Con occhi diversi

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Con occhi diversi

A Giusy e Giorgio, che ci hanno fatto vedere il mondo con occhi diversi.

Disordine!

WS22/23 - PROJECT VC-1B

Faculty of Design and Art - Unibz

Trotta cavallino

Oggi cosa facciamo?

La stufetta è qui Mi piace stare con te L’abitudine di scappare Non trovo la maglietta viola Che fame Lì, vicino ai peperoni La lista della spesa

L’ordine nel disordine Crediti

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Introduzione

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L’ Alzheimer (AD) è la forma più comune di demenza, una malattia neurodegenerativa delle cellule nervose, soprattutto di quelle che regolano i processi di apprendimento e memoria. Più comune nelle persone anziane, si può sviluppare in forme diverse e avere caratteristiche differenti. Attualmente, nonostante le numerose ricerche in corso, le terapie farmacologiche per l’Alzheimer – e altre forme di demenza – sono ancora poco soddisfacenti. Con i farmaci a disposizione si possono ottenere effetti di modesto miglioramento dei sintomi che perdurano per un tempo variabile, determinando un rallentamento nell’evoluzione del quadro clinico della malattia di Alzheimer. In molti casi risultano utili terapie non farmacologiche come stimolazione cognitiva, terapia di riorientamento e di reminescenza, musicoterapia, esercizio fisico, ma anche altre tecniche da personalizzare anche a seconda della fase di malattia. E’ sbagliato dire che “non c’è niente da fare”, anzi: c’è moltissimo da fare. Al momento attuale non possiamo contare sulla guarigione ma, cambiando prospettiva e accettando la malattia, valorizzando quella che è la persona con demenza,

possiamo proporci di vivere cercandone il maggiore benessere possibile.

La mostra va a trattare il tema della malattia di Alzheimer e alcuni di quelli che possono essere gli accorgimenti utili per chi è coinvolto nella vita del paziente. È volta a dare un supporto pratico e morale alle persone che vivono questa situazione tutti i giorni. L’obbiettivo è mettere a conoscenza le persone sulle fasi attra- verso cui può passare la malattia e, in particolar modo, come comportarsi di fronte ad alcune delle difficoltà che ne possono derivare. Questa mostra diventa quindi un incentivo concreto a supportare familiari e amici tramite una giusta informazione, racconti e fotografie che facciano riflettere sull’argomento.

La ricerca è stata basata sullo studio di 15 schede pratiche, offerte dal ministero, riguardo a come comportarsi di fronte a una situazione di assistenza a un malato di Alzheimer. Da queste 15 schede sono stati estratti i 10 argomenti principali, che sia Sofia che Annagiulia -autrici della mostra-, hanno vissuto in prima persona, con la zia Giusy e il nonno Giorgio.

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La musicoterapia è un approccio che si può utilizzare come strumento di comunicazione non verbale che utilizza la musica e il suono. La musica consente comunicazioni interpersonali attraverso la mediazione. Una musica conosciuta può avere in sé elementi di prevedibilità, duque di probabile rilassamento; viceversa una musica mai sentita, essendo meno prevedibile, potrebbe accentuare l’inquietudine. Importante è fare sempre attenzione al volume del suono: se fosse troppo alto potrebbe causare l’effetto opposto a quello desiderato.

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“Op, op, trotta cavallino” era quel ritornello semplice e scherzoso degli anni ‘30 che cantavo sempre al nonno Giorgio per farlo calmare nei momenti più difficili della malattia. Ogni tanto il nonno mi guardava spaesato e confuso, senza sapere chi fossi o dove si trovasse ed era proprio in questi attimi che mi veniva in soccorso il suo cantante preferito: Natalino Otto. Il nonno Giorgio non ha mai amato la musica, ma quella della sua giovinezza lo rilassava in particolar modo. Mi prendeva la mano e riusciva a farsi tornare in mente i testi di quelle canzoni che, in fin dei conti, diventavano la sua ancora ai ricordi della vita passata.

Trotta cavallino 6
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Fondamentale quando si affianca una persona malata di Alzheimer, è l’organizzazione della giornata. Il vagare senza scopo induce la persona ad agitarsi. Bisogna pianificare le attività, facendo in modo che sia possibile per il paziente svolgere tutto ciò che è piacevole fare. Essere parte di un’attività da dignità e autostima. Diventa necessario sorvolare sulle incapacità della persona, deve essere convinta di potervi sempre aiutare.

La persona può mutare nel corso del tempo, perdere alcune capacità e conservarne altre, per quanto possibile lasciatela fare. Il modo di svolgere un’attività conta più del risultato finale.

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La zia Giusy doveva sempre fare qualcosa, non poteva stare ferma. Non la si poteva lasciare senza un’attività da svolgere. A mia zia piaceva leggere il giornale. Lo leggeva sempre. Un giorno mi girai un attimo -davvero qualche istante- ed ecco che il danno era fatto: la zia Giusy aveva rovesciato il caffè. Agitata, nel tentativo di riparare al danno, il giornale era diventato uno panno e così andava sfregandolo per tutta la tavola. Aveva per caso dimenticato il suo amato giornale? Non importava, la ringraziai comunque di avermi aiutato.

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Oggi cosa facciamo?
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Quando ci si prende cura di un malato di Alzheimer, diventa importante considerare l’ambiente che lo circonda. Dal momento che la persona spesso non è più in grado di dire apertamente cosa lo infastidisce, lo turba o lo spaventa, sta a noi proteggerlo da tutti quegli stimoli che possono essere nocivi. Diventa quindi fondamentale essere buoni osservatori dell’ambiente in cui si trova la persona malata, per renderlo il più sicuro possibile in relazione alle nuove esigenze che gli si presentano.

Per la persona anche i più semplici elettrodomestici possono essere pericolosi. Per ridurre il rischio, lasciate in vista gli oggetti di uso comune, eliminando dalla vista quelli che man mano non è più in grado di riconoscere.

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Mia zia Giusy qualche volta dimenticava come funzionavano gli elettrodomestici. Avevo sempre paura si facesse del male così tolsi il frullatore, il microonde e il bollitore dalla cucina e staccai il gas, ovviamente senza dirglielo. Potevo stare un po’ più tranquilla. Nonostante ciò un giorno non trovai il tostapane. La zia Giusy mi ha fatto vedere dove trovarlo: “La stufetta è qui”.

La
stufetta è qui
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Se siamo insieme a qualcuno è impossibile non comunicare. Anche se rimaniamo in silenzio ci diciamo molto. Con la malattia cambia inevitabilmente sia il modo di esprimersi della persona, sia la sua capacità di capire gli altri. Comunicare,tuttavia, è ben più che parlare e ascoltare: coinvolge gestualità, tono della voce, espressioni del viso, sguardo, contatto con un braccio o con una mano. Dove la parola non è più in grado di arrivare, spesso si può contare sull’importanza di un piccolo gesto per esprimere ciò che non può essere detto verbalmente.

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piace stare con te

La zia Giusy trovava sempre più difficile esprimersi, ed aveva sempre più difficoltà a capire ciò che gli altri dicevano. Non trovava le parole giuste, ripeteva le stesse cose e perdeva il filo del discorso. Era tornata a parlare il suo dialetto natale e usava tante parolacce. Gesticolava spesso. Ci voleva tanta pazienza e comprensione, dovevo farle sentire che la ascoltavo e cercavo di capirla. La guardavo negli occhi per farle capire che ero attenta. Le serviva tempo per esprimersi ma io la incoraggiavamo sempre.

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Una delle maggiori preoccupazioni per chi assite una persona malata di Alzheimer è che si possa allontanare, perdersi e mettersi in pericolo. È importante prevenire e limitare la fuga. Rendete sicura la casa ma senza far sentire la persona imprigionata. Identificate quelli che possono essere dei pericoli dell’ambiente e mettetevi nei suoi panni: è facile uscire dal garage o dalla cucina? Se nascondete un luogo, coprendo magari la porta con una tenda, non devono esserci segnali visibili -ad esempio lucchettialtrimenti la persona penserà di essere stata privata della sua libertà.

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La zia Giusy e il nonno Giorgio avevano l’abitudine di scappare. Non riconoscevano piu’ il posto in cui abitavano, per questo si sentivano persi, in un ambiente nuovo ed estraneo. Forse volevano ripetere antiche abitudini, qualcosa che era parte della loro vecchia quotidianità. Entrambi soffrivano della “crisi dell’imbrunire”: tendevano a voler tornare nelle loro vecchie case la sera, case che però non esistono più. Per prevenire la loro fuga avevamo sostituito il cassetto in cui solitamente stavano le varie chiavi con un grande cassettone pieno di cose sicure e che gli piacevano. Ci rovistavano per ore.

L’abitudine
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di scappare
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Una persona malata di Alzheimer mostrerà gradualmente maggiori difficoltà a prendersi cura della propria persona. In un primo momento apparirà abbastanza autosufficiente ma colui che la assiste diventerà sempre più responsabile delle sue cure personali. Molti pazienti si adattano con facilità al nuovo stato delle cose, e si fanno quasi “cullare” al momento della pulizia, ma per altri può risultare molto difficile da accettare, perchè vedono questa situazione come una perdita di indipendenza e privacy.

Può essere d’aiuto prendersi cura di se stessi vicino alla persona malata. Se il malato dovesse cominciare a mostrare resistenza al fatto di lavarsi, pettinarsi o farsi la barba, può essere di grande aiuto fare insieme le stesse cose, incoraggiando la dignità.

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Non trovo la maglietta viola

Per mia zia scegliere e indossare gli abiti era spesso difficile e frustrante: non ricordava come vestirsi e si sentiva sopraffatta dal dover scegliere. Le davo le combinazioni già fatte, in modo che non si sentisse sotto pressione. Se c’era una pila di vestiti con colori simili -rosa, rosso, viola- la zia Giusy non trovava la maglietta viola, non riusciva a distinguerla.

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Quando aiutate una persona a mangiare rendete confortevole questo momento, servendo i pasti in un ambiente tranquillo, lontano dalle possibili distrazioni che causano stress. È altrettanto importante scegliere oggetti per la tavola semplici: piatti monocolore che si distinguano bene dalla tovaglia, posate che siano strettamente necessarie e nula che sia puramente decorativo. In questo modo si eviterà di confondere il malato. Non è facile, ma sarebbe bene permettere al malato di mangiare con i tempi e con la modalità che la malattia può aver determinato.

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Durante i pasti della zia Giusy mantenevo semplice l’apparecchiatura della tavola, usando solo le posate e gli oggetti necessari. Spesso era incapace di decidere tra i cibi posti nel suo piatto, per questo gliene servivo solo 1 o 2 tipi alla volta. Incoraggiavo la zia a mangiare in autonomia, ma ogni volta succedeva qualcosa di strano. Una sera andai a riempire due bicchieri d’acqua; neanche il tempo di tornare a tavola e, mentre la zia Giusy chiaccherava allegramente con me, cercava di mangiare la minestrina con la forchetta. Non sembrava particolarmente turbata dal non riuscirci, ma io le passai il cucchiaio senza dire niente, e lei lo prese.

Che fame 30
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Durante la malattia la capacità di riconoscimento del paziente avviene con modalità diverse a seconda dello stadio di sviluppo. Inizialmente si ha il riconoscimento fisiognomico (espressione e mimica facciale) poi quello della familiarità (distinzione tra familiare ed estraneo) e successivamente quello analitico con l’associazione faccia-nomeruolo (funzione). Secondo il modello della retrogenesi, durante la progressione della malattia si perde per prima l’abilità associativa faccianome-funzione. Quella per la familiarità dei volti sembra essere molto resistente al danno con possibili nuovi “apprendimenti di familiarità”, ed infine quella per le espressioni facciali potrebbe rimanere intaccata.

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Lì, vicino ai peperoni

Il nonno Giorgio e la zia Giusy ogni tanto si dimenticavano dove andassero riposti gli oggetti di uso quotidiano. Per loro, a volte, era normale che i bicchieri andassero messi nel microonde. Non abbiamo mai capito il perchè, ma nella loro testa era giusto così. Un giorno chiesi alla zia Giuy dove avesse messo la sua spazzola per i capelli e non mi seppe rispondere. Per caso aprii il frigorifero e lì, vicino ai peperoni, trovai le spazzole della zia. Non feci domande, le presi e le riportai in bagno. Capii che per lei non ci sarebbe mai stato nulla di sbagliato nel fare questa cosa.

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È importante per coloro che assistono una persona malata di Alzheimer saper valorizzare i contenuti restanti della mente del paziente. Bisogna imparare a considerare come “talento” le capacità che sono rimaste nell’individuo. Non bisogna far trasparire il nostro spiazzamento davanti a qualcosa che non riusciamo a comprendere. L’Alzheimer è una malattia orrenda che spoglia il cervello, a poco a poco, di tutte le sue capacità, riducendo l’adulto all’inabilità e all’inesperienza del bambino neonato. Bisogna farli sentire importanti per quello che sono diventati.

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Mio nonno Giorgio spesso scriveva su un foglio di carta quelli che erano i suoi pensieri. Ha sempre amato scrivere: lettere, ricordi, biglietti e a volte anche poesie. Con l’avvenire della malattia ha continuato a esprimersi attraverso la scrittura, ma qualcosa era cambiato: raramente si capiva quello che scriveva. Trovavo spesso biglietti inerenti alla sua vita quotidiana, in particolar modo liste della spesa praticamente incomprensibili. Io ho sempre cercato di assecondarlo senza fargli capire che non ero in grado di comprendere ciò che voleva comunicare. Nella sua testa tutto aveva un senso.

La
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lista della spesa
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La memoria è composta da diverse funzioni ed è possibile stimolare ciascuna di queste in modo specifico e mirato. Per quanto riguarda l’orientamento nel tempo, è utile tenere dei calendari in vista ed invitare il malato a servirsi di essi, ponendo domande semplici che lo aiutino a collocarsi in uno spazio e tempo familiare. Situazioni semplici e ordinate potrebbero renderlo più tranquillo e mentalmente disteso.

Altri modi in cui si può stimolare la mente del paziente sono: l’orientamento nello spazio, l’attenzione, il linguaggio e le attività automatiche.

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Mantenere un ordine nella vita del nonno Giorgio era diventato importantissimo. Ho sempre provato a fargli vivere una routine semplice e il più possibile simile alla sua vita prima della malattia. Scrivevo sul suo calendario tutti i compleanni della nostra famiglia e le ricorrenze a cui era più affezionato. Su una piccola agenda avevo scritto i nomi di noi nipoti e ciò che studiavamo. Ogni 10 minuti sentiva il bisogno di leggere nuovamente ciò che c’era scritto sull’agenda, ma in quei 10 minuti, prima di dimenticare tutto, la sua vita era perfettamente ordinata. Sentiva attorno a se tutto l’amore di cui aveva bisogno.

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Disordine! WS22/23 - PROJECT VC-1B Faculty of Design and Art - Unibz

Professori: Pietro Corraini Gianluca Camillini Stephan Schmidt-Wulffren

Fototgrafie: Sofia Aspromonte Annagiulia Ucci

Autrici della mostra: Sofia Aspromonte Annagiulia Ucci

Cura dei testi: Sofia Aspromonte Annagiulia Ucci

Fonti: AIMA: Associazione Italiana Malati di Alzheimer: https://www.aimareggioemilia.it

Per ulteriori informazioni consultare il sito web: https://www.aimareggioemilia.it/la-malattia/consigli-per-prendersi-cura/.

Crediti
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