Il dialogo con l'interprete [excerpt]

CONSERVATORIO DI MUSICA “GIUSEPPE VERDI” DI MILANO Corso di Diploma accademico di II livello in Composizione Anno accademico 2021/2022

IL DIALOGO CON L’INTERPRETE Lettura, Memoria e Ascolto nella Composizione Musicale

Candidato: David Antúnez Rodríguez Relatore: Gabriele Manca

Sessione autunnale Milano, 2022

«no llegaría a saber jamás […] por qué había sido tan necesario prestar cada vez mayor atención al diálogo, y que del diálogo surgiese el convencimiento de que había que seguir escuchando» JULIO CORTÁZAR

INDICE PREDIALOGO Abstract

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Parole chiave

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Introduzione

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Metodologia

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1. Dalla presenza dell’interprete al dialogo.

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1.1. Perché una rivalutazione della presenza dell’interprete?

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1.2. Edmond Jabès e Il libro del dialogo.

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DIALOGO 2. La collaborazione con l’interprete.

2.1. La lettura come strategia compositiva, ovvero l’interprete modello.

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2.1.1. Lettura ‘alla mente’.

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2.1.2. Stratificazione di letture.

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2.1.3. Fonetica ‘strumentale’.

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2.2. La memoria come strategia compositiva, ovvero l’interprete accanto.

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2.2.1. Memoria ed erosione.

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2.2.2. Memoria ed intertestualità.

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2.2.3. Il problema con l’orchestra.

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2.3. L’ascolto come strategia compositiva, ovvero l’interprete ‘zahorí’.

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2.3.1. Alla soglia dell’ascolto.

77

2.3.2. Silenzio.

85

2.3.3. Dialoghi di ascolti.

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DOPODIALOGO Conclusioni

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Bibliografia

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Partiture consultate

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Elenco di figure

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PREDIALOGO ABSTRACT Il presente testo continua la ricerca artistica dell’autore sulla rivalutazione della presenza dell’interprete in musica, sia nel momento dell’interpretazione, sia nel processo stesso di composizione. Si propone quindi la collaborazione del compositore con tre interpreti ideali: interprete modello, interprete accanto e interprete ‘zahorí’,1 presentandosi strategie di composizione focalizzate rispettivamente sulla lettura, la memoria, e l’ascolto di ognuno di loro. Ciò nonostante, queste tre categorie non si escludono a vicenda, bensì convivono rafforzandosi l’un all’altro, poiché sono intese come sfaccettature di uno stesso interprete ideale, un interprete che stia aperto al dialogo. Con il fine di approcciare le infinite possibilità che offre il lavoro su queste strategie, si ricorrerà a esempi tratti dalla musica di altri compositori, ma non solo, anche dalla poesia, la scultura o la pittura. Si illustreranno esempi di partiture scritte dall’autore per evidenziare le idee esposte a livello teorico nella sua concretizzazione. Ma soprattutto, si aprirà il dialogo agli interpreti con i quali ha collaborato, ai quali si lascerà la parola per farli partecipi sia dell’interpretazione che del processo creativo dei pezzi alla base di questa tesi.

PAROLE CHIAVE presenza, co-creazione, interprete, intertestualità, soglia 1 Il termine ‘zahorí’ si può tradurre all’italiano come ‘rabdomante’. L’argomento sarà trattato più avanti, concretamente nel

punto di questa tesi dedicato a 2.3. L’ascolto come strategia compositiva, ovvero l’interprete ‘zahorí’.

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INTRODUZIONE La domanda nel fare artistico è fondamentale per stimolare il rinnovamento della propria pratica. È necessario trovarne una, raffinarla, metterla in discussione continuamente per riuscire ad avvicinarsi a ciò che ravviva le inquietudini dell’artista. Se la domanda divenne rassicurante, bisogna scartarla o riformularla per evitare di cadere nella routine dello ‘scrivere per scrivere’; per ricercare invece, ancora una volta, l’instabilità del rischio ci permetterà di avanzare sospinti da qualcos’altro in grado di agire al di là di un’inerzia ormai sterile.

Il disagio e la scomodità nell’arte sono urgenti per mantenere l’arte viva, mutabile, necessaria.2 Nel caso della ricerca alla base di questa tesi, il disagio si trova nella distanza imperante fra compositore e interprete, nella sua accettazione che spesso avviene in modo piuttosto spensierato da entrambe le parti. Disagio che la ‘consueta gerarchia’ riaccende quando impoverisce la scrittura indirizzandola verso un’esecuzione univoca; ostacola l’oralità, una volta fondamentale nella trasmissione della musica, fino ad annichilirla; o appiattisce l’ascolto –proprio e altrui– ingabbiandolo con i ‘limiti’ del già conosciuto.

Ma quindi, perché continuiamo ad accettare, talvolta addirittura ad afferrarci, a questa distanza micidiale? Perché in questo modo la partitura è ‘sufficiente’, le prove sono ‘spedite’ e se ne riduce il numero, gli esecutori sono ‘soddisfatti’, poiché il loro mestiere non viene in alcun modo alterato, soprattuto per quanto riguarda l’arcaico atteggiamento che purtroppo ‘brandiscono’ normalmente le orchestre.

Il quesito qui, cioè, il perché che origina e ravviva ancora oggi questa ricerca artistica, è stato dunque l’impossibilità di accontentarsi del supporto cartaceo come assoluto intermediario – quando esso agisce unicamente nella distanza– fra chi crea e chi interpreta la musica. Si tratta di un’impossibilità esacerbata dalla volontà di non sfociare in ‘soluzioni’ che avrebbero supposto una sorta di ‘esilio artistico’, nel quale la pratica dell’autore si sarebbe ‘deviata’ dalla composizione per addentrarsi in altri ambiti come la ‘libertà sfrenata’ della performance (spesso obsoleta), il ‘testo come pretesto’ del teatro (dove la musica svolge solitamente un

2 Riguardo questo argomento, cfr. GABRIELE MANCA, Quasi una prefazione, in GABRIELE MANCA, L’instabilità del quesito.

La domanda nel fare artistico: cinque anni di ricerca Milano, Firenze, Gent, rivista Quaderni del Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano, Edizioni ETS, s.n. 1/2021, pp. 7-9. «La ricerca in campo artistico è una condizione di disequilibrio, di disagio e di scomodità, senza requie, una precarietà che colmandosi si ripropone uguale a sé stessa senza mai offrire soluzioni. […] Tutte le domande di ricerca quindi […] dovrebbero partire da un disagio, da una rottura, da un conflitto, da un’impossibilità e non aspirare necessariamente ad una risposta. Forse, per radicale coerenza, dovrebbero rifuggire da ogni soluzione conclusiva.»

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ruolo ‘dietro le quinte’), o i ‘supporti audio’ dell’elettroacustica (‘rassicurata’ dall’utilizzo di un nastro, ‘irrigidita’ da un click-track, o talvolta ‘disumanizzata’ dall’impiego di diverse automatizzazioni), per citare soltanto e generalizzando qualche esempio. Resta invece la volontà di rimanere nel rapporto con il musicista nella composizione in ciò che, ancora oggi, si conosce come ‘forma di concerto’, rivalutando però la presenza dell’interprete, e senza accettare appunto la supremazia della partitura come intermediario preferenziale, poiché quest’ultima non è sufficiente. Nonostante tutto la partitura raccoglie un’infinità di tracce: del compositore, del suo background artistico e personale –ammesso che essi si potessero scindere–, degli interpreti che hanno ‘sfiorato’ o meno la creazione dell’opera, dei riferimenti o di altre influenze artistiche; questa ricerca si interroga partendo proprio dalla convinzione, con l’urgente scomodità che da essa scaturisce, che la partitura (scritta) non è in grado di contenere integralmente la musica. Anzi, è da notare –poiché quest’affermazione potrebbe sembrare piuttosto ovvia, sebbene essa venga spesso sottovalutata o trascurata– che la parte più significativa della musica, in questa ricerca artistica, rimane occulta nella scrittura, ma suggerita agli interpreti come via per i loro coinvolgimento ed avvicinamento al processo creativo, accennandola o indicandola in modi più o meno ‘velati’.

Perciò, se si ‘contempla’ una qualsiasi delle partiture che stanno alla base di questa tesi, si avrà un acceso incompiuto, poiché la scrittura non è in grado di raccogliere il ruolo decisivo che la singolarità di ogni interprete assimila nella musica. La scrittura serve quindi per avviare e suggerire queste altre sfaccettature inerenti all’interpretazione, senza però rispecchiarle in maniera assoluta perché esso supporrebbe una cristallizzazione univoca della musica.

Tutte queste inquietudini percorreranno in seguito le pagine di questo testo e, sebbene saranno in continuo dialogo con riferimenti tratti da numerosi autori, esse si basano principalmente sul pensiero artistico che ha originato la poetica di Edmond Jabès, la musica di Luigi Nono e la pittura di Antoni Tàpies, tre artisti che condivisero il non-accontentarsi di ciò che già conoscevano, ma il coltivare l’infinito interrogarsi come cammino verso i possibili non ancora conosciuti. Per poter cominciare è necessario aprire la solitudine dell’autore ai lettori che si avvicinino a questo testo, così come l’autore l’ha aperta a quella degli interpreti con cui ha lavorato, per aprire quindi, «come si apre un libro», le vie verso il dialogo con l’interprete.3

3 «– Ma il dialogo non si improvvisa. Dobbiamo provocarlo e poi accettare, insieme, di proseguirlo. | – Aprire la propria

solitudine a quella dell’altro, come si apre un libro.» in EDMOND JABÈS, Uno straniero con, sotto il braccio, un libro di piccolo formato (1989), a cura di Alberto Folin, Milano, SE SRL, 2001, p. 78.

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