2008-3 Oratorio di Anghiari

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UNA STORIA PER PENSARE... a cura di Laura Taddei

Abbi cura di lui!* ...INVECE un samaritano…, poi caricatolo sopra il suo giumento, lo portò ad una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due monete, le diede all’albergatore, e gli disse “abbi cura di lui e ciò che spenderai in più lo pagherò al mio ritorno.” (Lc10,34-35) Oltre la strada, fino alla locanda, continuiamo a contemplare la ricchezza, la fantasia dei gesti dell’Amore del Buon samaritano. Egli, come vediamo, non si limita all’emergenza da soddisfare, ma crea un rapporto con l’uomo ferito, è disposto a pagare di persona, senza aspettarsi nessun tipo di risarcimento. Inoltre ha il coraggio di invitare in questa dinamica di amore anche l’albergatore, chiedendo anche a lui di andare oltre, di fare qualcosa che va al di là del suo stesso ruolo: “abbi cura di lui”; è una raccomandazione che supera il semplice dovere dell’ospitalità, egli non fa altro che allargare ad altri il suo stesso stile di vita. Lui stesso, nei tempi e nei modi ha fatto più di quello che gli era richiesto e invita anche l’altro a fare di più di quello che gli richiede la semplice professionalità di albergatore. Nel tempo stesso, però, non si attacca alla persona che sta aiutando, non lascia i suoi affari per dedicarsi completamente a lui, non lo lega a sé con debito di riconoscenza; lo troverà ancora al suo ritorno? Probabilmente no, ma non importa. Il samaritano ha trovato la via sapiente di chi vive l’amore, la compassione, senza soffocare nessuno, senza attendersi nulla in cambio, il suo andarsene non è segno di disinteresse, perché ripasserà, ma un modo semplice di vivere la gratuità dell’amore; il suo non è un amore appiccicoso e altezzoso, da ultimo si fida dell’albergatore, è convinto che altri al posto suo, come lui e forse meglio di lui, saranno capaci di prendersi cura di questo uomo ferito e condurlo alla salvezza. Tutto il comportamento del Samaritano si fonda su quel “ma” e su quell’ “invece” iniziale. Questa parabola descrive la lotta fra la mente chiusa e la strada aperta. La nostra vita cristiana è una lotta con la nostra incapacità a trovare punti

di rottura ad abitudini, convenzioni, tradizioni, che anziché aprire strade le chiudono. Questo vale nella vita di ciascuno di noi, ma anche in quella della Chiesa intera: rischiamo di essere cristiani poco coraggiosi, scontati, poco alternativi, non dell’alternatività dell’eccentrico, del polemico ad ogni costo, ma quella del cristiano che non segue la mentalità del secolo, ma quella del “non mondo”, che deve costantemente apparire nelle nostre scelte, nelle nostre azioni, nel nostro stile di vita. Si rimprovera spesso, a volte non a torto, alla Chiesa di essere grigia, triste, monotona, chiusa, prevedibile nei suoi discorsi, nelle sue celebrazioni, nel suo normale procedere a patti col mondo. Il vento forte, scomodo della profezia sembra lasciare campo all’aria stagnante di bassa pressione nella quale si può soltanto boccheggiare. A volte capita di sentire frasi di questo tipo: “Non è una suora come le altre...”, “Quella donna, così allegra, pensare che è anche religiosa” “è talmente bravo che non sembra neanche un prete”. Di fronte a queste espressioni ingenue e ingenerose c’è un modo di vedere le cose stereotipato e quindi la normalità è il prete scorbutico, triste, la religiosa inacidita e incapace di rigenerarsi. Quando si incontra un semplice gesto di cordialità, di accoglienza, ne restiamo stupiti, invece di pensare che dovrebbe essere la norma fra noi. Siamo noi che abbiamo contribuito a questa immagine con il nostro grigiore, con le nostre scontentezze, con le nostre chiusure mentali. Per scalzare questo giudizio non dobbiamo affannarci a creare iniziative, costruire chiese, ,inseguire novità e mode; basterebbe essere cristiani che ribadiscono “altrimenti”, “Invece”, “MA”, che vanno “contro corrente” sull’esempio del samaritano. Il cristiano che non frequenta la strada finisce con il chiudersi in casa e trasformare la propria camera, o la propria sacrestia, in una fortezza e fare il contrario del Cristo-samaritano che va sulle strade del mondo. Impariamo da Lui a muoverci verso il nostro fratello con la Sua carità creativa, carica di gesti e di attenzioni. Siamo chiamati non solo a fare il bene, ma a farlo bene, con stile, estro, creatività, capacità inventiva, pronti a imboccare nuovi sentieri, fiduciosi che il Signore ci darà la capacità di farlo. Se siamo incupiti, chiusi, c’è qualcosa che non va nella nostra fede, nel nostro amore. Perché alla fine si riassume tutto nell’esortazione-comandamento: “AMA!” (*da una catechesi di don Benedetto Rossi biblista)

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