Pseudoesfoliatio

LAVOCE

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Sommario

8

Epidemiologia ed eziopatogenesi Dr. Costantino Bianchi

18

Aspetti clinici, istopatologia ed ultrastruttura Prof. Gianni Alessio

26

Fattori di rischio nella chirurgia della cataratta Dr. Alessandro Franchini

34

La gestione della pupilla nella PEX Dr. Vincenzo Orfeo

40

Gestione chirurgica della facodonesi e del cristallino sublussato Prof. Aldo Caporossi

48

Gestione chirurgica del cristallino lussato Dr. Vincenzo Pucci

52

Scelta della IOL nella sindrome pseudoesfoliativa Prof. Daniele Tognetto

61

Gestione del glaucoma associato alla cataratta Dr. Scipione Rossi

66

Chirurgia combinata della cataratta e del glaucoma pseudoesfoliativo Dr. Riccardo Sciacca

74

Trattamento della dislocazione tardiva del sacco contenente la IOL Dr. Giorgio Tassinari

SPECIALE LA VOCE AICCER 5

Presentazione Cari Amici, il numero 1 della rivista La Voce AICCER viene sostituito dalla monografia su “La Sindrome Pseudoesfoliativa nella Chirurgia della Cataratta�.

Il volume non vuole essere un trattato scientifico ma una piccola guida pratica da consultare e, speriamo, da tenere sulla propria scrivania.

Abbiamo suddiviso la Monografia in 10 capitoli che hanno lo scopo di approfondire la sindrome pseudoesfoliativa dalla sua eziopatogenesi, alla gestione chirurgica e alla gestione del glaucoma associato.

Un ringraziamento particolare va ai colleghi che hanno collaborato alla realizzazione di questo volume, fornendoci il loro prezioso apporto scientifico.

Scipione Rossi

SPECIALE LA VOCE AICCER 7

Costantino A. Bianchi Dichiaro di non aver alcun interesse commerciale, diretto o indiretto, nella materia di questo articolo

Epidemiologia ed eziopatogenesi

L

a Sindrome Pseudo Esfoliativa (PEX) è una patologia correlata all’età, dovuta alla produzione ed all’accumulo di materiale fibrillare extracellulare anomalo in molti tessuti dell’organismo. Le sue manifestazioni oculari interessano tutte le strutture del segmento anteriore, compresa la congiuntiva e i tessuti periorbitari. La PEX è clinicamente correlata con glaucoma e cataratta, malattie che compaiono più frequentemente nei malati di PEX che nei soggetti normali. Materiale fibrillare simile a quello riscontrato nei tessuti oculari è stato identificato anche nella cute e nel tessuto connettivo di alcuni organi interni (cuore, polmoni, fegato, reni, meningi) 1.

Epidemiologia Frequenza nella popolazione generale La PEX è stata riscontrata in tutte le popolazioni del mondo, anche se le percentuali di prevalenza riportate variano in modo considerevole, a volte anche di 10 volte. Si va da una prevalenza praticamente nulla negli Esquimesi Inuit 2 a quella del 38% riscontrata negli Indiani Navahos 3. Inoltre, la prevalenza in una singola popolazione, o Paese, può variare anche di tre volte, in funzione dell’osservatore.

Questa estrema variabilità è legata a molte cause: l’età e il sesso della popolazione esaminata, i criteri clinici utilizzati per porre la diagnosi, l’abilità e l’attenzione dell’osservatore nell’individuare casi iniziali. Pertanto, per poter validamente raffrontare percentuali di prevalenza in popolazioni diverse, sarebbe fondamentale che la valutazione fosse fatta dallo stesso osservatore. Comunque, anche lo stesso osservatore utilizzando la medesima tecnica di esame può trovare in un singolo Paese una percentuale variabi8 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

le dal 3.6 al 20.6%, come riscontrato da Colin in Francia, rispettivamente a Tolone e a Brest4. Inoltre, vi sono numerosi altri fattori che ingenerano confusione: osservazioni condotte sulla popolazione in generale, piuttosto che su una popolazione di malati oftalmici o ricoverati in altri reparti, su pazienti ambulatoriali o ricoverati, su pazienti con cataratta o glaucoma, su pazienti destinati ad interventi chirurgici, ecc.

Poiché queste importanti differenze di campionamento hanno prodotto più confusione che chiarezza, esse vanno tenute in attenta considerazione quando si vogliono comparare le prevalenze riportate da diversi autori. Si può in ogni caso affermare che la prevalenza della PEX va progressivamente aumentando se si passa dalla popolazione generale, ad una popolazione con oltre 50 anni, ad una popolazione di ipertesi oculari, ad una di pazienti glaucomatosi, ad una di pazienti con glaucoma ricoverati, a glaucomatosi da sottoporre ad intervento, a pazienti con glaucoma assoluto1.

Per chi desidera conoscere dati di prevalenza nelle singole popolazioni, è utile consultare pubblicazioni specificamente dedicate1,5,6. In Italia la prevalenza è stata stimata tra lo 0.8% (80 casi su 10.000 pazienti) 7, e il 2.5% (180 casi su 7000)8. Nella tabella 1 sono raccolte le percentuali di prevalenza reperibili nelle principali fonti bibliografiche.

Età. In tutte le prevalenze pubblicate, la PEX aumenta con l’età, in modo tanto correlato che Forsius stima che sopra i 50 anni la sua prevalenza raddoppi ogni decade di età4. Per esempio, nei Finlandesi si passa dal 10% nei sessantenni, al 21% nei settantenni, al 33% negli ottantenni. Un rapido aumento della prevalenza di PEX dopo i 50 anni è stato confermato da un recente studio su un campione giapponese, preso dalla popolazione generale 36.

Nazione o etnia

Percentuale 9,10

Svezia

23-66%

Norvegia

6.3%-60% 11,12

Finlandia

20%

5,13,14

Lapponia

20% 15

Razza Eschimese

0%

5,15

Islanda

10.7-57%

Danimarca

26% 19 12

Inghilterra

4%

Isola Di Mann

55% 20 21

Irlanda

65%

Germania

4.7% 12

Francia

5.5%

4

Francia - Brest

20.6%

Francia - Toulon

3.6% 4

4

5,16-18

Nazione o etnia

Percentuale

Italia

0.8-2.5% 7,8

Creta

25.8% 22

Usa-Razza Caucasica

1.6- 25.9% 23-25

Usa-Razza Nera

0.4% 26

Nuovo Messico

3-6% 27

Arabia Saudita

9.4% 28

Zimbabwe

7.4% 29

Sud Africa

6- 18.9% 30

India

0,69 - 6% 31-33

Pakistan

6.45% 34

Cina

0.4% 35

Giappone

3.4% 36

Australia

0.98-11% 37,38

Tabella 1. Prevalenza della SPEs in alcuni Paesi ed etnie del mondo.

SPECIALE LA VOCE AICCER 9

Epidemiologia ed eziopatogenesi

Sesso. Non vi è una chiara preferenza per il sesso nelle varie casistiche, anche se potrebbe esservi una modesta prevalenza nel sesso femminile. Questa lieve differenza potrebbe essere spiegata col fatto che le donne sono più longeve. Tuttavia, il glaucoma compare prima ed in forma più grave nei maschi1.

Eredità. Si tratta di un aspetto della PEX che solo i recenti progressi della genetica hanno permesso di studiare con precisione, e quindi sin’ora non è stato definito un chiaro pattern ereditario, anche se si propende per un’eredità autosomica dominante a penetranza incompleta39,40. Aasved, in 25 famiglie di pazienti affetti, ha riportato una prevalenza del 9.4%, rispetto ad un 1% dei controlli39. Forsman in una sub unità di popolazione finlandese ha stimato che la percentuale di discendenti con PEX era del 16% se un solo genitore era affetto e del 18% se ambedue lo erano41.

Del tutto recentemente, sofisticati studi di genetica molecolare hanno dimostrato che la PEX è correlata con polimorfismi di un singolo nucleotide a livello della regione 15q24.1 e più precisamente a due polimorfismi non sinonimi nell’exone 1 del gene LOXL1. Il 25% della popolazione generale è omozigote per l’aplotipo ad alto rischio, con una probabilità di andare incontro alla PEX 100 volte maggiore dei soggetti che hanno solo aplotipi a basso rischio42. Va sottolineato che il gene LOXL1 produce una proteina che catalizza la formazione di fibre di elastina, riscontrate come uno dei maggiori componenti delle lesioni della PEX. Un altro studio, peraltro limitato ad un campione molto particolare (isolani di un arcipelago finlandese, quindi probabilmente con consanguineità superiore a quella riscontrabile nella popolazione normale) ha dato un’elevata probabilità di linkage per la PEX con il locus 18q12.1-21.33, e probabilità inferiori ma statisticamente significative per i cromosomi 2q, 17p, e 19q40. Questi due studi, anche se non conclusivi, forniscono il punto di partenza per svelare il background genetico molecolare della PEX, tappa indispensabile per poter ipotizzare un eventuale trattamento della sindrome mediante terapia genica.

Prevalenza di asimmetria nella PEX. La letteratura è particolarmente confusa per quanto riguarda questo aspetto, a cominciare dalla definizione. Secondo Ritch e Schlötzer-Shrehardt, non è corretto parlare di PEX unilaterale o monolaterale, in quanto praticamente in tutti i casi in cui è stata effettuata una biopsia sono state reperite alterazioni PEX anche nell’occhio clinicamente apparentemente indenne1.

Pertanto, si dovrebbe più appropriatamente parlare di asimmetria, e la definizione di uni o monolateralità andrebbe intesa esclusivamente come malattia clinicamente conclamata o latente. La ragione di questa confusione è con ogni probabilità da imputarsi agli stessi fattori ricordati a proposito della variabilità riportata per la frequenza nella popolazione generale (v. sopra). Una riprova di questo sarebbe che la frequenza di coinvolgimento bilaterale è più alta nella letteratura europea rispetto a tutte le altre, con una frequenza di coinvolgimento bilaterale del 75%4,43-46, mentre per la letteratura statunitense e giapponese la proporzione è praticamente l’opposto (75% di coinvolgimento monoculare)47-49. In ogni caso, i pazienti con coinvolgimento monoculare sarebbero lievemente più giovani rispetto a quelli con coinvolgimento bilaterale50.

10 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

Frequenza nella popolazione con glaucoma. La stretta relazione tra glaucoma e PEX è dimostrata dal fatto che la prima descrizione clinica della PEX stessa fu fatta nel 1917 da Lindemberg che si accorse, utilizzando la lampada a fessura poco prima ideata da Gullstrand, che il 50% dei suoi pazienti con glaucoma presentava delle squamette furfuracee sul bordo pupillare51. Questa relazione stretta fu ribadita da Vogt, che, per indicare una delle più importanti e frequenti forme di glaucoma secondario ad angolo aperto, coniò il termine di “glaucoma capsulare”52, definizione che poi è definitivamente diventata nelle Linee Guida dell EGS quella di “glaucoma pseudoesfoliativo”53.

La prevalenza della PEX nei pazienti glaucomatosi è significativamente più alta rispetto ad un gruppo di riferimento con analoghe caratteristiche senza glaucoma. Nei Paesi scandinavi e nelle popolazioni a discendenza Celtica questa percentuale è maggiore (tabella 1).

La prevalenza negli Stati Uniti è inferiore, all’incirca il 12% in popolazioni glaucomatose, con percentuali inferiori nel Sud del Paese e nei soggetti di razza nera47,54, 55.

Un problema particolare è costituito dalla prevalenza della PEX nei glaucomi ad angolo chiuso. Mentre secondo taluni autori tale prevalenza non si discosterebbe da quella riscontrabile nella popolazione generale, secondo altri essa è molto più alta e va da un minimo del 10% ad un massimo del 32%. In Italia, uno studio condotto da Brusini ha riscontrato il 21% di angoli chiusi su 233 glaucomi pseudoesfoliativi56.

Rimando chi volesse approfondire il problema alla Relazione SOI su “I glaucomi da chiusura d’angolo” di L. Bonomi 57.

Frequenza nella popolazione con cataratta. La associazione PEX e cataratta è ben nota ai chirurghi della cataratta, per le maggiori difficoltà e complicanze che essa comporta per l’atto chirurgico ed è stata riportata in un innumerevole numero di pubblicazioni, per cui rimando alla review di Ritch e Schlötzer per una più ampia rassegna bibliografica1.

Riporto nella tabella 2 gli studi di prevalenza più indicativi pubblicati successivamente alla rassegna di Ritch. È interessante notare che molto spesso una cataratta monolaterale si associa con una PEX clinicamente monolaterale: secondo Ritch, questo potrebbe far pensare ad un momento eziopatogenetico comune, per esempio ad una sindrome ischemica cronica oculare.

Eziopatogenesi Per quanto riguarda la struttura, la natura, e gli studi morfologici e in vitro del materiale pseudo esfoliativo (PEX), rimando al capitolo successivo, dedicato a questi argomenti. Qui mi limito a riportare alcune ipotesi sull’origine del materiale PEX capsulo lenticolare e le teorie attualmente più condivise sulla sua eziopatogenesi.

Nazione

Prevalenza %

Estonia

35.4% 58

Arabia/Oman

69%

Etiopia

39%

60

Marocco

9.8%

61

Polonia

8.2% 62

59

Tabella 2. Dati recenti sulla prevalenza della SPEs in pazienti con cataratta.

SPECIALE LA VOCE AICCER 11

Epidemiologia ed eziopatogenesi

Teorie sull’origine del materiale PEX capsulo-lenticolare

Le ipotesi che ormai da anni sono stato fatte sull’origine del materiale PEX ipotizzano: • la deposizione secondaria da componenti dell’umore acqueo1,63,64; • trasferimento di materiale dall’epitelio irideo1,64; • formazione locale di materiale di degenerazione della capsula lenticolare o delle lamelle zonulari1,64,65; • produzione da parte dell’epitelio della zona germinativa lenticolare1,64,66.

Più recentemente, si ammette un deposito del materiale clinicamente visibile come processo passivo che si origina nell’umore acqueo e nell’iride, mentre il materiale visibile solo alla microscopia sulla zona di attacco preequatoriale della zonula sarebbe prodotto attivamente dell’epitelio lenticolare 1,67.

L’aspetto macroscopico assunto successivamente dai depositi (disco centrale, zona paracentrale vuota o con lacinie, ecc.) è prodotto dai movimenti del bordo pupillare.

Inoltre, si ammette che possano coesistere fenomeni pseudo esfoliativi con fenomeni di esfoliazione vera, in quanto è possibile uno scompaginamento degli strati superficiali della capsula con perdita di frammenti di materiale capsulare 1,68.

Teorie sulla patogenesi

Le indagini istopatologiche ed ultrastrutturali, che saranno ampiamente trattate nel capitolo successivo e alla quali rimando, hanno dato origine a tre principali ipotesi etiopatogenetiche, cui recentemente se n’è aggiunta una quarta, sulla base di considerazioni epidemiologiche e cliniche.

Teoria della sostanza amiloide. È probabilmente la teoria più “datata”, fondata sulla marcatura della sostanza esfoliativa con antisiero anti-amiloide A. Tuttavia, attualmente non trova molti sostenitori, in quanto test più sofisticati (utilizzo di anticorpi monoclonali contro la beta-amiloide, immunoglobuline a catena leggera ed altro) non hanno confermato questa ipotesi 69.

Teoria della membrana basale. Il riscontro di una frequente associazione di PEX con membrane basali alterate in vari tipi di cellule e il riscontro immunoistochimico di epitomi della membrana basale (p.e. laminina, nidogeno, eparan sulfato proteoglicano) sosterrebbero l’ipotesi che i depositi pseudoesfoliativi siano prodotti da una membrana basale alterata70.

Teoria elastica micro fibrillare. La stretta associazione tra materiale pseudoesfoliativo ed i principali componenti del sistema elastico (fibre zonulari, fibre elastiche, microfibrille elastiche [oxytalan], altro materiale elastotico) ha dato origine alla ipotesi che la PEX sia un tipo di elastosi che colpisce selettivamente le microfibrille elastiche.

Benché l’esatta natura del materiale pseudoesfoliativo rimanga sconosciuta, evidenze di immunoistochimica fanno ipotizzare la presenza di epitomi elastiche, quali l’elastina, la vitreonectina, l’amiloide P e la fibrillina. In particolare, la localizzazione alla microscopia elettronica della fibrillina-1, che è la principale componente delle microfibrille elastiche, nelle fibre della PEX e nelle sue sub unità microfibrillari sta a supporto di quella che attualmente è la teoria più seguita per spiegare la genesi della PEX. 12 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

In particolare, il riscontro all’immunomicroscopia elettronica di fibrillina-1 e di LTBP-1 in sub unità microfibrillari di materiale esfoliativo, sia intra che extraoculare, starebbero ad indicare che nella PEX si ha un’eccessiva produzione ed un’aggregazione anomala di microfibrille elastiche1,71,72. Questo dato ben si accorda con i già ricordati polimorfismi del gene LOXL1, che regola la formazione di fibre di elastina.

Teoria infettiva. Il riscontro di una maggior incidenza di PEX in coniugi rispetto ai controlli11 e numerose segnalazioni di pazienti in giovane età che hanno presentato una PEX dopo essere stati sottoposti a chirurgia intraoculare ha fatto sorgere il sospetto che questa patologia possa avere una origine infettiva73-75. Il sospetto è rafforzato dall’impressionante somiglianza strutturale tra il materiale fibrillare che si deposita in corso di encefalopatia spongiforme degli ovini (“scrapie”) e le fibrille della PEX 76.

Mancano peraltro evidenze definitive a sostegno di questa ipotesi, quali la possibilità di ricreare sperimentalmente nell’animale una PEX.

Conclusioni La Sindrome Pseudo Esfoliativa è un’entità nosologica ancora non perfettamente conosciuta. Le differenti definizioni che ne sono state date ed il polimorfismo di quadri clinici con cui può presentarsi rende anche difficile una precisa valutazione epidemiologica, giacché molto spesso è stata presa in considerazione una popolazione (ad esempio pazienti con cataratta o glaucoma) con caratteristiche cliniche del tutto diverse da quelle della popolazione generale. È però ormai appurato che la percentuale di prevalenza è molto variabile secondo le razze e popolazioni considerate, punto fermo a cui si è giunti valutando le percentuali riscontrate da uno stesso esaminatore in popolazioni diverse. Questo dato induce a ritenere che le differenti prevalenze siano legate a fattori ereditari, ambientali, o anche a tipo infettivo o in ogni caso trasmissibile.

La causa della PEX non è ancora stata individuata, ma il reperto di materiale pseudo esfoliativo anche in altri organi ed apparati, oltre a quello oculare, induce ragionevolmente a ritenere che si tratti di una patologia a carattere sistemico. L’ipotesi oggi giorno più accreditata è che si abbia un’abnorme produzione di materiale elastico, con conseguente aggregazione anomala dello stesso.

A questo riguardo, colpisce fortemente il fatto che ben poche ricerche sono state fatte nel campo della Medicina interna, della Reumatologia e dell’Infettivologia in questo campo. È quindi assai verosimile che, una volta acquisiti dati laboratoristici e submicroscopici di carattere non solo oculare, sarà possibile dare un inquadramento più preciso a questa patologia, trasformandola da sindrome a malattia, individuarne con precisione o almeno con alta approssimazione le cause e, di conseguenza, affrontare l una via razionale per trovare una terapia adeguata ed efficace.

Dr. Costantino Bianchi Via Ciro Menotti, 1/a • 20129 Milano Tel. 02 740793 biankeye@fastwebnet.it

Autore di riferimento

SPECIALE LA VOCE AICCER 13

Epidemiologia ed eziopatogenesi

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Giovanni Alessio Antonio Cantatore

Gli autori dichiarano di non avere alcun interesse commerciale, diretto o indiretto, nella materia di questo articolo.

Dichiarano, inoltre, che tutte le immagini allegate allo stesso sono originali.

Figura 1.

Aspetti clinici, istopatologia ed ultrastruttura Aspetti clinici La sindrome pseudoesfoliativa (PEX) è un reperto spesso occasionale all’esame clinico del paziente, a causa dello scarso corredo sintomatologico. Proprio per questo, la diagnosi si basa sul riconoscimento di alcuni segni peculiari che devono essere rinvenuti durante un esame di routine.

Esaminando in midriasi la capsula anteriore del cristallino (figura 1), si possono distinguere tre zone: (a) un disco centrale, di aspetto omogeneo, delimitato dalla presenza di materiale PEX di aspetto bianco-grigiastro, disposto in modo circolare; (b) una zona intermedia, di aspetto rugoso, nella quale talvolta si apprezzano delle strie radiali; questa zona potrebbe essere il risultato dello sfregamento meccanico del margine pupillare sulla capsula anteriore; (c) una zona periferica, di aspetto granulare in periferia e di colore bianco centralmente, altra sede di deposito di questo materiale.

L’aspetto più caratteristico è proprio quello del bordo anteriore della zona più periferica, che si presenta irregolare e “arricciato”, come se la capsula stessa tendesse a sbucciarsi in questa sede.

Il materiale PEX si può riscontrare anche sul bordo pupillare, dove assume un aspetto furfuraceo, e sulla superficie anteriore dell’iride

18 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

(figura 2). Quest’ultima, inoltre, va trans illuminata per individuare segni di atrofia, che si manifesta sottoforma di difetti intrastromali radiali sulla sua porzione sfinterica.

A questo proposito, è noto che l’iride di individui affetti da questa sindrome è caratterizzato da una scarsa midriasi, anche dopo l’instillazione dei colliri.

Lo studio della camera anteriore rivela, qualche volta, la presenza di una modesta cellularità, la cui origine è da collegare ad una rottura della barriera emato-acquosa dell’uvea più Figura 2. che ad una sua reazione flogistica. Se a questo dato si aggiunge la presenza occasionale di sinechie irido-capsulari, un altro reperto occasionale di questa malattia, possiamo motivare la tendenza di alcuni autori nel definire questo aspetto come pseudo uveite.

La dispersione di pigmento è un altro dato che sovente si reperta in occhi affetti da PEX. Sono ancora controverse le informazioni circa l’origine di questa dispersione, come si discuterà più avanti.

All’esame gonioscopico (figura 3), si possono riscontrare sul trabecolato piccoli ammassi puntiformi di colorito grigio-bluastro, che rappresentano depositi dello stesso materiale; spesso l’angolo irido corneale si presenta iperpigmentato per deposito di pigmento sia sul trabecolato, sia sul margine anteriore della linea di Schwalbe, formando la cosiddetta linea di Sampaolesi, reperto comune negli occhi affetti da questa sindrome.

Depositi di pigmento si possono riscontrare anche sull’endotelio corneale; lo stesso, inoltre, presenta sovente un aspetto punteggiato da finissimi depositi non pigmentati, che, si suppone, rappresentino concrezioni in situ di materiale PEX. Come suggerito da Naumann e Schlötzer-Schrehardt, è ipotizzabile una disfunzione endoteliale acquisita in coloro che sono affetti da PEX, dato che alcuni pazienti hanno sviluppato nel tempo una cheratopatia da scompenso endoteliale, che ben si distingue dalla forma di Fuchs o dalla cheratopatia bollosa nello pseudofachico.

Sedi meno comuni di deposito sono i corpi ciliari, le fibre zonulari e la ialoide anteriore del vitreo, reperto, quest’ultimo, più evidente in occhi pseudofachici.

Altro aspetto di questa sindrome è la presenza di una instabilità zonulare che giustifica la Figura 3.

SPECIALE LA VOCE AICCER 19

Aspetti clinici, istopatologia ed ultrastruttura

Figura 4.

maggiore predisposizione alla sublussazione, o alla lussazione franca, del cristallino che si manifesta, non di rado, spontaneamente (figura 4); ciò può essere alla base di un maggior rischio di complicanze qualora si sottopongano questi pazienti a chirurgia per cataratta.

Grazie all’ausilio della microscopia elettronica (figura 5) e dell’immunoistochimica24 recentemente sono stati analizzati altri tessuti di pazienti affetti da PEX, come orbita e cute palpebrale21-23, fegato23, meningi23, pelle23,24, rene23, vescica23 polmone e miocardio23, riscontrando, anche in queste sedi, la presenza di materiale strutturalmente identico a quello pseudo esfoliato.

Inoltre, è sempre crescente l’interesse scientifico verso la correlazione della PEX con patologie che affliggono questi apparati: sono infatti presenti diversi lavori in letteratura circa l’associazione della PEX con cardiopatia ischemica26, attacchi ischemici transitori27, Malattia di Alzheimer28 o addirittura con alterazioni di parametri sierologici, come l’iperomocisteinemia29; questo a ragione dell’ipotesi secondo cui la PEX rappresenti una malattia sistemica in cui l’occhio è soltanto la sede privilegiata. Tuttavia, mancano ancora trials clinici multicentrici che possano confermare questi dati come evidenza clinica.

Aspetti istopatologici ed ultrastrutturali Quando Lindberg, nel 1917, studiò alla lampada a fessura pazienti che presentavano quelle caratteristiche sopra descritte, ipotizzò una forma particolare di flogosi che sviluppava, nel tempo, un tipo di glaucoma non responsivo alle terapie convenzionali1. Lo studio al microscopio, di cui Vogt2,3 può essere considerato il promotore, ha, al contrario, dimostrato che i caratteri della PEX sono ben diversi, aprendo la strada verso la risposta a quesiti circa la natura del materiale PEX, la sua sede di origine, e il collegamento che infine porta allo sviluppo della malattia glaucomatosa.

Quello che viene ora descritto rappresenta una breve rassegna sui risultati di numerosi studi effettuati sia al microscopio ottico, che al microscopio elettronico, su di una patologia che presenta, purtroppo, ancora oggi Figura 1. Immagine di PEX al microscopio elettronico degli aspetti poco chiari. (gentile concessione del Prof. Aldo Caporossi) 20 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

Cristallino

Al microscopio ottico, la superficie anteriore di un cristallino normale si presenta con aspetto bistratificato con uno strato esterno, sottile, definito strato precapsulare, che si impregna intensamente con le diverse tecniche di colorazione (ematossilina/eosina, tricromica di Masson, Mallory, van Gieson), comprendente la membrana pericapsulare e lamelle zonulari, ed uno interno che si colora meno, definito strato fibrillare, il cui spessore è variabile, che costituisce la capsula anteriore vera del cristallino.

In un cristallino affetto da PEX è stato osservato uno strato in più, intermedio tra questi due, definito da Bertelsen5 strato amorfo; con la tricromica di Masson, infatti, si apprezza meglio la netta distinzione tra lo strato amorfo, che si impregna in blu intenso, e lo strato fibrillare che si colora in arancio. L’osservazione al microscopio elettronico a basso ingrandimento dello strato amorfo lo rivela come una banda fibrogranulare fortemente elettrondensa, più abbondante nella zona pre-equatoriale, conferendo alla capsula anteriore un aspetto disorganizzato e spugnoso 8. Ad alto ingrandimento, si osserva che questo strato è costituito dalle fibrille di materiale PEX, le quali, a partire da invaginazioni nell’interstizio dell’epitelio capsulare, risalgono verso la capsula vera dove si organizzano in micro fibrille di 10-15 nm oppure in fibre di 18-25 nm, queste ultime tipiche del materiale PEX5.

Dato che questo materiale è più abbondante al di sotto della capsula pre-equatoriale, ovvero in corrispondenza della zona germinativa del cristallino, possiamo giustificare la teoria patogenetica secondo la quale il materiale PEX viene prodotto proprio dall’epitelio pre-equatoriale del cristallino4,5,8,14,16.

Il materiale che costituisce il disco centrale, che alla lampada a fessura si presenta con aspetto furfuraceo, al microscopio ottico appare costituito da escrescenze di aspetto arborescente che si distribuiscono, oltre che sulla capsula anteriore del cristallino, anche sulla superficie posteriore dell’iride, fibre zonulari e corpi ciliari. DvorakTheobald4, osservò, al pari di altri autori, che la pluridistrettualità di questo materiale faceva pensare alla presenza di diverse sedi di produzione dello stesso, e pertanto coniò il termine di pseudo esfoliazione per distinguerla dalla malattia di esfoliazione vera del cristallino, che colpisce chi si espone per tempi lunghi ad alte temperature (ad es. soffiatori di vetro, fuochisti, ecc.). La stessa osservò tali escrescenze al microscopio ottico con la tricromica di Masson sulla capsula anteriore, riconoscendo una morfologia differente a seconda della sede: • sul disco centrale, le escrescenze mostrano un aspetto dendritico e si dispongono affiancate le une alle altre configurandosi in una struttura tipo siepe; • sulla zona periferica si presentano con aspetto ramificato e sottile, simili a piume; • in prossimità dell’equatore, si fanno più rade e isolate, di aspetto vellutato, configurando nell’insieme un aspetto capelluto, tipo frange di tappeto.

Corpi ciliari e apparato zonulare

L’osservazione dei corpi ciliari rivela un materiale con identiche affinità istologiche alle altre sedi, depositato sottoforma di piccoli accumuli sulla membrana basale delle SPECIALE LA VOCE AICCER 21

Aspetti clinici, istopatologia ed ultrastruttura

cellule dell’epitelio non-pigmentato. Ad alto ingrandimento, il materiale PEX appare stratificato sia sulla superficie delle cellule dello stesso epitelio, che sulle fibre zonulari, presentandosi come escrescenze di aspetto filiforme disposte con orientamento perpendicolare rispetto alla superficie di appoggio4,6.

Al microscopio elettronico, appaiono ricoperte dal materiale PEX, il quale sembra stratificarsi sulla membrana basale dell’epitelio, emergendo sulla sua superficie attraverso piccoli spazi interepiteliali. Anche in questa sede, la struttura cellulare non è intaccata; tuttavia, negli stadi più avanzati, il microscopio elettronico rivela alcune cellule dell’epitelio ciliare danneggiate, probabilmente sotto l’effetto compressivo del materiale PEX accumulatosi progressivamente9,10.

L’apparato zonulare non è scevro dalla deposizione di materiale fibrillare. Diversi studi hanno infatti rilevato la deposizione di questo materiale in ben tre differenti siti: (a) a livello della origine delle fibre nel corpo ciliare, dove le fibre appaiono separate dalla mambrana basale dell’epitelio non-pigmentato; (b) a livello della pars plicata, dove il materilae ricopre la sua superficie senza intaccarla ultrastrutturalmente; (c) al sito di ancoraggio delle fibre sulla capsula anteriore della lente9,17.

Questi reperti sono di elevata rilevanza clinica, dato che potrebbero spiegare l’elevata incidenza di instabilità zonulare del cristallino e le complicanze che ne possono conseguire negli individui affetti da PEX. Iride

Lo studio al microscopio ottico dell’iride ha rilevato, anche in questa sede, la presenza di materiale PEX rappresentato tanto sulla sua superficie posteriore, in forma di escrescenze arbustiformi, tanto sulla sua superficie anteriore, depositato nei solchi, nelle cripte e sullo sfintere pupillare. La vicinanza dell’iride alla superficie anteriore del cristallino fa pensare che il primo depositi il materiale sulla sua superficie, il quale, in seguito allo strofinamento sulla capsula, lo porti progressivamente verso il campo pupillare, accumulandolo sottoforma del disco centrale che noi osserviamo alla lampada a fessura.

Studi ultrastrutturali hanno confermato che tutta la superficie posteriore appare ricoperta da materiale fibrillare disorganizzato che si interpone tra le cellule pigmentate, raggiungendo anche la membrana basale, dove poi si stratifica9. Questo materiale sembra non interessare l’ultrastruttura cellulare, seppure alcuni hanno osservato cellule pigmentate lisate contenenti fibrille simili a quelle del materiale PEX11.

Il materiale fibrillare è stato descritto anche nello stroma dell’iride, frammisto alle fibre collagene, soprattutto intorno alla parete avventiziale dei vasi sanguigni9,12; i capillari appaiono infatti contratti e talvolta obliterati.

L’iride affetto da PEX è, pertanto, poco nutrito, e questo dato, insieme al processo degenerativo sopra descritto dell’epitelio pigmentato, possono spiegarci la dispersione di pigmento nell’umore acqueo e il suo deposito sull’endotelio corneale e negli spazi intratrabecolari.

22 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

Angolo irido corneale

Studi ultrastrutturali eseguiti sul trabecolato sclerocorneale19,20 ci hanno fornito altrettanti dati interessanti. La maggior parte del materiale PEX è stato rinvenuto sia nello spazio sub endoteliale del canale di Schlemm che nel tessuto juxta canalicolare (JCT). Le cellule dell’endotelio trabecolare presentano organelli citoplasmatici ipertrofici. Il materiale PEX è sempre localizzato in extracellulare; appare anche a questo livello di aspetto fibrillare, dove tende ad organizzarsi in fibre sottili molto elettrondense. Talvolta, è possibile apprezzare questo materiale nel contesto di vacuoli che protrudono verso il lume del canale, ma non è mai stato rivelato all’interno del canale stesso: questo fenomeno si definisce pseudovacuolizzazione dell’endotelio.

Accumuli di materiale PEX sono stati trovati, inoltre, nella porzione uveale del trabecolato, e anche all’interno di cellule endoteliali trabecolari, che apparivano come infarcite da questo materiale. Indagini ultrastrutturali eseguite su occhi glaucomatosi hanno poi rivelato presenza di detto materiale nel lume del canale di Schlemm, il quale non è stato risparmiato neanche nelle sue fenestrature parietali; questi elementi sono da ritenere più che sufficienti a spiegare il legame tra pseudoesfoliatio lentis e malattia glaucomatosa cronica, e questo indica che, alla base, ciò che si realizza è un blocco trabecolare al deflusso di umore acqueo. Infine, depositi di materiale PEX sono stati trovati anche intorno ai dotti collettori del canale di Schlemm e alle vene acquose.

Materiale PEX

Capire quale sia l’origine di questo materiale, osservato nelle diverse strutture dell’occhio, è uno degli intenti degli studi di istochimica; infatti, a seconda della specifica colorazione, è possibile risalire alla composizione chimica della materia che caratterizza la PEX. Dvorak-Theobald individuò una positività del materiale PEX alla colorazione con acido periodico di Schiff (PAS), il che faceva intendere la presenza di glicoproteine, costituenti tipici delle membrane basali4.

Garner et al.6 studiarono al microscopio ottico questa sostanza dopo esposizione ad un agente ossidante e successiva impregnazione con aldeide fucsina: la positività a questo trattamento portò alla conclusione che la sostanza prodotta nella sindrome PEX fosse composta da micro fibrille analoghe a quelle dei tessuti elastici. Dato che questa proprietà è tipica anche delle fibre zonulari, il cui componente principale è l’ossitalano7, si valutò la possibilità che anche le micro fibrille fossero costituite in gran parte da questa sostanza.

Studi di immunoistochimica hanno inoltre dimostrato la presenza della proteina legante il TGF-‚ latente tipo 1 (LTBP-1) come componente delle fibrille del materiale PEX, rendendo questo componente un marker per la diagnosi di PEX anche nei tessuti extraoculari25.

Da questi risultati si evince quindi che il materiale PEX deriva sicuramente da un disordine nella sintesi della matrice extracellulare, dato che è costituito da molecole SPECIALE LA VOCE AICCER 23

Aspetti clinici, istopatologia ed ultrastruttura

glicoproteiche e glicosaminoglicani, presentando componenti strutturali appartenenti sia alle membrane basali13,14 che ai tessuti elastici6,7.

Conclusioni Allo stato attuale, dai risultati dei diversi studi, sia istopatologici, che ultrastrutturali, possiamo concludere che la PEX è una malattia sistemica caratterizzata dalla produzione di materiale fibrillare, di origine sconosciuta, depositato nella matrice extracellulare di vari tessuti ed organi.

Per quanto concerne l’occhio, che rappresenta la sede privilegiata, oltre che quella più danneggiata, sembra che iride e epitelio pre-equatoriale della lente siano le sedi principali di produzione del materiale fibrillare. Non è ancora chiaro se anche l’angolo irido-corneale sia un’altra sede di produzione, tuttavia, è ormai certo che il coinvolgimento progressivo di questa struttura porti inesorabilmente verso lo sviluppo di una forma di glaucoma secondario ad angolo aperto.

Tutte le altre sedi dove il materiale PEX è osservato alla lampada a fessura, rappresentano sedi secondarie di deposito che si realizza in seguito alla dispersione dello stesso nell’umore acqueo.

La natura chimica di questo materiale, è ancora oggi oggetto di discussione: come abbiamo già visto è necessario stabilire la sua esatta provenienza per meglio comprendere i meccanismi patogenetici che sono alla base di questa malattia.

Ben si comprende, pertanto, che la PEX è una malattia dagli aspetti ancora poco chiari, che merita, quindi, ulteriori approfondimenti sulle sue caratteristiche, sia istologiche che ultrastrutturali, al fine di poter giungere a un preciso inquadramento per la l migliore gestione dei pazienti che ne sono affetti.

Autore di Prof. Giovanni Alessio riferimento Università degli Studi di Bari Dipartimento di Oftalmologia ed Otorinolaringoiatria Sezione di Oftalmologia g.alessio@oftalmo.uniba.it

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SPECIALE LA VOCE AICCER 25

Alessandro Franchini Eleonora Vaccari Piero Grasso Cannizzo

Fattori di rischio nella chirurgia della cataratta

L

a sindrome da pseudoesfoliatio (PEX) è una patologia sistemica generalizzata caratterizzata da una anormale produzione o turnover di matrice extracellulare.

Per gli oftalmologi la sindrome rappresenta un insieme di manifestazioni intraoculari causate dai cambiamenti determinati dal deposito del materiale pseudoexfoliativo nei tessuti oculari. Tutte le componenti della camera anteriore possono presentare delle alterazioni che costituiscono fattori di rischio per complicanze più o meno importanti durante e dopo l’intervento di cataratta.

Negli anni passati, quando l’intervento veniva eseguito con tecnica extracapsulare (ECCE) molti studi hanno documentato, nei pazienti affetti da questa sindrome, un incremento dell’incidenza di facodonesi e dialisi della zonula1-7, un aumento della durezza del nucleo3, una scarsa midriasi3,8-11, rottura della capsula posteriore, perdita di vitreo, incremento dell’incidenza di flogosi postoperatoria1,2,3,8.

Nei pazienti operati con ECCE è stata riportata una percentuale di fuga della capsula anteriore del 27%12, di rottura della capsula posteriore o dialisi della zonula variabile tra il 13 ed il 28%12-15 e una frequenza di perdita vitreale variabile tra il 5 ed il 12%8,13,16. Questi studi hanno dimostrato una frequenza di dialisi della zonula 10 volte superiore12 ed un incremento di 5 volte della frequenza di perdita di vitreo rispetto a pazienti non affetti da questa sindrome13-17.

Con l’avvento della facoemulsificazione la frequenza di gravi complicanze intraoperatorie è diminuita in tutti i pazienti ed in particolare nei pazienti affetti da PEX3,18.

Nei pazienti operati con facoemulsificazione la frequenza della perdita di vitreo varia tra il 1 ed il 5%3,18-21.

26 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

Inoltre in alcuni recenti lavori non è stata risconn Scarsa midriasi trata una differenza statisticamente significativa tra n Difficoltà nella esecuzione della rexi la frequenza dell’insorgenza di queste complicanze n Lassità o dialisi della zonula in pazienti affetti da PEX e non22-25. n Maggiore durezza del nucleo Tuttavia la diminuzione della incidenza delle comn Scompenso corneale postoperatorio plicanze non è dovuta solo al fatto che con la facoen Flogosi postoperatoria mulsificazione sono diminuiti i rischi chirurgici legati a questa patologia, ma al fatto che oggi con Tabella 1. Fattori di rischio per l’intervento dei cataratlo sviluppo delle conoscenze il chirurgo che si ta nei pazienti affetti da PEX. appresta ad operare un paziente affetto da PEX pone in atto tutta una serie di accortezze che diminuiscono i maggiori rischi presenti. A questo scopo un grande aiuto è stato sicuramente garantito dalle nuove tecnologie sia per quanto riguarda i facoemulsificatori e gli strumenti chirurgici che le sostanze viscoelastiche, che ci permettono di aggirare molti degli ostacoli presenti. In questi pazienti possono insorgere problemi durante tutte le fasi dell’intervento. Nella tabella 1 sono riportate le difficoltà a cui dobbiamo prestare più attenzione ponendo in atto tutte le risorse che oggi la tecnologia mette a nostra disposizione.

Scarsa midriasi Nei pazienti affetti da PEX il materiale pseudoefoliativo è osservabile sia sull’orletto pupillare, dove persiste e può nuovamente formarsi dopo l’intervento (figura 1), sia in periferia. È presente inoltre una dispersione di pigmento che si accumula in formazioni a spirale a livello dello sfintere e spesso una subatrofia iridea evidenziabile alla transilluminazione,caratterizzata dai caratteristici difetti dell’orletto e da sinechie posteriori (figura 2). Sarà quindi difficile prima dell’intervento indurre una Figura 1. Presenza di materiale pseudoefoliativo sull’orletto pupillare dopo l’intervento. sufficiente midriasi farmacologia.

Delle numerose tecniche oggi a nostra disposizione per ottenere una buona midriasi intraoperatoria verrà riferito in un altro capitolo.

A nostro avviso lo strech pupillare mediante uncini con manovra bimanuale con o senza rimozione del cercine di jalinosi pupillare, resta in questi pazienti la tecnica di elezione. Infatti questa manovra, poco costosa e rapida, garantisce una sufficiente e duratura midriasi.

SPECIALE LA VOCE AICCER 27

Fattori di rischio nella chirurgia della cataratta

Capsulorexi L’introduzione della capsulorexi, qualunque sia la tecnica chirurgica poi eseguita, ha rappresentato in questi pazienti una novità molto importante poichè la sua esecuzione comporta uno stress zonulare molto limitato. Tuttavia questo momento chirurgico rimane sempre una fase molto delicata.

Le sue dimensioni non dovrebbero superare i 5-6 mm di diametro onde evitare qualsiasi possibilità di lesionare le fibre zonulari che si estendono sulla cristalloide anteriore per circa Figura 2. Caratteristici difetti dell’orletto pupillare. due mm. In questo ambito di sicurezza il chirurgo deve eseguire una rexi regolare,centrata, rotonda ed a bordi regolari. Tutto questo, sempre importante, acquista un significato particolare in questi pazienti dove è importante evitare il passaggio della capsulotomia sulle zone dove è deposto il materiale esfoliativo. Infatti l’iride nel suo punto di appoggio sulla parte centrale della faccia anteriore del cristallino gratta il materiale pseudoesfoliativo che si va a depositare in una banda centrale ed una periferica lasciando libera da depositi la parte intermedia (figura 3).

La banda periferica, evidenziabile solo dopo midriasi, è caratterizzata da striature radiali irregolari e da depositi granulari che potrebbero favorire una fuga della ressi.

Il chirurgo potrebbe essere così invogliato a restringere il diametro della capsulotomia ai fini di diminuire i rischi, atteggiamento da evitare per scongiurare fenomeni postchirugici di contrazione del sacco capsulare responsabili a volte di estese dialisi zonulari con possibilità di lussazione tardive del sacco.

Per eseguire la ressi in questi pazienti è preferibile utilizzare un paio di pinze idonee che garantiscano un buon controllo degli spostamenti ed una sostanza viscoelastica ad alto peso molecolare ed ad alta viscosità, che garantisca una ottima trasparenza ed una buona paseudoplasticità (Healon GV). Tutte queste caratteristiche faranno si che nel momento in cui il chirurgo si arresta per riprendere il flap la situazione venga congelata istantaneamente.

Nei pazienti affetti da sindrome da pseudoesfoliatio è stata dimostrata3,4 una diminuzione della profondità della camera anteriore determinata dalla lassità zonulare che favorisce lo spostamento in avanti della lente.

Questo rappresenta un ulteriore fattore di rischio per la fuga della rexi. Infatti nel momento in cui il chirurgo Figura 3. Percorso ideale della capsulorexi. procede allo spostamento del flap capsulare, la sua dire28 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

zione è influenzata da due forze: la prima è quella trasmessa sul bordo esterno della rexi dalla tensione delle fibre zonulari e spinge verso l’esterno e la seconda, centripeta, è quella trasmessa dal chirurgo sul flap capsulare. La risultante tra queste due forze determinerà la direzione che prenderà la capsulotomia (figura 4).

Nei pazienti con spostamento in avanti del cristallino le fibre sono tese e così la trazione centrifuga esercitata è molto maggiore e maggiore è la possibilità di una fuga. Anche per questo è opportuno l’utilizzo di una sostanza viscoelastica ad alto peso molecolare che approfondendo la camera anteriore determinerà un rilasciamento delle fibre zonulari.

Figura 4.

Direzione della forza esercitata dal chirurgo Direzione della forza esercitata dalle fibre zonulari Direzione di avanzamento della incisione

Dialisi della zonula Si tratta certamente della complicanza più temuta.

Nella sindrome da pseudoexfoliatio le proteinasi lisosomiali distruggono la struttura normale della membrana basale dell’epitelio non pigmentato dei corpi ciliari e della capsula anteriore della lente. La rottura della struttura della membrane basale altera il complesso zonula-capsula determinando una adesione tra la zonula e l’epitelio non pigmentato. Di conseguenza le forze di rotazione e di movimento antero-posteriore che inevitabilmente si vengono a generare durante l’intervento possono determinare una rottura della zonula con perdita di vitreo. Quindi particolarmente nei pazienti affetti da PEX vanno adottate tutte quelle manovre atte ad eseguire una cosiddetta “immobile cataract surgery”. Dopo avere eseguito la rexi con la tecnica e le attenzioni descritte si effettua la idrodissezione, ponendo particolare cura nel rompere le aderenze capsulo-corticali,e la idrodelaminazione. Nei casi ad alto rischio meglio evitare la rotazione del nucleo.

Ma è soprattutto durante la facoemulsificazione che le forze di rotazione e di movimento antero-posteriore possono determinare uno stress della zonula. Durante la fase di scolpitura la superficie del nucleo deve essere soltanto sfiorata e non impalata dalla punta della tip, al fine di minimizzare la spinta che viene esercitata sulla lente. È anche importante evitare l’occlusione che può portare ad una improvvisa spinta del nucleo verso l’incisione. Fondamentale è anche l’utilizzo di un settaggio della fluidica che consenta di evitare le fluttuazioni della camera anteriore che determinano un continuo spostamento del diaframma irido-lenticolare con stress delle fibre zonulari. A tale scopo bisogna evitare di lavorare con bottiglie posizionate troppo in alto, settaggi esasperati ed irrigazione continua.

Tuttavia le moderne macchine oggi a nostra disposizione con i loro sofisticati software di controllo della stabilità della camera anteriore ci consentono di lavorare in condizioni di estrema sicurezza anche utilizzando una fluidica un po’ più spinta.

SPECIALE LA VOCE AICCER 29

Fattori di rischio nella chirurgia della cataratta

Se invece di una lassità zonulare è già presente una limitata dialisi può essere indicata l’utilizzazione di tecniche di estrazione bimanuale della cataratta. Infatti avere la irrigazione separata dalla aspirazione ci consente di utilizzare quest’ultima come uno strumento. Il flusso di infusione può essere direzionato all’interno del sacco capsulare nel punto in cui è presente la dialisi in modo da dare stabilità al sacco e consentire una più agevole rimozione della lente.

Certamente in questi ultimi anni abbiamo osservato un aumento delle dislocazioni spontanee tardive del sacco capsulare nei pazienti affetti da sindrome pseudoesfoliativa24. Probabilmente gli sviluppi ottenuti nei risultati operatori hanno portato ad uno spostamento di questa complicanza dal momento operatorio al periodo postoperatorio.

La contrazione del sacco capsulare, esercitando una forza centripeta svolge un ruolo determinante nella compromissione tardiva della zonula e l’evitare di eseguire una rexi troppo piccola è essenziale per limitare questi meccanismi. Nei casi di fimosi capsulare può essere utile procedere non solo alla esecuzione di una capsulotomia posteriore ma anche di capsulotomie anteriori rilassanti23,25,26.

Tuttavia il fatto che la dislocazione possa avvenire anche molto anni dopo l’intervento24,27 induce a pensare che i processi di indebolimento patologico della zonula vanno avanti anche parecchio tempo dopo che la contrazione capsulare si è completata.

L’utilizzo di anelli di tensione capsulare (CTR) in pazienti con lassità zonulare, anche se consigliato, non sembra garantire con sicurezza stabilità negli anni. Sono stati infatti descritti casi di lussazione tardiva del complesso sacco-IOL-CTR28. Probabilmente i CTR modificati con possibilità di apporre suture di fissazione sclerale29,30 possono contribuire ad evitare questa complicanza nei pazienti con PEX e facodonesi.

Cornea A livello corneale il materiale extracellulare, bianco-grigiastro simile all’amiloide, può depositarsi sull’endotelio insieme a pigmento che però difficilmente si dispone a formare un fuso di Krukenberg. Tutto questo può portare ad una riduzione della densità cellulare endoteliale con fenomeni di pleiomorfismo e polimegetismo.

Dopo l’intervento di cataratta si ha così un aumento dei casi di scompenso corneale favorito anche dalle aumentate manovre, dall’incremento dell’ energia utilizzata e dal possibile incremento postoperatorio della pressione endoculare.

Flogosi postoperatoria Altro fattore importante è una maggiore flogosi postoperatoria ed un maggior rischio di emorragie sia intra che post operatorie. Infatti studi eseguiti con il microscopio elettronico e studi immunoistochimici hanno evidenziato un accumulo di materiale esfoliativo nell’area subendoteliale dei vasi iridei che determina una alterazione della membrana basale.

Si può quindi osservare con maggiore frequenza nell’immediato postoperatorio Tyndall, fibrina in camera anteriore e formazione di sinechie posteriori3,31,32.

30 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

Queste complicanze sono causate dal trauma chirurgico sui vasi iridei patologici che determina una momentanea rottura della barriera sangue-acqueo ed alla insufficiente dilatazione pupillare che ci obbliga a manovre di dilatazione meccanica. La maggiore reazione infiammatoria può essere responsabile della maggiore incidenza a distanza di opacità della capsula posteriore e contrazione della capsula anteriore33. l

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Dr. Alessandro Franchini Dipartimento di Scienze Oto-Neuro-Oftalmologiche S.O.D. Oftalmologia Pediatrica Università degli Studi di Firenze Viale Morgagni, 85 • Firenze alessandrofranchini@yahoo.it

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Vincenzo Orfeo Domenico Boccuzzi

La gestione della pupilla nella PEX

L

a sindrome da pseudoesfoliatio (PEX) è una manifestazione oculare di una patologia sistemica, che interessa primariamente l’occhio; l’esatta eziologia di tale patologia è sconosciuta.

A livello oculare, questa sindrome è caratterizzata dalla deposizione di materiale pseudoefoliativo simil amiloide sulla capsula anteriore del cristallino, sul corpo ciliare, sulla zonula, sul margine pupillare dell’iride, sull’endotelio corneale, sul vitreo anteriore e sul trabecolato dell’angolo irido-corneale (figura 1).

Alcuni autori ritengono che l’epitelio pigmentato dell’iride, con l’epitelio ciliare e l’epitelio della capsula anteriore, sia la sede di produzione di questo materiale pseudoesfoliativo. A livello dell’iride, la pseudoesfoliatio è caratterizzata dalla presenza di materiale furfuraceo depositato sul bordo pupillare e da un aspetto fibrotico e rarefatto dell’orletto pupillare.

Lo strofinamento fisiologico dell’iride sulla superficie anteriore della lente, determina uno “scraping” del materiale pseudoesfoliativo dalla capsula anteriore del cristallino ed il deposito di materiale furfuraceo sul bordo pupillare dell’iride; ne risulta quindi una sindrome di dispersione secondaria del pigmento con perdita di melanina dall’epitelio pimentato dell’iride a livello del margine pupillare ed un accumulo di granuli di melanina nel trabecolato.

L’esatta natura del materiale pseudoesfoliativo resta sconosciuta; si ritiene che la PEX sia una elastosi che interessa la microfibrille.

Zenkel e coll.1 hanno studiato i geni differentemente espressi nei tessuti del segmento anteriore e sono giunti alla conclusione che la sindrome pseudoesfoliativa (PEX) costituisce una microfibrillopatia elastica indotta dallo stress.

34 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

L’alterazione delle strutture microfibrillari ed il deposito di materiale pseudoesfoliativo sono responsabili di una scarsa midriasi.

L’incidenza di cataratta è più elevata. In questi pazienti, comunque, la chirurgia della cataratta da sola oppure combinata con la chirurgia del glaucoma è associata ad un’aumento delle complicanze intraoperatorie, frequenti dialisi zonulari, perdita di vitreo e dislocazione della lente.

La deposizione di materiale pseudoesfoliativo determina una midriasi spesso difficoltosa ed Figura 1. Deposizione di materiale pseudoesfoliativo sulla una consistenza iridea differente per la perdicapsula anteriore del cristallino. ta di pigmento dell’epitelio pigmentato irideo a livello del margine pupillare. Il coinvolgimento irideo nella PEX può avere differenti gradi di espressione che si ripercuotono sull’attività chirurgica.

Nella maggioranza dei casi di PEX la pupilla risponde meno bene ai midriatici ma consente l’esecuzione di un intervento senza particolari difficoltà. Altre volte la midriasi che si ottiene con l’instillazione delle gocce nel preoperatorio è insufficiente e richiede un trattamento chirurgico dell’iride per poter eseguire l’intervento.

Il processo di pseudoesfoliazione produce inoltre una ridotta tonicità iridea ed una maggiore sensibilità ai flussi che si creano in camera anteriore durante l’intervento. In questa circostanza è consigliabile impostare parametri operatori che riducano al minimo i movimenti iridei (boccia bassa, minori valori di flow-rate e vacuum etc..), riducendo così il rischio di aspirare l’iride con il facoemulsificatore, complicanza che può portare a conseguenze anche molto gravi.

Il problema della midriasi presenta numerose soluzioni che permettono di ottenere una buona dilatazione iridea e consentono, quindi, l’esecuzione dell’intervento di cataratta con maggiore sicurezza.

I metodi di espansione iridea includono gli uncini iridei, gli anelli espansori, l’utilizzo di viscoelastici pesanti come l’Healon5 e le suture iridee.

Uncini iridei I primi retrattori iridei erano costruiti in titano, ma danneggiavano il tessuto irideo.

Sono stati successivamente introdotti uncini iridei flessibili costituiti di nylon con una sleeve in silastic (figura 2).

Gli uncini possono essere impiegati anche per la stabilizzazione del sacco capsulare.

Il posizionamento improprio degli uncini iridei può provocare traumi iridei, la formazione di un’ampia piattaforma iridea tra due uncini troppo distanti, il prolasso irideo e l’iridodialisi. Inoltre può provocare rotture secondarie della capsula del cristallino o della membrana di Descemet.

SPECIALE LA VOCE AICCER 35

La gestione della pupilla nella PEX

Il corretto posizionamento degli uncini, prevede l’incisione circa 1 mm posteriormente alla giunzione sclerolimbare, invece che in clear cornea, in modo da mantenere gli uncini paralleli al piano irideo. È necessario posizionare gli uncini in modo simmetrico. In caso contrario si rischia un eccessivo stretching pupillare con possibile riduzione della motilità pupillare post-operatoria. Sono state descritte in letteratura due differenti tecniche per il posizionamento degli uncini. La prima prevede l’utilizzo di quattro uncini posizionaFigura 2. Posizionamento degli uncini iridei. ti a diamante, o rombo, con il quarto uncino localizzato al di sotto dell’ingresso chirurgico.

Questa metodica permette un’ottima visualizzazione del piano orizzontale11,12.

La seconda metodica, invece, prevede il posizionamento di un quinto uncino a livello sub incisionale16. L’utilizzo di sostanze viscoelastiche è necessario per facilitare l’introduzione degli uncini, per sollevare l’iride ed allontanarlo dalla capsula anteriore.

L’utilizzo del viscoelastico durante la rimozione degli uncini evita un distacco della membrana di Descemet.

Espansori iridei Gli anelli espansori, forniscono una valida alternativa agli uncini per la dilatazione iridea riducendo al minimo il danno dello sfintere irideo senza provocare deformazioni o trazioni dell’iride. Inoltre, una volta posizionati, garantiscono un ottima protezione del margine pupillare. Esistono in commercio tre differenti anelli iridei: il Perfect Pupil, il Morcher pupil-dilator ring ed il Graether 2000 pupil-expander system.

Figura 3. Perfect Pupil.

36 SPECIALE LA VOCE AICCER

Perfect Pupil Questo anello è costituito in Poliuretano e presenta una scanalatura centrale ed un diametro interno di 7 mm (figura 3). L’iride è mantenuta correttamente in posizione grazie alla presenza di piccole ali ai margini della scanalatura. Ad una delle estremità dell’anello è presente un braccetto che va posizionato all’esterno dell’incisione corneale e ne facilita la rimozione. L’apertura dell’anello è di 45° per garantire una facile introduzione dei ferri chirurgici. Non è necessario l’utilizzo di un iniettore, ma ne è disponibile uno (GeuderHeidelberg Germany).

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

Il diametro pupillare massimo ottenuto con il perfect pupil è stato di 7.8 mm ed il diametro pupillare medio dopo l’intervento è stato di circa 1 mm in più rispetto ai valori preoperatori. Non si sono verificati casi di rottura iridea, sanguinamento o di rottura capsulare durante l’intervento.

Morcher pupil dilator ring L’anello di Morcher è un anello rigido in PMMA di 7.5 mm di diametro (figura 4).

L’introduzione dell’anello è facilitata da un Figura 4. Morcher pupil dilator ring. iniettore. A causa della sua struttura in PMMA e della sua conseguente rigidità, molti chirurghi considerano il Morcher più difficile da inserire attraverso un piccola incisione, rispetto al Perfect Pupil. Questo dispositivo non presenta alcun braccetto, e questo rende l’introduzione e la rimozione meno efficiente La massima ampiezza iridea ottenuta con questo tipo di anello è stata in media di 5.9 ± 0.6 mm. Il tasso di rottura dello sfintere è stata di 1 su 10.

Graether 2000 pupil-expander system Il Graether 2000 pupil-expander system è un anello incompleto di silicone morbido (figura 5). L’apertura dell’anello di 3.75 mm è sormontata da una sottile bretellina che facilita l’accesso allo spazio pupillare. Il diametro interno dell’anello è di circa 7 mm e la circonferenza esterna presenta una scanalatura per agevolare l’ingaggio irideo.

Il prodotto viene inserito con un retrattore irideo per fissare lo sfintere irideo al margine interno dell’incisione, ed è premontato su un apposito strumento per la sua inserzione. Il sistema di inserimento in questa circostanza è di fondamentale importanza, a differenza dei due dispositivi precedenti, in quanto quest’anello manca di una sua reale rigidità che ne possa consentire l’introduzione e l’avanzamento lungo il margine pupillare senza alcun attrezzo. È raccomandato rimuovere la bretellina prima di iniziare la capsulotomia. Con l’utilizzo di quest’anello sono state riscontrate piccole rotture dello sfintere.

Altri sistemi per la dilatazione iridea L’utilizzo di suture iridee con nylon 10-0 è stata descritta recentemente, nei casi in cui non era possibile utilizzare gli uncini iridei15.

L’esecuzione di questa tecnica prevede 4 piccole incisioni limbari, come per posizionare

Figura 5. Greather 2000 pupil-expander system.

SPECIALE LA VOCE AICCER 37

La gestione della pupilla nella PEX

gli uncini. Successivamente si cattura l’iride in queste incisioni con un piccolo uncino e lo si sutura alla cornea con nylon 10-0.

L’Healon 5 è una sostanza viscoelastica molto densa e può essere utilizzata per indurre midriasi. Il grado di midriasi che può essere ottenuta con l’Healon 5 è altamente variabile, ma di solito sufficiente per l’intervento. Il comportamento viscoadattativo dell’H5 gli consente di permanere nella camera anteriore dell’occhio nonostante gli alti flussi di liquidi che si realizzano in camera anteriore durante l’intervento di facol emulsificazione.

Autore di Dr. Vincenzo Orfeo riferimento Unità Operativa di Oculistica Clinica Mediterranea Via Orazio, 2 • 80122 Napoli Tel. 081 682324 vincenzorfeo@tin.it

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38 SPECIALE LA VOCE AICCER

Aldo Caporossi Stefano Baiocchi Francesca Lepri Leonardo Ciompi Angelo Balestrazzi

Gestione chirurgica della facodonesi e del cristallino sublussato

L

a sindrome pseudoesfoliativa (PEX) rappresenta una condizione di frequente riscontro nella chirurgia della cataratta che, come riportato in letteratura ha una incidenza variabile dal 23 al 61% e che può associarsi nel 25% dei casi a glaucoma (ev. altre patologie). La patogenesi del quadro della cataratta PEX rende ragione delle particolari accortezze chirurgiche che questo tipo di cataratta richiede sia nel preoperatorio che durante l’atto chirurgico stesso e che condiziona alcune scelte sia intra che postoperatorie per ottimizzare e stabilizzare un risultato che altrimenti potrebbe complicarsi anche in maniera importante.

Sistematizzando l’approccio è opportuno suddividere le problematiche della cataratta pseudoesfoliativa in quattro gruppi e cioè quelle legate alla cinetica iridea con il conseguente riguardo al diametro pupillare1, quelle legate alla capsula anteriore ed al sacco capsulare2, quelle inerenti l’apparato zonulare3 ed infine le problematiche del trabecolato e del deflusso nel suo insieme 4. Inoltre per ciascuna di queste situazioni ritengo utile fare una graduazione del rischio intra e postoperatorio al fine di poter aiutare anche i colleghi più giovani a comprendere e possibilmente ridurre le potenzialità negative che la sindrome pseudoesfoliativa può attuare su una buona qualità della chirurgia.

La valutazione preoperatoria della risposta ai midriatici è uno dei momenti cardine della valutazione preoperatoria in tutti gli interventi di cataratta ma nel caso di una cataratta pseudoesfoliativa questo parametro acquista una maggiore rilevanza ed una valutazione della cinetica iridea (non solo del diametro pupillare) ci consente di ottenere informazioni molto utili sia sulla strategia chirurgica sia su quella farmacologica peri ed intraoperatoria. La prima valutazione infatti deve essere eseguita senza impie-

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LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

go di pupillocinetici; infatti solo in tale condizione con l’esame biomicroscopico e pupillografico abbiamo modo di valutare la stabilità del piano irideo (iridodonesi), le alterazioni dell’orletto pupillare che possono spaziare dalla semplice deposizione di materiale pseudoesfoliativo (squame furfuracee sullo sfintere) alla subatrofia/atrofia parziale o totale dell’orletto fino alla presenza di vere membrane atrofiche dell’orletto irideo. Questa varietà di condizioni rappresenta un primo livello di grading della espressione pseudoeFigura 1. Cataratta pseudoesfoliativa con nucleo di grado 3 sfoliativa nel caso in valutazione e l’esame con sublussazione inferiore. L’estensione della lesione zonupupillografico dinamico ci sarà di utile conlare unitamente alla scarsa midriasi (ottenuta con cocktail midriatico) e la dislocazione posteriore fanno ritenere opporferma sulla cinetica pupillare e risulterà di tuna la programmazione di una estrazione intracapsulare per pratica indicazione anche sulla scelta di la provabilissima impossibilità ad eseguire la Capsulorhexis. impianto di eventuali IOL multifocali. La seconda fase di valutazione preoperatoria sarà volta a valutare la risposta midriatica ai parasimpaticolitici semplici, associati ai simpaticomimetici e la eventuale necessità di ricorso ai · stimolanti per ottenere una midriasi sufficiente ad una chirurgia in sicurezza. La pratica clinica ci ha insegnato, infatti, che quanto maggiore è il tempo o la pressione farmacologica necessari ad ottenere la midriasi “di sicurezza” tanto più elevata sarà la compromissione pseudoesfoliativa non solamente iridea ma di tutto il comparto cristallino-zonulare. Qualora siano presenti sinechie, membrane o atrofie anulari/settoriali così significative da rendere la pupilla farmacologicamente indilatabile il programma chirurgico dovrà prevedere la messa in atto degli accorgimenti di dilatazione meccanica che spazieranno dalla sinechiotomia alla viscodilatazione fino all’impiego di uncini passando attraverso manovre settorie (sfinterotomie) particolarmente efficaci nelle atrofie dell’orletto sia settoriali che anulari o di stiramento (stretching) e l’applicazione di tali procedure verrà descritto in un successivo paragrafo. Il secondo parametro da tenere in considerazione è la struttura della capsula anteriore (elasticità e spessore) e la resistenza dell’apparato capsulozonulare.

Come tutti sappiamo l’apparato zonulare è un sistema di sottilissime fibre tese tra cristallino e corpo ciliare disposte a raggiera intorno all’equatore lenticolare, separato dalla ialoide attraverso un canale virtuale (canale di Hannover). Le fibre zonulari risultano chiaramente essere più spesse ed estensibili nel bambino e più sottili e fragili nel soggetto anziano. Nel caso di deposito di materiale pseudoesfoliativo tra capsula anteriore e pars plicata del corpo ciliare, si osserva una degenerazione delle fibre zonulari con conseguente distacco dalla loro inserzione ciliare con possibile conseguenza di sublussazione del cristallino catarattoso (figura 1).

A seconda della situazione rilevata è possibile procedere in vario modo all’approccio SPECIALE LA VOCE AICCER 41

Gestione chirurgica della facodonesi e del cristallino sublussato

chirurgico. In primis è indispensabile procedere ad un taglio corneale anziché sclerocorneale per non precludere la strada ad un eventuale intervento di trabeculectomia per l’elevata incidenza del glaucoma pseudoesfoliativo. Durante la capsulorhexis si possono incontrare alcune difficoltà: • formazione di piegoline durante la cistotomia • affondamento cristallinico durante la cistotomia • cristallino che segue lo strappo • formazione di pieghe intorno alla regione di strappo • fuga della rhexis o suo restringimento • rhexis di forma ovalare dopo l’impianto • interruzioni della capsula anteriore Senza dubbio risulta particolarmente utile l’uso della pinza coassiale da capsulorhexis di Caporossi che permette piccoli e delicati movimenti dato il ridotto spessore, garantendo una maggiore stabilità di camera e non interferendo sulla zonula che è danneggiata (figura 2).

Se la capsulorhexis risulta impossibile per un’eccessiva mobilità del cristallino (laterale e anteroposteriore) e l’incisione e lo strappo della capsula anteriore non risultano eseguibili, sarà opportuno procedere con la tecnica intracapsulare che già preoperatoriamente risulta pianificabile per la marcata donesi cristallinica apprezzabile all’esame con lampada a fessura. Se invece la capsulorhexis risulta possibile, con mobilità del cristallino solo laterale e l’incisione e lo strappo sono eseguibili anche se con estrema cautela, è consigliabile effettuare una rhexis ampia per poter procedere ad una idrolussazione in camera anteriore ed una facoemulsificazione sul piano irideo. Se la stabilità zonulare è buona, non si evidenziano movimenti cristallinici durante la capsulorhexis, è possibile procedere con una facoemulsificazione tradizionale intrasacculare effettuando un’idrodissezione estremamente accurata. La graduazione della mobilità cristallinica condizionerà, quindi, la scelta della sede di emulsificazione e dovrà tener conto della donesi evocabile preoperatoriamente, ed a elementi intraoperatori di stabilità zonulare che andranno dalla formazione di pieghe da mancata tensione zonulare a movimenti di trascinamento cristallinico durante lo strappo. La presenza di questi segni unitamente alla valutazione della durezza cristallinica ed alle condizioni endoteliali condizioneranno la Figura 2. Capsulorhexis con pinza coassiale di Caporossi in possibilità, quando la zonula appaia fortecataratta pseudoesfoliativa con dialisi zonulare di circa 120°.

Il ridotto calibro della pinza consente di mantenere stabilmente compromessa, di spostarci ad emulsifimente il viscoelastico in C.A. per il mantenimento della valvocare sul piano irideo (figura 3). la di accesso e di eseguire le manovre anche in camere anteL’idrodissezione deve essere sempre accuratisriori molto ridotte senza stressare la già labile zonula.

42 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

sima e delicata, completa con rotazione libera del nucleo effettuando una depressione periferica per favorire la fuoriuscita di BSS e l’idrodelineazione va sempre effettuata nel caso in cui si sospetti una lesione della capsula posteriore. In taluni casi è utile praticare anche una viscodelineazione con sostanza viscoelastica a basso peso molecolare. Per quel che concerne la rimozione del nucleo risulta importante mantenere un’altezza minima della bottiglia per consentire flussi ridotti per evitare sbalzi di pressione fluida in CA (surge e/o sovrappressioni) evitando così un ulterio- Figura 3. Possibili alterazioni oculari in PEX. re stress zonulare. In presenza di nuclei di durezza superiore al ++ al fine di ridurre lo stress tangenziale della zonula è consigliabile utilizzare una punta da 45° ed eseguire la tecnica a croce con braccio lungo, ruotando il nucleo bimanualmente tramite due punti di leva (tip e spatola o due spatole), eseguire la nucleofrattura sotto sostanza viscoelastica con due spatole o pinza da frattura e rimuovere i quadranti evitando il surge e trattenendo il sacco in mobilizzazione. In presenza di un’alterazione dell’integrità zonulare il sacco capsulare si presenta più disteso perché sottoposto a forze di trazione centrifughe da parte delle fibre zonulari e l’elasticità del sacco è alla base per la formazione di vettori centripeti che si contrappongono e neutralizzano le prime consentendo il mantenimento di una lente intraoculare (IOL) centrata e di un sacco ben disteso senza formazione di pieghe capsulari. In presenza di un’interruzione zonulare, l’equilibrio delle forze contrapposte si altera a favore di quelle centrifughe nel punto della zona lesa.

Impiantando una IOL in presenza di una deiscenza sacculare, la conseguenza diretta sarà lo sviluppo di pieghe capsulari che favoriranno la migrazione delle LECs e l’evoluzione in pseudometaplasia fibrosa e miofibrosa sarà alla base di una fimosi capsulare e di una coartazione del sacco per aumento delle forze centrifughe che si esplicheranno in un aumento del decentramento (in questo caso l’azione elastica della parte aptica della IOL risulterà insufficiente).

La contrapposizione della IOL sarà tanto più efficace quanto maggiore sarà la lunghezza totale della lente e del materiale stesso delle loops come dal loro spessore e forma. Un materiale più rigido quale il PMMA, anche se più reattivo rispetto ad altri materiali, opporrà una forza maggiore di un materiale elastico. La spinta centrifuga delle loops di una IOL, in presenza di deiscenze capsulari parziali o totali inferiori a 90°, può essere sufficiente a distendere il sacco capsulare, opponendosi con efficacia all’azione centripeta del collabimento focale del sacco. L’impianto della IOL deve avvenire delicatamente in prima intenzione nel sacco, ortogonalmente alla regione sub lussata, evitando manovre di rotazione che favorirebbero trazioni traumatiche sulle fibre zonulari adiacenti a quelle interrotte. L’azione stabilizzante della lente SPECIALE LA VOCE AICCER 43

Gestione chirurgica della facodonesi e del cristallino sublussato

impiantata può essere secondariamente utilizzata per l’aspirazione di masse corticali residue che precedentemente non era stato possibile aspirare poiché la loro aderenza al sacco tendeva a superare la resistenza delle fibre zonulari superstiti.

Per quel che concerne la scelta della IOL da impiantare devono essere tenuti presenti alcuni concetti di base: • un maggiore diametro dell’ottica (6-6.5 mm) renderà più difficile la comparsa di fenomeni diffrativi poiché occorrerà un decentramento maggiore rispetto ad un’ottica piccola per la comparsa della sintomatologia; • una lunghezza totale della IOL di 13 mm offrirà un’azione stabilizzante più importante sul sacco; • la resistenza ad una forza compressiva è maggiore nella IOL monopezzo in PMMA rispetto, in senso decrescente, ad una IOL tre pezzi in PMMA, tre pezzi pieghevole ed infine ad una monopezzo pieghevole; • da proscrivere in caso di PEX sia l’impiego di IOLs con ottica multifocale (sia per l’alterata cinetica pupillare che per l’instabilità del sistema zonulare) sia quelle accomodative per l’anelasticità zonulare.

Ma con deiscenze zonulari che varino tra 90° e 120°, la IOL da sola non è in grado di stabilizzare il sacco poiché l’azione dell’aptica è settoriale; in questi casi è opportuno fare affidamento ad un anello da tensione capsulare (CTR), la cui azione distensiva è diffusa a 360° riuscendo a contrapporsi più efficacemente alle forze centripete coartative del sacco. I CTR sono anelli in PMMA di forma rotondeggiante, aperto ad una estremità per consentire una sua compressione per l’impianto e la sua apertura elastica all’interno del sacco stesso. L’impianto può essere realizzato in prima o in seconda chirurgia (dopo dislocazione della IOL per ripristinare un adeguato centramento) ovvero in prima chirurgia esso può essere inserito in fase pre-facoemulsificazione (dopo idrodissezione, per i nuclei duri), in fase pre-aspirazione (quando le masse corticali sono talmente aderenti da favorire un’accentuazione della deiscenza) e in fase preimpianto (nelle sublussazioni in cui la IOL da sola è insufficiente). Le procedure d’impianto sono molteplici e si suddividono in tecniche con anello libero (impianto libero per scorrimento o con iniettore) e in tecniche ad anello “controllato” (anello a tre fori filo compresso proposta da Tassinari e tecnica filoguidata di Caporossi). L’impianto filo-guidato di Figura 4. Impianto filoguidato di anello a tensione capsulare Caporossi consiste nell’ancorare al foro di (CTR) con tecnica di Caporossi: la curva e quindi la spinta sul sacco da parte dell’anello vengono annullate mediante la traposizionamento distale dell’anellino un’ansa zione del filo che allontana l’anello stesso dal fornice saccudi filo di nylon 10/0. Il CTR viene inserito lare. Questa tecnica bimanuale consente inoltre di smorzare attraverso la side port e guidato nella progresgradualmente l’elasticità della protesi.

44 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

sione da un uncino da lente manovrato dal tunnel. L’uncino agganciando l’ansa di nylon consente di effettuare le azioni in posizione centrale con pieno controllo dei movimenti. Inoltre la messa in tensione del nylon solleverà leggermente l’estremità dell’anello riducendo il traumatismo nella progressione della protesi (figura 4).

Nelle forme di deiscenza capsulare più importanti il CTR diventa un ausilio fondamentale apportando dei vantaggi che si riconducono tutti a contenere il decentramento della IOL: • espansione e stabilizzazione del sacco; • riduzione della opacizzazione capsulare per assenza di sviluppo delle pieghe capsulari e per effetto barriera alla migrazione delle LECs; • contenimento del vitreo conseguentemente al rientramento del sacco stesso.

I limiti legati al suo utilizzo possono essere ricondotti ai seguenti punti: • difficoltà nell’impianto • rischio di accentuare la deiscenza; • necessità di chirurgo esperto.

In presenza di una compromissione dell’integrità del sacco capsulare (rottura capsulare), se il residuo è tale da consentire un impianto nel sulcus, dopo una accurata rimozione delle eventuali fibre vitreali prolassate, la scelta ricadrà su IOLs con lunghezza totale di 13 mm, con ottica di 6 mm (quest’ultima per aumentare l’azione conte-

TUNNEL Sede

Corneale Near clear Sclerocorneale Ampiezza Eventualità conversione Posizione Sede della lesione - patologie consistenti - patologie preesistenti INGRESSI SERVIZIO 1 o 2?

Posizione?

VISCOELASTICA Mantenimento spazi e stabilità camera Rhexis Idromanipolazioni: eventualità conversione!

Contenimento e dislocazione vitreo Vitreo compatto Filamenti vitreali Persistenza in camera Faco Aspirazione corticale MIDRIASI Farmacologica Viscodilatazione e Viscodissezione Sinechiotomia Sfinterotomie e Sfinterectomie Stretching pupillare

CAPSULORHEXIS Pinza coassiale o convergente? Ago? Side port capsulorhexis Rhexis ampia: quando e perché Fibrosi e degenerazioni capsulari Pupilla stretta e cataratta bianca RHEXIS: difficoltà di esecuzione Piegoline durante la cistotomia Affondamento cristallinico in cistotomia Il cristallino “segue” lo strappo Pieghe intorno alla regione di strappo Fuga della rhexis o suo restringimento Rhexis di forma ovalare dopo l’impianto Interruzioni della capsula anteriore IDROMANIPOLAZIONI NUCLEARI Idrodissezione Accuratissima e delicata Completa con rotazione libera del nucleo Depressone periferica per fuoriuscita BSS Idrodelineazione Sempre se si sospetta lesione capsulare post.

In taluni casi utile viscodelineazione con VE a basso p.M. (IAL)

Figura 5.

SPECIALE LA VOCE AICCER 45

Gestione chirurgica della facodonesi e del cristallino sublussato

RIMOZIONE NUCLEARE Bottiglia: altezza minima per mantenere la CA Punta: 45° (midriasi ampia!)

Tecnica: a “croce” con braccio lungo Rotazione nucleo: bimanuale, rotazione con 2 punti di leva (tip e spatola o 2 spatole) Nucleofrattura: sotto viscoelastica con due spatole o con pinza da frattura Rimozione quadranti: lontano dalla dialisi, evitare “surge”, trattenere sacco in mobilizzazione Capsular Tension Ring: impianto stabilizzante prima o dopo idrodissezione RIMOZIONE RESIDUI CORTICALI 1. Senza impianto di CTR Piccoli frammenti, delicata (no trazione) Evitare “surge” e mantenere equilibrio I/A Ultimo settore Zona Dializzata (tangente) Trattenere sacco, aiuto VE a basso PM (IAL) 2. Dopo impianto di CTR Contestuale: attenzione fibre incarcerate!

Dilazionata: far degenerare fibre 24-48 h Controllo flogosi e tono Aspirazione/lavaggio

CAPSULAR TENSION RING (CTR) 1. Impianto stabilizzante in 1a chirurgia Prima della faco - deiscenza ampia+nucleo duro Dopo la faco - deiscenza molto ampia/soft nucleus - sottostima deiscenza pre faco - estensione deiscenza in faco Dopo I/A-Pre IOL - patologia capsulo zonulare 2. Impianto stabilizzante o riposizionamento in 2a chirurgia Shrinkage capsulare (con o senza IOL dislocata) Dislocazione traumatica (con o senza fissazione alla sclera - Cionni) Tecniche con anello libero • impianto libero per scorrimento • impianto con iniettore Tecniche con anello “controllato” • anello a tre fori filocompresso (Tassinari) • tecnica filoguidata (Caporossi) Impianto filoguidato (Caporossi) Vantaggi (assenza trauma zonulare) Vettore di progressione controllato dal chirurgo Possibilità di evitare trazioni zonulari Annullamento della forza elastica sul fornice Svantaggi Necessità di manovre bimanuali Allungamento tempi chirurgici (preop. anello)

Figura 6.

nitiva sul vitreo) con preferenza alla monopezzo in PMMA per le caratteristiche di una maggiore forza decompressiva che l’aptica può esercitare sul sulcus, anche se nuovi design di IOLs con materiali più biocompatibili sembrano avere risultati comparabili. In caso di perdita di un sostegno capsulare valido, il ricorso in seconda istanza ad una fissazione sclerale è la scelta obbligata; un possibile vantaggio al mantenimento della centratura è stato proposto da Olsen e consiste nel posizionamento del corpo ottico all’interno del sacco (simile al Bag in the IOL di Gimbel) lasciando le apte nel sulcus.

Importantissimo a fine intervento, rimuovere accuratamente la sostanza viscoelastica onde evitare o quantomeno ridurre al minimo il rischio di picchi ipertensivi nel postoperatorio dal momento in cui, come è noto, il 40% dei pazienti con PEX sviluppa un glaucoma in 10 anni per un ostruzione del trabecolato da materiale pseudo esfoliativo e pigmento di melanina e che nel 20% dei casi la cataratta pseudoesfoliativa è associata a glaucoma ad angolo aperto (figure 5 e 6). l Autore di Prof. Aldo Caporossi riferimento Viale Cavour, 134 • 53100 Siena Tel. e Fax 0577 282244 caporossi@unisi.it

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LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

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Gestione chirurgica del cristallino lussato

L

a lussazione del cristallino rappresenta un’evenienza non infrequente per il chirurgo oftalmico la cui soluzione, sempre chirurgica, varia in base al caso clinico sia per la rimozione del cristallino sia per la gestione della fase successiva cioè l’impianto secondario della lente artificiale.

Eziologia Si distinguono classicamente cause primarie di lussazione del cristallino in camera vitrea e cause secondarie a seguito di traumi contusivi del bulbo oculare oppure iatrogeni cioè conseguenti ad interventi sul segmento anteriore come la chirurgia della cataratta.

La lussazione spontanea del cristallino avviene in soggetti affetti da varie sindromi tra le quali ricordiamo la Sindrome di Marfan, la Sindrome da Ehlers-Danlos, la Sindrome di Weil-Marchesani e la Sindome di Rieger; in questi pazienti la lussazione è la conseguenza di una lassità marcata o di un deficit della fibre zonulari del cristallino per cui spesso la lussazione spontanea nella camera vitrea è preceduta da una marcata sublussazione e dislocazione della lente che può essere diagnosticata da un esame alla lampada a fessura. La lussazione completa in questi pazienti può avvenire spontaneamente durante il corso degli anni oppure provocata anche da piccoli traumi oculari o sforzi fisici.

Anche cristallini con apparato zonulare sostanzialmente integro possono andare incontro a lussazione nel vitreo se colpiti da un trauma diretto oculare di tipo contusivo piuttosto che perforanti. In questo caso l’occhio affetto dalla lusazione spesso è interessato da ipoema della camera anteriore, emovitreo e ipertono oculare secondario.

48 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

Un’ulteriore e non infrequente causa di lussazione del cristallino in camera vitrea e la chirurgia della cataratta. La complicanza della perdita del nucleo del vitreo spesso può verificarsi durante l’apprendimento della tecnica di facoemulsificazione per manovre incaute come un’idrodissezione troppo violenta con conseguente scoppio posteriore del sacco oppure per dislocazione del cristallino dovuto a errato utilizzo del manipolatore o del chopper. Le cataratte sublussate oppure molto mature o in occhi affetti da sindrome esfoliative possono tutte complicarsi con questa evenienza.

Figura 1. Nucleo visibile in camera vitrea.

Diagnosi La diagnosi della lussazione del cristallino in camera vitrea non presenta particolari difficoltà se conseguente a trauma o a chirurgia della cataratta visto il dato anamestico. In caso di non visibilità del segmento posteriore a causa di ipoema emovitreo e edema corneale è sempre consigliabile eseguire una ecografia B scan che darà informazioni sulla localizzazione della lente dislocata e sullo stato della retina e della coroide per decidere sulla terapia e sul momento più adatto per eseguire l’intervento di rimozione. Anche nell’eventualità di una perdita spontanea del cristallino in camera vitrea dovuta alle sindromi caratterizzate da lassità o deficit ligamentoso non ci sono particolari problemi diagnostici se non quello di inquadrare la sindrome se non è già stata posta la diagnosi dal pediatra o dall’internista.

Tecniche chirurgiche Sull’opportunità di eseguire un intervento per la rimozione del cristallino lussato a prescindere dalla causa non ci sono più dubbi, anche alla luce delle nuove tecniche vitreoretiniche e delle sempre crescenti innovazioni tecnologiche in campo oftalmologico. Le tecniche utilizzabili per risolvere il problema della lussazione della lente variano in base all’esperienza del chirurgo e alle caratteristiche del nucleo stesso. È ovvio tuttavia che il chirurgo debba avere nozioni ed esperienze di chirurgia vitreoretinica e qualora ne sia sprovvisto invii il paziente ad un chirurgo esperto di segmento posteriore.

Figura 2. Inizione di bolla di DKline per staccare il nucleo dalla retina.

SPECIALE LA VOCE AICCER 49

Gestione chirurgica del cristallino lussato

L’intervento di rimozione del cristallino lussato non presenta le caratteristiche dell’urgenza, spesso può essere utile anche aspettare alcuni giorni o settimane per disinfiammare il bulbo o attendere una migliore visualizzazione del segmento posteriore. La comparsa dell’ipertono o di una una uveite facolitica inducono invece ad una maggiore tempestività per l’intervento. Per eseguire l’intervento chirurgo si deve disporre di un vitrectomo posteriore meglio se dotato di manipolo per la endofacoemulsificazione, di adeguati strumenti di Figura 3. Rimozione del nucleo con vitrectomo. osservazione soprattutto con lenti di tipo panoramiche. Il perfluorocarbonato liquido è essenziale in questo tipo di tecnica mentre utili risultano anche le sostanze viscoelastiche. Il criostato e il laser risultano essenziali in caso di presenza di danni retinici.

La vitrectomia via pars plana è la tecnica mandatoria in questo tipo di patologia, tuttavia alcune variazioni possono essere opportune soprattutto in base alla densità della lente.

Dopo aver preparato le tre sclerotomie e posizionato il cannello di infusione la prima fase è quella della rimozione accurata del vitreo posteriore e intorno al nucleo lussato. La vitrectomia deve essere estesa fino alla base per evitare la successiva contrazione del vitreo periferico con formazione di lacerazioni retiniche. Dopo avere eseguito questa ampia vitrectomia va approcciato il nucleo dove in base alla densità e la durezza del nucleo si scelgono tecniche differenti.

1. Se il nucleo appare di consistenza molto morbida come si verifica nei soggetti giovani e nelle lussazioni spontanee da assenza o lassità delle fibre zonulari può essere aggredito con lo stesso vitrectomo settando una frequenza di taglio ridotta. Tale manovra non va mai eseguita a ridosso del polo posteriore se prima non si è iniettato del perfluorocarbonato liquido o in alternativa del viscoelastico per proteggere la macula. In questo caso, più di recente, alcuni chirurghi optano per una chirurgia via parsa plana mini invasiva come la 25G o 23G ma la sonda da endofacoemulsificazione in questi due ultimi casi non può essere utilizzata.

2. Quando siamo in presenza di un cristallino di consistenza maggiore a causa dell’età del paziente o perché catarattoso l’approccio deve essere effettuato con l’utilizzo dell’endofacoemulsificatore riservando il vitrectomo per l’asportazione dei piccoli frammenti residui. Anche in questo caso la procedura deve essere preceduta da una iniezione di perfluoro a livello della papilla che farà sollevare il nucleo fino alla metà anteriore della camera vitrea in posizione più sicura e lontana dalla retina.

3. Nel caso in cui il chirurgo si trovi ad affrontare cristallini maturi o ipermaturi bisognerà ancora cambiare la strategia chirurgica. In questi casi si sceglierà di asporta50 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

re in toto il cristallino per via anteriore cioè limbare. Dopo aver rimosso accuratamente il vitreo fino alla base si riempirà la cavità posteriore con il perfluorocarbonato liquido fino all’altezza del diaframma irideo in maniera da far risalire la lente che quindi verrà asportato per via limbare con una ansa o con la criosonda per cataratta.

In ogni caso dopo aver rimosso il cristallino lussato verrà rimosso tutto il perfluorocarbonato e controllata la retina periferica. Infatti in caso di evidenza di lesioni regmatogene si applicheranno spot di criotrattamento a di endolaser. Il chirurgo a completamento della vitrectomia via pars plana deciderà se tamponare la camera vitrea con aria, gas o PDMS. l Viene rimandato ad altro capitolo la tecnica di impianto della IOL.

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SPECIALE LA VOCE AICCER 51

Daniele Tognetto

Scelta della IOL nella sindrome pseudoesfoliativa

I

n presenza di una cataratta pseudoesfoliativa la scelta del tipo di IOL da impiantare è legata a due condizioni peculiari di questa sindrome: la reattività tessutale, sia uveale che capsulare, e la vulnerabilità del sacco capsulare e del suo apparato sospensore. Questi aspetti rivestono un ruolo cruciale nel determinare alcune delle principali complicanze postoperatorie precoci e tardive e la scelta della IOL più adeguata può aiutare a contenerne gli effetti negativi.

Nella sindrome pseudoesfoliativa (PEX) la deposizione del materiale fibrillare in corrispondenza della parete dei vasi del microcircolo irido-ciliare determina un aumento della permeabilità della barriera emato-acquosa1-3. Tale condizione è la causa della tendenza alla flogosi postoperatoria in questi pazienti.

Numerosi studi hanno infatti dimostrato una particolare suscettibilità al trauma chirurgico osservando nel periodo postoperatorio un aumento della reazione cellulare e fibrinosa in camera anteriore ed una maggior frequenza di sinechie posteriori4,5. Negli anni più recenti lo studio della biocompatibilità delle lenti intraoculari ha permesso di chiarire il ruolo del biomateriale e della sua superficie nella genesi della flogosi postoperatoria. In particolare si è compreso che le caratteristiche chimico-fisiche di superficie possono modulare l’adesione e la reattività delle cellule infiammatorie sulla superficie della IOL6,7. In una prima fase le piccole cellule infiammatorie presenti nell’umor acqueo si depositano passivamente sulla superficie della IOL. Queste cellule, che sono macrofagi, hanno la funzione di fagocitare i detriti, le cellule ed il pigmento che talora residuano dopo l’intervento. Esse possono trasformarsi ed ingrandirsi dando origine alle cellule epitelioidi e giganti, che sono l’espressione della vera reazione da corpo estraneo nei confronti della IOL. Il tentativo di “digerire” il corpo estra-

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LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

neo si accompagna alla liberazione di mediatori della flogosi che mantengono una stimolazione infiammatoria8 (figura 1).

La presenza di cellule infiammatorie sulla superficie della IOL determina dunque una flogosi secondaria. I fattori che determinano la permanenza di queste cellule sulla superficie della IOL sono sostanzialmente due: la quantità di cellule presenti nell’acqueo, e quindi il grado di flogosi postoperatoria, e le caratteristiche di biocompatibilità della IOL9,10. In particolare quest’ultimo aspetto è Figura 1. Microscopia speculare in vivo. Piccole cellule instato oggetto di numerose ricerche nel corso fiammatorie fusate (spindle-like cells) e cellule epitelioidi sulla superficie di una lente intraoculare. degli ultimi anni. Nell’arco di poche ore dopo l’impianto un film proteico riveste la superficie della IOL. Questo strato proteico è composto principalmente da albumina, immunoglobuline, frazioni del complemento, fibrina, collagene tipo IV, fibronectina, laminina e vitronectina che si legano in varia misura alla superficie della lente11-14. La composizione del film proteico dipende dalle caratteristiche chimico-fisiche del biomateriale che manifesta una variabile affinità per le diverse proteine. In sostanza ogni materiale viene rivestito da un film proteico composto dalle proteine che si legano ad esso più facilmente15. Questo strato diventa quindi il mediatore dell’interazione tra superficie della lente e cellule infiammatorie, influenzando il legame con le molecole di adesione cellulare e quindi favorendo o inibendo la permanenza delle cellule sulla IOL. La maggiore biocompatibilità uveale di un biomateriale dipende dunque dalla capacità di legare proteine che inibiscano l’adesione cellulare. In questo senso numerosi studi hanno dimostrato che le cellule infiammatorie si depositano più facilmente sulle lenti a superficie idrofoba che su quelle a superficie idrofila16-19. La biocompatibilità uveale delle lenti acriliche idrofile è dunque superiore a quella delle lenti in silicone o delle lenti acriliche idrofobe. Ciò è stato dimostrato sia in occhi normali che in occhi ad elevato rischio di flogosi postoperatoria ed è stato confermato anche negli occhi affetti da PEX17,19,20.

Le lenti acriliche idrofile trovano dunque particolare indicazione nei casi in cui vi sia una spiccata tendenza alla flogosi postoperatoria, come è il caso della PEX. Tuttavia, nel caso dei pazienti affetti da PEX, va tenuto in considerazione l’altro aspetto della biocompatibilità che è quella capsulare.

L’impianto di una IOL induce una risposta reattiva delle cellule dell’epitelio lenticolare che residuano dopo l’intervento. La reattività delle cellule lenticolari si distingue in una risposta precoce ed in una tardiva.

La risposta precoce deriva dalle cellule lenticolari che residuano sotto la parte di capsula anteriore rimasta dopo la capsuloressi. Essa si manifesta con l’opacizzazione della capsula anteriore e con la crescita di membrane cellulari che partendo dal margine SPECIALE LA VOCE AICCER 53

Scelta della IOL nella sindrome pseudoesfoliativa

della ressi si estendono sopra l’ottica della IOL. Studi istopatologici hanno dimostrato che l’opacizzazione della capsula anteriore è dovuta alla metaplasia fibrosa delle cellule dell’epitelio lenticolare21. La crescita di membrane dal bordo della ressi è legata invece a fenomeni di proliferazione e migrazione cellulare che danno origine ad uno strato di cellule e matrice extracellulare22,23 (figura 2).

La risposta tardiva è legata invece all’attività delle cellule equatoriali che, in conseguenza degli stessi meccanismi di proliferazione e Figura 2. Microscopia speculare in vivo. Fibrosi capsulare anmigrazione ed in minor misura per metaplateriore e crescita membranosa che dal bordo della capsuloressi si estende sull’ottica di una lente intraoculare. sia fibrosa, danno origine, come è noto, all’opacizzazione della capsula posteriore e cioè alla cataratta secondaria.

Mentre la comparsa di una cataratta secondaria ha un’origine multifattoriale comprendente fattori sistemici, oculari e relativi alla IOL, la risposta lenticolare precoce dipende in massima parte dalla risposta cellulare al biomateriale e cioè dalla biocompatibilità capsulare, ed in minore misura da altri fattori quali il diametro della ressi, l’entità della flogosi postoperatoria ed alcune condizioni oculari associate come la PEX24,25.

Entrambe le reazioni lenticolari possono giocare un ruolo importante nello svilupparsi di una dislocazione della IOL esacerbando la lassità zonulare caratteristica della PEX. Quest’ultima è il fattore che predomina nel condizionare la scelta dalla IOL nel paziente affetto da PEX. Essa infatti è alla base di due condizioni che possono rendere necessaria un attenta valutazione della IOL da impiantare: un aumento del rischio di rottura capsulare ed un aumentato rischio di dislocazione dell’intero complesso IOL-sacco capsulare, fenomeno definito dagli anglosassoni “in-the-bag dislocation”26.

La possibilità di rottura capsulare in presenza di una PEX non deriva da un assottigliamento della capsula posteriore, che al contrario risulta più spessa, ma da una sua eccessiva fluttuazione intraoperatoria per la mancanza di tensione zonulare1.

Una rottura capsulare che esiti in un insufficiente supporto capsulare obbliga la scelta tra un impianto a fissazione sclerale ed uno in camera anteriore, a supporto angolare o irideo.

Una recente review sull’argomento ha osservato che non esiste una sufficiente evidenza di superiorità dell’una o dell’altra alternativa. L’incidenza di glaucoma, decompensazione endoteliale ed edema maculare cistoide è simile dopo impianto in camera anteriore o a fissazione sclerale. Tuttavia va segnalato che quest’ultima tecnica presenta delle possibili complicanze accessorie come l’esposizione delle suture, un aumentato rischio di endoftalmite, emorragia intraoculare, tilt e dislocazione della IOL27.

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LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

Qualora invece il supporto capsulare sia sufficiente per un impianto in camera posteriore, il chirurgo dovrà valutare la possibilità di un impianto nel sacco capsulare o nel solco ciliare.

Un impianto nel sacco sarà ancora preferito se la rottura capsulare sia limitata e consenta ancora un alloggiamento sicuro nel sacco senza rischi di dislocazione. In alternativa sarà meglio optare per un impianto nel solco ciliare. In questo caso è necessario ricorrere a lenti di lunghezza totale non inferiore a 13.0 mm, meglio se con anse rigide come quelle in PMMA. Ciò garantirà una maggiore stabilità nel solco ciliare e un minor rischio di dislocazione secondaria.

Tuttavia, come detto, nella PEX esiste anche un aumentato rischio di “in-the-bag dislocation”28,29.

Questa complicanza tardiva riconosce anche altri fattori di rischio come l’età avanzata, la miopia elevata, gli esiti di un vitrectomia posteriore, i pregressi traumi, le uveiti, alcune collagenopatie come la sindrome di Ehlers-Danlos, la sindrome di Marfan, la sindrome di Veil-Marchesani, l’omocistinuria, l’iperlisinemia30. In tutte queste condizioni l’elemento comune, al pari della PEX, è una debolezza zonulare.

L’esatta incidenza di questo tipo di dislocazione non è nota, ma sicuramente si tratta di una complicanza tardiva che è stata riportata nel corso degli ultimi anni con una frequenza crescente. Ciò è legato alla esecuzione routinaria della capsuloressi ed alla possibilità di portare a termine interventi anche partendo da situazioni delicate come una spiccata facodonesi29. La possibilità di stabilizzare il sacco capsulare impiegando anelli di tensione capsulare ed uncini retrattori dell’iride per agganciare il bordo della ressi ha reso possibile l’impianto nel sacco anche in condizioni di marcata facodonesi. Con il tempo tuttavia il progressivo deterioramento del supporto zonulare nella PEX può facilmente portare ad una dislocazione di tutto il sacco.

Anche nei casi di PEX in cui non vi sia una evidente facodonesi esiste il rischio di una “in-the-bag dislocation” che è strettamente legata allo svilupparsi della cosiddetta “capsular contraction syndrome”. Questa condizione, descritta per la prima volta da Davison nel 1993, è definita come una progressiva ed eccessiva riduzione del diametro della capsuloressi accompagnata da una contrazione del diametro equatoriale del sacco capsulare31.

La fimosi della ressi deriva da una contrazione della capsula anteriore legata alla sua fibrosi. Come già accennato la sua comparsa è legata a diversi fattori, il più importante dei quali è la biocompatibilità capsulare (figura 3).

A questo riguardo va sottolineato che anche il comportamento delle cellule dell’epitelio lenticolare, al pari di quelle infiammatorie, dipende dalla loro interazione con il film proteico che riveste il biomateriale, e quindi dal loro grado di attivazione14,32.

Diversi studi clinici hanno dimostrato che alcuni biomateriali sono in grado di stimolare una proliferazione cellulare ed una metaplasia fibrosa più di altri e di condurre quindi all’opacizzazione della capsula anteriore18,33,34. In particolare è stato dimostrato che, in soggetti normali, le lenti in silicone e le lenti acriliche idrofile sono associate più frequentemente ad un opacamento della capsula anteriore rispetto alle lenti SPECIALE LA VOCE AICCER 55

Scelta della IOL nella sindrome pseudoesfoliativa

Figura 3. Fimosi della capsuloressi. Prima e dopo trattamento con capsulotomia anteriore YAG laser.

acriliche idrofobe. Inoltre le lenti acriliche idrofile inducono la crescita di membrane cellulari sulla superficie della IOL in una percentuale di casi nettamente superiore rispetto alle lenti di altro materiale18,35,36. La contrazione della capsula anteriore genera una trazione centripeta sull’equatore del sacco capsulare e quindi sulla zonula, che viene sottoposta ad una tensione eccessiva. L’entità di questa trazione è proporzionale al grado e all’estensione della fibrosi. Quest’ultima, oltre che dal tipo di biomateriale, è favorita da un esteso contatto tra capsula anteriore e superficie della IOL. È stato infatti dimostrato che le lenti in silicone “plate haptics” sono associate ad una più frequente e più severa comparsa di opacizzazione della capsula anteriore37.

Per ridurre il contatto tra capsula anteriore e IOL e prevenire la fibrosi è consigliabile dunque eseguire una capsuloressi di diametro appena inferiore a quello dell’ottica della IOL. Tuttavia nei pazienti con PEX ciò può non essere agevole a causa delle ridotte dimensioni del diametro pupillare. Questa condizione può anche favorire un’incompleta pulizia dei residui capsulari che facilita la formazione di un anello di Sommerring. L’appesantimento del complesso IOL-sacco capsulare che da questo deriva può costituire un ulteriore fattore che contribuisce ad indebolire la resistenza di una zonula già lassa.

La trazione centripeta esercitata dalla contrazione della ressi sull’equatore del sacco capsulare è in una certa misura contrastata dalla tensione delle anse della IOL o dalla 56 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

presenza di un anello di tensione capsulare che distribuisce le forze centripete sull’intera circonferenza del sacco. A questo riguardo le anse in PMMA posseggono una maggiore rigidità e resistenza alla flessione rispetto alle anse acriliche o in silicone delle lenti monopezzo26,38.

In conclusione, la scelta dell’impianto nel paziente affetto da PEX dovrebbe orientarsi verso una lente in materiale acrilico idrofobo privilegiando la biocompatibilità capsulare di questo materiale e quindi la possibilità di prevenire le complicanze derivanti dalla contrazione del sacco capsulare. Inoltre dovrebbe essere preferita una IOL con anse in PMMA per favorire la tensione del sacco capsulare e per facilitare un eventuale riposizionamento nel caso di una dislocazione. È indispensabile tuttavia che tale orientamento sia accompagnato da una chirurgia precisa e consapevole, che coniughi la gestione della pupilla e della ressi con una completa pulizia del materiale lenticolare e con una attenta valutazione della stabilità capsulare per un suo corretto approcl cio intraoperatorio.

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Scipione Rossi Vincenzo Amorosino Marco Brinelli

Gestione del glaucoma associato alla cataratta

I

l trattamento del glaucoma pseudoesfoliativo associato a cataratta deve tenere conto delle caratteristiche cliniche delle due patologie, dei diversi profili di rischio e delle differenti priorità di obiettivo terapeutico ( ipotonizzante o riabilitazione visiva). La cataratta (nonchè i relativi provvedimenti terapeutici, medici e chirurgici) gioca un ruolo che determina o complica il glaucoma e il glaucoma stesso che con il suo decorso clinico e/o la sua terapia ( uso prolungato di colliri ipotonizzanti, terapia chirurgica) determina o aggrava la situazione della lente.

Approccio terapeutico La forma più frequente di glaucoma pseudoesfoliativo è quella da blocco trabecolare, dovuto alla presenza di materiale pseudoefoliativo in camera anteriore, che si deposita nelle maglie del trabecolato, L’origine del materiale pseudoesfoliativo è dovuta al contatto tra il cristallino e l’iride a livello dello sfintere pupillare,ed è oggetto di un altro capitolo. Va sottolineato che il materiale pseudoefoliativo accumulato sull’endotelio vascolare dell’iride determina una ischemia con conseguente alterazione della barriera emato-oculare e successiva essudazione (“pseudouveite”). Sono descritti anche casi da blocco pupillare causato dalla presenza di sinechie posteriori, dallo spostamento in avanti del cristallino per debolezza zonulare e dalla aumentata rigidità dell’iride associata alla tendenza alla miosi. Questi fattori sono responsabili dell’attacco acuto di glaucoma, mentre la formazione di sinechie angolari predispone agli attacchi da chiusura d’angolo. In ultimo casi da blocco ciliare indotto dalla contrazione del muscolo ciliare a causa della eccessiva lassità zonulare associata allo spostamento in avanti del cristallino.

SPECIALE LA VOCE AICCER 61

Gestione del glaucoma associato alla cataratta

Il glaucoma pseudoesfoliativo ha un decorso clinico e una prognosi peggiore rispetto a quello cronico semplice ad angolo aperto. la IOP pre trattamento è più alta rispetto al glaucoma cronico e la riduzione della IOP in risposta alla terapia medica è inferiore pertanto i pazienti con glaucoma pseudoesfoliativo sono destinati più precocemente alla terapia chirurgica.

Il trattamento medico è rapidamente inefficace, la laser trabecoloplastica è inizialmente efficace ma transitoria, le complicanze chirurgiche sono maggiori e più frequenti.

Nella trattazione di questo capitolo abbiamo preso in considerazione tre tipi di situazioni: 1. pazienti in buon compenso con un grado non significativo di cataratta; 2. paziente con tensione ben controllato in cui l’indicazione alla chirurgia è legata alla necessità di riabilitazione visiva; 3. paziente con cataratta e glaucoma non controllato, con evoluzione perimetrica, che richiede un intervento prioritariamente ipotonizzante.

Pazienti in buon compenso con un grado non significativo di cataratta

Per questi pazienti la gestione della patologia sarà di volta in volta modulata in relazione ai controlli trimestrali-semestrali con una gestione medica o parachirurgica laser del glaucoma.

La terapia medica può contare su diversi prodotti farmacologici con diverse azioni .

Tenendo conto della patogenesi dell’ipertono del glaucoma pseudoesfoliativo la scelta di farmaci che agiscano aumentando il deflusso trabecolare appare quella più razionale. Possono essere utilizzati gli analoghi prostaglandinici , rappresentati dal latanoprost (Xalatan) il capostipite della famiglia e primo agente registrato per uso clinico, il travoprost (Travatan) e il bimatroprost (Lumigan) oltre le associazioni con altri farmaci (tabella 1).

Tali farmaci riducono la pressione intraoculare in virtù di un incremento del deflusso per via uveosclerale (meccanismo principale) ma anche attraverso un incremento del deflusso convenzionale, per via trabecolare, dimostrato sia per il latanoprost che per il bimatoprost.

Combinazioni fisse I parasimpaticomimetici (diretti ed indiLatanoprost 0.005% Xalatan retti) incrementano il deflusso attraverso Unoprostone 0.15% Rescula l’ampliamento degli spazi trabecolari per la Bimatoprost 0.03% Lumigan contrazione del muscolo ciliare. Un seconTravoprost 0.004% Travatan do effetto caratteristico di queste molecole è la miosi pupillare che risulta utile nella Latanoprost 0.00% + timololo 0.50% Xalacom profilassi dei rialzi pressori nei glaucomi da Travoprost 0.004% + timololo 0.50% Extravan pseudoefoliatio ad angolo stretto.

Travoprost 0.004% + timololo 0.50% Duotrav Oltre a questi, vi sono altri farmaci che Tabella 1. anche se non agiscono direttamente sul 62 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

deflusso di umor acqueo trovano una loro Combinazioni fisse logica di applicazione nella gestione del Cosopt Dorzolamide + timololo 0,50% glaucoma pseudoesfoliativo sia come sinCombigan Brimonidina tartrato 2 mg/ml + goli prodotti beta-bloccanti (timololo, timololo 5 mg/ml levobunololo, betaxololo, metipranololo, Ganfort Bimatoprost 0,03% + timololo 0,5% carteololo) inibitori dell’anidrasi carbonica (sistemici e topici) sia in combinazioni Tabella 2. fisse (tabella 2). A questi dobbiamo aggiungere gli Agenti iperosmotici (mannitolo, glicerolo, isosorbite) che trovano una loro collocazione nella gestione delle urgenze.

La terapia medica può essere affiancata dalla terapia parachirurgica ALT che ottiene risultati soddisfacenti nell’immediato post-operatorio ma meno soddisfacenti nel lungo termine. Nel 50% dei pazienti, il trattamento si mantiene efficace ancora a distanza di 5 anni.

Poiché il trabecolato è intensamente pigmentato si raccomandano potenze inferiori.

Pazienti glaucomatosi ben controllati in cui l’indicazione alla chirurgia è legata alla necessità di riabilitazione visiva

Considerazioni a. In casi di glaucoma pseudoefoliativo ad angolo stretto l’intervento di cataratta risolve l’eventuale blocco pupillare e l’affollamento angolare inducendo una riduzione fino a 7mmhg della IOP ancora dopo 2 anni. b. Un intervento combinato di cataratta e glaucoma riduce a lungo termine la pressione intraoculare di più rispetto al solo intervento da cataratta. L’intervento combinato di faco e trabeculectomia (o con chirurgia non penetrante) con follow-up a 2 anni riduce la IOP da 6 a 8 mmHg rispetto al preoperatorio. c. Dopo un intervento combinato di cataratta e glaucoma il controllo a lungo termine della pressione intraoculare è peggiore rispetto al solo intervento antiglaucomatoso (maggior rottura della barriera emato acquea in caso di faco+trab con maggior accesso di acqueo ricco di derivati lenticolari nello spazio sottocongiuntivale, cui consegue una maggiore flogosi ed una minore sopravvivenza della bozza).

Negli interventi non penetranti l’integrità della camera anteriore mantiene una separazione del sito di filtrazione sclero congiuntivale ed una invariata efficacia della metodica anche se associata alla estrazione della cataratta. d. La più frequente complicazioni della chirurgia filtrante è la cataratta (dal 2 al 75% dei casi), a maggior rischio gli occhi operati con uso di mitomicina C, con una preesistente cataratta e che abbiano presentato una ipo-atalamia nel post-operatorio (collaborative normal tension glaucoma study e l’advanced glaucoma intervention study). e. In un paziente con chirurgia filtrante, il successivo intervento di cataratta può SPECIALE LA VOCE AICCER 63

Gestione del glaucoma associato alla cataratta

avere un effetto nocivo sulla filtrazione e sul controllo pressorio.In caso di glaucoma ad angolo aperto si ha un rialzo medio della IOP di 1-2 mmHg nei successivi 2 anni. Dal 20 al 40% dei casi è necessario un aumento della terapia o il ricorso alla chirurgia addizionale per mantenere il controllo pressorio soprattutto se l’intervento di cataratta viene eseguito nei primi 12-18 mesi dopo l’intervento fistolizzante e la bozza è ben funzionante. Altri fattori di rischio per il fallimento della bozza per un’aumentata risposta flogistica sono rappresentati dall’età inferiore ai 50 anni, e dalle manipolazioni dell’iride. In caso di bozza fallite o malfunzionanti, l’intervento di cataratta potrebbe sortire un lieve miglioramento del controllo tonometrico. In definitiva non sussistono prove certe che un approccio sequenziale eseguendo prima la trabeculectomia e successivamente la facoemulsificazione consenta un controllo tensionale migliore rispetto ad un intervento combinato primario. f. In corso di chirurgia combinata l’uso degli agenti antimetaboliti (mitomicina C) pur se con qualche eccezione, permettono un moderato effetto aggiuntivo ipotensivo di 2-4 mmHg ( secondo alcuni autori limitato ai casi a maggior rischi di fallimento), mentre non vi sono elementi che sostengono con certezza un maggior effetto ipotonizzante derivante dall’uso del 5-FU. Le evidenze sperimentali suggeriscono che la facotrabeculectomia con MMC ottiene risultati tensionali analoghi a quelli della sola trabeculectomia, pur senza raggiungere i livelli ottenuti con la trab+MMC. g. In caso di chirurgia combinata è preferibile l’approccio su due diverse sedi per i due interventi (beneficio ipotensivo di circa 1-2 mmHg) indipendentemente dall’utilizzo del lembo congiuntivale base limbus e base fornice, con o senza utilizzo degli antimetaboliti.

Date queste premesse possiamo concludere che: a. Nei pazienti con glaucoma pseudoesfoliativo ad angolo aperto con IOP sotto i 20 mmHg e con una terapia topica ben tollerata, se il danno perimetrico e strutturale è lieve, non è necessario ricorrere alla terapia chirurgica combinata. La facoemulsificazione offre la possibilità di associare riabilitazione visiva ad un modesto vantaggio tonometrico nel 15-20% dei casi con un profilo di rischio decisamente basso. Ancora da valutare l’impatto delle tecniche mini invasive bimanuali. b. Nei pazienti con glaucoma pseudoesfoliativo ad angolo stretto associato a cataratta, il ricorso alla sola chirurgia della cataratta appare più che giustificato, dal momento che consente di ottenere sostanziali e duraturi effetti benefici sulla IOP. Pazienti con cataratta e glaucoma non controllato, con evoluzione perimetrica, che richiede un intervento prioritariamente ipotonizzante

Considerazioni a. L’intervento antiglaucomatoso accelera la catarattogenesi; necessita quindi di un 64 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

secondo intervento a breve termine che può a sua volta compromettere in una quota di casi la soppravivenza della bozza ed il controllo tensionale. b. Un intervento combinato può essere complicato da più frequenti eventi avversi con il rischio che il risultato in termini di pressione intraoculare risulti meno brillante rispetto alla sola trabeculectomia. c. Il solo intervento di cataratta difficilmente risolverà il problema.

Appare quindi ragionevole evitare rischi connessi alla doppia chirurgia e ricorrere ad un intervento combinato. In relazione al target pressorio che si vuole ottenere si può optare per una facotrabeculectomia standard (preferibilmente su due sedi separate).

Qualora invece si vuole ottenere un target pressorio molto basso (paziente affetto da cataratta e glaucoma scompensato con stadio clinico avanzato e/o evolutivo con fattori di rischio associati) si può optare tra facotrabeculectomia con uso di MMC oppure un’iniziale trabeculectomia con MMC seguita se indispensabile dall’intervento di cataratta, possibilmente dopo un intervallo di tempo non inferiore ai 6-12 mesi. l Dr. Scipione Rossi Direttore UOC Microchirurgia Oculare Ospedale San Carlo - IDI Via Aurelia, 275 • 00165 Roma s.rossi@idi.it

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SPECIALE LA VOCE AICCER 65

Riccardo Sciacca Antonio Rapisarda Gaspare Antonio Nicoletti Antonio Marino

Chirurgia combinata della cataratta e del glaucoma pseudoesfoliativo Quando eseguire la chirurgia combinata L’intervento combinato può ridurre il trauma indotto da due procedure chirurgiche in tempi diversi, tuttavia, la scelta di intraprendere un simile intervento è sempre molto complessa e condizionata da molteplici fattori15,19: in base al tipo di paziente (età, compliance, esigenze personali, fattori di rischio per glaucoma), alla gravità del danno glaucomatoso, al “target” pressorio che si vuole raggiungere (da valutare caso per caso), al grado di opacizzazione del cristallino, alla sicurezza e l’efficacia dell’intervento chirurgico.

Vista la molteplicità degli elementi che possono influire sulla valutazione di procedere o meno all’esecuzione di un intervento combinato e, successivamente, sull’eventuale scelta della metodica da eseguire, risulta estremamente difficile fornire uno schema generale che possa essere di ausilio in una decisione che, pertanto, andrebbe presa caso per caso14.

Facoemulsificazione associata ad aspirazione trabecolare “L’aspirazione trabecolare” (faco+IOL+aspirazione trabecolare) costituirebbe un trattamento di primo approccio in occhi con coesistenti cataratta e glaucoma pseudoesfoliativo, riducendo significativamente la IOP rispetto alla semplice facoemulsificazione, tuttavia poco valida in caso di necessità di target pressori bassi20. La tecnica prevede dopo faco+impianto IOL, l’utilizzo di un aspiratore trabecolare con apertura di suzione larga 400 micron ed angolata a 45° orizzontali, una seconda cannula di infusione di calibro 650 micron, da usare attraverso due paracentesi contrapposte tali da coprire una potenziale area di trattamento di 270°.

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LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

Ottenuto un delicato contatto tra strumento e tessuto, si applica un’aspirazione tra i 100 e i 200 mm Hg per aspirare il materiale ostruente il trabecolato.

Questa tecnica libera la maglia trabecolare dai detriti migliorando il deflusso, ma non influenza la produzione e la liberazione del materiale pseudoesfoliativo con conseguente riduzione di efficacia nel tempo20.

Facoemulsificazione associata a trabeculectomia (con o senza antimetaboliti) Tra gli interventi di chirurgia combinata di glaucoma e cataratta, quello di facoemulsificazione associata a trabeculectomia è sicuramente il più diffuso.

Le ragioni di tale diffusione vanno ricercate soprattutto negli ottimi risultati funzionali, in termini di riduzione della pressione oculare e di recupero visivo, e nella relativamente bassa incidenza di complicanze connesse all’esecuzione di tale metodica.

Quest’ultima può essere condotta mediante due accessi chirurgici separati (due vie) oppure un unico accesso (una via).

Tecnica chirurgica a due vie

Tale tecnica prevede l’esecuzione della trabeculectomia ad ore 12 e della facoemulsificazione attraverso un’altra via nel settore temporale. Le fasi essenziali della metodica in esame possono essere riassunte come segue: • preparazione di un lembo congiuntivale nel settore superiore a base fornice o limbus della lunghezza di circa 8 mm (figura 1); • eventuale applicazione di spugnetta imbevuta di antimetaboliti; • preparazione dello sportello sclerale di lunghezza e larghezza variabili da 2 a 4 mm, a ore 12 e per una profondità corrispondente a circa metà dello spessore sclerale (figura 2); • esecuzione, nel settore temporale con incisione in “clear cornea”, delle varie fasi dell’intervento di facoemulsificazione con impianto di IOL ed eventuale anello distensore del sacco (figura 3); • asportazione di un tassello di tessuto sclero-corneale al di sotto dello sportello sclerale precedentemente creato (figura 4); • esecuzione di iridectomia basale con pupilla in miosi (creata tramite la precedente introduzione in camera anteriore di acetilcolina);

Figura 1. Apertura congiuntiva.

Figura 2. Sportello sclerale.

SPECIALE LA VOCE AICCER 67

Chirurgia combinata della cataratta e del glaucoma pseudoesfoliativo

• asportazione del viscoelastico e sutura dello sportello sclerale con 2 o più punti in nylon 10/0; • sutura della congiuntiva con vicryl 8/0 (figura 5).

Tecnica chirurgica ad una via

Figura 3. Fine facoemulsificazione.

Figura 4. Trabeculectomia.

Figura 5. Chiusura congiuntivale.

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Le principali fasi della tecnica chirurgica ad una via possono essere così schematizzate: • preparazione di un lembo congiuntivale nel settore superiore a base fornice della lunghezza di circa 8 mm; • eventuale applicazione di spugnetta imbevuta di antimetaboliti; • preparazione tunnel sclerale (che successivamente verrà convertito in sportello per la trabeculectomia) di lunghezza e larghezza variabili da 2 a 4 mm, ad ore 11-12 e per una profondità corrispondente a circa metà dello spessore sclerale; • apertura della camera anteriore con bisturi precalibrato; • esecuzione delle varie fasi d’intervento di facoemulsificazione con impianto di IOL (figura 6); • incisione del tunnel sclerale da uno o ambedue i lati per la conversione di questo in sportello; alcuni chirurghi non eseguono questa fase dell’intervento ed effettuano il successivo tempo chirurgico di asportazione del tassello sclero-corneale utilizzando un punteruolo sotto il tetto del tunnel sclerale, creando così una “facotrabeculectomia senza punti”; • asportazione di un tassello di tessuto sclero-corneale al di sotto dello sportello sclerale precedentemente creato (figura 7); • esecuzione di iridectomia basale con pupilla in miosi (creata tramite la precedente introduzione in camera anteriore di acetilcolina) (figura 8); • asportazione del viscoelastico e sutura dello sportello sclerale con 1 o più punti in nylon 10/0; • sutura della congiuntiva con vicryl 8/0.

La facotrabeculectomia con o senza antimetaboliti è molto diffusa per gli ottimi risultati funzionali e per la bassa incidenza di complicanze.

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

In letteratura non esiste concordia in rifererimento ai risultati funzionali tra chirurgia combinata rispetto alla trabeculectomia e facoemulsificazione eseguite in tempi diversi.

Esiste una predominanza di autori che sostengono la procedura combinata a due vie piuttosto che con unico accesso per minore traumatismo della trabeculectomia7,15.

Riguardo all’alternativa tra esecuzione di un lembo congiuntivale a base fornice o a base limbus sono risultate scarse differenze tra le due metodiche, ma in caso di utilizzo di antimetaboliti, un lembo a base limbus ridurrebbe il “leakage” della bozza filtrante nell’immediato post-operatorio: in particolare, la mitomicina C migliora i risultati pressori della facotrabeculectomia, ma selettivamente quando si debba raggiungere un “target” pressorio molto basso 6,7,11,16.

Le complicanze della facotrabeculectomia possono scaturire, da un lato, dall’intervento di cataratta e, dall’altro, da quello di trabeculectomia.

Nel primo caso, si potrebbero verificare rotture della capsula posteriore o della zonula con eventuale perdita di vitreo, danno endoteliale, ipoema ed emorragie espulsive; nel secondo caso, invece, ipotono, atalamia, ipertono, fibrina in camera anteriore, ipoema, emovitreo, distacco di coroide 6,7,11,12.

In conclusione, la facotrabulectomia attualmente rappresenta l’intervento elettivo per trattare la concomitante presenza di glaucoma e cataratta, in particolare, nei casi in cui si debba raggiungere un target pressorio basso o sia elevato il rischio di insuccesso della chirurgia del glaucoma o, ancora, vi sia una prospettiva molto lunga di vita del paziente.

Inoltre, in base ai dati della letteratura, la tecnica a due vie con lembo congiuntivale a base fornice o limbus (quest’ultimo da preferire nel caso in cui si impieghino antimetaboliti) e l’utilizzo della mitomicina C, piuttosto che del 5-fluorouracile, sembrano le metodiche più efficaci.

Figura 6. Facotrab una via.

Figura 7. Trabeculectomia una via.

Figura 8. Iridectomia una via.

SPECIALE LA VOCE AICCER 69

Chirurgia combinata della cataratta e del glaucoma pseudoesfoliativo

Facoemulsificazione associata alla chirurgia non penetrante del glaucoma (sclerectomia profonda, e viscocanalostomia) La chirurgia non penetrante del glaucoma (sclerectomia profonda e viscocanalostomia), dovrebbe riservarsi a casi selezionati, quali, ad esempio, glaucomi compensati con un solo farmaco o in cui sia temibile l’ipotensione post-operatoria: infatti, il rischio di ipotono e di distacco di coroide analogamente al rischio di sanguinamento in camera anteriore risulta piuttosto basso17.

Tecnica chirurgica

Le principali fasi della tecnica di facoemulsificazione associata a sclerectomia profonda o viscocanalostomia possono essere così schematizzate : • preparazione di un lembo congiuntivale nel settore superiore a base fornice della lunghezza di circa 8 mm; • scolpitura dello sportello sclerale delle dimensioni di 4x5, a ore 12, per una profondità corrispondente a circa 0.2 mm, estendendosi in piena cornea; • scolpitura dello sportello sclerale profondo che dopo aver identificato il canale di Schlemm non viene ultimata; • esecuzione delle varie fasi di intervento di facoemulsificazione con impianto di IOL; • ultimazione della scolpitura dello sportello sclerale profondo con apertura del canale di Schlemm (si nota percolazione di umore acqueo); • asportazione sportello sclerale profondo; • asportazione parete endoteliale del canale di Schlemm (Sclerectomia profonda); • iniezione, da ambedue i lati del canale di Schlemm, di sostanza viscoelastica ad elevata viscosità (Viscocanalostomia); • eventuale impianto di acido ialuronico reticolato nel lago sclerale; • sutura dello sportello sclerale superficiale (a tenuta stagna per la Viscocanalostomia); • sutura della congiuntiva.

Tra le complicanze intra-operatorie da segnalare, soprattutto visto il lungo “training” di apprendimento della tecnica di facoemulsificazione associata alla chirurgica non penetrante del glaucoma, bisogna ricordare una possibile difficoltà nella individuazione del canale di Schlemm o la lacerazione dello sportello sclerale superficiale. L’elevata pressione che si crea in camera anteriore nel corso della facoemulsificazione o della manovra di lussazione dell’endotelio-Descemet dallo stroma corneale può essere causa di fessurazione della parete bulbare assottigliata. Inoltre, un’involontaria apertura della camera anteriore può rendere necessaria convertire l’intervervento di sclerectomia profonda o viscocanalostomia in trabeculectomia.

Gli studi che hanno valutato l’efficacia dell’associazione facoemulsificazione - sclerectomia profonda o viscocanalostomia sono poco numerosi.

Per quanto concerne il confronto della trabeculectomia con la chirurgia non penetrante del glaucoma (sclerectomia profonda e viscocanalostomia), la letteratura pre70 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

senta risultati contrastanti. Al riguardo, infatti, mentre alcuni Autori hanno sottolineato come l’impiego dell’una e dell’altra tecnica abbia dato risultati sostanzialmente assimilabili, in termini di riduzione della PIO, altri hanno evidenziato una maggiore efficacia della trabulectomia rispetto alla sclerectomia profonda e alla viscocanalostomia.

Da quanto sin qui evidenziato, atteso il numero esiguo dei lavori presenti in letteratura e la loro contraddittorietà in ordine ai risultati connessi alla chirurgia non penetrante del glaucoma, quest’ultima deve considerarsi riservata al trattamento di casi selezionati, quali, ad esempio, glaucomi compensati con un solo farmaco o in cui sia temibile l’ipotensione post-operatoria2,3,17,18.

Conclusioni Recentemente, sono sempre più numerosi i chirurghi che decidono di affrontare la compresenza nella PEX di glaucoma e cataratta attraverso la chirurgia combinata, soprattutto per evitare il trauma che può derivare dall’esecuzione di due interventi distinti: tale decisione risulta peraltro incoraggiata dal crescente perfezionamento delle tecniche chirurgiche del glaucoma e della cataratta. D’altra parte, a conferma della validità della scelta di un intervento combinato, molteplici studi ne hanno evidenziato la notevole efficacia funzionale, nonchè la sicurezza soprattutto in termini di complicanze.

L’ulteriore scelta dinnanzi alla quale si trova il chirurgo che abbia deciso di eseguire un intervento combinato è quella relativa alla esecuzione di facotrabulectomia ovvero di facoemulsificazione associata ad un intervento di chirurgia non penetrante. La prima metodica rappresenta l’intervento di scelta, ancor più là dove si intenda raggiungere un target pressorio molto basso o vi sia alto rischio di insuccesso dell’intervento di glaucoma o si tratti, infine, di paziente con prospettiva di vita molto lunga.

Il secondo tipo di intervento risulta invece indicato in casi più limitati, quali glaucomi compensati con un solo farmaco o a rischio di ipotensione post-operatoria, ciò soprattutto in quanto se è vero che tale metodica presenta minori complicanze postoperatorie rispetto alla prima, è anche vero che risultano altresì minori i risultati funzionali a lungo termine ad essa correlati in termini di riduzione della pressione intraoculare. l Dr. Riccardo Sciacca A. USL 3 Catania P.O. S. Marta e S. Venera Via Caronia • 95024 Acireale (CT) riccardosciacca@tiscali.it

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Chirurgia combinata della cataratta e del glaucoma pseudoesfoliativo

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Giorgio Tassinari Alessandro Mularoni Lucia Porsia

Trattamento della dislocazione tardiva del sacco contenente la IOL

L

a sindrome pseudoesfoliativa (PEX) si caratterizza per la deposizione di una sostanza fibrillare acellulare sulle superfici bagnate dall’umore acqueo.

L’accumulo di questa sostanza sulla zonula di Zinn comporta una riduzione della forza tensionale ed un aumento di friabilità delle fibre che la compongono, per effetto di meccanismi proteolitici che si verificano nel contesto degli aggregati pseudoesfoliativi1,2. In conseguenza di tali deterioramenti zonulari, il complesso IOL-sacco capsulare può dislocarsi anche a distanza di anni da una chirurgia della cataratta avvenuta senza complicanze intraoperatorie3-7. Possono inoltre contribuire a determinare una dislocazione tardiva (dopo 3 mesi 7 dall’intervento) anche le forze centripete determinate da una contrazione capsulare anteriore, e l’effetto massa di un’opacità capsulare posteriore5, che tendono a presentarsi negli occhi con PEX più frequentemente rispetto agli occhi privi di tale patologia3,6,10-13.

Pertanto, se l’incidenza di dislocazione di IOL-sacco è complessivamente compresa tra 0,2 e 3,0% , si ritiene che tali valori siano molto superiori nel gruppo di soli occhi con PEX5,7,15.

Sono stati suggeriti vari trattamenti preventivi della dislocazione IOL-sacco in occhi con PEX16,17: • precoce chirurgia della cataratta, sia per consentire una riduzione dell’energia meccanica necessaria nell’intervento e quindi dell’effetto traumatico sulla zonula, sia per rimuovere materiale esfoliativo e, potenzialmente, una fonte dello stesso18,19, e quindi ridurre l’azione lesiva dei depositi sulla zonula; • precauzioni, manovre, e scelte chirurgiche come:

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LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

- uso di massima delicatezza, ricorso a una tecnica chop, e aspirazione della corticale in modo tangenziale piuttosto che perpendicolare per ridurre traumi sulla zonula - esecuzione di una capsuloressi non stretta, che favorirebbe una contrazione capsulare anteriore. Nel caso in cui questa si sviluppi, è consigliabile eseguire incisioni rilassanti sul bordo della ressi mediante YAG laser - posizionamento di un anello di tensione capsulare, che, distribuendo le forze equamente sui 360°, previene l’estensione di aree di distruzione focale di Figura 1. Dislocazione parziale della IOL. zonule indebolite21. L’effetto preventivo dell’anello nei confronti della dislocazione potrebbe svolgersi anche attraverso le sue azioni contrastanti la contrazione e l’opacizzazione del sacco capsulare10-12,22.

- uso di IOL acriliche idrofobe tre-pezzi o comunque non in silicone, per non aumentare ulteriormente il rischio di fimosi capsulare rispetto a quello già determinato dalla sola PEX10,23-25.

- impianto nel solco o in camera anteriore (CA) o a fissazione sclerale (FS) se si ritiene il sacco inadeguato a sostenere la IOL. Quando la dislocazione si è già verificata, le conseguenze principali sono rappresentate da aloni, aberrazioni e diplopia monoculare determinate dall’invasione del campo pupillare da parte del margine del piatto ottico, riduzione del visus dovuta principalmente a mancanza del potere diottrico della IOL sull’asse visivo, innalzamento del tono oculare causato da una misdirezione dell’acqueo indotta dalla IOL e/o da una reazione infiammatoria indotta dal contatto IOL-corpo ciliare26, e inoltre uveiti, edema maculare cistoide, emorragie intraoculari, rotture o distacchi di retina27.

Le possibilità di gestione28,29 sono rappresentate da: Osservazione

Quest’opzione è valida soprattutto se la dislocazione è parziale e non vi è pseudofacodonesi; in questi casi potrebbe essere indicata l’induzione farmacologica di miosi per ridurre fenomeni di glare, ed è importante rilevare precocemente segni di instabilità in quanto la gestione chirurgica di una sublussazione è più semplice e offre migliori risultati rispetto a quella di una lussazione completa.

In caso di dislocazione completa ovvero lussazione in CV,

Figura 2. Dislocazione totale della IOL.

SPECIALE LA VOCE AICCER 75

Trattamento della dislocazione tardiva del sacco contenente la IOL

l’osservazione è indicata nelle eventualità in cui vi sia una soddisfacente correzione con lente a contatto per afachia, la IOL sia di materiale morbido, senza bordi squadrati e inerte, e/o vi siano controindicazioni locali o sistemiche alla chirurgia. In questi casi è indicato che il paziente dorma con una posizione elevata del capo per evitare il contatto della IOL con la macula o il nervo ottico, e un continuo monitoraggio per un precoce rilievo delle complicanze sopraelencate.

Riposizionamento della IOL dislocata

Sono state descritte numerose tecniche28 per la fissazione della IOL al solco (scelta più comune)30-34 o all’iride (riduce le complicanze tipiche della fissazione sclerale)17,35-37 o alla pars plana (meno utilizzata)38. La fissazione dovrebbe coinvolgere entrambe le apte, previa loro liberazione dai residui capsulari; non sempre la manovra risulta di semplice esecuzione soprattutto per la compattezza dei residui capsulari circostanti le apte e per la instabilità del complesso IOL-sacco da suturare. Nei casi di semplice sublussazione o lussazione anteriore può essere sufficiente il posizionamento di un secondo strumento attraverso il limbus in CA per la manipolazione della IOL e la visualizzazione delle apte. Nei casi di dislocazione più posteriore, un sostituto vitreale, Healon 5, può essere iniettato posteriormente alla IOL per indurre una sua fluttuazione anteriore; in caso di persistenza di integrità di almeno un settore di zonula, questo potrà essere utilizzato come fulcro iniettando il sostituto vitreale attraverso una sclerotomia eseguita nel meridiano dello stesso settore; quindi, per fornire un supporto per le operazioni di sutura, potrà essere utilizzato un secondo strumento introdotto attraverso la sclerotomia, o un ago retto passato da limbus a limbus e attraverso la prominenza dell’anello fimotico capsulare anteriore, o un retrattore irideo introdotto in cornea chiara e posizionato alla giunzione ottica-ansa della IOL. Rimozione della IOL dislocata per via limbare ed eventuale sostituzione con nuova IOL39,40

La rimozione è particolarmente indicata in caso di IOL con apte danneggiate o molto flessibili e inadatte ad essere suturate, o quando la fissazione del complesso IOL-sacco risulti troppo difficoltosa, o se vi sono complicanze posteriori come distacco di retina.

Le tecniche di espianto ed eventuale sostituzione di IOL sono, rispetto a quelle di riposizionamento, solitamente più semplici e rapide, ma presentano come principale svantaggio l’ampia apertura limbare richiesta per asportare la IOL, e quindi il trauma all’endotelio corneale e l’astigmatismo postoperatorio; inoltre espongono a un maggior rischio di prolasso vitreale ed emorragia coroideale 7.

In caso di IOL sublussata e ancora in CP è indicato un approccio limbare, con o senza vitrectomia anteriore, al fine di evitare le complicanze relative all’approccio via pars plana. Quest’ultimo sarà però indicato in caso di lussazione completa della IOL in CV, o per gestire complicazioni retiniche eventualmente associate.

In uno studio7 osservazionale retrospettivo multicentrico sulla dislocazione IOL76 SPECIALE LA VOCE AICCER

LA SINDROME PSEUDOESFOLIATIVA NELLA CHIRURGIA DELLA CATARATTA

sacco, che ha considerato 25 occhi ove la condizione più comunemente associata è risultata essere la PEX, il trattamento è risultato: • vitrectomia via pars plana (VVPP) e riposizionamento di IOL con FS nel 32% dei casi; • rimozione di IOL-sacco per via limbare (L+Rim), VVPP e sostituzione con IOL da CA nel 60%; • L+Rim e, senza VVPP, sostituzione con IOL da CA nel 4%; • L+Rim, VVPP e sostituzione con IOL da FS nel 4%.

In un altro studio sono stati confrontati i risultati visivi e le complicazioni di riposizionamento (Rip) di IOL (30 occhi) vs sostituzione (Sost) di IOL (29 occhi) in casi di dislocazione IOL-sacco. I risultati visivi finali sono apparsi simili sia tra Rip e Sost, sia, nell’ambito di Sost, tra impianto di IOL in CA – IOL a supporto angolare – e a FS, ma il guadagno visivo di IOL in CA è stato maggiore vs IOL in FS. Una sublussazione postoperatoria di IOL si è verificata nel 21% di Rip e nel 3% di Sost, mentre distacco di retina postoperatorio si è presentato nel 14% di Rip vs 7% di Sost.

Per quanto concerne il tipo di IOL da impiantare nel caso in cui si opti per la rimozione della IOL dislocata, in un recente review di tutta la letteratura pertinente42 l’American Academy of Ophthalmology ha concluso che vi è sostanziale parità, per efficacia e complicanze, tra le IOL da CP suturate alla sclera o all’iride e le IOL da CA a supporto angolare ad ansa aperta e flessibile. Alla stessa conclusione è giunto anche un review che ha considerato, oltre alle sopraddette, anche le IOL a fissazione iridea43.

A nostro parere, tra i principali svantaggi dell’impianto a fissazione sclerale vi è la relativa difficoltà della tecnica che richiede un maggior tempo operatorio. L’interferenza con le strutture angolari tipica delle IOL da CA con ansa aperta e flessibile andrebbe evitata particolarmente negli occhi con PEX, già predisposti a glaucoma. Quindi, in presenza di integrità dell’iride, la nostra predilezione, sia sulla base della nostra esperienza che considerando conferme fornite dalla letteratura44, va alle IOL a fissazione iridea, anteriore o posteriore45.

In conclusione, la scelta della IOL, e del tipo di intervento, dipenderà dalle condiziol ni oculari e, anche, dalle personali preferenze del chirurgo.

Dr. Giorgio Tassinari U.O. di Oculistica Largo Nigrisoli, 2 • 40133 Bologna Tel. 051 6478035 • Fax 051 6478945 giorgio.tassinari@ausl.bologna.it

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Trattamento della dislocazione tardiva del sacco contenente la IOL

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