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SIAMO DAVVERO UN POPOLO UNICO
U
na serie di quesiti giunti all’Associazione da diversi Comuni ha convogliato, nelle scorse settimane, l’attenzione degli esperti ANUSCA su alcune singolari dichiarazioni che, per ragioni destinate a rimanere sconosciute ai comuni mortali, sono arrivate sul tavolo di molti colleghi dei servizi demografici. Se non avete mai sentito parlare del “Popolo Unico”, magari siete ancora in tempo per liberare la vostra vita da ogni vincolo e spiccare finalmente il volo nell’oceano della libertà… (auguri!). O, molto più probabilmente, non vi siete persi nulla più di qualche risata o qualche momento di incredulità. Eppure tale congregazione, facilmente rintracciabile sul web dove pare abbia migliaia di seguaci (oggi non si negano a nessuno), raccomanda ai suoi adepti di compilare e sottoscrivere due modelli di autocertificazione o autodichiarazione, all’attenzione dell’ufficio anagrafe-stato civile, con la pretesa che vengano protocollati e dunque acquisiti dal Comune. Sulla finalità di tali aspirazioni il mistero persiste, non solo per il collega che per la prima volta sta leggendo queste brevi note, ma (ve lo assicuriamo) anche in noi che, coraggiosamente, ci siamo un po’ addentrati nel merito di tali atti e degli obiettivi che questi “cittadini liberi” espongono sul web. Sta di fatto, però, che la tragicomica patata bollente ha generato, giustamente, molti dubbi tra i colleghi: di cosa si tratta? Devo protocollare? Devo forse rispondere o fare qualcosa? Tutte domande legittime a cui noi, certamente non degni di far parte del “popolo unico” ma limitandoci modestamente a essere normali cittadini e pubblici funzionari di uno Stato di diritto, proviamo a dare risposta. Le dichiarazioni - Di cosa stiamo parlando? I modelli, facilmente rintracciabili anche sul web, recitano testualmente “Autocertificazione/ autodichiarazione di esistenza in vita e di Legale Rappresentante” ed elencano una serie di stati personali che il
di Andrea Antognoni
cittadino ritiene di dover attestare. Il primo modello sostanzialmente è un’autocertificazione di esistenza in vita, benché contenente alcuni riferimenti quanto meno singolari (la persona dichiara “in qualità di essere umano” e in quanto residente “nella Penisola italica”). Con il secondo modello abbiamo il definitivo salto di
qualità: la persona si dichiara in fatti “legale rappresentante” di se stessa e soggetta a un fantomatico Trust in base al quale (tenetevi forte) “dichiara di non accettare alcun contratto, ovvero effetto di alcun contratto tra voi, stato “Italia”, corporation Republic of Italy, comune di xxx e qualsiasi terzo, avente ad oggetto o presupposto la sua Persona o le sue posizioni giuridiche di qualsiasi tipo, in base al precetto “Res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest”. Come giustamente rilevato dal collega Romano Minardi nella sua risposta a uno dei tanti quesiti giunti in associazione, recentemente divulgata da ANUSCA, si tratta di atti dichiarativi del tutto sconnessi da qual si voglia attività o procedimento di competenza dei servizi demografici ma, più in generale, dell’intero Comune. Visto il tenore delle dichiarazioni, poi, che mirano all’obiettivo di non sottostare più ai provvedimenti della Pubblica Amministrazione italiana, esse sono correttamente rubricabili nella categoria delle scritture private, con
una rilevanza giuridica che risulta pari a zero. Tuttavia, sono dichiarazioni regolarmente sottoscritte, presentate nella forma prevista dal Dpr n. 445/2000, direttamente all’ufficio protocollo dell’ente, con esplicita richiesta che vengano protocollate e, conseguentemente, indirizzate all’ufficio indicato (ahinoi, i demografici). Sul dovere di protocollazione - Ora, nessun dubbio che tali atti rientrino nel novero, in costante aumento delle “stramberie” e che dal punto di vista dei procedimenti amministrativi essi siano da considerarsi inesistenti, poiché del tutto estranei a qualunque competenza dell’ente, non richiesti né inquadrabili in alcun procedimento né in alcuna registrazione anagrafica o di Stato Civile. Ma tutto ciò ben difficilmente potrà esimere il Comune dalla protocollazione. La questione è assai dibattuta poiché non vi è una norma di legge che dica chiaramente cosa debba essere protocollato (vi sono alcuni Comuni che hanno deciso di regolamentare la materia, benché sia molto complesso definire a priori cosa protocollare e cosa no). Se non ché, tuttavia, riscontriamo nel Dpr n. 445/2000 nonché nei principi stessi dell’attività amministrativa una chiara distinzione tra l’obbligo generico (cfr. art. 53, quinto comma: “sono oggetto di protocollazione obbligatoria…”) di protocollare tutta la documentazione in entrata e in uscita dall’ente e l’eccezione di alcune categorie di documenti che non vanno, invece, protocollati, perché per la loro natura, sostanzialmente divulgativa, non necessitano di alcuna registrazione formale né di conservazione. In generale, le istanze e le dichiarazioni dei cittadini non rientrano nell’eccezione, che tra l’altro il medesimo articolo del Testo Unico elencherebbe in un numero finito di atti, col risultato che non potranno (continua a pag. 10)