Luglio 2013 n° 3 - Cronache della Resistenza

Luglio 2013 - Numero 3

Cronache della Resistenza

25 luglio 1943 - 25 luglio 2013:

70 anni dalla caduta del fascismo di Carlo Sarpieri Il prossimo 25 luglio ricorrerà il 70° anniversario della caduta del fascismo e sarà la prima di una lunga serie di ricorrenze che ci accompagneranno lungo il 2014 fino al 25 Aprile del 2015 quando celebreremo il 70° della liberazione. Avremo quindi molte occasioni per rinsaldare il nostro legame con la vicenda storica della Resistenza e per tenere alto il valore della memoria come strumento fondamentale per rafforzare l’identità delle nostre comunità locali e nazionale.

Il 25 luglio 1943 segna il giorno in cui il regime fascista è crollato con le dimissioni di Benito Mussolini da Capo del Governo, un atto che ha certificato la fine ed il fallimento di un’esperienza politica che aveva portato l’Italia dentro ad una tragica avventura pagata con il disastro economico, l’isolamento internazionale e, soprattutto, con la vita di migliaia di giovani mandati a morire nelle guerre imperiali prima e per l’alleanza sciagurata con la Germania di Hitler poi. Un’esperienza politica contrassegnata dalla violenza contro gli

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oppositori, dalle leggi razziali e dalla negazione dei diritti fondamentali dell’uomo.

Fin dalla sua nascita il partito fascista, usando parole d’ordine populiste e pseudo rivoluzionarie, ha fatto dell’antipolitica il suo cavallo di battaglia strumentalizzando la grave crisi economica con i suoi pesanti riflessi sulla condizione di un popolo deluso e stremato dalla prima guerra mondiale. Esso non avrebbe avuto nessuna prospettiva di successo se, ad un certo punto, non fosse stato sostenuto e finanziato dai ceti dominanti del tempo (agrari ed industriali) e tollerato dalla monarchia connivente con il disegno politico che si proponeva l’obiettivo di dare un colpo definitivo alle aspirazioni ed alla crescita del movimento operaio e contadino e delle loro organizzazioni sociali e politiche.

Questo è il giudizio storico da cui si deve partire e che vogliamo ricordare a coloro che ancora oggi si attardano a segmentare la storia in più parti per cercare di dimostrare il presunto lato buono del fa-

scismo. In realtà, tutto ciò che oggi si vuol presentare come la parte buona del fascismo altro non era che una gigantesca macchina del consenso che, in ogni forma artistica e culturale ed in ogni aspetto dell’organizzazione sociale, si proponeva lo scopo di sostenere e far accettare la politica repressiva e guerrafondaia del regime. Questa operazione politica ha retto per molti anni fino a quando le contraddizioni sempre più ingovernabili derivanti dalle sconfitte militari, da una crisi economica sempre più grave, da una corruzione dilagante e da un’opposizione che clandestinamente riusciva a sviluppare un’azione sempre più forte di contrasto e di dissenso politico, tutto questo ha portato all’atto delle dimissioni di Mussolini. Esse dunque non furono il frutto di una congiura di palazzo, come si è spesso voluto far credere, bensì l’effetto del fallimento politico del partito fascista.

Proprio nel momento in cui noi celebriamo il 70° anniversario della caduta del fascismo, per una coincidenza che io considero fortunata, sul territorio della nostra Provincia si stanno svolgendo varie iniziative che, nel contesto del progetto europeo denominato ATRIUM, danno conto delle modalità e degli strumenti che il regime fascista utilizzava per puntare alla conquista del massimo consenso popolare utilizzando, a questo scopo, tutte le espressioni artistiche, l’uso dei beni culturali, le attività formative, l’informazione e la comunicazione di massa secondo un moderno ed efficace disegno unitario volto alla fascistizzazione della società.

Le iniziative proposte dai Comuni di Forlì, Predappio e Ca-

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Cronache della Resistenza strocaro, hanno sollevato, in qualche caso, dubbi e perplessità circa il rischio, sempre presente, di alimentare una banalizzazione di personaggi che storicamente si sono macchiati di gravissime responsabilità con conseguenti tentativi di revisionismo storico. Questi rischi non vanno sottovalutati e, per quanto riguarda l’ANPI, se si dovessero manifestare non saranno sottaciuti ma nello stesso tempo, con chiarezza, vogliamo dire che questa attività di ricerca e di studio è così importante da meritare anche qualche rischio poiché ci consente di comprendere meglio la natura e le caratteristiche di quell’esperienza storica, le ragioni di una così grande adesione popolare al fascismo, i tratti distintivi del percorso politico e culturale che portarono alla costruzione di quel regime totalitario.

Lo diciamo da antifascisti quali siamo, perché ci interessa sviluppare la conoscenza di quella vicenda storica dal nostro punto di vista, per affermare che Forlì non è e non è mai stata “la città del Duce” così come non lo è la sua Provincia che al fascismo si è opposta al punto di essere l’ultima a cadere sotto i colpi delle bande fasciste e che è stata quella che ha saputo organizzare una resistenza armata con la formazione della Brigata Garibaldi, il battaglione Corbari, i GAP e i SAP fino alla liberazione. Tutto questo è parte di noi e delle nostre comunità decorate ai massimi livelli per il loro impegno nella lotta contro il nazifascismo e proprio per questo oggi noi possiamo liberarci definitivamente da quelle definizioni che ancora la stampa si ostina ad affibbiarci ed inoltrarci lungo il sentiero della conoscenza,

Sommario »» 70 anni dalla caduta del fascismo 2 »» Fascistissima, anzi no 4 »» Forse ci si è dimenticati 5 »» 25 luglio 1943 6 »» Cesena è l’Arrigoni,

l’Arrigoni è Cesena 9 »» Forlì non è la città del duce 14 »» Ricordi e sottoscrizioni 15

Cronache della Resistenza • Capo redattore: Elvio Cicognani • Organizzatore: Otello Cattani • Redazione: Stefano Cattani, Rosalba Navarra, Mara Valdinosi, Mirella Menghetti, Emanuela Fiumicelli, Emanuele Gardini • Coordinatore redazione: Furio Kobau • Segretario di redazione: Lodovico Zanetti • Grafica: Ivan Fantini della ricerca e dell’approfondimento della storia del fascismo e ad immaginare che, nei luoghi e nei palazzi che sono stati il simbolo del potere fascista, oggi si possano collocare, in via permanente, tutte quelle attività utili a sostenere la ricerca storica e l’elaborazione critica degli strumenti e delle regole della democrazia lungo la via indicata dalla Costituzione repubblicana.

Questo è il nostro obiettivo e per questo ci sentiamo impegnati al confronto ed alla collaborazione con le Istituzioni e le altre Associazioni democratiche affinché si possa dare vita ad un progetto organico di grande valenza culturale all’interno del percorso avviato dal progetto europeo ATRIUM consapevoli come siamo che se si assicura la qualità culturale al

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progetto essa avrà anche una buona ricaduta sull’immagine delle nostre città in Italia e nel mondo. Non può e non deve accadere il contrario.

Intanto accogliamo con grande favore la proposta del Sindaco di Forlì, Roberto Balzani, di ricordare degnamente la caduta del fascismo con una grande festa popolare da concludersi a Predappio il 25 luglio 2013. Aggiungo che sarebbe molto bello e significativo che nella piazza di Predappio si concludesse con la distribuzione della pasta come fece la famiglia Cervi per festeggiare la caduta del fascismo nel ’43. Oggi la pasta potrebbe essere quella che proviene dai poderi confiscati alla mafia e gestiti da Cooperative di giovani… Comunque l’ANPI ci sarà.

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Fascistissima, anzi no di Lodovico Zanetti Dopo l’assurdo tentativo di chiamarla Dux, fortunatamente abortito, arriva con un carico di polemiche la mostra Novecento. Arte e vita in Italia fra le due guerre, a cura di Francesco Mazzocca, ai Musei di San Domenico di Forlì (fino al 16 giugno, catalogo Silvana). A innescarle, contribuisce un articolo di Sgarbi che, dopo averla vista, la definisce fascistissima . La visito, in compagnia di un nutrito gruppo di amici teramani, appassionati d’arte e quasi tutti di sinistra. Ne approfitto, lo confesso, della loro estraneità alle polemiche forlivesi, per

La domanda, vera, è se la critica d’arte debba porsi anche il compito di essere politica. sentire una opinione terza. La mostra in realtà mi è sembrata tutto, tranne che apologetica, o agiografica della figura di Mussolini. Ovviamente era impossibile non vedere, tra le due guerre, l’impatto del regime sull’arte, ma c’è stato, devo dire, da parte dei curatori quasi un senso di pudicizia, perfino nei riguardi del futurismo, forse poco rappresentato. E se al piano terra ad accoglierci, dopo il meraviglioso ritratto di Casorati di Elisabetta Cenni e la città ideale, già attribuita a Piero della Francesca, compaiono opere che esaltano il fascismo e Mussolini, sono smorzate da una sala, dove vengono esposte

una serie di opere di un Maccari sarcastico, che con un tratto alla Grosz ironizza in una mostra, appena dopo la caduta del regime dipingendo il leader fascista obeso e abnorme. A farla da leone, al secondo piano è il realismo magico, e c’è pure spazio per le arti minori con una esposizione di abiti, e affiches pubblicitari. Manca, se vogliamo, qualsiasi forte critica al regime, c’è semmai una semplice esposizione delle tematiche care al fascismo. Ho visitato anche lo shop del museo, e non ho trovato gadget infelici, come non ho visto camicie nere addosso a visitatori. Ma si sa, il fascismo odierno ha pochi rapporti con la cultura, e non ce li vedo proprio, i montati col fez a dissertare se sia meglio Carrà o Boccioni, anche perché, probabilmente, l’unica Carrà che conoscono è Raffaella.

La domanda, vera, è se la critica d’arte debba porsi anche il compito di essere politica. Ecco, il punto. Perché allora un ateo anticlericale come me, dovrebbe chiedere che fuori dalle stanze vaticane venisse scritto che la Chiesa Cattolica si è macchiata di orrendi crimini... . Il ruolo di analisi politica spetta alle istituzioni e ai partiti. Sarebbe stato utile se, a fianco a una mostra sull’arte di quel periodo, si fosse allestita una sala sui crimini del fascismo. Si fossero ricordati Matteotti, Amendola, i Rosselli... si fosse raccontato cosa fu il fascismo in Romagna.

Vedete, i nostri padri lasciarono i lampioni con i fasci in piazza, perché quei fasci non potevano che suscitare orrore ai forlivesi, che conoscevano la storia dei partigiani che vi furono impiccati. C’è una cultura antifascista, che era potente, al punto che nel 1973 tutti i dipendenti dell’autogrill di Casalecchio si rifiutarono di servire il pranzo ad Almirante. Se questo fosse ancora un comune sentire degli italiani, nessuna mostra e nessun negozio di souvenir ci preoccuperebbe. Perché chi comprasse un oggetto in uno di quei negozi si vergognerebbe di più di chi compra una rivista porno in edicola e la nasconde dentro Famiglia Cristiana.

E’ questo che manca. Si è concesso al revisionismo uno spazio di manovra troppo ampio, e questo ci rende intollerabili cose che di cui dovrebbero colpirci altri aspetti. E’ il compito, in fondo, dell’ANPI. Fare da sentinella per il futuro e da testimone, perché non venga cancellato il passato. Una piccola nota, personale… all’uscita della mostra, mi sono confrontato con gli amici di Teramo, e siamo stati tutti d’accordo sull’analisi critica della mostra.

Dopo di che, abbiamo scattato la foto ricordo. A farla, l’unico del gruppo con simpatie per il PDL. Al tre, di fronte alla scultura di ingresso 40 teramani e due forlivesi hanno alzato il pugno sinistro al cielo. Alla faccia della mostra fascistissima.

Hai segnalazioni, proposte, idee? Scrivi alla redazione di Cronache della Resistenza!

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Forse ci si è dimenticati lettera di Paolo Cortesi La mostra sul Novecento al San Domenico è stata un successo; i numeri dei visitatori sono chiari e sicuri.

Tuttavia, temo che nell’onda dell’entusiasmo si sia fatta un pochino di confusione tra la mostra ed il mostrato, per cui il legittimo orgoglio per una iniziativa culturale riuscita ha tracimato, investendo come un’onda di gioioso riscatto l’oggetto della mostra che - meglio non dimenticarlo - è il tempo trascorso sotto una dittatura violenta e soffocante.

Mi chiedo, dunque, come si possa parlare di “fermento e vivacità culturale e artistica di quegli anni” (Serena d’Urbano, nel Carlino Forlì del 16 giugno).

Le opere parlano da sé, commenta l’articolista. Vero: le opere parlano di piaggeria, adulazione, elogio iperbolico, fanatismo, adesione ai canoni, applausi a comando.

E, del resto, come potrebbe non essere stato così sotto una dittatura? Cioè sotto un regime che non ammette critiche e opposizioni.

Arte e cultura non sono forse sinonimi di libertà? E dov’è la libertà in una dittatura che comminava tre anni di confino a Lipari per il possesso di una bandiera rossa e di un quadro anarchico? (è il caso del nonno di mia madre, Angelo Allegri).

Forse, sull’onda del compiacimento per una mostra che ha ottenuto 80.000 visite, forse ci si è dimenticati che l’arte e la

cultura nel ventennio erano dettate del Minculpop.

Forse ci si è dimenticati che il regime interveniva così pesantemente nel lavoro degli scrittori da consigliare loro caldamente di non inserire suicidi nei propri romanzi.

Forse ci si è dimenticati che il regime controllava e censurava massicciamente le opere teatrali, impedendo - ad esempio - che venissero rappresentati i lavori di Sem Benelli e Roberto Bracco.

Forse ci si è dimenticati che il regime proibì la proiezione pubblica di films di Charlie Chaplin, Alfred Hitchcock, Wilhelm Pabst, Luchino Visconti; così come erano vietati tutti i films di produzione sovietica.

Nel 1936, Alberto Consiglio scrive in “Cinema: arte e linguaggio”: “Lo stato fascista separa nettamente il cinema d’arte dal cinema di propaganda (ed in genere ogni arte): il primo è un’attività libera, ma col controllo preventivo della censura fascista, mentre il secondo si svolge dentro le funzioni riservate allo stato”. (Il corsivo è mio).

Forse ci si è dimenticati che artisti non allineati, o almeno non abbastanza in sintonia con le direttive del regime, furono esclusi dalle esposizioni ufficiali e vennero ostacolati; si pensi alle esperienze del gruppo della Scuola Romana, i Sei di Torino e Corrente (l’omonima

rivista venne soppressa dalla polizia il 10 giugno 1940, giorno della dichiarazione di guerra).

Forse ci si è dimenticati che Emilio Lussu ed Ignazio Silone dovettero lasciare l’Italia per non finire in galera e per poter continuare a scrivere.

Forse ci si è dimenticati che Eugenio Montale fu rimosso dal Gabinetto Vieusseux per non essersi iscritto al partito fascista.

Forse ci si è dimenticati che Umberto Saba dovette cercare scampo in diversi rifugi segreti alle persecuzioni razziali volute dal regime.

Arte e cultura non sono forse sinonimi di libertà? E dov’è la libertà in una dittatura?

Forse ci si è dimenticati che furono censurati il romanzo di Carlo Bernari “Tre operai”, la prefazione di Elio Vittorini all’antologia “America”, il romanzo di Corrado Alvaro “L’uomo è forte”.

Forse ci si è dimenticati di cosa il regime fascista ha fatto a Piero Gobetti ed Antonio Gramsci.

Ma interrompo qui l’elenco, che è ben lontano dall’essere completo. Chiunque, se solo lo vuole, può trovare una ricca e ottima bibliografia sull’argomento. (Posso consigliare almeno un libro? Philip Cannistraro, “La fabbrica del consenso”, Laterza, 1975) Grazie dell’attenzione.

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Cronache della Resistenza italiano, fin da aprile espresse chiaramente l’impossibilità della vittoria germanica. Mussolini cercò di correre ai ripari sostituendo il generale Cavallero più vicino ai tedeschi con il generale Ambrosio più inviso.

Poi passò anche ad una vasta epurazione nelle file del governo fascista con la destituzione di Gastone Benini di Ciano, Bottai, Grandi, Buffarini Guidi, Ricci e Pavolini. L’inSono passati settant’anni da pochi risultati, di convincere il tento era quello di addossare quel 25 Luglio 1943 quando Be- feldmaresciallo Rommel a di- agli alti gradi militari tedeschi nito Mussolini venne ricevuto fendere il fronte africano in Tu- la sconfitta, di liberarsi di Cianella villa reale, su sua richie- nisia. Atteggiamento che irritò no e dei suoi amici “disfattisti”, sta, dal re Vittorio Emanuele molto Hitler tanto da destitu- di dimostrare la sua forza e di III il quale gli comunicò l’av- irlo con Kesserling senza però occuparsi direttamente della venuta sostituzione a capo del migliorare gli avvenimenti. gestione degli avvenimenti. Al governo con il generale Pietro Gli anglo americani lanciarono contrario apparve più debole Badoglio. una forte offensiva che portò con il terreno che gli sfuggiva Come si giunse a questa deci- alla occupazione di Tunisi ed il sotto i piedi. Il fascismo non sione unanimemente depoteva più essere salvato finita come colpo di Stato? e ormai dappertutto si maLa situazione dell’Italia, nifestavano segnali delnella primavera del 1943, lo sfacelo. era compromessa sul verLe forze politiche antisante militare (sconfitta fasciste cercarono di ridell’Armir e delle armate prendere l’iniziativa pur germaniche a Stalingrado in condizioni di precarietà e in Africa settentrionale vista l’intensa attività di dell’Africa Korps) come su azione dell’apparato poliquello interno (aggravarsi ziesco fascista. I comunisti delle condizioni sociali ed si mostrarono tra i più ateconomiche). Nonostantivi soprattutto nelle fabte la propaganda fascista Cartolina postale inviata da Napoli il 18 Marzo briche dell’Italia del nord. tentasse di coprire la reale 1943 da militare del 6° Regg. Lanceri Aosta ai pa- Nel marzo 1943 l’organizrenti in Codogno (MI) in cui è scritta la seguente situazione nei vari fronzazione interna comunifrase non censurata: “sono stanco di naia desideti, un numero sempre più ro di ritornare a casa”. sta della FIAT Mirafiori cresente di cittadini italiadi Torino, pur esigua nel ni, civili e militari, cominciava 12 maggio insieme ai tedeschi numero (100 iscritti su 20000 a rendersi conto della gravi- anche il generale Messe capi- operai), riuscì a mobilitare un tà degli avvenimenti e che la tolava con l’intera I Armata numero alto di operai con la guerra ormai era persa. Emble- italiana. distribuzione di volantini con matica di questo stato d’animo Questi accadimenti portarono la parola d’ordine: “Per il pane, appare la frase, non censurata, ad una serie di prese di distan- per la pace, per la libertà!”. inserita nella missiva spedita ze da Mussolini di una parte A Milano il 14 marzo si riunì la da Napoli il 18 marzo 1943 da degli alti gerarchi fascisti come direzione del partito comunimilitare del 6° Regg. Lanceri Ciano, Bottai e Grandi ed anche sta che decise l’estensione ad Aosta ai famigliari a Codogno di esponenti dell’apparato in- altre regioni degli scioperi.

(MI): “sono stanco di naia desi- dustiale e finanziario italiano Da qui le agitazioni nelle fabdero di ritornare a casa”. che avevano appoggiato il fa- briche milanesi e della provinMussolini convinto che ci fos- scismo. Cini, massimo esponen- cia (le prime a scioperare sono se una via d’uscita cercò, con te del capitalismo finanziario quelle di Sesto San Giovanni),

25 luglio 1943

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Cronache della Resistenza come in altre aree produttive della Liguria e del Veneto.

Anche in Emilia e nella Romagna si ebbero agitazioni nelle fabbriche. A Cesena, sotto la guida dei dirigenti comunisti della cellula interna, scioperarono i dipendenti dell’Arrigoni grande fabbrica agroindustriale con commesse per l’esercito germanico. Questa ondata di scioperi ebbero una grandissima importanza per creare un nuovo clima nel paese.

Le autorità di polizia, dopo un momento di sorpresa per la vastità del fenomeno, ripresero l’iniziativa arrestando diversi manifestanti (Torino 160, Milano 300) ma non riuscirono ad impedire la diffusione delle agitazioni. Il governo fascista non riuscì in gran parte delle città a mobilitare l’esercito. Alla fine gli operai riuscirono ad ottenere dagli industriali quasi tutte le loro richieste. A Mussolini e ai gerarchi fascisti non restò altro che ammettere la sconfitta e addossarne la responsabilità alla polizia e al partito; il 15 aprile venne destituito Senise da capo della polizia e il 17 Vidussoni da segretario del partito. Inoltre venne costituita la divisione “M” (“Mussolini”) sotto controllo di istruttori tedeschi ed equipaggiata con armi moderne e costituita da camice nere scelte tra coloro che si erano distinti nella lotta ai partigiani all’estero.

Anche gli antifascisti si prepararono ad avvenimenti decisivi seguendo itinerari d’azione diversi. Il maggior sforzo dei comunisti era rivolto a mobilitare le masse a cui invece si opponevano i democratici cristiani e i liberali. Socialisti e Partito d’azione erano restii a coinvolgere la monarchia. I comunisti nell’aprile del 1943 costituirono tre centri direttivi, a Mila-

no, Torino e Bologna e avviarono trattative con il comandante della divisione “Ariete”, generale Raffaele Cadorna, e proposero ai liberali di intervenire presso il re per indurlo ad intervenire arrestando MusBusta ufficiale del Comune di Sesto San giovanni (MI) emessa solini e creare un in occasione della Mostra Filatelica “40° Anniversario scioperi governo democra- Marzo 1943”. tico che rompesse l’alleanza con la Germania. Il re, nonostante i vari tentativi Solo in luglio si riuscì a costitu- di alcuni esponenti della borire a Milano il comitato dei cin- ghesia e dell’antifascismo moque partiti d’opposizione anti- derato di indurlo ad agire, si fascisti a cui poi si unirono gli dimostrò ancora tentennante antifascisti di Roma. Ma ormai ed ambiguo. Solo in seguito al era troppo tardi. verificarsi di due avvenimenti Nel luglio tra il 9 e il 10 si ve- (incontro del 19 luglio di Musrificò uno sbarco di truppe solini con Hitler a Feltre duinglesi ed americane in Sicilia rante il quale il duce non mise che in pochi giorni venne com- l’alleato di fronte alla impospletamente occupata. Questo sibilità dell’Italia di continuasbarco e il successivo passaggio re la guerra e contemporaneo sul continente nonché massicci massiccio bombardamento di bombardamenti di varie città, Roma da parte dell’aviazione accelerarono gli avvenimenti. angloamericana), il re decise di Il 13 luglio il segretario Sforza portare a termine l’azione per informò i segretari delle fede- la destituzione di Mussolini e razioni e gli alti dirigenti fasci- sua sostituzione con il generasti della decisione di Mussoli- le Badoglio fissandola per il 26 ni di inviare tutti i fascisti più luglio. Alle ore 17 del 24 luglio i noti nelle province per un giro di conferenze per infondere nelle popolazioni una granitica risolutezza nella resistenza.

I gerarchi si ribellarono inaspettatamente alla decisione e addirittura Grandi e Federzoni non si presentarono alla riunione, Ciano si dette malato e la maggioranza chiese la convocazione del Gran Consiglio fascista, per sentire Mussolini.

Alla fine lui stesso decise di acCartoncino del CIFR (Centro Italiano Filatelia cettare la richiesta dei gerarchi Resistenza) sezione Regione Lombardia con che si erano radunati presso la annullo speciale figurato delle Poste italiane sua residenza. La runione venCatania 10 Luglio 1993 emesso in occasione del 50°Anniversario dello sbarco alleato ne fissata per la seconda metà in Sicilia. di luglio.

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Cronache della Resistenza gerarchi fascisti giunsero a palazzo Venezia del tutto ignari della decisione del re. Il clima era molto teso.

La seduta fu aperta da Mussolini con un intervento di due ore sull’andamento delle operazioni militari, accusando degli insuccessi lo stato maggiore e sulla situazione interna attaccando i disfattisti come Grandi. Nel suo intervento Grandi illustrò la sua risoluzione che prevedeva l’affidamento al re della responsabilità militare e di lasciargli l’iniziativa suprema delle decisioni previste dall’ordinamento costituzionale, il cambiamento della Camera delle corporazioni in Camera dei deputati, un accresciuto ruolo del governo e del Gran Consiglio fascista nonché un ridimensionamento del potere di Mussolini.

Alle ore due del mattino del 25 luglio Mussolini mise ai voti la risoluzione di Grandi che venne approvata (19 voti a favore e 7 contrari e 2 astensioni). Mussolini intenzionato di presentare le risultanze della seduta del Gran Consiglio del Fascismo al re pensando ancora di gestire gli avvenimenti richiese per il pomeriggio del 25 un incontro presso la villa

reale. L’apparato statale, le alte gerarchie fasciste, l’esercito e la polizia appoggiarono l’azione del re sicuri di essere approvati dai rappresentanti del capitale industriale e finanziario.

L’incontro avvenne alle ore 17 e durò circa venti minuti in tutto. All’uscita Mussolini venne avvicinato da un capitano dei carabinieri e costretto a salire sull’ambulanza che l’avrebbe accompagnato nella caserma dei carabinieri dove venne messo in sicurezza. Solo all’ora Mussolini si rese conto di essere agli arresti.

Quella sera fu trasmessa alla radio la notizia che il re aveva accolto le dimissioni del cavaliere Benito Mussolini, designando a capo del governo il maresciallo Badoglio.

L’annuncio fu seguito da due proclami, uno del re ed uno di Badoglio con cui si indicava la continuazione della guerra e l’esortazione alla difesa contro ogni sovvertimento di qualunque provenienza.

Il 26 luglio i centri di ogni città vennero presidiati dai soldati per impedire eventuali disordini.

Alla notizia, in diverse città italiane, dopo il comprensibile sbalordimento, ci fu anche un enorme respiro di sollievo dopo anni di compressione: la gente cominciò ad uscire per le strade gridando che la guerra era finita e chiedendo notizie più precise e i vecchi antifascisti vennero allo scoperto improvvisando comizi in piazza.

Cartolina illustrata emessa dal Comune di Cesenatico (FO) il 25 Aprile 1990 in occasione del 45° Anniversario della Liberazione. L’illustrazione riprodotta riguarda l’esultanza della popolazione della città all’annuncio della destituzione di Mussolini il 25 Luglio 1943.

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“Cesena è l’Arrigoni. L’Arrigoni è Cesena.” Così recitava uno slogan del Comitato di Gestione per la difesa dei licenziamenti dell’Arrigoni nel 1951 (oltre 400 licenziamenti 1).

Quel motto fotografava una situazione che si era venuta a creare negli anni in una città prevalentemente agricola che con l’insediamento di questa azienda formò una classe operaia, un centro antifascista, una sorgente di dirigenti del movimento operaio.

Così scriveva nel 1982 Leopoldo Lucchi sindaco di Cesena e già partigiano 2 (1970 -1985) in occasione del “recupero” dell’area occupata dall’Arrigoni di Cesena. Dall’opuscolo del Comune “la fabbrica recuperata”: “…La storia dell’Arrigoni è infatti anche quella di migliaia di famiglie la cui vita è stata per molti anni condizionata dalle alterne vicende di questa azienda. Dall’Arrigoni è venuto un contributo decisivo per la crescita della classe opera-

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La fabbrica che produceva antifascisti

Cesena è l’Arrigoni, l’Arrigoni è Cesena di Furio Kobau ia, e molte pagine di storia e di lotta sindacale cesenate sono state scritte proprio davanti ai cancelli, oggi demoliti per creare il grande piazzale delle autocorriere.

Raramente dei muri e degli spazi hanno avuto un significato simbolico e una capacità di “parlare”, di costruire una memoria storica collettiva, come in questo caso; per questo abbiamo voluto conservare la vecchia ciminiera, punto di riferimento preciso nell’immagine della città, come il campanile del Duomo o la Rocca lo sono per il centro storico.”

Tra le pagine di storia scritte in questa fabbrica, ce ne sono molte che riguardano la lotta antifascista a Cesena, ma andiamo con ordine.

La storia cesenate dell’Arrigoni ha inizio nel 1929, quando Giorgio Sanguinetti, industriale triestino, acquistava - dopo l’interessamento di Arnaldo Mussolini fratello del cavaliere Benito - quello che era stato il

piccolo stabilimento Cia di Cesena in fallimento dove lavoravano complessivamente, tra fissi e stagionali, poco più di 300 dipendenti.

Sanguinetti aveva acquisito il marchio Arrigoni nel 1916 da un piccolo industriale genovese che faceva preparati per brodo, poi acquistò in una sola volta 8 stabilimenti, tutti sulla costa istriana moltiplicando i suoi settori d’intervento con la conservazione e la commercializzazione di prodotti ittici - e in piccola parte ortofrutticoli - e trasferì la sede della società a Trieste.

Nel 1927 inaugurò il più grande stabilimento europeo a Isola d’Istria per la conservazione del pesce e affiancò a questo stabilimento una flottiglia di pescherecci per risolvere in proprio il problema del rifornimento del pesce; nel 1934 aveva due flotte: quella dell’Adriatico e quella del Baltico, quest’ultima pescava soprattutto il merluzzo 3.

Rilevò e costruì fabbriche ex novo a Pola, Cesena, Pistoia, Se-

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sto Fiorentino, Pescia, Piacenza, Cattolica e Venturina.

Prima della guerra il volume delle produzioni raggiunse quasi il mezzo milione di quintali con un fatturato di 380 milioni di lire.

Con lo stabilimento di Cesena, siamo nel 1929, l’azienda estese le sue produzioni al settore dei conservati vegetali raggiungendo una gamma quasi completa di prodotti dell’industria conserviera, che comprendeva i vari tipi di marmellate di frutta, sciroppi, conservati di pomodoro, fagiolini, sottaceti, dadi, tonno, filetti di acciughe, essiccati ecc.

L’economia agricola cesenate e dei dintorni si orientava quindi alla produzione ortofrutticola per l’industria traendone beneficio e l’Arrigoni poteva acquistare sul mercato locale le materie prime che poi trasformava.

Nel 1936 l’Arrigoni costruì un secondo grande stabilimento in Via Cavalcavia (il primo era di fronte alla stazione delle

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Lavorazione sciroppo frutta surgelata (1940-1941); il cartone era paraffinato, nelle “vaschette” veniva collocata la macedonia di frutta.

Inscatolamento a mano dei filetti di acciughe all’olio.

Arrigoni: uscita operai viale interno primi anni “40.

ferrovie dello stato) che comprendeva in diversi magazzini lo stoccaggio dei prodotti, una litografia, lo scatolificio e il reparto bottai. L’estensione degli impianti supererà i 100.000 mq.; tutti e due gli stabilimenti erano collegati direttamente attraverso ferrovie alla stazione ferroviaria di Cesena, così come dallo stabilimento di via Cavalcavia partiva un acquedotto per fornire l’acqua allo stabilimen-

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to vicino alla stazione.

Si passò dagli 800 operai del 1934, ai 1.300 nel 1937, mentre nel 1940 gli operai occupati salirono a 3.000 e negli anni a seguire superarono di gran lunga le 5.000 unità.

La maggior parte delle maestranze era composta da personale femminile, gran parte proveniva e viveva nelle campagne del cesenate e dei comuni vicini.

Cesena fu uno dei centri più attivi della Romagna nella lotta contro il fascismo, basti pensare ai condannati dal Tribunale Speciale della nostra provincia (che allora comprendeva Rimini): su un totale di 787 condannati, ben 237 erano di Cesena.

Furono quattromila i volontari antifascisti italiani che andarono a difendere la repubblica spagnola e 400 gli emiliano-romagnoli. 55 di questi venivano dalla provincia di Forlì (che allora comprendeva il comprensorio di Rimini), 11 caddero sui campi di battaglia; i volontari cesenati furono 16.

Nel contesto emiliano-romagnolo l’Arrigoni offrì il primo episodio della ripresa di una lotta non più a carattere clandestino-individuale ma a livello “popolare” (lo sciopero del settembre 1941) che poi sarà seguita da lotte di altre fabbriche: Battistini, Mangelli di Forlì.

Ci fu nel febbraio 1941 un tentativo di sciopero da parte di un reparto di operaie guidate da Maria Turci.

Il fascismo e i suoi gerarchi non si resero conto del significato politico di quella protesta; “loro” vedevano le donne come “massaie”, “figlie della lupa”, “madrine di guerra” “giovani italiane” e non come lavoratrici che si ponevano come donne con la loro dignità e rivendicazioni.

Il 17 settembre dello stesso anno veniva segnalato dalla direzio-

ne della fabbrica il pericolo di uno sciopero imminente; alla sera stessa ci furono le intimidazioni del commissario di PS di Cesena che parlava alle operaie che uscivano dal turno, diffidandole dall’effettuare qualsiasi sospensione dal lavoro. Il giorno dopo invece scattava lo sciopero nonostante un servizio d’ordine attorno alla fabbrica.

Alle dieci del 18 settembre 1941 duecento operaie della sezione A, seguite poi da quelle della sezione B, scioperavano e cercavano di uscire dalla fabbrica; la forza pubblica intervenne e le ricacciò in fabbrica arrestandone 18 (fermo di polizia).

Le operaie rientrate nei reparti non ripresero il lavoro ma attuarono uno sciopero bianco.

Qualche mese dopo, il 29 aprile del 1942, le operaie scesero nuovamente in sciopero. Maria Lucchi fu arrestata assieme alla compagna di lavoro Agostina Brunelli: giudicata responsabile di attività sovversiva fu condannata ad un anno di confino. Fu “liberata” il 5 novembre 1942 in occasione dell’amnistia concessa per la ricorrenza del ventennale della marcia su Roma.

Nonostante la massiccia azione di propaganda fascista rivolta alle operaie dell’Arrigoni di Cesena, per creare un consenso mai avuto, ci fu un antifascismo diffuso alimentato da una rete clandestina e capillare di antifascisti soprattutto comunisti.

Con gli scioperi del 1941/42 la battaglia contro la dittatura fascista entrava in un periodo nuovo e diventava lotta di massa. Così scrive Augusto Bucci su quel periodo: “Le prime astensioni dal lavoro cominciarono nell’estate del 1941 per reazione al blocco dei salari. Erano ancora motivi di carattere prettamente sindacale, ma furono potente lievito per

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Cronache della Resistenza una presa di coscienza, da parte degli operai, della loro identità di classe, pur mancando una idonea struttura organizzativa che sostenesse e propagandasse idee e impegni di lotta.

Questi fermenti stimolarono, logicamente, una ripresa delle attività del partito, ed a fare punti di riferimento e da baluardi di difesa per i lavoratori antifascisti stavano i maggiori complessi industriali, dei quali l’Arrigoni, a Cesena, era la punta avanzata” 4.

Il 21 novembre 1942 venne effettuata una raffica di arresti che andò a colpire la rete clandestina comunista della fabbrica: Primo Brighi, Agostina Brunelli, Giordano Dall’Ara, Filippo Gasperoni, Maria Lucchi, Scevola Riciputi e Quinto Bucci, il popolare tribuno degli operai.

Il Soccorso Rosso, che è presente in fabbrica dai primi anni ‘30, presta aiuto alle famiglie dei detenuti politici.

Rina Turci di Cannuzzo di Cervia rientra in fabbrica nel 1942 dopo aver lavorato all’Arrigoni dal 1931 ed essere stata licenziata nel 1937 per motivi politici.

In poco tempo diventa una bandiera delle operaie che dopo il 25 luglio la eleggono nella commissione interna.

Nel 1938 la Pubblica Sicurezza rafforza il proprio presidio nello stabilimento.

Alla fine degli anni ‘30 la presenza di lavoratori legati all’organizzazione clandestina, oltre a quelli già citati, comprende: Pio Amaduzzi, Werther Ricchi, Dante Pollarini, Gianni Amaducci, Agostino Battistini, Edoardo Gazza, Gino Sacchetti, Arturo Bartolini, Roberto Giorgini.

Otello Vernocchi, Filippo Gasperoni, Eugenio Santerini, Gino Caporali e Maria Turci.

Vengono condannati dal Tribunale Speciale Scevola Riciputi e

Luigi Amaducci.

La commissione provinciale per il confino manda a Pisticci (MT) Filippo Gasperoni di Bagnile, un operaio dell’Arrigoni che verrà liberato il 28 marzo del 1942.

Dopo l’8 settembre 1943 Gasperoni diventerà un dirigente dei Gap della bassa cesenate; catturato il 20 aprile 1944 è fucilato l’8 giugno.

Nel giugno 1941 ci saranno altri arresti: Pio Amaduzzi e Gino Caporali.

Pio Amaduzzi, torturato nel fisico e scoraggiato nel morale, muore il 14 luglio 1941 a soli 32 anni nelle carceri di Forlì, dove era rinchiuso in attesa di processo; come era già accaduto per Gastone Sozzi a Perugia, anche per lui viene organizzata la farsa del suicidio per impiccagione.

Nel novembre 1941 sono arrestati Quinto Bucci (rientrato in fabbrica da una trentina di giorni dopo un’assenza di dieci mesi per richiamo alle armi), Gianni Amaducci, Primo Brighi, Giordano Dall’Ara e Renato Paolucci, subendo dure condanne dal Tribunale Speciale.

Dopo il 25 luglio rientrano a Cesena e riprendono il lavoro all’Arrigoni molti dei detenuti politici liberati dalle carceri fasciste.

Fra coloro che contribuiscono in quel periodo al processo di democratizzazione (che trova sensibile la stessa Direzione dell’Arrigoni informata delle idee politiche del nuovo proprietario Bruno Sanguinetti 5, figlio di Giorgio deceduto) vi sono Dante Pollarini rientrato dallo stabilimento di Piacenza ed Ilario Tabarri, garibaldino in Spagna e futuro comandante dell’8ª Brigata “Garibaldi”.

Dopo il 25 luglio nella commissione per le epurazioni furono nominati due operai

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Cinisello Balsamo (1949). Teresa Mattei, accanto al marito Bruno Sanguinetti.

Ufficiali tedeschi controllano il cibo che andrà alla Wermacht; in questo caso ortaggi essicati, cibo essenziale per il rancio delle truppe combattenti. In mezzo ai due militari il direttore generale degli stabilimenti Arrigoni Ing. Giorgio Ricordi.

La tinaia all’Arrigoni di Via Cavalcavia. In uno di questi tini fu nascosto Quinto Bucci per alcuni giorni, Quinto era braccato dai nazifascisti.

dell’Arrigoni.

La commissione d’epurazione all’Arrigoni fu clemente: su ottanta persone segnalate ne furono sospese 18 e licenziate 22. Il periodo “badogliano” fu vissuto all’interno della fabbrica come una ventata di libertà e democrazia. Rinascono le Commissio-

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Cronache della Resistenza ni Interne coi componenti eletti direttamente dai lavoratori.

Dopo l’8 settembre l’organizzazione ritorna nella clandestinità; la decisione dei repubblichini di rieleggere la Commissione interna dà nella prima votazione il seguente risultato: schede distribuite 3.600; voti raccolti dalla lista fascista 31; tutte le altre, con scritte inneggianti a

Stalin, alla libertà e contro la guerra e i tedeschi, vengono annullate.

I fascisti cercano di riacquisire consenso all’interno della fabbrica e indicono un’assemblea.

Parla l’avvocato Berton di Trieste: disciplina e amor di patria.

Alla fine del discorso gli operai e soprattutto le donne chiedono a Quinto Bucci di parlare. Le operaie urlano e scandiscono : “Bucco, Bucco”. I fascisti presenti non riescono a bloccare l’iniziativa e Bucci è issato a forza sul palco. C’è una ovazione per Bucci da parte dei lavoratori. Egli chiede la liberazione dei detenuti politici, una alimentazione migliore e abbondante e la libertà d’uso della bicicletta.

La risposta fascista e tedesca è durissima.

Parte della storiografia ha purtroppo sottovalutato le vicende dell’Arrigoni non considerando il fatto che l’Arrigoni è una fabbrica che, producendo per “l’alleato tedesco” (Wehrmacht 6 ) era da questi considerata un’azienda “strategica”.

Infatti il soldato combatte se ha armi, munizioni e cibo. Il soldato che ha fame cerca cibo, non combatte. Scioperi e sottrazioni delle produzioni alimentari assumono un rilievo considerevole. La differenza con altre realtà o episodi di ribellione in fabbri-

che con produzioni non attinenti a lavorazione “belliche” è da ritenersi abissale.

Il 23 marzo viene arrestato Werther Ricchi e brutalmente seviziato. Muore in carcere il 4 aprile del 1944 per le sevizie subite.

Quinto Bucci è costretto a darsi alla clandestinità; trova rifugio – come altri – nello stabilimento di Via Cavalcavia, in uno dei grandi tini nella grande tinaia.

Successivamente, nel mese di luglio, raggiungerà l’8ª Brigata Garibaldi dove assumerà il ruolo di Commissario politico.

Oltre a sottoscrizioni per il Soccorso rosso 7, medicinali che i lavoratori faranno giungere al movimento partigiano, si aggiungono i quintali di derrate alimentari che, attraverso spericolate acrobazie, giungeranno all’ottava Brigata.

Ricorda Dante Pollarini: “Un’altra cosa che io ricordo fu che i capi reparto dell’Arrigoni contribuirono largamente ad approvvigionare le forze partigiane che combattevano in montagna. I rifornimenti che venivano inviati ai partigiani, uscivano regolarmente tra-

Note 1. Fu il licenziamento più corposo.

L’Arrigoni nel 1948 chiese un “alleggerimento” di personale, ma tutto si risolse con un corso di riqualificazione di tre mesi, finiti i quali l’Arrigoni chiese il licenziamento di 1.200 lavoratori e ne licenziò centinaia.

Cinquecento operai si licenziarono volontariamente dietro un compenso e nell’ottobre furono licenziati 318 lavoratori. Nel 1951 un altro grosso licenziamento darà vita ad una lotta che rimane memorabile nella storia di Cesena e dell’Arrigoni: per contrastare i licenziamenti l’azienda fu occupata da parte degli operai e costituito un comitato di Gestione di operai e tecnici. Sotto questa direzione tutti i reparti continuarono nell’attività produttiva fino all’esaurimento delle scorte. 2.

Leopoldo Lucchi (1923-1998). Giovane

antifascista,fu uno dei fondatori della Gap cesenate. Militò nell’8ª Brigata Garibaldi e nella 29ª Gap “Sozzi”. Partecipò al primo assalto della Rocca di Cesena per la liberazione dei detenuti politici. Dirigente del Pci cesenate fu sindaco di Cesena dal 1970 al 1985. 3. l’Arrigoni e l’Ampelea decisero di costruire e gestire in proprio delle flotte pescherecce che avrebbero assicurato stabilità nei prezzi e nell’approvvigionamento. Armarono una trentina di moderne barche attrezzate per la cattura del pesce azzurro, ciascuna con un equipaggio di 8-10 persone guidate da un “capobarca”. Nel 1938 l’Arrigoni rilevò addirittura un’intera flottiglia per la pesca d’altomare del tonnetto, composta da una decina di pescherecci a vapore di 400 t. di stazza, che rimasero per anni a Isola con i loro caratteristici nomi di “Grongo”, “Cer-

nia”, “Dentice”, ecc. 4. Augusto Bucci “DALL’ARRIGONI ALLA ASSEMBLEA COSTITUENTE” La vita e l’opera di Quinto Bucci partigiano, sindacalista, politico e amministratore pubblico.

Editore Il Ponte Vecchio. Quinto Bucci sarà il Commissario politico del 3º Battaglione dell’8ª Brigata Garibaldi col nome di battaglia di “Alfredo”. 5.

Bruno Sanguinetti (1909-1950) figlio del proprietario Giorgio. Aveva aderito al PCdI (Partito Comunista d’Italia) e dato vita a quel gruppo antifascista romano, composto da Pietro Amendola, Bruno Zevi, Laura Lombardo Radice e Aldo Natoli, gruppo di studenti romani che furono tra i primi ad opporsi alla dittatura fascista. Quei giovani intellettuali di sinistra avevano un leader indiscusso: Bruno Sanguinetti. Esule in Francia fu arrestato e mandato al confino. Fece parte del

Cesena 22 marzo 1974, stabilimento “nuovo” Arrigoni di Pievesestina; trentennale scioperi del 44. Da sinistra: Peppino Bargellini, Dante Pollarini, Bruno Merloni, Leopoldo Lucchi (Gigi), AntonioManuzzi, Luciano Lama.

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Cronache della Resistenza mite i portinai o i compagni dell’Arrigoni.”

Mentre l’operaia dell’Arrigoni Maria Turci dice dell’attività portata avanti: “Il denaro raccolto all’Arrigoni non lo conservavamo tutto. A volte ci serviva per comprare medicinali. Di questi ne mandavamo su in montagna tre valige un poco per volta. Un giorno, per caso, sentii il dott. Santini 8 fare dei discorsi che simpatizzavano con la lotta dei partigiani.

Così capii che potevo tentare di acquistare i medicinali, tanto necessari, nella sua farmacia.

Infatti tutto andò bene e i nostri feriti ebbero maggiori possibilità di curarsi e guarire.”

Gli stessi operai che mesi prima hanno sabotato le macchine, in accordo con una parte della direzione aziendale, sottrarranno le macchine essenziali per le future produzioni; verranno stoccate e nascoste assieme ai macchinari più pregiati e verranno eretti muri per occultarli.

L’Arrigoni è stata un caposaldo della resistenza e un preciso riferimento per l’antifascismo cesenate; non solo,+ ma è stata

una fucina di formazione della classe operaia e dell’antifascismo cesenate; rappresentò l’ambiente in cui si formarono gran parte dei quadri sindacali e politici del dopoguerra. L’organizzazione del movimento operaio aveva trovato il suo luogo privilegiato di formazione ed “educazione”. Diversi licenziati hanno assunto responsabilità di primo piano a livello sindacale e politico come, per esempio, Giorgio Ceredi segretario della Federazione forlivese del P.C.I. e poi assessore regionale all’agricoltura, Dante Pollarini segretario Cgil e fondatore e direttore della Cof di Cesena, Gino Sacchetti segretario provinciale della Cgil di Forlì, Gianfranco Gherardi segretario del Pci cesenate e dirigente del movimento cooperativo regionale, Quinto Bucci, divenuto segretario della C.d.L. poi parlamentare, Peppino Bargellini diventato Segretario della Camera del Lavoro di Cesena, Alteo D’Altri, Egidio Suzzi, Oliviero Ricci, Vittorio Brighi, Sanzio Foschi che ricopriranno ruoli politici importanti e tanti altri.

gruppo milanese di Giorgio Amendola. Alla caduta del fascismo fu alla testa della lotta partigiana quale membro della Federazione Comunista fiorentina e del Comitato di Liberazione toscano. Compagno e poi marito di Teresa Mattei recentemente scomparsa. Bruno Sanguinetti e Teresa Mattei furono tra gli organizzatori dell’uccisione di Giovanni Gentile, il filosofo che aveva aderito alla repubblichina.

Il padre di Bruno, Giorgio, morì nel maggio del 1943. 6. L’Arrigoni era fornitrice ufficiale dell’esercito tedesco (Werhrmacht) da molti anni, molto prima della guerra. La qualità delle produzioni e gli standard dei prodotti erano state, tra altri fattori, la base del “successo “ della fornitura. Essere fornitori ufficiali dell’esercito tedesco era motivo di “orgoglio” data la pignoleria, l’alta qualità voluta, i controlli

meticolosi che i “teutonici” effettuavano. In questo contesto, la “ricerca” di nuovi prodotti per gli eserciti, aveva accelerato l’inventiva dell’Arrigoni.

Durante la guerra mancavano molte materie prime e così furono inventate produzioni che ditte italiane riscoprirono negli anni ‘80: spalmi’ e simili (creme di tonno e carne utilizzando anche gli “scarti” di lavorazione). 7.

Le sottoscrizioni del Soccorso Rosso già dal 1940 divennero una oblazione mensile e i sottoscrittori si quotavano per una cifra fissa di 5 lire. 8.

Il dott. Santini aveva la farmacia a Porta Trova, all’incrocio tra Viale Gaspare Finali e Sobborgo Federico Comandini dove si trova attualmente; di sinceri sentimenti antifascisti era anche l’allora parroco di S.Bartolo (la chiesa e la farmacia distano poche decine di metri una dall’altra).

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Forlì non è la città del duce di Emanuele Gardini Lunedì 3 giugno nel Salone Comunale di Forlì si è svolta l’assemblea pubblica dal titolo “Forlì non è la città del duce L’affermazione dell’identità democratica fra memoria del passato e attualità”, promossa da Fondazione Alfred Lewin, Istituto Storico della Resistenza ForlìCesena, ANPI Forlì-Cesena, Associazione Mazziniana Italiana, Associazione Forlì città aperta.

Pubblichiamo parte dell’intervento iniziale di Gianni Saporetti Presidente della Fondazione Alfred Lewin: (...) Ora, è importante cercare di imparare a mettersi nei panni degli altri, perché serve a vivere meglio. Però non illudiamoci che uno che nasce in maggioranza possa capire, al fondo, cosa prova chi nasce in minoranza. Un’amica ebrea che da trent’anni vive qui e che ci aveva sempre detto che Forlì era un’oasi felice per lei perché mai aveva visto una scritta antisemita, mentre a Parigi ce n’erano a ogni angolo, l’altro giorno ci ha detto di averne

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vista una in via Palazzola e di essere rimasta molto colpita.

A me sarebbe venuto da dirle: “Ma cosa sarà mai una scritta!”. In realtà noi non potremo mai sentire quel che sente chi ha avuto due genitori sopravvissuti ai campi. (E detto fra parentesi: usiamoli come sensori, fidiamoci. In questi giorni abbiamo consultato il rabbino, che sarebbe venuto ma partiva per Israele, e ci ha detto tutta la sua preoccupazione).

Quindi portiamo certamente i ragazzi ad Auschwitz, ma alla fine la sensazione sarà sempre che quella cosa a loro, nati in maggioranza, non capiterà mai.

Se vogliamo lavorare su di noi dobbiamo anche metterci nei nostri panni, in quelli cioè dei nostri padri e dei nostri nonni. Chiederci cosa faremmo se qualcuno volesse imporci di andare a un’adunata in camicia nera, se qualcuno ci volesse proibire di ascoltare il jazz, se il conoscente della banca ci chiamasse per dirci che c’è un’asta molto favorevole di una casa andata sotto sequestro. Se sono un funzionario che può decidere per una richiesta di sussidio per la madre di Alfred Lewin caduta in indigenza dopo l’arresto del figlio, e le circolari non sono chiare, dirò sì o no?

O se grazie alle leggi razziali

si libera una cattedra universitaria cosa faccio? O se vediamo quattro persone addosso a uno solo?

La libertà e la responsabilità, le due cose che fanno l’onore, sono sempre potenzialmente drammatiche ed ecco perché ogni tipo di sdrammatizzazione, di banalizzazione, è pericoloso. Se il fascismo, alla fin fine, fu telefoni bianchi e vacanze a Ventotene, allora i 12 professori che rifiutarono di firmare sono dei poveretti della storia italiana. E infatti non li ricorda nessuno.

Oggi i tedeschi potrebbero tranquillamente fare un convegno sull’arte della Leni Riefenstahl, la fotografa di Hitler, o sui progetti di Speer, l’architetto di Hitler. Perché uscendo da quelle mostre basterebbe fare poche centinaia di metri per incontrare un monumento alla colpa. Per la prima volta nella storia dell’umanità un popolo ha monumentalizzato le proprie colpe.

Noi? Ancora oggi diamo la colpa delle leggi razziali all’alleanza coi tedeschi. E’ sempre colpa di qualcun altro. (...)

La versione integrale dell’intervento è disponibile sul numero di maggio 2013 del mensile Una Città.

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Cronache della Resistenza • La nipote Gunelli Margherita sottoscrive euro 20,00 in memoria del nonno GIANCARLO GUNELLI, partigiano.

• Le figlie Fauzia e Katia Pieraccini sottoscrive euro 20,00 in memoria del padre ALVARO PIERACCINI, partigiano.

• Sottoscrizione di euro 50,00 in memoria di MARIA FERLINI deportata nei campi di concentramento nazisti in Germania.

Nel centenario della nascita la ricordano il figlio Rolando Pasini e i parenti.

• Turroni Vera sottoscrive euro 20,00 in memoria del marito ALBERTI BERTO “BATTAGLIA” e del figlio ROBERTO. • Nel ricordo della scomparsa di BRUNO PATRIGNANI, partigiano dell’ 8ª Brigata Garibaldi, lo ricordano la moglie Giovanna, i figli Mariella e Umberto, la nuora Silvia, i nipoti Marcello e Fabrizio e sottoscrivono euro 30,00 a favore

di “Cronache della Resistenza”.

• La moglie Marchi Maria Tilde sottoscrive euro 50,00 in memoria di WHALTER BABINI partigiano deceduto il 18/06/1993.

Ricordi e sottoscrizioni

• La figlia Denise Mambelli sottoscrive euro 100,00 in memoria del padre NATALE MAMBELLI, partigiano dell’8ª Brigata Garibaldi.

• Sottoscrivono euro 50,00 in memoria di MARIA NARDI e della figlia MAMBELLI GIOVANNA (vedova Cicognani) i figli Catia e Ivan e i nipoti.

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• In ricordo di PIRACCINI ALVARO, partigiano della 29ª Gap che ci ha lasciato il 21 dicembre 2009, le figlie Fauzia e Katia sottoscrivono euro 20,00.

• In ricordo di NATALE MAMBELLI la figlia Denise sottoscrive euro 50,00 oltre alla sottoscrizione per la Sezione di Cesena.

Ci hanno lasciato: Mambelli Natale 8ª Brigata Garibaldi Febbraio 2013 Ricci Rino 29ª Gap Marzo 2013 Bilancioni Giovanni 29ª Gap Maggio 2013 Del Vecchio Ezio 29ª gap Giugno 2013

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