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biomimicry

«Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già inventata» dichiarava Albert Einstein e a non aveva torto. Da sempre l’uomo osserva l’ambiente che lo circonda per carpirne le logiche del suo funzionamento e applicarle nella vita quotidiana. Da questo spirito di osservazione prende origine una nuova branca disciplinare che viene chiamata biomimetica o direttamente biomimicry dall’inglese, che studia e analizza la natura al fine di sviluppare nuove tecnologie e materiali che vengano incontro alle nostre necessità. Nulla di originale, se solo si pensi al fatto che il progresso dell’essere umano è avvenuto grazie al processo di mimesi. Leonardo da Vinci può essere definito il pioniere della disciplina, molte delle sue invenzioni sono state dettate dalla curiosità e dallo spirito di osservazione. Il genio fiorentino è un emblema che rappresenta la forte connessione fra le due discipline e le sue ricerche dimostrano come la natura è un modello di ispirazione per entrambi. Ma la biomimetica è un concetto ben più ampio della semplice imitazione, prevede un approccio multidisciplinare che include biologia evolutiva e genetica, etologia e informatica, robotica, architettura, ingegneria per affrontare in maniera davvero ecologica la relazione uomo-ambiente. I settori in cui è operata sono molteplici, incluso il comparto delle costruzioni, in cui possiamo ritrovare casi di invenzioni legate all’ambito strutturale dell’edificio, oppure all’applicazione sui materiali per migliorarne le performance. Fra gli esempi più noti della disciplina applicata al costruito è possibile citare il progetto per antonomasia identificato come emblema della biomimetica: L’Eastgate building. Un centro commerciale realizzato a metà degli anni 90 in Zimbabwe, nella città di Harare,

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Biomimicry: il progresso prende ispirazione dalla natura

di Valentina Epifani

La biomimetica o direttamente biomimicry dall’inglese studia e analizza la natura al fine di sviluppare nuove tecnologie e materiali che vengano incontro alle nostre necessità

dall’architetto sudafricano Mick Pearce, in cui la natura è stata la principale ispiratrice di soluzioni altamente innovative. L’edificio ospita molti uffici, ma non è servito da alcun tipo di sistema convenzionale di ventilazione, dettaglio non trascurabile date le temperature del luogo. Infatti, date le alte oscillazioni esterne del territorio africano in grado di raggiungere anche 50°, nella sua progettazione l’immobile doveva essere in grado di assicurare all’interno, in maniera completamente naturale, una temperatura costante e ottimale durante anno. Nella progettazione Pearce prese spunto dai termitai, strutture naturali complesse in cui è garantita una costanza termica attraverso i lunghi canali comunicanti con l’esterno scavati dagli stessi insetti. L’aria esterna è quindi aspirata per effetto convettivo dal fondo del cumulo di terra e da lì attraversa l’intero termitaio. Un modello di raffrescamento passivo che è stato applicato anche nella realizzazione dell’Eastgate building. I due edifici,sono collegati da una copertura vetrata che lascia spazio alla circolazione dell’aria. Dei ventilatori a basso consumo energetico posti al primo piano, aspirano l’aria dallo spiazzo tra i due edifici e la pompano in appositi condotti verticali all’interno dei due corpi di fabbrica, facendole attraversare tutti i piani per poi espellerla dai camini che danno all’esterno, proprio come avviene in un termitaio. Il meccanismo ha una duplice funzione: da un lato garantisce il ricambio d’aria degli ambienti, dall’altro li tiene a temperatura sempre costante. Con il sistema di raffrescamento e riscaldamento naturale l’Eastgate Centre ha un risparmio energetico del 90% rispetto ad altri edifici di pari dimensioni. Anche i materiali più comuni nella loro realizzazione hanno colto le biodinamiche adottate dalla natura per rispondere alle necessità dettate degli ambienti esterni e migliorare le prestazioni dei prodotti. Ne sono un esempio le pavimentazioni a nido d’ape utilizzate in molte occasioni per la realizzazione dei parcheggi esterni. Le lastre alveolari, utilizzate per la creazione di terreni permeabili, consentono di realizzare camminamenti e percorsi stabili, grazie ad una struttura composta da numerosi esagoni in ghiaia accostati fra loro, proprio come un alveare, e termosaldati sul lato inferiore della piastra. Tale composizione impedisce alla ghiaia di sprofondare nel terreno e assicura un ottimo sistema di drenaggio dell’acqua piovana. Non solo, l’assemblaggio ha un ulteriore vantaggio, le forme esagonali concedono leggerezza alla struttura, ma allo stesso tempo donano un’elevata resistenza alla compressione, facilitando così il passaggio dei veicoli. La soluzione dei favi ispirata dalle api è impiegata in molte altre lavorazioni, inclusa la gestione e lo stoccaggio delle acque piovane nei bacini di ritenzione.

La nascita della Biomimicry

Il termine biomimicry è coniato nel 1969 da Otto H. Schmitt, biofisico e matematico statunitense, per definire lo studio della natura e i suoi principi di sviluppo allo scopo di ricavarne nuovi strumenti per i progetti di artefatti avanzati. Durante le sue ricerche di dottorato sviluppò il trigger di Schmitt studiando i nervi nei calamari, tentando di progettare un dispositivo che replicasse il sistema biologico di propagazione dei nervi. Ma è la biologa Jannie Benyus che nel 2006, insieme ad un gruppo di colleghi, fonda negli Stati Uniti il Biomimicry Institute, ente tutt’ora di riferimento della disciplina, per condividere il design della natura con progettisti e ricercatori di tutto il mondo.

Biomedica e risparmio energetico

C’è anche un po’ di Italia nell’avanguardia della biomimetica applicata nel campo del risparmio energetico. È il caso del fiore fotovoltaico dal nome Girasole, brevettato dall’azienda Altertecno. Un omaggio più che giusto, dato che per realizzare un pannello solare in grado di seguire lo spostamento quotidiano del sole l’esempio è venuto proprio dal girasole. Il pannello si presenta come la struttura di un fiore dotato di petali che non solo catturano il sole, ma lo seguono per assorbire maggiore energia. Il Girasole presenta una tecnologia avanzata munita di un inseguitore biassale. Bello da vedere esteticamente, ma anche resistente e durevole. La potenza di picco è 2,6 KWp e i suoi petali inferiori sono retraibili grazie a un movimento rototraslativo continuo, che li fa sovrapporre a quelli superiori, assicurando così la robustezza necessaria a ridurre a metà la potenza del vento. Il Girasole è attento all’ambiente, tecnologicamente all’avanguardia, ha ridottissimi costi di manutenzione ed è 100% italiano.