Ambienti e strumenti delle comunità che apprendono

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FRANCO TORCELLAN *

Ambienti e strumenti delle comunità che apprendono: la documentazione on line come “luogo” del racconto

Pubblicato in: Dino Bertocco (a cura di), L'onda di Civil Life. Una nuova didattica della cittadinanza attiva, Marsilio Editori, Venezia 2010

Se vi è una situazione in cui la percezione di comunità si è sviluppata con fatica, paradossalmente, essa è quella del mondo della scuola. Sicuramente, gli studenti hanno sempre sentito di appartenere alla propria classe e più ampiamente all'istituto, ma per i docenti il discorso è più complesso e contraddittorio. A dieci anni dall'entrata in vigore dell'Autonomia organizzativa e didattica molte cose sono cambiate nell'approccio alla collegialità. Il dover rispondere con la propria offerta formativa agli specifici bisogni del territorio, il dover esprimere una propria identità, il dover prendere decisioni e assumersi conseguenti responsabilità hanno costretto le istituzioni scolastiche a riflettere su se stesse, ad individuare al proprio interno risorse e opportunità per rispondere a finalità raggiungibili, non con azioni individuali, ma con piani complessivi, a rapportarsi con un insieme ampio di stakeholder, definendo la propria collocazione ed il proprio ruolo nella comunità locale. Nondimeno, questo cambiamento non può dirsi ancora del tutto realizzato e si riscontrano differenze tra le varie situazioni territoriali. Può essere difficile elaborare un senso di comunità, per la persistenza di concezioni, comportamenti ed abitudini di un passato centralista che risolveva i rapporti di lavoro dell'insegnante nella relazione con i propri studenti (un rapporto centrato fortemente sul docente stesso), ma anche per motivi molto più semplici e di natura pratica. Ad esempio, i tempi scolastici sono spesso molto contratti e frenetici, gli insegnanti vivono con affanno una parcellizzazione delle attività e una condizione di continua mancanza di tempo, che accentua anche il peso della burocrazia. Recenti misure di razionalizzazione dell'utilizzo del personale hanno, inoltre, frammentato gli impegni di lavoro di un numero più consistente di insegnanti non solo su più corsi, ma anche tra più scuole, con forti disagi per gli spostamenti e ulteriori stress nella gestione dei tempi. Gli ambienti scolastici non possono poi dirsi sempre accoglienti e gestiti con attenzione al benessere delle persone (studenti, docenti, genitori, …) e allo sviluppo delle relazioni tra le stesse. Il modello degli edifici scolastici, nella grande maggioranza dei casi è quello ottocentesco ed è pensato per l'insegnamento ex cattedra, non prevede spazi di autonomia per gli allievi e per il cooperative learning ed ancor meno spazi per l'interazione degli insegnanti, se si escludono aule docenti trafficate come stazioni e aule per i Collegi e le assemblee non sempre progettate per tale funzione. Per le altre attività collegiali e gli incontri con i genitori, il più delle volte, si utilizzano “spazi di risulta”, quali ad esempio aule non occupate per lezioni, o, peggio, corridoi. Del resto, a ben vedere, il modello architettonico che stiamo descrivendo è lo stesso di carceri, caserme e ospedali. Si tratta del modello proposto dall'industrialesimo e orientato quindi alla standardizzazione e

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