Via Posacchio Malaguti

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Leggere la storia della libertĂ

Un giovane partigiano di San Bernardino muore nell’ultima battaglia per la Liberazione. Il comune lo ricorda intitolando al suo nome una via nella frazione

1945 - 2019 Comune di Novellara


Via Posacchio Malaguti

Gli spari nella notte Posacchio raccontava l’arretratezza delle campagne: se sistemate rendevano di più

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o raccontava una volta Attilio Ballabeni, che fino nel tardo dopoguerra aveva patito le carognate fasciste ed era dovuto emigrare in altre contrade, rievocando col sorriso i suggerimenti di Posacchio e le spiegazioni di come il sistema di coltivare a mezzadria bloccasse la spinta alla modernità delle campagne e uccideva i piccoli in fasce con la denutrizione. Si perdeva una buona metà delle sensibilità e delle idee del popolo fin quando le donne non potevano votare, zitte “taci tu che sei una donna”.

Che coraggio i fasci: raffiche nella notte contro la casa del partigiano (e della giovane moglie) e poi scappare

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obbalzando anche molte notti quando gli sgherri passavano sulla mitica “elta dal Carobi” sparacchiano a destra e manca per far vedere a quei rossi chi comandava. Bastava nel dopoguerra togliere dal muro i proiettili delle raffiche di mitra conficcati tra i mattoni. Al povero Posacchio e a Leonilde, svegliati nel terrore, non restava che ripararsi. Il giovane partigiano saltava dal retro, pestando lo sterco delle galline, e scendere, sempre con un’arma in pugno, imboccare un canale buio che attraversava tutto il rialzo di terra del Carrobbio. E lì aspettare, magari tutta la notte nella poca acqua quasi di fogna che da sopra i rumori fossero passati, i canti stupidi e osceni fossero cessati. Fuori a respirare con l’angoscia che fosse successo qualcosa all’adorata Leonilde e ai due piccoli..

I lanci di armi alleati, da recuperare nella notte. Ma “lavorare” al cimitero gli metteva paura...

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ttilio raccontava che dopo aver recuperato fucili e caricatori da un lancio alleato bisognava nascondere le armi e fu una bella pensata mettere tutto in uno dei forni per salme nel cimitero. I fucili per il lungo ci stavano bene e parecchi erano vuoti. Posacchio aveva paura di quel buio e tendeva l’orecchio ad ogni fruscio, sobbalzando.

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San Bernardino di Novellara

Un ragazzo ascolta Posacchio che trasmette alla radio e riceve subito una lezione di fiducia... da partigiano Aerei che di notte spaventavano col ronzio lontano, i “Pippo”: così nella frazione chiamavano i ricognitori fascisti che sorvolavano la “Bassa” alla ricerca di fuochi che segnalassero agli alleati obiettivi da bombardare. Sergio Subazzoli, che allora aveva 10 anni, si vendicherà da grande volando nell'azzurro del suo cielo sopra i campi, rombando festoso sul suo casolare. Ricordando da grande il partigiano che parla alla radio con il corpo volontari della libertà che dava istruzioni o notizie alle Squadre patriottiche che operavano coraggiosamente nella bassa. Chissà se il fatto è avvenuto dopo lo schianto dell’aereo del tenente Kopp, che andava a dare uno sguardo dall’alto ai movimenti tedeschi.

“M'era d'indiviz d'èser già un Partisan”

“Mi sembrava di essere già un Partigiano”

Al microfono in man, la coffia in dagli-orecc ad-dree dal mocc dal bali, tot i de al stèss orari, a la radio l-trasmeteva, cun dieter Partisan, consapevol dal perecol d'èser spiee da inco al d-man, da chi sporch e maledèt di fasesta e di tognèt (s.s. tedesche ).

Il microfono in mano, la cuffia negli orecchi dietro un mucchio di balle di paglia, tutti i giorni allo stesso orario, trasmetteva, con la radio, ad altri partigiani, consapevole del pericolo di essere spiato da oggi al domani, da quegli sporchi maledetti dei fascisti e dei tedeschi.

E' stee propria-n dòp mesdè, ch'i'ho senti ment'r-al parleva, quand zughev-n-a nasconden cun i'amigh e i me cusen, s'eren sòta la barchèsa sul-mocc dal bali 'd'paia, quand, ho vest al brev Posacchio cun i'occ fèss punte vers mè, e un di drét ed-nans-al nes -ssst ! marcmand cat tes: sò ched-tè, am pos fider !, guerda in là, fa finta d'gnint e continua a zugher; al motiv t'al spiegh pò d'man dal perchè d-col c-sun 'dre fer.

È stato proprio un pomeriggio, che ho sentito che parlava, quando giocavamo a nascondino con gli amici e i miei cugini, eravamo sotto la barchessa sui mucchi di balle di paglia, quando, ho visto il bravo Posacchio che mi guardava fisso negli occhi, e un dito diritto davanti al naso ss..., mi raccomando, taci, lo so che di te mi posso fidare! guarda in là, fa finta di niente e continua a giocare; il motivo te lo spiego domani del perché di quello che sto facendo.

Al m'ha spieghee da l'a a la z, al g'ha 'vu fidòcia in me, dòp am sun senti un'omett, anch s'agheva sol des-an: m'era quasi d'indiviz, d'èser gia un Partisan.

Me lo ha spiegato dalla a alla z, ha avuto fiducia in me, poi mi sono sentito un ometto, anche se avevo solo dieci anni: mi era sembrato di essere già un Partigiano.

D'col chi'ho vest e chi'ho sentii, coi me occ el me orecc, semper viv lè al ricord, anch se ormai sun d-ventee vècc.

Di quello che ho visto e sentito, con i miei occhi e le mie orecchie, è sempre vivo come ricordo, anche se oramai sono diventato vecchio.

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Via Posacchio Malaguti

Al mattino si sentì il crepitare di mitraglie. 24 aprile 1945, la storia di quel giorno. E quei ragazzi caduti nell’ultima battaglia É mattina bon’ ora, direbbero i vecchi, nel cortile e sull’aia del vecchio “Stalon” dove abitano i Meglioli e i Subazzoli. La strada bianca di San Bernardino è ingombra di carcasse di camion grigioverde tedeschi.

La fine della guerra è vicina, i tedeschi presi sotto il fuoco dei mezzi alleati

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n carro armato alleato arrivato lungo l’Argine Francone, più alto e in ottima posizione ha tirato la sera prima, all’imbrunire, sui primi mezzi della colonna in fuga li ha mitragliati nella loro confusa ritirata, sconfitti, mentre provano a tornare a casa verso Nord, al di là del Po’. Il carro fa il tirasegno e spara da posizione favorevole: un centro dopo l’altro. I tedeschi sono in trappola e temono un intervento anche degli aerei. Se la pigliano con i civili che vengono fatti sgombrare, lontano dalla strada e dalla colonna massacrata. Al mattino presto ripartono, a piedi.

Con i tedeschi in rotta si innesca l’ultima tragica azione partigiana

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na ambulanza militare tedesca è intatta sotto il portico e intorno si da da fare un gruppetto di partigiani. C’è Malaguti, di casa lì perchè ha sposato Onilde, figlia di uno dei due capifamiglia. Caricano le armi, un fagotto di cibo e discutono il da farsi. Hanno saputo dai compagni di brigata, la 77esima, che a Castelnovo Sotto sono prigionieri dei fascisti quattro o cinque ragazzi combattenti. Si sa che i fascisti italiani servi dei tedeschi, sparano e uccidono per niente. Il mezzo non parte, in tanti lo spingono e in una nuvola di fumo nero comincia l’azione partigiana. A bordo Posacchio Malaguti, giovane con due figli cui i fascisti hanno fucilato il padre due mesi prima, Dimmo Vioni, maturo e posato, Alvaro Simonazzi ragazzo che sente ancora le urla straziate della madre mentre i tedeschi uccidono il cugino, poi Aronne Morellini. Tutti del Carrobbio. Legati dalla volontà di cacciare i fascisti e gli invasori tedeschi e anche di salvare le vittime della ferocia dei tedeschi e della carogneria di certi italiani. Che gusto sadico sparare per uccidere gente che magari conoscevi, gente delle tue parti, mettiti nei panni della famiglia che li aspetta. E i

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San Bernardino di Novellara

Lo “Stallone” a metà di San Bernardino è detto così perchè sotto lo stesso tetto ospitava due grandi stalle governare da due famiglie. Sotto il portico i tedeschi avevano messo l’ambulanza che fu avviata per l’operazione partigiana a Castelnovo

tedeschi, partiti con l’idea di dominare tutti si sentono traditi dagli italiani che da alleati si trasformano in nemici.

Ma chi vuole essere alleato di carogne così?

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osacchio, commissario politico, cioè responsabile dell’opportunità delle azioni tese a liberare il paese da un ventennio di prepotenze e dal giogo dei tedeschi, viene a sapere dal comando, probabilmente dalla sua radio nascosta nella barchessa tra le balle di paglia (come racconta Sergio Subaz zoli) che i fascisti tengono quattro ragazzi prigionieri nella Rocca di Castelnovo. Si può tentare di liberarli, prima di una stupida o feroce vendetta delle carogne. Già più volte era bastato presentarsi con le armi al comando dei brigatisti neri con piglio deciso e ottenere quello che si chiedeva. Potevano essere armi, nei giorni in cui bisognava combattere, potevano servire viveri per i partigiani, derrate alimentari per il popolo affamato dalle ruberie.

Alla ricerca di aiuto, per formare una squadra per l’azione

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erto, non sarebbe stato facile, ma si poteva tentare. Forse Posacchio aveva ancora vivo il dolore per la morte del padre e non voleva che altre famiglie fossero martoriate dallo stesso strazio. Un vecchio di settant’anni fucilato così, per sentirsi gradassi da quattre carogne fasciste che avevano allineato dieci abitanti in piazza a Bagnolo e falciati con raffiche di mitra. Fece un giro, certo in bicicletta per via Pelosa, la Plosa, che partiva dal Carrobbio a cercare compagni per l’azione. Passa da Dimmo Vioni, il sarto maturo e posato che si pensa forse dietro il fumo di una sigaretta penzola. Ha qualche dubbio, ma ha visto da casa sua i tedeschi andarsene verso il Po. Forse si può fare e dice di sì. Malaguti prosegue, pigiando sui pedali sempre sulla via Pelosa. Arriva alla casa dei Simonazzi, trova il giovane Alvaro, più o meno coetaneo. Alvaro ha ancora nelle orecchie lo strazio della madre che urla il suo terrore quando i fascisti della Brigata nera gli fucilano il nipote nell’aia di casa.

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Via Posacchio Malaguti

Via Posacchio Malaguti

Forse anche lui ha un buon motivo per andare a Castelnovo a spianare un mitra nella pancia di brigatisti neri. Più avanti abita Aronne Morellini, anche lui lungo via Pelosa. Ora sono in quattro, e anche se armati solo di armi leggere possono imbastire l’azione. Prima non era possibile: adesso sì, c’è un mezzo per andarci.

Con l’ambulanza tedesca che si è avviata fa il giro verso via Pelosa a caricare i compagni Al tardo mattino del 24 aprile (è un martedì) partono, come abbiamo detto tra un gruppetto di contadini riuniti sotto il portico dello Stallone. Poca gente, solo i rari abitanti tornati a casa dopo le minacce della sera prima. Meglio che nessuno sappia, spie e carogne sono sempre con le orecchie tese. I “cancher” tedeschi viaggiano appiedati in direzione opposta, verso Guastalla e il Po, quindi all’apparenza il viaggio sembra... normale. Primo passaggio a Santa Vittoria; così si può fare la strada sull’argine del Crostolo. Poco battuta e si arriva a Castelnovo Sotto per vie traverse. Ma non è così comune avere una macchina e uno che sappia guidarla... Posacchio aveva imparato sotto le armi. A Santa Vittoria la strada scorre in alto, come al Carrobbio, e nelle case sotto abita, col giovane marito Cisma, una nipote di Posacchio, Wanda. Si fermano e anche in quel borgo in molti escono a vedere.

Passata Santa Vittoria, una strada “bianca” (anche adesso) porta verso Castelnovo. E’ sull’argine del Crostolo

Più avanti, verso Campo Ranieri, abbandona il Crostolo per aggirare la fornace

Passano davanti ai parenti che si sbracciano ma non si fermano: e se il mezzo non riparte?

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l sole è già alto e chi volete che passi in un giorno qualunque. I parenti da lontano si sbracciano, sembrano saluti, ma dall’alto dell’argine non si sente, forse non si capisce. Solo dopo verremo a conoscenza del rammarico di non aver potuto fare di più: volevano avvertire della presenza di un blindato tedesco poco più avanti, dove il Crostolo incrocia il Canalazzo. Il viaggio quindi prosegue sulla la strada sull’argine del Crostolo, verso la rocca di Castelnovo. Alla fornace di San Savino tragica la sorpresa. I tedeschi avevano lasciato un blindato armato di contraerea. Il punto si trova sulla traiettoria tra San Bernardino e il Campovolo di Reggio, già in mano agli alleati. Mossa giusta: la colonna tedesca in ritirata verso il Po ha lasciato lì una copertura antiaerea.

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La strada scende nella pianura, sul piano di campagna


San Bernardino di Novellara San Bernardino di Novellara

Lungo la fornace c’è un muro; quando finisce il mezzo è allo scoperto

E E gira intorno al lago, formatosi per il prelievo di argilla per fabbricare laterizi

proprio in quel momento arriva il gruppetto partigiano. I tedeschi intuiscono che quell’ambulanza tedesca lì non doveva arrivare, e sparano. Niente da fare contro un’arma pesante. I partigiani lasciano il mezzo fermato dai colpi che si blocca e loro scappano a rifugiarsi nella casa contadina che è lì all’angolo. Gli abitanti li scongiurano di andarsene. Sanno che i tedeschi in casi del genere hanno ammazzato tutti. Allora escono, per qualche momento stanno nella cisterna dei liquami delle bestie, ma è impossibile resistere. Si lanciano fuori percorrendo un canaletto protetti dall’argine del fosso.. Ma contro un’arma pesante, destinata al tiro contro i velivoli, non c’è niente da fare. Il tedesco dall’alto segue le sagome e spara. Muoiono Malaguti e Simonazzi, Morellini ferito si trascina via e Vioni alza le braccia, si arrende, sperando di salvare la vita.

Arrivano quei vigliacchi dei fascisti, sono loro che fanno il lavoro sporco... Tra poco c’è la strada provinciale che porta a Castelnovo. Sullo sfondo riappare l’argine del Crostolo

I tedeschi hanno lasciato un blindato che sorveglia i ponti: spara e i proiettili fermano l’ambulanza con i partigiani...

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bbiamo ricostruito così i momenti tragici che seguono. I tedeschi non abbandonano il loro “rifugio” blindato. Forse con la radio avvertono i camerati fascisti, sempre pronti all’odio, che ci sono partigiani da “sistemare”. Sono di stanza nella Rocca di Castelnovo, ora municipio, a pochi minuti di camionetta da Camporanieri. Malaguti, ferito da un proiettile di grosso calibro ad una coscia, non riesce a muoversi. Arrivano i brigatisti neri e lo finiscono a raffiche di mitra: i colpi sono quelli delle armi leggere degli italiani Malaguti è a terra, col capo e le braccia verso Santa Vittoria, verso la via di fuga che non ha potuto raggiungere. Da Castelnovo Sotto, dove hanno la caserma, arrivano i fascisti che, con paura, sparano al ferito a terra. Da lontano, da dietro. Bonetti di San Bernardino racconterà straziato che lui, bambino, era rimasto impressionato dalle scarpe bucate dai proiettili nelle suole. I fascisti sparacchiano, come impazziti di rabbia. Posacchio aveva ben trentacinque fori di proiettile e la giovane Onilde racconta con il magone di averlo dovuto fasciare per

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Via Posacchio Malaguti riporlo nella cassa.Sanno di aver perso contro quegli straccioni di partigiani, per loro, braccianti pezzenti.

Morellini sopravvive sarà lui l’unico testimone

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ercano a lungo Morellini, ma nell’erba alta d’Aprile non lo vedono o forse terrorizzati dall’apparire di qualche drappello di patrioti sono impauriti.  Morellini è scappato dai proiettili rifugiandosi nel tubo. Uscirà piu tardi, calato il silenzio con le unghie sanguinanti e massacrate per aver graffiato le pareti del tubo per uscire dalla trappola. Viviamo anche noi. oggi, i suoi momenti di terrore.

Poi un disperato e tragico tentativo del patriota Carlo Simonazzi

...che provano a rifugiarsi in questa casa. Tentano una sortita nel canaletto a lato, interrotto dal passo carraio verso i campi

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erso la tarda mattinata da San Bernardino parte su una motocarrozzetta abbandonata dai tedeschi, il patriota Carlo Simonazzi. E’ stato lui ad offrirsi al posto di un compagno sposato. Va a cercare i partigiani: Alvaro è suo cugino, gli altri sono tutti Sappisti ben conosciuti. Perchè non tornano? A metà strada i fascisti lo intercettano e lo portano a Castelnovo. Nel silenzio della pianura un motore si sente a chilometri di distanza e gli tendono un’imboscata, probabilmente sempre in via Camporanieri. Pensano che avesse raccolto dai compagni partiti prima le intenzioni sulla strada da fare. I fascisti lasciano i tedeschi al loro presidio a San Savino e tornano in paese con Dimmo Vioni e Carlo Simonazzi. Ma corre voce che i partigiani attaccano al Traghettino e probabilmente sono colti dal terrore.

Sanno di una canzone dei ribelli che canta “dura vendetta sarà del partigian”.

La contraerea spara: muore Simonazzi, Malaguti è gravemente colpito. Poi arrivano i fascisti richiamati dai colpi.

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a Castelnovo sono prigionieri anche i quattro ragazzi che Malaguti, nato qui, sperava di liberare. I fasciti rabbiosi allineano prigionieri e partigiani superstiti contro il muro della rocca e fucilano tutti. Vanno talmente di fretta per scappare lontano che non si avvedono di Iaro Gandolfi. Non hanno neanche il tempo di dare il colpo di grazia a lui vivo sotto il cadavere di un altro. Iaro urla finchè quacuno scavalca il cancello della Rocca e viene a tamponare le sue ferite. Dopo la fuga dei fascisti che abbiamo appena rac-

contato, alla Rocca, arrivano i tedeschi per parlamentare e aprirsi una via di fuga. La delegazione era composta da “Fritz” Crotti, dal segretario comunale del paese e da una

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Dimmo Vioni di San Rocco e Carlo Simonazzi di San Bernardino catturati nell’azione vengono portati in Rocca e fucilati insieme ai tre giovani partigiani già prigionieri.


San Bernardino di Novellara Il cippo che ricorda il giovane Golden. E’ morto a migliaia di chilometri da casa, sacrificando la propria vita per contribuire a liberare l’Italia dai nazisti. A distanza di 74 anni, il Comune di Cadelbosco Sopra gli ha dedicato un parco a perenne ricordo del suo gesto, in segno di devoto ringraziamento. Il 25 aprile 2018 l’amministrazione comunale ha intitolato alla memoria del tenente Edward F. Golden Jr (il nome vero) il parco dietro alle scuole medie, assieme a una targa dedicata ai soldati statunitensi morti a Cadelbosco. La vicenda del tenente Usa è stata riportata a galla da Alessandro Fontanesi, consigliere comunale del paese, componente del direttivo dell’Anpi locale e fresco di laurea in Storia.

La lapide al parco di Castelnovo Sotto. Sono purtroppo sette i partigiani caduti in questo comune.

suora altoatesina che conoscendo il tedesco faceva da interprete. I tedeschi hanno preso l’impegno di sloggiare senza sparare. Cosa non vera, basta seguire i fatti che succedono. Il loro blindato che proteggeva la ritirata a San Savino finisce nel mirino di un carro armato americano che arriva dalla strada per Bagnolo. Per ritardarne l’arrivo un tiratore tedesco spara al giovane carrista che dalla torretta perlustrava l’argine del Canalazzo. Il ragazzo muore centrato in fronte, la colonna motorizzata è rallentata di poco e ai tedeschi non resta che la fuga verso il Brennero.

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Leggere la storia di Guastalla

Ricordando Posacchio Malaguti e Onilde Bandiere rosse alla Liberazione: è caduto in battaglia un eroe partigiano

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perché le pietre sanno parlare

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vevano scaricato il fagotto con un corpo dal pianale di un camioncino venuto dalle parti di San Savino. Un ammasso di terra e di fango e il sangue raggrumato intorno a una serie infinita di ferite che ne avevano straziato le carni. A noi piccoli fecero ancor più impressione le suole delle scarpe bucate dai colpi di mitra. Intorno un cerchio di donne, uomini pochi perché al lavoro nei campi, o ancora partigiani alla macchia o in guerra prigionieri o nei campi di concentramento. Dio sa quanto avevamo pagato il riscatto dal terrore fascista e dalla crudeltà dei tedeschi impazziti. Dal crocchio se ne staccò una che sperava che non fosse vero, che fosse impossibile e con il fazzoletto intriso della saliva dei suoi baci, inumidito dalle sue lacrime cominciò a rivelare il volto ripulendolo dal fango e dal sangue. Era il

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Via Posacchio Malaguti

Su quella strada di ghiaia di San Bernardino sfila nel giorno della Liberazione il funerale di Posacchio. Dirigenti comunisti e partigiani, ancora armati, portano il feretro massacrato da ben 35 proiettili. Bandiere nere, sotto il fascismo quelle rosse erano proibite. Pugni chiusi mentre suonano i Violini di Santa Vittoria.

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San Bernardino di Novellara volto del suo uomo, morto, massacrato nell’ultimo combattimento perché un partigiano non cessa mai la battaglia per la libertà.

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suoi bambini Franco e Rosa erano lì scossi, senza rendersi conto che per l’Italia stava iniziando il cammino della libertà ma per loro era arrivato il tempo della miseria e della malinconia. Meglioli Onilde, laggiù. segue il funerale del suo Posacchio Malaguti. Chiude un corteo di popolo che non dimenticherà quel dolce ragazzo. Ricordandone insieme la tenerezza e il coraggio, e i due anni in sanatorio con i polmoni massacrati da una banda di fascisti che volevano togliere di mezzo una figura che dava “fastidio” alla loro arroganza. E tre anni di carcere duro a Gaeta. Dava fastidio perché parlava ai braccianti e agli onesti con infinita tenerezza e con pazienza raccontava come sarebbe stato il mondo quando “lo avremmo restituito al popolo”.

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re anni di carcere fascista non lo piegarono. Ci riuscì la raffica di tedeschi in rotta, ad un soffio dalla Liberazione. Ma non spense l'eco della sua parola, che echeggiò a lungo nei ricordi, nell'amarezza di non sentire più quel ragazzo con gli occhi dolci e malinconici. Al suo funerale, il primo con rito civile di tutta la provincia, pugni alzati e armi a tracolla. E un silenzio dolce e malinconico su quella strada di S. Bernardino. Bandiere nere nel giorno della Liberazione.

Oggi riposano vicini. Una falcemartello luccica sulla loro lapide rossa.

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Via Posacchio Malaguti

Al cimitero di San Bernardino una raffica di mitra salutò la fine di una voce tenera Un funerale a San Bernardino partiva dall’abitazione del defunto e si fermava in chiesa o davanti alla vecchia cooperativa, a seconda delle idee che praticava lo scomparso. Qualche rara volta tutte e due. Poi qualche centinaio di metri su una strada stretta, un po’ sbilenca con la banda che, se c’era, si ispirava al paesaggio e ai ricordi. Davanti alla coop attaccava qualche volta “Bandiera rossa”, quella che i vecchi canticchiavano con uno zoppicante …vanti poppolo, e al passaggio del ponte sul canale era inevitabile il “Fiume amaro”. Poca gente, ormai la frazione ha le case con le parabole degli extracomunitari, e al passaggio escono sulle aie solo bei bambini dagli occhi neri e fiammeggianti come carboni. Tanti, pochi sanbernardinesi, mondo che cambia. Ma non c’era niente di nuovo da anni, perché arrivati al cimitero lo si trovava abbandonato, disadorno. Il muro chiazzato di umidità come una carta geografica, percorsi tra le aiuole come fossi e il frontone che non vedeva vernice fin dal dopoguerra. Lapidi vecchie, marmo opaco dal tempo, croci sbiadite e un paio di

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falcemartello vicine. Ma sì. I nostri vecchi che avevano patito la fatica e la fame erano abituati alla malinconia, all’essere dimenticati, sfruttati tutta la vita, chi vuoi che si ricordasse, ma và… Poi un il vento della dignità percorre di ricordo anche i nostri ragazzi: sanno di vivere nel posto più solidale del mondo fatto da quelli lì, donne col fazzoletto sul capo e uomini con i baffoni e il cappello in testa, nella bella foto del giorno di festa. E bisogna provvedere: una mano di giallo sole, ampio e luminoso, gli autobloccanti nei vialetti e le aiuole definite. Il Sindaco che aveva pensato questa rinascita le prende pure sù, ma il lavoro della Sabar riporta tutto alla dignità. Come si deve, a questi contadini tenaci, a queste braccianti chine sulla zappa a spaccarsi la schiena, ai partigiani che sul marmo e nella memoria hanno scolpito “Martire della libertà”. Grazie Raul, per questa mano di vernice, come una “mano di bianco” sulla faccia di quegli imbecilli che non pensano che chi dimentica la storia è destinato a ripeterla.


San Bernardino di Novellara

La famiglia Malaguti, 17 anni di galera fascista, 6 di confino e due uomini caduti nella Resistenza Tutta la famiglia Malaguti è stata fin da subito di spirito antifascista, fin dagli anni ’20. Basta scorrere l’elenco dei loro nomi per capire di che stazza erano. Senza lavoro perché ostili al fascio si erano inventati un briciolo di sopravvivenza con mestieri di risulta. Ecco come si chiamavano i figli del vecchio Primo Malaguti e di Pederzoli Luigia. Maino Oddino Guesde Reclus Odessa Velia Omne Posacchio Jaures, morto in fasce Se la cavavano a malapena e, come dimostra l’etimologia dei nomi, era una famiglia di incrollabile fede socialista. Più o meno i nomi rieccheggiano vicende di socialismo e pace. A sorpresa la spinta più forte alla tenacia della lotta dei figli veniva dalla loro madre. Ma facciamo un passo indietro ai ricordi di mio padre. Aiutava lo zio Reclus nella caccia alle talpe. Al tempo per l’autarchia andavano (forse non c’era altro!!) le pellicce di talpa e Posacchio aveva sviluppato un buon fiuto per catturarle. L’animale scava una galleria sotto terra in cui cadono le larve. Torna indietro una sola volta perché ripercorrerla sarebbe inutile. Posacchio sapeva capire il passaggio e catturare più animali di altri. Oltre alle pelli ricavava qualche po’ di cibo dal contadino che si vedeva liberato il campo dai danni delle gallerie. Le trappole restarono a lungo, dopo la guerra e dopo la scomparsa di mio padre, nel sottoscala della sua ultima casa a San Bernardino di Novellara. Anni trenta, cominciano le prepotenze. Nel ’33 la squadra fascista lo attacca a bastonate spaccandogli i polmoni. Per cercare di guarire dalla tubercolosi rimase per due anni a Sondalo, al sanatorio appena inaugurato, Arriva all’età di leva, del servizio militare. Tutta la famiglia è perseguitata, messa ai margini se non al bando. Nessuno affida più la terra da coltivare al vecchio Primo, nonostante la sua fama di accurato “livellatore” (spianava la terra per le risaie affinché non si formassero pozze nocive allo sviluppo delle piante). Sono comunisti, neanche battezzati... E se non ti danno la terra da coltivare non ti spetta una casa.

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Via Posacchio Malaguti

Una pianura piatta dove si alzano solo i toni di una battaglia contro il fascismo crudele: A febbraio fucilano suo padre (con altri 9)

Primo Malaguti, nome di battaglia Bukov, e sua moglie Luigia Pederzoli: il sorriso amaro nella fotografia. Il pensiero va a suo marito e al suo ragazzo piu giuvane, con i nomi sulle infinite lapidi nel campanone in piazza.

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San Bernardino di Novellara Una dura lezione gli arriva comunque. Il 14 febbraio del ’45 i fascisti prelevano dalla sua baracca il vecchio Primo Malaguti e lo fucilano con altri nove antifascisti in piazza a Bagnolo, ai piedi del Torrazzo.

Due foto di oggi in cui giovani attori hanno rievocato il 14 febbraio del ‘45, Bravissimi, hanno emozionato.

Come abitazione rimediano una baracca di legno dismessa dai lavori della ferrovia. A Bagnolo, vicina al cimitero. Per sopravvivere Posacchio fa un altro mestiere, assimilabile oggi ai giostrai e tipico degli avventizi: era il montare nella stagione estiva il cosiddetto “Festival”, una sorta di tendone con paratie intorno per impedire alla gente di vedere l’interno, una pedana per ballare e panche addossate alla parete. Durante una “trasferta” montano il tendone a San Bernardino. A detta di mia madre, Leonilde, non era un gran ballerino, il che non impedì ai due giovani di innamorarsi senza però potersi sposare. Così come tanti contadini e braccianti ballavano una sera del ’39 alla casa del Popolo di San Bernardino. Irrompono gli squadristi sberlonando tutti e con urla e strepiti impongono agli impauriti suonatori di piantarla lì, l’agrario li vuole svegli al lavoro già dalle prime luci. Solo uno, Posacchio, con voce ferma dice di riprendere la musica. “Io finisco questo ballo!” Un vecchio contadino mi disse che ricordava con ammirazione l’episodio e anche la canzone che suonavano. Era ‘Perfidia’ e ancora oggi quando ascolto questo brano intramontabile ho il volto rigato di lacrime…Pagò con una condanna del tribunale speciale a cinque anni di carcere militare perché era di leva. Motivazione “figlio di comunisti”.. Leonilde era incinta, erano i primi mesi del 1939 e nell’ottobre nasce la piccola Rosa. Posacchio sconta la condanna nel carcere militare a Gaeta. Nel ’42 chiede una licenza per sposarsi, viene concessa per buona condotta, e con Leonilde passano la prima notte di nozze col carabiniere appostato giù dalla scala per impedire la fuga del sovversivo. Così nel febbraio del ’43 nasce Franco. Dopo l’8 settembre comincia la lotta di un gruppetto di giovani dei dintorni inquadrati più tardi nella 77sima brigata Gap di Castelnovo sotto (distante da casa sua a San Bernardino e dal grosso della sua famiglia). Il tutto per non esporre se e i Malaguti a ritorsioni rischiose. Una dura lezione arriva comunque. la raccontiamo qui accanto La foto sdrucita di Posacchio, (l’unica) nella prigione fascista in Puglia: campo Prigionieri di Guerra 85.

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Via Posacchio Malaguti

Perché questo nome: Posacchio, stringe nel forte Pozzacchio, al fianco il “Morein” la carneficina del ‘16 oggi sposa felice

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pochi chilometri da Rovereto, su un cucuzzolo di roccia gli austriaci costruirono l’imprendibile forte Pozak, poi abbandonato sotto l’incalzare dell’offensiva italiana. A Valmorbia, sul fronte era di sentinella Eugenio Montale, che ricorda in questa poesia il cannoneggiamento incessante. «Le notti chiare erano tutte un’alba e portavano volpi alla mia grotta. Valmorbia, un nome, e ora nella scialba memoria, terra dove non annotta». La conquista della postazione, con il forte non ancora ultimato, fu un massacro. In una sola notte del 1916 morirono oltre mille uomini tra italiani e austriaci, i cui resti sono simbolicamente raccolti nell’altare-ossario in pietra innalzato davanti al forte, oggi visitabile e con il nome italianizzato.

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reduci e i soldati in licenza narrarono dello spaventoso massacro, delle decimazioni che ne seguirono e una famiglia di contadini della bassa reggiana, i Malaguti, onorò con il nome del forte l’ultimo figlio venuto al mondo nel 1916 chiamandolo Posacchio. Tutti i loro figli portavano nomi ispirati alle grandi figure del movimento operaio e della scienza.

Forte Pozak, di cui raccontiamo la storia qui sopra. Sotto: firma di Posacchio per una commemorazione.

Il forte Pozak nel 1916

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a fotografia era nel cassetto, spiegazzata e consumata proprio nel volto di Posacchio: scattata nel 1942 ritrae due giovani il giorno del matrimonio, in un raro sorriso sotto il tallone fascista. Tre anni dopo questo sogno si spezza, drammatico il costo della libertà, e Posacchio Malaguti muore in combattimento. Uno scontro con i tedeschi in fuga, in quel giorno della Liberazione che la giovane sposa Meglioli Onilde sperava fosse l’ultimo di guerra, per riaverlo accanto. E’ morta nel 2008: solo ora sono insieme, nella pace del cimitero di San Bernardino.

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a pace per cui il suo ragazzo era caduto, ricordato da tutti. Rosa e Franco, i figli, ne rievocano l’infinita generosità, la tenerezza e il coraggio ai giovani di oggi che vogliono conoscere le radici di questa terra meravigliosa.

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San Bernardino di Novellara

Parlano i figli del partigiano: “dal 25 aprile 1945 l’Italia è libera comincia la nostra vita senza padre”

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osa racconta. I miei primi ricordi cominciano che avevo 5 anni, quel tragico giorno del 24 aprile 1945 quando vidi arrivare un camion ed entrare a marcia indietro nel cortile della nostra casa, un cucinino e una camera da letto al Carrobbio di San Bernardino. Mi sembrava un camion grande che forse non lo era, ma io lo ricordo così. Una vicina di casa, Nelli, intuì il dramma e prese in braccio me e mio fratello di due anni capendo che stava succedendo una grande tragedia. Mi sono girata e ho visto gli uomini che scaricavano dal camion un uomo tutto sanguinante. Io non mi resi conto bene cosa succedeva. Poi sentì mia madre urlare di dolore e capii che era mio padre ucciso dai tedeschi. Lo ricordo nella cassa: lui che era così bello non sembrava lui, tanto era tutto fasciato con bende.

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l suo funerale c’era tanta gente, ricordo i suoi compagni partigiani che avevano il fucile che poi in cimitero hanno sparato in aria, c’erano i violini che suonavano e io e mio fratello siamo stati messi in piedi sulla cassa.

La lapide a Bagnolo che ricorda Posacchio bagnolese tra i caduti in combattimento. Sotto il diploma di medaglia garibaldina con la foto che riproduciamo, leggibile, qui sopra.

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Via Posacchio Malaguti

Con infinita gratitudine i democratici avevano ricordato i patrioti anche per San Bernardino e avevano diffuso questa stampa nei giorni successivi alla Liberazione.

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San Bernardino di Novellara

L’aveva conservata Alfa Manguzzi (trovate qui sopra la sua foto) e settant’anni dopo il Comune di Novellara l’ha ristampata, con lodevole iniziativa dell’assessore Marco Battini.

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Via Posacchio Malaguti

LA PATTUGLIA DEL CORAGGIO Posacchio Malaguti, il partigiano Silvio

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veva fatto dell’arrangiarsi una regola nella vita personale, privata. La famiglia con un’impronta democratica, dettata molto dalla madre, le aveva dovute subire tutte. Quando per amore della sua Onilde si stabilì al Carrobbio, gli toccò, ultimo degli ultimi, la ex stalla della dogana dei secoli passati. Mura esposte, uno spazio in solaio dove chinato per il soffitto basso conciava le pelli per arrangiarsi a mantenere la famiglia. La piccola cucina ridotta ancora con un tramezzo, per trattenere il poco caldo in quelle invernate umide della bassa. Poi il carcere, l’attività partigiana, lo stare sempre in guardia dagli attacchi fascisti. La sua giovane sposa, al Morin, lo aspettò sempre.

Riuniti in una fotografia impossibile: la famiglia con Posacchio, Franco e Rosa e Onilde. Non sorride nessuno, era già tanto tirare avanti: ci ha messi insieme con la pazienza che c’era una volta e l’affetto di sempre Canzio Bonetti, fotografo a San Bernardino nel dopoguerra. Emigrato come tanti lo ritrovammo per abbracciarlo a Torino. Qui al Carrobbio arrivava per cacciare talpe anche il partigiano Reclus, il fratello, nella fotografia a destra. E già che c’era partecipò a un paio di azioni partigiane a San Rocco. Poi fu spedito a comandare un drappello sulle Alpi apuane dove c’era da sistemare una deriva poco popolare che avevano imboccato i partigiani del luogo. Il padre fu fucilato come abbiamo raccontato dai fascisti di Bagnolo e la madre che non sopravvisse allo strazio, morì di crepacuore nel primo dopoguerra.

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San Bernardino di Novellara

Dimmo Vioni, il tranquillo sarto del Carrobbio

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almo, maturo, posato, con l’eterna sigaretta penzola (quando poteva mandare qualche ragazzo dalla “palteina” sull’ “elta dal Carobi”). La bottega di sarto nella ormai mitica via Pelosa, frequentata da clienti di ogni tipo e da ogni direzione, che gli permise di giudicare con la sua ragionevolezza le malefatte del fascismo. Grande e robusto, quindi sicuro di sé non si sottrasse alla chiamata per una azione giusta e generosa. Qui in un ricordo felice del 17 agosto del 1940, al Lido Po a Guastalla. Si intravvede sul fondo il ponte di barche che ora non c’è più, sostituito dal ponte “vero”. Era la spiaggia con il fiume pulito e pescoso dell’anteguerra. Per la mole e la personalità è lui che fa il forzuto sostenendo tutta la famiglia.

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Via Posacchio Malaguti

LA PATTUGLIA DEL CORAGGIO

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San Rocco c’è una via Arvedo e Alvaro Simonzzi: nel ricordo sono messi insieme e lo facciamo anche noi, scrivendo del loro senso di giustizia che doveva proprio venire da dentro, insopprimibile fino al sacrificio. Sempre nei dintorni della Via Pelosa andò così. Arvedo, in bella divisa dell’areonautica dove aveva prestato servizio, va a trovare una cugina, in una casa di latitanza dove erano nascosti due alla macchia. Le staffette avvertono dell’arrivo delle brigate nere e i due nascosti fuggono nei campi. Arvedo affronta i brigatisti, forse pensa “tanto io sono a casa mia”. Ma i fascisti andavano lì e cercavano un partigiano. Sicuri che fosse lui gli sparano in un angolo. Era il 29 dicembre del 1944 Quattro mesi dopo il cugino Alvaro si unisce al gruppo che va a Castelnovo Sotto. Qui trova la morte come raccontiamo.

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Alvaro Simonazzi

Ricordando Arvedo Simonazzi


San Bernardino di Novellara

C’era anche Aronne Morellini

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nche lui partigiano della Via Pelosa, tant’è che Posacchio che era l’unico che sapeva guidare, dopo la partenza da San Bernardino passò da una strada dietro la chiesa per andare a raccogliere i componenti del gruppo. Vioni a lato del guidatore, Alvaro dietro con la mitragliarice e Aronne che mitra alla mano teneva gli occhi aperti, dietro sul cassone. Quando la contraerea tedesca cominciò a sparare Morellini fu colpito dai grossi proiettili alla spalla ma fu lesto a gettarsi nel fosso e passare nel canaletto. Qualcuno raccontò delle sue unghie strappate nello sforzo di spingersi fuori da quella trappola. Forse il corpo di uno dei compagni e il sangue che scorreva nel rivolo d’acqua del canale lo nascosero alla fretta dei fasciti. Ne avevano combinate troppe, temevano giustamente la “dura vendetta sarà del partigian” come dice il verso di una canzone della Resistenza.

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ell’elenco dei combattenti che riporta L’ANPI Aronne è ricordato come “partigiano ferito”. Forse la ferita che sanguinò di più, nel cuore, era il pensiero dei compagni morti in quella maledetta sfortuna che spense un grande gesto di altruismo e di coraggio. Non volle più parlarne.

Al funerale a San Rocco una raffica al cielo: picchetto d’onore degli alleati ai nostri caduti

Al cimitero di San Rocco si radunò una gran folla. Dolore e strazio si andavano a sommare per i patrioti già caduti nelle lotte antifasciste. Anche i soldati alleati della zona appena liberata fecero ala nel viale del cimitero sparando in aria una raffica in onore dei combattenti dell’esercito del popolo. Tempo dopo una lapide riunì nel ricordo Dimmo, Alvaro e Arvedo.

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Via Posacchio Malaguti

I ragazzi del Carrobbio, nati con la guerra e temprati dalla miseria: l’amarcord di una grande scuola di onestà

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a nostalgia di “Carrobbio”, dove abitava Posacchio col l’Onilde ogni tanto si fa sentire, si fa per dire. Quando si manifesta, confonde ancora la mente a coloro che vi sono nati e cresciuti, o hanno abitato dentro la comunità del Carrobbio, Affiorano i ricordi di una ciurma spensierata di ragazzacci e il suo originale tirare avanti. L’effetto “amarcord” ha il potere di far dimenticare le brutture di una miseria subita e sopportata a lungo, come se il tutto fosse un regalo mandato da qualcuno da molto lontano, un dono per compensare tutto ciò che abbiamo sopportato e per poterlo raccontare oggi col sorriso sulle labbra, anche dopo tanti anni. Orgogliosi d’averci vissuto inconsciamente ma con dignità, in casupole malsane, in ambienti stretti, pigiati come sardine, in promiscuità, senz’acqua, senza corrente elettrica, poca legna per riscaldarci, tirando spesso la cinghia dei pantaloni perché all’interno della madia c’erano solamente dei tarli con il vuoto intorno.

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olitamente il pozzo per attingere l’acqua potabile con carrucola, catenella e il secchio, erano nel mezzo del cortile, a cielo aperto, o di fianco al portico della stalla. Il cesso, ancora più lontano, dietro le case come un monumento circondato dalle ortiche, dal mucchio di cocci di vetro e dai rottami di fil di ferro arrugginito. Un cesso e un pozzo di solito servivano per tutto il borgo. Il buio della notte era illuminato a malapena dallo sfarfallio della fiamma, di una lanterna ad olio o di una lucerna a petrolio che formava ombre deformi sull’intonaco sgretolato di pareti che al giorno d’oggi spaventerebbero chiunque.

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’inverno al mattino ci svegliavamo con le pareti decorate di brina e con delle stalattiti di ghiaccio lunghe una spanna sui bordi delle imposte. Nonostante tutto, coricati nel letto, non sentivamo eccessivamente il freddo, avvantaggiati sicuramente dall’età ma soprattutto dal cuscino, (pisota), in fondo ai piedi pieno di penna d’oca, dal materasso d’involucri di mais (pajon) e dalle fodere colme di penna di gallina che ci permettevano di sprofondare in una cuccia come dentro ad un uovo protetto dal guscio. D’estate la notte quando imperversava un temporale con tuoni e lampi ci svegliavamo improvvisamente con un sussulto (spaj). Si restava un po’ attoniti in

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San Bernardino di Novellara

Al Carrobbio l’unica occupazione era sopravvivere. Il paesaggio non c’era perché quando aprivi una finestra vedevi l’argine, non il cielo

ascolto per calcolare il tempo intercorso tra la luce del lampo e il tuono, per misurare la distanza del fulmine, poi incominciava a sentirsi la pioggia battente sulle lamiere ondulate che coprivano il pollaio o il ricovero degli attrezzi (bas servési), con un suono più forte di quanto si faceva pisciando in piedi dentro il pitale sorretto col braccio disteso. Ci si assopiva poi piano piano, pensando come riuscisse la nonna senza inciampare a correre nel cortile al buio, per scongiurare il temporale formando una croce con dei rametti di legno. Con un soffio si spegneva poi il lume e prima che si perdesse l’odore del fumo dello stoppino avevamo gia ripreso il sonno interrotto.

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l mitico Carrobbio nonostante sia un incrocio di due strade su un piccolo dosso visibile da chi arriva da San Bernardino o da San Rocco, lo abbiamo sempre chiamato con orgoglio “L’elta dal Carobi” come se fosse una montagnola. L’incrocio delle strade segna anche i confini d’altrettanti Comuni dove ognuno esige il rispetto delle leggi e consuetudini del territorio degli altri. Due negozi erano situati a trenta metri di distanza uno di fronte all’altro divisi da una strada, uno in territorio sanbernardinese dove in vernacolo locale dicevano che “du maron”, l’altro sanrocchese dove ripetevano che “do bali” per dire la stessa cosa. Nessun Comune si è assunto la facoltà di istituire le scuole elementari al Carrobbio, nonostante il numero dei ragazzi fosse stato sufficiente all’epoca, la motivazione precisa non l’abbiamo mai saputa, immaginata, sì.

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a mancanza di scuole però non ha impedito ai residenti d’imparare una quantità di mestieri. La scuola più famosa in assoluto, è stata quella dell’onestà, dei galantuomini sia per le donne che per gli uomini con degli esempi di solidarietà ed esempi sempre suggeriti dal buon senso. Non era raro né una novità a quei tempi vedere le nostre donne entrare ed uscire liberamente dalle porte dei vicini con un fazzoletto nero sui capelli che copriva la fronte fino all’altezza degli occhi con avvolto in un tovagliolo o in un piatto un poco di qualcosa preso in prestito a ‘buon rendere’.

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gni persona di testa sua ha imparato ugualmente a fare il bracciante, il contadino, il fruttivendolo, il commerciante, lo straccivendolo, l’ambulante, il falegname, il meccanico, il casaro, a raccontare bugie, a mandare certa gente a dare via il deretano, ad arrangiarsi con o senza lucro anche se certi furtarelli erano commessi per ragioni di sopravvivenza. Sergio Subazzoli

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Via Posacchio Malaguti

La guerra è finita, continuano il ricordo e la solidarietà. Posacchio era tenero e gli volevano bene Quell’urlo di dolore di quel giorno tornava tutte le notti. Per anni, per decenni...

A luglio la mamma lavorava alla “macchina”, la trebbiatrice: un privilegio e la sera mangiavamo il prosciutto

La notte nostra madre urlava: si svegliava di quell’urlo straziante, lo stesso di quando corse a stringere quell’ammasso di terra e di sangue che era il suo uomo. Aveva gli incubi e dovevamo sempre svegliarla: solo quando accendevamo la luce e si rendeva conto che era uno spaventoso ricordo, allora si calmava. Si sentiva il suo cuore battere forte e gli occhi a cercare alla luce il conforto dei suoi piccoli. Durò anni questo incubo, durò decenni a straziarla di pena, povera madre.

Rosa ricorda e se potesse vorrebbe ringraziare i contadini della Riviera (ora non ci sarà più nessuno): “al mese di Luglio per noi era il periodo più bello perchè la mamma andava a fare la campagna della trebbiatura del grano insieme con i macchinisti. Era tradizione che per festeggiare il raccolto gli operai che maneggiavano la grande trebbiatrice rimanevano a mangiare dai contadini. Lei no, aveva a casa due bambini, spesso affamati: portava a casa la cena e così noi mangiavamo il prosciutto crudo. Per noi era una cosa così buona che non ci potevamo permettere. Scartocciava con un raro sorriso”.

Oggi sono tutti sorridenti, è giorno di trebbiatura. Col raccolto al sicuro i contadini fanno festa e i bambini ridono. Oggi si mangia. Ma guardate: rare le scarpe nella fotografia... Nella foto a destra provate a contare quanti bambini avevano scarpe o sandali!

I piatti di alluminio rimediati dal padre nel servizio militare. D’inverno zoccoli di legno e d’estate a piedi nudi

La sorella Ida (la più vecchia e sposata a un Manguzzi) arriva con le tre figlie già grandi a trovarci. Un giorno di coccole per noi piccoli.

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Io e la Rosa mangiavamo in piatti di alluminio portati da nostro padre dal servizio militare. Come calzature portavamo d’inverno gli zoccoli con suola di legno, sicura condanna ai geloni. D’estate a piedi nudi attenti nei campi ad evitare gli sprocchi dell’erba dopo la falciatura: facevano male e il colpo d’occhio ci spingeva a camminare per strada là dove la ghiaia si era frantumata al passaggio dei rari veicoli ed era meno tagliente per le palme.


San Bernardino di Novellara Due ragazzi semplici e decisi portano due sacchi di grano per sfamare la famiglia del compagno caduto Franco ricorda. Capitò un fatto sconvolgente. Bellissimo. Si fermò nello spiazzo davanti a casa un camioncino di quelli col muso allungato e il pianale dietro. Scendono due uomini, a me parevano grandi e ricordo bene solo le scarpe con le stringhe strette e i pantaloni alla “zuava”. Mi chiedono: dove abitano i Malaguti e ovviamente io indico “là”. “Tu chi sei?” “Io sono Franco, figlio di Posacchio” Bussano e allora io dico che mia madre non c’è, è in Riviera a lavorare. “non c’è nessuno che può aprire?” “sicuro, entro io”. Ero così esile che passavo tra l’inferriata. Entro, apro il catenaccio e li faccio venire dentro. Si mettono subito al lavoro, sgombrando una parte di sottoscala. Qualche ceppo di legno a terra e scaricano dal camioncino due sacchi di grano. Esco per la stessa strada da cui ero entrato, mi richiudo dietro la porta e mi ripresento al camioncino. Uno dei due uomini aveva già avviato il motore, l’altro mi prese in braccio stampandomi un bacio su una guancia.“dì alla mamma che sono passati i compagni di Posacchio a salutarla”.

In colonia, da qualche parte sulla riviera romagnola. Le colonie avanzate dal fascismo, che se ne faceva un vanto, facevano parte del progetto del fascio “libro e moschetto fascista perfetto”. Certo che da due così non ci sarebbe stato tanto da cavare!

Con quel grano mangiammo, finalmente: trotterellavo felice verso il forno con la latta della conserva sottobraccio con dentro la misura di grano. Tornavo sorridente a casa sgranocchiando un cornetto di pane. Finalmente anche noi avevamo il pane bianco, come mille volte aveva raccontato Posacchio ai braccianti del borgo, che sarebbe successo a tutti perché nessuno più sarebbe stato povero.

Piccola e brutta, zitella e cattiva, quindi fascista: ritratto della carogna maestra dell’asilo Scendeva le scale vestita di nero, le labbra piegate all’ingiù che ormai avevano preso lo stampo e non si sarebbero mai più distese in un sorriso per lei impossibile. Interpretava perfettamente il regime triste che allora imperava: mezze calzette che dietro un potere prepotente si atteggiavano dalla parte del padrone fino al midollo, quel poco che avevano. Poi è andata in pensione ed è arrivata la ragazza che vedete. Questo è l’asilo di San Bernardino, tra i bambini c’è Franco figlio di Posacchio.

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Via Posacchio Malaguti 25 aprile 1945 Orgoglio e semplicità e tanto coraggio È la vittoria degli “straccioni” contro i prepotenti Stanno in fila, ma non

troppo. Guardano chi arriva e cosa succede in piazza davanti alla Ghiara a Reggio, alla sfilata del giorno della Liberazione. Però ordinati e disciplinati attendono i discorsi dei capi. Non hanno divise, il loro non era certo un esercito pagato e regolare. Basta vedere cosa hanno in testa: non ci sono cappelli uguali. Giacchette strette di mode d’altri tempi. La scarpe non si vedono, si possono immaginare, tutte più o meno scalcagnate. Coloriti e fisionomie diverse dei tanti popoli spinti qui dalla ferocia dei tedeschi. Davanti alle fila le due mitragliatrici e rare armi di battaglia. La cassetta di munizioni lì accanto. E una ragazza tra loro con i pantaloni da uomo. C’è una bandiera, là in fondo. Ecco l’esercito di patrioti che ha riconsegnato l’Italia al popolo. Volti mesti e affaticati: lasciateci tornare ai nostri campi e alle nostre officine. Ora c’è da ricostruire, dar da mangiare ai figli, nutrirli e farli studiare. Tutto quello che non abbiamo potuto fare noi lo faranno loro. Era ora, perdio!!!

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La vita raccontata da una vecchia bracciante. Ecco la

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desso è tutto a posto, o quasi. Ma io torno indietro. A quel maledetto dopoguerra, che c’era ancora tanta fame. Le strade con i buchi che dovevi fare deviazioni rapide per schivare le pozze e non bagnarti se andavi in bicicletta. E se no con cosa andavi, che i matrimoni contavano le macchine al seguito per vedere quanto gli sposi stavano bene…

S

posi, quali sposi, che se eri fortunata sposavi un bravo ragazzo e che l’amore era una cosa sui fotoromanzi. Ma col matrimonio in chiesa. Già. La chiesa con quei santi ad occhi sgranati verso un cielo di niente. Io i miei ragazzi li portavo al 25 aprile, che si partiva presto con le macchine per un giro lunghissimo

nelle campagne, che si finiva quasi all’ora di mangiare. Gli facevo vedere le facce tristi e malinconiche, di quei santi della libertà con addosso vent’anni di fame e prepotenze, facce spente anche se tanti erano ragazzi. E noi donne zitte, a subire di tutto… E a votare solo dopo tanti anni dopo quei morti. Zitte, tutte a mangiare in piedi accanto alla stufa solo dopo aver servito gli uomini di casa.

É

finita… Ora tutti i bambini vanno all’asilo e noi nonne siamo felici quando li vediamo sgambettare sul palco del teatro, felici che hanno giochi e merendine e le maestre degli asili così brave che noi non avevamo. E la casa tua, o comprata o popolare. Ma tua,


San Bernardino di Novellara

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storia del dopoguerra visto da Ida Lusetti, di Novellara comoda ed accogliente e Tonino alto e ben vestito faceva bella figura e noi orgogliosi di lui quando consegnava le chiavi delle case per chi non se la cavava bene.

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oi vennero le macchine e non stavamo più sotto il sole a zappare dieci ore. E il lavoro sotto casa, nei laboratori e nei capannoni. E le comodità che adesso è bello andare a mangiare la pizza tutte insieme a ricordare.

E

finita la guerra, abbiamo contato gli uomini morti, abbiamo preso il loro posto al lavoro e a tirare su i figli. Poi mille riunioni con l’Udi, l’unione donne italiane, che adesso non c’è più, e col sindacato e col partito.

E noi finalmente libere di parlare venivamo ascoltate. Per costruire questo progresso. Era ora….

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ra ci basta sapere di tutto questo andare avanti.

A me, piace che adesso abbiamo un sindaco ragazza, con un bel sorriso, che ricorda i nostri sacrifici. Così forse basta un fiore rosso nel verde della pianura a ricordare la gloria di noi vecchi che vi lasciamo in eredità il posto migliore per vivere.

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desso tutto è a posto, e una bella canzone ricorderà il coraggio di quegli occhi malinconici. Ascoltate il vento della libertà quando canta, soffia sempre a primavera…

Bella foto di qualche anno fa con Tonino (Antonio Mariani Cerati) il sindaco per cinque legislature. La moglie Edda Ferretti gli parla con tenerezza. E accanto la staffetta Gina Salati e la partigiana Dilva Daoli.

Ogni anno c’è il giro dei tanti cippi partigiani

Elena Carletti, la ragazza sindaco col sorriso, ogni 25 aprile ricorda in piazza la Resistenza dopo un giro dei cippi “tragicamente infinito”.

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Via Posacchio Malaguti Flavia, pronipote di Malaguti, posa accanto alla lapide. Il marmo spezzato da vandali è stato poi recuperato da Fabio Montanari, castelnovese. Poi rimontata e completata con il lavoro di Sidraco Codeluppi e Germano Righi nel parco attorno al lago come suggerito da Roberta Mori, sindaco del tempo

Sorgeva quel 25 aprile una luce nuova nei rapporti umani nel nostro Paese

Ăˆ la Resistenza, radiosa e luminosa, verso la libertĂ


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