Tesi di laurea magistrale

Relatore: Prof. Arch. Marco Bovati | Corelatori: Prof. Arch. Javier Fernandez Castro, Arch. Ester DedĂŠ

Alice Salamone

POLITECNICO DI MILANO FACOLTÀ DI ARCHITETTURA E SOCIETÀ Corso di laurea in Architettura indirizzo Progettazione Architettonica

Progetto di rigenerazione architettonica e urbana di una villa miseria di Buenos Aires Playón de Chacarita | Villa Fraga

Tesi di: Alice Salamone Matricola: 799170 Relatore: Prof. Arch. Marco Bovati Corelatore: Prof. Arch. Javier Fernandez Castro Corelatore: Arch. Ester Dedé

Anno Accademico 2014-2015

Ademas de hacer unidades residenciales o desparramadas horizontalmente, se debe “ hacer ciudad”, que es bien diferente a hacer casitas o departamentos.

Eso implica que, al mismo tiempo que hay que responder a las necesidades, hay que hacerlo de forma tal de crear un ambiente estimulante para la vida, para el contacto y la evolución social. [...]

No se trata de hacer todo desde zero, demoliendo todo para rehacerlo. Justamente, de lo que se trata es, a partir de lo que existe, introducir actributos urbanos, que sean capaces de generar un efecto contagiante positivo, y a través de la inverción publica, desencadenar un proceso de mejoramento de lo privado desde lo privado, o sea desde los proprios habitantes, tanto en terminos de valorización cuanto de mejoramento de la calidad de vida y del ambiente.

Oltre a realizzare unità abitative e spalmate orizzontalmente, si deve “fare città” che è ben diverso dal realizzare casette o appartamenti.

Ciò implica che, contemporaneamente al dover rispondere alla necessità, bisogna farlo in modo tale da dar origine ad un ambiente stimolante per la vita, per le relazioni e lo sviluppo della società. [...]

Non si tratta di realizzare tutto a partire da zero, demolendo tutto per rifarlo. In effetti, ciò di cui si parla, consiste nell’inserimento di elementi urbani che a partire da ciò che già esiste siano in grado di avere un effetto contagiante positivo e, attraverso l’intervento dell’ente pubblico, siano capaci di dar origine ad una serie di processi a catena che inneschino un cambiamento positivo del settore privato a partire dal privato ovvero a partire dagli stessi abitanti, tanto dal punto di vista della rivalutazione e valorizzazione dello specifico settore cittadino quanto dal punto di vista del miglioramento della qualità della vita e dell’ambiente.

Jorge Mario Jáuregui in Favelas: en la Argentina se puede todavia resolver el tema de las Villa, p. 2

Nunca tampoco me pareció que hubiera que hacer una diferenciación entre una arquitectura más social o menos social, en definitiva credo que todo es arquitectura. Porqué a veces parece que cuando se le pone el calificativo parece que hay que hacer otra cosa o de menor calidad, menor tamaño, meno sofisticada, me parece que las mismas herramientas si es que se piensa en un trabajo de inclusión tienen que ser utilizadas en cualquier modo de producción. [...]

Por ejemplo hay que romper con un paradigma muy instalado que nosotros denominamos viviendismo que es hacer acepto solo del tema viviendas si no incorporar otras tematicas de sustentabilidad productiva, imprendimientos, que hacen que tener fuentes de trabajo firmes y estables que despues van a servir tambien para poder mantener lo que se construye.

Hay que volver a pensar esta tematica como una tematica urbana en todas sus dimensiones donde no solo la vivienda si no lo productivo, el equipamiento publico que allí si que está la componiente de salud, de educación, eccetera, esten siempre presentes, como cualquier otro barrio de la ciudad donde todas estas cosas estan mescladas en el tejido. Pero como siempre se lo vee desde la vivienda, parece que col dar la respuesta de vivienda alncanza y el estado hace eso, se retira y deja este lugar como liberado a su suerte y rapidamente fracasa.

Hay que trabajar con un programa más complejo digamos, donde la vivienda sigue estando pero sea una parte y no el todo.

D’altronde non ho mai pensato che bisognerebbe fare una distinzione tra un’architettura più sociale ed una meno sociale, in fin dei conti penso che sia sempre architettura. Perché a volte sembra che quando gli si affianca l’aggettivo qualificativo sembra che sia necessario fare un’altra cosa o qualcosa di qualità inferiore, di dimensioni inferiori, meno attenta, invece mi sembra che se si pensa ad un lavoro di inclusione bisogna che gli stessi strumenti debbano esser utilizzati in ogni opera.

Penso che sia questa la reale inclusione e non che debba esserci una discriminazione di professionisti per gli uni o per gli altri. [...]

Per esempio bisogna rompere un modello molto radicato che noi chiamiamo “viviendismo” che consiste nel farsi carico del solo problema della casa, bisogna infatti inserire altri fattori si sostenibilità produttiva, imprese, che fanno si che si abbiano delle fonti di lavoro forti e stabili che in un secondo momento avranno anche la funzione di mantenere ciò che si è costruito. Bisogna tornare a pensare queste problematiche come temi urbanistici in tutte le loro dimensioni in cui non soltanto la casa ma anche il settore produttivo, i servizi pubblici in cui è inclusa la componete di salute, educativo, eccetera, siano sempre presenti, come qualsiasi altro quartiere della città in cui tutti questi fattori si trovano amalgamati nel tessuto urbano. Però spesso accade che si vede il problema solo dal punto di vista del deficit abitativo, sembra che sia sufficiente dare una risposta a tale problema e capita che lo Stato lo fa e si ritira lasciando questi luoghi come in balia della fortuna e di conseguenza tutto fallisce.

Bisogna lavorare con un programma più complesso, in cui la residenza però sia una parte del programma e non la sua totalità.

Javier Fernandez Castro vedi intervista allegata

[...]

Nuestro Norte es el Sur. No debe haber norte, para nosotros, sino por oposición a nuestro Sur. Por eso ahora ponemos el mapa al revés, y entonces ya tenemos justa idea de nuestra posición, y no como quieren en el resto del mundo. La punta de América, desde ahora, prolongándose, señala insistentemente el Sur, nuestro norte.

[...]

Il nostro Nord è il Sud. Non ci deve esser un Nord per noi se non per opposizione al nostro Sud. Per questo motivo adesso giriamo la mappa al contrario e solo così possiamo avere la corretta percezione della nostra posizione, e non come pretendono nel resto del Mondo.

La punta dell’America a partire da adesso, prolungandosi, segnala poderosamnete il Sud, ovvero il nostro Nord.

Joaquín Torres García in Universalismo Constructivo, Poseidón, Buenos Aires, 1941

| Indice

0.

Abstract

p. 17

1.

Abitati informali

p. 25

1.1 1.2 1.3

2.

2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7

25 Cos’è uno Slum?

Problemi insiti nell’individuazione di un solo termine che definisca un fenomeno complesso 30 Dimensioni del fenomeno Crescita demografica repentina e capacità di risposta della pianificazione urbana a confronto 35 Come si è intervenuti negli ultimi 50 anni Diverse strategie a confronto

Buenos Aires e le Villas miserias

p. 39

La città di Buenos Aires: Una breve storia dalla fondazione ad oggi Il mercato immobiliare formale nella città Il deficit abitativo della città porteña Le Villas di Capital Federal: Come sono nati gli abitati informali Dimensioni del fenomeno Evoluzione della popolazione villera La nascita delle organizzazioni in Villas 13

39 41 43 43 45 46 46

3.

3.1 3.1.1 3.1.2 3.2 3.2.1 3.2.2

4.

4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 4.7 4.8 4.9 4.10 4.11

Letteratura e casi studio

p. 51

Jorge Mario Jáuregui ed il programma Favela-Bairro di Rio De Janeiro, Brasile Il programma Favela-Bairro L’intervento in Vidigal, Rio De Janeiro, Brasile Best Practices in Argentina Il progetto di rigenerazione urbana della Villa 31 (Buenos Airea, Argentina), J. F. Castro, J. M. Jáuregui Il progetto di rigenerazione urbana della Villa 21-24 (Buenos Airea, Argentina), J. F. Castro

51 51 53 57 57 69

p. 75

Il Playón de Chacarita: Villa Fraga La nascita della Villa Caratteristiche della Villa Entità organizzative nella Villa Analisi del contesto Linee guida dell’intervento progettuale Un progetto partecipativo Mapping Proposta progettuale Fasi di intervento Residenze Nuovi punti di interesse

75 79 80 82 84 84 88 92 95 96 100

14

5.

5.0 5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6 5.7

5.8

6.

7.

Interviste

p. 109

Introduzione Intervista a Javier Fernandez Castro, Architetto e Docente alla Fadu, Facultad de Arquitectura, Diseño y Urbanismo Intervista a Maria Magdalena Pace, militante del Colectivo por la Igualdad Intervista a Ana María Vásquez Duplat, militante del Colectivo por la Igualdad Intervista a Andrea Dal Bosco, militante del Colectivo por la Igualdad Intervista a Belén Ferrand, Architetto Intervista a Josefina Perez Silva, Architetto Intervista a Andrés Conde Blanco, studente all’ultimo anno di Architettura della FADU, Facultad de Arquitectura, Diseño y Urbanismo Intervista a Mateo Saad, studente all’ultimo anno di Disegno Industriale della FADU, Facultad de Arquitectura, Diseño y Urbanismo

Ringraziamenti Riferimenti Bibliografici

109 111 116 118 122 125 127 129

133

p. 139 p. 140 15

16

0 | Abstract

Da sempre, nell’immaginario comune, la grande città è stata sinonimo di opportunità, di possibilità di realizzazione personale e di incontro tra culture differenti.

A seconda delle epoche però, tali promesse finivano con l’esser mantenute, permettendo ai “nuovi cittadini” di stabilirsi e integrarsi nel nuovo contesto socio culturale, oppure tradite, finendo così col trasformare i nuovi arrivati in emarginati sociali.

La città è dunque al contempo un interessante luogo di incontro e possibile integrazione ma anche un forte mezzo di emarginazione ed esclusione sociale.

Ciò che nei secoli si è andato modificando sempre più però è il modo di reagire a tale meccanismo di separazione e segregazione.

La presenza del povero, dell’emarginato, ha da sempre portato a meccanismi di messa in sicurezza da parte del resto della società, intimorita da tali soggetti.

Il povero, come il diverso, era visto in passato come portatore del male. O meglio, il male, come ad esempio eventi epidemici, cui bisognava trovare giustificazione, veniva di volta in volta associato a persone non integrate nella società come mendicanti e stranieri.

Il timore che tali soggetti potessero contagiare fisicamente o anche solo molestare la serenità mentale del viver quotidiano della società civile ben integrata ha portato a diverse tipologie di segregazione del diverso: dai lazzaretti quattrocenteschi, alle workhouse londinesi del primo ottocento fino ad arrivare a dinamiche di esclusione della popolazione meno abbiente dai centri storici e direzionali delle città tramite gli odierni meccanismi di rendita fondiaria.

Oggi tali meccanismi si fanno sempre più evidenti e le disuguaglianze sociali non possono più esser relegate ai margini delle città o in luoghi che celino tali sconvenienti situazioni.

17

Come afferma Secchi1, una “nuova questione urbana” si presenta con prepotenza.

Gli urbanisti e gli architetti sono stati in passato complici dell’acuirsi di tali disuguaglianze sociali che finiscono col manifestarsi oggi in sempre più evidenti disuguaglianze spaziali all’interno della città. Sono dunque gli stessi urbanisti e architetti ad avere una grande responsabilità nell’arduo tentativo, se non di ridurre, almeno di evitare che aumentino ancor più tali divari.

Al momento i meccanismi di segregazione in ogni parte del mondo sono i più svariati: da un lato troviamo fenomeni di insediamenti spontanei in aree “problematiche” delle città, ovvero aree scartate dalla rendita fondiaria perché pericolose sotto diversi aspetti (confinanti con rumorose ed inquinanti infrastrutture autostradali o ferroviarie, a rischio di inondazione o geologicamente instabili). Dall’altro troviamo la crescente formazione delle cosiddette gated communities: piccoli recinti di vita apparentemente perfetta, in cui l’accesso è concesso solo ad individui che rispondono a determinati standards di reddito, istruzione e stile di vita.

Oppure ancora la massimizzazione dell’individualismo ha portato ad abitare in villette con giardino, chiuse in sé stesse e facenti sempre più parte di un altro preoccupante fenomeno di non troppo recente comparsa, ovvero la città diffusa.

Ma come afferma Friedman ne L’architettura di sopravvivenza, tali disuguaglianze non possono che aumentare e la povertà non può che avere la meglio in un mondo in cui le risorse sono limitate.

Ciò porta la riflessione su un altro fronte e le responsabilità dell’architetto si fanno sempre più importanti.

Un interessante concetto cui Friedman fa riferimento nel suo testo, è quello di 1

Bernardo Secchi, La città dei ricchi e la città dei poveri, Editori Laterza, Bari, 2013.

18

“capacità critica”2 di un gruppo, ovvero quella grandezza limite oltre la quale un gruppo non è più in grado di soddisfare le proprie necessità o non è più in grado di reagire prontamente alle difficoltà che si presentano.

Secondo Friedman è quello che accade alle nostre grandi città, in cui il numero degli individui è tale da non permettere alle istituzioni di rispondere in modo efficiente al crescente bisogno di servizi.

In tale situazione gli individui finiscono col sentirsi abbandonati a sé stessi, non ottengono ciò che è loro di diritto ma continuano a pagare per dei servizi inefficienti o addirittura inesistenti. Il passo successivo secondo Friedman sarà la costituzione di gruppi organizzati che cominceranno a provvedere da sé alle proprie necessità.

Ed è proprio questo il principio che sta a fondamento degli insediamenti spontanei.

La necessità ha portato gli individui emarginati dalla città a costituirsi in gruppi, a provvedere da sé ai bisogni primari della vita quotidiana, facendo a meno delle istituzioni. Sono questi dei veri e propri laboratori del futuro, poiché secondo Friedman: “la società povera esige l’uguaglianza e, spinta dalla necessità, dispiega un’ingegnosità tecnica eccezionale. E’ la società del mondo povero che sta inventando l’architettura di sopravvivenza” 3.

Sempre più nelle grandi città dei Paesi in via di sviluppo si formano ex novo o vanno crescendo tali insediamenti. Luoghi in cui la pianificazione, urbanistica e architettonica, è assente.

Architettura informale, insediamenti spontanei, sono queste alcune delle definizioni che di volta in volta sono state attribuite alle favelas brasiliane, agli slums asiatici o africani, alle villas miserias di Buenos Aires.

2 Yona Friedman, L’architettura di sopravvivenza. Una filosofia della povertà. Bollati Boringhieri, Torino, 2009, p. 98 3 Ivi, p. 13 19

In questi luoghi è interessante come le correnti concezioni di spazio pubblico e spazio privato trovino uno sviluppo che giunge quasi a sovvertirne l’importanza all’interno della vita di un individuo.

Si condivide pienamente l’opinione di Mazzanti4 quando afferma che una delle principali ambizioni che deve porsi un architetto nella progettazione di uno spazio è quella di realizzarne uno che incoraggi “forme partecipative di uso comunitario”.

Ancor prima di pensare spazi esteticamente e architettonicamente compiuti, bisogna pensare a come render quegli spazi fruibili da diverse tipologie di individui con diverse necessità e diversi backgrounds culturali. Realizzare addirittura degli spazi che riescano ad innescare fenomeni di inclusione sociale, questa deve esser la massima aspirazione.

Nel corso dei mesi trascorsi all’estero si è studiato e approfondito il fenomeno degli abitati informali, in particolare per come il tema si declina nel contesto argentino e nella città di Buenos Aires.

A Buenos Aires è stata selezionata come area di intervento l’abitato informale riconosciuto con il nome di Playón de Chacarita o Villa Fraga.

Una volta selezionata l’area di intervento si sono presi contatti con il Colectivo por la Igualdad, organizzazione politica che lavora nella Villa dal 2009.

In seguito ad un’indagine condotta sul campo e alla raccolta delle informazioni utili alla comprensione delle dinamiche sociali ed economiche, oltre che di quelle morfo-tipologiche dell’area, si è proceduto alla formulazione di un’ipotesi progettuale che tenga conto del ruolo dello spazio pubblico e della sua relazione con il tessuto informale esistente, che sappia valorizzare le potenzialità di processi di rigenerazione all’interno della villa miseria.

4

Giancarlo Mazzanti, Lo spazio pubblico come luogo collettivo in Lotus n° 152/2014, p. 37 20

Si è deciso di intervenire ad una scala più ampia prendendo in considerazione la stesura di un progetto per il ridisegno della nuova Stazione Lacroze e della piazza adiacente ed un sistema lineare che preveda la presenza di due piazze pubbliche connesse da un parco sul quale si affacciano i nuovi complessi residenziali.

Ne è derivato un Masterplan in cui vengono consolidate le due manzanas della Villa facendo ricorso, quando necessario, ad un nuovo tessuto residenziale che non si allontana eccessivamente dalla scala dell’abitato esistente; si individuano due testate con piazze pubbliche e funzioni basate sull’integrazione sociale dei villeros su Av. Lacroze (una piazza-mercato) ed un centro multifunzionale che coordina le attività ospitate dai laboratori su Av. Elcano (spazi di lavoro, nuova mensa comunitaria e centro di sostegno per madri e famiglie). Un parco lineare collega infine le due testate.

La tesi è stata elaborata con la collaborazione del gruppo di ricerca coordinato dal prof. arch. Javier Fernandez Castro e seguita in qualità di relatore dal prof. arch. Marco Bovati (ricercatore TD in Composizione Architettonica e Urbana - DAStU) e in qualità di co-relatore dall’arch. Ester Dedé (dottoranda in Architettura, Urbanistica e Conservazione dei luoghi dell’abitare e del paesaggio – DAStU).

Nei capitoli che seguono si indagherà il fenomeno degli abitati informali, nelle loro caratteristiche generali e nelle modalità in cui il fenomeno si è diffuso e continua a diffondersi ancora ai nostri giorni, facendo anche riferimento ai diversi approcci statali e comunitari adottati col trascorrere dei decenni.

Si passerà poi ad una breve storia della Città di Buenos Aires ed all’analisi delle dinamiche che hanno portato alla formazione di numerosi insediamenti informali all’interno della Capitale argentina.

21

Seguirà un intero capitolo sull’analisi di casi studio progettuali, tre progetti latinoamericani, di cui due in attuale concretizzazione, che si pongono l’obiettivo di riurbanizzare e rigenerare in questo modo interi settori di città.

Verranno dunque presentati i casi studio di Mi Favela Barrio di Jorge Mario Jáuregui ed i due progetti di urbanizzazione delle Villas 31 e 21-24 di Javier Fernandez Castro.

Si giungerà infine all’analisi dell’area di progetto assegnata in loco ed alla proposta progettuale sviluppata nell’ambito della redazione di questo lavoro.

Alla fine è anche possibile trovare in allegato la trascrizione e traduzione di alcune delle interviste effettuate in loco. Esse si sono rivelate fondamentali per comprendere a pieno il fenomeno delle villas miseras e le dinamiche ad esse connesse.

22

23

Il Cairo

Rio De Janeiro

Nairobi

Mumbay

1 | Abitati informali 1.1 Cosa è uno Slum?

Problemi insiti nell’individuazione di un solo termine che definisca un fenomeno complesso

Abitati o insediamenti informali, Favelas, Barrios Illegales, Villas Miserias, Baraccopoli, Bidonville, tutti termini utilizzati per definire ciò che oggi è più genericamente individuato con il termine Slum.

La definizione ufficiale di tale termine ci viene data dal Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani5 secondo cui per Slum si intende: “un’area che combina, in varia misura, le seguenti caratteristiche (facendo riferimento alle sole caratteristiche fisiche e giuridiche dell’insediamento ed escludendo le più complesse dimensioni sociali): accesso inadeguato all’acqua potabile; accesso inadeguato ai servizi igienici e ad altre infrastrutture pubbliche quali elettricità, gas, e fognature; scarsa qualità strutturale delle abitazioni; sovraffollamento; ambiente residenziale insicuro”6.

Questa prima definizione, se pur ci fornisca i primi elementi di riconoscimento di un abitato informale, ci porta anche di fronte all’evidenza dei primi problemi di interpretazione e di lettura.

Secondo Gilbert7 i primi problemi stanno innanzitutto nel tentativo di definire un abitato informale in termini assoluti. In primo luogo, bisogna considerare che gli standards secondo cui misurare un particolare fenomeno possono esser ben differenti in diverse parti del Mondo. Ciò che in un Paese può esser considerato come uno slum e dunque come una condizione abitativa non desiderabile, può per esempio esser considerato in un altro Paese come una condizione più che accettabile soprattutto per le persone di basso reddito.

In secondo luogo tale definizione implica il riconoscimento di insediamenti informali sulla base 5 United Nations Human Settlements Programme, UN-HABITAT, è un’agenzia delle Nazioni Unite, fondata nel 1978 e con sede stabile a Nairobi, in Kenya, che ha il compito di favorire un’urbanizzazione socialmente e ambientalmente sostenibile. Essa deve inoltre e soprattutto garantire ad ogni essere umano il diritto ad avere una casa dignitosa.

6 “An area that combines, to various extents, the following characteristics (restricted to the physical and legal characteristics of the settlement, and excluding the more difficult social dimensions): inadequate access to safe water; inadequate access to sanitation and other infrastructure; poor structural quality of housing; overcrowding; insecure residential status”, in UN-HABITAT, 2003, p. 12.

7 Gilbert A. (2007), The Return of the Slum: Does Language Matter?, International Journal of Urban and Regional Research, 31(4). p. 697-713.

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della presenza degli elementi caratteristici prima citati. Di fatto però tali insediamenti sono molto diversi nelle loro caratteristiche a seconda delle parti del Mondo in cui si collocano. Non si tratta di un fenomeno omogeneo per cui limitarsi a tali caratteristiche sarebbe un errore. Mentre alcuni abitati informali sono privi di ogni tipo di servizio e infrastruttura pubblica, molti possono accedervi.

In terzo luogo lo stesso concetto di “abitazione adeguata” è un concetto relativo.

La percezione di un alloggio può infatti esser diversa a seconda della classe sociale di appartenenza, della propria cultura e dalla stessa ideologia di ciascun individuo, dunque anche in questo caso non si può pensare di definirla in modo universale ed accettabile da tutti e sotto ogni punto di vista.

Oltre ai problemi legati all’interpretazione del termine troviamo poi ulteriori problemi legati all’uso stesso di tale parola. Sono infatti immediate le associazioni negative, tutti i termini prima ricordati fanno riferimento a condizioni poco dignitose con ulteriori riferimenti ai problemi legati alla presenza di criminalità. Inoltre l’utilizzo di un termine per riconoscere un fenomeno porta allo sviluppo di strategie di intervento che tendono alla omogeneizzazione ed alla semplificazione del fenomeno che invece abbiamo detto esser molto complesso e differente a seconda dei luoghi in cui prende piede.

Infine come conseguenza di tuttociò si ha la tendenza ad adottare delle misure spesso uguali in casi diversi che si rivelano essere non risolutive nel migliore dei casi.

Ritornando alla necessità di definire in qualche modo tali fenomeni, spesso si finisce con usare termini che si dimostrano esser inesatti o non sempre veri. Secondo Chiodelli8 ad esempio, altri termini spesso usati non correttamente per definire tali realtà sono: illegale, irregolare, informale, non autorizzato. Si parla di illegalità riferendosi alla condizione di abusività delle abitazioni di tali insediamenti. Spesso gli abitanti non sono proprietari della terra in cui hanno costruito la loro casa e per questo motivo non potrebbero neanche usufruire di servizi ed infrastrutture pubbliche. Sebbene questa sia la situazione più ricorrente, ci troviamo anche di fronte a casi di insediamenti informali in cui gli abitanti hanno di fatto la proprietà del terreno. Inoltre si fa riferimento alle condizioni di illegalità degli abitanti di uno Slum per la presenza di persone che non hanno documenti e che sono coinvolte in attività illegali 8 Chiodelli F., Moroni S., The complex nexus between informality and the law: Reconsidering unauthorised settlements in light of the concept of nomotropism, Geoforum 51, 2014, p. 161-169.

26

quali il commercio di droga o la criminalità organizzata.

Si parla spesso di irregolarità facendo riferimento all’apparente assenza di regole in questi abitati. Ma anche in questo caso troviamo molti Slums in cui una certa regolarità è presente o in cui delle regole, se pur informali, sono presenti e rispettate dalla comunità.

Si parla di informale assumendo che tali abitati non abbiano una forma definita e che siano il risultato di singole azioni, di fatto però essi hanno una forma sebbene essa non sia definita a priori da un pianificatore ma sia il risultato della somma di tali singoli interventi.

Infine si parla di insediamenti non autorizzati facendo riferimento alla mancata autorizzazione da parte dell’ente pubblico di realizzare ciò che è stato realizzato. Può esser assente un’autorizzazione di un terreno, di costruzione di un edificato o della modalità in cui questo edificato è stato realizzato.

Ancora nella necessità di studiare il fenomeno e di catalogarlo in qualche modo, si è visto che si potrebbero individuare tre diverse categorie di abitati informali9. Soliman definisce gli insediamenti semi-informali come quegli insediamenti in cui il proprietario ha un’autorizzazione legale di occupazione del terreno, in genere insediamenti in aree rurali collocate ai margini del tessuto urbano consolidato.

9 Soliman A.M., Titling at Sphinxes: Locating Urban Informality in Egyptian Cities. In: Roy A., AlSayyad N., Urban Informality. Transnational Perspectives from the Middle East, Latin America, and South Asia, Lexington Books, Lanham, 2004, pp. 171-207. Soliman parla di “Semi-informal settlements, Squatter settlements e Exformal settlements”.

27

Vi sono poi gli insediamenti abusivi in cui i proprietari hanno occupato terreni pubblici senza alcuna autorizzazione. In questo caso si tratta spesso di abitati situati in aree strategiche della città consolidata, che permettono agli abitanti di raggiungere i servizi ed i posti di lavoro ad un minor costo, in cui si evidenziano problemi di sicurezza (spesso anche strutturale degli edificati) e di condizioni degradanti.Infine si riconoscono gli insediamenti “exformal” ovvero che presentano la maggior parte delle condizioni fino ad ora descritte sebbene la forma dell’abitato non faccia trasparire le condizioni in cui gli abitanti sono costretti a vivere al loro interno. Sono edifici situati in aree consolidate della città che con il tempo hanno acquisito un certo grado di informalità al loro interno, volendo indicare con il termine informalità una serie di comportamenti che non sono regolati dalle leggi formali genericamente riconosciute dalla società. Edifici che sono spesso strutturalmente in buone condizioni ma in cui le unità abitative sono state ripetutamente frammentate.

In questi abitati interi nuclei familiari si trovano a condividere un unico ambiente di dimensioni davvero ristrette per svolgere tutte le attività della vita quotidiana. Un unico ambiente per mangiare, dormire, vivere, spesso anche per la cura dell’igiene personale, in cui una parvenza di alloggio decoroso viene spazzata via dalle esigenze del viver quotidiano che spingono una larga fetta della popolazione mondiale a dover lottare per avere un riparo, sempre meno assistiti dalle entità organizzative e sempre più abbandonati alle loro capacità di sopravvivenza.

28

29

1.2 Dimensioni del fenomeno Crescita demografica repentina e capacità di risposta della pianificazione urbana a confronto Nel 2012 due milioni di persone vivevano negli Slums.

Se si osservano i dati del Global Urban Observatory di UNHABITAT si può vedere come sebbene negli anni sia diminuita la percentuale di persone residenti in abitati informali, di fatto la quantità in valore assoluto è aumentata con il passare degli anni10. Un fenomeno dilagante che è collegato alla crescita demografica incontrollata, alla corsa alla modernizzazione dei Paesi detti “in via di Sviluppo” ed alla capacità delle maggiori metropoli di questi Paesi di saper rispondere con la stessa velocità all’aumento demografico.

Basti dire che negli anni 2006-2007 per la prima volta nella storia la popolazione urbana ha superato in numero quella rurale.

Ciò che è accaduto è proprio una crescita incontrollata dell’urbanizzazione dei grandi centri dei Paesi del Sud del Mondo.

Se infatti tra gli anni ‘50 e ‘70 del secolo scorso erano i grandi centri urbani dei Paesi del Nord del Mondo ad essere in continua crescita, in seguito a questa fase si assiste ad una stasi nella crescita della popolazione dei grandi nuclei urbani dei Paesi Sviluppati e città come New York iniziano a perdere abitanti.

Cambiano le grandi forme di produzione di tali Paesi e si assiste ad un processo di deindustralizzazione che porta alla chiusura e spesso all’abbandono dei grandi complessi industriali e al trasferimento dei centri produttivi nei Paesi del “Terzo Mondo”.

Nei Paesi del “Primo Mondo” si continua a produrre terziario e beni immateriali e si assiste ad una rivoluzione nella 10

Global Urban Observatory Database, UN-HABITAT.

30

1950

1960

1970

1980

1990

2000

distribuzione planetaria del lavoro. Per la prima volta il luogo della produzione si scinde da quello in cui le idee vengono partorite.

Se nei decenni precedenti il termine urbanizzazione seguiva quello di modernizzazione ed era indice di progresso e benessere, a partire dagli anni ‘80 esso perde questa accezione positiva. La crescita demografica maggiore avviene anche oggi nei luoghi in cui sono stati trasferiti i grandi poli produttivi.

Avviene dunque che, una volta trasferito un polo produttivo in un nuovo centro urbano, ci si trova davanti ad un aumento demografico incontrollato che porta centinaia di persone a spostarsi in tale luogo alla ricerca di un lavoro per poter migliorare la propria condizione. Succede spesso però che la velocità con cui avviene questo incremento demografico sia molto più alta del tempo che i centri urbani e gli enti amministrativi impieghino per portare avanti opere di urbanizzazione e programmi di assistenzialimo per le persone con basso reddito.

A questo primo impasse bisogna poi affiancare una serie di altri accadimenti che costringono i nuovi arrivati a sistemarsi in condizioni precarie ed in primo luogo temporanee quali quelle degli abitati informali.

Persone che non hanno nulla e che, arrivate con le migliori aspettative, si scontrano poi con la dificoltà di trovare un lavoro che spesso non è più disponibile. Sono dunque costretti a fermarsi negli Slums in cui una soluzione abitativa è più economica, sebbene meno dignitosa, sempre nella speranza di poter migliorare un giorno le proprie condizioni per esser finalmente in grado di trasferirsi in un altro settore della città.

31

2010

2020

2030

2040

2050

Slum (2005)

Africa

No Data 0 - 25 % 25.1 - 50 % 50.1 - 75 % 75.1 - 100 %

Primi cinque in prevalenza

1 2 3 4 5

Popolazione Proporzione Popolazione urbana 2005 degli Slums degli Slums 2005 (migliaia) Paese (migliaia)

Sudan Repubblica Centrale Africana Chad Angola Guinea-Bissau

14,771 1,536 2,463 8,501 470

94.2 94.1 91.3 86.5 83.1

13,914 1,446 2,247 7,352 390

28,119 4,667 31,662 18,469 20,804

28.7 18 17 13 12

8,077 239 5,405 2,422 2,455

Ultimi cinque in prevalenza

36 37 38 39 40

South Africa Zimbabwe Egypt Marocco Algeria

Fonte: UN-HABITAT, Global Urban Observatory, 2008 32

America Latina e Caraibi

Popolazione Proporzione Popolazione urbana 2005 degli Slums degli Slums 2005 (migliaia) Paese (migliaia)

Primi cinque in prevalenza

Jamaica Bolivia Nicaragua Guatemala PerĂš

1 2 3 4 5

1,407 5,896 3,239 5,945 20,305

60.5 50.4 45.5 42.9 36.1

852 2,972 1,473 2,550 7,329

157,010 81,334 33,150 5,938 332

29.0 18.3 17.9 17.6 3.9

45,509 14,906 5,920 1,043 13

Ultimi cinque in prevalenza

18 19 20 21 22

Brasile Messico Colombia Repubblica Domenicana Suriname

Asia

Popolazione Proporzione Popolazione urbana 2005 degli Slums degli Slums 2005 (migliaia) Paese (migliaia)

Primi cinque in prevalenza

1 2 3 4 5

Repubblica Democratica del Lao Pakistan Bangladesh Nepal Mongolia

1,222 55,040 35,563 4,276 1,501

79.3 71.7 70.8 60.7 57.9

969 39,489 25,184 2,595 869

20,749 17,067 460 13,852 4,108

2.0 2.0 2.0 0.7 0.0

415 341 9 97 0

Ultimi cinque in prevalenza

18 19 20 21 22

Tailandia Malaysia China, Macao SAR Repubblica Democratica Korea

Singapore

Fonte: UN-HABITAT, Global Urban Observatory, 2008 33

To bring a “Fish”

To teach how to “Fish”

Is “fishing” an asset?

1.3 Come si è intervenuti negli ultimi 50 anni Diverse strategie a confronto A partire dagli anni ‘60 tre sono state le principali metodologie di intervento nel tentativo di alleviare le condizioni di povertà e di fornire degli aiuti nell’ambito della casa. Si è passati dalla politica del Laissez-faire degli anni ‘50-‘60 a quella del cosiddetto Aided Self-Help degli anni ‘70 all’ Enablement degli anni ‘80-‘90. In questi decenni trascorsi non si è mai tralasciata una politica a favore di un’altra ma ancora oggi sono in atto in diverse parti svariate politiche di aiuto e assistenzialismo.

A partire dagli anni ‘50 e ‘60 inizia la stagione del cosiddetto Laissez-faire, in questo periodo i Governi passano dall’approccio disinteressato nei confronti dell’esistenza di tali realtà ad uno in cui si comincia una politica di assistenzialismo che mira alla realizzazione di alloggi da destinare alla parte meno abbiente della popolazione. A questa politica si affianca quella che vede il tentativo di rimuovere e cancellare completamente questi settori di città malsani e poco dignitosi. La loro stessa presenza infastidisce gli enti amministrativi oltre che i cittadini per bene. Tuttavia ci si rende conto che l’ente pubblico, da solo, non ha le risorse sufficienti a debellare la povertà e non è in grado di fornire un alloggio a tutte le persone che si trovano a vivere negli Slums. Si tratta di persone che non hanno nulla e che non saranno in grado nemmeno in futuro di pagare un affitto se pur ridotto grazie alle politiche di gestione delle case popolari. Ciò fa si che lo Stato abbia realizzato degli interventi il cui costo non sarà mai risarcito, interventi puntuali e comunque non ripetibili che dunque lasciano il problema irrisolto.

A partire dagli anni ‘70 si assiste ad una sorta di ritirata dell’Amministratore Pubblico e le agenzie internazionali iniziano a giocare un ruolo fondamentale nella redazione delle politiche internazionali di intervento in relazione al problema della casa. Si giunse all’adozione di un nuovo metodo di intervento ad oggi riconosciuto come Aided Self Help. Agenzie Internazionali come UN-HABITAT e World Bank iniziarono ad intervenire su due fronti. Se da un lato si decise di lavorare sulla possibilità di dar vita a nuovi insediamenti, fornendoli a priori di infrastrutture e servizi, dall’altro si iniziò a porre l’attenzione sull’importanza di consolidare, migliorandoli, gli abitati informali già esistenti. Purtroppo anche in questo caso ci si rese conto che il solo tentativo di fornire un lotto di terra libero in un’area già dotata di servizi ed infrastrutture era già un dispendio eccessivo e che ancora una volta non si sarebbe stati in grado di rispondere all’intera domanda di alloggi. Anche la strategia consistente nell’urbanizzazione e consolidamento degli abitati informali esistenti implicava la spesa di ingenti 35

somme per fornire tali insediamenti di infrastrutture; aiutare a regolarizzare la situazione legale dei proprietari o anche solo la possibilità di permetter loro di accedere a dei crediti (ricordiamo che la maggior parte dei residenti in queste aree hanno un lavoro non regolarizzato e di conseguenza, non potendo dimostrare un impiego, non possono neanche usufruire di prestiti bancari, il che porta all’impossibilità da parte degli abitanti di disporre di somme di denaro che gli permettano di realizzare interventi di ristrutturazione e consolidamento dell’abitazione a proprio carico).

Un altro problema di grande importanza sorgeva nel momento in cui tali insediamenti venivano effettivamente regolamentati e consolidati. Come immediata conseguenza il costo o l’affitto di un alloggio aumentava per cui, di nuovo, una parte di abitanti non era in grado di permettersi una tale spesa e finiva con l’esser nuovamente espulsa. La loro unica possibilità a questo punto era quella che li vedeva trasferirsi in un nuovo abitato informale non ancora urbanizzato e consolidato.

Si giunse infine ad una terza tappa di intervento, riconosciuta tra gli anni ‘80 e ‘90 con il nome di Enablement. Con essa si comprese che bisognava agire su diversi fronti contemporaneamente. In primo luogo si è compreso quanto fosse importante agire relativamente alla regolarizzazione della proprietà. Se si riconoscevano i diritti di proprietà e si cedeva un certificato di proprietà, ciascun abitante, non più timoroso di possibili sfratti o sgomberi, sarebbe stato portato a migliorare autonomamente le condizioni del luogo in cui viveva. Altro fronte su cui era necessario intervenire era quello della richiesta di prestiti bancari. Su questo fronte si giunse alla teoria dei Micro Crediti, per cui prestiti di piccole somme venivano concessi a quei residenti che avessero avuto regolarizzata la loro condizione. Si affiancarono poi interventi su diversi fronti quali l’individuazione di lotti di terreno a cui vennero date particolari destinazioni d’uso per garantire anche ai meno abbienti l’accessibilità alla casa ed infine un cambiamento ulteriore nelle amministrazioni concesse l’intervento del privato nella realizzazione di ciò che lo Stato non riusciva a fornire. Col passare dei decenni si assiste dunque ad uno slittamento nelle modalità di intervento che passano dal porre l’attenzione alla realizzazione di beni materiali quali alloggi ed infrastrutture alla fornitura di regole e piccoli programmi che fossero a sostegno del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Un’attenzione costante si ebbe sulla tematica del diritto di proprietà degli abitanti di questi insediamenti, tralasciando tuttavia un altro importante settore dei residenti, ovvero coloro i quali non hanno la proprietà di un immobile 36

e possono solo affittare un alloggio. Ciò che possiamo dedurre dalle pratiche messe fin ora in atto è che interventi centrati sullo sgombero e sulla rilocazione delle persone che vivono in situazioni di precarietà non hanno portato a delle risoluzioni definitive. Bisogna infatti pensare che sebbene le condizioni di vita siano al limite dell’umano e molti servizi siano inesistenti, gli abitati informali offrono alle persone che vi risiedono una ricca rete di cononscenze e aiuto reciproco che certamente non troverebbero in un settore consolidato della città, senza considerare l’accessibilità in termini di costo di un alloggio. Tutti gli Eradication Programme che hanno portato allo sgombero e smantellamento di tali realtà, hanno costretto il settore pubblico a spendere energie e denaro nella costruzione di nuovi complessi residenziali che hanno finito col dar luogo a comunità-ghetto, ancora una volta non integrate nella società, spesso con grandi problemi di concentrazione della criminalità. Tra gli errori principali vi è certamente quello consistente nell’individuazione dei nuovi siti che dovrebbero ospitare le comunità sloggiate. Lo Stato infatti ha sempre individuato dei settori abbastanza periferici dove il costo della terra fosse più conveniente, in cui però si viene a creare una concentrazione della povertà e di situazioni di disagio. Ma l’errore più grande è certamente quello che vede la redazione di un programma che ponga l’attenzione sulla sola funzione residenziale. Tali nuovi settori di città finiscono con l’essere esclusivamente dei dormitori in cui nulla di più viene offerto alle persone che vi abitano e che spesso hanno problemi per trovare un lavoro regolarizzato. Bisognerebbe dunque pensare a dei programmi più completi in cui altre funzioni, come soprattutto quelle che implicano produzione e dunque lavoro, si affianchino alla residenza per far si che le comunità possano integrarsi e autosostenersi. Ciò porta ad un’ulteriore riflessione che deve esser fatta nell’ambito di tali interventi.

Un grande sforzo deve esser compiuto nella comprensione della cultura, della tradizione locale e delle stesse possibilità produttive offerte dal luogo. Ciò che può esser prodotto in un Paese può infatti rispondere ad una domanda reale ma non necessariamente, anzi, è molto probabile che non sia cosi, si potrà produrre allo stesso modo in un Paese con cultura e locazione geografica differenti. Bisogna pensare a delle funzioni di integrazione sociale che soddisfino dei bisogni ma che non calpestino le tradizioni e che dunque non finiscano con lo scontrarsi con modus operandi e forma mentis locali.

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2 | Buenos Aires e le Villas Miserias 2.1 La città di Buenos Aires11 Una breve storia dalla fondazione ad oggi Fondata nel 1580, dopo un primo tentativo fallito nel 1536, Buenos Aires inizia ad acquisire importanza come potenza economica che gode di posizione strategica solo nella seconda metà del secolo XVIII. Come la maggior parte delle colonie spagnole, la città venne organizzata individuando un centro urbano e suddividendo il territorio secondo una maglia quadrangolare, le cuadras.

In seguito all’Indipendenza dalla Corona spagnola una serie di guerre civili portarono la città ad esser debole dal punto di vista strategico, tanto da non riuscire a confrontarsi direttamente col mercato internazionale. Solo con gli accordi stabiliti tra Buenos Aires e le diverse province argentine si ottenne l’apertura al mercato estero ed ebbe inizio l’ondata migratoria europea.

La città divenne Capitale nel 1880 con la federalizzazione ed i suoi limiti furono fissati nel 1887.

Alla fine del secolo XIX, Buenos Aires si prepara a grandi interventi che vedono la realizzazione di un grande complesso portuario e la previsione di servizi e arredi urbani (gas, elettricità, mezzi di trasporto pubblici urbani, pavimentazioni, viali alberati, parchi, acqua corrente e sistema di smaltimento delle acqua meteoriche, scuole, ospedali, forze dell’ordine).

Intorno al 1860 iniziano ad arrivare le prime ondate di immigranti europei che si instaurano nelle case abbandonate della zona sud della città e danno origine alla tipica casa porteña detta “conventillo”.

L’ondata migratoria europea giunse a termine nel 1930, quando ad essa si sostituì il movimento migratorio proveniente dall’interno del Paese.

Durante il governo peronista (1946-55) le politiche di ridistribuzione agirono a favore dei settori popolari soprattutto nell’ambito della situazione abitazionale. In questo periodo una serie di politiche per la proprietà della casa diedero credito alle classi operaie. Proprio grazie a queste politiche, tra il 1947 e il 1960, aumentò il numero di proprietari nei suburbi grazie alla possibilità di accedere alla proprietà di case unifamiliari e lotti edificabili.

Tra gli anni ‘60 ed i ’70 crebbe la differenza tra le classi più abbienti che abitavano nel centro della città e le classi di risorse inferiori che si stabilirono nella periferia.

11 Per la trattazione di questo capitolo si è fatto riferimento al testo di Maria Cristina Cravino, Las villas de la ciudad.

Mercado y informalidad urbana, Los Polvorines, Universidad Nacional de General Sarmiento, 2006 39

Gli anni ‘90 costituiscono un momento importante per quanto riguarda le politiche urbane, una serie di interventi diedero luogo a quelle che diversi studiosi chiamano “areas brillantes” e “areas opacas”, ovvero zone più o meno redditizie, direttamente legate a una serie di interventi urbani di origine pubblica e privata12.

Venne attuato un cambio di gestione che prevedeva il passaggio dal modello della città tradizionale a quello di città strategica illustrato attraverso gli interventi di Puerto Madero e Costanera Sur nel 2001.

Una serie di interventi si concentrarono nel centro strategico della città finendo col valorizzare ulteriormente queste aree. Tra i tanti ricordiamo anche la privatizzazione del Giardino Zoologico, la costruzione di nuove vie ad alto scorrimento, le demolizione dell’Albergo Warnes, la sottoscrizione di norme al fine di proteggere gli edifici di carattere storico, programmi di restauro di edifici storici (come tutti i rifacimenti delle facciate storiche degli edifici in Avenida da Mayo) o di interi quartieri (come quelli di San Telmo, La Boca e Barracas).

In questi anni inizia a farsi strada il “Progetto Retiro”, perfetta dimostrazione del fenomeno di grandi imprese immobiliari promosse dalle banche che potevano a sua volta esser associate ai costruttori.

Se da un lato parte di questi interventi contò sul finanziamento di singoli privati (come nel ripristino delle facciate dei palazzi di Avenida de Mayo), dall’altro ci sono progetti che vedono la partecipazione di grandi imprese che pongono parte di capitale per i lavori (è il caso del rifacimento di Puerto Madero).

Inoltre per completare il panorama, vennero privatizzate varie proprietà del Gobierno de la Ciudad di Buenos Aires, per esempio molti edifici prima di proprietà dell’amministrazione pubblica abitati da persone di basso reddito furono venduti a privati e gli inquilini portati in altre zone come ad esempio il quartiere Ramón Carrillo (in Villa Soldati).

Gorelik si riferisce alla Buenos Aires della decade degli anni 90 quando parla di “ciudad de los negocios”13 (ovvero di “città degli affari”). In questa città infatti parte dello spazio pubblico insieme con le infrastrutture divennero oggetto di scambio con parti private. Sempre Gorelik parla di 12 Maria Cristina Cravino, op. cit., p. 24 13 Ibidem, p. 25

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“modernización sin expansión” trattando questo fenomeno di modernizzazione del centro strategico di una città che di fatto non vede un’ampliamento dei suoi confini. Tali politiche urbane permettono interventi di risanamento di aree pubbliche utilizzando capitale privato, promuovendo così un regime in cui interessi pubblici e privati si mescolano.

Come dirette conseguenze si hanno una minore autonomia dello Stato di fronte ad una maggiore pressione del privato, insieme ad una logica sempre più affaristica dello Stato stesso che finisce in questo modo col porre quasi in secondo piano le necessità di coloro i quali non apportano capitale.

Se fino ad ora abbiamo parlato del Gobierno de la Ciudad de Buenos Aires, ovvero di quell’ente che ha la funzione di amministrare solamente i confini della capitale porteña, possiamo ora pensare ad effettuare un paragone con le politiche statali messe in atto nella stessa decade degli anni ’90.

Anche lo Stato Argentino aveva messo in atto una politica di riforma che contemplava la privatizzazione e la concessione di servizi pubblici ed infrastrutture urbane ad imprese private.

Elettricità, acqua corrente, fognature, gas e telefono, in tutti i casi la privatizzazione del servizio implicò un aumento delle tariffe dello stesso e portò alla messa in regola di tutti quegli individui che avevano un allaccio al servizio non regolamentato ed illegale. Tuttociò contribuì alla crescita del costo di vita all’interno della città.

Inoltre anche i servizi pubblici di trasporto, quali treni, metro e autostrade vennero ceduti a privati.

Infine nel 2003 avvenne un altro cambiamento: la Comisión Municipal de la Vivienda (CMV) venne sostituita dall’Instituto de la Vivienda de Ciudad (IVC).

2.2 Il mercato immobiliare formale nella città La città è un bene complesso in cui il valore di un terreno trova spiegazione nella relazione che esso ha con il contesto in cui si situa.

Avviene però che nella maggior parte delle città si instaura una relazione perversa per cui la maggior parte degli investimenti dell’ente pubblico in servizi ed infrastrutture avviene proprio nelle aree più centrali e strategiche dove, per questioni legate ai maggior costi, si trovano le classi più abbienti. Così facendo si finisce con l’incrementare le differenze socio-spaziali proprie del nucleo urbano.

Un momento di notevole importanza è dato dalla rettifica nel 1991 del Plan de Convertibilidad che 41

diede inizio ad una corsa per l’investimento del capitale privato nel settore immobiliario.

A partire da questo momento fecero la loro comparsa nuove tipologie residenziali per le classi medio alte come i countries ed i barrios cerrados fino alla realizzazione di vere e proprie cittadine blindate (si tratta sempre di complessi residenziali con alto grado di sicurezza, delimitati da alte mura, a cui è possibile accedere solo con permessi dati da chi vi abita già, ne sono esempio Nordelta o tutti i complessi vicini a Mar de Plata come Costa Emeralda).

Se al di fuori della città di Buenos Aires vengono realizzate vere e proprie cittadine private, all’interno di Capital Federal, a causa della scarsezza di suolo libero, viene adottata una tipologia differente, quella della torre. Si tratta di condomini che si sviluppano in altezza, anche questi assolutamente chiusi, introversi e con alto grado di security, che hanno al loro interno, oltre agli appartamenti dei diversi inquilini, anche delle aree comuni con servizi ricreativi quali palestre, piscine e SUM (Salón Multi Uso, dove ciascun inquilino può organizzare feste private).

Questi nuovi condomini si situano in aree dove i terreni hanno un costo intermedio ed hanno grande disponibilità, a partire da manzanas o frazioni di manzanas in cui erano per lo più presenti fabbriche poi dismesse (quartieri quali Palermo, Caballito, Almagro, Paternal, Villa del Parte, Flores).

I costi di tali operazioni immobiliari non erano uguali in tutti i settori di Buenos Aires, i più economici si situarono a Sud della città in cui risiedono ad oggi la maggior parte delle Villas, mentre quelli più costosi si concentrarono nei quartieri di Recoleta, Barrio Norte e Belgrano.

Il boom immobiliario fu dovuto alla possibilità di far nuovamente affidamento sui crediti ipotecari grazie ad un notevole calo della tassa di interesse e alla possibilità di contrarre crediti in moneta straniera (possibilità concessa dalla Legge di Convertibilità di cui si parlava prima). Ciò contribuì a rafforzare la posizione degli istituti bancari però constituì un problema serio per i privati dopo la caduta della Legge.

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2.3 Il deficit abitativo della città porteña14 Secondo il Censo de Población y Vivienda del 200115 il deficit abitativo della città è del 5%. Sempre secondo lo stesso Censo, i proprietari di un’abitazione sono l’1.4% e le persone che vivono nelle Villas il 3.9%. Valori a cui bisognerebbe applicare un coefficiente di variazione dovuto al fatto che i censiti sono soliti occultare situazioni di illegalità. A Buenos Aires inoltre sono presenti diverse situazioni di precarietà abitativa come ad esempio le “casas tomadas”, ovvero edifici abbandonati interamente occupati in forma illegale.

Anche in questo caso tali situazioni non sono presenti in modo omogeneo nel territorio di Capital Federal ma si trovano per lo più concentrate nei quartieri a sud della città.

In linea di massima troviamo quattro situazioni diverse che fanno capo allo stesso problema di deficit abitativo della città porteña: in primo luogo le Villas, seguono le case, gli edifici e le fabbriche occupate, in terzo luogo gli ostelli-pensioni in cui persone vivono in forma non occasionale, ed infine coloro i quali vivono letteralmente in strada.

2.4 Le Villas di Capital Federal Come sono nati gli abitati informali Le Villas miserias nacquero già a partire dagli anni ’30 sebbene raggiunsero uno dei picchi di maggiore espansione negli anni ’40 con l’inizio dell’ondata migratoria proveniente dalle province ai margini del Paese. Questo processo urbano è direttamente collegato al momento in cui lo Stato argentino all’industrializzazione sostituì l’importazione di prodotti finiti. Come conseguenza il tasso di crescita della popolazione urbana fu maggiore di quello che trovò effettivamente occupazione nel settore industriale. Ciò finì col produrre una classe di emarginati provenienti da altre province che, una volta arrivata in città, non riuscendo a trovare occupazione, non potè neanche sostenere le spese di un alloggio regolamentato e formale finendo così a vivere in contesti abitativi precari e informali come quelli delle Villas. A partire dagli anni ’60, a questi emarginati si sommarono gli immigrati provenienti 14 La città di Buenos Aires viene soprannominata dai suoi stessi abitanti come porteña per la presenza del porto che ne ha fatto uno dei punti più strategici dell’America Latina.

15 Maria Cristina Cravino, op. cit., p. 32 43

dai Paesi limitrofi quali Uruguay, Paraguay, Bolivia, Chile e Perù.

Le Villas miserias o Villas de emergencia si potrebbero definire dunque come urbanizzazioni informali o autourbanizzazioni (di fatto si tratta di processi di autocostruzione) conseguenti all’occupazione di terreni pubblici liberi perchè abbandonati.

Esse sono caratterizzate da un tessuto urbano irregolare in cui le vie, dalle dimensioni ristrette, nella maggior parte dei casi, non permettono la circolazione di veicoli o mezzi speciali come ambulanze e vigili del fuoco.

Si tratta in genere di aree che hanno una posizione strategica all’interno della città, in quanto quasi sempre sono vicine a centri di produzione e consumo o a nodi strategici. Derivano dall’azione di singoli che in tempi diversi sono approdati a questi luoghi ed hanno costruito con le proprie risorse quello che oggi è la loro casa. Per questo motivo la maggior parte delle abitazioni viene inizialmente costruita in forma precaria, facendo utilizzo di materiali di riciclo ritrovati per strada. Solo in un secondo momento, con il passare del tempo e la raccolta di materie prime migliori quali ad esempio mattoni e forati (che vengono loro donati o comprati grazie a risparmi), vengono costruite case in muratura che comunque restano abbastanza precarie.

Altra caratteristica di questi luoghi è l’altissima densità abitativa. Sono abitazioni in cui sotto lo stesso tetto vivono famiglie allargate o amici e conoscenti che sono recentemente arrivati e sono alla ricerca di un lavoro e di una sistemazione migliore.

In generale le persone che vi abitano sono lavoratori non specializzati che spesso lavorano a nero e che nella maggior parte dei casi non hanno neanche dei documenti personali.

Col passare delle decadi iniziarono ad apparire le generazioni dei nati in Villas e si venne a costituire una vera e propria classe di nuovi poveri.

Se pur chi si fermava in questi quartieri precari, in principio pensava di fermarsi per un tempo determinato, la realtà dei fatti fu che la maggior parte dei Villeros non riuscì a cambiare la propria situazione tanto da potersi permettere un alloggio formale.

Per quanto riguarda i nomi che vengono dati alle singole Villas, la maggior parte di esse porta il nome del quartiere in cui si trovano, è il caso ad esempio del Playón de Chacarita, in cui il termine “Playón” fa riferimento allo scalo ferroviario abbandonato e “Chacarita” è appunto il quartiere in cui si trova, 44

che insieme ad altri, fa parte del Distretto 15 a Nord della città di Buenos Aires. Altro nome con cui è riconosciuta la Villa è per l’appunto Villa Fraga, ovvero la via in cui ad oggi si trova l’unico accesso.

Altre Villas hanno adottato nel tempo nomi più metaforici come “la oculta” che fa appunto riferimento al fatto che questi luoghi non sono neanche presenti nelle mappe urbane e sono in genere rappresentati con dei campi di colore grigio, quasi a non voler riconoscere delle realtà che sono scomode ma che esistono ormai da più di 70 anni nella città.

Infine vi sono quelle che hanno finito con l’adottare il nome che gli è stato dato dallo Stato militare in occasione del censimento delle Villas, a ciascuna un numero.

2.5 Dimensioni del fenomeno L’Area Metropolitana di Buenos Aires (AMBA) comprende Capital Federal (Gobierno de la Ciudad Autonoma de Buenos Aires, CABA) ed una conurbazione formata da altri 24 Comuni. In questo agglomerato urbano vive una popolazione di circa 11 milioni di persone, di cui solo 3 milioni vivono in CABA. L’Instituto de la Vivienda ha costruito col passare degli anni un registro abbastanza attualizzato delle Villas e della loro ubicazione all’interno di Capital Federal. Più difficile è avere dei dati affidabili sulle Villas della conurbazione.

Insieme ad esse sarebbe inoltre necessario quantificare le “tomas de tierras” e gli “asentamientos” che iniziarono a esser presenti sul territorio a partire dagli anni ’80, soprattutto nei Comuni a Sud di Capital Federal. Questi ultimi due fenomeni si differenziano dalle Villas per le modalità di occupazione dei terreni che in questo caso non sono più dello Stato ma sono spesso di grandi proprietari terrieri. Gruppi di persone messesi d’accordo per occupare dei terreni in un determinato momento, costruiscono le loro case e rimangono in attesa che lo Stato regolarizzi la loro condizione, convinti che questa sia l’unica via di accesso ad un’abitazione decorosa.

Inoltre queste persone prendono le distanze da tutti i pregiudizi sociali e le convinzioni circa il modo di vivere dei Villeros, spesso coinvolti in affari illegali quali commercio di stupefacenti o raccolti in bande armate.

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2.6 Evoluzione della popolazione villera La popolazione residente nelle Villas di Capital Federal ebbe notevoli picchi di crescita o decrescita a seconda delle decadi.

Dalla metà degli anni ’50 alla metà degli anni ’60 si ebbe un picco di crescita (si passò da 21 a 31 Villas solo in CABA). Dal 1966 al 1970 si ebbe invece un notevole cambiamento in occasione del Plan de erradicación de Villas (Piani di sradicamento ad opera dello Stato) che fece scomparire 11 Villas.

Ancora tra il 1976 el il 1983 si sgomberarono altre 17 Villas e se ne ridusse la popolazione del 94%16 .

Tra il 1983 e il 1991 lo popolazione crebbe del 300% anche se non arrivò mai ai livelli precedenti i piani di sradicamento.

Dagli anni ’90 ad oggi la popolazione continua ad aumentare e ciò che cambia sono le modalità di crescita delle Villas. Se in un primo momento esse crescevano orizzontalmente, espandendosi ed occupando sempre nuovi terreni, oggi, essendosi esauriti i terreni disponibili, crescono in altezza.

Come conseguenza si ha un sempre maggior aumento della densità abitativa insieme alla comparsa di un mercato immobiliare informale ed illegale.

Ancora oggi la maggior parte delle Villas si trovano concentrate a Sud della città, fattore dovuto non solo alla maggiore presenza di terreni inondabili e quindi per questo rimasti inutilizzati, ma anche alla maggiore forza del processo di sradicamento dell’ultima dittatura militare delle Villas che si trovavano a Nord della città, in cui i terreni avevano una maggiore redditività.

2.7 La nascita delle organizzazioni in Villas Le prime organizzazioni di quartiere nacquero probabilmente per calmierare le complicate condizioni di povertà e creare delle reti di solidarietà e aiuto all’interno della stessa Villa.

Le prime rivendicazioni furono quelle di una “vivienda digna”, ovvero di un’abitazione degna e di infrastrutture di quartiere, ovvero dotare la Villa di tutti quei servizi presenti in qualsiasi altro quartiere urbanizzato della città (luce, acqua, fognature, gas, etc). Contemporaneamente nacquero associazioni sportive che avevano lo scopo di coinvolgere i bambini in attività ricreative per allontanarli da 16

Maria Cristina Cravino, op. cit., p. 49

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situazioni pericolose ed impartir loro degli insegnamenti (dobbiamo pensare che la maggior parte dei bambini in Villa è orfana di almeno un genitore e spesso non frequenta la scuola). In queste realtà la cancha de futbol, ovvero il campetto (che nella maggior parte dei casi è solo un rettangolo sterrato o al massimo asfaltato) è uno dei luoghi più significativi ed importanti dell’intero abitato informale.

Si tratta dell’unico luogo che si conserva libero da occupazioni e che permette ai bambini di avere uno spazio in cui giocare. Altri tipi di organizzazioni videro riunirsi donne, nella maggior parte dei casi madri con problemi economici, di salute o con problemi con il compagno.

Tali organizzazioni riuscirono spesso ad ottenere Centri per la Salute e servizi scolastici all’interno delle Villas. Infine nacquero quelle organizzazioni che mirarono a creare reti di collaborazione tra le diverse Villas. Nel 1958 nacque la Federación de villas y barrios de emergencia grazie alla quale molti quartieri precari giunsero ad una riorganizzazione interna e cominciarono a chiedere una sistemazione del quartiere che prevedeva una dotazione di infrastrutture e delle case sicure e degne.

Negli anni ’70 apparvero il Frente Villero de Liberación Nacional e il Movimento Villero Peronista che continuarono a sostenere la lotta per l’urbanizzazione delle Villas.

Con il colpo di stato del 1976 e la dittatura militare che ne seguì, le organizzazioni furono costrette ad indietreggiare e molte Villas furono sgomberate. Molti dei dirigenti dei villeros furono puniti con il carcere o finirono col prender parte alla lunghissima lista di desaparecidos. Secondo la dittature militare queste realtà dovevano esser eliminate in un processo di abbellimento della città.

Per far ciò, venne messo in atto un piano che prevedeva 3 fasi: congelamento, scoraggiamento e sradicamento.

Nella prima non si permetteva un’ulteriore crescita delle Villas, nella seconda si faceva di tutto per far in modo che le persone che vi abitavano trovassero ostacoli e condizioni sfavorevoli quali assenza di acqua, luce (servizi che se pur non forniti dallo Stato venivano di fatto ottenuti dai villeros tramite allacci illegali) o non potevano svolgere le loro attività economiche o veniva resa difficile la circolazione. Infine nella terza fase, ai villeros ufficialmente erano proposte quattro opzioni: li si poteva spostare in un altro terreno di loro proprietà, li si poteva aiutare a rientrare nel loro Paese di origine, potevano rientrare con le loro proprie risorse, gli si forniva un aiuto in forma di crediti. Di fatto vennero letteralmente presi e forzati al rientro nei loro Paesi di origine e le loro case demolite.

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Dopo la caduta della dittatura militare, si cominciò nuovamente a trattare il problema. I Villeros cominciarono a pubblicare articoli sui giornali di quartiere, a scrivere ai giornali e realizzarono le prime manifestazioni.

Con la restaurazione della democrazia si giunge agli anni ’90 in cui però si vengono a creare anche delle organizzazioni di quartiere, questa volta di cittadini che vivono nella città formale, che manifestano il loro disappunto e lottano affinchè queste realtà non siano appoggiate né regolarizzate.

Le motivazioni sono date dal costante problema dell’insicurezza dei quartieri in cui la Villa si trova, la diminuzione del valore delle case, l’insufficienza di infrastrutture e servizi.

Nonostante ciò, dagli anni ’90 ad oggi, sono vigenti i cosiddetti “Planes de radicación” che mirano ad affrontare il complesso problema delle Villas pensando ad una riorganizzazione interna di quartiere e fornendo i servizi basilari, dando per scontato che le persone che vivono in questi luoghi anche da decenni non possono semplicemente esser spostate in altri luoghi.

Si giunge così al 1998, anno in cui nasce la Federación de Villas, núcleos y barrios marginados de la Ciudad de Buenos Aires (FEDEVI) che l’anno successivo presenta il Progetto di Legge 148/99 : Ley de radicación y transformación, che ancora oggi sta alla base di tutte le azioni volte a risanare i quartieri precari.

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3 | Letteratura e casi studio 3.1 Jorge Mario Jáuregui ed il programma Favela-Bairro di Rio De Janeiro, Brasile 3.1.1 Il programma Mi Favela Barrio Progetto sostenuto dalla Inter-American Development Bank a partire dal 1995, il cui obiettivo era quello di integrare le Favelas esistenti al tessuto consolidato della città per mezzo di un lavoro di urbanizzazione che includeva la realizzazione di nuove infrastrutture e la fornitura di servizi fondamentali. “Slum to neighborhood”, ovvero dalla Favelas al quartiere, il modo in cui tale progetto venne riconosciuto a livello internazionale.

Il progetto ricevette un fondo di 180 milioni di dollari statunitensi, coinvolgeva più di 253.000 residenti divisi in 73 comunità ed ebbe successo grazie alla flessibilità del committente pubblico (l’amministrazione della città di Rio de Janeiro) e alla grande collaborazione tra istituzioni, ONG (Organizzazioni Non Governative), settore privato, parrocchie e popolazione stessa delle Favelas.

Inoltre fondamentale fu il rinnovamento di infrastrutture a livello basilare che permise la coordinazione dei lavori tra esperti, enti amministrativi e membri della comunità.

Attraverso questo intervento a larga scala l’Amministrazione della città carioca è riuscita a prevenire future occupazioni ed ha fornito allo stesso tempo nuove opportunità di alloggi a basso costo.

Le fasi in cui si è proceduto sono state più o meno le stesse nei diversi interventi portati a termine all’interno dello stesso progetto. Si partiva sempre con l’individuazione di un settore, una favela per l’appunto, e con la successiva ricerca di contatti locali. Seguiva la redazione di un masterplan per l’area in analisi e la discussione degli obiettivi proposti con i vari membri della comunità. In seguito a questo primo incontro, le osservazioni effettuate in ambito di assemblea permettevano di sistemare le direttive del masterplan e di procedere a livello progettuale con i diversi ambiti individuati dopo aver ottenuto i fondi necessari e le autorizzazioni. Si passava dunque dalla fase tecnica di analisi e approvazione delle singole unità di intervento alla realizzazione di ogni singolo progetto grazie all’intervento di costruttori che si responsabilizzavano anche nella formazione lavorativa dei membri della comunità locale che in questo modo ottenevano anche un’occupazione se ben temporanea.

Infine gli enti amministrativi si occupavano della manutenzione, del monitoraggio e della valutazione ex post delle attività svolte.

Come si può notare dagli interventi, è presente una costante attenzione all’ascolto e al mantenimento degli elementi semantici caratteristici di tali abitati.

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Ciò su cui Jáuregui17, architetto che ha seguito interamente il progetto, insiste è la costante necessità di comprendere e rispettare il luogo.

Egli afferma che il paesaggio urbano delle favelas carioca è una complessa amalgama di elementi naturali e artificiali, che ha una sorta di proprio codice genetico che è necessario individuare. E’ necessario individuarne gli equilibri territoriali e le complessità semantiche e trasferire solo in un secondo momento a livello progettuale tutti i valori topografici, sociali, economici e culturali rintracciati.

“Intervenire architettonicamente e urbanisticamente nelle favelas implica lavorare con il supporto delle attività e della rete di relazioni già esistenti, cercando di rinforzare le caratteristiche più particolari, creando un ordine che le contempli, le amplifichi e ne sottolinei il valore, permettendo che si generi un nuovo senso di appartenenza [...]. Ogni progetto cerca di rinforzare il potere di aggregazione di ciascun luogo già consolidato e cerca di attivare produttivamente il territorio, ampliandolo e arricchendolo per mezzo della realizzazione di nuovi edificati che possano ospitare funzioni quali l’assistenza sociale, centri per la prima infanzia, centri culturali, spazi di lavoro, nuclei di sostegno alle attività della comunità, centri sportivi, ciascuno dei quali possa compiere la funzione di «monumento», ovvero di elemento di strutturazione urbana con valore simbolico. Essi rappresentano la presenza del potere pubblico, irrilevante fino a questo momento nelle favelas18”. Ed ancora “gli edifici architettonici progettati sono l’elemento visibile di una nuova «aura» del luogo e rappresentano la conquista del diritto all’architettura e ai servizi al suo interno ospitati”19. Quest’approccio responsabile e rispettoso porta alla realizzazione di interventi prontamente accettati dalla comunità. In questo modo nessun ufo, estraneo a logiche e dinamiche locali, viene scagliato su terreni carichi di complessità anche relazionali. Gli abitanti partecipano sin dal principio all’ideazione e alla successiva realizzazione di qualcosa che apporterà un cambiamento positivo nella vita di tutti i giorni e che sarà un ulteriore elemento che andrà ad incrementare il senso di appartenenza della comunità al luogo.

17 Jorge Mario Jáuregui, Favelas. Construyendo desde el conflicto. Transformaciones arquitectónicas, urbanísticas y sociales en las Favelas de Rio de Janeiro , trad. a cura di chi scrive, p. 1 18 Jorge Mario Jáuregui, Op. Cit., p. 2 19 Ibidem, p. 3 52

3.1.2 L’intervento in Vidigal, Rio De Janeiro, Brasile Vidigal è una delle Favelas in cui il programma Mi Favela Barrio ha operato.

Si tratta di un insediamento informale situato a Sud della costa carioca.

Anche in questo caso per prima cosa si è provveduto a prendere contatti con la gente del luogo.

I residenti sono stati direttamente coinvolti grazie alla diffusione di volantini che informassero del programma e contemporaneamente spronassero alla partecipazione. In ogni volantino erano infatti riportati i principali soggetti che stavano portando avanti il programma e gli obiettivi dei futuri interventi. Una parte del volantino era poi destinata al singolo abitante che poteva decidere di comunicare le proprie idee e suggestioni al fine di ottenere un miglioramento delle condizioni in cui versava la Favela. Dopo questa prima fase di contatto diretto e coinvolgimento della popolazione residente, si è provveduto in un secondo momento alla redazione del masterplan che individuasse le linee guida di intervento e le diverse funzioni che dovevano trovar luogo all’interno dell’abitato informale. Come si può vedere dal masterplan, il programma è molto completo e prevede una serie di funzioni che possano rispondere alla necessità più svariate di una comunità ampia.

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I diversi obiettivi dell’intervento sono riassunti dalle 14 linee guida del Masterplan. Si parla di trattamento di aree urbane con nuove pavimentazioni ed arredi urbani (1), della realizzazione di un nuovo terminal di autobus (2), dell’area che sarà destinata alla visita del Papa (3), di nuove aree di gioco per bambini (4), di un vivaio municipale (5), di luoghi della salute (6), di aree ecologiche che possano anche esser usate in occasione di eventi artistico culturali (7), di centri di lavoro e professionalizzanti (8), di centri polisportivi (9), di nuova viabilità che colleghi le aree sulle colline (10), di completare la realizzazione della Villa Olimpica (11), di nuove unità abitative (12), di un muro contenitivo (13) ed infine di aree destinate a nuovo verde (14).

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In ciascun intervento si è tenuto conto delle preesistenze cercando di rispettarle il più possibile e di portare a termine degli interventi mirati e puntuali che avessero il solo scopo di rigenerare parti problematiche dell’insediamento.

Oltre alla risoluzione di necessità fondamentali ottenuta per mezzo della realizzazione di presidi controllati quali possano esser i centri per la salute o il nuovo terminal di autobus, si è agito portando a termine le promesse passate e proiettando nel futuro le necessità di una comunità che dovrà lavorare e formarsi ma anche ricrearsi svolgendo attività all’aperto nel tempo libero. Ancora una volta è fondamentale il lavoro su un programma molto ampio. Il successo di un tale intervento sta appunto nel non essersi limitati a rispondere esclusivamente alla domanda di un alloggio. Nuovi nuclei abitativi sono stati realizzati certo, ma sono solo una parte dell’intero programma.

Il lavoro più interessante sta appunto nel riuscire a rivalorizzare dei luoghi e a creare delle nuove dinamiche di vita comunitaria in settori che prima erano marginali o particolarmente problematici. Solo in questo modo si può rispondere ad uno dei principali problemi di un insediamento informale, ovvero quello consistente nella grande assenza di spazi pubblici in seguito ad una continua e costante crescita dell’abitato a causa dei singoli privati che continuano ad occupare nuovi terreni e costruire nuovi edificati. Il risultato è appunto un tessuto caotico con una grave insufficienza di spazi aperti e comuni, con un pesante indice di densità abitativa, che resta in attesa di interventi che possano finalmente liberarlo e regalargli nuovi spazi pubblici in cui la comunità si riconosca.

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3.2 Best Practices in Argentina 3.2.1 Il progetto di rigenerazione urbana della Villa 31, (Buenos Airea, Argentina), Castro | Jáuregui

Una breve storia della Villa

La Villa 31 è un esempio emblematico del problema degli abitati informali a Buenos Aires.

Ad essa sono infatti legati molti discorsi intorno al sito stesso in cui si trova, una vasta area della città che è stata presa di mira da decenni dagli enti speculatori, ed alla sua stessa presenza e permanenza che provoca delle emozioni contrastanti in chi vorrebbe invece allontanare per sempre e celare alla vista ciò che accusa direttamente le loro coscienze.

Ancora emblematica è l’attuale situazione dell’abitato che è stato finalmente riconosciuto dalla legislatura che ne ha di recente approvato una legge di urbanizzazione e consolidamento.

La Villa 31 è la Villa più antica della città, risalente al 1930. Fu sgombrata quasi interamente nel corso della ultima dittatura militare, però continuò ad ospitare 43 famiglie che resistettero allo sgombero e diedero vita alla cosiddetta Comisión de Demandantes che ottenne il riconoscimento da parte del potere legislativo.

A partire dai primi anni del 1980 cominciò nuovamente ad esser popolata e da allora cresce costantemente in numero di abitanti e densità. Alla fine degli anni 70 arrivò ad ospitare 25.000 abitanti e nel 2007 raggiunse nuovamente tali dimensioni, continuando a crescere ancora oggi20.

La sua storia è fortemente conosciuta anche perchè legata alla vita di Padre Carlos Mugica, che ebbe al suo interno una parrocchia e che portò avanti attività di sostegno alla collettività ed ascolto fino al momento in cui bande criminali che si sentirono minacciate dal suo operato decisero di porre fine alla sua vita.

Un progetto partecipativo Il progetto ebbe inizio nel 2002 grazie ad un finanziamento ottenuto in occasione della vincita del Primo Premio in Ricerca alla III Biennale Ispanoamericana di Architettura e Urbanismo tenuta a Santiago de Chile. Il lavoro venne poi sviluppato all’Università di Buenos Aires grazie a diversi programmi scientifici (UBACyT) nell’ambito del lavoro dell’ Instituto de la Espacialidad Humana de la Facultad de 20 Maria Cristina Cravino, La política urbana en su laberinto in Javier Fernández Castro, BARRIO 31 > CARLOS MUGICA, Posibilidades y límites del proyecto urbano en contextos de pobreza, Instituto de la Espacialidad Humana, Buenos Aires, 2010, p. 23 57

Arquitectura, Diseño y Urbanismo (IEHu - FADU) e potè inoltre usufruire dei fondi del Programa Nacional de Voluntariado Universitario del Ministerio de Educación de la Nación Argentina, che, grazie anche all’apporto degli stessi docenti ricercatori, ne hanno reso possibile la pubblicazione21.

Come prima cosa i docenti e gli studenti che lavorarono nel progetto andarono alla ricerca di contatti diretti con i villeros.

Vennero organizzate assemblee in cui venne instaurato un proficuo dialogo tra ricercatori e abitanti dell’insediamento.

Fu questa una fase molto delicata in cui bisognò conquistare la fiducia degli abitanti ormai abituati alla presenza di organizzazioni esterne, spesso politiche, che si presentavano con la promessa di grandi cambiamenti e che lasciavano puntualmente grandi questioni irrisolte.

Si discusse con i residenti dei maggiori problemi della Villa e delle necessità della comunità. Ebbe inizio un lungo processo di progettazione partecipata che mirava alla redazione di un masterplan le cui linee guida si preoccupassero di tenere in considerazione questa discussa parte della città come un vero e proprio settore urbano che avesse esattamente le stesse necessità di integrazione ed inclusione di un qualsiasi altro quartiere della capitale porteña. Si procedette dunque con un’accurata analisi dell’intera area di studio che venne divisa in settori e relazionata con l’immediato intorno della città formale e consolidata.

Nel frattempo venne portato a termine un accurato lavoro di 21

Javier Fernández Castro, op. cit., p. 21

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rilevamento dell’intera Villa, non solo degli spazi collettivi esistenti ma anche dello stato di ciascuna abitazione privata. Anche questo momento fu molto delicato perchè fu necessario “invadere” gli spazi privati di persone che mai avevano aperto le loro case ad autorità esterne alla Villa.

Fortunatamente l’Università gode di un’aura di estraneità ai fatti della politica che permise agli studenti di instaurare una buona relazione con gli abitanti e di riuscire così a portare a termine tale arduo compito.

Attraverso un continuo andar avanti e indietro si è potuto dunque stilare quello che oggi è stato presentato al Gobierno de la Ciudad de Buenos Aires come il progetto di urbanizzazione della Villa 31.

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La prima proposta di intervento progettuale risalente al 2003 partiva da una situazione generale di media e bassa densità esistente nella Villa, per cui si propose un consolidamento totale dell’intera Villa 31 e parziale della 31 Bis (estensione della Villa che si formò col passare degli anni) che al momento di redazione del progetto aveva solo la metà dell’attuale estensione territoriale.

Le prime letture dell’area portarono a credere che non fosse necessaria un’ulteriore estensione su terreni non ancora occupati e che si potesse inoltre aumentare la densità abitativa in alcuni punti che avrebbero permesso il recupero di alcune aree dell’ex scalo ferroviario. Oltre agli interventi su scala urbana, pensando alla realizzazione di nuovi spazi pubblici e alla dotazione di arredo urbano, si pensò al recupero di tre strutture dell’ex scalo adesso destinate ad ospitare il centro di produzione e di lavoro, ripetendo in questo caso ciò che era già stato sperimentato in interventi brasiliani.

Per terminare questa prima fase di progetto preliminare venne organizzata una presentazione formale di ciò che si era fatto insieme agli abitanti ed ai rappresentanti della Villa, il tutto venne fatto in un luogo istituzionale quale potesse essere la Sala delle Conferenze della FADU (Facultad de Arquitectura, Diseño y Urbanismo) il giorno 17 ottobre del 2003. Il comitato dei rappresentanti della 31 vide immediatamente il progetto come uno strumento di reclamo politico istituzionale. Il preconcetto secondo cui le terre della Villa non fossero urbanizzabili perchè occupate illegalmente era ancora presente nell’immaginario di molti villeros. Però adesso altri professionisti stavano cercando di dir loro che questi luoghi comuni potevano esser sovvertiti. Si iniziò con reclami puntuali quali la carenza di infrastrutture e si continuò richiedendo una vera e propria urbanizzazione dell’insediamento informale. Apparve un primo documento che affermò che la radicación, ovvero il consolidamento e la messa in regola dell’intera Villa, non solo era possibile ma era anche la soluzione più valida per l’intervento sull’intera area grazie anche all’intervento sulle infrastrutture, oltre ad essere un intervento meno dispendioso rispetto alla erradicación, ovvero allo sgombero totale22.

Si giunse in questo modo alla costituzione della cosiddetta Mesa por la Urbanización, ovvero le assemblee con la Comisión de Vivienda che videro partecipare i rappresentanti della Villa.

Si giunse così infine all’approvazione della Legge 3343 dell’urbanizzazione della Villa 31 e 31 bis.

22

Javier Fernández Castro, op. cit., p. 132

60

Linee guida del progetto La redazione dell’ultima proposta di progetto cerca di rispondere a diverse condizioni e possibilità, tenendo in considerazione l’intero tessuto limitrofo alle diverse scale regionale, urbana e di quartiere.

Secondo Castro23 le scale di intervento a livello progettuale sono state la macro, la mezzo e la micro, tutte scale indipendenti ma sempre fortemente connesse tra loro.

A livello macro la Villa venne vista come un’occasione per completare e migliorare alcune infrastrutture preesistenti (il nodo di accesso e una parte della stessa Autopista) pur senza intaccare l’obiettivo principale di apportare dei miglioramenti alle condizioni abitative della Villa (dunque a scala micro) e contemplando contemporaneamente ad una scala di mezzo l’individuazione di punti ti contatto con il resto della città che fino ad ora erano venuti a mancare.

23

Javier Fernández Castro, op. cit., p. 139

61

Sempre secondo Castro si può affermare che la “città è flusso, punti di riferimento, residenze, interscambio e punti di contatto”24 ed ancora “Metro < Intra > Meta”25 sono le categorie per leggere ed interpretare la città latinoamericana. Seguendo le scale di intervento, comprendendo le componenti costitutive dell’agglomerato urbano e tenendo in considerazione le categorie di interpretazione, è possibile dar vita a dei progetti che siano in grado di intervenire ad ogni livello e possano portare ad una integrazione socio-spaziale dell’abitato informale preso in analisi.

Secondo Castro26 gli elementi che definiscono la città trovano la loro traduzione spaziale in ulteriori componenti: linee e vincoli, punti di interesse e e spazi contenitori, aree e raggruppamenti, crocevia 24 Javier Fernández Castro, op. cit., p. 142 25 Ibidem 26 Javier Fernández Castro, op. cit., p. 142

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e nodi, margini e limiti.

Tramite il progetto dunque si cercherà di permettere o rafforzare l’esercizio di varie pratiche, siano esse già esistenti sul territorio o di nuova presenza grazie all’accorpamento di nuove funzioni.

Come è possibile vedere dagli schemi presentati per il progetto di massima, il progetto è stato suddiviso sulle diverse scale di intervento.

Si parla di interventi che si occupano dei flussi, dei punti di interesse, delle residenze e dei punti di interscambio e di margine.

Si tratta di quattro categorie progettuali che vengono sviluppate parallelamente ma che reciprocamente continuano a mantenere dei fortissimi legami.

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Flussi

L’intervento più consistente è certamente quello a scala macro che risponde alla necessità di completare l’Autopista Buenos Aires - La Plata e che vede stabilire con essa dei vincoli a scala regionale.

In questo contesto il consolidamento della Villa è proposto come un’opportunità concreta di stabilire una traiettoria alternativa dell’autostrada esistente che costringe la circolazione ad attraversare parte della città.

A scala urbana si propone l’apertura di nuovi assi viari, principali e secondari, che attraversando la Villa, rendendola permeabile alla città formale. In questo modo si otterrà la messa in sicurezza dell’abitato prima irragiungibile da mezzi di soccorso e di emergenza quali ambulanze e mezzi dei vigili del fuoco.

Una maggiore sicurezza sarà inoltre ottenuta per la stessa presenza di strade più ampie ed illuminate adeguamente.

A scala micro invece si è portato avanti un minuzioso lavoro di riqualificazione dei passaggi esistenti. Inevitabile sarà la demolizione e la apertura di alcuni di essi, eccessivamente pericolosi per le dimensioni anguste .

Continuazione autostrada

tracciato esistente

tracciato di progetto

Strade principali

tracciato esistente

tracciato di progetto

Passaggi e Cités

tracciato esistente

tracciato di progetto

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Nuovi punti di interesse

In quest’ambito saranno individuati gli spazi e gli scenari urbani che diventeranno nuovi punti di interesse e centri di creazione dell’identità collettiva.

Il Memorial Mugica ospiterà la nuova parrocchia, un parco ed un memorial per il parroco che per diversi anni si battè per i diritti dei villeros della 31.

Negli spazi adiacenti alla Stazione di Retiro ed a Plaza San Martin è prevista la relizzazione di uno spazio pubblico coperto destinato a mercato.

Al centro della Villa, dove attualmente passa l’Autopista, in un settore che divide ad oggi la Villa 31 da quella che viene riconosciuta come la 31 bis per essersi sviluppata solo in un secondo momento, è prevista la realizzazione di un parco.

Sullo stesso versante est, nei pressi dello scalo navale e dell’area portuale e alle spalle del futuro parco, è prevista la realizzazione di un centro di lavoro con spazi per la produzione.

Oltre alla realizzazione ex novo degli interventi prima citati, si è deciso di consolidare l’unico spazio aperto già esistente: il campetto di calcio.

Si tratta infatti di uno dei grandi luoghi dell’identità collettiva già esistente.

Memorial Mugica

Piazza del Mercato

Parco Centrale

Centro di Lavoro con spazi in affitto

Spazi pubblici Presistenti

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Residenze

Dopo esser stati indiduati dei terreni limitrofi attualmente in disuso, è stata prevista la realizzazione di nuovi complessi residenziali. Per quanto riguarda le tipologie abitative si è proposto il blocco residenziale che si sviluppa in altezza nel settore a ovest che vedrà la realizzazione di un parco lineare , il “Parque de los inmigrantes” che fa riferimento all’origine stessa della Villa. In tali blocchi sono presenti unità abitative di diverso taglio per soddisfare le più svariate necessità e si è cercato in ogni caso di sfruttare al massimo la possibilità di densità abitativa. All’interno di ogni singolo blocco sono poi presenti degli spazi destinati ad ospitare funzioni pubbliche quali cinema, piazze o luoghi di incontro. Una seconda tipologia proposta è quella della Casa a patio che permette di realizzare un tessuto che non si allontana per altezza da quello già esistente. In questo modo inoltre ciascun nucleo familiare avrà la possibilità di avere a propria disposizione una piccola area di verde. Infine anche in questo caso un lavoro di ristrutturazione, consolidamento e adeguamento interesserà gli edificati mantenuti della Villa.

Residenze in altezza

Case a patio

Esistente consolidato

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Interscambio e punti di contatto

La condizione di interscambio permette l’articolazione di flussi reali e virtuali tra i diversi settori della città così come i punti di contatto permettono la comunicazione tra parti di città che erano state fino ad ora separate.

Anche a queste categorie è stata data un’importanza fondamentale individuando tre principali aree di intervento. Da un lato si prevede il rifacimento del nodo di accesso all’Autopista, delicato momento di incontro con le aree dedicate al Memorial Mugica ed al parco già citato. Dall’altro si prevede la realizzazione del grande parco lineare cui prima si è fatto cenno, il “Parque de los inmigrantes”, che avrà il compito di ridefinire quello che prima era un margine urbano, elemento di confine tra la Villa e la città formale. Al suo interno troveranno poi posto i blocchi residenziali ad alta densità.

Infine è prevista la realizzazione di due passaggi pedonali e ciclabili.

La prima passerella si svilupperà a partire dall’Avenida Mirador fino all’Avenida Libertador attraversando la storica Stazione di Retiro, mentre la seconda permetterà l’accesso al nuovo terminal di autobus dall’interno stesso della Villa.

Nodo Autostrada

Parco degli Immigrati

Passerelle

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3.2.2 Il progetto di rigenerazione urbana della Villa 21-2427, (Buenos Airea, Argentina) - J. F. Castro

Una breve storia della villa La Cuenca del Matanza Riachuelo è una valle che costituisce il limite tra la Ciudad Autónoma de Buenos Aires ed il Sud della provincia bonaerense.

La scarsa pendenza del terreno fa si che gli argini del fiume Riachuelo siano continuamente variabili provocando così inondazioni nei terreni adiacenti nei periodi di piena.

Sui margini del fiume si costruirono i primi capannoni e le prime industrie che iniziarono a contaminare le acque del Riachuelo.

Nel XIX secolo, a partire dalle azioni del governo peronista, si portarono avanti delle opere di sanamento e bonifica dei terreni e si giunse negli anni ‘90 al definitivo controllo delle inondazioni mettendo in sicurezza i quartieri de La Boca e di Barracas.

Solo negli ultimi decenni si è iniziato un processo di decontaminazione del corso d’acqua nell’intento di portare avanti un processo di riqualificazione territoriale.

La Villa 21-24 è situata proprio sulle sponde a Nord del Riachuelo, a Sud della città di Buenos Aires, nel quartiere di Barracas.

Secondo i dati del Censo nazionale del 2010, la Villa ospita una popolazione di 43.840 abitanti.

Si tratta di un abitato informale con una storia di più di settanta anni, che ebbe origine con l’occupazione dei primi terreni portuali abbandonati, usati per bruciare rifiuti e per compiere le operazioni di “cirujeo” , ovvero di classificazione e riuso dei rifiuti.

Come avvenne anche in altri settori della città, anche questa Villa fu interessata da azioni statali che previdero lo sgombero e la demolizione dell’insediamento informale (Planes de erradicación cui si è già fatto cenno nei capitoli precedenti).

Ancora oggi è possibile riconoscere i segni di tali interventi nei NHT, Núcleos Habitacionales Transitorios, ovvero dei blocchi residenziali pensati come soluzione provvisoria in attesa di interventi definitivi che non furono poi mai portati a termine.

27 Per l’intera trattazione del capitolo si è fatto riferimento al testo di Javier Fernández Castro, El proyecto inclusivo en la Villa 21-24, HI - Habitat Inclusivo 69

Un progetto partecipativo Anche in questo caso, si è proceduto alla redazione di un progetto di massima partecipativo per mezzo della costituzione di una “Mesa por la Reurbanización” , ovvero un’assemblea partecipativa per la urbanizzazione della Villa, a cui hanno preso parte abitanti e rappresentanti della stessa.

In questo modo si è cercato di far tesoro delle dinamiche e delle capacità, specialmente produttive, della cultura villera.

Come prima cosa si è costruita la storia dell’evoluzione della Villa grazie anche alla memoria collettiva dei suoi abitanti. Si è visto in questo modo come le prime occupazioni siano avvenute anche in questa circostanza nei terreni vicini ad uno scalo ferroviario ormai dismesso.

A partire dai primi anni ‘60 l’abitato informale si è poi riprodotto in modo caotico ed incontrollato fino ad arrivare ai giorni nostri. Successivamente è stato coinvolto il comitato di rappresentanti nel tentativo di comprendere le dinamiche del luogo e le esigenze dei villeros della 21-24. Bisogna infatti considerare che nonostante molte Villas abbiano alle spalle una storia simile, ciascun abitato informale conserva poi una propria identità che fa si che gli abitanti di una Villa debbano poi confrontarsi con esigenze e problemi differenti.

Di nuovo si è cercato di sviluppare le linee di intervento seguendo le tre diverse scale del progetto cui si è fatto riferimento nel progetto di urbanizzazione della Villa 31: a scala macro si è lavorato considerando l’intera Villa come parte integrante della struttura urbana consolidata a Sud della città di Buenos Aires, a scala mezzo si è riflettuto sulla Villa in quanto nucleo abitativo significativo ed a scala micro si è analizzato l’abitato come messa a sistema di diverse componenti specifiche ciascuna avente particolari necessità. Ed ancora si è fatto riferimento alla definizione che Castro fa della città28 e si è dunque riflettuto sulla necessità di soddisfare le esigenze sui diversi ambiti di intervento. Si è dunque diviso il progetto di massima in linee guida principali che facessero capo ai flussi, ai punti di interesse, alle residenze e ai punti di contatto, portando sempre l’attenzione tanto sull’esistente quanto sulla necessità di creare del nuovo.

28 la “città è flusso, punti di riferimento, residenze, interscambio e punti di contatto” in Javier Fernández Castro, BARRIO 31 > CARLOS MUGICA, Posibilidades y límites del proyecto urbano en contextos de pobreza, Instituto de la Espacialidad Humana, Buenos Aires, 2010, p. 142 70

Tessuto di completamento

Trattamento dei margini

Nuovi Enclaves

Tessuto dei bordi

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Punti di interesse/ CentralitĂ

Nuove CentralitĂ / Flussi

Tutte le politiche pubbliche puntano al congelamento delle condizioni attuali dell’insediamento altrimenti in continua e permanente espansione.

Alla fase progettuale è ovviamente preceduta una di analisi delle condizioni attuali dell’insediamento, facendo riferimento alla circolazione, alla divisione interna della Villa, al tessuto abitativo, ai poli produttivi, alle organizzazioni e agli spazi verdi presenti sull’area di studio.

Grande importanza è poi stata data all’aspetto temporale di sviluppo e concretizzazione del progetto di urbanizzazione.

Sono state infatti individuate fino a 7 fasi di progetto in cui a partire dalla sgombero degli argini

72

del fiume, che sono le aree più problematiche perchè soggette ad inondazioni e inquinamento, si procede con la realizzazione di nuovi complessi residenziali con la contemporanea realizzazione di un parco e di un edificio istituzionale. Seguono i lavori di consolidamento vero e proprio della Villa che prevedono l’apertura di nuovi assi viari primari e secondari e la messa in sicurezza di quelli esistenti, il lavoro di messa in sicurezza degli edificati esistenti e la individuazione e sistemazione di un sistema di micro piazze e spazi verdi.

In ciascuna fase è poi considerata la possibilità di generare una serie di attività sostenibili nel tempo fondate sull’utilizzo della mano d’opera e delle capacità locali.

Anche in questo caso si riconosce dunque l’importanza della creazione di nuovi poli produttivi, elementi inclusivi, che contribuiscano a “far città” .

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4 | Il Playón de Chacarita: Villa Fraga 4.1 La nascita della Villa29 Si può pensare alla nascita del Playón facendo riferimento alle tre principali ondate migratorie che in diversi periodi approdano a questo luogo.

La prima ondata risalì agli anni ’60 quando lo Stato argentino concesse dei terreni di proprietà delle Ferrovie dello Stato agli impiegati che vi lavoravano. In seguito a ciò, molti lavoratori originari del nord argentina costruirono le case per le loro famiglie in questo triangolo di terra compresa tra la Stazione Federico Lacroze e la Calle Fraga30.

In quel momento lo scalo era ancora funzionante, vi erano binari su cui circolavano treni merci che caricavano e scaricavano nelle aree di deposito dove le famiglie dei ferrovieri costruirono autonomamente le loro case.

Le prime case dunque si installarono in forma legale, poiché i terreni furono concessi direttamente dallo Stato.

Negli anni ’90 le politiche neoliberali e capitalistiche dello Stato portarono alla privatizzazione dei servizi di trasporto, le ferrovie furono vendute a privati e con l‘aumentare di reti in disuso e scali dismessi e successivamente abbandonati aumentò anche la quantità di persone in cerca di lavoro e bisognose di un alloggio.

In quel contesto, tra gli anni ’90 e il 2000, si attestò la seconda ondata di futuri villeros.

Molte delle nuove famiglie arrivate non avevano ancora un lavoro o lavoravano a nero. Dalle 10 famiglie di ferrovieri si raggiunsero in questi anni le 50 famiglie. Occuparono le case dei ferrovieri (quando questi le avevano lasciate) oppure i terreni dello scalo merci, i vagoni abbandonati ed i lotti ancora liberi. Le prime case precarie erano fatte di lamiera, cartoni o materiali plastici ritrovati in strada.

Il problema principale per i nuovi abitanti fu l’assenza di servizi pubblici fondamentali quali acqua, luce, fognature, gas. Iniziarono così a realizzare connessioni e allacci, anche questi precari con basso grado di sicurezza, all’impianto della Stazione ferroviaria ancora esistente.

29 Per la trattazione di questo capitolo si fa riferimento alla Tesi di Laurea di María Magdalena Pace, oggi militante per il Colectivo por la Igualdad. Magdalena ha infatti trascorso diversi anni nel Playón ed attraverso il rapporto quotidiano con i suoi abitanti è riuscita a risalire alla storia di questa Villa. Per una trattazione più approfondita vd. Prácticas de comunicación en procesos partecipativos: la experiencia de elecciones de delegados y delegadas en el barrio: Playón de Chacarita. Alunna: María Magdalena Pace, Relatrice: Di Virgilio María Mercedes, Facultad de Ciencias Sociales, Universidad de Buenos Aires.

30 E’ possibile trovare una planimetria dell’area alla fine del capitolo .

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La Villa si sviluppò dall’esterno all’interno, ovvero le prime abitazioni e case precarie vennero costruite su Calle Fraga e man mano che arrivavano nuove persone si costruiva sempre più verso l’interno dello scalo ferroviario. In ciascuna casa viveva quasi sempre più di un nucleo familiare dato che venivano ospitati anche amici recentemente arrivati in cerca di una sistemazione.

Si trattava di famiglie povere, senza un lavoro fisso che avevano come unica fonte di reddito il guadagno ottenuto dallo smistamento e riciclo di materiali trovati in strada (l’immagine dei cartoneros è una triste seppur tipica cartolina della città di Buenos Aires; si tratta in ogni caso di un lavoro a tutti gli effetti che oggi viene anche regolamentato dalla Asociación de cartoneros de la Ciudad de Buenos Aires).

Le condizioni insalubri furono la prima ragione per cui giunsero alla Villa associazioni volontarie di aiuto e sostegno.

A questo periodo risale la costruzione della Capilla, ovvero la chiesetta che fa capo alla Parrocchia di San Pablo Apostól che ancora oggi è presente e organizza attività di appoggio nell’abitato informale. Secondi ad arrivare furono i volontari dell’Hospital Tornú.

Dal 2007 al 2011 si ebbe la terza ed ultima ondata di persone che si installarono nel Playón.

Si trattava di immigrati provenienti da Paesi limitrofi quali Perù, Bolivia, Uruguay e Paraguay.

A causa dell’aumento repentino della densità abitativa, cominciarono a scarseggiare spazi verdi e vennero adottati modi differenti di vendita e affitto dei lotti. La Villa cominciò già 76

in quel periodo a crescere in altezza.

Il trasferimento massivo di famiglie di immigrati all’interno della Villa avvenne in circa 5 anni.

Secondo un censimento del 2007 nell’insediamento informale vivevano 300 famiglie ma nel 2009 le famiglie erano già 650.

Nel 2011 si era arrivati a 90031.

Diverse volte vi furono tentativi di occupare anche la cancha, ovvero il campo di calcio presente all’interno dell’insediamento, ma gli stessi abitanti lottarono affinchè questo ritaglio di terreno restasse libero da costruzioni.

Ad oggi vivono tra le 1000 e le 1500 famiglie.

Se pur gli abitanti del luogo si riferiscono ad esso con il nome di Playón de Chacarita da diversi anni si è cominciato a parlare di Villa Fraga.

Il termine Villa non è facilmente accettato dagli abitanti perché porta con se un bagaglio di pregiudizi e accezioni negative, tuttavia è possibile rientrare in programmi di assistenzialismo e urbanizzazione del quartiere solo nel momento in cui lo Stato riconosce un insediamento informale come Villa, dovendo seguire le direttive della Legge 148 (“Programas de mejoramento habitacional en Villas y nucleos habitacionales transitorios”).

A partire dal 2009, nove donne, tutte residenti nel Playón de Chacarita, si presentarono al Tribunale del Gobierno de la Ciudad per richiedere migliorie nei servizi pubblici e delle condizioni in cui versava la Villa.

Il provvedimento ingiuntivo presentato al Tribunale aveva 31

María Magdalena Pace, op. cit., p.14

77

1940

1978

2004

2009

come obiettivo quello di: “Se declare que el GCBA ha violado el derecho a una vivienda digna y adecuada, por omitir su obligación de adoptar medidas, hasta el máximo de sus recursos, para brindar una solución habitacional definitiva a los habitantes del asentamiento conocido como el Playón de Chacarita”32 .

In seguito alla presentazione di tale provvedimento, la sentenza ha disposto che il GCBA doveva realizzare un censimento della popolazione residente per stabilirne quantità e caratteristiche, doveva provvedere urgentemente ai servizi basici quali acqua, drenaggio e svuotamento di pozzi neri, elettricità e installare una rete fognaria, oltre alla installazione di punti di attenzione alla salute degli abitanti.

Fu così che nel 2010 il GCBA per mezzo dell’Instituto de la Vivienda (IVC) realizzò il censimento ed un primo rilevamento della Villa.

Il IVC divise la Villa in manzanas (i 9 settori attuali) e assegnò ad ogni abitazione un numero.

Tuttavia ancora oggi il quartiere non è completamente urbanizzato.

Continuano a non esser presenti servizi pubblici quali gas, luce, 32 “si dichiara che il GCBA ha violato il diritto ad una casa degna e adeguata, non avendo ottemperato al suo compito di adottare delle misure fino alle sue massime possibilità, per offrire una soluzione abitativa definitiva agli abitanti dell’asentamiento conosciuto con il nome di Playón de Chacarita”, (trad. a cura dell’autrice), in Moralez Chavez Carmen Luisa y otros contra GCBA y otros sobre amparo (ART: CCABA), vedi Expediente 33980/0, oppure in María Magdalena Pace, op. cit., p.39 78

fognature e acqua corrente.

Tutte le abitazioni fanno uso di bombole a gas e solo da qualche anno, in seguito all’intervento del tribunale, il Governo della città di Buenos Aires ha messo in pratica una politica di assistenzialismo fornendo quotidianamente un servizio di camion che consegnano acqua in cisterne e svuotano i pozzi neri.

4.2 Caratteristiche della villa Oggi il Playón è un quartiere precario che occupa due cuadras (il nome che viene dato agli isolati porteñi), costituito da 9 manzanas o settori e con un unico accesso su calle Fraga.

Contrariamente alla solita ubicazione della maggior parte delle Villas di Buenos Aires, il Playón si trova a nord della città.

I terreni occupati sono delimitati da un lato dall’attuale Stazione F. Lacroze e dalle vie Fraga, Teodoro García, Céspedes, Guevara e Av. Elcano.

Alla Villa non possono accedere vigili del fuoco nè mezzi speciali come ambulanze a causa dell’angustia delle vie interne.

Ad oggi la maggior parte di edificazioni è in muratura (struttura in cemento armato e forati) sebbene non manchino abitazioni più precarie in lamiera.

Si sono raggiunti i cinque piani di altezza ma tutti gli edifici sono costantemente in ampliamento.

All’interno del Playón due luoghi conservano un’importanza simbolica per gli abitanti: la cancha, un piccolo rettangolo di terra salvatosi dalle occupazioni selvagge, è oggi il campetto 79

e l’unico spazio aperto in cui i bambini possono ritrovarsi per giocare o dove possono esser organizzati eventi che riguardano l’intero quartiere; e la capilla, ovvero la piccola cappella che viene aperta e richiusa ogni domenica e che permette ai fedeli di avere una figura spirituale di riferimento all’interno della Villa.

4.3 Entità organizzative nella villa Con la crescita della Villa e l’aumentare della visibilità delle costruzioni iniziarono ad arrivare anche organizzazioni politiche che avevano come obiettivo quello di aiutare gli abitanti nella lotta per l’urbanizzazione.

Nel 2000 giunse la Corriente Clasista y Combativa che installò all’interno del Playón un piccolo merendero in cui i bambini potessero andare.

Due anni dopo la stessa organizzazione inaugurò in un capannone abbandonato vicino alla cancha la mensa “La esperanza”.

Col passare del tempo giunsero sempre nuove organizzazioni, anche di correnti politiche diverse e ciò finì col creare confusione e situazioni di conflitto.

Gli abitanti infatti vengono spesso consigliati da organizzazioni diverse e finiscono così con l’essere in disaccordo, costringendo la Villa ed i suoi abitanti ad una situazione di stallo.

Negli ultimi anni tra le diverse associazioni presenti nel Playón troviamo anche ONG che si occupano per lo più di attività legate alla ricreazione infantile o all’appoggio scolare, o settori accademici che hanno cominciato ad avvicinarsi (ad esempio 80

alcuni Laboratori della Fadu, Facultad de Arquitectura, Diseño y Urbanismo della Uba, Universidad de Buenos Aires, hanno fatto del Playón area di progetto o di studio).

Nel momento in cui ci si è trovati a frequentare questo luogo, dopo esser entrati in contatto con il Colectivo por la Igualdad, organizzazione politica che fa capo al Partito Socialista, poche altre organizzazioni erano presenti sul campo a causa della complessa situazione attuale della Villa in cui si sono instaurate bande di narcotrafficanti che rendono pericoloso l’accesso.

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4.4 Analisi del contesto L’area in cui si situa la Villa è direttamente interessata dalla presenza di diverse tematiche.

Innanzitutto il quartiere di Chacarita e soprattutto le abitazioni limitrofe all’insediamento informale stanno subendo delle importanti svalutazioni dal punto di vista del valore immobiliare proprio a causa della presenza della Villa e dei problemi di sicurezza e decoro che ne derivano.

Per questo motivo, un intervento sull’abitato informale, porterebbe degli evidenti benefici ai residenti della Villa, ma gioverebbe indirettamente anche ai residenti dell’intero quartiere di Chacarita.

La viabilità dell’area in analisi ci mostra come la zona sia interessata dalla presenza di flussi di diverso genere. Sono infatti presenti strade secondarie, Calles, ad unico senso di marcia, che servono l’area a livello di quartiere; strade principali, le Avenidas Elcano, Lacroze e Corrientes, a due sensi di marcia, che connettono il quartiere al resto della città; ed infine strade interessate dalla presenza di viabilità su mezzi pesanti quali la Avenida Guzman.

Il quartiere è particolarmente carente di spazi verdi essendo solo presenti alberi di Frassino e Tipuana Blanca nelle vie. L’unico spazio verde presente, se come tale può esser interpretato, è quello costituito dalle aiuole del Cimitero di Chacarita. Soprattutto nella zona del Terminal della Stazione in cui si concentrano numerosi flussi (accesso-uscita metro, fermate di autobus, incrocio delle Avenidas F. Lacroze e Corrientes) si rendono necessari spazi in grado di decongestionare.

Uno dei principali fattori di rischio dell’area è costituito dalla presenza di svariate barriere urbane.

Il recinto del Cimitero di Chacarita, l’area della Stazione Federico Lacroze con parte dello scalo in disuso e la stessa area delimitata dalla presenza della Villa con accesso principale da Calle Fraga (da cui prende uno dei suoi nomi) costituiscono barriere fisiche che contribuiscono a frazionare il distretto dividendolo in parti che non sono in grado di comunicare tra loro.

Fasce orizzontali si susseguono senza dialogo alcuno.

In fase di studio si è poi analizzata la presenza di eventuali scuole ed istituti privati o pubblici, insieme a centri sociali o culturali.

Risulta che l’area è già dotata di vari centri per l’educazione infantile per cui, a livello progettuale, non si ritiene necessaria l’intensificazione di tali servizi. Si pensa però che siano comunque necessari degli spazi pubblici di sostegno alla comunità villera.

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Abitato formale e informale

Nodo ferroviario Federico Lacroze

Cimitero di Chacarita

Spazi vegetali

Limiti fisici

Edifici scolastici

ViabilitĂ

Altri servizi

Sintesi interpretativa

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4.5 Linee Guida dell’intervento progettuale Sarà necessario trattare su diversi fronti più problematiche.

Ad una scala urbana33 risulta necessario trattare le diverse barriere urbane e riorganizzare gli assi viari (al momento la Villa é letteralmente incastrata in una parte di città ed ha sfogo solo su due dei quattro lati, mentre ricordiamo che l’unico accesso-uscita avviene su calle Fraga).

Bisogna poi incrementare la presenza di spazi pubblici e dotare l’intera area di spazi verdi.

Ad una scala intermedia bisogna certamente cercare di frenare la crescita della Villa che ormai si sviluppa solo ed esclusivamente in altezza avendo terminato gli spazi disponibili, con evidenti problemi di sicurezza per i suoi abitanti.

Infine ad una scala locale sarà necessario effettuare tutti i lavori di messa in sicurezza degli edifici esistenti che si manterranno, l’apertura di nuove vie interne (per questo motivo sarà necessaria la demolizione di parte delle abitazioni), la dotazione di infrastrutture pubbliche quali elettricità, gas, impianti per lo scolo delle acque sporche e meteoriche, e la riqualificazione degli spazi pubblici per cui la collettività ha acquisito negli anni un forte senso di appartenenza.

Tra di essi ricordiamo certamente la canchita e la chiesa.

Altro luogo della collettività è certamente il mercato rionale. Esso si trova nell’area della cosiddetta manzana 9, unico settore ad avere accesso indipendente dall’Avenida Lacroze.

Si tratta di uno spazio che sarà considerato direttamente connesso alle necessità proprie del rifacimento di una nuova Stazione e degli spazi della collettività ad essa annessi.

Soprattutto per gli interventi a scala locale, sarà necessario portare a termine un minuto lavoro di rilievo delle condizioni odierne dell’abitato informale.

Solo dopo questa analisi sarà possibile pensare alla realizzazione di eventuali nuclei di servizio che vadano ad integrare le abitazioni che ne abbiano la necessità.

33 si fa qui riferimento alle 3 diverse scale di intervento dei progetti di rigenerazione delle Villas 31 e 21-24 (la micro, la medio e la macro), entrambi redatti dall’Arch. Javier Fernandez Castro e trattati nel capitolo precedente.

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Stato di fatto

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Punti di interesse preesistenti | Spazio pubblico condiviso dagli abitanti

Accessi Attuali | Accessi non piĂš esistenti | Flussi

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4.6 Un progetto partecipativo Anche in questo caso si ritiene fondamentale un continuo coinvolgimento degli abitanti della Villa, solo attraverso il dialogo è infatti possibile comprendere le dinamiche del luogo e rispondere alle necessità effettive di questa comunità.

Nel corso della permanenza a Buenos Aires, si è avuta la possibilità di ascoltare i maggiori problemi relativi alla vita condotta all’interno dell’insediamento informale.

Insieme al Colectivo por la Igualdad, associazione che si batte quotidianamente a fianco del comitato dei rappresentanti della Villa al fine di ottenere la redazione di un progetto di legge per la riurbanizzazione dell’abitato, sono state organizzate diverse riunioni con alcuni dei rappresentanti degli abitanti del Playón ed in ciascuna di esse si è sempre parlato delle possibilità di miglioramento delle condizioni in cui versa l’insediamento.

Purtroppo, non avendo un vero e proprio gruppo di lavoro non si è mai giunti alla discussione delle proposte progettuali, ma ciascuna di esse è stata sviluppata tenendo sempre in considerazione ciò che è stato detto nel corso delle diverse riunioni.

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4.7 Mapping Il Barrio ovvero, quartiere.

E’ un altro nome generico con cui gli abitanti si riferiscono alla Villa; lo preferiscono a quest’ultimo perchè privo di tutte le accezioni dispregiative.

Ciascun edificio si estende in altezza e man mano che si allontana dal suolo viene compiuta una sistematica operazione di ingrandimento della metratura dei locali.

Le costruzioni hanno una forte componente di precarietà ed una alto grado di insicurezza.

Oltre agli edifici in c.a. e forati, sono presenti anche rifugi in cartone, lamiere e legno.

Negli edifici con struttura in c.a. ciascuna nuova addizione non è mai considerata come l’ultima e definitiva.

Vengono sempre lasciati uscire i tondini per l’aggancio di future nuove strutture.

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La ormai totale occupazione di tutto il territorio disponibile ha portato alla crescita dell’agglomerato edilizio per parti, dunque non solo in verticale ma anche per frazionamento interno di uno stesso locale.

Nuovi locali vengono inseriti dove possibile con evidenti problemi non solo per la sicurezza degli abitanti ma anche degli stessi passanti che si ritrovano a dover schivare scale e rampe precarie.

I passaggi interni Nella Villa si contano ad oggi fino a 68 passaggi interni la maggior parte dei quali è l’unico accesso ed uscita possibile per le singole abitazioni.

Stradine anguste che a volte arrivano ad avere una larghezza di soli 60 cm circa.

Risulta evidente il grado di pericolosità di tali passaggi che non permettono l’arrivo di mezzi di primo soccorso come ambulanze in caso di necessità.

Spesso due persone non riescono ad attraversare contemporaneamente ed in senso contrario lo stesso passaggio.

Le dimensioni di tali strade interne non consentono la necessaria areazione e ventilazione dei locali abitativi.

I raggi del sole non giungono quasi mai ad illuminarli e di notte sono praticamente all’oscuro.

In caso di pioggie i passaggi si inondano rendendo ancora più difficile la loro percorribilità.

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Tutte le vie interne della Villa sono in terra battuta, occupate da residui e sporcizie.

In occasione delle piogge si vengono a creare vere e proprie pozzanghere che peggiorano la viabilità e le condizioni igieniche dell’intero insediamento.

Molti alloggi inoltre hanno un livello di calpestio al piano terra inferiore a quello dei passaggi esterni, ciò porta alla sistematica inondazione delle stesse abitazioni in caso di forti piogge.

Gli accessi A causa della costante e non pianificata crescita dell’insediamento informale si presentano situazioni in cui gli accessi vengono realizzati successivamente alla realizzazione dell’alloggio ed in modo precario ed assolutamente insicuro. Si tratta di scale non vincolate in alcun modo alle pareti esterne dei nuovi locali abitativi, passaggi improvvisati, vicoli senza via di uscita, assenza di ringhiere e parapetti.

Come si può vedere in questa immagine, gli alloggi vengono ripetutamente frazionati dai proprietari che possono in questo modo trarre maggior vantaggio dall’affitto di più locali.

Questa pratica porta alla necessità di realizzare nuovi accessi esterni.

In questo caso è stata aperta una “porta” sulla parete che da sul passaggio e da qui è possibile accedere attraverso una scala in legno solamente appoggiata alla parete.

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Un’altra situazione di estremo pericolo è quella che ha visto costruire nuovi edificati al di sotto di un vecchio capannone.

Anche in questo caso un solo stretto passaggio permette l’accesso alle singole abitazioni con evidenti problemi di sicurezza in caso emergenza.

Si tratta di un solo passaggio, un vero vicolo cieco, senza sbocco alcuno, che serve una quantità notevole di residenti.

Gli allacci elettrici

Le inondazioni

La Capilla

Non avendo la possibilità di stipulare contratti legali, tutti gli allacci sono abusivi. Fili elettrici vengono fatti passare per i luoghi più impensabili, finendo con l’esser interrotti o tagliati, costituendo di nuovo un grande pericolo.

Già dalla via che ospita l’unico accesso alla Villa è possibile vedere il groviglio di fili elettrici. Quasi tutte le case sono dotate di elettricità, sono però ancora presenti dei vicoli non illuminati.

L’insediamento è sprovvisto di una rete di scolo delle acque meteoriche. Ciò fa si che in occasione delle piogge tutte le strade interne si allaghino sistematicamente, peggiorando le condizioni igieniche e di viabilità.

Inoltre a causa dei dislivelli causati dalla continua persistenza di veri e propri cantieri, ad oggi alcune case vengono proprio allagate dai corsi di acqua che si vengono a creare.

Tra i diversi punti di ritrovo, uno dei più simbolici è certamente la Cappella della Parrocchia di San Pablo Apostól che ancora oggi è presente e organizza attività di appoggio nell’abitato informale soprattutto per quanto riguarda le attività per il tempo libero dei bambini.

Unico posto, insieme alla canchita, dotato di spazio libero non ancora occupato dagli abitanti della Villa.

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4.8 Proposta progettuale In seguito ad un’indagine condotta sul campo e alla raccolta delle informazioni utili alla comprensione delle dinamiche sociali ed economiche, oltre che di quelle morfo-tipologiche dell’area, si è proceduto alla formulazione di un’ipotesi progettuale che tenga conto del ruolo dello spazio pubblico e della sua relazione con il tessuto informale esistente, che sappia valorizzare le potenzialità di processi di rigenerazione all’interno della villa miseria.

Si è deciso di intervenire ad una scala più ampia prendendo in considerazione la stesura di un progetto per il ridisegno della nuova Stazione Lacroze e della piazza adiacente ed un sistema lineare che preveda la presenza di due piazze pubbliche connesse da un parco sul quale si affacciano i nuovi complessi residenziali.

Ne è derivato un Masterplan in cui vengono consolidate le due manzanas della Villa facendo ricorso, quando necessario, ad un nuovo tessuto residenziale che riprenda la scala dell’abitato esistente; si individuano due testate con piazze pubbliche e funzioni basate sull’integrazione sociale dei villeros su Av. Lacroze (una piazza-mercato) ed un centro multifunzionale che coordina le attività ospitate dai laboratori su Av. Elcano (spazi di lavoro, nuova mensa comunitaria e centro di sostegno per madri e famiglie). Un parco lineare collega infine le due testate.

Ad una scala di mezzo si è deciso di intervenire sulla mobilità di quartiere, aprendo un nuovo asse viario in quella che attualmente è la parte meridionale della Villa. Si tratta di un asse che dividerà il nuovo parco lineare dalla Stazione Federico Lacroze e che permetterà alla Villa di avere nuovi accessiuscite sui quattro lati delle manzanas consolidate.

Ad una scala micro si è considerata la necessità di aprire nuovi passaggi e di potenziare quelli già esistenti. Ricordiamo infatti che al momento tutti i servizi di emergenza non possono accedere all’abitato informale con ovvi problemi di sicurezza in caso di emergenze.

Per quanto riguarda i nuovi punti di interesse, si è deciso di intervenire su diversi fronti.

Innanzitutto un intervento necessario è il rifacimento della Stazione e soprattutto la realizzazione di una piazza pubblica ad essa annessa. Si tratta infatti di un complicato punto di interscambio che al momento non è dotato di spazi di decongestione. La realizzazione della piazza ci offre inoltre la 92

possibilità di prevedere un’area destinata ad ospitare il mercato rionale con tutti gli spazi di servizio ad esso annessi.

Contemporaneamente si individua un’area diametricalmente opposta che sarà destinata ad ospitare

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altre strutture pubbliche di appoggio e di confronto con gli abitanti della Villa: si prevede la presenza di un edificio che ospiti spazi di lavoro da affittare o da prendere in gestione per realizzare corsi formativi e professionalizzanti ai villeros, dove il lavoro di questi ultimi possa finalmente incontrare la domanda dei cittadini della città formale.

Ancora si prevede, ed è questa che verrà sviluppata a scala architettonica, la realizzazione di un edificio di appoggio alla comunità villera. Al suo interno troveranno posto un piccolo auditorium, un settore per l’assistenza sociale, una mensa che andrà a sostituire quella attuale, precaria e non in sicurezza, un centro di appoggio scolastico, dei laboratori medici e degli spazi di ascolto per donne e uomini ed infine delle residenze temporanee per i nuovi arrivati non ancora sistemati in alloggi definitivi.

Per concludere un nuovo tessuto residenziale sul modello delle case a patio andrà a soddisfare l’esigenza di diminuire la densità abitativa delle strutture al momento esistenti nella Villa.

Si è inoltre posta l’attenzione sull’individuazione e successivamente sul mantenimento e sulla valorizzazione del sistema di micro-piazze e spazi aperti preesistenti. Sono questi gli spazi della collettività in cui i villeros si riuniscono le domeniche o nei giorni festivi. Unici spazi della condivisione e della creazione di un sentimento di appartenenza al luogo.

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4.9 Fasi di intervento Una riflessione è stata fatta sull’importanza delle fasi temporali di intervento.

Sarà innanzitutto fondamentale compiere un accurato e minuzioso rilievo dell’intera Villa per compredere quali edifici dovranno esser mantenuti e quali invece dovranno esser demoliti perchè non consolidabili o per la necessità di apertura di nuovi passaggi o ingrandimento degli esistenti.

Sarà dunque in questo modo possibile verificare lo stato delle strutture e redarre il conseguente piano di demolizioni. Individuate le aree limitrofe disponibili (in questo caso proprio adiacenti alla Villa perchè si tratta degli altri terreni dell’ex scalo di merci in disuso ad oggi non ancora destinato ad altri usi dall’amministrazione bonaerense) si individuano ed installano le nuove funzioni: spazi di lavoro, nuova mensa comunitaria, centro di salute e di ascolto, nuove residenze, nuovo parco pubblico urbano, rifacimento della Stazione e nuova piazza annessa con mercato rionale.

Solo dopo esser state realizzate le nuove residenze si procederà col trasferimento delle famiglie le cui case saranno state interessate dal piano di demolizioni. Una volta sistemate tali famiglie, sarà possibile procedere con le demolizioni, gli interventi di messa in sicurezza delle abitazioni da consolidare e l’apertura di nuove strade e passaggi con la contemporanea fornitura dei servizi fondamentali (elettricità, acqua potabile, gas, sistemi di scolo delle acque).

Sarà poi possibile procedere con l’eventuale progettazione di nuclei indipendenti adibiti a funzioni specifiche (cucina, bagno) da annettere alle abitazioni della Villa già consolidate che ne avranno bisogno.

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4.10 Residenze Si è pensato di sviluppare un sistema abitativo che non si allontani eccessivamente dalla scala dell’edificato preesistente.

Unità abitative di diversi tagli che possono comporre un agglomerato edilizio con piccole corti interne privatesemiprivate e terrazze verdi.

Anche in questo caso si è pensato alla possibilità di incrementare la densità abitativa a seconda delle necessità future degli abitanti. Si prevede dunque una prima fase di intervento in cui le case a patio si sviluppano su due livelli ed hanno la capacità di ospitare 550 persone ca (173 nuclei abitativi).

Con la realizzazione del terzo livello si mantiene la presenza di spazi verdi di pertinenza delle singole unità e si incrementa la densità abitativa senza un ulteriore consumo di suolo.

In questo modo l’intervento avrà la capacità di ospitare fino a 700 persone ca (230 nuclei abitativi). Dunque l’intervento soddisfa a pieno le iniziali esigenze di sgombero e demolizione di alcune abitazioni (stima approssimativa del piano di demolizione: 60 edifici, 400 persone ca).

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Si è ritenuto più opportuno ricorrere alla tipologia della casa a patio in quanto essa da luogo alla presenza di piccoli spazi verdi privati o semiprivati.

Gli abitanti possono appropriarsi in modo differente di tali spazi a seconda delle necessità, installando dei piccoli orti ad uso domestico o semplicemente arredando il giardino in modo da poter avere una estensione della casa.

Si è dunque tenuto conto delle tradizioni locali e delle abitudini della popolazione che fruirà di tali abitazioni.

Il clima di Buenos Aires permette infatti anche in inverno di passare delle giornate all’aria aperta ed è costume degli abitanti uscire fuori per una passeggiata, organizzare un asado in famiglia o tra amici o semplicemente sedere all’aria aperta per tomar un mate.

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4.11 Nuovi punti di interesse Si è deciso di trattare con maggiore attenzione un edificio pubblico che ospiterà le funzioni che renderanno possibile l’integrazione della comunità villera.

Tale edificio fa da cerniera, per la posizione in cui è situato, connettendo gli spazi del lavoro con i laboratori annessi al tessuto residenziale proprio della villa (consolidato e nuovo).

Si apre da una parte su calle Guevara e sul lato opposto sul parco lineare che collega le due piazze (quella della Stazione e del mercato e quella dell’edificio del lavoro).

Si è pensato di disegnare un edificio che fosse pubblico ma che al contempo permettesse un grado di intimità e protezione richieste da alcune delle funzioni ospitate al suo interno.

Per cui i piani al suolo ospitano le funzioni più pubbliche (l’assistenza sociale e la mensa al piano terra, l’auditorium al piano interrato con accesso indipendente dal parco) mentre man mano che si raggiungono i piani più alti si trovano anche le funzioni più delicate (il centro di ascolto per le madri single e le donne con problemi di violenza familiare ed i rispettivi ambulatori medici, ed il centro di ascolto per gli uomini con problemi di dipendenza da paco, una droga molto diffusa nelle villas).

Infine all’ultimo piano si trovano degli alloggi temporanei che ospiteranno per un periodo breve tutti i nuovi arrivati in attesa di assegnazione di un alloggio maggiormente consono alle loro necessità.

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Confini del Distretto 15

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5 | Interviste

5.0 Introduzione Le interviste che seguono sono scaturite dalla necessità di comprendere a fondo le tematiche trattate in questa sede.

Si è sentito il bisogno di ascoltare il punto di vista di persone che vivono quotidianemente nel loro ambito lavorativo o operativo tali realtà.

Nelle pagine che seguono vengono trascritte le 8 interviste effettuate a Buenos Aires alcune settimane prima del mio rientro. Le persone intervistate provengono da diversi settori facenti capo principalmente a quello dell’intervento pianificatore a scala urbana e dell’architettura ed a quello sociale.

La prima intervista riportata è quella fatta a Javier Fernandez Castro, architetto e docente della Fadu che da anni si occupa di tali tematiche e che ha già redatto vari progetti di rigenerazione urbana di villas di Buenos Aires. Da questa intervista si volevano ricavare soprattutto informazioni riguardo alle concrete modalità operative di intervento in tali contesti.

Seguono le interviste di alcuni componenti del Colectivo por la Igualdad, associazione attraverso cui si è avuto la possibilità di esser presente in più circostanze all’interno della villa.

Si tratta in questo caso di donne giovani, provenienti da ambiti formativi differenti che dedicano il loro tempo “libero” alla militanza ed al sostegno di attività per il sociale in contesti complicati come quelli delle villas. Ana María Vásquez Duplat, politologa e docente all’Universidad de La Plata ha seguito le lotte per il rispetto dei diritti umani all’interno di alcune villas di Buenos Aires; María Magdalena Pace è stata fondamentale per la conoscenza della storia di Villa Fraga avendo effettuato la sua tesi di laurea in Scienze Sociali sul processo di elezione dei rappresentanti della stessa; infine Andrea del Bosco ha portato la sua testimonianza sull’operato quotidiano dei volontari nelle villas.

Seguono altre quattro interviste a giovani architetti e studenti dell’ultimo anno di Architettura e Disegno Industriale della Fadu.

In questo caso si è voluto chiedere a quelli che saranno i professionisti di domani come vengono percepiti oggi tali fenomeni, se sono ancora presenti forti pregiudizi, come viene trattato il tema all’interno dell’Università pubblica di Buenos Aires e quali potrebbero essere le migliori forme di intervento di domani per trattare e cercare di risolvere tali difficili realtà.

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5.1 Intervista a Javier Fernandez Castro, Architetto e Docente alla Fadu, Facultad de Arquitectura, Diseño y Urbanismo

AS: In che momento della sua carriera ha capito che il suo ruolo professionale poteva apportare un cambiamento positivo nella vita degli abitanti di Villas e Barrios Precarios?

Cosa la spinge ad intervenire in questo tipo di contesti? Crede realmente che il progetto di rigenerazione urbana delle Villas sia fattibile e concretamente realizzabile?

JFC: Il primo incarico che ebbi in qualità di architetto era già Non ho mai pensato che bisogneresse su questa tematica. fare una distinzione tra un’architettura Mi ero appena laureato ed uno dei miei professori, l’Architetto più sociale ed una meno sociale, in fin dei Alfredo Garay, Ministro della Pianificazione della Città di conti penso che sia sempre architettura.

Buenos Aires.

Perché a volte sembra che quando gli Sto parlando dell’anno 90/91 più o meno. Il primo incarico che si affianca l’aggettivo qualificativo mi diede, perché ero suo alunno, era su alcuni conventillos di sembra che sia necessario fare un’altra San Telmo, nell’area si Monserrat più precisamente, c’erano cosa o qualcosa di qualità inferiore, di dei fondi della cooperazione spagnola destinati alla loro dimensioni inferiori, meno attenta, invece riabilitazione, per far si che le persone che vi vivevano in mi sembra che se si pensa ad un lavoro di forma precaria potessero ottenere degli alloggi definitivi. inclusione bisogna che gli stessi strumenti Oggi conosciuto con il nome di Manzana Franciscana perché debbano esser utilizzati in ogni opera. li aveva sede il Convento di San Francisco.

Quindi fin dall’inizio, e non per mia diretta decisione, mi trovai a lavorare con queste tematiche.

Dopo vennero altri incarichi. D’altronde non ho mai pensato che bisognasse fare una distinzione tra un’architettura più sociale ed una meno sociale, in fin dei conti penso che sia sempre architettura. Perché a volte sembra che quando gli si affianca l’aggettivo qualificativo sia necessario fare un’altra cosa o qualcosa di qualità inferiore, di dimensioni inferiori, meno attenta. Invece mi sembra che se si pensa ad 111

un lavoro di inclusione bisogna che gli stessi strumenti debbano esser utilizzati in ogni opera.

Penso che sia questa la reale inclusione e che non debba esserci una discriminazione di professionisti per gli uni o per gli altri.

Così insomma prese forma il mio lavoro.

Cominciò ad avere più spessore con il progetto della Villa 31.

Anche questa volta per caso, avevo partecipato ad un concorso internazionale di progettazione urbana, in America Latina e in Spagna nel 2000 ed uno dei componenti della giuria fu Jorge Mario Jáuregui, uno dei responsabili del Programma Mi Favela Barrio di Rio de Janeiro.

Tale progetto a poco a poco Abbiamo avuto la fortuna di vincere il concorso, che in questo caso non finì di essere un lavoro di era in un’area con problemi di deficit abitativo o condizioni precarie, ricerca e cominciò ad esser si trattava dell’urbanizzazione di un’area ferroviaria che era stata percepito dagli abitanti della dismessa qui a Buenos Aires e siamo rimasti in ottimi rapporti con 31 come uno strumento per Jáuregui. poter richiedere migliorie, In seguito lo invitammo a Buenos Aires per dare un ciclo di conferenze in dimostrare al potere politico cui espose un po’ la sua strategia di lavoro a Rio ed in questa occasione che l’organizzazione era si decise di presentare un lavoro a 4 mani come progetto di ricerca tra possibile e così furono chiare Brasile ed Argentina, per vedere se ciò che lui stava facendo in Brasile si le potenzialità che poteva poteva in qualche modo ripetere o adattare a Buenos Aires, prendendo avere un progetto. come caso di studio la Villa 31.

Si tratta di un disegno, Tale progetto a poco a poco smise di essere un lavoro di ricerca e però è un disegno che si cominciò ad esser percepito dagli abitanti della 31 come uno strumento trasforma in strumento per poter richiedere miglioramenti, dimostrare al potere politico che di richiesta, di reclamo, l’organizzazione era possibile e così furono chiare le potenzialità che di prendita di coscienza e poteva avere un progetto. responsabilizzazione, come Si tratta di un disegno, però è un disegno che si trasforma in strumento si dice più formalmente nella di richiesta, di reclamo, di presa di coscienza e responsabilizzazione, comunità. come si dice più formalmente nella comunità.

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AS: Lavorare in una Villa significa lavorare in un contesto in cui gli abitanti, in un primo momento, sono disillusi e diffidenti. Una delle cose più difficili è conquistare la loro fiducia, il loro rispetto e la collaborazione.

Nel suo lavoro progettuale ha riscontrato queste difficoltà? Come è riuscito ad abbattere queste barriere?

JFC: Credo che il fattore più importante sia che noi siamo approdati alla Villa dall’Università di Architettura.

Non siamo arrivati dalla politica o da altri settori per portare una promessa a cui loro erano fin troppo abituati, condizioni non soddisfatte diciamo, piani non sviluppati o programmi iniziati e lasciati poi a metà. Per cui arrivare dall’Università ci dava come un’accezione di neutralità e comunque di non star cercando un secondo fine se non quello di produrre uno studio su delle specifiche tematiche. Ovvio che anche l’Università ha le proprie contraddizioni, mancanze, al suo interno si scontrano questioni politiche però dall’esterno, dal punto di vista della comunità del quartiere, tuttavia si preserva come un ambiente incorrotto, senza seconde intenzioni.

In questo senso, ciò che iniziò come lavoro di ricerca, in un secondo momento si trasformò in strumento di richiesta, non ci fu diffidenza da parte degli abitanti per questo motivo, non eravamo un’associazione in più che entrava alla ricerca di qualche beneficio o che iniziava un lavoro che poi restava a metà, eravamo docenti e studenti che offrivamo delle conoscenze per lavorare su dei problemi.

AS: Se questi progetti potessero realmente trovare una via di concretizzazione, attraverso quali tappe si potrebbe raggiungere questo obiettivo?

JFC: Allora, proprio in questo momento stiamo lavorando sulla possibilità che inizi la prima fase. Si tratterebbe di iniziare con la realizzazione dei complessi residenziali nuovi che stanno in un terreno limitrofo alla Villa, in questo modo sarebbe possibile avere un cantiere indipendente che non abbia ricadute sul funzionamento normale della vita quotidiana della Villa.

Una volta che queste nuove residenze siano state realizzate si potrebbe procedere con lo spostamento di parte della popolazione necessaria a seconda dei lavori interni alla Villa quali apertura di nuove strade 113

o per altre situazioni, ad esempio ci sono persone che si sono installate sotto la tangenziale e che non possono rimanere in queste aree, dunque una volta trasferite queste persone, e non sarebbe una promessa perché le nuove residenze devono esser realizzate e completate prima, in un secondo momento e solo allora si interviene dentro la Villa, in forma concreta, con apertura di strade, dotazione di servizi, etc etc.

Si tratta dunque di mettere in atto questa prima fase consistente nella realizzazione di nuove residenze per poter liberare spazio all’interno della Villa che si converte in un secondo momento in area di progetto e lavoro con interventi più profondi.

AS: Sapendo che il concetto di Integrazione sociale sta alla base del suo lavoro progettuale in questi Si tratta dunque di mettere in atto questa prima fase consistente nella realizzazione di nuove residenze per poter liberare spazio all’interno della Villa che si converte in un secondo momento in area di progetto e lavoro con interventi più profondi.

Per esempio bisogna rompere un modello molto radicato che noi chiamiamo “viviendismo” che consiste nel farsi carico del solo problema della casa, bisogna infatti inserire altri fattori si sostenibilità produttiva.

contesti, quali sarebbero gli elementi chiave, i pilastri fondamentali, su cui lavorare per ottenere la migliore integrazione sociale possibile?

JFC: Noi lavoriamo su una delle dimensioni dell’integrazione che è lo spazio, lo spazio urbano.

Ovviamente l’integrazione reale, sociale, economica, politica, implica altre componenti di cui lo spazio è una componente, che aiuta ma che da sola non è sufficiente.

Dunque, stiamo cercando di inserire all’interno del progetto programmi o tematiche che in qualche modo diano nuovi segnali a questi altri tipi di integrazione al fine di raggiungere la massima integrazione possibile.

Per esempio bisogna rompere un modello molto radicato che noi chiamiamo “viviendismo” che consiste nel farsi carico del solo problema della casa, bisogna infatti inserire altri fattori di sostenibilità produttiva, imprese, che fanno si che si abbiano delle fonti di lavoro forti e stabili che in un secondo momento avranno anche la funzione di mantenere ciò che si è costruito. Bisogna tornare a pensare queste problematiche come temi urbanistici in tutte le loro dimensioni in cui non soltanto la casa ma anche il settore produttivo, i servizi pubblici in cui è inclusa la componente di salute, educativa, eccetera, siano sempre presenti, come 114

qualsiasi altro quartiere della città in cui tutti questi fattori si trovano amalgamati nel tessuto urbano.

Però spesso accade che si vede il problema solo dal punto di vista del deficit abitativo, sembra che sia sufficiente dare una risposta a tale problema e capita che lo Stato lo fa e si ritira lasciando questi luoghi come in balia della fortuna e di conseguenza tutto fallisce.

Bisogna lavorare con un programma più complesso, in cui continui ad esserci la residenza però sia una parte e non la totalità del programma.

AS: Nel progetto della Villa 31 è presente una serie di interventi che prevedono l’inserimento di nuclei di servizi quali bagno e cucina. Questo lavoro si può effettuare solo dopo aver effettuato un importante rilevamento di tutta la Villa, un rilevamento delle case che mostri dove questi nuclei sono necessari perché assenti? Si tratta di interventi a misura di ciascuna casa?

JFC: Esattamente, questa è una delle grandi complessità di questo lavoro.

Prima quando si radeva al suolo e si costruivano nuove residenze, questo problema ovviamente non esisteva, non si faceva un’architettura su misura perché si costruiva in serie.

In questo caso bisogna lavorare con un certo grado di standardizzazione e riproducibilità che però al contempo ammetta inserti o forme diverse di addossarsi alle diverse tipologie esistenti. Per questo motivo bisogna effettuare in un primo momento un rilevamento molto preciso di queste architetture e quasi uno studio di ciascun caso per vedere quale intervento è più adatto a ciascuna situazione. In parte può essere l’inserimento del nucleo di bagno e cucina ma può anche significare eliminare e demolire una stanza per far in modo che si abbiano illuminazione e ventilazione dove queste mancano, oppure porre dei puntelli ad una struttura quando questa non è tanto solida quanto dovrebbe essere.

In questo senso bisogna effettuare un lavoro di rilevamento molto approfondito e definire livelli di intervento, un po’ come si fa con i beni storici e patrimoniali, ovviamente consapevoli del fatto che non si tratta di architettura patrimoniale, però pensare a piccoli interventi che sarebbero ad esempio questo inserimento del nucleo e magari è già sufficiente perché la casa ha già un certo grado di dignità, fino ad altri interventi più profondi che possono implicare anche interventi strutturali.

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5.2 Intervista a Maria Magdalena Pace, laureata si Scienze Sociali, militante del Colectivo por la Igualdad AS: In che momento della tua carriera hai capito che potevi apportare un cambiamento positivo nella vita degli abitanti delle Villas?

In cosa consiste l’attività del Colectivo por la Igualdad?

MMP: Nel momento in cui presi parte ad un collettivo, un gruppo politico che vuole trasformare la realtà grazie alla costruzione di un’altra cultura politica, capì che potevo arrivare a contribuire per migliorare le cose. Quando iniziammo a militare nei quartieri popolari, la relazione con gli abitanti, rappresentanti e militanti di organizzazioni sociali portò un apprendimento continuo, ciò trasformò la nostra vita e la vita degli abitanti, ritrovandoci nella lotta per l’urbanizzazione dei quertieri. La nostra militanza porta la bandiera dell’urbanizzazione e della radicazione definitiva dei quartieri popolari della città, auspicando che l’urbanizzazzione della CABA si realizzi da una prospettiva del Diritto alla Città, una città più ugualitaria e meno aziendale.

La nostra attività si può spiegare in tre tappe: giudiziaria, esigendo l’adempimento della normativa vigente, legislativa per mezzo dei progetti di legge e territoriale che implica la lotta e la mobilizzazione nel territorio per metter pressione La nostra militanza porta la bandiera dell’urbanizzazione alle istituzioni. e della radicazione definitiva AS: Come è iniziata la militanza del Colectivo por la Igualdad dei quartieri popolari della all’interno degli insediamenti informali della città? Lavorare in una città, auspicando che Villa significa lavorare in un contesto in cui gli abitanti, in un primo l’urbanizzazzione della CABA momento, sono disillusi e diffidenti. Una delle cose più difficili è (Ciudad Autonoma de Buenos Aires ) si realizzi da una conquistare la loro fiducia, il loro rispetto e la collaborazione.

MMP: Abbiamo iniziato a militare con il Colectivo por la Igualdad prospettiva del Diritto alla nell’anno 2008 nel quartiere Cildañez (Villa 6), siamo stati presenti solo Città, una città più ugualitaria 116

alcuni mesi e dopo per mezzo della Comisión de vivienda che aveva Questa confidenza, come in al suo interno uno dei nostri compagni Facundo Di Filippo, abbiamo tutti i settori sociali, bisogna conosciuto il Playón de Chacarita, era il 2009, e da allora abbiamo costruirla col tempo. iniziare a militare nel territorio, sostenendo le iniziative di alcuni Ci siamo scontrati con degli abitanti come ad esempio la consulenza legale per la tutela situazioni violente e giuridica contro il Gobierno de la Ciudad per esigere i servizi pubblici conflittuali, pero non ci siamo ed il miglioramento delle condizioni del quartiere, abbiamo anche arresi, continuiamo a sostenere fornito la consulenza per la proposta del Progetto di Legge per la la lotta degli abitanti per Urbanizzazione e radicazione definitiva del quartiere alla Legislatura migliorare le loro condizioni. della Città.

La nostra militanza spinse le elezioni dei rappresentanti nell’anno 2011 ed ancora nel 2014.

Questa confidenza, come in tutti i settori sociali, bisogna costruirla col tempo.

Ci siamo scontrati con situazioni violente e conflittuali, pero non ci siamo arresi, continuiamo a sostenere la lotta degli abitanti per migliorare le loro condizioni.

AS: In questi anni quanto si è riuscito ad ottenere? Quali pensi possano essere i prossimi passi?

MMP: Si è ottenuto il miglioramento di alcune opere pubbliche e le linee elettriche, si è migliorata la partecipazione degli abitanti, si è collaborato per la denuncia delle problematiche abitative del quartiere.

Il prossimo passo è l’urbanizzazione per tappe, con la partecipazione degli abitanti e che il Governo renda disponibili i fondi corrispondenti.

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5.3 Intervista a Ana María Vásquez Duplat, Politologa e Docente di Diritti Umani all’Universidad de La Plata, militante del Colectivo por la Igualdad AS: Come è iniziata la tua militanza con il Colectivo por la Igualdad? Perchè militare all’interno di una Villa?

Credo che le organizzazioni AVP: L’intervento legale, che ebbe un lasso di tempo determinato di sociali siano chiamate ad sei mesi, permise alle persone ed in generale a tutto il quartiere di aiutare e sostenere queste capire che è necessario ricorrere alla politica per portare a termine realtà nelle loro azioni di azioni collettive. Credo che in questo senso gli interventi siano molto lotta perché gli abitanti non positivi, non solo perché si eleggono i rappresentanti, ma perché la conoscono gli strumenti per gente inizi a capire le logiche, ciò che significa la costruzione collettiva, combattere per i propri diritti. l’organizzazione, l’elezione di rappresentanti per ottenere azioni che C’è una convinzione da parte hanno il fine di far urbanizzare la Villa. del’immigrante che crede che Quando si portò a termine questa prima fase iniziai ad avere un per il fatto di esser in questa vincolo più forte con il Colectivo por la Igualdad, cominciando a città non abbia diritti militare non in Chacarita ma in un altro insediamento che si chiama La Carbonilla, che fa parte dello stesso Distretto però si trova nel quartiere La Paternal.

Credo che le organizzazioni sociali siano chiamate ad aiutare e sostenere queste realtà nelle loro azioni di lotta perché gli abitanti non conoscono gli strumenti per combattere per i propri diritti. C’è una convinzione da parte dell’immigrante che crede che per il fatto di esser in questa città non abbia diritti e quindi proprio li ci può esser l’intervento di chi può generare processi che facciano si che la gente prenda coscienza che si hanno dei diritti, non solo per il solo fatto di essere esseri umani ma anche perché ci sono numerose Leggi della città di Buenos Aires che permettono la rivendicazione dei diritti umani, tra cui anche il Diritto alla Casa.

Quando arrivammo alla Carbonilla, arrivammo proponendo alla gente di iniziare un intervento legale per ottenere servizi pubblici e infrastrutture basiche. Così iniziammo la nostra militanza, c’era anche un 118

gruppo di rappresentanti autoeletti ed insieme iniziammo a lavorare per far si che lo Stato rispondesse alle necessità, stava nascendo tutto in modo autonomo.

Ovviamente l’autocostruzione è un processo molto ricco, ricco nelle esperienze acquisite, siano esse individuali e collettive. Però arriva un momento in cui è necessario che lo Stato intervenga per fornire tuttociò che non dipende più da chi ha attuato i processi di autocostruzione. Ecco, questo era quello mancava un po’ alla Carbo, ed in tutte le Villas e gli insediamenti quello che manca è sempre questo: conoscere gli strumenti che servono per chiedere ed esigere allo Stato che ottemperi ai propri compiti, proteggere il diritto alla casa, il diritto ad una casa dignitosa e alla città.

Credo che in questo modo possiamo aiutare. Essere come un mezzo che faccia si che gli abitanti delle Villas inizino a comprendere che ci sono strumenti che permettono di ottenere il rispetto dei diritti umani.

AS: In cosa consistettero le prime azioni?

Lavorare in una Villa significa lavorare in un contesto in cui gli abitanti, in un primo momento, sono disillusi e diffidenti. Una delle cose più difficili è conquistare la loro fiducia, il loro rispetto e la collaborazione. Ti sei scontrata con queste difficoltà?

AVP: Le prime azioni consistettero nel cercare i rappresentanti per iniziare azioni quali l’intervento legale, la presentazione del progetto di urbanizzazione che si presentò alla legislatura di Buenos Aires e poi l’azione diaria, far si che le persone iniziassero a prendere come abitudine quella di incontrarsi nella sala delle assemblee per prendere delle decisioni, per informarsi, per pianificare altre azioni collettive.

E credo che ci sia più speranza che sfiducia, per questo motivo è così facile entrare in una Villa, ciò che è difficile è sostenere la militanza. Perché quando entri la gente è sempre speranzosa perché il prossimo ad entrare potrebbe esser colui che veramente aiuta a trovare una risposta ai problemi. Col passar del tempo ci si scontra con queste barriere di sfiducia perché c’è un precedente storico di deficit abitativo che non è stato risolto se pur abbia avuto la promessa di molte persone, partiti politici, altre organizzazioni che fanno uso delle necessità della gente.

Entrare in una Villa è sempre facile. Quando arrivi con una proposta in genere qualcuno si avvicina e ti dice: ”va bene, facciamolo”.

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le Villas sono un posto propizio E poi far si che la fiducia continui nel tempo significa porsi allo stesso per il clientelismo, per l’azione livello, mai mettersi come ad un livello in cui si dice “ok noi siamo qui politica dei partiti, dunque per dar ordini e voi fate ciò che vi diciamo”, significa sostenerli nei questi sono ostacoli perché momenti di difficoltà ma anche nei momenti buoni, costruire vincoli ti scontri con l’ostilità di altri più personali, in modo che non sia un rapporto in cui entriamo e ce partiti o organizzazioni ne andiamo ma in cui siamo presenti quotidianamente. Però ci sono che vogliono mantenere il sempre difficoltà, soprattutto perché le Villas sono un posto propizio monopolio della militanza per il clientelismo, per l’azione politica dei partiti, questi sono ostacoli all’interno di una Villa. perché ti scontri con l’ostilità di altri partiti o organizzazioni che vogliono mantenere il monopolio della militanza all’interno di una Villa. E li iniziano davvero le difficoltà perché inizia tutto il processo di screditamento da parte del residente che sta militando con un’altra organizzazione, della stessa organizzazione che comincia a generare tutta una condizione di bugie all’esterno della Villa, di screditamento dell’azione dell’altro, è impossibile che le organizzazioni trovino un accordo all’interno della Villa. Ecco a volte si può altre no, però è difficile costruire alleanze interne per poter lavorare insieme. Ciò rende difficile l’unità della Villa. Però io credo anche che le Villas sono realtà che dovrebbero prescindere anche dalla questione politica, da una città o da un Paese.

La contesa politica esisterà sempre e le Villas non stanno al centro di questa.

Poi succede che i partiti vanno e vengono e sono le organizzazioni non partitarie a restare continuando la lotta quotidiana con gli abitanti. Noi, consapevoli di ciò, da qualche tempo, facciamo parte del movimento “Villas al frente” che ha riunito varie organizzazioni sociali che hanno militato in quasi tutte le Villas e gli asentamientos della città.

Ci sono anche il “frente de organizaciones y luchas”, il “frente popular”, il “movimento popular seamos libres”, “los invisibles” e il “colectivo por la igualdad”.

Ci siamo riuniti nel Movimento per avere più forza perché ci rendiamo conto che da soli è più difficile ottenere conquiste più importanti. Ovviamente raggiungiamo piccoli obiettivi nel cammino, di migliorie delle condizioni di vita però le conquiste più importanti e l’urbanizzazione possiamo ottenerle solo se ci uniamo e lottiamo insieme.

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AS: In cosa consisteva il primo intervento legale portato a termine nel Playón? Quali pensi possano essere i prossimi passi da compiere?

AVP: Prima di cominciare con la militanza, presi parte all’intervento legale che ottenne le prime elezioni di rappresentanti nelle Villas. Il Playón ebbe il primo intervento legale nel 2011 per ottenere le prime elezioni che erano necessarie per eleggere i rappresentanti che avrebbero dopo rappresentato la Villa nel possibile tavolo di Urbanizzazione, così come è contemplato dalla Legge 148.

La Legge 148 che è la Legge de Villas y Asentamientos en la Ciudad dice che i quartieri precari devono avere rappresentanti eletti e così si avviò un intervento legale per far si che lo stesso Stato ordinasse le elezioni in tutte le Villas per far in modo che avessero rappresentanti eletti legalmente. Le elezioni si tennero il 27 novembre del 2011 e si elesse il primo corpo di rappresentanti, formato da 27 rappresentanti. Fu un processo fortemente partecipativo, le persone parteciparono alle assemblee ed il processo durò sei mesi.

Si redassero documenti per definire lo Statuto della Villa, il regolamento delle elezioni, si organizzarono conferenze per i candidati a rappresentati per spiegare i diritti umani. Fu un processo molto ricco perché ci fu molta partecipazione, fu il primo momento in cui tutta la Villa riuscì a organizzarsi anche se il Playón de Chacarita in quel momento aveva già dei rappresentanti auto eletti che lavoravano per la comunità.

Ciò che mancava era un punto di vista politico che venisse dall’esterno.

Il mandato è adesso scaduto per cui si sono nuovamente fatte le elezioni questo anno.

Credo che un ultimo passo debba esser necessariamente la formazione politica. Credo che i prossimi passi, debbano essere processi di formazione, di costruzione di coscienza di classe, è necessario che le persone che vivono in questi luoghi siano consapevoli del perché stanno in questi luoghi, quale significato hanno il centro e la periferia nella politica, perché per far si che questo sistema continui a sussistere è necessario che queste persone continuino a vivere in queste condizioni. Credo che c’è una naturalizzazione della condizione della povertà. La gente delle Villas, la maggior parte degli abitanti, non è consapevole che la propria esistenza è necessaria a mantenere questo sistema basato sulla disuguaglianza.

Credo che questo è il nostro compito, è il compito che dobbiamo portare avanti non solo noi come collettivo ma tutti i gruppi sociali e politici che militano dentro i quartieri precari. Dobbiamo generare coscienza di classe che permetta di portare avanti lotte più durature e unitarie che abbiano più effetti.

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5.4 Intervista a Andrea Dal Bosco, militante del Colectivo por la Igualdad AS: In che momento hai capito che potevi apportare un cambiamento positivo nella vita degli abitanti delle Villas? Cosa ti spinge ad intervenire in questo tipo di contesti?

ADB: Credo che ho sempre avuto una sensibilità verso l’ambito sociale, penso che un abitato informale sia qualcosa in cui i problemi della società sono riflessi.

Credo che manchi un impegno più grande da parte degli abitanti, non tutti si interessano allo stesso modo, non tutte le persone sono consapevoli che le cose si possono cambiare.

Credo in un Progetto di Urbanizzazione, che possa davvero portare un cambiamento, il problema è che è necessario generare una pressione sulle persone.

Però si credo sia possibile, che si possa urbanizzare un quartiere precario visto che si spende in altre cose tutte di secondaria importanza.

La parte legale dice che c’è una realtà specifica che bisogna affrontare e che il Governo della Città deve realizzare delle opere, deve fornire i servizi, queste persone non possono vivere senz’acqua.

I camion che portano l’acqua sono solo una misura provvisoria. Non si può dipendere tutti i giorni della propria vita da un camion di acqua che viene a tal ora. Acqua che tra l’altro viene consegnata in condizioni poco consone.

AS: Quali sono stati i tuoi primi contatti con questi contesti?

ADB: Iniziai grazie ad un’amica che militava già in quello che allora si chiamava “Jovenes por la Igualdad” che era l’inizio del “Colectivo por la Igualdad”. Lei stava militando e faceva attività ricreative per i bambini in Chacarita e anch’io iniziai con queste attività.

Dopo mi impegnai di più politicamente, mi sembrava che le attività ricreative erano qualcosa di molto bello, mi piacque molto come esperienza, però a volte sembra che non basti. Ci sono tante cose da risolvere.

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AS: Facendo tali attività ricreative si parla già a bambini e ragazzi di cosa sarebbe e si potrebbe fare per migliorare le condizioni in cui versano? Si cerca anche di dargli degli strumenti critici di pensiero?

ADB: Nessuna di noi aveva lavorato prima in quest’ambito. Ci sono situazioni che ti superano, è abbastanza difficile.

Abbiamo sempre cercato di farlo in un modo o nell’altro, però abbiamo provato più che altro a generare diversi principi, come ad esempio quelli di solidarietà con il prossimo, del condividere, cose più basiche, non tanto politiche. È dificile, devi avere molta esperienza e confidenza con i ragazzi per sapere come fare questo tipo di cose, non è così facile. Però comunque in ogni caso queste sono attività più semplici, vedevamo come crescevano.

AS: Lavorare in una Villa significa lavorare in un contesto in cui gli abitanti sono disillusi e diffidenti.

Una delle cose più difficili è conquistare la loro fiducia, il loro rispetto e la collaborazione. Ti sei scontrata con queste difficoltà?

ADB: Sulla tematica della fiducia, a noi successe che entrammo in un insediamento informale perché una delle abitanti si era avvicinata, quando qualcuno si avvicina per chiederti aiuto è differente.

Ovviamente succede che a volte ci sono degli abitanti che non si fidano però penso che le persone si rendano subito conto di quando si hanno buone intenzioni o quando hai dei secondi fini. Infatti le organizzazioni che entrarono per altre ragioni finiscono con l’esser cacciate. Per esempio La Campora che aveva altri interessi non riuscì mai a installarsi nella Villa e fu anche perché gli abitanti non lo consentirono perché non erano d’accordo con il loro modo di operare.

AS: Da quanto militi in Fraga? In questi anni quanto si è riuscito ad ottenere? Quali pensi possano essere i prossimi passi?

ADB: Più o meno nel Playón sono cinque anni e sono due o tre di militanza a fianco dei rappresentanti di 123

manzana. Io iniziai con le attività ricreative e smisi con queste quando iniziò a funzionare tutto ciò che girava intorno alla Tutela Giudiziaria, quando iniziarono ad arrivare i primi servizi.

Ciò mi spinse ad unirmi alla militanza perché significava assistere a come potevano funzionare le cose e vedere l’arrivo di cisterne che portavano acqua fu un passo in avanti. E’ venuta gente a eliminare gli ingorghi delle fognature, si è lavorato sulla luce… ecco la luce potrebbe esser qualcosa da migliorare a breve termine, perché è rimasta irrisolta la necessità di mettere un trasformatore nel quartiere, che possa fornire tutte le famiglie.

Oggi c’è un servizio di elettricità per la comunità però ci sono persone che ancora non vi accedono e si attaccano direttamente agli impianti in strada.

Il problema è che il servizio odierno non fornisce tutta la villa, più che altro perché ad esempio in inverno perché non c’è il gas tutte le stufe e gli elettrodomestici sono elettrici, e lo stesso vale in estate, quindi finisce col saltar tutto. Ci sono giorni in cui non c’è elettricità per cui è necessario un trasformatore, si sa che è così. È una necessità che è rimasta irrisolta. Il problema era dove metterlo ed ogni volta che si trovava un posto, iniziava il dibattito tra gli abitanti, tra le persone che dovevano installarlo anche perché sono costi importanti. E credo che il Progetto di Urbanizzazione sarebbe il prossimo passo da compiere. Una volta uscito questo, una volta che diventi legge il Piano di Urbanizzazione della Villa si giungerebbe ad un altro livello e da li si potrebbe continuare con la lotta. Però si il prossimo passo deve esser fatto per via legislativa. I progetti di Legge di Urbanizzazione sono specifici per ciascuna Villa, dalle Leggi fino al concretizzarsi delle cose è un’altra battaglia, ancora più lunga.

La Villa lo ottiene in anni. Per esempio la Villa 31 ha il suo Progetto di Legge ed in teoria una volta che è presente bisogna poi presentarlo ad un tavolo di urbanizzazione a cui partecipano abitanti e rappresentanti, che sono li per questo, per dialogare con il Governo, però questi tavoli sono abbastanza bloccati, perché anche in questo si mettono ostacoli e diventa difficile andare avanti.

In generale in questo Paese non si sente parlare molto di ciò che succede nelle Villas. Tuttociò che si sa delle Villas è che al suo interno c’è delinquenza. Non si parla dei problemi che hanno gli abitanti, per cui ecco, anche l’opinione pubblica gioca un ruolo importante.

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5.5 Intervista a Belén Ferrand, Architetto

AS: Buenos Aires è una città di quasi 3 milioni di abitanti e come tutte le grandi città deve confrontarsi con problemi molto importanti. Uno di questi è il deficit abitativo.

I problemi per ottenere una casa riguardano sempre più i settori più poveri.

Persone senza risorse finiscono con l’occupare dei terreni in forma abusiva e vivono in situazioni difficili come quelle di insediamenti precari e Villas.

Cosa pensi di queste realtà e dell’attuale forma di confrontarsi con esse?

BF: Proprio perché Buenos Aires è una città grande ha questo problema. Credo che parte trovi spiegazione nel fatto che molta gente venga a Buenos Aires in cerca di lavoro perché è una città importante, vengono dall’interno del Paese e dai Paesi vicini, arrivano a Buenos Aires in cerca di questa opportunità e una volta arrivati si scontrano con una realtà che non è quella che si aspettavano e finiscono col vivere nelle Villas.

Mi sembra che in quanto Società gli voltiamo un po’ le spalle e che in Arrivano a Buenos Aires in realtà poche persone si compromettano veramente o sappiano cosa cerca di opportunità di lavoro e significa vivere in questi posti. una volta arrivati si scontrano La maggior parte delle persone finisce col dire ciò che pensa senza con un’altra realtà che non è conoscere o sapere realmente di che si tratta. La maggior parte delle quella che si aspettavano e persone si lamenta dell’esistenza delle Villas, però non si fa nulla e finiscono col vivere nelle Villas. nessuno prova a capire realmente ciò che accade ed anche da parte dello Stato non mi sembra che vi siano pianificazioni future a riguardo, mi sembra che tutte le decisioni siano più il risultato di rimedi temporanei, come metter dei cerotti, e non si prende una decisione politica e nazionale che risolva definitivamente il problema.

Ciò che accade è che il problema continua ad esistere, le Villas continuano a crescere, crescono in altezza ed in condizioni che già non solo non sono umane ma sono anche pericolose per la gente che vi vive.

AS: Con il passare dei decenni i diversi Governi hanno adottato misure differenti per affrontare il 125

problema. La città de Buenos Aires ha assistito a momenti di pesanti sgomberi e allo stesso tempo a tentativi di radicamento delle stesse.

Ad oggi quale pensi sia la migliore forma di affrontare il problema? Pensi che il Governo della città di Buenos Aires lo stia affrontando nella forma adeguata?

BF: Mi sembra che non si faccia molto, sradicare le Villas per me non è la soluzione ad oggi perché, in primo luogo la gente vive in questi posti da molti anni ed ha un sentimento di appartenenza al luogo in cui vive per cui non mi sembra che questa sia la soluzione. Neanche però non far nulla perché le Villas smettano di crescere, le persone continuano ad arrivare e continuano a fermarsi a vivere nelle Villas, dunque queste diventano sempre più grandi. Penso che l’unica alternativa sia quella di cercare di integrare le Villas alla città, dar loro una realtà più formale e che la gente che vive nelle Villas debba anche uscire da questa condizione di villeros, di abitante delle Villas. Perché spesso ciò non gli permette di trovar lavoro o perché per esempio non hanno neanche un domicilio reale, dunque queste cose ti portano pure ad esser sempre più in una condizione marginale, ecco, mi sembra che bisognerebbe lavorare su questo.

Sono d’accordo che si lasci entrare chiunque al Paese, però questo implica anche che se si lascia entrare tutti, bisogna esser consapevoli che queste persone abbiano poi bisogno di Nessuno sa esattamente un lavoro, di un luogo in cui vivere. Non si può permettere che arrivino quante persone vivono in migliaia di persone e che finiscano col vivere nelle Villas, bisogna anche questi posti, non c’è una regolamentare un po’ la situazione. Nessuno sa esattamente quante informazione e neanche lo persone vivono in questi posti, non c’è una informazione e neanche lo Stato si preoccupa che ci sia o Stato si preoccupa che ci sia o che venga prodotta. Anche i Programmi che venga prodotta. per la casa sono assenti per queste categorie, dunque non gli rimangono molte opzioni.

AS: Pensi che la Facoltà di Architettura insieme ai professionisti si stanno prendendo la responsabilità di offrire un cambiamento a queste realtà? Come pensi che si possano responsabilizzare i futuri architetti?

BF: Credo di si però in parte. Per esempio io ho fatto tutta la mia carriera alla Facoltà (di Buenos Aires) ed in poche materie si affronta la tematica dell’edilizia sociale o dipende molto dal docente o dalla cattedra. Mi 126

sembra che non ci sia una chiara politica secondo cui i professionisti che si formano alla Facoltà debbano avere trattato queste tematiche. Dipende molto dallo studente, dal suo interesse, che materia segue, se il docente è interessato a queste tematiche o no. Si può fare tutta la Facoltà senza neanche rendersi conto dell’esistenza delle Villas, tranquillamente. Non c’è una politica per cui lo studente di architettura debba avere anche questa formazione. Mi sembra che le poche materie che trattino di tematiche quali l’urbanistica e che affrontano questi temi finiscano col cambiare un po’ il modo di pensare e magari dopo ci si incontra con persone che non hanno studiato e finiscono dicendo che “si, bisogna eliminare le Villas, bisogna mandarli a vivere in un altro luogo, questi terreni devono esser usati per far altre cose”, perché non conoscono e parlano in questo modo e mi sembra un bene che noi architetti che un poco siamo relazionati con queste tematiche possiamo anche tornare ad educare la gente.

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5.6 Intervista a Josefina Perez Silva, Architetto AS: Buenos Aires è una città di quasi 3 milioni di abitanti e come tutte le grandi città deve confrontarsi con problemi molto importanti. Uno di questi è il deficit abitativo.

I problemi per ottenere una casa riguardano sempre più i settori più poveri.

Persone senza risorse finiscono con l’occupare dei terreni in forma abusiva e vivono in situazioni difficili come quelle di insediamenti precari e Villas.

Cosa pensi di queste realtà e dell’attuale forma di confrontarsi con esse?

JPS: Credo che sia conseguenza di una storia molto lunga, conseguenza del modo in cui viviamo da anni e tutto si sta complicando adesso.

Il modo di affrontare il problema delle Villas di oggi risponde ad una situazione di emergenza perché si è già arrivati ad un limite per cui non si hanno più solamente problemi di alloggi ma anche di salute, dunque si cerca di rispondere a queste urgenze più che a quelle di un alloggio.

Gli insediamenti informali sono come degli incidenti, molte volte si trovano in terreni non adatti perché inondabili o perché sono vicini ad una discarica o altri fattori che ricadono direttamente sulla salute e sulla qualità della vita delle persone.

AS: Con il passare dei decenni i diversi Governi hanno adottato misure differenti per affrontare il problema. La città de Buenos Aires ha assistito a momenti di pesanti sgomberi e allo stesso tempo a tentativi di radicamento delle stesse.

Ad oggi quale pensi sia la migliore forma di affrontare il problema? Pensi che il Governo della città di Buenos Aires lo stia affrontando nella forma adeguata?

JPS: La prima soluzione al problema della casa mi sembra che possa esser nella riduzione dei costi di un alloggio definitivo e legale. Gli insediamenti informali sono come degli incidenti, molte volte si trovano in terreni non adatti perché inondabili o perché sono vicini ad una discarica o altri fattori che ricadono direttamente sulla salute e sulla qualità della vita delle persone. Dunque mi sembra che secondo una 128

forma ideale di come dovrebbero funzionare le cose dovremmo tutti poter accedere ad un alloggio legale e che non sia precario.

Questa situazione si potrebbe commentare con leggi e normative, abbassare gli affitti e misure simili, che non si stanno attuando, si sta solo affrontando l’urgente, ciò di cui parlavamo prima, per cui se non hanno acqua gli si fornisce acqua, che ovviamente è positivo perché altrimenti morirebbero direttamente, però mi sembra che si dovrebbe andare un po’ più a fondo nel problema e sempre quando mi metto a riflettere su queste situazioni finisco con l’accorgermi che l’unica soluzione reale è l’istruzione.

Ovviamente si possono fare molte cose, opere di carità, però se non gli si danno strumenti che possano esser utilizzati a lungo termine si ritorna sempre allo stesso punto. Sarebbe auspicabile educare le persone in modo che essi stessi possano rispondere alle loro esigenze.

Per me lo strumento deve esser l’istruzione.

AS: Pensi che la Facoltà di Architettura insieme ai professionisti si stanno prendendo la responsabilità di offrire un cambiamento a queste realtà? Come pensi che si possano responsabilizzare i futuri architetti?

JPS: Penso che il modo di responsabilizzare i futuri architetti sia quello di farli esser consapevoli dell’esistenza di questi luoghi. Penso che sia positivo andare, vedere i posti, è positivo anche l’incontro con la gente, ascoltare ciò che deve sopportare una persona che vive in questi posti, in modo diretto e senza che te lo vengano a raccontare e soprattutto capire molto bene la storia, come sono nati questi insediamenti e come si è arrivati a queste condizioni. Perché a partire dalle conoscenze acquisite si può cercare una soluzione.

I temi principali che si affrontano nella Facoltà non sono quelli riguardanti insediamenti precari e forse proprio perché siamo un’Università pubblica dovremmo tenere più in considerazione queste tematiche.

Perché se dovessimo agire, in un ambito privato o pubblico, dovremmo conoscere queste realtà e agire di conseguenza. Per questo dicevo che bisogna dare molta importanza alla storia e al modo in cui si sono generati, per non tornare a commettere gli stessi errori e poter pensare a soluzioni definitive.

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5.7 Intervista a Andrés Conde Blanco, studente all’ultimo anno di Architettura della FADU, Facultad de Arquitectura, Diseño y Urbanismo AS: Buenos Aires è una città di quasi 3 milioni di abitanti e come tutte le grandi città deve confrontarsi con problemi molto importanti.

Uno di questi è il deficit abitativo.

I problemi per ottenere una casa riguardano sempre più i settori più poveri.

Persone senza risorse finiscono con l’occupare dei terreni in forma abusiva e vivono in situazioni difficili come quelle di insediamenti precari e Villas.

Cosa pensi di queste realtà e dell’attuale forma di confrontarsi con esse?

Solo entrandoci dentro, parlando con la gente, comprendendo cosa fanno queste persone in questa parte di città, comprendendo che queste persone vivono li e lavorano in altri quartieri della città, continuare a parlare di ruspe significa parlare di eliminare qualsiasi altro quartiere della città

ACB: Mi sembra che sia una realtà molto complessa e che la maggior parte delle persone arrivino a delle conclusioni superficiali, sono pochi quelli che riescono a capire concretamente la situazione così come è davvero. E mi sembra che le persone che non sono mai entrate in una Villa non possano che avere una visione superficiali. Penso che la visita di questi luoghi serva per comprendere i diversi livelli di complessità. Per esempio qui per molti anni si parlò della Villa 31 che è una delle più grandi della città, dicendo che bisognava sgomberarla, bisognava eliminarla dalla città, bisognava passarci sopra con le ruspe, ancora oggi si continuano ad ascoltare queste cose e solo entrandoci dentro, parlando con la gente, comprendendo cosa fanno queste persone in questa parte di città, comprendendo che queste persone vivono li e lavorano in altri quartieri della città, continuare a parlare di ruspe significa parlare di eliminare qualsiasi altro quartiere della città. Mi sembra che si debba capire il peso che ha, che una Villa miseria non è un insieme di casette in lamiera che si possono sollevare, sbrandellare, “mandare le persone in un altro luogo e non mi importa e costruisco un’altra cosa”. Stiamo parlando di case costruite dalle 130

stesse persone che poi lavorano nella costruzione della città formale, che sono muratori e operai.

Mi sembra che il punto stia nell’impossibilità di demolirle, bisognerebbe vedere piuttosto come integrarle. Così come non si può accedere come cittadini, non arrivano neanche i servizi, non arriva acqua, non arriva elettricità legalmente, in forma regolamentata e ordinata e sicura.

Essendo consapevoli che non devono nascerne di nuovi, bisogna capire come affrontare il problema da oggi in poi quando si presenta il caso della nascita di nuovi insediamenti precari. Però il problema non consiste semplicemente nel tornare indietro e quindi “perché non li voglio oggi semplicemente li demolisco”. Ci serve da esperienza, però adesso il lavoro è diverso, consiste nel capire come devono integrarsi alla città formale.

Penso che questo muro abbia il doppio significato del “non voglio vedere questa realtà e gli costruisco un muro per evitare che passino” però allo stesso tempo lo si sta riconoscendo come parte della città perché si sta riconoscendo che questo posto esiste e che resterà nel tempo, che questo insediamento si consoliderà in questo luogo.

AS: Con il passare dei decenni i diversi Governi hanno adottato misure differenti per affrontare il problema. La città de Buenos Aires ha assistito a momenti di pesanti sgomberi e allo stesso tempo a tentativi di radicamento delle stesse.

Ad oggi quale pensi sia il miglior modo di affrontare il problema? Pensi che il Governo della città di Buenos Aires lo stia affrontando nella forma adeguata?

ACB: Conosco interventi puntuali, per esempio ciò che sta accadendo con la tangenziale che passa nel bel mezzo della Villa 31 che è una delle Villas più grandi della città di Buenos Aires. Qui si sta costruendo un reticolo molto solido, come se si trattasse di un muro che separa la Villa dalla tangenziale. Giusto stavamo parlando prima del problema dell’isolamento, se sono o meno isolate, però d’altro canto non è possibile che un’autostrada passi nel bel mezzo di un tessuto urbano. Ecco, penso che questo muro abbia il doppio significato del “non voglio vedere questa realtà e gli costruisco un muro per evitare che passino” però allo stesso tempo lo si sta riconoscendo come parte della città perché si sta riconoscendo che questo posto esiste e che resterà nel tempo, che questo insediamento si consoliderà in questo luogo.

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Noto cambiamenti nella forma in cui si tratta il problema e nei progetti che si sono pensati per le Villas.

Non so quanto dipenda solo dal Governo. E’ positivo che si facciano questi progetti perché una volta che c’è la decisione politica, se si sono fatti dei progetti nel frattempo, si faranno dei passi avanti. Ecco, sono entrambe le cose, però è certo che il peso politico è fondamentale, senza di esso i piccoli gruppi e le piccole associazioni in confronto sono delle formiche.

AS: Pensi che la Facoltà di Architettura, insieme ai professionisti, si stiano prendendo la responsabilità di offrire un cambiamento a queste realtà? Come pensi che si possano responsabilizzare i futuri architetti?

ACB: Credo che ci sia una gran parte della Facoltà che si occupa di problemi che mi sembrano appartenere ad altre epoche, problemi molto idealistici.

Dovrebbe esser obbligatorio avere lavori sul campo all’interno della carriera. Mi sembra che un architetto debba avere una visione più aperta possibile. Molte volte escono architetti pronti per casi specifici e quando si scontrano con casi che non sono contemplati si fa acqua.

Si parla di lavorare nella città solo a partire dal singolo lotto, dell’area di progetto e niente di più. Non mi importa cosa tengo a destra o a sinistra quando invece è molto più profondo e molto più complesso, complesso non come accezione negativa ma come distinte trame che interagiscono. E come ho già detto mi sembra che non si tratta di dire “vabbene, questo è il problema e questa è la soluzione”. Mi sembra che ci sia un problema a priori nella Facoltà, che non riesce a confrontarsi con il lavoro di sperimentazione.

Sperimentazione con il significato di non sapere dove si arriverà, sapere che si può costruire, che si può progettare e produrre. Certo c’è il rischio che non si arrivi dove si voleva arrivare. E penso che questo discorso vada di pari passo con questo lavoro in cui non si sa mai per bene dove si agisce. Quando parliamo delle Villas, quando parliamo degli insediamenti precari parliamo di tematiche per cui sembra che nessuno sappia realmente di cosa stiamo parlando, mi viene un termine porteño, che ha la “posta”, la verità diciamo. Tutti sono li, ad un tratto appaiono opinioni molto forti, che si scontrano, per cui mi sembra che abbiamo a che fare con estremi però non sappiamo come arrivare a dei punti medi e penso che questo punto d’incontro ha a che fare con il provare e sperimentare e vedere che si può realmente fare.

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5.8 Intervista a Mateo Saad, studente all’ultimo anno di Disegno Industriale della FADU, Facultad de Arquitectura, Diseño y Urbanismo AS: Buenos Aires è una città di quasi 3 milioni di abitanti e come tutte le grandi città deve confrontarsi con problemi molto importanti.

Uno di questi è il deficit abitativo.

I problemi per ottenere una casa riguardano sempre più i settori più poveri.

Persone senza risorse finiscono con l’occupare dei terreni in forma abusiva e vivono in situazioni difficili come quelle di insediamenti precari e Villas.

Cosa pensi di queste realtà e dell’attuale modo di confrontarsi con esse?

Tuttociò che accade nel Paese adesso sta accadendo in Capital Federal. In un Paese così vasto, così ricco di risorse, in cui si potrebbero avere distinti poli produttivi che generino posti di lavoro. Si potrebbe dare alle persone che lo desiderino, che abbiano la necessità e la capacità di lavorare, un posto in cui vivere e produrre.

MS: Penso che queste realtà derivino da due grandi fattori, quello storico è quello che ereditarono i governi con il passare degli anni, a partire dalle prime correnti migratorie dall’entroterra, dalle province verso Capital Federal. Ecco, queste persone che non erano di questa città e che vennero alla ricerca di lavoro, con poche risorse, si scontrarono con la realtà di una città che era già sopraffatta e si stabilirono sempre di più sulle rive dei fiumi o in condizioni più avverse.

Dunque, in prima istanza, penso che questo fenomeno sia storico e c’è gente che già vive ed è di qua da molti anni ed un allontanamento forzato di queste persone mi sembra ingiusto, a prescindere dal fatto che magari non abbiamo la situazione legale in regola. Queste persone non hanno deciso di vivere così, molte sono nate in queste condizioni.

I piani di urbanizzazione, sempre quando siano ben stilati, possono essere una soluzione possibile.

L’altro fattore è quello che è ancora oggi presente: sempre più gente è povera, sempre più persone si 133

Nelle Villas si stanno dando il trovano dentro al circolo delle persone che si vedono nella necessità cambio diverse organizzazioni di cercare un luogo in cui vivere.Ecco, questo è principalmente un di distinte posizioni politiche problema dello Stato e dell’attuale condizione economica che fa si che e se da un lato cercano di questa situazione si faccia sempre più importante. apportare dei miglioramenti, D’altro canto, penso anche che un’alternativa più generale, per queste si continua a sottolineare le persone e per le future generazioni, perché si formeranno future differenze di partito invece di generazioni di villeros, potrebbe essere una decentralizzazione. lavorare insieme per generare Tuttociò che accade nel Paese adesso sta accadendo in Capital Federal. una proposta concreta di reale In un Paese così vasto, così ricco di risorse, in cui si potrebbero avere cambiamento. distinti poli produttivi che generino posti di lavoro. Si potrebbe dare alle persone che lo desiderino, che abbiano la necessità e la capacità di lavorare, un posto in cui vivere e produrre.

AS: Con il passare dei decenni i diversi Governi hanno adottato misure differenti per affrontare il problema. La città de Buenos Aires ha assistito a momenti di pesanti sgomberi e allo stesso tempo a tentativi di radicamento delle stesse.

Ad oggi quale pensi sia la migliore forma di affrontare il problema? Pensi che il Governo della città di Buenos Aires lo stia affrontando nella forma adeguata?

MS: Con il passare degli anni ci furono diversi casi in cui si manipolarono le persone che vivevano in queste condizioni. Ci sono stati governi a cui serviva che queste persone esistessero e con poco ottennero voti e appoggio. E ci furono governi a cui magari davano fastidio e per questo “si scordavano” di queste tematiche.

Gli interventi che si fecero o che non si fecero furono sempre nettamente per l’interesse del governo, non si pensò mai concretamente alle condizioni in cui stavano vivendo queste persone. Ad oggi in realtà non vedo nessun cambiamento.

Nelle Villas si stanno dando il cambio diverse organizzazioni di distinte posizioni politiche e se da un lato cercano di apportare dei miglioramenti, si continua a sottolineare le differenze di partito invece di 134

lavorare insieme per generare una proposta concreta di reale cambiamento.

La parte politica continua a venire prima di quella sociale. E’ triste però ancora oggi succede.

AS: Pensi che dal lato del Disegno Industriale si stiano prendendo le responsabilità di affrontare tematiche connesse a queste realtà?

Quale pensi possa essere il modo di responsabilizzare i futuri designer?

MS: Dal lato del disegno industriale si stanno formando diversi filoni di ciò che si chiama “disegno per la base della piramide” che si rivolge principalmente alla gente che sta in queste condizioni sociali che non soddisfare le necessità fondamentali. Ci sono diversi modi, in cui si attacca questa problematica, che fanno uso dello sviluppo di nuove tecnologie e dei mezzi di comunicazione.

Molte volte si tratta il tema di ciò che si riferisce alla base della piramide con ciò che si riferisce al sostenibile, quasi sempre nel punto del riuso o della reinterpretazione di prodotti.

Concretamente le persone che abitano in Villas ed in queste aree di emergenza, stanno in contatto con molti residui, spesso riutilizzabilli in modo da generare nuovi prodotti che risolvano problemi. Possono esser utili per le loro necessità oppure si possono realizzare dei prodotti inseribili nel mercato e che possano generare un reddito in base alla vendita.

Ad oggi ciò che si riferisce al disegno open source, che è strettamente legato al potenziamento delle comunicazioni, riunisce molti progettistii a livello mondiale, non parlo solo dei deisigner, possono esser inventori o distinte branche, persone dal profilo proattivo a cui interessa realizzare prodotti che possano risolvere le esigenze di diverse parti del mondo e caricano i prodotti su internet gratuitamente. Se hai un’idea, magari con le risorse cha hai in casa o con una spesa esigua, puoi risolvere dei problemi. Per esempio c’è un caso molto conosciuto, si tratta di contenitori di acqua con cui si trasportano grandi quantità, pensati per l’Africa. In Africa c’è una notevole distanza tra i luoghi in cui le persone vivono e quelli in cui possono prendere l’acqua potabile e la necessità di questa gente è quella di trasportare grandi volumi di acqua, per fare meno viaggi e che non fosse tanto faticoso portarli. Così hanno realizzato dei bidoni cilindrici, gli si passa una corda nel centro e invece di portarli in spalla si portano facendoli ruotare.

Ecco, concretamente in questa situazione particolare, mi sembra che si ha una possibilità interessante che 135

non ha la necessità di ricorrere alla parte politica. In queste situazioni molto specifiche si può intervenire portando le conoscenze di un gruppo di disegnatori, anche qui possono esser disegnatori e persone che lavorano nella comunicazione, nei mezzi di divulgazione, articolando una serie di conoscenze e capacità e offrendo tuttociò ad un altro gruppo di persone che invece ciò che offre è la mano d’opera e la capacità intellettuale di imparare determinate tecniche. Ci sono progetti conosciuti, che magari non sono cresciuti troppo, però sono rimasti all’interno di piccoli laboratori.

E’ accaduto per esempio che un gruppo di progettisti con un prodotto già realizzato insieme ad un gruppo di persone che si occupano di comunicazione, organizzavano un laboratorio in una Villa in cui delle persone avevano bisogno di lavorare. Andavano, gli fornivano le conoscenze, gli insegnavano a produrre, producevano un prodotto determinato con determinate qualità tecniche e di ricerca da poter poi inserire nel mercato.

Per cui, in questo circolo, queste persone potevano lavorare in un modo relativamente libero, imparare una nuova tecnica ed ottenere un’entrata oltre ad un appoggio di gruppo e sociale.

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6 | Ringraziamenti

Grazie a questa esperienza ho imparato che spesso si ha la fortuna di imbattersi in persone che inaspettatamente ed in modo del tutto disinteressato si offrono come coraggiosi compagni di viaggio.

Grazie a Angéla e César, miei compagni di avventure, oltre che coinquilini porteñi e mia famiglia oltreoceano.

Hanno ascoltato gli sfoghi dei momenti difficili, offrendomi sempre in cambio un sorriso rassicurante.

Grazie a Césarito per condividere i pomeriggi di studio e le einsaimadas domenicali e grazie ad Angi per gli abbracci calorosi e le parole di conforto.

Grazie ad Andi, Belu, Jose e Pablito, miei compagni di un’altra intensa avventura, sempre disponibili a rispondere alle scomode domande di chi, dall’esterno, voleva realmente comprendere queste difficili realtà.

Grazie a Mateo che sin dal nostro primo incontro si è mostrato interessato al mio lavoro.

Le nostre discussioni, a volte accese, hanno aperto i miei occhi sulla complessità di queste realtà ed il suo appoggio incondizionato mi ha dato la forza di continuare a provare e riprovare nei momenti difficili. Grazie per l’amore, la fiducia, la comprensione e la pazienza.

Grazie a Gabriele per le consulenze e gli aiuti richiesti, i risultati sono sempre arrivati accompagnati da grugniti e brontolii ma so bene che è il suo modo di volermi bene.

Grazie ai miei genitori, perchè loro più di ogni altro, hanno sofferto questa mia smania di vivere.

Grazie per avermi supportata comunque, nonostante il timore e la preoccupazione sempre presente di volermi proteggere. Mi hanno regalato una delle più belle esperienze della mia vita e non mi stancherò mai di ripetere quanto sia loro grata e quanto profonda sia la stima che nutro nei loro confronti.

Alice S. Milano, 21 Marzo 2015

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Testi Javier Fernández Castro, Barrio 31, Carlos Mugica. Posibilidades y limites del proyecto urbano en conxtos de pobreza 2010.

Javier Fernández Castro, El proyecto inclusivo en la Villa 21-24, HI - Habitat Inclusivo Chiodelli F., Moroni S., The complex nexus between informality and the law: Reconsidering unauthorised settlements in light of the concept of nomotropism, Geoforum 51 2014.

Cravino Maria Cristina, Las villas de la ciudad: mercado y informalidad urbana, Buenos Aires 2006 Yona Friedman, L’architettura di sopravvivenza. Una filosofia della povertà, Bollati Boringhieri, Torino 2009.

Joaquín Torres García, Universalismo Constructivo, Poseidón, Buenos Aires 1941 Gilbert A., The Return of the Slum: Does Language Matter?, International Journal of Urban and Regional Research 2007.

Jorge Mario Jáuregui, Favelas. Construyendo desde el conflicto. Transformaciones arquitectónicas, urbanísticas y sociales en las Favelas de Rio de Janeiro.

Jorge Mario Jáuregui, Favelas: en la Argentina se puede todavia resolver el tema de las Villa.

María Magdalena Pace, Prácticas de comunicación en procesos partecipativos: la experiencia de elecciones de delegados y delegadas en el barrio: Playón de Chacarita. Alunna: María Magdalena Pace, Relatrice: Di Virgilio María Mercedes, Facultad de Ciencias Sociales, Universidad de Buenos Aires.

(Tesi di Laurea) 140

7 | Riferimenti Bibliografici

Bernardo Secchi, La città dei ricchi e la città dei poveri, Editori Laterza, Bari 2013.

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Gian Paolo Torricelli, Potere e spazio pubblico urbano. Dall’agorà alla baraccopoli, Academia Universa Press, Perugia 2009.

UN-HABITAT, Report 2003.

Riviste Keusuke Fukuma, “Mapping (in) Caracas” in Lotus n°124/2005 Vyjayanthi Rao, “Slum as Theory” in Lotus n° 143/2010 Giancarlo Mazzanti, “Lo spazio pubblico come luogo collettivo” in Lotus n° 152/2010 Altre fonti Global Urban Observatory Database, UN-HABITAT. http://www.buenosaires.gob.ar http://estadistica.buenosaires.gob.ar http://www.habitatinclusivo.com.ar http://www.jauregui.arq.br http://mapa.buenosaires.gob.ar http://unhabitat.org 141

Altri testi che trattano il tema degli abitati informali di Buenos Aires J. M. Borthagaray, M. A. Igarzabal De Nistal, O. Wainstein, Krasvk, Hacia la gestion de un habitat sostenible.

Juan E. Gutiérrez, La fuerza historica de los villeros 1999.

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S. I. Sanchez, “Salir adelante” y “venir bien”. Estrategias habitacionales y medios de vida en los hoteles y conventillos de la ciudad de Buenos Aires en perspectiva historica.

Buenos Aires Municipalidad. Comision municipal de la vivienda investigacion aerofotografica terrestre de villas de emergencia en la Capital Federal, Buenos Aires 1971.

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Huarque Mansilla Oscar Luis, Wynarcyk, Hilario H., Villas miserias y asentamientos en capital Federal y el conurbano bonaerense, Buenos Aires 1991.

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Villa de emergencia en la Cava 1973.

Villas de emergencia, Buenos Aires 1970.

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