non perdere la propria identità. Un esempio, in questo senso, viene proprio dal territorio dal quale provengo: la Penisola Sorrentina. Nel passato sono stati realizzati sapienti terrazzamenti dei terreni acclivi per la coltivazione degli olivi o sono stati costruiti dei pergolati per poter meglio coltivare gli agrumi. Tali pergolati, che caratterizzavano il paesaggio della Penisola Sorrentina, erano realizzati con pali di castagno e ricoperti con le così dette “pagliarelle”, cioè dei pannelli realizzati in paglia la cui struttura era intessuta con fascette di castagno. Nel periodo estivo, in cui l’agrume non necessitava di una copertura, le “pagliarelle” venivano raccolte al di sopra del pergolato in caratteristiche casette; i pannelli venivano sovrapposti l’uno all’altro finché gli ultimi due venivano posizionati, sulla pila di “pagliarelle” a falde, così da preservarli dagli agenti atmosferici. Questo tipo di uso agricolo “privato” del territorio connotava fortemente il paesaggio della penisola nella piana Sorrentina. Anche le coltivazioni collinari erano influenzate paesaggisticamente dall’uso del territorio a valle. La vegetazione autoctona in collina era stata sostituta con la coltivazione del castagno ceduo che forniva i pali per la realizzazione dei pergolati. Tutto ciò, ora, sta scomparendo perché i costi per la realizzazione dei pergolati sono troppo elevati, la vendita degli agrumi non rende più come una volta, i costi per il raccolto sono sproporzionati. In questo modo si sta perdendo un sistema di verde privato che costituiva un elemento caratterizzante la bellezza pubblica della Penisola Sorrentina. Racconto tutto ciò perché, far vivere questi pergolati significa non cancellare l’identità di un luogo come la penisola Sorrentina che è conosciuta, in tutto il mondo, proprio per il suo caratteristico paesaggio che costituisce anche una risorsa che non deve essere trascurata perché contribuisce al mantenimento di condizioni ambientali ed estetiche che vanno a vantaggio di tutti. Far funzionare questo grande mosaico, costituito da frammenti di paesaggio, come i piccoli giardini privati con pergolati, significa creare un sistema che lo rafforzi: in questo caso il giardino non esaurisce la propria funzione nel recinto domestico ma ha un ruolo di luogo-ponte tra l’intimità dello spazio privato e il paesaggio esterno nel suo complesso. Ci sono, talvolta, giardini o parchi che non funzionano, che non hanno nessun utilizzo o ne hanno

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in misura minore di quanto potrebbero averne e, talvolta, sono addirittura dannosi per quello che consumano, per lo spreco di risorse, per il degrado del paesaggio, per il cattivo esempio che forniscono. Un giardino o un parco in meno significa meno verde, meno ossigeno, meno frescura, meno bellezza. Per questo anche uno spazio modesto può essere un tassello importante della storia e della cultura. Realizzare un bel/buon giardino o parco e farlo funzionare significa lavorare per il bene collettivo. Ogni elemento, per diventare parte integrante del sistema, deve scoprire il proprio ruolo. Il fine del progetto di paesaggio è diventare un punto di equilibrio fra natura, tecnologia, cultura, storia, resa economica, valore fondiario, produzioni e consumi di energie, funzionalità, qualità prospettiche. Tutto è paesaggio. Scoprire le potenzialità dei luoghi e riuscire a farle esprimere significa far funzionare il paesaggio stesso migliorando la qualità di vita della collettività. Giulia de Angelis presidente della Sezione Magna Grecia dell’Aiapp

European City, Kirchberg, Luxemburg, Latz

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Mirella Macera*

lo stato dell’arte del restauro dei giardini e parchi storici delle residenze sabaude

Introduzione

L’inserimento di Mirella Macera nel programma dei Martedì Verdi del 2008 è stato per me motivo di soddisfazione in quanto ha messo in risalto il tema, spesso trascurato, del restauro dei parchi storici. L’architetto Macera è una brillante funzionaria della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte, direttrice del Castello di Racconigi, autrice di numerosi restauri monumentali ma è soprattutto la protagonista di uno dei più importanti restauri di parchi storici degli ultimi anni, quello annesso alla Reggia di Venaria Reale, esempio di giardino barocco voluto dai Savoia a partire dalla metà del Seicento. Questo intervento è di particolare interesse per gli ineccepibili contenuti scientifici e metodologici, che rispettano la Carta del Restauro dei Giardini Storici e nello stesso tempo coniugano l’antico e il nuovo grazie all’inserimento di opere d’arte moderna nei giardini. Per noi paesaggisti che operiamo in Campania – territorio che accoglie un esteso ma poco valorizzato patrimonio di residenze reali borboniche – è da considerarsi inoltre un modello di efficiente macchina organizzativa, capace di restaurare ottanta ettari di parco storico in otto anni. Maria Luisa Margiotta socio Aiapp presidente Associazione per lo Studio e la Tutela del Giardino Storico

Venaria Reale, Torino

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Venaria Reale, Torino

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ella città di Venaria erano in vendita, ancora lo scorso anno, vecchie cartoline che rappresentavano la reggia circondata dalla boscaglia e da strutture che erano a state a servizio dei militari nel lungo periodo durante il quale l’antica residenza sabauda era stata utilizzata come caserma. Questa la situazione con la quale dovette confrontarsi il gruppo di lavoro che, nel 1998, affrontò lo studio delle linee guida per il recupero dei giardini. Eravamo tutti consapevoli di quanto fosse indispensabile restituire alla reggia il suo storico contesto per dare completezza a quella straordinaria testimonianza di arte e di cultura. Difficile tuttavia definire il percorso metodologico dell’intervento che ci si accingeva a realizzare. Nessuna traccia degli antichi giardini era rintracciabile in superficie, né sotto forma di testimonianze materiali di viali, di arredi o di apparati decorativi né, tanto meno, di elementi vegetali: troppo invasive ed importanti erano state le trasformazioni d’uso del sito che, in quanto giardino, avrebbe invece richiesto assiduità di cure e di manutenzioni. Ricca tuttavia la documentazione cartacea delle antiche composizioni: per il Seicento piante e disegni, pubblicati nelle coeve opere di Amedeo di Castellamonte; per il Settecento prevalentemente piante e documenti d’archivio relativi ai cantieri di costruzione e di manutenzione. Era possibile dunque ricostruire, come molti studiosi avevano esaurientemente fatto, le vicende di

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formazione dei giardini e il contesto storico e critico in cui era maturata la loro realizzazione. Il “giardino all’italiana” di Amedeo di Castellamonte, tutto incentrato su un asse rettore che attraversando il borgo e la reggia di Diana sosteneva , in successione, la composizione delle aiuole del giardino a fiori, la fontana dedicata al mito di Ercole, la grande allea chiudendosi nella spettacolare composizione del tempio di Diana. A nord della reggia il giardino dei ninfei, con fontane e aiuole ornate di complicati disegni; ad un livello più basso la grandiosa peschiera. Appena qualche decennio dopo la concezione del giardino e del paesaggio affermata da Andre Le Notre a Versailles investe con una dilagante proposta anche la Venaria: il nuovo progetto non solo amplia considerevolmente a sud e a ovest lo spazio dedicato ai giardini, che seguono gli ampliamenti delle architetture ad opera di Michelangelo Garove e Filippo Juvarra, ma imposta la composizione su una serie di viali longitudinali e trasversali che proiettano all’esterno e all’infinito le grandi visuali determinate dalla enfilade delle sale e degli appartamenti. Negli ambiti definiti dalla maglia dei viali giardini, boschetti, teatri di verzura...secondo le ormai consolidate soluzioni del giardino classico “alla francese”. Che fare allora? Riprendere il disegno documentato dalle mappe e ricorrere alla trattatistica per risolvere gli alzati oppure cercare una soluzione diversa, espressione del momento storico in cui i giardini sarebbero stati recuperati?


Venaria Reale, Torino

Una foto aerea ci venne in aiuto: testimoniava, sotto lo strato superficiale di humus, la permanenza del disegno del giardino documentato dai rilievi settecenteschi e perfino delle fondamenta del seicentesco tempio di Diana. La testimonianza confermava dunque la possibilità di recuperare, nel parco basso, il disegno seicentesco del giardino di Castellamonte, in quello alto la composizione settecentesca di gusto francese fondando il recupero sui documenti a disposizione e sui riferimenti che sarebbero via via emersi nelle fasi preliminari del cantiere. Per gli alzati prevalse la proposta di risolvere i vari ambiti operando in sintonia con le antiche composizioni, ma utilizzando anche materiali e forme della modernità. Attraverso gara ad evidenza pubblica il progetto venne quindi affidato al gruppo capeggiato dai torinesi Libidarch. Impegnativo il lavoro condotto negli anni successivi dai progettisti che conclusero, nel 2004, il loro impegno sui primi 20 ettari degli ottanta che complessivamente misurano i giardini. Importante il risultato raggiunto: la reggia aveva recuperato il suo contesto con la maglia di viali che ne riproponevano lo storico ruolo di centro ordinatore lo stato di un monarca assoluto. Da quel momento è stata avviata una paziente opera che va restituendo progressivamente ai giardini, con programmate opere di manutenzione, il restauro dei reperti seicenteschi, la messa a dimora di piante ed arbusti, l’inserimento di opere di arte contemporanea quella complessità di elementi e di rapporti capaci di

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evocarne i valore cardine in parte riletti secondo la moderna sensibilità nei confronti della natura e del paesaggio. Tre dunque, a mio parere, i risultati del restauro dei giardini della Venaria. Il primo sta nell’aver avuto il coraggio di affrontare il tema, in un paese ancora largamente sordo verso le necessità di tutela dei giardini storici e del paesaggio. Il secondo sta nell’aver saputo distinguere due fasi d’intervento: la prima che, potendo contare su finanziamenti consistenti, ha potuto recuperare la trama del giardino fondandosi sulla documentazione storica e i reperti via via emersi nel corso dei lavori. La seconda che, basandosi su finanziamenti più modesti, completa anno dopo anno la composizione lavorando sulle masse, sulla composizione in alzato del giardino, sui rapporti tra le varie parti. Del resto Monique Mosser, grande conservatrice di Versailles, ha scritto “ Fra l’eternità, sia pur relativa della pietra e la fugacità del fiore, il tempo del giardino richiede ambizione e modestia, pazienza e passione”. *architetto Soprintendenza ai B.A.A. del Piemonte


Vlasta Oreb*

Progettare nuovi siti conservando il patrimonio culturale

Introduzione

Vlasta Oreb, laureata presso la Facolta’ di Agraria – sezione Paesaggistica dell’Universita’ di Zagabria. Dal 1997 al 1999 è responsabile della ditta Parchi di Fiume progettazione di aree verdi e parchi. Dal 1999 è presso “Studio perivoj s.r.l.” (perivoj = parco) con Dobrila Kraljic, il primo studio in Croazia che si occupa di architettura del paesaggio. È componente attiva della rete europea dell’architettura del paesaggio (ELAN) nata nel 1995, per portare avanti lo spirito della cooperazione sperimentato nel mondo professionale. L’aspirazione è quella di riunire gli architetti paesaggisti europei più vicini, riportando l’esperienza personale. Nel 2005 organizza un workshop sull’isola di Hvar con la presenza di dieci paesi europei che si confrontavano sul tema del paesaggio. Ogni anno lo studio ospita giovani professionisti provenienti da varie città d’Europa, per stage formativi sull’architettura del paesaggio. Nella sua relazione ci evidenzierà certi aspetti del paesaggio che sono presenti in Croazia, più precisamente nella zona litorale dell’Adriatico ed il ruolo degli architetti paesaggisti. Pio Crispino vicepresidente Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Napoli e provincia

Parco Dražica, Croazia, Vlasta Oreb

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ulla costa croata si differenziano due tipi di paesaggio: piazze e giardini nelle cittadine e il paesaggio mediterraneo dell‘agricoltura. Saranno presentati progetti sui siti che sono patrimonio culturale pero’ non protetti dalla legge. Negli anni 60 del secolo scorso, a causa del turismo di massa, si formano spazi verdi molto vasti con semplici creazioni e un‘ intenso imboschimento. L’espansione del turismo significa l’abbandono dell’agricoltura e degli orti tradizionali dove si coltivavano viti, ulivi e ortaggi.

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Progetti Filosofia della creazione: - ritornare il genius loci - usare tutti gli elementi esistenti (ricca vegetazione da inventariare e valorizzare, muri a secco, muretti, ecc.) - usare tutti gli vantaggi economici - non cambiare lo spirito del sito con l‘inserzione di nuovi elementi in nome della creazione propria - con la nuova dinamica agrotecnica non trasgredendo l’esistente equilibrio biologico


PARCO KAMPLIN Descrizione: Il parco e’ stato allestito nel 1864 sul posto dove una volta c‘era il monastero della St. Clarissa. Oggi e’ un sito urbano nel centro vecchio della citta‘ con ammmirevole vista mare. Si trova sull‘ omonima Piazza vicino alla torre medievale, muraglie, diocesi, cattedrale romanica e chiesa St. Kirin (monumenti del patrimonio culturale di prima categoria). Problema: Il parco e’ trascurato. Grandi chiome. Senza visitatori. Non ha nulla. Pur esistendo fotografie dell’epoca di quando il parco e’ stato costruito, non esistono tracce materiali alle quali ci potevamo riferire.

Idea: La torre medievale e’ dominante e come tale impone una creazione di vegetazione bassa e media per la riparazione dalla bora e salinita’. L’ambiente e’ arricchito dal viale alberato l’unico colorito nel parco (Lagerstroemia indica). Il bordo e’ con bosso (Buxus sempervirens) il quale con altri tipi arcaici (Acanthus, Aspidistra, Bergenia, particolarmente Ruscus hypoglossum) abbellisce il parco e contemporaneamente non lo rende troppo ornato. Alberi esistenti sono preservati. Il terreno e’ ricoperto di ghiaia con panchine e cestini di design antico.

Conclusione: Il restaurato parco Kamplin e’ riuscito ad inserirsi nell’ambiente che lo circonda e lo distingue. Rappresenta un punto d’incontro, di sosta, di meditazione sacrale. Importante e’ accennare al belvedere che si può ammirare dalle muraglie verso il mare aperto.

PARCO BOSCO DRAŽICA Descrizione: Parco bosco Dražica 2 ettari. E’ stato allestito piu’ di 80 anni fa’. Oggi rappresenta il patrimonio paesaggistico e culturale sorto agli inizi dello sviluppo del turismo. Inizialmente, lontano dalla citta‘ di Veglia, oggi e’ un complesso unico. Problema: Anche se e’ vicino ai due alberghi e alla spiaggia balneare della citta’, nessuna manutenzione e innaccesibilita’ al parco bosco Dražica, lo hanno reso per decenni ambiente isolato e non visitato da cittadini e turisti.

Scopo di intervento: sanare l’esistente vegetazione e per tanto rigenerarla per un lungo periodo futuro; assicurare meno afflusso alle spiagge ed all’albergo; tramite sentieri e luoghi di sosta facilitare l’accesso in qualsiasi punto del parco; costruire una nuova struttura del parco: attraente giardino per passeggiate e giochi, soggiorno nella piacevole ombra del verde oppure nei nuovi impianti turistici.

Parco Dražica, Croazia, Vlasta Oreb

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Idea: La ricostruzione dei sentieri esistenti e la necessita’ dell’accesso in qualsiasi punto del parco ha fatto nascere l’idea che ricorda la stella e la chiocciola marina. Il sentiero concentrico e’ in blocchi in cemento sovraposti al terreno esistente (muretti di valore, muretti a secco, microzone con piante rare ecc.),


fa si’ che lo stesso sentiero sembri in sospeso. Per addobbare il parco abbiamo inserito forme geometriche moderne in rosso fuoco che come colore e’ complementare al verde. Nonostante l’accentuato colore e design nuovo, non interferiscono con il carattere dell’ambiente. Cambiamenti intrapresi al parco dovevano rigorosamente rispettare l’ambiente ecologico e pertanto la conservazione della vegetazione decennale e’ stata al primo posto. Vogliamo accennare alla conservazione del terriccio, alle correnti d’acqua e a come ostacolare l’erosione. Neppure e’ permessa alcuna devastazione delle roccie esistenti, particolarmente dei muretti a secco. Nuove piante piantate nell’ arboreto sono presenti con uno o massimo alcuni esemplari rappresentando cosi’ campioni e vastita’ nella diversita’ dei tipi di vegetazione senza possibilita’ di cambiare l’aspetto e la biogenesi dell’ ambiente.

Conclusione: La ricostruzione dei sentieri in ghiaia, punti di riposo e di belvedere sono terminati mentre la costruzione del sentiero concentrico e’ in corso. Gli impianti turistici, la zona dello svago e divertimento con zone gioco bambini sono ancora da realizzare. Sono terminati i lavori sulla vegetazione esistente e sulla piantumazione del nuovo verde. Gli abitanti hanno accolto le novita’ con vero entusiasmo cosicche’ il parco bosco Dražica e’ visitatissimo.

IL PARCO DAVANTI ALL’ ALBERGO PARCO Descrizione: Il sito si trova nel centro della cittadina vicino lungo mare. E’ stato imboschito 50 anni fa. Problema: 1. tantissima gente durante l’estate (turismo) sul lungo mare 2. la vicinanza dell’ albergo Parco 3. non c’e’ nulla tranne alberi con grandi chiome trascurate

Idea: Punat è conosciuto per le regate di barche a vela. Il motivo essenziale della creazione dei sentieri con nuove entrate al parco e luoghi di riposo e’ una vela tesa al vento. Il verde e’ praticamente minimo con pochi focus che attraggono l’attenzione e rappresenta la seconda attrazione turistica: ulivi e la produzione dell‘ olio. Tutti gli alberi sono preservati e interpolati nei sentieri. Conclusione: Il traffico sul lungomare non e’ piu tanto intenso e i pedoni hanno trovato un luogo accogliente per riposare e soggiornare. Gli ospiti dell’albergo usano il parco come salotto dove sedendo sulle panche ad arco possono bere una bibita o l’aperitivo dal bar dell’albergo. *ing. agr. paesaggista Studio Perivoj, Croazia

Parco Kamplin, Veglia, Croazia, Vlasta Oreb

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João Ferreira Nuñes*

Ultimi progetti

introduzioni

Ho accolto con grande piacere l’invito da parte dell’Ordine degli Architetti di Napoli e Provincia di introdurre la conferenza di João Ferreira Nuñes, paesaggista portoghese, che ho avuto il piacere di conoscere da molti anni. João Ferreira Nuñes si laurea quale architetto paesaggista negli anni ’80 presso l’Istituto Superiore di Agronomia dell’Università Tecnica di Lisbona. Poi consegue il Master in Architettura del Paesaggio presso la Scuola Tecnica di Architettura di Barcellona dell’Università Politecnica della Catalunya. Attualmente è docente presso l’ISA di Lisbona, presso l’Università di Architettura di Alghero e l’IUAV di Venezia. Dal 1989 è fondatore dello Studio PROAP che svolge attività di ricerca e di progettazione nell’ambito del Paesaggio a livello internazionale. Ma soprattutto João Ferreira Nuñes è un maestro. Egli appartiene a coloro che promuovono l’Università come comunità educativa, riscoprendo la dimensione della magistralità del docente universitario. Dopo un lungo percorso, purtroppo, il maestro di un tempo è diventato il professore di oggi, come l’intellettuale di un tempo è diventato un indistinto esperto tecnico. Viene, quindi, da chiedersi: quale dovrà essere oggi il peso culturale dell’Università sulla società europea? Credo che in tutta l’Europa l’Università è chiamata a compiere un salto culturale di qualità. Lo potrà fare riacquistando le antiche radici della cultura europea, senza rinunziare agli apporti della contemporaneità. Una cultura basata sulla fiducia nell’intelligenza dell’uomo e nella sua capacità di determinare il cambiamento della società. C’è un filo conduttore ricorrente negli interventi progettuali di João Ferreira Nuñes che costituiscono l’aspetto fondamentale di un progetto: un luogo, un programma e un progettista. Nei suoi progetti c’è sempre una interpretazione dei processi paesaggistici naturali quali quelli dovuti ai venti, al mare, alla crescita della vegetazione che diventano temi progettuali. Egli scrive che “il paesaggio è un testo, un insieme di segni che raccontano il senso delle azioni che lo hanno prodotto. Il paesaggista legge, decodifica, interpreta, interviene, entra nei processi con nuovi elementi, combina gli elementi secondo nuove formule, innesca nuovi meccanismi, dà avvio a nuovi processi intervenendo sul funzionamento di un luogo, ne trasforma l’immagine, l’insieme di segni che lo compongono”. Il concetto di Paesaggio, associato ai segni, alle tracce, alle impronte di ogni generazione, di ogni cultura sovrapposta nello stesso sito, si relaziona a quello di trasformazione. Paesaggio è sul pianeta qualcosa che si trasforma continuamente, per cui è logico affermare che “infrastruttura è paesaggio” e che quanto è stato realizzato dall’uomo nella sua storia dai tempi più antichi fino ad oggi sia paesaggio. Purtroppo questo assunto è intuitivamente accettabile quando il riferimento è al passato e non alle infrastrutture contemporanee. Ciò non perché esse hanno un impatto diverso, ma soltanto perché sconvolgono il nostro presente. E dunque, le strade, le reti ferroviarie ed elettriche, le dighe, i porti e gli aeroporti saranno paesaggio quanto lo furono le città, i villaggi, i campi agricoli, le emergenze architettoniche e funzionali di un tempo che appartengono alle capacità che hanno le comunità umane di trasformarsi continuamente. Questo in sintesi è quanto teorizza e dimostra Nuñes con i suoi progetti. Stefania Brancaccio, che mi accompagna, è professore a contratto da molti anni presso il nostro Ateneo Federiciano. Ella ha da tempo analizzato gli interventi progettuali di Nuñes e quindi ci darà un breve spaccato interpretativo dell’attività professionale del maestro. Luigi Picone professore, architetto

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Il paesaggista si trova, oggi, a dover affrontare questioni assai più complesse che in passato, essendosi notevolmente ampliato il campo di intervento dell’architettura del paesaggio che appare sconfinato verso qualsiasi tipo di intervento che possa dare nuova forma alla città e al territorio: progettazione di parchi, giardini, piazze, strade, cimiteri, riqualificazione di aree dismesse, lotti abbandonati, aree interstiziali, integrazioni infrastrutturali, sistemazioni di argini fluviali, fronti marini, sistemazioni paesistiche a scala territoriale\ Tutti questi, credo con l’eccezione dei cimiteri, sono interventi che hanno interessato finora il campo di applicazione dello studio PROAP, fondato da João Ferreira Nunes, con una preferenza ad intervenire su contesti “difficili” caratterizzati da situazioni di abbandono, degrado o compromissione ambientale. L’approccio iniziale, che accomuna tutti gli interventi, muove dalla consapevolezza che il paesaggio è un qualcosa di dinamico, sia per i naturali processi evolutivi, dovuti al trascorrere del tempo e all’interferenza dei fenomeni naturali, sia per i processi antropici che determinano, su di esso, la sovrapposizione di segni rispondenti alle esigenze e necessità collettive, diversificate tra loro e mutevoli nel corso del tempo. Entrambi i processi possono determinare, sul paesaggio, effetti negativi, delle “ferite”, ma allo stesso modo in cui il paesaggio può contare sulla sua naturale capacità rigeneratrice per rinnovarsi dopo un evento negativo, così il paesaggista, chiamato ad intervenire su un ambito compromesso, deve riuscire con sensibilità a ridare un senso ai segni inferti senza cancellare i resti e la memoria dei luoghi. Esempio di questa ideologia può essere considerato un piccolo giardino realizzato da Nunes nel 2004 nell’ambito dell’evento “Ortus Artis”, svoltosi a Padula nella Certosa di San Lorenzo. L’intervento di Nunes per la cella n. 16, dal titolo “L’amore trionfa”, propone appunto uno spazio “ferito”. Il giardino della cella è infatti presentato come se fosse stato oggetto di un incendio (non importa se accidentale o intenzionale). Tutto appare come bruciato: gli alberi preesistenti e il suolo, composto da paglia bruciata. Ma è solo una finzione, un layer che si sovrappone alla preesistenza, mascherandola: gli alberi sono semplicemente ricoperti di fuliggine e la paglia nasconde un sottofondo vegetale che ricopre le aiuole preesistenti. Nel sottofondo sono sparsi semi e interrati bulbi in modo che la paglia bruciata possa rapidamente ricoprirsi di verde per dimostrare ai visitatori la forza con cui la vita si riappropria dei suoi spazi quando questi le vengono tolti. Anche il muro di confine esterno partecipa a questa rappresentazione: è infatti ricoperto con un telo il cui colore sfuma dal nero del fumo al blu del cielo in una ricongiunzione simbolica tra il giardino arso, e poi rinato, e il paesaggio circostante. A questa che è l’ideologia iniziale fa seguito una modalità di intervento che parte da un’attenta osservazione del luogo e da una lettura di tutti i segni presenti, sia naturali che artificiali, e prosegue con una rielaborazione e una ricontestualizzazione di questi segni attraverso un processo che tiene conto degli aspetti ambientali, simbolici, formali e funzionali di un progetto. La sensibile attenzione per il paesaggio non impedisce al progettista di intervenire con segni forti e incisivi attraverso una ricerca formale che non è fine a se stessa, ma è finalizzata a risolvere tutte le problematiche insite nel luogo (morfologiche, geologiche, climatiche, infrastrutturali, sociali, culturali\) e, soprattutto, a rispondere ai diversi bisogni, desideri e abitudini dei futuri fruitori attraverso la definizione di molteplici fruibilità e l’individuazione di differenti modalità di osservazione dello spazio. Il fine è arrivare ad una soluzione che leghi indissolubilmente progetto, paesaggio, città e persone. Stefania Brancaccio professore a contratto presso la Facoltà di Architettura dell’Università Federico II di Napoli

Parco "do Tejo e Trancao", Lisbona, Nuñes

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Parco verde "do Mondego", Coimbra, Nuñes

i piacerebbe presentare due lavori, scelti in base ad un criterio: cercare di mostrare una serie di processi, soprattutto processi di costruzione del paesaggio. I Temi in sé (ad esempio i cimiteri) non mi interessano molto, perché dietro al tema si può nascondere qualcosa di molto più interessante; la cosa veramente importante a mio parere é l’adozione, di fronte a qualsiasi tema, di un certo atteggiamento nell’affrontare il lavoro: c’è una comunità che ha un problema e noi cerchiamo di risolvere questo problema. A questa domanda si risponde quando una comunità lancia una richiesta di aiuto al mondo e arrivano risposte, arrivano soluzioni, proposte. Sicuramente questo è il rapporto che permette di giustificare la professione stessa. L’identità metodologica, disciplinare dell’architettura del paesaggio si vede dal fatto che le risposte che riusciamo a produrre alle domande della comunità sono risposte specifiche, che prendono in considerazione sia il problema sia il luogo,e quindi l’identità metodologica dell’architettura del paesaggio ha a che vedere innanzitutto con la assoluta assenza di un approccio progettuale alla soluzione dei problemi; quindi la prima caratteristica che appare evidente in tutti questi progetti è che l’approccio guarda al problema e al luogo trattandoli come un sistema. Cerchiamo quindi di capire il funzionamento del luogo, il meccanismo che lo mette in moto, un sistema in atto nel quale noi cerchiamo di innestarci per riuscire a risolvere i problemi della comunità. È necessario peró capire queste energie, capire questi funzionamenti, appunto

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per non prendere direzioni opposte ai vettori che governano i luoghi, ma per approfittare delle energie già presenti e per riuscire a sfruttarle per raggiungere i nostri obiettivi. Il primo progetto illustra bene il concetto che ho esposto. Questo progetto è iniziato nel 96, è un progetto realizzato a Lisbona per l’Expo del 98. L’area destinata all’Expo è centrata su una vecchia darsena per idrovolanti, vicino alla foce di un fiume che segna uno dei limiti della città di Lisbona, il fiume Trancão. La delimitazione dell’area destinata al parco é di per sé una lezione di paesaggio. Bisogna considerare che, prima di essere un’operazione di recupero ambientale, l’Expo è una operazione speculativa, immobiliare, che dovrebbe riuscire a generare profitto sufficiente per garantire l’esistenza dell’Expo stessa e di tutto il sistema di infrastrutture che deve essere costruito per servirla, quindi questo limite fisico è stato determinato da questa logica. Il limite tra l’edificato e il parco è forse uno dei limiti più stabili che possiamo riscontrare nella nostra morfologia urbana contemporanea, un limite che non può essere superato, intaccato, per lo meno nei prossimi 50-60 anni; dunque possiamo dire che da un’imposizione esclusivamente circostanziale, che risulta chiaramente da un approccio tecnico ma anche legato alle leggi di mercato, nasce un limite che diventa molto visibile, fisso, tangibile, nella vita delle persone che si insedieranno nell’area. É cosí che si costruisce il paesaggio: il paesaggio è costruito da questi segni, che corrispondono in forma molto diretta all’impronta che


Parco verde "do Mondego", Coimbra, Nuñes

deriva dalle nostre esigenze, dalle nostre necessità e dalle soluzioni ai nostri problemi. Quindi quando parliamo di paesaggio, stiamo parlando di qualcosa che riflette la comunità che l’ha generato in una forma abbastanza chiara, a volte così chiara da funzionare come una sorta di ritratto di Dorian Gray; a volte chiediamo ad una comunità se si riconosce nel paesaggio che ha costruito, nel paesaggio di cui è responsabile, e la comunità dice “no, non mi riconosco nel paesaggio che ho generato”. Forse se parliamo della periferia di Napoli e io chiedo a voi che siete la comunità locale se vi riconoscete in questo paesaggio, può essere che mi rispondiate di no, e questo può avvenire per due ragioni: o la risposta è ipocrita, perché di fatto voi dite di no, ma continuate con gli stessi processi e modi di vita che contribuiscono alla formulazione fisica, alla materializzazione di questo paesaggio; oppure c’è un problema di rappresentazione, nel senso che le soluzioni adottate per rispondere ai problemi, alle necessità, ai sogni della comunità non sono in accordo con i veri sogni, con i veri desideri della popolazione locale. Secondo me nel caso specifico si hanno entrambi i problemi: c’è un pó di ipocrisia e c’è un po di discordanza di rappresentazione tra il sogno e il potere che gli dá forma. Almeno in Portogallo abbiamo un misto di entrambe le cose. Il progetto si inserisce in un’area che non è molto ben definibile, è acqua e terra insieme, il limite si configura nelle maree che hanno una

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portata molto ampia e la linea che definisce il limite tra terra e acqua è qualcosa di costantemente variabile e di estremamente poco chiaro. E di fatto anche matericamente si ha qualcosa che non è né terra né acqua, una specie di materiale “limite” che costituisce la giunzione tra le altre due condizioni. Il nodo centrale di questo progetto è in realtà un insieme di problemi complicati, che ci ha portato ad una particolare soluzione; il primo è un problema di condizione topografica: si tratta di un’area abbastanza piatta, un’area che, anche se abbastanza grande, era sminuita dalla sua orizzontalità, dal momento che quando si arrivava si vedeva completamente tutto e dunque era necessario cercare di creare una articolazione più complessa, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra la terra e il fiume, che in questa zona conta circa 16 km di larghezza e quindi è una presenza che “schiaccia” qualsiasi elemento che si rapporti a lui. Era quindi necessario trovare una forma per gestire l’approccio all’acqua in modo da avere da lontano una visione “a canyon” dell’acqua, e man mano che ci si avvicina una visione panoramica. Dunque partendo da questi presupposti si é arrivati ad una organizzazione morfologica, topografica, alla costruzione di una topografia artificiale che riuscisse a produrre una gestione del rapporto percettivo con questo luogo. Inoltre, considerando i venti fortissimi a cui questa zona é soggetta, questi stessi elementi morfologici vengono modificati per creare delle condizioni di riparo. Queste considerazioni immediatamente ci conducono a una particolare condizione: queste forme hanno una sezione triangolare che funziona con un versante inclinato rivolto a nord ed uno rivolto a sud. In termini esclusivamente ambientali ed ecologici, significa che abbiamo il maggior contrasto possibile, e cioè che sul versante a nord abbiamo molto vento e di conseguenza particolari condizioni di vita per la vegetazione, mentre nel versante a sud abbiamo la massima radiazione solare al riparo dal vento. Questa condizione ci porta alla possibilità di generare un segno che


Riqualificazione urbana, Alagoa (Carcavelos), Nuñes

ancora una volta non deriva dall’impronta gestuale lasciata da noi e che dovrebbe essere consolidata dalla manutenzione, ma si arriva ad un segno che risulta da un processo che noi abbiamo soltanto avviato. Se è vero che questa morfologia definisce due situazioni assolutamente contrastanti di vegetazione, allora anche in assenza assoluta di manutenzione le essenze che possono vivere su questi terrapieni sono diverse, quindi stiamo producendo una linea di contrasto, una linea di cambiamento. Il progetto è stato solamente quello di far diventare ancora più radicali, ancora più contrastanti queste differenze: sul versante nord abbiamo portato la pendenza fino al suo limite massimo di stabilità fisica, abbiamo ridotto la quantità di acqua e abbiamo piantumato alberi con un sistema di alberature collegato al sistema degli arbusti. Il versante sud è stato portato ad una pendenza che massimizza la quantità di radiazione solare ricevuta dal suolo, abbiamo generosamente attribuito l’irrigazione ad aspersione e abbiamo utilizzato un rivestimento a prato. Le geometrie delle dune sono geometrie evidentemente artificiali, anche nella loro ripetitività, perchè hanno tutte gli stessi criteri geometrici, le pendenze sono sempre le stesse, e i raggi di curvatura sono sempre gli stessi. La duna diventa cosí un segno referenziale, molto chiaramente prodotto dall’uomo. Un momento importante si ha quando il percorso, molto urbano, si stacca dal suolo che lo sostiene e diventa un percorso sopraelevato, che lascia funzionare le maree sottostanti, e, parlando di transizione tra terra e acqua, qui il limite diventa non proprio naturale, perché è stato assolutamente costruito, però è un limite morbido. Questi sono esempi di un paesaggio che è stato costruito come una sorta di grande edificio, con le sue infrastrutture, con le sue gallerie, con un suo progetto, con l’appalto per scegliere il costruttore, con le preoccupazioni legate ad un edificio chiaramente instabile, che non è mai lo stesso, che cambia ogni giorno, che cambia lungo la sua vita, ma comunque una costru-

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zione prodotta da un processo in cui la trasformazione viene sintetizzata in un elemento di comunicazione tra chi l’ha ideata e chi la realizza, uno strumento di comunicazione chiamato progetto che è sempre astratto, in cui non abbiamo più la possibilità di produrre, di costruire paesaggio in forma diretta, in forma direttamente attiva. Abbiamo per forza la necessità di coinvolgere in questo processo un filtro tra noi e la materializzazione delle nostre idee, un filtro che astrattizza le idee, l’approccio, persino nella lettura del processo stesso, perché si dá una lettura cartografica del problema, e non fisica. Un’altro esempio di processo di costruzione del paesaggio è il concorso che abbiamo vinto nel 2007 per il waterfront della città di Anversa, su un’area di 100 metri per 7 chilometri, lungo il fiume Schelda, davanti al centro storico di Anversa, corrispondente all’area dell’ex-porto di Anversa. Esiste un sistema complessissimo di darsene che è ora il vero porto, delimitato da un muro che praticamente funziona come un argine, un contenitore protettivo della città e delle banchine stesse, che arrivano a quota 7 e d il muro solleva la quota di protezione dalla quota 7 alla quota 8.20. Il problema è che questa città, stanca di veder superato il livello di protezione garantito da questo muro, ha voluto sollevare la quota di protezione, e ha cercato di arrivare allo stesso livello di protezione dell’Olanda; bisogna dire che il livello di pericolosità dell’acqua non è dovuto ad eventi straordinari come piene o simili, ma è dovuto al cambiamento del livello del mare stesso, a seconda della sovrapposizione di eventi come interposizioni planetarie, venti, pressioni atmosferiche che causano maree straordinarie provocando esondazioni. In Olanda il periodo di ritorno utilizzato per la protezione è di 350 anni, e la quota di 8.20 metri di protezione corrisponde ad un periodo di ritorno di 15 anni: evidentemente 15 anni non bastano per lasciare tranquilla la città. Era necessario innalzare la quota di protezione fino a 9.30 metri. La municipalitá, consapevole del fatto che questo innalzamento di quota rappresenta un vero


Parco urbano "de sao romao", Leiria, Nuñes

problema, perché verrebbe a tagliare tutti i rapporti tra la città e il fiume, ha promosso questo concorso. Si trattava di un concorso internazionale, in un sistema di concorsi internazionali aperti, che prevede di far diventare temi per la progettazione i problemi sentiti e raccolti da tutti i cittadini. Questo concorso prevedeva un approccio di masterplan e successivamente lo sviluppo di differenti progetti. Il tema di questo concorso era principalmente un’infrastruttura. Come tutti sappiamo un’infrastruttura è soprattutto un’opportunità di costruire paesaggi, e in questa situazione rappresentava la possibilità di costruire un waterfront. L’unica soluzione era quella di non rispondere con una proposta infrastrutturale, ma rispondere con una proposta di costruzione del paesaggio, evidentemente, e cercare prima di tutto di far vedere una cosa: un muro è un taglio brutale tra città e fiume, proprio perché impermeabile visivamente e fisicamente, mentre una deformazione topografica è sí un limite dal punto di vista visivo, ma non lo è in termini di passaggio, e dunque possiamo proporre come punto di partenza per questo problema un approccio in cui si riconfigura la morfologia attraverso un sistema di cambiamenti topografici. La questione che si poneva era come poter mantenere in questa area tutte le caratteristiche di spazi straordinari della città, spazi di attesa, di assenza di compromessi, di generosità, che abbiamo paragonato a delle pagine bianche che non devono ricevere nessuna scrittura, nessun segno definitivo, devono essere spazi

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di respiro della città, degli spazi dove le future generazioni possano avere il loro spazio di affermazione e spazi dove tutte le attività temporanee possano avere luogo (infatti fiere, manifestazioni, le attività legate per esempio al circo avvengono qui). Il problema è stato quello di trovare il modo di poter rispondere in termini tecnici alla soluzione di questo problema della comunità senza l’arroganza di disegnare un paesaggio alternativo. Non volevamo imporre un disegno che fissasse tutto ció che fino ad ora era dinamico,mobile, flessibile, tollerante , in attesa di un soffio di volontà e di desiderio che lo animasse per un paio di giorni. Era importante mantenere il carattere flessibile dell’area. Quello che abbiamo cercato di fare è stato prima di tutto analizzare molto profondamente questo luogo, in termini morfologici, in termini di rapporto con le attività che riguardano il porto, con tutta la dinamica dei passaggi, con i rapporti spazi aperti-spazi costruiti, con il fatto che la città non è sempre la stessa lungo il waterfront e che queste pagine bianche sono comunque colorate dalle diverse atmosfere e ambienti che questa città riesce a creare, e considerando che nella cronologia verticale queste pagine bianche sono ricchissime perché nascondono segni lasciati nei diversi momenti della città di Anversa. Quest’idea era il primo embrione della sintassi: la volontá di non imporre un sistema chiuso, un piano nel senso classico del termine, perché i piani non riescono ad avere la capacità di essere dinamici com’è il contesto, com’è il mondo al cui devono essere riferiti. Abbiamo presentato un approccio nel quale si é cercato di realizzare e di esaurire tutte le possibilità di affrontare il problema. L’intenzione era prima di tutto trasformare un sistema assolutamente violento nell’articolazione tra città e questo spazio di risulta “non-città”, caratterizzato dalla sua eventuale inondabilità e per questo dotato di infrastrutture particolari, non propriamente urbane, e proporre un’infrastruttura che non soltanto creasse la possibilità di divisione tra città e fiume (un fiume diciamo astratto), ma che definisse anche la separazione tra città e non-città, questa striscia di terra che non appartiene completamente alla città ma che è solo in grado di accogliere occasionalmente questo stato particolare di programma. In questo momento questa transizioni, perché abbiamo delle transizioni verticali tra le diverse quote: la banchina ha un limite verticale e quindi periodicamente le maree si spostano raggiungendo un limite verticale, finchè ad un certo punto inondano tutta l’area della banchina; e se la marea continua a salire il limite del


muro (cioè la quota 8 metri) viene superato e l’acqua inonda tutta la città. Abbiamo cercato innanzitutto di trovare delle posizioni che riescano a far diventare più chiaro, più dinamico e più cosciente questo rapporto tra terra e acqua. Inoltre abbiamo cercato di esaurire tutte le possibilità di costruzione della deformazione topografica cercando di riuscire a sostituire questo muro in quanto barriera. Abbiamo costruito un insieme di sezioni tipologiche che impostano la posizione di questo limite più vicina alla città, e che offrono un’area di non-città più generosa, che si può configurare come un piano sensibilmente inclinato (stiamo parlando di un piano inclinato che nella aree dove la fascia di lavoro é più estesa arriva a pendenze del 5%, quindi qualcosa che si avvicina molto, in termini percettivi, ad una situazione piatta); oppure si puó utilizzare il sottosuolo di quest’area protetta per sviluppare i parcheggi o per riuscire a raggiungere le quote archeologiche sotto; o ancora la deformazione raggiunge la configurazione di argine oppure è abbinata ad una posizione di scavo in cui viene mantenuta sempre la situazione attuale, perché in alcuni punti la banchina sottolinea lo skyline della città, e dunque sembrava assolutamente sbagliato interromperla. Un altro insieme di soluzioni tipologiche riguarda le piattaforme mobili; si tratta di sistemi già utilizzati spesso in Olanda con un galleggiante a rotazione o a pistone, ed abbiamo inoltre inventato una sorta di pontile mobile che ci permette di assicurare non soltanto la continuità assoluta della sezione fino al limite della banchina, ma anche di assicurare il contatto con l’acqua. Il terzo insieme di soluzioni tipologiche, simmetrico alle prime due, riguarda il massimo avvicinamento della posizione del limite all’acqua; il posizionamento é quello più radicale nel contatto tra verde e acqua, nel senso che questo margine prende l’andamento più simile al margine originale, naturale del fiume, sempre però mantenendo la posizione referenziale di protezione. Poi si é cercato di analizzare queste varianti nei termini delle possibilità programmatiche che offrono, cercando di far capire che ciascuna delle soluzioni proposte può rispondere ad un insieme di funzioni. Questi sono elementi di connessione che chiaramente possono servire a mantenere la continuità tra due sezioni/posizioni molto diverse nella loro conformazione topografica. Noi abbiamo proposto un insieme di sezioni tipologiche possibili, per ciascuna delle aree di intervento: in alcune di queste aree siamo convinti di una possibilità, in altre abbiamo presentato due, tre, quattro soluzioni

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possibili, e quello che noi proponiamo è che lo sviluppo della definizione finale del waterfront non corrisponda ad una decisione presa in una ricerca di design, ma che questa analisi possa permettere il coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti nel problemi e tutti gli strumenti di costruzione del paesaggio perché il risultato sia una costruzione complessa data dall’articolazione di queste tipologie possibili; ma si tratta di un lavoro concertato, perché devono essere coinvolte le autorità portuali, le autorità di navigazione del fiume, il comune, tutti gli agenti attivi che operano sul fiume. Abbiamo cercato piuttosto di coinvolgere i vari attori nella costruzione di un modello piú che di un disegno: uno strumento che ci permetta di dire che ci sono aree che hanno evidentemente una dimensione fissa mentre la sezione tipologica è un’astrazione, che serve soltanto ad articolare la possibilità di modellare idiversi approcci e dá la possibilità di stimolare i costi . Vorrei cercare di presentare questo masterplan soprattutto come una piattaforma di dialogo, come qualcosa che in certi versi è molto aperto e in certi versi è molto chiuso: nelle aree dove abbiamo avuto la possibilità di trovare una risposta, la diamo con tutta la nostra convinzione, altrimenti proponiamo soprattutto avvicinamenti possibili da discutere e da valutare in un insieme più complesso. *arch. paesaggista, Portogallo


Parco urbano, Duisburg, Latz

Crystal Palace Park, Londra, Latz

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Tilman Latz*

Urban Transformations

introduzione

Tilman LATZ, nato nel 1966, ha iniziato i suoi studi sulla pianificazione e l’architettura del paesaggio a Vienna. Nel 1993, si è laureato in architettura del paesaggio all’università di Cassel. Durante i suoi studi ha concentrato molta parte della sua attività su “idee-guida di riferimento per i concorsi sullo sviluppo sostenibile del territorio.

Dal 1997 fino al 2001 Tilman ha lavorato presso lo studio “Jourda Architectes”, di Parigi, con progetti in Francia ed in Germania. Ha inoltre lavorato come responsabile del progetto dell’ IBA-Emscher-Parco, in particolare sul sito della ex miniera di carbone di Mont Cenis, da considerare come un prototipo per la costruzione ed uso sostenibile di energia solare. Ha diretto inoltre progetti a Lione (la Hall del nuovo mercato in Piazza otto Maggio) ed a Bordeaux (serre, centro congressi, costruzioni per la ricerca e una biblioteca per il nuovo orto botanico).

Nel gennaio 2001, Tilman si è riunito allo studio fondato dai suoi genitori, come socio e progettista capo. Tra i numerosi progetti degli anni successivi ricordiamo: l’ open space per lo Shell Research Centre in Thornton (in collaborazione); parte del Landscape del Duisburg Nord Park (riqualificazione e riuso di una fornace); parte del recupero urbano e del paesaggio in Lussemburgo; il “Jardin Public Aval” (un giardino pubblico nella Cité Internationale di Lione); il recupero del porto di Bremerhaven in un nuovo quartiere della città con spazi pubblici all’aperto lungo il waterfront; il recupero di Port Rambaud a Lione; vari studi di fattibilità sul recupero urbano in

da discarica a Parco Urbano, Hiriya,Israele, Latz

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Francia; spazi all’aperto e impianti sportivi per le scuole e le università tecniche in Germania e nel Regno Unito. Dal 2001 al 2002, Tilman ha insegnato presso la Graduate School of Design, University of Pennsylvania, Philadelphia . Ha relazionato in varie università ed ha fatto conferenze a livello internazionale. Nel suo lavoro Tilman Latz si occupa soprattutto di progetti di recupero, con una attenzione che fonde elementi di architettura e di ingegneria con quelli del paesaggio, in una sintesi di materia e memoria, con l’utilizzo di strategie combinate di tipo ecologiche, sociali e politiche a servizio dell’architettura e del paesaggio negli spazi urbani. Tra le opere più significative di Tilman Latz possiamo ricordare la partecipazione al grande progetto di riqualificazione per Duisburg Nord all’interno dell’Emscher Park in Germania, opera iniziato dallo studio Latz & Partners, dei suoi genitori. Il parco occupa i terreni delle antiche fabbriche siderurgiche Meiderich della società Tyssen e si estende su di un territorio di circa 230 ettari. L’atteggiamento progettuale che la Latz & Partner adottò per il disegno del parco, non fu quello di tentare una fusione degli elementi presenti combinandoli in un unico assetto paesaggistico omogeneo e uniforme; il team di Latz & Partners, cosciente della forte frammentazione e discontinuità spaziale che caratterizzava il sito, ricercò, nuove interpretazioni delle strutture esistenti, mutando la loro funzione ed il contesto, attraverso la sovrapposizione e la coesistenza di una serie di livelli caratterizzati da differenti conformazioni spaziali e funzionali. Le tracce non vennero nascoste, ma esaltate. L’interesse del progetto realizzato deriva dal fatto di non voler “imbellettare” la memoria industriale, né “edulcorarla”, ma di dimostrare come l’artificio possa essere ri-trasformato in natura attraverso i nuovi significati che a queste grandi strutture sono attribuiti dalle scelte progettuali. Gli antichi reperti di archeologia industriale, oggetti isolati ed inquietanti, vengono “messi in scena” attraverso vari espedienti, con un procedimento “paratattico”, di confronto non mimetico, come grandiosi interventi di Land Art, e ci inducono ad esplorarli ed a scoprirli. Le grandi spianate destinate ad accogliere i minerali del ciclo di trasformazione, si rivelano adatte ad ospitare eventi contemporanei, mentre assumono l’aspetto di grandi mosaici di opere d’arte moderna. Ma l’interesse per lo sviluppo sostenibile di Tilman Latz trova una grande occasione nel recupero di una delle più grandi discariche contemporanee, e nella sua trasformazione in Parco. Si tratta del parco dedicato a Sharon. a Hiriya, vicino all’aeroporto Ben-Gurion di Tel Aviv . La riconversione della collina di rifiuti di Hiriya fa parte del più vasto Ayalon Park Plan, promosso nel 2004: un sistema di nuovi spazi pubblici e ricreativi che verranno insediati nei prossimi anni nella valle del fiume Ayalon, al centro dell’area metropolitana di Tel Aviv. Il parco di Hiriya è stato pensato come una sorta di grande parco a tema sul riciclaggio dei rifiuti. Il sito di Hiriya è un’area di circa 70 ettari, per decenni discarica di rifiuti indifferenziati urbani di 17 municipalità tra Gerusalemme e Tel Haviv, che hanno formato una collina alta quasi un centinaio di metri. La discarica è stata chiusa nel 1998 e raccoglie, stratificati in varie fasi corrispondenti a varie normative e provenienze, rifiuti domestici non differenziati. L’area, oltre ad essere molto vicina ai centri urbani, è situata al crocevia tra le due autostrade, è fortemente visibile nel paesaggio piatto del luogo. Amministratori e cittadini si sono impegnati per decenni al fine di realizzare questo progetto di trasformazione della discarica in uno dei più interessanti parchi contemporanei, definito anche “Recycling Park”. Lo smaltimento pianificato è iniziato nel 2000, e oggi Hiriya riceve 2700 tonnellate di rifiuti indifferenziati al giorno da 800 camion, che ne fanno una delle più grandi stazioni di transito al mondo, oltre che il più vasto e avanzato centro ambientale di Israele. Qui si separa e si ricicla tutto: plastica, legno, metalli, umido.. Dopo aver eliminato le sostanze inorganiche, resta il materiale per il trattamento biologico, da cui si ricavano acqua, compost e metano, usato per produrre elettricità con una turbina da 1,5 megawatt. Un impianto pilota di gassificazione produce syngas a ciclo chiuso. E’ in fase di pianificazione una struttura per il trattamento di pneumatici. E’ in funzione poi un impianto per le aree umide – cinque vasche in cui affondano le radici diverse specie di fiori, con il compito di purificare i rifiuti – e un impianto di trattamento per le acque reflue del processo di smaltimento. Infine, con 63 pozzi sparsi per tutta l’area viene raccolto il biogas prodotto dai materiali interrati, producendo 4 megawatt di potenza che vanno ad alimentare un’azienda tessile a qualche chilometro di distanza (Confronta Le scienze, febbraio 2008). Ayalon Park è un immenso cantiere, ma già dalla primavera 2004 sono stati aperti al pubblico dieci chilometri di piste ciclabili, che collegano Hiriya al Begin Park di Tel Aviv, mentre nel 2010 sarà inaugurato il settore orien-

Parco urbano, Hiriya, Israele, Latz

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tale del parco, il cui progetto, dopo una gara d’appalto internazionale, è stato affidato alla Latz & partners. Già oggi, per illustrare questo gioiello della gestione ambientale, il vicesindaco di Tel Aviv organizza banchetti in cima alla montagna di rifiuti che orgogliosamente mostra ai suoi ospiti. I paesaggisti tedeschi Peter e Tilman Latz, così descrivono il nuovo parco: “da lontano Hiriya sembra quasi una ‘montagna mistica’ nel mezzo della piana del fiume Ayalon. Abbiamo voluto preservare il più possibile questa immagine, creando comunque un nuovo paesaggio, che reinterpreta i caratteri del mondo mediterraneo, insieme a un piccolo lago. Tutto questo sarà invisibile dall’esterno in modo da ottenere un effetto sorpresa al termine della lenta ascesa verso la sommità della collina”. Davvero un bell’esempio da importare nelle nostre martoriate regioni di come, perfino dai rifiuti, si possa ricavare ottima architettura del paesaggio.

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ur studio is located in an idyllic rural place what implies working on romantic gardens and parks in an intact landscape. Why do our projects look so different?

It is a basic problem of public open spaces that we tend to turn “nature” and “ecology” into aesthetic dogmas and consequently regulate their use with bans and rules: Don’t climb on trees, don’t rock a branch, the “poor” tree could be damaged. One should rather enjoy the scenery quietly – what makes it impossible to deal with these places in a natural way. The behavioural patterns requested are rather those of the 19th century and mean in fact a deviation from nature. We consider it important to accept the reality of our present-day urban landscape, to learn to understand it with all its breaks and apparent conflicts and to transform it for our actual multifaceted demands.

Piazza metallica, Duisburg, Latz

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Vito Cappiello professore ordinario di Architettura del Paesaggio Facoltà di Architettura di Napoli

Our project Crystal Palace Park in London seems to be a classical park reclamation concept. Looking more closely it becomes evident that the revitalization of this once famous pleasure park today needs another approach. Regimentation of users is not realistic any more. We must carry on with another discussion and integrate the public into the process. Participation is getting European law. It will be possible for citizens in the near future, to enforce their claims by legal action. Consequently, we have to check our ability of carrying on a dialogue and to extend our methods of presentation and education in order to make our public open spaces a real success. Urbanization of natural landscapes does not necessarily mean devastation only, but also an emerging richness or rather biodiversity. We should accept this fact not only for the historic urban landscape with its parks, but also for our


New/Old Harbour, Bremerhaven, Latz

production landscapes. Even extensive “landscape damages” caused by agriculture, industry or mining can be understood as a chance to stage the fascinating aspects of specific places where both cultural and ecological approaches would find together.

They needn’t be destroyed again. We can preserve, develop and convert. In the Landscape Park Duisburg Nord, the complexity of the former industrial site has enabled an incredibly rich park. In a way, it represents the modern adaptation of a historical model: We must grab what frightens us, tame the wild beast and make a part of the park from it, thus conveying a new meaning. Structures already built are transformed and used in a new way – they become usable parts of a new landscape. A landscape of steel exists side by side with the green one, both of them capable of a harmonizing dialogue.

The usability of the existing elements is precondition for their preservation. Thus the former ore bunkers turn into climbing gardens, the gasometer becomes a submarine world, and a rather minor location amidst the blast furnaces turns into an artwork and a symbol of change. In this way we might succeed in saving not only the castles of the ruling class, but also the monuments of work and industrial history.

Parco Dora Spina, Torino, Latz

With a similar approach, we worked on the future Parco Dora in Torino. We tried to translate the rational logic underlying the former industrial plant, into analogous structures: The historic architectural grids become grids of trees, the gigantic constructions of former production halls turn into a steel jungle, a cooling tower becomes a fountain. Staging the still existing industrial remains allows by comparatively simple means to present parks or landscapes in a much more spectacular way than a new park on a “Tabula Rasa”. Moreover, their constructions are more robust and durable than new ones.

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After the design phase the project had to be handed over to a general contractor. We hope that he will be in the position and willing to realize the park in this spirit.

Even a space made of stone can be used in place of a park if connected consistently with the city and not denying besides its function the narrative aspects of its traditional structures. For the redevelopment of the New/Old Harbour Bremerhaven we dealt intensively with the materiality of the old harbour site and tried to transform it in an expressive way for up to date use. It is absolutely possible to wrest an ambitious design from the rugged and hard materials of a harbour. They must be applied quite deliberately so that they can still tell their story and at the same time can be used in an excellent way. In such a context, nonlocal materials might lead quite quickly to a loss of narrative density. We cannot afford to blind out hostile and unusable spaces of our everyday environment again


and again. This makes our world smaller and smaller. We cannot afford to leave all the potentials unused which are inherent even in highly problematic locations. Even a mountain of garbage out of operation can turn into a spectacular public space without denying its original function. As a matter of course the conditions are permanent control and consistent securing of pollution. We must drain off leachate and methane, stabilize the slopes and seal the surface. The biggest task is that the garbage “works”, the mountain will shrink and move for decades. Working on the Hiriya landfill rehabilitation in Tel Aviv, we have accepted these conditions

Parco urbano, Hiriya, Israele, Latz

and developed flexible building principles, having always in mind to preserve the impressive appearance of this manmade “Table Mountain”. The steep slopes get stabilized by a continuous foot terrace made of recycled demolition waste. Dry stone walls – also constructed with recycled debris – support “swinging” terraces between the plateau and the central depression. The necessary extensive sealing and a specific retention system offer the chance to collect sufficient water for an evergreen oasis.

It is one of our office’s basic guidelines to transform problematic locations into the characteristics of a project and special attractions for visitors and users. In doing so it is essential to concentrate on the genius loci and to find a language developed exclusively for this place. *arch. paesaggista, Germania

Trasformazioni urbane abstract

L’urbanizzazione dei paesaggi naturali non deve necessariamente significare mera devastazione degli stessi, ma anche e soprattutto deve mettere in luce la capacità del paesaggista di contemperare e far coesistere approcci diversi al luogo ed al progetto, che siano insieme “eco-logici” e “culturali”. Questa è la filosofia che contraddistingue l’attività e le opere di Tilman Latz. Le criticità e le problematiche che definiscono alcune allocazioni devono essere trasformate nelle peculiarità di un progetto, divenendo così attrazioni speciali per visitatori e per utenti; per ottenere tutto ciò è essenziale che il progettista si concentri sul “genius loci”, trovando in tal modo il linguaggio progettuale sviluppato esclusivamente per “quel” luogo. Si può e si deve preservare, sviluppare e convertire: strutture già costruite ed esistenti sono trasformate ed utilizzate in modo nuovo, divenendo parti “utilizzabili” di un “nuovo” paesaggio. L’utilizzazione degli elementi già esistenti è condizione necessaria e sufficiente alla loro preservazione e conservazione. In questo modo potranno essere salvati non soltanto i “monumenti” della classe dirigente, ma anche quelli che hanno caratterizzato la storia operaia ed industriale.

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Parco "Saint Piere", Amiens, Osty

Parco "Clichy-Batignolles, Parigi, Osty

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Jacqueline Osty*

Terre perdute: nuove centralità urbane

introduzione

Siamo giunti al penultimo incontro dei Martedì Verdi organizzati dall’Ordine degli Architetti di Napoli e provincia e dall’AIAPP Sezione Magna Grecia. Come Responsabile della Sezione Magna Grecia dell’Aiapp, mi preme ringraziare il Garden Club Penisola Sorrentina che, anche quest’anno, ha sponsorizzato l’iniziativa. Oggi abbiamo con noi la paesaggista Jacqueline Osty che ha fondato il suo studio a Parigi nel 1983. Si è laureata in architettura del paesaggio alla Scuola Nazionale Superiore del paesaggio di Versailles. Ha insegnato architettura del paesaggio nella Scuola di Versailles e alla Harvard University. Dal 2004 insegna alla scuola di Blois. Ha progettato e realizzato il parco Saint Pierre a Amiens e per questo parco ha vinto il premio Urban Planning Parks and Gardens nel 1994 e il premio Landscape nel 2005. Ha ricevuto, inoltre, la medaglia d’argento dall’ Architecture Academy Foundation nel giugno del 2004. E’ conosciuta per la sua abilità di plasmare il paesaggio come una struttura con una forte sensibilità architettonica. I suoi progetti sono legati al contesto in cui opera e alle sensazioni che il luogo le da’ sia in piccola che in grande scala. E’ attenta a creare dei link che ancorano il progetto al sito ed ogni progetto si configura come un piccolo pezzo di una tessitura più ampia. Nel suo modo di progettare il paesaggio Jacqueline Osty mostra chiarezza e semplicità che si coniugano con la ricchezza della struttura e dei materiali. Ha lavorato in molti progetti urbani per molte città francesi. I suoi progetti vanno dai grandi parchi pubblici, alle piazze e al recupero urbano. Voglio ricordare il già citato progetto per il parco Saint Pierre a Amiens del 1994 all’interno del quale l’elemento acqua nella sua naturalezza, caratterizza il progetto, il parco Grammont a Rouen, il giardino Robinson a Plessis – Robinson, il parco Teodore Monod a Le Mans nel quale si legge un’impostazione minimalista, il parco Clichy Batignolles a Parigi, in cui gli assi della città penetrano definendone la struttura principale che si interseca con la geometria del progetto. Per passare ai progetti degli spazi pubblici urbani e delle promenade di Piazza Bellecour a Parigi, Piazza Bachut, Piazza Francoforte a Lione, Piazza Charles de Gaulle a Poitier. E infine a Parigi la promenade Richard Lenoir e il lungo fiume della Senna di fronte alla Biblioteca Nazionale.

J

Biography Jacqueline Osty acqueline OSTY is a landscape architect working in Paris. A graduate of the national landscape architecture school of Versailles, she founded her own office in 1983. She also taught at the national landscape architecture school of Versailles and at the Harvard University. She’s teaching at the landscape architecture school of Blois since 2004. She has designed and constructed the Saint-Pierre Park in Amiens and has won the Prize for Urban Planning (Parks and Gardens) in 1994 and the Price of Landscape in 2005 for this park. She has also received the Silver Medal from the Architecture Academy Foundation the 22th of June 2004.

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Giulia de Angelis presidente della Sezione Magna Grecia dell’Aiapp

Know for her ability to translate landscape as structure with a strong architectural feeling, Jacqueline has worked on many urban design projects for most of France’s major cities. She has developed a very contextual and sensitive approach to the site, working back and forth from a large territorial scale to the scale of small details. She pays close attention to how to create links to anchor the project in the site. Each project is like a fine piece of weaving. In her landscape design, Jacqueline sets out clear and simple lives in contrast with a richness of textures and materials.


Parco "Saint Piere", Amiens, Osty

Her works covers a variety of landscape types from large public parks, public places to urban restructuring. Her park work includes the Park Saint-Pierre in Amiens, the Grammont Park in Rouen, the Robinson garden in the city of Plessis-Robinson, the Park Theodore Monod for the city of Le Mans and the Clichy-Batigabstract

nolles Park in Paris. The public place projects and urban promenades work include the Bellecour Place, the Bachut Square and the Francfort Place in Lyon, Charles de Gaulle Place in Poitiers, and, in Paris, the Richard-Lenoir promenade and the Seine River bank in front the new National Library.

Le città stanno ampliandosi al di fuori dei loro confini attuali, sono zone enormi con terreni incolti diventati vittime di economia hupheaval. Stiamo arrivando ad un periodo nel quale si vogliono guadagnare queste zone abbandonate. Sappiamo che cosa è in gioco per il nostro futuro? Questa può essere un’occasione per inventare il nuovo disegno urbano. In questo contesto inoltre significa che gli abitanti della città hanno una consapevolezza che continua ad aumentare verso l’ecologia e la sete per la natura. Ecco perché sempre più la gente sta invitando gli architetti paesaggisti per intervenire a riparare le nostre città. Per lavorare a questa scala, il progettista di paesaggio deve occuparsi delle domande che fino ad oggi erano principalmente alla portata della progettazione urbana. Tali domande sono: come iscrivere un progetto nel più grande contesto possibile, nella visione possibile più larga di una città, considerare la relativa storia, la morfologia e una gamma completa dei bisogni, con l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile. Non ci può essere il progetto reale di paesaggio senza una vista e una strategia generali necessarie per generare i collegamenti fra tutte le parte di una città. Ciò fa parte di nuova filosofia contemporanea dell’architettura del paesaggio. Il relativo obiettivo è l’idea di un beneficio comune e per questo obiettivo è necessario rivelare il potenziale dei luoghi, i sogni di fondo, relazionarli con gli sviluppi finanziari ed economici possibili. La realizzazione del parco del San-Pierre in Amiens (1994) e del parco di Clichy-Batignolles a Parigi (2008-2009) si è sviluppata su luoghi di terre residue, del luogo del brownfield e delle ferrovie, una politica di riconquista urbana delle terre residue e di nuova creazione di centralità. Il parco del San-Pierre, è naturalmente urbano mentre il parco di Clichy-Batignolles, è artificialmente naturale.

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*arch. paesaggista, Francia


Venaria Reale, Torino

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3 2009

PIANIFICATORI PAESAGGISTI E CONSERVATORI DI NAPOLI E

PROVINCIA

28 APRILE ore 16.30

Sezione Magna Grecia

Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio

www.aiapp.net

Sala delle Conferenze Piazzetta Matilde Serao 7 80133 Napoli Tel 081 4238259 081 4238279 Fax 081 2512142

CICLO DI CINQUE CONFERENZE SUL PAESAGGIO sede dell’Ordine degli Architetti di Napoli e Provincia

Foto Giulia de Angelis

ORDINE DEGLI ARCHITETTI

i martedìverdi

saluti

Paolo Pisciotta

presidente Ordine Architetti di Napoli e Provincia

Giulia de Angelis

presidente della Sezione Magna Grecia dell’Aiapp

interviene

presentazione

Bruno Mancuso

sindaco Comune di Sant’Agata di Militello (Me)

Gabriella Cundari

assessore all’Urbanistica Regione Campania

Giuseppe Contiguglia

direttore piano strategico Nebrodi città aperta

conferenza

Benedetto La Macchia

12 MAGGIO ore 16.30

conferenza

Henri Bava

26 MAGGIO ore 16.30

conferenza

9 GIUGNO

ore 16.30

conferenza

Philippe Coignet

16 GIUGNO ore 16.30

conferenza

Paolo Burgi

conclude

Pio Crispino

coordinatore piano strategico Nebrodi città aperta

«Territorio – dal paesaggio alla città»

introduce Alessandra Forino

Gabriele Kiefer

«Ricombinazioni»

introduce Maria Luisa Margiotta «Morfologie»

introduce Vincenzo Corvino «Il progetto di paesaggio tra riscoperta e sperimentazione»

introduce Tindara Crisafulli

vicepresidente Ordine Architetti di Napoli e Provincia

Coordinamento scientifico: arch. Pio Crispino arch. Giulia de Angelis

vicepresidente Ordine degli Architetti di Napoli e Provincia

Dott.ssa Ester Burani

Ordine degli Architetti di Napoli e Provincia

Segreteria organizzativa:

presidente della Sezione Magna Grecia dell’AIAPP


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