Laurea Magistrale IUAV - Colonia Marina Principi di Piemonte - Book di progetto

Page 1

BOOK DI PROGETTO

Studenti: Andrea Melloni 292700

Mauro Zambon 292629

DI PIEMONTE Il recupero di un’architettura tra le dune degli Alberoni
COLONIA MARINA PRINCIPI

1. Introduzione

1.1. Premessa  7

1.2. Approccio adottato  9

2. Le colonie nell’architettura Fascista

2.1. L’Architettura Fascista  11

2.2. Le colonie marine fasciste  14

2.3.1 Sviluppo cronologico delle Colonie Elioterapiche 1920-1925  16 2.3.2 Sviluppo cronologico delle Colonie Elioterapiche 1926-1930  18 2.3.3 Sviluppo cronologico delle Colonie Elioterapiche 1931-1935  20

2.3.4 Sviluppo cronologico delle Colonie Elioterapiche 1936-1943  22 2.3.5 Sviluppo cronologico delle Colonie Elioterapiche Sintesi interpretativa  24 2.3.6 Sviluppo cronologico delle Colonie Elioterapiche Stato conservativo attuale  25

3.

L’area di progetto

3.1. Il Lido e la sua storia  27

4. La Colonia Principi di Piemonte

4.1. Daniele Calabi  33

4.2. Il progetto 1936-1937  34

4.3. Le tecniche costruttive  38 4.4. Riferimenti progettuali  40 4.5. Elementi caratteristici  42 4.6. Ampliamenti successivi 1958-1969  44 4.7. Coerenza rispetto al progetto originale  48 4.8. Vincolo architettonico   50 5. Il rilievo della colonia

5.1. Il rilievo  53 5.2. Le ortofoto  54 6. Il progetto

6.1. Obiettivi progettuali e contesto economico  57 6.2. Approccio progettuale e compatibilità funzionale  59

7. Plastico

7.1. Foto del plastico  63 8. Bibliografia

8.1. Bibliografia  69

Indice

1.1. Premessa

Si sente sempre più spesso parlare di temi quali recupero e riqualificazione in relazione al costruito e a riguardo negli ultimi anni sono state emanate numerose leggi. Ma come mai si parla così tanto di queste tematiche e si cerca di andare verso questa direzione?

Il tema del riuso degli edifici non è recente ma è negli ultimi anni che ha avuto grande fortuna e risonanza: scelte normative come quella del “zero consumo di suolo entro il 2050” hanno lo scopo di incentivare le persone a volgere lo sguardo verso quel patrimonio immobile che costituisce le nostre città e che viene sempre più frequentemente abbandonato e lasciato cadere in rovina. La causa molto spesso non è legata alla posizione, basti pensare ai centri storici, ma alla scomodità di questi edifici se paragonati alle moderne necessità della vita di tutti i giorni. Da un lato i centri città, inquinati e congestionati dal traffico, si svuotano in favore delle zone periferiche, più vivibili e con maggiori spazi oltre che con edifici più recenti e dalle prestazioni migliori; dall’altro interi piccoli paesi si svuotano perché troppo lontani dalle comodità e dai servizi della città. Lo stesso accade con strutture altre rispetto a quelle residenziali che vengono abbandonate perché la loro funzione, o la loro attrezzatura nel caso di industrie, è ormai obsoleta. Il tema però non si esaurisce nella contrapposizione tra centro storico – o piccolo borgo - e periferia: esistono numerosi esempi di architetture più vicine alla contemporaneità che hanno avuto una vita molto breve e versano oggi in stato di abbandono. Le città sono disseminate di costruzioni di questo tipo, come industrie, edifici pubblici in genere, alberghi e caserme, che occupano aree più o meno grandi nel tessuto urbano, sia in centro che nelle zone di periferia. Queste costruzioni rimangono sospese nel tempo nell’attesa di essere demolite o essere riconsegnate alla comunità. Da notare è che accanto a questi luoghi ne vengono eretti altrettanti ex novo, andando ad occupare sempre più suolo e intaccando sempre di più l’ambiente. Secondo l’ultimo censimento del patrimonio immobiliare italiano, effettuato nel 2011, le strutture non utilizzate su suolo nazionale sono quasi 750.000, circa il 5% del totale. Fattore ancora più importante è la dimensione di questi edifici o complessi di edifici: molti sono caserme militari, conventi o monasteri, alberghi e centri di soggiorno vari. Questo significa che un’ingente quantità di spazio e cubatura vengono sprecate in opere non più utilizzate mentre le medesime quantità sono costruite utilizzando altro suolo e altri materiali. Le criticità legate al recupero di questi edifici sono date dalle loro grandi dimensioni e dalla bonifica che molto spesso si deve eseguire per rimuovere materiali pericolosi. Ciò comporta un notevole dispendio di denaro che le singole amministrazioni non sono in grado di raccogliere e di conseguenza queste si trovano obbligate a lasciare in stato di abbandono parte delle loro proprietà. Le me-

1. Introduzione
7

desime problematiche si ritrovano nei casi di edifici di proprietà di un privato cittadino, che a maggior ragione si trova impossibilitato nella riqualificazione del bene di suo possesso. Se su questi edifici si eseguissero interventi di recupero si otterrebbero una serie di benefici: innanzitutto si potrebbe godere nuovamente di spazi un tempo frequentati e abitati, come i centri città o i piccoli borghi, e allo stesso tempo si potrebbe godere di un’ampia moltitudine di nuovi spazi dove poter creare comunità, riadattando tutti quegli edifici che un tempo ospitavano industrie o che comunque si trovano ai margini della zona abitata. Tutto ciò si ripercuoterebbe sull’uso di nuovo suolo che verrebbe pressocché azzerato o comunque molto ridotto, avendo anche impatti positivi sull’ambiente che ci circonda. Oltretutto si potrebbe nuovamente godere di spazi comunitari perduti da tempo, permettendo alle persone che abitano un luogo di riconnettersi con la storia del luogo stesso.

8

Approccio adottato

L’intento di questo lavoro è quello di ripensare un luogo e un complesso di edifici la cui funzione originaria è venuta meno nel corso del tempo. Nel corso degli anni, le colonie marine hanno perso sempre più importanza e, l’iniziale scopo di meta vacanziera per i bambini delle classi meno agiate è venuto meno, soprattutto da quando l’Italia è entrata nel periodo del boom economico degli anni ’60. La colonia marina Principi di Piemonte, oggetto di studio, così come molte altre, non ha saputo riadattarsi alle nuove dinamiche socio-economiche e questa sua immobilità ne ha decretato l’abbandono, in cui tutt’ora versano gli edifici che la compongono. Ben consapevoli dell’importanza storica del progetto e del progettista, Daniele Calabi, l’approccio che abbiamo scelto di adottare per ripensare questo luogo è quello del mantenimento della memoria delle strutture e di quello che rappresentano. Inoltre, si è scelto di sottolineare il rapporto tra il progetto e ciò che lo circonda, ossia la località Alberoni, nell’ottica di ridare alla zona e alla comunità che qui abita un luogo di ritrovo, che fosse sia adatto alle necessità moderne ma che custodisse anche la storia dell’area.

Nella pratica questo intento si è trasposto nel mantenimento delle volumetrie esistenti, senza alterarne l’aspetto e senza creare altra cubatura. Per la scelta del nuovo ruolo che il complesso può assumere si sono guardati i bandi previsti dal PNRR e si è scelto, dopo opportune analisi, di creare un centro all’avanguardia sulla mobilità sostenibile. Una funzione come questa, oltre ad essere un elemento di pregio per tutta la città di Venezia diventerebbe anche un’occasione per rivitalizzare un’area che continua a registrare un lento e continuo abbandono, come sta accadendo in tutta la Laguna.

La realizzazione di un centro di ricerca e le collaborazioni che questo stringerebbe con aziende e università nazionali e internazionali, renderebbero queste terre luogo fertile per giovani e studiosi. L’obiettivo è ambizioso e molto complesso da raggiungere ma è preferibile alla costruzione dell’ennesima struttura turistico-ricettiva da cui Venezia e il Lido sono gravate. Oltretutto la trasformazione di questo complesso in un resort di lusso sarebbe una scelta riduttiva e lesiva per l’architettura stessa, oltre che per il contesto paesaggistico in cui si inserisce. La scelta di creare un grande albergo inoltre non gioverebbe alla comunità che anzi ne risulterebbe ulteriormente debilitata.

9
1.2.

2.1. L’Architettura Fascista

Il Ventennio Fascista inizia con l’ascesa del partito di Benito Mussolini nel 1922 e termina con la caduta del regime avvenuta il 25 luglio 1943. Si tratta di un periodo di grandi rivoluzioni che ha portato l’Italia a forti cambiamenti sia politici che sociali, con riflessi anche sui canoni estetici relativi all'architettura.

All’inizio degli anni '20 l’Italia aveva messo da parte i concetti del Futurismo, dei quali si era parlato fino a poco prima, per passare alla ricerca di nuove forme di abitare e vivere in città.

Nel 1914 Benito Mussolini fonda il Partito Fascista con intenzioni rivoluzionarie, è per questo che inizialmente le proposte del partito sono avanguardiste, in una più ampia cornice europea dove si stava affermando il funzionalismo, una corrente architettonica concentrata sulla funzione pratica degli edifici, sulla loro destinazione d’uso, totalmente slegata dalla loro forma. Il partito si avvaleva di architetti razionalisti per riformare il panorama architettonico italiano: l’Italia doveva essere al passo con i tempi, doveva inserirsi nel modernismo e nel progresso delle tecnologie costruttive più moderne. Il Modernismo, di cui grande esponente fu Le Corbusier, nasce in concomitanza con la diffusione di nuove tecnologie costruttive, come ad esempio, l’uso del calcestruzzo armato in strutture portanti puntiformi, tecnica che penalizzava la monumentalità degli edifici a favore della velocità di costruzione. Mussolini comprende l'importanza di concetti come progresso e l’essere al passo con i tempi e su di essi basa la sua ricerca di consensi, ponendo l'accento sul loro peso nella creazione di una nazione moderna e forte: in questo contesto il Razionalismo viene individuato come fondamentale alleato in quest'opera di ammodernamento. wDimostrare che l’Italia era un luogo di giovani, volti al progresso e alla crescita economica, era l’obiettivo di Mussolini. L’architettura moderna agli occhi del partito appariva come una minaccia, era accusata di essere “straniera” e di non aver avuto radici culturali nazionali.

Nel grande progetto di rinnovo della nazione, la velocità di costruzione, grazie alla standardizzazione e alle moderne tecnologie, avrebbe giocato un ruolo fondamentale per la rinascita delle città. In questo periodo, alcuni giovani architetti si unirono per dare inizio al Razionalismo italiano, tentando anche di farlo divenire lo stile identitario del nuovo governo. La collaborazione di questi architetti prese il nome di Gruppo 7 ed era composta da importanti figure dell'epoca: Luigi Figini, Guido Frette, Sebastiano Larco, Gino Pollini, Carlo Enrico Rava, Giuseppe Terragni e Ubaldo Castagnoli, che sarà sostituito da Adalberto Libera.

Questo collettivo si proponeva di riformare e rivoluzionare il pensiero architettonico attraverso la ricerca formale e funzionale del più puro razionalismo, un cambiamento molto forte.

2. Le
colonie nell’architettura Fascista
11

Il

gruppo iniziò a farsi conoscere con una serie di articoli apparsi sulla rivista Rassegna Italiana, sulla quale resero noti al pubblico i nuovi princìpi dell’architettura razionalista nazionale, che si rifacevano al Movimento Moderno, ormai in crescita in tutta Europa.

Diedero vita ad un movimento chiamato MIAR, "movimento italiano per l’architettura razionale", al quale aderirono più di cinquanta architetti in tutta Italia, diffondendo così ideali di modernità in tutta la penisola.

A partire dal 1931, il governo di Mussolini vira sempre più verso una impronta autoritaria fino a sfociare nella dittatura. Questo grande processo di rinnovo comincia quindi a preoccupare il partito fascista e a rappresentare un pericolo perchè in contrasto con le linee del partito.

Si apre quindi un bivio per il governo fascista: accogliere e incentivare queste idee oppure accantonarle a favore di ideali estetici maggiormente in linea con quelli del partito. La scelta ricade sulla seconda e quindi si decide di bloccare la diffusione di alcuni ideali. Inizialmente Mussolini voleva farsi vedere aperto verso un processo di rinnovamento, come accadeva in altri Paesi europei, adottando le migliori novità tecniche provenienti dalle nazioni vicine, ma dal momento in cui i consensi al partito e ai suoi ideali cominciarono ad aumentare fermò questo processo di innovazione per allineare il Paese alle volontà sue e del partito. Venne vietato l'impiego di materiali provenienti da Paesi esteri per il rivestimento delle facciate degli edifici, mentre viene lasciata libera scelta per gli interni. Questa scelta era legata alla difficile situazione economico-finanziaria dell'Italia, appena uscita dalla Prima Guerra Mondiale, che rendeva difficile reperire tutti i materiali da costruzione entro i confini nazionali.

Il Gruppo 7 venne sciolto ma nonostante ciò i vari esponenti continuarono a progettare intensamente: Terragni darà esempio delle sintesi elaborate in questo contesto, nella Casa del Fascio di Como (Fig. 1) del 1932-1936, sede locale del partito fascista, dove la facciata è stata disegnata secondo le proporzioni della sezione aurea e dove forme e strutture moderne si fondono con un impianto classico.

A questo periodo risalgono anche altri edifici come, ad esempio, l’istituto di fisica dell’Università "la Sapienza" di Roma, di Giuseppe Pagano, opera razionalista e fortemente funzionalista, disegnata nel dettaglio per rispondere perfettamente alla sua destinazione

Fig.1

La “Casa del Fascio” di Terragni a Como. Costruita tra il 1932 e il 1936 è il più importante esempio di architettura razionalista in Italia

12

d’uso futura, ovvero sede universitaria.

Giovanni Michelucci progettò invece la Stazione di Santa Maria Novella a Firenze, stazione adiacente alla chiesa omonima, la cui facciata è stata disegnata da Leon Battista Alberti.

Il regime fascista inizia quindi a rifiutare l’innovazione tecnica e stilistica del razionalismo, sia per questioni politiche, sia per questioni di immagine del regime stesso. A fronte di ciò, sarà lo stesso Partito a imporre regole costruttive e stilistiche su tutto il territorio nazionale.

Mussolini si comportava quindi come un architetto, era lui a progettare la gran parte dei monumenti degli edifici di quell’epoca, e infatti Marcello Piacentini, architetto del partito, si limitava alla gestione e al disegno dei progetti.

A questi anni risalgono alcune piazze monumentali italiane come piazza Vittoria a Brescia che conserva tutt’oggi il podio su cui saliva Mussolini, oppure Piazza Montegrappa a Varese.

In questi anni venivano usati materiali unicamente italiani come marmi, pietre e metalli locali, rifiutando ogni utilizzo di calcestruzzo armato in facciata.

L’ultima fase dell’architettura fascista può essere sintetizzata nel progetto E42 ovvero l’esposizione universale di Roma del 1942, che prese forma con il quartiere romano noto come E.U.R.. Nonostante i lavori abbiano raggiunto un stadio avanzato, l'esposizione non vedrà la luce a causa della lunghezza del cantiere.

Luigi pagano, Luigi Piccinato, Luigi Vietti, Adalberto Libera, Gaetano Minnucci, Ernesto La Padula, Mario Romano e Luigi Moretti, furono chiamati sotto la guida di Marcello Piacentini per progettare quest'area in uno stile che divenne poi classicismo essenziale.

I lavori iniziano formalmente nel 1937, quando Mussolini pianta simbolicamente un pino romano nell’area di progetto.

I lavori si bloccheranno dopo poco tempo a causa dell’entrata in guerra dell’Italia nel Secondo Conflitto Mondiale.

Tutti gli edifici erano pensati con finitura in marmo e travertino, non a caso materiali largamente usati dall’Impero Romano.

Uno degli edifici più caratteristici e simbolici è il Palazzo della Civiltà Italiana (Fig. 2), edificio che si rifà al Colosseo in chiave razionalista, capolavoro di Giovanni Guerrini, Ernesto Lapadula e Mario Romano. L’opera vede un impianto classico con aspetto formale monumentale e razionalista, le finiture sono in travertino, pietra per eccellenza impiegata dall’Impero Romano, con struttura portante in calcestruzzo armato, attentamente nascosta.

Questo ventennio così importante dal punto di vista della storia dell’architettura italiana si concluderà il 25 Luglio 1943, data in cui formalmente cade il Regime Fascista.

Fig. 2

Il

1939-53

13
“Palazzo della Civiltà Italiana” all’EUR di Roma,

Le colonie marine fasciste

Fin dall’antichità il sole è considerato, oltre che l’elemento vivificatore della natura, un mezzo prezioso per prevenire e guarire molte malattie. Queste benefiche proprietà sono conosciute fin dai tempi dei Romani, la cui architettura vedeva la presenza di terrazze speciali dette solaria, correttamente orientate, usate sia dai soldati che dagli ammalati al fine di trarre il massimo beneficio dall’esposizione solare.

Le prime colonie elioterapiche vengono istituite in Italia nella seconda metà dell’800 ma hanno il vero grande sviluppo nel ‘900, in particolare durante il ventennio fascista. Inizialmente erano istituzioni finalizzate principalmente alla cura del rachitismo e all’irrobustimento dei bambini e dei ragazzi. Erano anche importanti centri di aggregazione e socializzazione delle classi più povere le quali non si potevano permettere di andare in vacanza in un'epoca dove l’Italia era un Paese povero e rurale appena uscito dal primo conflitto mondiale.

Queste colonie, oltre che a garantire momenti di socialità ai propri ospiti, erano anche l’unica possibilità per alcuni di avere ogni giorno tre pasti, lusso che non tutte le famiglie erano in grado di garantire. Fino a quando il Partito Fascista non è salito al potere, queste colonie appartenevano per lo più a banche, opere pie e singoli benefattori religiosi o laici che le rendevano disponibili a scopo caritatevole. Con l’avvento del fascismo queste organizzazioni mutano radicalmente nella gestione e nel fine.

Il Partito Fascista decide di affidare la gestione di queste strutture alle federazioni locali del partito e all’Opera Nazionale Balilla assorbita poi, a partire dal 1937, dalla Gioventù Italiana del Littorio (GIL). Le colonie vengono riorganizzate e strutturate in modo da riflettere l'organizzazione della nazione e in modo da costruire, a partire dai più piccoli, uno stato totalitario. L'obiettivo finale era quello di formare le giovani menti di bambini e ragazzi in modo da avere in futuro degli adulti fedeli al partito e ai suoi ideali. Le colonie fornivano inoltre un valido strumento di propaganda politica: mostravano come lo Stato di preoccupasse dei più deboli e i più svantaggiati, accogliendoli in queste strutture moderne, sane e con tutti i comfort. Le colonie erano un mezzo su cui il partito credeva fortemente, basti pensare al numero di bambini ospitati, 54 mila già nel 1927 prima che Mussolini salisse al potere. Queste strutture, concentrate soprattutto sul litorale romagnolo e toscano, erano imponenti edifici progettati dai migliori architetti dell’epoca. I progettisti avevano l’obbligo di esprimere nei loro progetti la modernità intesa come valore dell’avanguardia e del regime. Le colonie diventarono quindi il modo di sperimentare il nuovo linguaggio architettonico in chiave razionalista e funzionalista. Dopo la Seconda Guerra Mondiale viene riconosciuto il carattere formativo ed emancipante delle colonie, le quali non sono più rivolte alle sole fasce svantaggiate. Le colonie hanno una nuova vita a partire dagli anni Cinquanta,

14
2.2.

quando si punta maggiormente sulla funzione sanitaria e ricreativa, ma anche sul rendere disponibile ai ragazzi un luogo in cui riprendersi dagli effetti del conflitto bellico. Queste strutture passano di competenza alle Amministrazioni, Comuni, Comunità Montane e agli Enti Pubblici che le riorganizzano con princìpi completamente differenti rispetto quelli utilizzati in precedenza. Verso la fine degli anni Settanta si assiste alla dismissione e all’abbandono delle strutture che fino a quel momento avevano ospitato centinaia di migliaia di bambini provenienti da tutto il Paese. Mentre pochissime restano aperte o vengono reimpiegate per altri scopi, negli anni Novanta queste strutture sono generalmente lasciate a loro stesse, completamente abbandonate e in breve cadono in gravi stati di degrado. Molte sono le cause che hanno portato a questo scenario: prima tra tutte l’aumento del reddito delle famiglie italiane, che a seguito del boom economico si sono arricchite e hanno sempre più preferito scegliersi autonomamente dove passare le vacanze, e in secondo luogo una crescente percezione del soggiorno in colonia come una vergogna. In parallelo a questi fattori hanno contribuito all'abbandono delle colonie il crollo demografico e i tagli fatti dalle singole amministrazioni a strutture simili nell'ottica di rendere più efficienti le spese pubbliche. Le colonie oggi sono un tema molto delicato che non ha ancora trovato una soluzione: dal punto di vista del recupero queste grandi strutture sono difficili da gestire, basti pensare alla difficoltà nell'individuare le nuove funzioni da collocarvi o al fatto che non esiste ancora un elenco completo ed esaustivo del numero di strutture simili sul territorio nazionale. La loro riqualificazione è molto spesso difficoltosa perchè la maggior parte delle strutture del Ventennio è vincolata dalla Soprintendenza mentre quelle successive, prive di direttive statali, vengono demolite per costruire edifici nuovi e più performanti. Un altro elemento di difficoltà sta nell'uso di materiali oggi fuori legge, come per esempio l'eternit, o nell'avanzato stato di degrado dei materiali che rende estremamente costoso un loro recupero, se paragonato alla loro eliminazione. Altro motivo per cui le colonie giacciono in stato di abbandono è il rifiuto dei progetti di recupero portati alle amministrazioni: molto spesso questi interventi non tengono conto della storicità del bene e del suo valore e insistono nell'inserire la medesima funzione, ovvero quella di strutture ricettive, in complessi che potrebbero accoglierne altre più utili alla cittadinanza. Vi sono però anche casi di progetti di trasformazione che hanno dato nuova vita a colonie abbandonate e degradate dove il progetto rispetta la storia dell'edificio: tra questi c’è quello riguardante la colonia marina di Calambrone, in provincia di Pisa, dove il complesso è diventato un grande nucleo residenziale con al suo interno spazi dedicati alla comunità. Questo progetto mostra come il recupero delle colonie si può fare e come può influire positivamente sulle aree circostanti, fino a quel momento degradate e abbandonate.

15

1. 1922 Colonia Giovinezza, Pietra Ligure 2. 1922 Colonia Umberto di Savoia, Pietra Ligure 3. 1923 Colonia Cottolengo, Celle Ligure 4. 1923 Colonia San rocco, Marina di grosseto 5. 1925 Colonia Minturno, Scauri

1, 2

4

2.3.1 Sviluppo cronologico delle Colonie Elioterapiche 1920-1925 5
3

1.1924 Colonia Mario Ruini Modenese, Riccione

2. 1925 Colonia marina, Lido di Noto

1 2

Sviluppo cronologico delle Colonie Elioterapiche 1926-1930

2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
2, 1 3 5 7 4 6
2.3.2
1. 1926 Colonia Senese Ettore Motta, Marina di Massa
1926 Colonia Vittorio Emanuele II, Marina di Massa
1927
Colonia Principessa Maria di Piemonte, Forte dei Marmi 1928 Colonia Marina Snia Viscosa, Monterosso al Mare 1928 Colonia marina, Tarquinia 1929 Colonia Rodolfo Sessa, Celle Ligure 1930 Colonia fascista Luigi Pierazzi, Follonica
1930 Colonia preventorio, Tropea

2. 1926 Colonia Perugina, Torre Pedrera 3. 1926 Colonia Patronato Scolatico, Marebello 6. 1928 Colonia del fascio Jesolone, Gaeta a Mare 8. 1928 Colonia Pavese, Igea Marina

11.1930 Colonia Alessandro Mussolini, Miramare 12. 1930 Colonia Milanese Alba, Igea Marina 13. 1930 Colonia Ferrovieri fascisti, Bellaria 14 .1930 Colonia Giuseppe Amati Marebello, Rimini 15. 1930 Colonia Principessa Piemonte, Misano 16. 1930 Colonia Villa sacro cuore, Milano Marittima

1. 1926 Colonia Latteria Soresinese, Torre Pedrera

4. 1927 Colonia Alfonso Fusco, Misano Adriatico 5. 1927 Colonia Santa Lucia, Marotta 7. 1928 Colonia Francesco Baracca, Cesenatico

9. 1928 Colonia Villa Marina, Pesaro 10. 1929 Colonia Luigi Scargilla,Leuca

1, 2 16 8 6,7, 8, 12 3, 11, 14 4, 13, 15 9 5
10

1931 Colonia Vittorio Emanuele III, Lido di Ostia

1931 Colonia Torio temporanea Luigi Giuliani, Loano

1932 Colonia comune di Milano, Marina di Andora

1932 Colonia marina Principi di Piemonte, Tirrenia

1932 Colonia Milanese INAML, Marina di Andora

1933 Colonia Marina Arnaldo Mussolini, Torre Annunziata

1933 Colonia marina comunale, Marina di Pisa

Elena,

Ilva,

marina Vincenzo

Dux,

dei Marmi

Finale

di Piemonte,

2.
13.
17.
19.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
2.3.3 Sviluppo cronologico delle Colonie Elioterapiche 1931-1935 1. 1931 Colonia Rosa Maltoni Mussolini, Tirrenia
1931 Colonia permanente Alto Milanese, Ceriale
1933 Colonia FIAT Edoardo Agnelli, Marina di Massa
1934 Colonia Vittorio Emanuele III, Tirrenia
1935 Colonia PNF Genova, Chiavari
1931 Colonia Firenze, Calambrone
1931 Colonia Milanese Padiglione Baslini, Celle ligure
1931 Colonia Albert Lodolo, Marina di Castagneto
1931 Colonia Principi di Piemonte, Salerno
1931 Colonia Vittorio Emanuele III ed Elena, Loano
14.
15.
16. 1933 Colonia marina Mussolini,Salerno 18. 1934 Colonia Marina Regina
Tirrenia 20. 1935 Colonia Marina
Forte
21. 1935 Colonia
Lancia,
Ligure 22 1935 Colonia Marina
Poetto 23. 1933 Colonia Principi
Santa Severa 18, 17, 11, 3, 1 19, 13 20, 15 5 12, 10, 2 9, 7 21, 4 23 8 22

2, 5, 7, 15, 16, 17 6, 9, 11, 12, 21, 23

1. 1931 Colonia Fascio Primogenito Milanese, Pesaro 2. 1931 Colonia IX Maggio, Riccione 3. 1931 Colonia marina, Torre Faro 6. 1932 Colonia Marina Ternana, Igea Marina 7. 1932 Colonia PNF Milano Enrico Toti, Riccione 8. 1932 Colonia Marina Maria Pia di Savoia, Sciacca 10. 1933 Colonia MVSN, Pescara 11. 1933 Colonia Lane eo Mare 12. 1933 Colonia Principessa Piemonte, Torre Pedrera 13. 1933 Colonia Rosa Maltoni Mussolini, Giulianova 16. 1934 Colonia Bolognese Decima Legio, Rimini 17. 1934 Colonia Amos Maramotti, Riccione 18. 1934 Colonia Sacro Cuore, Torre Canne 19. 1934 Colonia XXVIII Ottobre, Cattolica 21. 1935 Colonia Ferrovieri fascisti Dante, Cervia 22. 1935 Colonia Fascisti Ferrovieri, Senigallia 23. 1935 Colonia di Cantù, Cesena 24. 1935 Colonia GIL Maria Pia di Savoia, Senigallia 25. 1935 Colonia Umberto I di Savoia, Senigallia 26. 1935 Colonia Principi Piemonte, Porto San Giorgio 27. 1935 Colonia marina Roberto Farinacci, Vittoria 4, 19 1 14

6

22, 24, 25 10 18 13 26

3 27 8
4. 1932 Colonia Camillo Balbo, Cattolica 15. 1934 Colonia Federazione Fascista Novara, Rimini 20. 1935 Colonia ENEL, Alberoni 14
5. 1932 Colonia Marina Enel Rimini, Rivazzurra 14. 1934 Colonia del fascio ravennate, Ravenna 20 16,
9. 1933 Colonia Mantovana, Cervia

1941 Colonia Stella Maris, Maiori

2.3.4
6.
9. 1939 Colonia
11. 1940 Colonia
10. 1939 Colonia
13. 1943 Colonia XXVIII
3. 1937 Colonia
1.
2.
4.
5.
7.
8.
12.
1 8 11,
13,
9
Sviluppo cronologico delle Colonie Elioterapiche 1936-1943
1938 Colonia Nove Maggio, Marinella di Sarzana
Regina Elena, Formia
Italo Balbo, Cinquale
Costanzo Ciano, Calambrone
Ottobre, Pietra Ligure
Legnano, Pietra ligure
1936 Colonia astigiana IX Maggio, Marina Andora
1936 Colonia XXVIII Ottobre, Marina di Massa
1937 Colonia femminile federazione di Vercelli, Marina di Carrara
1937 Colonia dei ferroviari, Marina di Pisa
1938 Colonia Italcementi, Vittoria Apuana
1938 Colonia IX Maggio, Moneglia
7, 2
3 6, 4
10, 5

3. 1936 Colonia Dalmine, Riccione

4. 1936 Colonia G.Postiglione, San Menaio 5. 1937 Colonia Lino Redaelli, Cesenatico

6. 1937 Colonia Costanzo Ciano,Lignano

7. 1937 Colonia GIL Macerata,Porto Civitanova

8. 1937 Colonia Varese, Cervia

9. 1937 Colonia Marina Dux, Pozzallo 12. 1938 Colonia GIL Milano, Milano Marittima 13. 1938 Colonia Gondar, Riccione

14. 1938 Colonia Marina, Silvi

15. 1938 Colonia Stella Maris, Siponto

16. 1938 Colonia Stella Maris, Pescara

18. 1939 Colonia Primavera, Riccione 19. 1939 Colonia San Polo Brescia, Francavilla Al Mare 21. 1942 Colonia Dott. Paolo Missiroli, Cervia

1. 1936 Colonia Principi di Piemonte, Alberoni

2. 1936 Colonia F.Bertazzoni, Riccione

10. 1938 Colonia AGIP Sandro Mussolini, Cesenatico

11. 1938 Colonia Montecatini, Milano Marittima 17. 1939 Colonia della federazione di Trento, Bellaria 20. 1941 Colonia Ca’ Roman, Pellestrina

1, 20 6 12 2, 3, 13, 18 4 15 14 7 5, 8, 10, 21 11, 12 16, 19 17 9

2.3.5 Sviluppo cronologico delle Colonie Elioterapiche Sintesi interpretativa

L'analisi svolta, nonostante le difficoltà nel reperimento dei dati e trattandosi di edifici mai censiti su suolo nazionale, mostra il panorama delle colonie marine elioterapiche di epoca fascista su territorio italiano. Le colonie, in stile razionalista e funzionalista, si presentano come fenomeno eterogeneo il cui sviluppo avviene prevalentemente nella costa del nord Italia. A fronte dell'analisi effettuata, che conta 115 colonie marine elioterapiche sparse lungo le coste italiane, l'Emilia Romagna si presenta come la regione avente il maggior numero di colonie seguita da Toscana e Liguria. Questo sviluppo eterogeneo è tutt'altro che casuale, infatti le colonie, oltre ad essere impiegate con lo scopo di controllare e gestire la formazione dei ragazzi, servivano al partito fascista come vetrina internazionale del proprio operato e venivano preferiti quei luoghi maggiormente conosciuti anche fuori dall'Italia. Per queste ragioni le colonie facevano parte di una serie di interventi fondamentali per il partito, che nonostante il raggiungimento dei consensi il partito decise di non interrompere. 115 COLONIE MARINE ELIOTERAPICHE

TOSCANA

LIGURIA

24
18%
15%
33% EMILIA ROMAGNA

L’analisi eseguita ha come obiettivo, oltre alla ricostruzione storica dell’importanza che le colonie elioterapiche rivestivano per il fascismo, quello di documentare il loro stato conservativo ad oggi. Infatti le colonie, così come molte altre tipologie di edifici di quell’epoca, creano una vera e propria sfida nel loro recupero e riutilizzo. Si tratta di edifici il più delle volte di ampia metratura e con livelli di degrado piuttosto avanzato. Nella maggior parte dei casi si preferisce demolire e ricostruire piuttosto intervenire sull’esistente. Sebbene alcune di queste colonie siano vincolate dalla Soprintendenza, la maggior parte non è sottoposta a vincoli e la perdita di questi edifici elimina pezzi di storia italiana. Le difficoltà legate al loro recupero sono esemplificate dal loro stato conservativo, il più delle volte precario a causa di situazioni di abbandonato. Quasi la metà delle colonie marine recuperate sono state convertite in hotel più o meno lussuosi. Questo tipo di funzione, seppur richiami la funzione originaria risulta essere incompatibile per via di tutti i comfort a cui un albergo è chiamato a rispondere.

2.3.6
25
Sviluppo
cronologico delle Colonie Elioterapiche Stato conservativo attuale
RECUPERATE 34% ABBANDONATE 40% DEMOLITE 26%
Ricettivo di lusso 17 8 6 6 1 1 1 1 Residenziale Polo scolastico Centro vacanze Centro anziani Ospedale Spazio espositivo Area divertimento Recuperata Demolita Abbandonata

3.1. Il Lido e la sua storia

Il Lido di Venezia da sempre protegge la laguna e ne favorisce lo sviluppo. Questa sottile striscia di terra, larga tra i 300m e il chilometro, separa le acque del mare adriatico da quelle dell’ambiente lagunare e, fin da epoca romana, è stato utilizzato come punto di snodo dai commercianti dell’entroterra. Da porto della città di Padova nei secoli si è trasformato notevolmente: da zona a vocazione portuale e in seguito agricola, a meta ambita per soggiorni estivi di lusso e a sede di importanti eventi internazionali, come la Mostra del Cinema.

Ad oggi il Lido è il risultato di notevoli influssi e differenti vocazioni che si sono avvicendate nei secoli.

Le prime testimonianze risalgono all’epoca romana e riguardano in particolare l’abitato di Malamocco. Questo centro, all’epoca il più popoloso sull’isola, svolge il ruolo di porto per la città di Padova mentre il resto dell’isola ha vocazione agricola. Con le invasioni barbariche il centro si ingrandisce ulteriormente, tanto da assumere il ruolo di sede vescovile. L’importanza assunta dal luogo viene meno quando la sede vescovile viene spostata nella zona di Rialto, dando vita all’odierna città di Venezia. Con l’espansione della Repubblica e l’aumento della sua importanza nasce la necessità di difendere la Laguna: si costruiscono una serie di forti con lo scopo di fermare eventuali attacchi nemici in mare aperto per salvaguardare la città e le isole limitrofe. Tra i forti costruiti nel corso del XVI secolo i principali sono quelli a protezione delle bocche di porto: particolarmente importanti per dimensioni e posizione sono il Forte San Andrea e il Forte San Nicolò a Nord del Lido. Allo stesso periodo risalgono anche molti ottagoni, come quelli di San Pietro e di Alberoni, questi ultimi a difesa dell’ingresso centrale alla Laguna, la bocca di porto di Malamocco, che separa il Lido dall’isola di Pellestrina. All’epoca il confine del lido è molto diverso da quello attuale, con lunghi frangiflutti con funzione difensiva che si diramano dalla parte meridionale dell’isola protendendosi

Fig. 3

Disegno del XVI secolo che raffigura il Lido. Sono evidenti i frangiflutti che si protendono verso il mare e che permettono l’accumulo di sabbia

3.
L’area di progetto
27

verso il mare aperto, come si vede nella mappa datata metà del XVI secolo (Fig. 3).

Nel secolo seguente l’apparato difensivo della città viene ulteriormente integrato e migliorato, con la costruzione di altri forti. In questo periodo viene eretto il Forte degli Alberoni, ad oggi ancora in uso ma con una funzione differente da quella originaria. Il forte viene costruito a causa degli attriti tra Veneziani e Turchi, che sfoceranno nella Guerra di Candia del 1645-49 L’impianto è pentagonale dall’andamento irregolare e la posizione era prossima alla riva del mare (Fig. 4). I frangiflutti costruiti nel secolo precedente accumulano sedimenti e sabbie portati dalle onde e iniziano a cambiare il perimetro del Lido. Allo stesso periodo risale la costruzione, nella parte Nord, della Chiesa di S. Maria Elisabetta che sarà il centro di un nuovo agglomerato urbano.

Fig. 4

Pianta e sezioni del Forte Alberoni, su progetto austriaco. Il forte si presenta come un pentagono irregolare circondato da un fossato

È con il XIX secolo che l’isola si trasforma completamente. Con la dominazione austriaca il sistema difensivo della Laguna viene ingrandito con la costruzione di numerose batterie e forti, soprattutto lungo tutto il Lido. Nella zona meridionale di quest’ultimo viene eretta, in prossimità del Forte Alberoni, la Batteria Rocchetta che risale alla metà del secolo. Già in questo periodo è visibile la trasformazione della zona, ora molto più estesa che in passato grazie all’accumulo di sedimenti. Il Forte Alberoni, ormai lontano dal mare, si trova al limite di una grande zona di dune sabbiose. È anche grazie a queste distese di sabbia bianca (Alberoni deriverebbe da “Albaiones” con riferimento al colore bianco delle dune) che la zona, e in generale il Lido, inizia a diventare una meta turistica per la nascente classe borghese. L’effetto investe soprattutto la parte settentrionale dell’isola, dove sorgono molti alberghi e villini per trascorrervi soggiorni estivi. Negli anni Settanta il crescente interesse per il Lido porta alla creazione di una linea di collegamento - via vaporetto - dalla stazione ferroviaria di Venezia alle spiagge. Contemporaneamente viene creata la prima linea tramviaria sull’isola con lo scopo di portare più agevolmente i villeggianti ai vari alberghi e zone balneari. Accanto alla vocazione turistica si sviluppano anche gli ospizi marini, dal momento che le ultime ricerche scientifiche mostravano l’influsso positivo della balneazione su

28

determinate malattie. Sorgono molte strutture lungo la costa ma l’impulso maggiore allo sviluppo del Lido viene dato dalla fondazione della Compagnia Italiana Grandi Alberghi (1906). Grazie ai suoi investimenti nell’area settentrionale vengono costruiti grandi e lussuosi alberghi, come l’Excelsior e l’Hotel des Bains la compagnia interviene anche nella zona meridionale del Lido aprendo i Bagni Alberoni, spiaggia attrezzata tutt’ora esistente (Fig. 5).

È nei primi del Novecento che la zona a nord si satura di strutture ricettive, mentre man mano che si scende lungo l’isola le abitazioni si diradano. La zona di Alberoni, finora quasi disabitata, viene riconvertita per farne una meta turistica. Si inizia questa trasformazione già coi Bagni e la si continua con la chiusura del Forte Alberoni e la sua rifunzionalizzazione a campo da golf (1928). Negli stessi anni, gli anni del Ventennio, poco lontano dal circolo vengono costruite delle colonie marine per bambini e ragazzi allo scopo di dar loro un luogo salubre in cui trascorrere il periodo estivo: queste sono la Colonia Enel, la Colonia INPDAP e la Colonia di Padova o “Principi di Piemonte”.

Ad oggi il Lido non ha cambiato la sua vocazione di fondo, quella turistica, mentre la zona di Alberoni ha perso importanza, come testimoniano i pochi abitanti e le colonie abbandonate. La colonia Principi di Piemonte viene definitivamente chiusa nei primi anni ’90, mentre la Colonia INPDAP nel 2008. La colonia Enel, venuta meno la sua funzione originaria, è stata trasformata in un complesso di residenze per turisti e alcune unità rimangono tuttora invendute. Negli ultimi anni la zona, viste la notevole importanza della fauna e della flora che vi insistono, è entrata a far parte delle aree protette dal WWF.

Fig. 5

L’hotel Excelsior sul lungomare del Lido. La costruzione è del 1908 e, nonostante numerosi interventi di ampliamento, si nota ancora lo stile eclettico scelto dal progettista

29

1838

1846 1900

Inizialmente a vocazione agricola e poco abitato, nel corso dell’Ottocento il Lido cambia completamente il suo volto

Viene incentivato il turismo balneare e si inizia a dar vita alle prime strutture ricettive e ai servizi per i villeggianti, come i Bagni Alberoni e la rete tramviaria

1931 1949

Nella zona di Alberoni viene creato il golf club all’interno del forte, ormai dimsesso, e nella zona circostante

Catasto

Le vicende storiche segnano l’aspetto del Lido: vengono creati nuovi avamposti militari, come la Batteria Rocchetta, parallelamente all’utilizzo di forti preesistenti

Con la creazione della Compagnia Italiana Grandi Alberghi il Lido si converte interamente al turismo: vengono eretti i grandi alberghi lungo la costa come l’Excelsior e l’Hotel des Bains

Genio Civile 1900, Alberoni, tavola 10 (Venezia, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ufficio Salvaguardia)

IGM

Catasto Austro - Italiano 1846, Alberoni, fogli 14-15 (ASVE)

IGM Istituto Geografico Militare 1931, Alberoni, foglio 91(IGM VENEZIA)

Austriaco 1838-1842, Alberoni, fogli XIV- XV (ASVE) Istituto Geografico Militare 1949, Alberoni, fotogramma 03_38 (IUAV Cartoteca)

1978

Nella zona vengono costruite, oltre alla Colonia Principi di Piemonte, anche la Colonia S.A.D.E. e la Colonia I.N.P.D.A.P.

Parallelamente alla diffusione di alberghi e case vacanza si costruiscono colonie marine per i bambini dei ceti meno ricchi

2005

La fascia costiera diventa area protetta dal WWF. La sua flora e fauna rappresentano uno dei pochi esempi rimasti di paesaggio dunale

Negli ultimi decenni le colonie sono state chiuse e abbandonate. L’unica eccezione è la Colonia S.A.D.E. che viene riconvertita in case vacanza negli ultimi anni

Vengono proposti nuovi progetti per rilanciare la zona Alberoni, da sempre periferica rispetto al Nord dell’isola. Alcuni di questi investono anche le colonie, con lo scopo di renderle attività ricettive

13_991
16_421
Istituto
fotogramma 13_2566 (IUAV
11_4429 (IUAV
1961
1987
2022 CGR Parma 1978, Alberoni, fotogramma
(IUAV Cartoteca) CGR Parma 2005, Alberoni, fotogramma
(IUAV Cartoteca) IGM
Geografico Militare 1961, Alberoni,
Cartoteca) CGR Parma 1987, Alberoni, fotogramma
Cartoteca)
Google Maps 2022, Alberoni, foto satellitare

La Colonia Principi di Piemonte

4.1. Daniele Calabi

La figura di Daniele Calabi ai più non è molto nota ma le sue opere hanno avuto un impatto sul panorama architettonico italiano e non solo.

Calabi si laurea in Ingegneria a Padova nel 1929 e terminati gli studi si trasferisce a Parigi per un anno, tra il 1932 e il 1933. Qui lavora per l’Entreprise Générale Des Grands Travaux ed entra in contatto con le moderne architetture in cemento armato che all’epoca si stanno costruendo e che influenzeranno l’architettura dei decenni successivi. Di ritorno da questo soggiorno all’estero Calabi decide di approfondire i suoi studi e si laurea a Milano nel 1933 in Architettura.

I suoi primi lavori riguardano maggiormente l’area di Padova e provincia dove realizza molte Case del Fascio e inizia una collaborazione con l’Università di Padova per la quale progetta l’osservatorio astrofisico sito ad Asiago. È di quegli anni anche la commissione per la costruzione della Colonia in località Alberoni, un progetto impegnativo viste le dimensioni delle fabbriche e la mancanza di anni di esperienza. Tra il 1936 e il 1937 riesce nell’impresa ma poco dopo è costretto a lasciare l’Italia, dove nel frattempo sono entrate in vigore le leggi razziali volute da Mussolini, per rifugiarsi in Brasile. Qui dapprima lavora per la ditta Costrutora Moderna di proprietà del cugino Segre e poi lo affianca alla guida dell’impressa stessa. La sede operativa è a San Paolo, che in quegli anni vive un vero boom economico: le realizzazioni sono molte e di vario tipo, soprattutto residenziale e ospedaliero ma non mancano anche aziende e industrie. Progetta molte ville per amici e parenti come Villa Medici, Villa Ascarelli e la sua stessa abitazione Villa Foa Calabi. I temi che sviluppa sono ripresi dai suoi lavori italiani e dagli studi in Francia ma sono reinterpretati: alterna materiali più poveri a materiali più nobili, utilizza spesso la corte come elemento generatore della pianta e cardine del progetto, è molto attento alla funzionalità dell’opera e alla sua fruibilità da parte degli inquilini. Di ritorno dal Brasile, dieci anni più tardi, riprende la collaborazione con l’Università di Padova e intraprende nuovi lavori a Milano, dove apre anche uno studio. Questo non sarà l’unico: ne aprirà un altro a Padova e uno a Venezia, al Lido. Grazie ai lavori eseguiti per l’Università si specializza in strutture ospedaliere e universitarie ma progetta anche abitazioni, come quelle di Padova degli anni ’50 o la sua abitazione al Lido. Parallelamente alla carriera da ingegnere e architetto, inizia ad insegnare all’Istituto Universitario di Venezia chiamato dall’allora rettore Giuseppe Samonà. Per l’ateneo eseguirà il restauro del Convento dei Tolentini per ricavarne la sede principale e la biblioteca: questo è uno dei suoi pochi cantieri di restauro e conservazione. Partecipa a molti concorsi e vince molti premi e riconoscimenti per i suoi lavori.

4.
33

4.2. Il progetto 1936-1937

Verso la fine degli anni ’20 il comune di Padova decide di costruire una colonia marina in zona Alberoni su un terreno che ha acquistato appositamente (Fig. 6). Per la scelta del progettista viene indetto un concorso nei primi anni ’30, il quale prevede la partecipazione di architetti e ingegneri selezionati direttamente dall’amministrazione e tra i quali figura anche Calabi, ben noto alla città per i suoi lavori precedenti. Il progetto di Calabi è molto semplice e funzionale a quello che sarà lo scopo finale della struttura: una grande corte, circondata su tre lati e aperta sul mare nel quarto lato. A Nord un grande edificio multipiano protegge il complesso e, grazie alla parete vetrata rivolta a Sud, consente di ospitare bambini e ragazzi in un ambiente adatto alle cure elioterapiche. A questo primo edificio è collegato il portico d’ingresso, al lato opposto dell’affaccio sul mare, che crea un passaggio coperto tra i due volumi del complesso. Il secondo di questi volumi, ad un solo piano, ospita cucina e refettorio. Particolarità di questo blocco e del portico è la copertura formata da volte ribassate che poggiano su pilastri posti a 5,20 m di interasse. Il comune di Padova decreta il progetto di Calabi vincitore del concorso e si dà inizio ai lavori, che saranno molto brevi e dureranno due anni, dal 1936 al 1937. Il cantiere viene seguito passo a passo dall’Ingegnere che ne registra l’evoluzione con una serie fotografie, rivelatisi molto utili in fase di studio e analisi. Queste mostrano la costruzione in generale, anche con foto dall’alto, arrivando al dettaglio, come per esempio quello dell’armatura di pilastri e solai, con lo scopo di aiutare l’osservatore a comprendere la struttura e com’è realizzata. È evidente quindi lo scopo didascalico di queste foto, funzione che Calabi ha compreso molto bene e che utilizza, tra gli altri, anche per l’Osservatorio ad Asiago per l’Università di Padova.

Fig. 6

Foto satellitare che evidenzia i confini della proprietà e dell’area progetto

34

Il lotto su cui sorge il complesso ha una forma irregolare: l’ingresso è sull’incrocio tra Strada Vecchia dei Bagni e la Strada Vicinale Malamocco Alberoni e da qui si prolunga verso la spiaggia, fino all’inizio delle dune e dell’Oasi Alberoni. La vista degli edifici dall’ingresso è di grande impatto: in origine due percorsi in lastre ci cemento disegnano sul terreno le direttrici dello sguardo dello spettatore, che può così vedere interamente le strutture dalla strada dal momento che non è prevista la piantumazione di alcuna forma vegetale. La posizione su un grande terrazzamento sottolinea l’imponenza della Colonia, che si sopraeleva rispetto a ciò che la circonda: una grande rampa permette di ascendere alla grande corte centrale, passando prima sotto al portico voltato che unisce i due volumi della Colonia. La rampa termina in prossimità del refettorio, sicché ci si ritrova a un bivio: davanti il portico antistante il refettorio e a sinistra il portico in direzione delle camerate (Fig. 7).

La corte, anch’essa libera da impedimenti visivi, è scandita da una griglia con motivo a quadri, ruotati di 45 gradi, costituita da lastre in cemento posate su un substrato in sabbia. A Nord-Est la corte è protetta dal volume multipiano delle camerate, edificio dove trovano posto le grandi camere in cui stavano i bambini, mentre il lato Sud-Ovest è chiuso dal refettorio, volume a un piano con la medesima copertura voltata del portico. Questo è scandito da colonne a sezione quadrata in cemento armato, in cui sono inseriti i pluviali in amianto per lo scarico delle acque meteoriche. La finitura delle colonne è in intonaco con inerti di piccole dimensioni e di colore azzurro mentre la copertura intonacata è bianca. L’estradosso delle volte, realizzate con tavelle in laterizio coperte da una cappa in calcestruzzo, è ricoperto da una guaina bituminosa. Il refettorio presenta la medesima sequenza di colonne e volte che definiscono uno spazio di passaggio tra la corte e la mensa. Quest’ultima è una grande sala che si sviluppa per la quasi totale lunghezza del volume, che nell’estremità finale ospita anche le cucine.

Dall’altro lato del portico d’ingresso si trovano le camerate: un vo

35
Fig. 7 Foto storica, scattata dallo stesso Calabi, a lavori appena ultimati

lume di tre piani, dalla forma ben definita. Un grande parallelepipedo scavato in tutto il lato Sud da terrazzi in aggetto ma compresi nel volume, in quanto protetti su tre lati, con questo lato interamente vetrato a differenza del lato Nord, che presenta una serie di finestre di dimensioni ridotte (Fig. 8). I lati corti di questo grande volume sono rivestiti con terrese di mosaico di colore verde-azzurro, a riprendere il colore delle colonne del portico. Per il resto l’edificio ha una finitura in intonaco Terranova di colore giallo-ocra chiaro. Al piano terra si trovano le stanze dell’amministrazione e di alcuni servizi, mentre al piano seminterrato si trovano lavanderia e magazzini, oltre al collegamento con la centrale termica, posta fuori dall’edificio sul lato Nord. Per raggiungere i piani superiori viene progettata una rampa che senza soluzione di continuità percorre l’edificio in tutto il suo sviluppo verticale, concludendosi al terzo piano in un disimpegno, al centro del quale trova posto una piccola scala a chiocciola in cemento armato, unico collegamento con la

copertura piana. Il complesso, nella sua forma originaria, risponde in maniera semplice ed efficace alla funzione cui deve assolvere: gli spazi sono progettati in modo da avere l’orientamento migliore e ciò va a discapito della vista sul mare. A differenza di altre colonie, che si disponevano in modo da avere il fronte principale rivolto verso il mare, la Colonia di Calabi mette in secondo pano questo aspetto per privilegiarne altri, in modo da garantire la massima funzionalità all’opera.

Fig. 8

Foto storica che riprende l’edificio delle camerate

36

PORTICO

CENTRALE TERMICA RAMPA DI ACCESSO

37
REFETTORIO CAMERATE SERVIZI

4.3. Le tecniche costruttive

Le tecniche costruttive utilizzate da Calabi nella realizzazione della Colonia sono in linea con quelle che erano le nuove e moderne tecniche dell’epoca: gli anni ’30 sono un periodo di grande sperimentazione soprattutto con un materiale, il cemento armato (Fig. 9).

La maglia strutturale, visibile nelle foto del cantiere, è ben definita ed è composta da pilastri a sezione quadrata e rettangolare in cemento armato gettato in opera. Sebbene in quel periodo si usi molto l’elemento prefabbricato, che lo stesso Calabi vede in uso in Francia, in questo progetto nulla è preconfezionato e semplicemente assemblato in loco. Tutte le parti strutturali, dai pilastri ai solai, dai terrazzi alla copertura piana, dalla rampa alle volte, sono gettate in opera e si alternano a tamponamenti in laterizi pieni, di dimensioni standard, disposti a due teste per le pareti più spesse e a una testa per le semplici tramezze tra un locale e un altro. I solai sono realizzati con pignatte in laterizio e cappa in calcestruzzo, ad eccezione dei terrazzi che sono un getto unico. Allo stesso modo anche la copertura e le sue travi sono realizzate in loco. Oltre al cemento armato e al laterizio per le finiture si fa uso di in-

tonaco Terranova per interni ed esterni, di tonalità differenti, e vari rivestimenti ceramici, di forma quadrata e colore azzurro o crema, per i servizi. Gli esterni sono intonacati, ad eccezione dei lati corti delle camerate che sono rivestiti in mosaico verde-azzurro. I pavimenti sono rivestiti per lo più in marmette di vari colori, dal rosso al nero.

38
Fig. 9 Foto di cantiere dove è ben visibile la maglia strutturale di pilastri in cemento armato

Il portico, scandito dalle sue volte, è l’elemento caratteristico della Colonia. Ha un estensione di 48 metri ai quali si aggiungono ulteriori 68 metri che fungono da accesso coperto alle stanze del Refettorio e 16 metri dall’ampliamento del 1958.

La volta realizzata in laterizio e calcestruzzo armato ha una luce di 5,20 metri e raggiunge 5,22 metri in altezza ed è sorretta da pilastri in calcestruzzo armato.

In foto un dettaglio di una campata dove è visibile la cavità in cui alloggerà il pluviale in eternit, interamente nascosto dentro al pilastro.

Le Camerate, così come gli altri edifici del complesso presentano una struttura a telaio in calcestruzzo armato e tamponamenti in laterizio pieno a una testa disposto in due file con interposta camera d’aria.

Vista la dimensione del corpo di fabbrica delle Camerate, quasi 65 metri, sono stati inseriti due giunti strutturali in modo da avere staticamente tre edifici indipendenti l’uno dall’altro. Il giunto strutturale è di circa 5 centimetri e in corrispondenza di questo avviene il raddoppio dei pilastri.

All’interno delle camerate i solai sono realizzati in latero cemento.

Le pignatte impiegate hanno un altezza pari a 23 centimetri e sono interposte a travetti in calcestruzzo armato con barre d’acciaio di larghezza pari a 7 centimetri circa. Sopra ai laterizi troviamo una cappa in calcestruzzo di 5 centimetri e sucessivamente la finitura.

La stratigrafia lascia intuire la non presenza di impianti a terra se non nei bagni il cui accesso è vincolato da un gradino di 14,5 centimetri, spessore necessario al passaggio degli impianti destinati ai sanitari.

39

Riferimenti progettuali

I modelli di riferimento a cui si ispira Calabi sono molteplici e derivano da viaggi ed esperienze che lo stesso progettista fa negli anni degli studi universitari. In particolare, è importante il suo periodo a Parigi, dove entra in contatto con le architetture e i maestri dell’epoca e del Movimento Moderno. Altrettanto importante è il viaggio in Nord Africa, dove può conoscere e studiare l’architettura tipica delle popolazioni locali. Dell’ambiente parigino sono tipici elementi come le grandi vetrate, che occupano l’intero fronte della costruzione, gli elementi puntuali dei pilastri - o pilotis – assieme all’attenzione ad una spazialità semplice e razionale. Anche la rampa è un elemento che viene sicuramente desunto dalle moderne opere di architetti francesi, uno su tutti Le Corbusier. Questo non è l’unico riferimento per la costruzione della Colonia: altri progettisti e i loro lavori attraggono l’attenzione di Calabi e alcuni loro aspetti peculiari sono ripresi e rielaborati in modo originale e quindi utilizzati nella Colonia. Architetti come André Lurçat, Eugène Beaudouin e Marcel Lods, oltre al già citato Le Corbusier, sono in quegli anni molto noti e i loro lavori, come la scuola elementare a Villejuif (Fig. 10), il complesso della Cité de Muette a Drancy (Fig. 11) o Villa Savoye (Fig. 12), sono dei punti di riferimento e dei modelli a cui giovani architetti e ingegneri si rifanno, compreso Calabi. Ciò che Calabi non accoglie delle novità moderne è la prefabbricazione: nella Colonia nulla è creato altrove e assemblato in cantiere e anzi, come mostrano diverse fotografie dei lavori, tutte le strutture sono gettate in opera. Summa di tutti questi riferimenti e suggestioni è il progetto di Calabi per «la casa degli italiani» (Fig. 13), che raccoglie insieme tutte le caratteristiche della nuova architettura moderna. Questo progetto, mai realizzato, doveva sorgere a Parigi e si sarebbe sviluppato attorno ad una corte centrale, con grandi portici tutt’attorno e lunghe finestre a nastro. Un ulteriore riferimento sono le strutture in terra cruda viste durante il viaggio a Tripoli. Qui, l’unica tappa nota del viaggio in Nord Africa, Calabi vede delle strutture voltate, sviluppate su un piano o due, cui si accede da una sola apertura: sono dei magazzini fortificati, i cosiddetti ksar, in cui si custodiva il grano (Fig. 14-15). La cella-stanza si chiama ghofra e tutta la struttura è realizzata in terra cruda. È questo il riferimento che Calabi riprende e attualizza nella progettazione del refettorio e del portico: viene ripresa l’idea di cella e la sua copertura e, mentre la cella viene svuotata e liberata delle pareti, le volte vengono ribassate e fatte appoggiare su pilastri. È evidente che queste alterazioni del modello originale sono rese possibili dall’utilizzo del cemento armato, di cui Calabi fa largo uso.

40
4.4.

Fig.

Fig.

Fig.

Fig.

Fig.

Fig.

41
11: Citè de la Muette, progetto di Beaudouin e Lods 10: la scuola elementare a Villejuif di Lurçat. 13: la casa degli italiani, progetto di Calabi 12: Villa Savoye, Le Corbusier 14: fotografia di Calabi di un ksar tunisino 15: ksar el ferich, una delle più grandi strutture di questo tipo

Elementi caratteristici

Nello studio del progetto originale della Colonia si sono notati degli elementi particolarmente interessanti e identitari della struttura stessa e sembra opportuno che vengano mantenuti. Questi elementi si trovano all’esterno quanto all’interno e sono il portico e le volte, la grande facciata vetrata e la rampa.

I portici voltati sono il primo elemento che va salvaguardato: essi nascono dalla rielaborazione del tema del portico e degli spazi voltati tunisini adattati al nuovo materiale che è il cemento armato. Sono quindi espressione di una nuova idea di portico e sono utilizzati da Calabi in un altro progetto, sito a Padova, realizzato anni più tardi.

Così come il portico d’ingresso (Fig. 16-17), anche la copertura voltata della mensa deve essere mantenuta in quanto anche questa contribuisce a definire l’immagine che si ha della Colonia.

Altro elemento caratteristico è la facciata Sud delle camerate. Quella sequenza di finestre e pilastri, preceduta da lunghi e profondi terrazzi, è tipica della Colonia ed è espressione della volontà dell’architetto di creare una struttura adatta alla funzione per cui viene costruita, ossia un luogo di cura adatto alle cure elioterapiche. La grande facciata (Fig. 18), pur avendo al suo interno degli elementi differenti, è ben equilibrata e le finestre tipo crittal che la scandiscono sembrano richiamare la forma stessa del volume, un rettangolo, suddiviso a sua volta in uguali geometrie di dimensioni inferiori.

Anche i materiali di finitura degli esterni, che possono sembrare di importanza secondaria, hanno un loro peso nella storia degli edifici e sulla loro percezione da parte di chi li osserva. I colori, la grana e la matericità degli intonaci, la lucentezza del mosaico sono anche queste caratteristiche da mantenere e valorizzare.

Come all’esterno anche all’interno alcuni elementi sono da mantenere in quanto fattori identitari della struttura: la rampa, ad esempio, le altezze dei locali e la scala a chiocciola all’ultimo piano (Fig. 19). La rampa, collegando tutti i piani, è l’elemento attorno cui ruota l’intero edificio delle camerate e permette di muoversi agevolmente al suo interno (Fig. 20). Le altezze dei locali, nelle camerate come nella mensa, garantiscono grande ariosità agli spazi e, nel caso della mensa, ne definisce anche un elemento di rilievo mettendo in evidenza la copertura voltata. Da ultima la scala a chiocciola che collega il terzo piano alla copertura. Pur essendo un elemento di secondaria importanza e di scopo pratico - è usata solamente in caso di manutenzione - la sua posizione al centro del pianerottolo la rende quasi una scultura da osservare a trecentosessanta gradi. Per di più la sua vicinanza alle vetrate la rende visibile anche dalla corte.

42
4.5.

Fig.

Fig.

43
16: il portico Fig. 20: la rampa Fig. 19: la scala a chiocciola Fig. 17: le volte del portico e della mensa 18: la facciata Sud

Ampliamenti successivi 1958-1969

La Colonia nel corso degli anni ha avuto notevoli cambiamenti rispetto al progetto originale. Il numero di edifici è raddoppiato, il rapporto con la corte e il paesaggio circostante è cambiato, la caratterizzazione degli edifici non è sempre in linea con l’estetica dell’opera di Calabi. Già a pochi anni dall’apertura della struttura ci si rende conto che lo spazio adibito a camere non è più adatto al crescente numero di ragazzi e ragazze accolti. Per questo motivo nel 1958 viene demolito l’edificio con servizi igienici posto vicino alle camerate e al suo posto viene costruito un edificio multipiano. Questo volume lungo e stretto, posto trasversalmente alle camerate, si sviluppa su tre piani fuori terra ed è collegato al volume vicino con un breve portico dalle colonne a sezione circolare in metallo. Questo passaggio coperto immette direttamente al vano scale: questo spezza la pianta in due blocchi distinti con una grande sala al piano terra, presumibilmente l’infermeria, e lo spazio rimanente suddiviso in camere per ragazzi e ragazze adolescenti. L’edificio rivolge il fronte principale, simile alle camerate, al mare, prediligendo l’affaccio all’orientamento migliore. Le tecniche costruttive sono le medesime del progetto originale: una griglia di travi e pilastri in cemento armato scandisce la struttura, sia in pianta che in alzato. I materiali sono simili, così come i rivestimenti e le finiture.

Due anni più tardi, nel 1960 si decide di costruire, nella parte antistante il portico d‘ingresso, una piccola abitazione per il custode. L’edificio, rialzato rispetto al livello del terreno, è ad un solo piano ed è costruito in muratura. Nello stesso anno si eseguono dei lavori all’interno della mensa, dove viene cambiato l’assetto distributivo degli spazi. Alzando delle pareti si divide la grande sala del refettorio in tre sale più piccole e si rende più pratica e fruibile la zona delle cucine.

Nel 1963 viene rivisto l’ingresso alla corte, ora in diretto collegamento col cancello d’ingresso alla proprietà, che avviene ancora tramite una rampa ma non più parallela al portico. Si amplia anche il volume del refettorio, al quale vengono aggiunti tre moduli voltati che contengono dei servizi igienici. La nuova costruzione continua naturalmente il volume preesistente, riprendendone forme e materiali. Da notare che questa costruzione ridefinisce il rapporto tra camerate e refettorio, che secondo il progetto originale erano allineati nella loro parte finale, quella rivolta al mare. Risale al 1969 l’ultimo ampliamento, ovvero la grande sala polifunzionale costruita al limite della proprietà, vicino al confine con l’Oasi Alberoni e le dune della spiaggia. Questa sala, pensata come un piccolo teatro o spazio per riunioni, ha una zona rialzata affiancata da spazi di servizio. La sala è parallela al portico d’ingresso e il punto d’accesso è rivolto in direzione del refettorio. La pianta è irregolare in quanto l’ingresso in sala è affiancato da due corpi in aggetto, creando così un piccolo portico. La sala, di base rettangolare, ha in aggiunta lo spazio di questi due corpi irregolari, che ne aumentano

44
4.6.

CASA DEL CUSTODE ADOLESCENTI

1958 1960

45
SALA POLIFUNZIONALE
VECCHI SERVIZI
1963 1969

la profondità e quindi la capienza; la copertura è una grande volta ribassata, costruita con un telaio strutturale in travi di cemento armato e pignatte in laterizio. Le pareti della sala invece sono forate da numerose finestre, strette e alte, e porte sormontate da finestre e questi elementi si alternano a grandi pilastri monolitici in cemento armato e a sezione romboidale.

Questo volume si collega direttamente con l’infermeria, poco distante, con un portico in cui sono ricavati dei servizi igienici. Le caratteristiche stilistiche di questo ultimo ampliamento si discostano notevolmente da quelle degli altri corpi di fabbrica e oltretutto la posizione mette in risalto questa differenza. Appena si accede alla corte lo sguardo cade immediatamente sul volume della palestra che chiude, quasi completamente, quel lato della corte lasciato volutamente libero in fase progettuale per avere un rapporto diretto con la spiaggia e il mare, oltre che con l’Oasi limitrofa.

La sala polifunzionale è l’ultimo ampliamento della colonia che in pochi anni sarà chiusa.

La Colonia viene definitivamente chiusa e abbandonata nei primi anni Novanta (Fig. 21).

Fig. 21

L’edificio delle camerate come si presenta al giorno d’oggi

46
47 2021

4.7. Coerenza rispetto al progetto originale

Il complesso nel corso degli anni si è evoluto con aggiunte e demolizioni, rifacimenti e alterazioni rispetto ai disegni originali. Queste modifiche però non sempre risultano essere in linea con le caratteristiche stilistiche ed estetiche del lavoro di Calabi e danno luogo ad accostamenti stridenti, che sminuiscono la forza del progetto iniziale.

L’edificio che più raccoglie e riprende le idee di Calabi è quello adibito ad infermeria e camerate per gli adolescenti (Fig. 22). Nonostante alteri la conformazione originale della corte andando oltre il limite delle camerate, spingendosi fin nella corte, è in linea con le caratteristiche stilistiche delle opere di Calabi e della Colonia. È un volume dalle linee pulite, con terrazzi in aggetto, chiusi su tre lati con pareti in muratura nei lati corti (Fig. 23) e con una grande parete vetrata nel lato lungo, a richiamare il pan de verre corbuseriano. Oltre ciò l’edificio risulta essere molto simile a un altro che Calabi progetta mentre si trova in Brasile. In questo caso il volume fa parte di un grande complesso adibito ad orfanotrofio, oggi demolito, che viene costruito a San Paolo del Brasile (Fig. 24). Evidenti sono le somiglianze: dalla forma stretta e lunga ai terrazzi in aggetto sviluppati su parte della lunghezza della facciata. È da notare che la sua posizione e il suo orientamento influiscono sulla percezione che si ha della corte, alterandola e chiudendone in parte il lato libero. Meno impattante risulta essere l’ampliamento del blocco refettorio-cucina (Fig. 25), realizzato per contenere dei nuovi servizi igienici. Qui vengono ripresi aspetto, tecniche costruttive e materiali. Tuttavia anche questo nuovo volume altera il progetto iniziale: se in precedenza refettorio e camerate erano allineati ora non lo sono più e anzi il primo si allunga notevolmente oltre il limite di origine. L’impatto maggiore – e più negativo – è quello dovuto alla costruzione della sala polifunzionale (Fig. 26). Questa chiude quasi interamente la corte e impedisce la vista sulle dune sabbiose della spiaggia. Inoltre, il grande tetto voltato sembra riprendere le volte della mensa ma date le sue dimensioni il paragone tra i due non risulta possibile e il loro accostamento appare inappropriato. Poco in linea con lo stile della Colonia è anche la sezione romboidale delle colonne della sala, mentre quelle preesistenti sono a sezione quadrata. Inoltre, il suo orientamento parallelo al portico impedisce che il volume entri in contatto con la corte, rimanendo estraneo al nucleo originario del complesso. In generale si può affermare che gli ampliamenti della Colonia siano stati eseguiti seguendo in modo più o meno fedele le caratteristiche degli edifici di Calabi, se non per casi eclatanti come la sala polifunzionale.

48

Fig. 22: l’infermeria, disegno

Fig. 24: l’orfanotrofio a San Paolo

Fig. 23 porzione dell’infermeria che chiude in parte la corte

Fig. 25: blocco del refettorio con i nuovi servizi

Fig. 26: dettaglio aperture palestra

49

Vincolo architettonico

Data l’importanza storica del progettista e dell’opera in sé, che presenta delle caratteristiche peculiari e ben differenti dalle altre colonie marine costruite nello stesso periodo, il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali ha vincolato il complesso originario (Fig. 27). Il vincolo è stato emanato nell’Ottobre 2000, una decina d’anni dopo l’abbandono del sito, e prevede che per i volumi del progetto di Calabi non si vengano a modificare gli esterni e la conformazione generale del sito. Non si nominano invece gli ampliamenti e nel caso di quello del refettorio non è chiaro se e come si possa intervenire.

Dal punto di vista del rapporto con l’esistente, l’intervento di ampliamento che maggiormente si integra con l’esistente è il volume dei servizi nel blocco del refettorio, mentre l’edificio degli adolescenti si discosta leggermente dalla preesistenza ma presenta comunque un aspetto simile ad altre opere di Calabi. Quest’ultimo volume per posizione si trova ad essere in contrasto con l’iniziale idea di una corte aperta verso il mare ma la sua presenza non annulla completamente questa peculiarità della corte. L’estensione del refettorio, che invece mantiene un orientamento uguale al volume originale, altera il rapporto di quest’ultimo con la corte in quanto si prolunga oltre il suo limite. Per quanto riguarda la casa del custode e la sala polifunzionale essi non risultano in linea con il progetto originale. La prima è un organismo a sé stante, fuori dalla corte e senza alcun rapporto con i volumi di Calabi, la seconda al contrario ha una dimensione tale per cui il rapporto con le altre strutture è inevitabile. La casa è di misura ridotta e, sebbene sia degli anni ’60 come la sala, non presenta degli elementi caratteristici che la rendono interessante. La sala polifunzionale, pur tentando di richiamare le volte con la sua copertura curva, non riesce ad instaurare un rapporto con le strutture di Calabi e anzi, con la sua posizione, interrompe l’asse corte-mare. L’alternanza delle aperture e la loro forma, unita a quella dei pilastri e della pianta irregolare, rendono la sala-teatro molto diversa dai volumi che la circondano.

L’approccio che si è scelto per il recupero di questo complesso è orientato al restauro e alla riqualificazione. Questo spazio, in seguito ai diversi ampliamenti che lo hanno coinvolto, ha trovato un proprio equilibrio, sebbene diverso da quello originario. Di conseguenza demolire volumi posteriori al progetto iniziale non ridarebbe valore al progetto di Calabi ma anzi muterebbe completamente l’aspetto e la storia del complesso, ampliamenti compresi.

4.8.
50

Fig. 27

In rosso gli elementi che risultano vincolati con decreto del MInistero per i Beni Culturali e Ambientali

51

5.1. Il rilievo

Azione preliminare allo sviluppo del progetto è lo studio e la conoscenza della struttura. Con sopralluoghi fatti in più periodi dell’anno si sono eseguiti vari rilievi, dapprima generali e poi sempre più specifici, allo scopo di studiare la fabbrica e restituirne lo stato di fatto. Inizialmente ci si è basati sul materiale d’archivio e sul suo ridisegno per avere un supporto alle misurazioni delle dimensioni dei locali. Scopo finale è avere una base solida e certa su cui innestare il progetto: il rilievo è un modo per conoscere la geometria di un luogo ma anche per scoprire e reinterpretare le peculiarità dell’immobile oggetto di studio. Nel primo sopralluogo si sono verificate le dimensioni di massima del complesso e delle stanze. Si è effettuato un rilievo diretto con il supporto di metri, se le distanze erano medio-corte, e di un distastanziometro laser, per verificare le misure più lunghe o più difficili da raggiungere. Ad esempio, si è utilizzato il disto per l’altezza dei locali, specie al piano terra, per i corridoi o le stanze molto grandi, come quella polivalente. Oltre alle misurazioni sono importanti anche le foto, che aiutano alla comprensione dell’oggetto, dei materiali e dei degradi.

In un secondo rilievo si è approfondito lo studio degli edifici partendo dai dubbi sorti nell’elaborazione grafica dello stato di fatto. Ci si è focalizzati su alcuni punti della struttura portante e sulle aperture. Anche in questo caso il rilievo è stato diretto ed eseguito con distanziometro laser, cordella metrica e filo a piombo. Il terzo rilievo è quello in cui si è fatto uso della fotogrammetria per rappresentare alcune porzioni degli interni di ciascun edificio allo scopo di avere una base veritiera su cui mappare materiali e degradi presenti nel complesso. Si è proceduto eseguendo delle prese lineari e delle prese radiali delle superfici da analizzare. Successivamente sono state importate su un programma che consente di orto-rettificare le fotografie riferendole ad un sistema di coordinate, così da ricavarne rappresentazioni grafiche in proiezione ortogonale. Le ortofoto così ottenute sono servite per ridisegnare la superficie analizzata e su questa elaborazione grafica si è proceduto con la mappatura di materiali e relativi degradi. Inoltre, sono stati rilevati e categorizzati i materiali di superfici orizzontali e verticali. Il quarto rilievo ha avuto come oggetto gli esterni del complesso, su cui è stato eseguito un rilievo fotogrammetrico aereo. Il procedimento è il medesimo di quello eseguito mediante macchina fotografica, quando in precedenza si sono rilevati gli interni. Da ultimo si sono studiati alcuni elementi di dettaglio ancora poco chiari, così da avere un’idea completa ed esaustiva degli edifici.

5. Il
rilievo della colonia
53
5.2. Le
54
ortofoto
Camerate
- esterno, portico sud Refettorio - esterno, prospetto sud Adolescenti - esterno, propsetto est Sala polifunzionale - interno, prospetto sud
Refettorio - interno, prospetto ovest Camerate - interno, portineria

Refettorio - Dettagli infisso

Camerate - interno, dettaglio parete

Camerate - esterno, prospetto est

Camerate - esterno, prospetto sud piano terzo

55

6.1. Obiettivi progettuali e contesto economico

La colonia versa in stato di abbandono dagli anni Ottanta e pur avendo ricoperto un ruolo importante nella storia del luogo non è si tuttora riusciti a darle nuova vita. Consapevoli del prestigio dell’architettura in sé e dell’impatto che ha avuto sulla comunità locale questo grande complesso, l’approccio seguito è quello di intervenire sul costruito in modo da ridare lustro ad un punto di aggregazione della comunità, senza alternarne l’essenza e la struttura – per quanto possibile – e preservando e valorizzando i segni del tempo lasciati sugli spazi e sulle superfici. L’intervento di recupero prevede la creazione di un grande centro di ricerca nazionale focalizzato sul tema della mobilità sostenibile. Tale tematica è centrale nel piano di ripresa post pandemico varato dall’Unione Europea, il cosiddetto Next Generation EU, che prevede lo stanziamento di fondi atti alla creazione o all’ampliamento di sistemi di lavoro, collaborazione e ricerca nell’ottica di ridare slancio all’economia dopo lo stop temporaneo infertole dalla pandemia da Covid-19. La cifra stanziata dall’Unione si avvicina al trilione di Euro e di questi fondi circa 250 miliardi sono destinati all’Italia, sia sotto forma di prestiti a interesse basso sia sotto forma di bonus. Di questa somma circa un quarto dev’essere destinato alla ricerca e l’Italia ha deciso di destinare parte di questi fondi alla creazione di cinque centri di ricerca nazionali. Da questo macrocontesto economico e da una serie di analisi condotte sull’isola del Lido di Venezia, sulle sue potenzialità e i suoi difetti, e anche sulla compatibilità della colonia rispetto alla nuova funzione, si è deciso di creare proprio in questa colonia abbandonata uno di questi grandi centri di ricerca. In concomitanza allo stanziamento dei fondi e alla creazione del bando per i suddetti poli di ricerca, è stata data vita alla Fondazione “Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità”, che tra i suoi obiettivi ha anche quello della mobilità sostenibile. La scelta di creare agli Alberoni un polo incentrato sullo sviluppo di una nuova mobilità è coerente con quanto richiesto dal PNNR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e trova nel Lido un terreno di prova adatto e dalle molte sfaccettature. La posizione del Lido al confine della Laguna, ma comunque vicino a Venezia, permette di avere vari collegamenti con la terraferma e di avere un contesto multiculturale e di ampio respiro. Il Lido stesso presenta diversi mezzi di trasporto, dai vaporetti ai bus elettrici, da piccoli velivoli a monopattini, e questa eterogeneità di trasporti è funzionale allo sviluppo del polo. Non solo, la grande varietà di ambienti offerti dall’isola permette di avere in pochi chilometri un’ampia gamma di casistiche in cui mettere alla prova i frutti di ricerche e studi. A Nord, vicino a Venezia, l’isola è densamente abitata, mentre in zona Malamocco, spostandosi verso Sud, l’ambiente urbano è più rarefatto e simile ad una zona periferica,

6. Il progetto
57

con ampi spazi verdi. Nella zona di Alberoni invece ci si ritrova in un ambiente poco abitato e più simile ad un’area di campagna. Queste tipologie di ambiente antropizzato si mescolano a quelle naturali, come l’ambiente costiero a Est o l’ambiente lagunare a Ovest, creando una serie infinita di casistiche e permettendo di testare immediatamente e in ambienti differenti le ricerche svolte nella colonia. Oltre all’ambiente circostante si è studiato il complesso in modo da stabilire la fattibilità del concept. I parametri scelti, relativi agli edifici e al loro insieme, riguardano l’articolazione delle stanze, quindi la spazialità e le superfici disponibili; la struttura portante, connessa alla spazialità, per verificare il grado di flessibilità legato alle nuove esigenze funzionali; le superfici scoperte molto ampie confinanti con un ambiente dunale di grande importanza.

58

6.2. Approccio progettuale e compatibilità funzionale

Dopo aver dato al progetto delle basi solide si è passati alla definizione delle funzioni di ciascuna area del complesso, creando una vera e propria matrice di compatibilità. La scelta della funzione si basa sull’analisi dell’uso originario degli spazi, sull’esposizione dei fabbricati e sul loro stato attuale, stabilito secondo parametri come livello di degrado, integrità delle strutture, accessibilità e livello di frammentazione dello spazio. Il primo punto riguarda lo studio della funzione per cui l’edificio era stato costruito e si è voluto tenerne conto per non stravolgerne l’anima. In un secondo momento si è studiata l’esposizione per capire gli apporti si luce e calore nei diversi ambienti durante tutto l’anno. Si è fatto ciò per adottare specifici accorgimenti in modo da garantire adeguati standard all’interno dei locali. Da ultimo si è analizzato lo stato attuale dei corpi di fabbrica per stabilire, in linea generale, l’integrità della struttura e delle superfici. In aggiunta si è operata una seconda analisi degli spazi, sempre riferita al loro stato attuale, per stabilirne il grado di accessibilità, luminosità e frazionamento. Tutte queste analisi hanno permesso di stabilire quale funzione fosse più adatta in ciascun edificio, alla sua storia e ai suoi spazi. In particolare nelle Camerate si è scelto di inserire spazi di lavoro; nel Refettorio si è deciso di inserire un punto ristoro e delle sale di studio; nell’edificio un tempo adibito a dormitorio per gli adolescenti si è scelto di inserire una foresteria con spazi comuni; nella grande Sala polivalente si è scelto di inserire una sala conferenze. Il progetto si concretizza nella creazione di “stanze nelle stanze”, ossia nella formazione di volumi chiusi all’interno dell’involucro dato dall’edificio stesso. Questo approccio permette di avere degli spazi del tutto nuovi in ambienti recuperati dove gli odierni standard di comfort vengono garantiti. Oltre a questi nuovi volumi, realizzati preservando il carattere dell’edificio storico, vengono ricavati, dove necessario, spazi di servizio quali bagni o elementi di collegamento verticale.

La scelta dei materiali è stata fatta tenendo conto di quelli già presenti nella Colonia ma inserendone altri in modo da creare un contrasto tra il nuovo e l’antico. Si è scelto quindi,nel caso del Refettorio, di realizzare delle strutture in vetro e acciaio con uno zoccolo in legno, il tutto rialzato su pavimenti flottanti in cui far passare gli impianti di riscaldamento e raffrescamento, ad oggi assenti, e tutti gli altri impianti necessari al corretto funzionamento del centro di ricerca. Per i serramenti si è scelto di utilizzare profili sottili in acciaio laminato a caldo con vetri che garantiscono isolamento termico e acustico. Le zone scoperte del complesso sono interessate dalla creazione di un parcheggio a servizio della struttura a nord delle camerate e dalla risistemazione del boschetto all’ingresso. La corte torna ad essere il centro del complesso e si intende ricreare uno spazio di aggregazione che sia fruibile in tutto l’arco dell’anno. Si è scelto di riproporre con nuovi materiali i percorsi di collegamento a scacchiera, come disegnati da Calabi, ma a questi si è accostata

59

una seconda serie di tracciati più piccoli. Gli spazi che ne derivano sono stati trattati a verde con essenze tipiche dell’ambiente dunale, così da avere ombra e varietà di colori in tutte le stagioni, o trattati con pavimentazioni per creare punti di aggregazione.

Nell’insieme il progetto non vuole essere un lavoro di dettaglio dell’intero complesso ma si configura come una traccia da seguire, un approccio metodologico utile nel caso di interventi su un’architettura storica con caratteri peculiari, che vanno preservati ma attualizzati. È per questo che il progetto si è concentrato su una parte del complesso, il refettorio, dove sono stati ricavati spazi in linea con gli standard attuali preservando e valorizzando l’architettura di Calabi. Ciò che ha guidato questo modus operandi è la convinzione che nell’ambito del restauro si possa e anzi si debba creare un dialogo proficuo tra quelle fasi, nuovo e antico, che rappresentano l’essenza stessa di un edificio, ovvero il suo perdurare nel tempo.

60
62

7.1. Foto del plastico

7.
Plastico
63
64
65
66
67

8.1. Bibliografia

• Progetti E Lavori per La Costruzione Della Colonia Marina Principi Di Piemonte, 1936

• Napoli, Paolo. Arte E Architettura in Regime Fascista. Roma: [s.n.] Scuola Tipografica Don Luigi Guanella), 1938.

• Labò, and Podestà. Colonie Marine, Montane, Elioterapiche. Milano: Editoriale Domus, 1942.

• De_Felice, Renzo. Il fascismo Le Interpretazioni Dei Contemporanei E Degli Storici. Bari: Laterza, 1970.

• Lyttelton, Ferrara Degli Uberti, Rambelli, and Rambelli Iole. La conquista Del Potere Il Fascismo Dal 1919 Al 1929. Roma Bari: Laterza, 1974.

• Danesi Squarzina, Silvia. Il razionalismo in Italia Durante Il Fascismo. Venezia: La Biennale Di Venezia, 1976.

• Castronovo, Danesi Squarzina, Patetta, Castronovo e Patetta. Il razionalismo e l’architettura in Italia Durante Il Fascismo. Venezia: La Biennale Di Venezia, 1976.

• Gardella, Mantero, Novati, Gardella Ignazio, Mantero Enrico, and Novati Massimo. Il razionalismo Italiano. Bologna: Zanichelli, 1984.

• Cresti, Carlo. Architettura E Fascismo. Firenze: Vallecchi, 1986.

• Bianchi, Dal_Piaz, Pietrogrande, Calabi, and Calabi Donatella. Daniele Calabi progetti per Padova 1951-1959. Padova: Editoriale Programma, 1988

• Pagano, De_Seta, and De_Seta Cesare. Architettura E Città Durante Il Fascismo. Roma Bari: Laterza, 1990.

• Calabi, Daniele. Daniele Calabi: Architetture E Progetti, 1932-1964. Venezia: Marsilio, 1992

• Il piano Di Attacco Austriaco Contro Venezia Il Territorio, La Laguna, I Fiumi, I Forti E Le Città nell’anno 1900. Venezia: Marsilio, 2001

• Cresti, Gravagnuolo, and Gurrieri. Architettura E Città Negli Anni Del Fascismo in Italia e nelle Colonie. Firenze: A. Pontecorboli, 2004.

• Pettena, Gaia. Architettura E Propaganda Fascista Nei Filmati Dell’Istituto Luce. Torino: Testo & Immagine, 2004.

• Gravagnuolo, Niglio, Gravagnuolo Benedetto, and Niglio Olimpia. Il *nuovo Calambrone. Milano: Electa, 2006.

• Pecorai, Giorgio. Lido Di Venezia Oggi E Nella Storia. Lido: Edizioni Atiesse, 2007

• Distefano, Giovanni. Lido Di Venezia Atlante Storico. Venezia: Supernova, 2013

• Cresti, Carlo. Architetti E Architetture Dell’”Era Fascista”. Firenze: Angelo Pontecorboli Editore, 2015.

8. Bibliografia
69

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.