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venerdì 19 luglio 2013
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Giornale del Festival
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Approfondimenti critici da Santarcangelo •13
///////////////////////////////////////////////////////////////////// A CURA DELL’OSSERVATORIO CRITICO ////////////////////////////////////////////////////////////////////
Le mille identità dello spettatore Perdersi per comprendere cosa accade quando si guarda di LORENZO DONATI La complicata armonia della polifonia. Sembra questa la sfida culturale che ci sta lanciando Santarcangelo •13, dopo averci immerso in un primo weekend di spettacoli, performance, incontri, concerti, film, dj set. Il verbo di oggi è apparire nelle apparizioni altrui, prendere parola su parole non proprie, aggregare gesti in contesti che altri predispongono per noi. Nei primi giorni di festival molte sono state le proposte relazionali, in spettacoli che senza il nostro intervento diretto non avrebbe-
ro potuto proseguire: le alzate di mano di All Ears, le telefonate di Agoraphobia, le tracce da lasciare in Art You Lost? Forme che ricorrono per una scena in cerca di identità, al punto da mettere radicalmente in discussione i fondamenti della relazione teatrale: chi è lo spettatore? Si può ancora parlare di attore, oggi? Cosa accade in quel punto di mezzo che permette un loro incontro? Santarcangelo •13 sembra declinabile secondo le tante possibili identità di chi guarda: spettatori spensierati ballerini di musichette nella propria cameretta, ma quella cameretta è una piaz-
za (Brian Lobel); trasfigurati nella percezione consueta, a captare un concerto di passi creato da una maratona di ballo senza nessuna melodia udibile (I topi lasciano la nave di Zapruder, film in proiezione quotidiana presentato anche al Festival Internazionale del Film di Roma); desideroso di conoscere per andare oltre le superfici di quello che si vede e si ascolta, per farsi un’idea magari fallace ma faticosa di quanto viene raccontato (i tanti incontri). Tenere il passo di una diversità apparentemente non conciliabile, sembra chiederci il festival, anche nelle so-
PROGRAMMA Si segnalano, tra gli altri
sa origine delle cose, guardando all’infanzia come luogo concreto e metaforico in cui tornare a chiedersi “perché accade ciò che accade?”, con uno specifico percorso dedicato alla radio. Assisteremo all’esito di progetti espansi che incontrano il pubblico dopo settimane di camminate solitarie dal Tirreno all’Adriatico (King di Strasse), a spettacoli di artisti internazionali e italiani fra teatro e danza, a film e a concerti, per terminare ogni sera nel ballo collettivo del dopofestival allo spazio Liviana Conti: lasciate ogni certezza voi che entrate!
L’Oblò ******************
Renate Klett e la crisi del teatro europeo
Kate McIntosh Worktable / Scuola Piazza Ganganelli / ore 17.00-23.00 Chiara Guidi/Ermanna Montanari Poco Lontano da Qui + Incontro / Supercinema / ore 21.30 Valters Silis Legionari. Diskusija ar kaušanos / Liviana Conti 1 / ore 22.30 Alessandro Sciarroni Untitled_ I Will Be There When You Die + Incontro / Lavatoio / ore 19.30 Pathosformel T.E.R.R.Y / Liviana Conti 2,5 / ore 21.30 *** per sfogliare il programma completo: santarcangelofestival.com
vrapposizioni di un programma immenso, in cui fare della perdita un valore aggiunto. Un’arte teatrale spaesata produce spettatori spaesati, anche se qualche volta si sarebbe voluto un affondo maggiore nei lati oscuri della partecipazione, nell’ossessione a esserci, a dire la propria, a commentare ogni cosa. In cerca di un’arte della scena siffatta, siamo pronti per il secondo weekend, che vi racconteremo in queste pagine al lavoro da un osservatorio critico che ha sede in Piazza Ganganelli. Il teatro che vedremo da oggi a domenica ci interroga sulla misterio-
disegno di Marco Smacchia
«Mi è sempre piaciuta l’atmosfera di Santarcangelo, il clima politico che riesce a creare col suo approccio al teatro. Di questa edizione mi stanno colpendo l’enorme quantità di spettacoli e la forma breve in cui molti di essi sono stati presentati; questi stessi elementi, però, hanno forse reso un po’ problematica la fruizione. Quello che cerco è un teatro che esprima un’urgenza forte e, devo dire, faccio sempre più fatica a trovarlo a livello europeo. Tenendo presente che è un discorso che non riguarda tutti gli artisti, ho l’impressione che si sia imposta una concezione noiosamente borghese della prassi scenica, proprio in un momento in cui abbiamo bisogno di una scossa. Credo che il regime del benessere nel quale vivono i paesi europei conduca quasi inevitabilmente a una sorta di pigrizia della creatività. D’altronde, il teatro è uno specchio della società: se pensiamo al dinamismo che caratterizzava gli anni ‘70, notiamo come questo si riflettesse in una miriade di spettacoli stimolanti e pieni di furore, di rabbia. Ciò non vuol dire che non esistano proposte interessanti e politicamente intelligenti: penso a Teatro Sotterraneo, presente qui, o, in un’ottica europea, ai Gob Squad e alle She She Pop. Avere un approccio politico non significa parlare necessariamente di determinate tematiche, ma ampliare le potenzialità del ragionamento in modo da renderlo urtante per lo spettatore. Occorre non lasciare scampo, far percepire, anche crudelmente, l’impellenza di un discorso che non può essere rimandato. Questa è partecipazione, non la falsità buonista degli spettacoli che si prefiggono come unico scopo il coinvolgimento. Attorno a questo concetto si è creata una retorica veramente insopportabile, che non fa altro che applicare il meccanismo della pubblicità al teatro. Tutti al giorno d’oggi, dalle radio private alla tv spazzatura, vogliono farti sentire importante. Ma si tratta di un finto interesse, che alimenta nel pubblico soltanto un narcisismo sterile e tremendamente pericoloso. Anche qui, però, ci sono delle eccezioni: dipende da come si usa la partecipazione e se questa serve per raccogliere materiali da rielaborare in una forma, come faceva All Ears di Kate Mcintosh, che ho apprezzato ». a cura di Francesco Brusa *Renate Klett, critica tedesca, si occupa di teatro e danza nella scena internazionale.