Il dialetto di Montalbano Jonico

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ISBN 88-86820-42-9


Presentazione I dialetti (a livello locale, regionale, o interregionale) assumono per gli studiosi della lingua la stessa dignità e lo stesso valore documentaristico delle più raffinate produzioni in italiano, tanto che in condizione di compresenza simultanea nello stesso individuo di un codice-lingua e di un codice-dialetto, almeno per conoscenza passiva, ai fini di una corretta analisi del comportamento linguistico, la loro testimonianza è fondamentale tanto quanto la lingua italiana. Vi sono motivi storici ben precisi che giustificano la pari dignità dei dialetti, fra questi la comune matrice, che significa continuità diretta tra il latino parlato d’epoca tardo-imperiale e medioevale e tutti gli idiomi romanzi parlati nella penisola italiana. La loro vitalità non è stata minimamente intaccata almeno fino all’unificazione politica d’Italia, in cui ancor oggi si riscontrano contesti non proprio o non del tutto vicini all’italofonia. Di tutta evidenza che i dialetti non costituiscono un contorno alla lingua italiana ma ne sono l’anima, caratterizzati come sono proprio da quell’ “offrirsi insieme alla disponibilità linguistica dei parlanti” cui allude Varvaro nella sua “Storia e prospettive della lingua”. Da qui nasce forse l’esigenza di un dizionario dialettale? Da qui nasce la necessità di fissare sulla carta quella serie di fonemi, comprensibili il più delle volte solo in aree ristrette, pur con caratteristiche comuni ad aree geografiche più ampie? L’autore, nella sua introduzione, dice che la conoscenza e l’approfondimento del dialetto “sarebbero molto utili” alla “formazione culturale, alla costruzione dell’orgoglio identitario e al senso di appartenenza alla comunità”. Di certo è così. Per quanto riguarda però il “tono religioso di una rivelazione”, io mi sento di essere più cauta, tralasciando il riferimento all’annuncio evangelico della Resurrezione ma, pur mantenendo il termine “rivelazione”, mi atterrei alla sua accezione basilare, quale scoperta di fatti anche inattesi, che si rendano improvvisamente noti, di verità che, conosciute o riconosciute, producono viva sorpresa. Quindi, nel caso del dialetto: 1) quale scoperta di un mondo “inatteso”, sconosciuto-riconosciuto, in cui affondano le radici dei popoli; 2) quale scoperta che conduce a circoscrivere i confini dell’identità e ad alimentare l’orgoglio dell’appartenenza, contribuendo alla formazione degli indivi-

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dui e definendone il patrimonio culturale tradizionale e popolare. D’altronde nel corso dei secoli le comunità non hanno rinunciato all’orgoglio di rinverdire, quasi perpetuando la propria giovinezza, la fisionomia delle origini. La lingua parlata o, meglio, la fonetica, che è nata con la storia, rivendica la funzione e la capacità di riordinare nelle sue leggi i caratteri di una determinata unità etnica. E’ soprattutto lo studio attento, analitico e circostanziato, delle lingue vive o della “vita” della lingua, intesa come sua evoluzione e capacità di coglierne il significato in rapporto al tempo, al luogo, ai fruitori e ai praticanti, che ci permette di risalire sicuramente ai caratteri peculiari di una comunità. E tante sono le comunità sociali anche in Basilicata, o in Lucania se preferiamo, cui corrispondono altrettante varietà di un unico sistema linguistico dialettale, almeno dal punto di vista fonetico, in un sistema in cui però non è quasi mai compromessa la comprensione, essendo simili la struttura sintattica, il lessico, la genesi dei vocaboli, (il modo di vivere), mentre cambia da paese a paese l’evoluzione delle vocali. E tra le comunità di Basilicata il professor Romano ha dedicato la sua attenzione a Montalbano, sua terra natale, termine mentale e fascia interlocutoria della sua indagine. L’opera che il professor Romano ci propone è condotta con criteri di studio attento, improntato ad una facile consultazione, intesa a promuovere anche al di fuori dello stretto ambito locale, a prescindere dalle stesse intenzioni dell’autore, un’adeguata conoscenza della “lingua” di Montalbano. Egli non cede alle lusinghe che una simile impresa prevede, non cade nel narcisismo del colpo di scena, della ricerca spasmodica dei termini più coloriti e ad effetto. Registra. Registra e trascrive, sforzandosi di fornire con precisione il significato dei termini, spesso contestualizzandoli. Il risultato è un’opera fruibile, snella e comprensibile. Egli propone in tutta naturalezza quelli che sono gli esiti della sua ricerca, la cui elaborazione semplice e diretta non deve ingannare, sottintendendo un lavoro (di rilevazione, analisi e traduzione) di tutto rispetto. Il dizionario infatti prende in considerazione le proiezioni lessicali della vita di un passato ancora recente fino alle risultanze linguistiche moderne, espresse nel dialetto montalbanese, assegnando ad ogni termine la propria collocazione grammaticale, la descrizione del significato e, come ho già detto, a volte, preziosa, la contestualizzazione. Vi è anche evidenziata nella registrazione di alcune particolari espressioni la pressione lessicale esercitata dall’italiano, le cui motivazioni vengono individuate dall’autore nella sua introduzione. Per quanto attiene alla traduzione occorre precisare che questa risulta sempre difficile, in presenza di un linguaggio in continua evoluzione, cui adeguarsi risulta improbo anche per i contemporanei, ancor di più quando il tentativo è quello di catapultare nel presente i significati

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di una vita e di un mondo dai contorni storico-sociali ben definiti, la cui struttura e i cui oggetti di riferimento sono pressoché scomparsi. Il rischio è lo stesso delle lingue morte. L’autore però, con un’operazione che fa tesoro, presumo, anche di esperienze dirette, funge da trait d’union e riesce a stabilire quel necessario contatto fra epoche e linguaggi diversi, facendo risaltare quasi come da un bassorilievo il “senso” della sua comunità. Si pensa spesso che un’operazione del genere sia improponibile e che un vocabolario sul dialetto al di là di un significato prettamente storico non possa avere. Ma, appunto, ha un significato storico. Per la comunità indagata serve a meglio conoscersi e riconoscersi, per gli altri (e per “altri” sono da intendersi coloro che, storicamente e geograficamente, usano codici linguistici diversi) serve a confrontarsi e aprirsi a modi, mondi e, conseguenti, espressioni diverse e magari a stabilire e riconoscere anche qui legami magari insospettabili. E la traduzione è sempre la fase più delicata di una simile impresa (che di impresa si tratta). Questa risente inevitabilmente della formazione culturale e del mondo anche psicologico del ricercatore, per quanto distaccato e severo nell’indagine questi riesca a mantenersi e, altrettanto inevitabilmente, passando da una forma parlata all’altra, scritta, va a toccare corde sensibili nel cuore e nella mente sia dell’autore che dei lettori-fruitori, soprattutto se in possesso del relativo codice di lettura. Ne solletica così l’insorgere di quelle sfumature di significato che sono precipue solo di quel mondo e, direi, di quel rapporto tra l’individuo e la propria comunità. Si tratta di passare da una lingua all’altra, rispettandone “suoni e visioni” e mantenendo intatta la suggestione delle parole, nell’equilibrio tra la propria visione e quella riconosciuta dal proprio ambiente. Ogni momento cronologico del lessico di una lingua è inoltre il risultato di complicate vicende storiche o culturali ed è la risultante del momentaneo equilibrio di correnti diverse ed anche opposte. La lingua “collega” e unisce e quando la frammentazione linguistica (inevitabile perché segue la frammentazione geografica e storica, anche quella della storia con la s minuscola, quella cioè della gente comune) registrando e rilevando trasmigrazioni e contatti, scelte linguistiche che comprendono scelte culturali, usi, costumanze, riti (in una parola l’ “esistenza”), è proprio la conoscenza e lo studio del mezzo convenzionale di comunicazione, in questo caso i dialetti, che permette la comprensione, innescando col riconoscimento di suoni familiari, complicità e condivisione, se non solidarietà. Sarà capitato a molti, trovandosi fuori dal proprio ambiente, provare almeno sollievo nel riconoscere, anche se formulate da gente sconosciuta, espressioni appartenenti al proprio codice linguistico. Lo stesso autore motiva il lavoro finalizzandolo alla salvaguardia di un’identità, di un orgoglio delle proprie radici e tradizioni, io aggiun-

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go che tale senso di appartenenza, questa ricerca quasi spasmodica di un’identità in contrapposizione al processo inarrestabile di promiscuità linguistica è spesso, purtroppo non sempre, supportato dall’esigenza della comunicabilità e dell’interscambio di informazioni teso alla conoscenza dell’altro, attraverso la conoscenza della sua area di provenienza, della sua storia, della sua lingua. La letteratura popolare è per di più intesa come letteratura orale (semplificando, non essendo questa la sede per aprire una discussione sulla definizione di letteratura popolare, per la quale rimando agli appositi studi) ed è già degno di approvazione un lavoro che qualsiasi fine si proponga, contribuisce a fissare per iscritto e quindi a “salvare” quelle forme orali che, altrimenti, andrebbero completamente dimenticate. Trovo interessante l’inserimento dell’elenco dei nomi più in uso in Montalbano, soprattutto per la ricostruzione dei relativi diminutivi. Di indubbia valenza storica inoltre la descrizione delle unità di misura che, seppur con risultanze linguistiche diverse, sono quelle in uso credo in tutto il meridione. Il lavoro è utile anche per il contributo che fornisce alla mappa lucana delle espressioni proverbiali e di sicuro sarà utile fonte per coloro che vorranno intraprendere questo viaggio nei sunti della “saggezza” della nostra terra. Una ricerca etimologica avrebbe arricchito ulteriormente il testo, ma questa mia considerazione vale solo quale suggerimento per un eventuale successivo impegno del prof. Romano. Considerevoli gli spazi riservati agli scrittori conterranei, tra cui lo stesso Romano, oltre a Giuseppe Camardi, Vito Grandinetti, Giambattista Marrese, Vincenzo Rosano, Andrea Tuzio. Costituendo una piccola antologia del panorama letterario montalbanese, nello stretto rapporto, comprendente approcci e distanze, tra lingua scritta e lingua parlata, sia nelle espressioni italiane che in quelle dialettali, fornisce una valida idea degli esiti letterari scaturiti dal substrato culturale più ancorato alla propria “terra”. Tale scelta fa dell’opera un ritratto linguistico della “sua” terra. Il vero è che, al di là di tutto, la traccia dell’opera, il tema che unisce le parti, è costituito dall’amore e dalla dedizione alla “sua” Montalbano, che lo portano a ricercarne e delinearne i tratti caratteristici e distintivi perché ne sia perpetuata la memoria. Anna Maria Mangieri

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Introduzione “Poi che la carità del natio loco mi strinse…” Nella società complessa dei nostri tempi sono in atto due processi antitetici: da una parte la globalizzazione con l’omologazione e la progressiva scomparsa delle differenze, dall’altra la comparsa di istanze localistiche, con la riscoperta e la valorizzazione del tipico, del tradizionale. Già negli anni di chiusura del secondo millennio abbiamo assistito ad un’inversione di rotta per un recupero delle tradizioni popolari, accompagnato da un processo di frazionamento di costruzioni statuali in entità regionali, non tanto in nome del separatismo, quanto a salvaguardia di un’identità, di un orgoglio delle proprie radici e delle proprie tradizioni. Nell’era della globalizzazione soffia il vento del passing, ovvero il tentativo di uniformizzazione degli stili di vita, ma nel contempo emerge, e con forza, anche la volontà di identità particolare. Convivono dunque nella nostra epoca due processi contraddittori e divergenti: assistiamo ad esempio alla progressiva costruzione della Unione Europea e al tempo stesso a fenomeni regionalistici, quali la Lega Nord. È in atto una vera e propria resistenza alla omogeneizzazione culturale, che si esprime con i localismi e l’esigenza di affermazione di una peculiare identità. È quasi una sorta di invocazione di aiuto, un disperato richiamo di attenzione alla propria peculiarità, per non essere inghiottiti nella calma piatta e incolore dell’oceano della massificazione. Imperversa a macchia d’olio il macdonaldismo, che fa del mondo un villaggio, ma per reazione e a difesa della propria sopravvivenza ogni comunità propone la propria cucina sotto la bandiera dell’autentico, dell’originario, del genuino, dell’incontaminato. E così oggi di fronte al possente Golia, rappresentante delle multinazionali occidentali lanciate alla conquista di territori e mercati mondiali, tanti Davide provano a lottare perché non vogliono essere fagocitati, perché non intendono assolutamente scomparire in un magma indistinto, nell’anonimato.

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Il loro grido di battaglia suona così: “Sono diverso, dunque sono”. E lo si sente sempre più di frequente risuonare nell’etere a dispetto del Potere imperante, che vorrebbe sopprimerlo, e affermare il proprio diritto ad esistere, per dare al futuro dell’umanità quell’indispensabile tocco di varietà, di diversità e di colore, che è ricchezza, è vita. Montalbano Jonico ha una ricca tradizione di letteratura popolare, tuttavia quasi esclusivamente orale, probabilmente perché la trascrizione del dialetto si rivela non facile, piuttosto fastidiosa e complessa, a volte un vero rompicapo. Unica testimonianza testuale del genere, edita, è il prezioso volume “I canti della Terravecchia” (Ed. Imperatrice, Montalbano Jonico, 1972) a cura di Giuseppe Camardi. Il dialetto montalbanese è, come tanti altri, patrimonio popolare incamminato sulla via dell’estinzione, anche perché non è alimentato da nuova linfa, che potrebbe essere fornita da un gruppo folk, un giornale o da una compagnia di teatro vernacolare, purtroppo da anni assenti sul territorio. La sua precarietà è legata allo scarso radicamento di usi e costumi e alla debolezza delle tradizioni nostrane, probabilmente per l’atavica carenza di “aggressività” e di capacità di azione, per una buona dose di passiva accettazione degli eventi, di rassegnazione, per l’ereditata abitudine a subire e a sopportare e per una sorta di abulìa, segni, questi, che sono distintivi del carattere della popolazione (e che si spingono purtroppo fino a toccare condizioni di mera apatia e di negativa indifferenza). La carenza in loco di uomini di genio in odor di fama ha poi fatto il resto: si pensi in confronto a personalità come Totò, Eduardo e Peppino De Filippo che hanno dato lustro al napoletano, all’attore Lino Banfi che ha lanciato il pugliese, o per rimanere nel circondario, ad Albino Pierro, che ha fatto conoscere al mondo il vernacolo tursitano. Consideriamo inoltre che l’invadenza del linguaggio dei media, l’allontanamento oramai sistematico di gran parte dei giovani dall’ambiente familiare e paesano e la loro emigrazione, molto spesso senza ritorno, verso il centro-nord del Paese per motivi di studio e di lavoro vanno assestando da qualche decennio colpi mortali al dialetto montalbanese. Eppure la sua conoscenza e il suo approfondimento sarebbero molto utili ai fini della formazione culturale, della costruzione dell’orgoglio identitario e del senso di appartenenza alla comunità, una comunità, è il caso di ricordarlo, che ha origini lontane ed è stata, nei secoli, forgiata ed arricchita dalla diversità culturale per le presenze in successione di greci, latini, bizantini, arabi, normanni, francesi, spagnoli. Questo lavoro, pertanto, assume in siffatto scenario quasi (mi si perdoni l’irriverenza!) il tono religioso di una rivelazione; la parola vivente

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del dialetto, che è purtroppo inevitabilmente condannato a morire, posta sulla carta, può paragonarsi all’annuncio evangelico della Resurrezione e vale a donargli almeno un pizzico di immortalità. La presente opera si affida all’intelligenza e alla benevolenza del Lettore, che lungi dal criticare per eventuali assenze lessicali o, a suo parere, inesatte trascrizioni di qualche termine dialettale, in cui pure è possibile che possa imbattersi (possa egli considerarle innocue pagliuzze!), auspichiamo che faccia scorrere il suo sguardo su queste pagine producendo il necessario personale sforzo interpretativo e di ricerca. È nostra fiduciosa aspettativa che egli sappia apprezzare questo lavoro, che vuole mantenere in vita la memoria dei nostri padri, depositari di quella oralità articolata, che aveva nel dialetto il più efficace mezzo espressivo. È in questa lingua che affondano le nostre radici. Essa ci lega come un cordone ombelicale al passato e al territorio, ci regala un’identità e un patrimonio interiore fatto di suoni, di gesti, di utili saggezze, di un bagaglio di familiarità, un’interiorità che ci dà sicurezza per la vita.

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Brevi note per la consultazione Il segno c sarà riferito al suono c, come in ca – co – cu senza le vocali Il segno c’ sarà riferito al suono c, come in ce – ci senza le vocali Il suono sc, come nella parola italiana scena, sarà indicato sc’. Il suono sc, come nella parola italiana scala, sarà indicato con sc. Il suono z nel dialetto montalbanese è sempre dolce e sarà indicato unicamente con il segno z. La lettera j sarà riferita al suono j, i prolungata come nella parola jogurt. La vocale e quando è muta sarà quasi sempre omessa, specie in fine di parola; se pronunciata, sarà é chiusa o è aperta. Il segno ’ seguente una consonante vuol indicare il carico di una breve pausa sulla medesima. La o è quasi sempre chiusa, in poche eccezioni è aperta ed indicata con ò. Le parole che non presentano accentazione sono piane (l’accento cade sulla penultima sillaba). accr. agg. ar. art. aus. avv. card. cong. det. dim. dimin. es. espr. f. franc. gr. ind. indef.

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accrescitivo aggettivo arabo articolo, articolato ausiliare avverbio cardinale congiunzione determinativo dimostrativo diminutivo esempio espressione femminile francese greco indeterminativo indefinito

intr. lat. m. num. part. partic. pass. pers. pl. prep. pres. pron. rifl. s. sp. tr. v. vezz.

intransitivo latino maschile numerale participio particella passato personale plurale preposizione presente pronome, pronominale riflessivo sostantivo spagnolo transitivo verbo vezzeggiativo


A, a a (a l’) 1. art. det. f., la; 2. pron. pers., la; 3. prep. art., agli, alla, alle abbagnà v. tr. bagnare

abbruvugnùs agg., timido àbbs s. m., matita

abbasàt agg., basato, ponderato, razionale

abbusc’cà 1. v. tr., guadagnare; 2. v.intr., prendere le botte

abbàsc’ avv., giù

abbuttà v. tr., gonfiare

abb’n’rìc espress. dal significato “Dio ti benedica”

abbuttàt agg., gonfio

abb’ndatìzz agg., detto di persona che sta bene e non fa alcun sacrificio

abbuttatìzz agg., gonfiato (per cure mediche)

abbìend agg., ozioso. Stà abbjend significa non lavorare, oziare abbijà v. intr., avviare, cominciare a camminare abbrazzà v. tr., abbracciare abbruculà v. tr., diventare rauca (detto della voce) abbrusc’cà v. tr., abbrustolire abbruvugnà v. rifl., vergognarsi (dal latino verecundia)

abb’vrà v. tr., abbeverare

abb’tìn s. m., scapolare (indumento indossato dai frati) ach s. m., ago àchcèdd s. f., grosso ago usato per cucire tela grossa, come quella di sacchi e materassi accasàrs v. rifl., prender moglie, mettere sù casa; part. pass. accasàt sposato

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accasion s. f., occasione

accucciulà v. rifl., accoccolarsi

accattà v. tr., comprare

accucciulàt agg., accoccolato (detto di animale domestico)

acc’ s. m., sedano (dal latino apium) Acc’mà v. intr., guardare con attenzione, part. pass., acc’màt acc’mendà v. tr., disturbare, insultare acc’prèut s. m., arciprete

acculazzà v. tr., posizionare il traino dalla parte posteriore per caricare o scaricare

accung’rtà v. tr. concertare, organizzare per bene

accétt s. f., scure

accunzàrs v. rifl., trovare lavoro da salariato

acchjà v. tr., trovare

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accucchiator s. f., giuntura, congiuntura

accum’nzà v. tr., incominciare

accér avv., di fronte

acchiàl s. m., occhiali

accucchià 1. v. tr., unire, congiungere; 2. fare discorsi coerenti, logici

accunzàt agg., dipendente, salariato

acciamurràt agg., molto raffreddato

accùot agg., accolto, raccolto

accìr v. tr., uccidere

accurtator s. f., scorciatoia

accìs agg., ucciso

accurtèsc’ v. tr., accorciare

accision s. m., omicidio

accussì avv., così

acclìss s. f., eclissi

acìt s. m., aceto

accògghj v. tr., accogliere, raccogliere

acquaquagghjàrs v. rifl., accovacciarsi, rannicchiarsi

accrjanzàt agg., educato, dalla buona creanza

acquaquagghjàt agg., accovacciato, rannicchiato


acquàr s. f. canale d’irrigazione

aducà v. tr., educare

acquaràgg’ s. f., acquaragia

affabbul agg., affabile, cortese

acquasàl s. f., pietanza fatta di pane, acqua, sale e olio

affaccià v. rifl., 1. affacciarsi; 2. fare una breve visita

acquasciòdd s. f., acqua sporca, acqua tinta (detto di caffè o vino pessimo)

affaluppà v. tr., mangiare con avidità

addés avv., fra poco

affam’liàrs v. rifl., diventare amico come uno di famiglia

addmurà v. intr., ritardare; part. pass.: addmuràt

affarfatùogghj s. m., confusione di persone

addo’ avv., dove addo’r s. m., odore addr’zzà v. tr., raddrizzare addùbbj s. f., anestesia addubbjà v. tr., narcotizzare adducchià v. tr., adocchiare, scorgere addummannà v. tr., domandare addunàrs v. rifl., accorgersi; part. pass., addunàt: accorto

affascià v. tr., fasciare affasc’n s. m., pratica esorcizzante (dal demonio o dal malocchio) affasc’nà v. tr., procurare malore ad altri con la forza dell’invidia afftèsc’ v. intr., puzzare, diventare fetido afftsciùt agg., fetido, puzzolente affucà v. tr., strozzare affunnà v. tr., affondare affumcà v. tr., affumicare, riempire di fumo

addurà v. tr., odorare

aff’rc’cand agg., malizioso

add’vnà v. tr., indovinare

affurnà v. tr., infornare

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affurtucà v. tr., arrotolare le maniche, sbracciarsi, darsi da fare

allscià v. tr., 1. lisciare; 2. carezzare; 3. picchiare

àgghj s. m., aglio

allugnésc’ v. tr., allungare

agghìjett s. f., asola

allupàt agg., affamato, che ha fame da lupo

aggiustà v. tr., aggiustare, porre riparo

alluppscià v. intr., asciugare alla meglio, non completamente; part. pass.: alluppsciàt

ajjatà v. tr. soffiare, alimentare il fuoco ajjer avv., ieri ajjranà v. tr., raccogliere àjn s. m., agnello ajùst s. m., agosto allért in piedi (dal greco aertao) allambàt agg., affamato allarià v. tr., allargare allccà v. tr., leccare allèrij agg., allegro allezziunà v. tr., ammaestrare, dare lezioni allmccàrs v. rifl., mettersi in ordine nella persona, “tirarsi” allmccàt agg., molto curato nella persona

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alm s. f., anima al’mmìgghj avv. in veglia, senza poter dormire; anche ammìgghj à mbògn espr. avv., a dispetto ammagghià v. intr., avere ottimi rapporti con qualcuno; part. pass.: ammagghiàt ammarràrs v. rifl., proporsi in modo indisponente, con arroganza ammscà v. tr., 1. attaccare (un bottone); 2. dare con forza (un ceffone); 3. contagiare ammsc’cà v. tr., mescolare ammuccià v. tr., nascondere ammucciàt agg., nascosto ammucciatèdd s. f., gioco del nascondino ammucculà v. tr., capovolgere


ammucculàt agg., capovolto

anzgghjon s. m., malleolo

ammugghjà v. tr., piegare i panni, avvolgerli ordinatamente

appalaccà v. tr., affondare, part. pass.: appalaccàt

ammugghjàt agg., avvolto ammulà v. tr., affilare ammulafùorbc’ s. m., arrotino (mestiere scomparso) ammurràrs v. rifl., inquietarsi, incavolarsi; part. pass.: ammurràt (inquietato) ammusc’cà v. intr., alzare le spalle in segno di disappunto, disapprovazione, malcontento andrasàtt espr. avv., di soppiatto, all’improvviso anduppà v. tr., acchiappare angappà v. tr., acchiappare, prendere angappàt agg., preso angùn agg. o pron., qualche, qualcuno; f., angùna

appannà v. tr., socchiudere, accostare appannàt agg., socchiuso appapagnàrs v. rifl., appisolarsi appapagnàt agg., di persona che si è addormentata appar’ndàrs v. rifl., entrare in parentela con qualcuno; part. pass.: appar’ndàt appascià v. rifll., fare pace con qualcuno appassulà v. tr., appassire appassulàt agg., appassito appénn v. tr., appendere appnnùt agg., appeso appicc’cà v. tr., accendere

annacquà v. tr., annacquare (il vino); part. pass.: annacquàt (annacquato)

appicc’cator s. m., carbone acceso per accendere altro fuoco

annìurecà v. intr., diventare nero

appìett s. f., strada con forte pendenza

annìurecàt agg., diventato nero, annerito

apprbbsà v. tr., giudicare, valutare

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apprìm avv., prima

arr’gg’ttàrs v. rifl., fermarsi, mettersi tranquillo

apprsndàrs v. rifl., presentarsi

arr’gnà v. tr., accumulare

appundà v. tr., 1. abbottonare; 2. annotare

arrèsc’ v. intr., resistere, sopportare

appundàt 1. appuntato (carabiniere); 2. agg., abbottonato, annotato

arr’s’ttàt agg., indurito

appùogg’ s. m.., appoggio, sostegno appuggià v. tr., appoggiare appzzcà v. tr., dare con violenza (uno schiaffo) aprìl s. m., aprile arìjen s. m., origano arracà v. tr., portare a fatica arraccià v. tr., tagliare la carne a pezzetti per fare il salame; part. pass.: arracciàt

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arrét avv., di nuovo, ancora arrmuddà v. tr., ammorbidire arrubbà v. tr., rubare arrumnésc’ v. tr., mettere in ordine (la casa) arrunà v. tr., raccogliere arruggnunàrs v. rifl., raggomitolarsi; part. pass.: arrugnunàt arrunzà v. tr., fare le cose alla rinfusa, con superficialità

arracquà v. tr., irrigare, innaffiare

arruspà v. intr., sopportare a malincuore, contenere la rabbia

arracquàgn agg., riferito a olive irrigate

arrutà v. intr., girare intorno

arraggiunà v. intr., ragionare

arruzzulà v. intr., ruzzolare; part. pass.: arruzzulàt

arrajàrs v. rifl., litigare, fare a botte; part. pass.: arrajàt

arruzzunì v. intr., arrugginire; part. pass.: arruzzunìt

arravùogghj s. f., confusione

arsìcul s. f., siccità


ascing’rà 1. v. intr., diventare sereno; 2. sciacquare i panni per eliminare il detersivo o il sapone con cui li si è lavati à s’curdùn espr. avv., di sorpresa, all’improvviso assàje avv., assai

attintcà v. intr., annerire, tingere di nero; part. pass.: attintcàt attizzà v. tr., attizzare, alimentare il fuoco o un cattivo rapporto attràss s. m.., ritardo

assaljàt agg., esaltato, pazzo, sconnesso

attrassà v. tr., trascurare; part. pass., attrassàt: trascurato

assapurà v. tr., assaggiare

attuccà v. intr., spettare, toccare

assignurì vossignoria

attunnà v. tr., arrotondare

assìj v. intr., uscire

attuppà v. intr., toccare

assogghj v. tr., sciogliere assucà v. tr., asciugare assucapànn s. m., arnese in legno a forma di cupola per asciugare i panni assùgghj s. f., la lesina del calzolaio (dal latino subula) assuzzà v. tr., rendere di dimensioni uguali attaccà v. tr., 1. legare; 2. cominciare attalandà v. tr., accudire, trattare, avere a che fare con qualcuno attàn s. m., il padre

aulìv s. m., l’ulivo e s. f., l’oliva autàr s. m., altare auuacchià v. tr., vedere, scrutare auuàl agg., uguale auualà v. tr., uguagliare auuànn quest’anno avàst! espressione avv., basta! avé v. tr., avere avògghj avv., a volontà, molto

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avvampà v. intr., incendiare, arrossire di vergogna; part. pass., avvampàt: arrossito azzangà v. tr., sporcare; part. pass., azzangàt: sporcato azzarìt agg., pieno di forza, di energia

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azzimmàt agg., ben curato, in perfetto ordine azzuppà v. tr. sbattere


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