Modellazione parametrica dell'accoppiamento albero-mozzo con interferenza

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INDICE

PREMESSA .......................................................................................................................

CAPITOLO 1 COLLEGAMENTI SMONTABILI NON FILETTATI .......................... 5 1.1 COLLEGAMENTI ALBERO-MOZZO ................................................................................................ 7

1.2 CHIAVETTE E LINGUETE.................................................................................................. 7 1.3 SPINE E PERNI............................................................................................................ 18 1.4 ANELLI DI SICUREZZA ED ARRESTO .................................................................................. 22

CAPITOLO 2 TIPI DI ACCOPPIAMENTO .......................................................... 23 2.1 ACCOPPIAMENTO LIBERO............................................................................................. 23 2.2 ACCOPPIAMENTO CON INTERFERENZA ............................................................................ 25 2.3 ACCOPPIAMENTO INCERTO ........................................................................................... 26 2.4 SISTEMI DI TOLLERANZE E ACCOPPIAMENTI ...................................................................... 27 2.5 TOLLERANZE GENERALI ................................................................................................ 30 2.6 TOLLERANZE ISO ....................................................................................................... 32 2.7 ACCOPPIAMENTI NEL SISTEMA ISO ................................................................................ 35

CAPITOLO 3

LA TORSIONE UNIFORME ......................................................... 38

3.1 LE GRANDEZZE FONDAMENTALI DI UN SISTEMA SOGGETTO A FORZE ...................................... 38 3.2 TRATTAZIONE MECCANICA DEL SISTEMA .......................................................................... 40 3.3 ANCORAGGIO IN TORSIONE .......................................................................................... 45 3.4 ESEMPIO NUMERICO ................................................................................................... 52 3.5 MODELLO 3D ED ANALISI SOLLECITAZIONE ...................................................................... 54 3.6 MODELLAZIONE PARAMETRICA ..................................................................................... 59

CONCLUSIONI ............................................................................................................ 67 3

PREMESSA Il presente elaborato di fine corso ha come oggetto di studio la modellazione parametrica di un sistema albero-mozzo nel caso di accoppiamento con interferenza.

L’analisi inizia con un richiamo dei collegamenti non filettati con annessi elementi che permettono la trasmissione del moto, passando successivamente ai vari tipi di accoppiamento.

Successivamente si entrerà nei dettagli di un sistema albero-mozzo( che per semplicità sarà costituito da due cilindri coassiali vincolati ad un estremo) soggetto ad un momento torcente Mz che lo deformerà.

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CAPITOLO 1 1.1 Collegamenti Albero-Mozzo L’unione di parti meccaniche mediante elementi che possano essere rimossi in caso di necessità senza alterazione né delle parti collegate né degli elementi stessi, che potrebbero anche essere riutilizzati, viene correttamente effettuata nella maggior parte dei casi con elementi filettati. Tuttavia in numerose occasioni, sia per rapidità di montaggio, sia per particolari necessità, si fa uso di svariati altri organi di collegamento.

Figura 1.1

Come nel caso degli organi filettati, l’evoluzione tecnica ha portato all’elaborazione di un gran numero di componenti per soddisfare la più ampia varietà di esigenze mentre d’altra parte la necessità di ridurre i costi e l’opportunità di disporre 5

facilmente degli elementi richiesti ha spinto verso la standardizzazione, sviluppata più che in altri settori ( il numero di tipi di elementi di collegamento utilizzati nell’industria automobilistica americana si è ridotto nell’arco del di dieci anni del 40%).

Il collegamento fra due o più parti può essere necessario per: - Evitare la rotazione reciproca - Evitare la traslazione reciproca - Assicurare un centraggio od una posizione - Garantire una sicurezza contro uno smontaggio spontaneo od impedire lo spostamento oltre un certo limite.

Uno dei problemi più frequenti da risolvere è il collegamento fra un albero rotante ed un mozzo di una puleggia o di una ruota dentata, in modo che possano ruotare solidamente.

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1.2 Chiavette e Linguette.

Si tratta di elementi simili nella forma ma funzionanti secondo principi diversi.

Le chiavette sono essenzialmente dei prismi a sezione rettangolare a larghezza costante e spessore decrescente da un’estremità all’altra, che vengono incastrate per circa metà del loro spessore nel mozzo e per l’altra metà nell’albero, in apposite scanalature, dette cave.

Figura 1.2

L’inclinazione fra le facce superiore ed inferiore della chiavetta è in genere di 1:100 e la chiavetta si comporta come un cuneo inserito fra albero e mozzo: l’inserimento forzato della chiavetta tende ad allontanare fra di loro l’albero ed il mozzo, che sono invece fra loro fortemente premuti nella zona diametralmente opposta.

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Figura 1.3 Si realizza così un forzamento e la trasmissione del moto avviene per attrito nelle zone di contatto: si può rilevare che le deformazioni indotte dall’azione della chiavetta sul mozzo tendono a provocare un’eccentricità che sconsiglia l’uso delle chiavette per elevate velocità di rotazione.

Nel caso in cui si renda necessario l’uso di due chiavette, è meglio non collocare a 180° fra loro e porle invece a 90° o a 120°, per evitare indebolimento della sezione dell’albero ed ovalizzazione del mozzo.

Il forzamento in senso radiale lascia un certo gioco circonferenziale fra i fianchi della chiavetta e quelli delle cave: tale gioco non viene disegnato, a meno che non si viglia evidenziarlo per meglio individuare il tipo di collegamento. Importante sottolineare che l’abbassamento delle generatrici dell’albero in corrispondenza alle cave non viene rappresentato nel disegno.

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Le chiavette normalizzate sono di diversi tipi: - Chiavette, dette talora chiavette incassate, diritte o con estremità arrotondate, per il cui alloggiamento sono previste cave nell’albero e nel mozzo: la profondità della cava nel mozzo è circa la metà di quella nell’albero ed il suo fondo può avere un’inclinazione di circa 1:100 rispetto all’asse; - Chiavette ribassate per cui la cava è solo nel mozzo, mentre l’appoggio sull’albero è una semplice spianatura; - Chiavette ribassate concave, solo diritte, la cui facciata inferiore presenta una concavità in senso trasversale e si appoggia semplicemente sull’albero, mentre sul mozzo è praticamente cava.

Il momento torcente trasmissibile dai tre tipi sopra detti è circa in rapporto 1:1/ 2:1/ 3.

Le cave per le forme diritte hanno lunghezza circa doppia rispetto alla chiavetta e sono in genere eseguite con frese a disco, mentre per le forme arrotondate le cave ripetono la forma della chiavetta e sono eseguite con frese ad asse verticale; le cave nei mozzi sono passanti per tutta la lunghezza: nel caso di inclinazione del fondo della cava sul mozzo si deve fare attenzione al verso di montaggio.

Si noti che le chiavette hanno spigoli smussati per evitare forzamenti nel contatto con gli arrotondamenti al raccordo con il fondo della cava.

Le chiavette sono definite nelle norme in funzione dei diametri degli alberi in cui vengono poste, nell’ipotesi che siano in grado di trasmettere la forza corrispondente al momento torcente trasmissibile mediamente dall’albero: l’indicazione si fa mediante forma, larghezza, altezza, lunghezza e riferimento alla norma.

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Figura 1.4 Come le tecniche di realizzazione, anche le modalità di misura delle cave ne influenzano la quotatura: ad esempio la profondità della cava in un albero può essere misurata direttamente, oppure, meglio, per differenza, sottraendo la misura di un blocchetto di riscontro inserito nella cava stessa, ed in questo caso la tolleranza sarà prescritta con riferimento al tipo di albero, anziché foro.

Analogamente la cava nel mozzo viene in genere misurata sommandola al diametro del foro.

Le chiavette ora viste potranno avere un nasello, cioè un rialzo all’estremità di spessore maggiore, in grado di fornire un appoggio per rimuovere la chiavetta, quando non sia possibile fare ciò spingendola dal lato opposto a quello da cui è stata infilata, come generalmente avviene.

Sarebbe opportuno, nel caso di facile accesso alla chiavetta e di discrete velocità, ricoprire il nasello con un anello di protezione, per motivi antinfortunistici.

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Figura 1.5

Figura 1.6

Le chiavette tangenziali sono un particolare tipo di collegamento usato per trasmettere grandi potenze a velocità non elevate: sono montate in coppia e collocate a 120° fra loro. Gli alloggiamenti sono costituiti da due coppie di cave di forma diversa nell’albero e nel mozzo, in cui vengono poste due chiavette, simili a quelle normali, inserite in verso opposto a contatto fra loro sulle superfici 11

inclinate: il forzamento reciproco esercita una spinta in direzione tangente alla superfice di contatto albero mozzo. La forma delle cave è fatta in modo da trasmettere correttamente le forze per entrambi i versi di rotazione. Si ricordi che, se il mozzo è in due parti, le cave devono essere collocate simmetricamente rispetto al piano di separazione.

Figura 1.7

Di seguito riportate le dimensioni di chiavette (tipo UNI 6607) e chiavette a nasello (tipo UNI 6608)

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Figura 1.8

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Le linguette sono simili alle chiavette, ma hanno tutte le facce parallele, cioè sezione costante. Anche per esse di avranno le forme diritte, arrotondate, miste, e quanto è stato detto per le chiavette riguardo alla forma delle cave, alla loro esecuzione e misura, nonché per la loro indicazione, vale anche per le linguette.

Figura 1.9

Diverso è invece il modo in cui viene trasmesso il momento torcente: anziché per attrito a seguito del forzamento, la spinta viene trasmessa dal fianco della cava sull’albero a quello della cava nel mozzo tramite la linguetta, che viene quindi assoggettata ad una forza di taglio. La linguetta dovrà quindi essere montata con accoppiamento preciso sui fianchi, mentre un certo gioco è consentito in direzione radiale.

Quando sia necessario il montaggio di due linguette, esse saranno poste a 180° per una migliore equilibratura.

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Si noti che, non essendovi forzamento, le linguette, a differenza delle chiavette, non offrono nessun ostacolo al movimento assiale( anzi spesso vengono utilizzate proprio per questo) in quanto consentono la trasmissione del moto rotatorio anche con diverse posizioni assiali del mozzo relativamente all’albero e quindi un arresto in tale direzione deve essere assicurato da altri elementi costruttivi. Per bloccare eventualmente le linguette nella sede possono essere previsti fori che ne consentono il fissaggio sull’albero mediante viti.

In seguito vediamo riportate alcune forme di linguette previste nelle norme UNI 6605: a) Con esecuzione di viti di fissaggio; b) Per viti di fissaggio e foro per vite d’estrazione; c) Per spina di arresto.

Figura 1.10 15

Anche per le linguette è previsto dall’unificazione un tipo ribassato, le cui dimensioni sono riportate in apposite tabelle.

Figura 1.11

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Le linguette sono di gran lunga più utilizzate rispetto alle chiavette, perché, non essendovi forzamento, non vi sono eccentricità e quindi possono essere usate anche per forti velocità; inoltre la precisione sui fianchi assicura, ove necessario, un buon centraggio circonferenziale. Alla famiglia delle linguette appartengono le linguette a disco, dette anche linguette americane (o Woodruff), costituite da un elemento semicircolare che si colloca nell’albero in una cava anch’essa semicircolare longitudinalmente, mentre la cava nel mozzo è del tipo consueto. Queste linguette, non adatte a trasmettere forti momenti torcenti, rendono facili i montaggi, in quanto possono assumere inclinazioni variabili( sono quindi particolarmente adatte per estremità di albero coniche) e sono anche relativamente meno costose, in quanto la cava sull’albero è eseguita rapidamente con un’apposita fresa a disco. Per conto la cava stessa può indebolire l’albero a causa della sua profondità e di conseguenza le linguette a disco non possono essere collocate in parti dell’albero molto sollecitate e in genere sono posizionate all’estremità.

Figura 1.12 Nella figura precedente vediamo un esempio di quotatura di un albero con una cava per linguetta a disco.

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1.3 Spine e perni.

Sono definiti perni degli elementi cilindrici costituenti particolari di macchine, con funzione di fulcro per parti rotanti, di arresto, di centraggio, di collegamento: per questi ultimi compiti si preferisce parlare di spine, che però oltre ad essere costruite in materiali particolari, come acciai duri od acciai per molle, possono anche avere forma conica od essere deformabili. La distinzione fra perni e spine a prima vista è spesso piuttosto difficile: fra i perni e le spine, le differenze formali appaiono minime, riguardando la tolleranza di lavorazione sul diametro ed il campo di diametri normalizzati. È quindi solamente l’uso che differenzia tali elementi, con una maggiore attenzione al posizionamento ed agli accoppiamenti per le spine.

Nell’unificazione si troveranno quindi definiti sia perni che spine.

Snodo realizzato con perno con testa.

Spina elastica con funzione di arresto.

Figura 1.13

Figura 1.14

Limitandosi a queste, si potrà effettuare una classificazione per scopo: - Spine di collegamento - Spine di riferimento

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Oppure forma: - Spine cilindriche - Spine coniche - Spine elastiche Le spine cilindriche possono essere usate come perni per cerniere, come collegamento fra alberi e manicotti o collari, come blocco per limitare scorrimenti o rotazioni; possono anche essere usate per trasmettere deboli momenti torcenti, in sostituzione delle più costose linguette, in genere inserite in fori diametrali e quindi sollecitate da una forza tagliante perpendicolare al loro asse, ma talvolta anche forzate longitudinalmente fra albero e mozzo.

Le spine coniche, con conicità 1:50, sono definite da loro diametro minore, corrispondente al diametro minore, corrispondente al diametro di foratura delle loro sedi. Sia le spine coniche che quelle cilindriche devono essere inserite all’estremità per una lunghezza almeno pari al loro diametro e possibilmente non devono avere gioco nelle sedi, soprattutto nelle zone corrispondenti ai piani di separazione fra le parti collegate. La precisione dell’accoppiamenti con la sede deve essere particolarmente curata per le spine di riferimento, così dette perché assicurano il posizionamento reciproco dei particolari collegati. A causa della precisione dell’accoppiamento le spine possono dare origine al curioso fenomeno di una sovrassollecitazione provocata dalla elevata compressione dell’aria contenuta nel foro di alloggiamento quando questo sia cieco: per evitare ciò, oltre a praticare un foro di sfogo, nelle spine di riferimento destinate a fori ciechi si effettua una leggera spianatura lungo una generatrice in modo da consentire la fuoriuscita dell’aria durante l’inserimento della spina del foro. Nelle spine può anche essere praticato un foro filettato assiale per facilitarne l’estrazione della sede.

Rimane comunque sempre consigliabile praticare fori passanti ogni volta che sia possibile ed anche evitare fori troppo lunghi rispetto al diametro. Si hanno spine coniche munite di codolo filettato, che consente una più facile estrazione, per azione 19

del dado contro la zona circostante il foro di inserimento della spiana: esiste una serie di spine con lunghezza costante del tratto filettato ed una con lunghezza costante del tratto conico al variare della lunghezza complessiva della spina. Altri tipi di spine coniche presentano la conicità convergente verso il codolo filettato, che ne consente la trazione attraverso i fori in cui sono inserite, sia per un miglior bloccaggio, sia per regolazione, ad esempio per ricupero di giochi.

Impiegate come collegamenti per piccoli sforzi, ma soprattutto come dispositivi di arresto sono le copiglie: esse sono costituite da un filo a sezione semicircolare, ripiegato in modo che le due sezioni affacciate configurino un cerchio; il doppio gambo così ottenuto presenta una parte sporgente rispetto all’altra, così da facilitare il divaricamento delle due parti, divaricamento che, se viene effettuato dopo che la copiglia è stata inserita in un foro, ne impedisce lo sfilamento. La maggiore sporgenza del tratto lungo rispetto a quello corto distingue le copiglie di tipo A da quello di tipo B previste dall’unificazione.

Figura 1.15

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Le spine elastiche, costruite in acciaio per molle, sono di diversi tipi, unificati e non , che si basano tutti sul principio di avere una spina che in condizioni libere ha un diametro leggermente maggiore di quello del foro in cui deve essere inserita. Quando la spina di trova forzata nel foro reagisce con una spinta elastica radiale che ne assicura il buon ancoraggio, in grado di assorbire vibrazioni senza allentarsi. Un ulteriore vantaggio è dato dal fatto che, proprio a seguito della loro deformabilità elastica, queste spine non richiedono una lavorazione accurata dei fori, che possono essere eseguiti direttamente con una punta elicoidale senza ulteriori rifiniture. I tipi più comuni di spine elastiche sono le spine tagliate, costituite da un elemento tubolare tagliato da una fenditura longitudinale, in modo da consentire la deformazione della sezione a C così ottenuta, le spine a spirale, formate da un foglio di lamierino avvolto a formare un cilindro deformabile, e le spine ad intagli.

Figura 1.16 Queste ultime sono realizzate praticando sul corpo cilindrico dei solchi longitudinali per deformazione, senza asportazione di materiale: la sezione trasversale in corrispondenza dei solchi, a seguito del riflusso del materiale si scosta dalla forma circolare, assumendone una lobata, che, forzata in un foro circolare, reagisce con forze elastiche radiali. I solchi possono essere estesi a tutta la lunghezza della spina o limitati a determinate parti, consentendo diverse possibilità di forzamento. Sullo stesso principio sono basati dei chiodini per metallo che, per collegamenti di scarsa importanza, possono sostituire le viti, più costose.

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1.4 Anelli di sicurezza ed arresto.

Per impedire lo spostamento assiale relativo di due elementi si fa largo uso di anelli elastici, detti anche di sicurezza o di arresto, costituiti da anelli in acciaio per molle, aperti per un breve tratto circonferenziale, con diametro interno leggermente inferiore a quello dell’albero su cui verranno collocati, in modo da subire al montaggio una deformazione elastica che provoca una reazione diretta radialmente in grado di bloccarli nella sede; per gli anelli destinati al montaggio entro fori sarà il diametro esterno ad essere leggermente maggiore di quello della sede. Il tipo più comune di anello elastico è il cosiddetto Seeger, a sezione rettangolare, leggermente maggiore nella zona diametralmente opposta a quella di taglio, dove si ha la maggiore sollecitazione di riflessione conseguente alla deformazione dell’anello, con appositi appoggi per pinze destinate a divaricare gli anelli per alberi per facilitarne montaggio e smontaggio.

Questi anelli sono collocati in apposite cave circonferenziali, a sezione rettangolare, ricavate sugli alberi o nei fori, ma esistono anche anelli in grado di sopportare leggere spinte assiali solo grazie all’azione di compressione da essi esercitata direttamente sull’albero. Come di consueto si ha infatti una gran varietà di forme ed applicazioni di anelli elastici, di uso rapido e relativamente poco costoso.

Simili agli anelli Seeger come funzionamento sono gli anelli di sicurezza ad espansione, che vengono montati o smontati con un’azione radiale nella cava effettuata sull’albero.

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CAPITOLO 2 Si voglia montare una ruota su un albero; la ruota è composta da una sede cilindrica cava a contatto con l’albero, chiamata mozzo, e da una parte esterna che possiamo chiamare corona. Per ottenere un corretto funzionamento, la ruota dovrà essere montata mediante forzamento sull’albero: in questo caso si dice che tra l’albero e foro esiste un’interferenza, nel senso che il diametro dell’albero dovrà essere u

po'

maggiore di quello del foro(accoppiamento forzato o stabile). L’albero a sua volta dovrà essere libero di ruotare nell’apposita sede, cioè il diametro effettivo dell’albero, a montaggio eseguito, dovrà essere sempre minore del corrispondente diametro del foro nel supporto laterale. Fra albero e foro si ha quindi un giuoco e l’accoppiamento in questo caso si chiamerà mobile.

2.1 Accoppiamento libero.

La condizione di funzionamento per ottenere un accoppiamento mobile è, come già detto, che il diametro del foro nel supporto sia sempre maggiore di quello dell’albero.

Ciò si può ottenere prescrivendo diametri nominali diversi( ma sempre tenendo conto dei valori massimi e minimi delle dimensioni reali derivanti dalle tolleranze di lavorazione) oppure con il prescrivere uno stesso diametro nominale ed assicurarsi che assumendo opportuni valori per le dimensioni massime e minime ammissibili la condizione di foro più grande dell’albero sia sempre verificata. L’albero abbia ad esempio un diametro nominale di 10 mm con un campo di tolleranza di 0,3 mm che preveda una dimensione massima di 10 e una dimensione minima di 9,7 mm. Per il foro del supporto si preveda una dimensione massima di 10,3 mm e di una minima di 10,1 mm, con una tolleranza quindi di 0,2 mm. Il giuoco risultante può assumere un gran numero di valori numerici in funzione delle effettive dimensioni assunte dall’albero e dal foro all’interno del proprio campo di tolleranza.

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Configurazione con massimo giuoco Accoppiando l’albero di minimo diametro, cioè di 9,7 mm, con il foro di 10,3 mm, si ottiene il massimo valore della differenza fra i due diametri, cioè: 10,3 – 9,7 = 0,6 mm Questa condizione rappresenta una condizione che possiamo chiamare di minimo materiale Configurazione di minimo giuoco Assegnando all’albero il valore di 10 mm e al foro il valore di 10,01 mm, rispettivamente corrispondenti ai valori massimo e minimo consentiti dai rispettivi campi di tolleranza, si otterrà il minimo valore della differenza tra i due diametri, cioè: 10,01 – 10 = 0,1 mm In queste condizioni, sia l’albero che il foro sono in una condizione di massimo materiale.

Riassumendo, l’accoppiamento tra un albero ed un foro risulta sempre di tipo mobile, se la dimensione minima del foro è maggiore di quella massima dell’albero.

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2.2 Accoppiamento con interferenza.

Volendo invece bloccare la ruota sull’albero, la condizione funzionale è che il foro sia sempre di dimensioni inferiori all’albero. Con un albero di diametro minimo uguale a 20 mm e diametro massimi di 20,03 mm il foro del mozzo della ruota abbia un campo di tolleranza di 0,2 mm, con diametro minimo di 19,7mm e diametro massimo di 19,9 mm. Anche in questo caso è possibile individuare, tra tutti i possibili accoppiamenti con interferenza, due possibili configurazioni.

Configurazione di massima interferenza Accoppiando un albero di 20,03 mm ed un foro di 19,7 mm, si ottiene il massimo valore della differenza tra i due diametri, e quindi la condizione di massima interferenza: 20,3 – 19,7 = 0,6 mm Sia l’albero che il foro sono in condizione di massimo materiale.

Configurazione di minima interferenza Assegnando invece all’albero un diametro di 20 mm ed al foro un diametro di 19,9 mm, si ottiene un accoppiamento caratterizzato dalla condizione di minima interferenza: 20 – 19,9 = 0,1 mm Albero e foro sono in condizione di minimo materiale. Se il valore dell’interferenza non è molto elevato, per il montaggio si può ricorrere ad un forzamento mediante una pressa, che produce una deformazione elastica del foro. Se invece i valori dell’interferenza sono elevati, si deve operare con un riscaldamento che dilata il foro: il successivo raffreddamento determina un ritiro e quindi il serraggio del mozzo sull’albero. Riassumendo, l’accoppiamento risulta sempre bloccato con interferenza, se la dimensione massima del foro è minore di quella minima dell’albero.

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2.3 Accoppiamento incerto.

Esiste un terzo possibile accoppiamento, oltre a quelli già indicati, definito incerto, in cui può verificarsi nel montaggio sia il giuoco che l’interferenza. Si consideri infatti il caso di un albero, con un campo di tolleranza tale da comportare un diametro minimo di 19,9 mm ed un diametro massimo di 20,3 mm e di un mozzo con un foro di diametro minimo di 20 mm e diametro massimo di 20,4 mm: si ottengono anche in questo caso due possibili configurazioni estreme derivanti dalle dimensioni limiti ammesse.

Configurazione con massima interferenza.

Accoppiando l’albero di 20,3 mm ed il mozzo di 20 mm, si ottiene l’interferenza: 20,3 – 20 = 0,3 mm In condizioni di massimo materiale.

Configurazione di massimo giuoco.

Accoppiando l’albero di 19,9 mm ed il foro di 20,4 mm, ha il massimo giuoco: 20,4 – 19,9 = 0,5 mm In condizione di minimo materiale per l’albero ed il foro.

La condizione di accoppiamento incerto si verifica quindi se si ha una parziale sovrapposizione dei campi di tolleranza dell’albero e del foro. Nella realtà produttiva si tende a produrre sempre nelle condizioni di massimo materiale, cioè si cerca di asportare dal pezzo solo lo stretto necessario di materiale eccedente fino ad entrare nel campo di tolleranza. Per questo motivo è possibile affermare che un accoppiamento incerto è quasi sempre un accoppiamento con interferenza.

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2.4 Sistemi di tolleranze e accoppiamenti.

La tolleranza è dunque parte integrante della definizione di un oggetto: la sua importanza e i suoi valori si sono evoluti nel tempo, in stretto collegamento con il progresso tecnologico, che da una parte consente e dall’altra richiede più stretti confini alla variabilità delle quote. Con l’evoluzione dell’industria e lo sviluppo degli scambi a livello internazionale, è stato necessario sviluppare un sistema di tolleranze oggettivo e di validità generale, in grado di realizzare ogni tipo accoppiamento tra due pezzi, e tale da essere pienamente rispondente a tutte le svariate esigenze applicative. Per trovare delle definizioni precise non possiamo retrocedere oltre gli anni ’20. Anche in precedenza l’esigenza di stabilire limiti minimi e massimi alle quote ammissibili di un pezzo era sentita, ma non si trovano indicazioni a disegno ed erano previsti per lo più sovrametalli di lavorazione, che richiedevano successivamente aggiustaggio a mano, e condizioni di accoppiamento da raggiungersi con tale aggiustaggio, così che in pratica anche la precisione ottenibile era per lo più lasciata alla capacità degli operatori.

Nel 1926 compaiono le tabelle UNI che

introducono i gradi di lavorazione extrapreciso, preciso, ,medio e grossolano con vari tipi di accoppiamento pieno-vuoto: nel 1941 si hanno infine le codifiche delle tolleranze ISA, con il concetto di albero base e foro base tuttora validi, pur con diverse modifiche, nelle definizioni ISO attuali. I due termini foro ed albero vanno intesi in modo generico, e possono indicare due pezzi che devono essere collegati rappresentanti un vuoto ed un pieno; in altre parole, con i termini generici di albero e foro si designano anche la dimensione esterna o quella interna dello spazio, contenuto o contenente, compreso tra due facce parallele di un pezzo qualunque, come ad esempio nel caso di una linguetta e delle corrispondenti cave nell’albero e nel mozzo.

Per semplificare si può dire che le dimensioni misurabili esternamente sono di tipo albero, quelle misurabili internamente di tipo foro. Tutte le dimensioni definite in questo sistema, come anche ogni misura industriale, sono riferite alla temperatura di 20°C. 27

Si precisa di seguito il significato di alcuni termini adottati nella normativa.

- Dimensione è il numero che esprime, nell’unità scelta, il valore di una lunghezza, quando è scritta su un disegno è chiamata quota. La dimensione effettiva è quella realizzata nell’esecuzione di un pezzo e viene determinata mediante misurazione della distanza tra due punti.

- Dimensione nominale o quota nominale, è il valore di riferimento per una data dimensione e rappresenta la quota ideale che il progettista vorrebbe realizzare.

Dalla dimensione nominale derivano le dimensione limite applicando le tolleranze secondo esigenze di economicità e funzionalità - Dimensione limite, massima e minima, sono le due dimensioni estreme ammissibili di un pezzo entro le quali deve trovarsi la dimensione effettiva.

- Dimensione nella condizione di massimo materiale: appellativo assegnato ad una delle due dimensioni limite che corrisponde alla condizione di massimo ingombro dell’elemento, cioè la dimensione massima di un elemento esterno quale un albero e la dimensione minima di un elemento interno quale un foro - Dimensione nella condizione di minimo materiale, appellativo assegnato ad una delle due dimensioni limite che corrisponde alla condizione di minimo ingombro dell’elemento, cioè la dimensione minima di un elemento esterno e la dimensione massima di un elemento interno.

- Scostamento è la differenza algebrica tra una dimensione e la dimensione nominale corrispondente.

- Scostamento superiore è la differenza algebrica tra la dimensione massima e la dimensione nominale. Lo scostamento è indicato con Es per i fori e con es per gli alberi.

- Scostamento inferiore, è la differenza algebrica tra la dimensione minima e la dimensione nominale. È indicato con Ei per i fori e con ei per gli alberi.

- Linea dello zero: nella rappresentazione grafica delle tolleranze e degli accoppiamenti è la linea retta rappresentante la dimensione nominale ( che ha scostamento zero) ed alla quale vengono riferiti gli scostamenti e le tolleranze.

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Per convenzione la linea dello zero è tracciata orizzontalmente, e quindi gli scostamenti positivamente, e quindi gli scostamenti positivi sono al disopra e gli scostamenti negativi al disotto di essa.

- Tolleranza è la differenza tra la dimensione limite massima e quella limite minima; in altri termini è la differenza algebrica tra lo scostamento superiore e quello inferiore; la tolleranza si può considerare un valore assoluto, senza segno.

Una tolleranza fondamentale nel sistema ISO è indicata con IT (International Tolerance).

Tenendo presente le definizioni date, si può scrivere per i fori: IT = Es – Ei E per gli alberi: IT = es – ei È utile rappresentare graficamente la zona di tolleranza con un rettangolo la cui altezza rappresenta il valore della tolleranza espresso in micron; le distanze dalla linea dello zero dei due lati orizzontali del rettangolo rappresentano gli scostamenti, positivi al si sopra e negativi al di sotto.

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2.5 Tolleranze generali.

Le dimensioni di un pezzo sono molte e se dovessero essere indicate tolleranze su ogni quota occorrerebbe molto tempo e la quotatura risulterebbe appesantita.

L’indicazione delle tolleranze sul disegno dovrebbe però essere completa al fine di assicurare che le caratteristiche dimensionali e geometriche di tutti gli elementi siano definite senza informazioni sottointese o lasciate al giudizio personale. D’altra parte per un gran numero di dimensioni risultano accettabili gli errori ottenuti normalmente dall’abituale grado di precisione in officina. Si stabilisce allora con quale grado di precisione si intende eseguire la lavorazione e si fa riferimento ad una tabella che indichi quali sono le tolleranze corrispondenti, per le diverse quote a disegno, dove non esistono indicazioni diverse. I valori delle tolleranze devono tener conto ovviamente delle dimensioni nominali. Si ottiene lo stesso livello di precisione su dimensioni diverse se si varia il valore della tolleranza in funzione delle dimensioni.

Il concetto è chiaro se si esprimono le tolleranze come percentuale della dimensione nominale. In tal caso una tolleranza dell’ 1% indicherebbe indubbiamente una precisione maggiore rispetto ad una tolleranza del 5%: su un albero di diametro 20 mm si avrebbe nel primo caso una tolleranza di 0,2 mm e nel secondo di 1 mm, mentre su un albero di diametro 100 mm si avrebbero rispettivamente tolleranze di 1 e di 5 mm mantenendo gli stessi livelli di precisione. Per comodità e scelte progettuali e di controllo si preferisce considerare le dimensioni nominali non secondo una loro variazione continua, ma suddivise in gruppi dimensionali e stabilire le classi di tolleranza che tengono conto della precisione di lavorazione. La norma UNI EN 22768/1 stabilisce le tolleranze generali per le dimensioni lineari ed angolari, prive di indicazioni di tolleranza specifiche, e prevede quattro classi di tolleranza o gradi di precisione di lavorazione. Come prima detto, si sono suddivise le dimensioni in gruppi. Gli scostamenti per quote senza indicazione di tolleranza variano quindi secondo i gruppi di dimensioni e in funzione delle diverse classi di 30

tolleranza. È chiaro che se per qualche elemento sono richieste delle tolleranze più strette e o più ampie di quelle generali, esse devono essere indicate direttamente sul disegno, subito dopo la relativa dimensione nominale. Per dimensioni minori di 0,5 mm gli scostamenti vanno sempre indicati. Le tolleranze generali non si applicano alle dimensioni ausiliarie, indicate tra parentesi. Esistono tabelle dove sono riportati valori di tolleranza rispettivamente per dimensioni lineari, per smussi e per raccordi e per dimensioni angolari. Se si usano le tolleranze secondo queste tabelle, si devono riportare all’interno o nei pressi del riquadro delle iscrizioni l’indicazione ISO 2768 e la classe di tolleranza. Ad esempio: ISO 2768 – m L’indicazione delle tolleranze sulle singole dimensioni è quindi sostituita e riassunta da tale indicazione generale. Quando questa manchi del tutto, la normativa precedente (UNI 5307) assimilava tale mancanza ad una indicazione di classe di tolleranza “grossolana”. Oggi si sotto intende il riferimento all’abituale precisione di lavorazione dell’officina alla quale è affidata la costruzione del pezzo.

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2.6 Le tolleranze ISO. Le tolleranze generali prevedono indicazioni di scostamenti dell’ordine dei decimi di millimetro su dimensioni di un centinaio di mm e risultano valide per pezzi che non presentano esigenze di elevata precisione negli accoppiamenti. Per queste esigenze sono state codificate a livello internazionale le tolleranze di riferimento, note nella pratica come tolleranze ISO, codificate in Italia nella norma UNI EN 20286. Nel sistema ISO di tolleranze, per poter soddisfare tutte le necessità sia per i pezzi isolati sia per gli accoppiamenti, è previsto per ogni dimensione nominale un totale di 20 gradi di tolleranze normalizzate che definiscono l’ampiezza della zona di tolleranza e quindi la qualità o la precisione della lavorazione. Inoltre è prevista una gamma di scostamenti fondamentali che definiscono la posizione della zona di tolleranza rispetto alla linea dello zero. La posizione della zona di tolleranza viene designata con una o più lettere maiuscole per i fori (da A fino a ZC) e da una o più lettere minuscole per gli alberi (da a a zc). Tolleranze e scostamenti sono stati unificati per le dimensioni fino a 3150 mm. Esistono gradi di tolleranze normalizzati che variano con la dimensione nominale in quanto esprime l’ampiezza dell’errore tollerato che certamente è più elevato su dimensioni maggiori e minore su dimensioni minori, come detto in precedenza. Un determinato grado di tolleranza ITn è quindi un gruppo di tolleranze che individuano lo stesso livello di precisione pur variando le dimensioni nominali. Per semplicità, i valori riportarti dalle norme non sono stati calcolati separatamente per ciascuna dimensione nominale, ma per gruppi di dimensioni nominali e sono riferiti alla media geometrica (D) delle dimensioni estreme (D1 e D2) del gruppo considerato, cioè: √ I valori delle tolleranze fondamentali corrispondenti ai gradi da IT5 fino ad IT18 per le dimensioni nominali fino a 500 mm sono determinati in funzione dell’unità di tolleranza “i”, calcolata mediante la formula di natura empirica: 32

√ Per le dimensioni nominali comprese tra 500 e 3150mm l’unità di tolleranza è calcolata con la formula:

I gradi da 1 fino a 4 sono normalmente usati per calibri o pezzi di altissima precisione; quelli da 5 a 11 corrispondono alla precisione ottenibile con le normali lavorazioni; quelli dalla 12 in poi corrispondono a tolleranze di pezzi ottenuti con lavorazioni sempre più grossolane e quindi in genere non destinati ad accoppiamenti con altri componenti.

La posizione della zona di tolleranza rispetto alla linea dello zero è definita da uno dei due scostamenti, scelto convenzionalmente, che viene detto scostamento fondamentale; il suo valore dipende dalla dimensione nominale. Il sistema ISO prevede 27 posizioni, designate da lettere maiuscole per i fori e minuscole per gli alberi.

Figura 2.1 33

La figura mostra la rappresentazione grafica delle posizioni previste, in cui per i fori le posizioni da A ad H sono individuate dagli scostamenti inferiori Ei, mentre per le posizioni da K ZC gli scostamenti fondamentali sono quelli superiori; la posizione H è quella in cui lo scostamento fondamentale è inferiore è nullo. Per quanto riguarda gli alberi, vengono definiti come scostamenti fondamentali quelli superiori es per le posizioni da a d h, e quelli inferiori ei per gli alberi da k a zc.

L’albero di posizione h ha lo scostamento superiore nullo. Gli scostamenti fondamentali js e JS prescrivono una ripartizione simmetrica del grado di tolleranza normalizzato rispetto alla linea dello zero.

E per JS:

34

2.7 Accoppiamenti nel sistema ISO. Gli accoppiamenti tra alberi e fori, le cui dimensioni sono soggette a tolleranze secondo il sistema ISO, vengono designati indicando: -la dimensione nominale, comune ai due pezzi - i simboli che designano la tolleranza del foro e poi quelli relativi all’albero, separando i due con una barretta obliqua o scrivendoli come una frazione.

Per farne un esempio:

Nella pratica generale si osserva che lavorando con la stessa accuratezza si realizzano più facilmente le dimensioni esterne che quelle interne, cioè gli alberi sono più precisi dei fori e la finitura dei fori è in genere più costosa e difficoltosa di quella degli alberi. Per questi motivi di solito si accoppia un albero di grado di tolleranza normalizzato ITn con un foro di grado IT(n+1). Ad esempio: H7/f6, E8/h7 In linea di massima i gradi di tolleranza di due elementi accoppiati non dovrebbero differire di più di due valori. Combinando a due a due gli alberi ed i fori previsti nel sistema di tolleranze ISO, ne risulterebbe una serie molto elevata di accoppiamenti; per ridurli sono usati due sistemi di accoppiamenti a) Albero base: è un insieme sistematico di accoppiamenti nel quale i diversi giochi ed interferenze sono ottenuti combinando fori aventi diverse zone di tolleranza con un albero base avente posizione h (cioè la dimensione limite massima dell’albero è eguale a quella nominale, lo scostamento superiore è nullo). Esempio: 40H67h5, 28G7/h6 b) Foro base: è un insieme sistematico di accoppiamenti ottenuti combinando alberi aventi diverse zone di tolleranza con un foro base avente la posizione 35

H ( cioè la dimensione limite minima del foro è eguale a quella nominale, lo scostamento inferiore è nullo). Esempio : 18H6/g5, 32H7/j6 La scelta di uno rispetto ad un altro è abbastanza dibattuta e sul quale i pareri sono abbastanza discordi. In generale col sistema albero base c’è il vantaggio di una minore dotazione di calibri per esterni per controllare gli alberi e un maggior numero di calibri per controllare i fori che hanno diverse zone di tolleranza: i calibri a tampone sono meno costosi di quelli per esterni, che richiedono una rettifica interna, sempre più difficoltosa di quella esterna. Inoltre in commercio si trovano barre trafilate calibrate o rettificate già pronte ed unificate con tolleranza h, sulle quali si possono montare più fori aventi diverse zone di tolleranza, senza ulteriori lavorazioni dell’albero. Per contro ciò comporta la lavorazione di una più estesa gamma di fori, lavorazione più costosa di quella degli alberi. Il sistema albero base è spesso adottato nella costruzione di trasmissioni, di apparecchi di sollevamento, di macchine agricole dove ci si trova facilmente di fronte a un unico albero sul quale vengono montati, cioè accoppiati in vario modo, più elementi.

Con il sistema foro base non si deve avere un gran numero di alesatori fissi occorrenti per finire i fori: bastano quei pochi necessari per i fori H. Gli alberi che hanno le più svariate zone di tolleranza possono d’altronde essere controllati con calibri a forcella registrabili (mediante i blocchetti di riscontro), riducendo così il costo dei calibri. Se i fori sono ottenuti mediante brocciatura è conveniente dover ricorre soltanto a poche brocche, che sono utensili per grande produzione ma anche molto costosi. Il sistema foro base è in genere adottato nelle principali industrie meccaniche, come quella automobilistica, nella costruzione di macchine utensili e nell’industria aereonautica.

Anche con la limitazione dei due sistemi foro base ed albero basi si avrebbe ancora un numero troppo elevato di accoppiamenti possibili. In pratica, il campo entro il quale il progettista deve scegliere la tolleranza da assegnare è di solito piuttosto 36

ristretto, dato che ogni officina, compatibilmente con le esigenze tecniche, cerca di ridurre il piÚ possibile le spese di attrezzamento per utensili e calibri e quindi limita i gradi di tolleranza e le posizioni allo stretto necessario. Si ha però una selezione delle zone di tolleranza per alberi e fori il cu abbinamento porta agli accoppiamenti raccomandati , con lo scopo di limitare il numero degli utensili e dei calibri necessari. Le zone di tolleranza considerate sono le seguenti, citandone alcune.

Per alberi: a11,b11,c11,d9,f7,g6,h6,h7,h9,h11,js6,k6,n6,p6,r6,s6.

Per fori: A11,B11,C11,D10,E9,F8,G7,H7,H8,H9,H11,JS7,K7,N7,P7,R7.

37

CAPITOLO 3 3.1 Le grandezze fondamentali di un sistema soggetto a forze.

Prima di procede alla trattazione meccanica del nostro sistema, introduciamo le grandezze fondamentali di un sistema soggetto a forze. In generale tutte le strutture sono costituite da materiali deformabili le cui caratteristiche meccaniche possono essere desunte attraverso semplici prove di laboratorio. Questi materiali possono essere classificati in base alla loro omogeneità, isotropia e duttilità. Un materiali si dice omogeneo quando una qualunque porzione di esso possiede le medesime caratteristiche. Si dice isotropo un materiale le cui proprietà meccaniche e/o deformative non dipendono dalla direzione di osservazione. Un materiale anisotropo può essere ortotropo se le sue caratteristiche sono diverse in base a determinate direzioni mutuamente ortogonali. Un materiale è duttile se riesce a esplicare notevoli deformazioni prima di raggiungere la rottura, altrimenti si dirà fragile. Un esempio di materiale non omogeneo è il calcestruzzo, un materiale ortotropo è il legno, i materiali lapidei sono fragili, mentre l’acciaio è omogeneo, isotropo e duttile.

Al fine di definire il legame costitutivo di un materiale in termini di grandezze interne, supponiamo di sezionare il nostro provino con un piano

ortogonale al suo

asse e di individuare la sezione trasversale Ω la cui area è pari ad A. Affinché si mantenga l’equilibrio alla traslazione nella direzione del carico N applicato per ognuna delle due parti createsi a seguito della sconnessione, devono nascere sulla superfice Ω , delle forze distribuite sulla sezione, che sono chiamate tensioni. Tali forze devono equilibrare il carico esterno N. Immaginando che su ogni areola elementare dA della sezione trasversale Ω agisca una forza elementare dN, è possibile definire analiticamente il concetto di tensione mediante la seguente espressione:

38

Un campo vettoriale, in virtÚ del teorema di Helmotz, può decomporsi, in una componente a divergenza nulla (TOR) piÚ una componente a rotore nullo (TAG); inoltre tali componenti sono energeticamente ortogonali.

Possiamo decomporre in campo delle tensioni nella seguente maniera: ( )

( )

(r)

in A

Ovvero: - Il componente irrotazionale (a rotore nullo) definisce il problema del taglio approssimato (TAG) - Il componente solenoidale (a divergenza nulla) che identifica il problema della torsione (TOR)

Queste due componenti sono energicamente ortogonali: ovvero il lavoro di deformazione (lavoro interno) definito dalle tensioni scorrimenti angolari

compiuto per gli

è nullo.

39

3.2 Trattazione meccanica del sistema.

Per il nostro studio consideriamo una trave sottoposta a torsione uniforme quando all’estremità agiscono due coppie torcenti uguali ed opposte: - Quando si ha momento torcente uniforme sulla trave.

- In seno alla trave nascono solo tensioni tangenziali.

Figura 3.1 Le equazioni che descrivono il sistema sono:

Con c≠0, a=b=0 .

Si parla di torsione uniforme quando all’estremità del solido agiscono soltanto due coppie torcenti uguali ed opposte. Il sistema di forze risultante (equivalente) alle tensioni tangenziali da torsione deve avere: - Risultante nullo R=0.

Si osserva che:

40

Ovvero:

Quindi integrando sulla sezione si ha:

- Essendo Mf =0, il momento risultante equivalente con le tensioni tangenziali coincide con il momento torcente applicato alle sezioni di estremità:

Un modello interessante da studiare fu introdotto da Coulomb, modello cinematico che costituisce la base di partenza per il posizionamento del problema della torsione.

La soluzione di Coulomb vale solo per il caso di: - sezione circolare piena.

- Sezione circolare cava.

Il modello cinematico di Coulomb ci suggerisce che la generica sezione circolare, ad ascissa z, rimane retta. Inoltre ruota di un angolo φz(z) attorno al baricentro G della sezione ed inoltre è lineare con z: φz(z)=β z ovvero che la derivata dell’angolo, che definisce la curvatura torsionale, è costante.

41

Definiamo la curvatura torsionale β come la rotazione relativa di due sezioni rette poste ad una distanza unitaria.

In virtù dell’ipotesi φz(z)=β z, si ha il seguente campo di spostamento:

con un campo di deformazione associato:

Figura 3.2 Si nota che le fibre trasversali non subiscono variazioni di lunghezza e gli scorrimenti nel piano della sezione sono nulli. Le fibre longitudinali si dispongono come eliche cilindriche con angolo di rotazione lineare con

√

.

Essendo il materiale elastico lineare ed isotropo si avranno le seguenti tensioni:

Pertanto il vettore delle tensioni tangenziali è:

42

Figura 3.3 Ricapitolando, per la sezione circolare piena: - Noto il momento torcente Mz - Si calcola la curvatura torsionale - Si calcola il vettore della tensione tangenziale

il cui modulo è, con r Є [0,R]:

che ci dimostra che la tensione varia linearmente lungo il diametro.

- Il valore massimo si ha per r=R:

con

43

Gli studi compiuti da Coulomb possono essere estesi per sezioni circolare cave.

Si assume lo stesso modello cinematico, quindi si hanno le stesse espressioni per: - Le tensioni

( )

- La curvatura torsionale

Per le sezioni a cave spesse :

e di conseguenza

Figura 3.4

44

3.3 Ancoraggio in torsione.

Premesse. Con quanto segue, si vuole analizzare lo stato tensionale tangenziale nascente nella struttura costituita da due tubi coassiali, uno all’interno dell’altro e superfici a contatto variamente vincolati; nonché variamente vincolati alle estremità e di cui quello interno soggetto ad un momento torcente “M” applicato all’estremità libera, (fig. 1).

Tubo interno (1) albero (libero – libero) Tubo esterno (2) mozzo (incastro – libero) M = momento torcente applicato sul tubo (1) Figura 3.5 fig. 1 Schema strutturale base Si riportano alcuni schemi possibili in merito alle diverse modalità di superfici a contatto albero-mozzo, indicando con “k” il coefficiente di proporzionalità tra tensioni tangenziali e scorrimento relativo tra i due tubi.

Tubi incollatai.

Il “k” dipende dalle caratteristiche della colla e dallo spessore

Tubi con interferenza.

Il “k” dipende dalla scabrezza delle superfici a cantatto

Si indica inoltre con: P1 2

R1

Tubi con scanalatura Il “k” dipende dalla Geometria della scanalatura

(cm) perimetro mantello di collegamento 45

R14 2

I1

( R24

I2

G1

(cm4) momento inerzia polare tubo (1) R14 )

2 ;

G2

(cm4)

(N/cm2)

momento inerzia polare tubo (2) moduli elasticità tangenziale tubi (1) e (2)

(IG)1= I1 x G1

(IG)2= I2 x G2

Sforzi, tensioni e rotazioni nascenti nei due tubi in una generica sezione “z” a conseguenza dell’applicazione del momento torcente “M”.

-

τ(z)

(N/cm2) tensione tangenziale sul mantello di

collegamento come reazione per frizione con il tubo esterno (2)

Figura 3.6

m1 ( z)

-

( z) p1 R1 (Ncm)

(1) momento

torcente per unità di lunghezza,

generato da τ(z) e distribuito lungo l’asse “z” del tubo.

- τ1(z,r) con r Є (0; R1), tensione tangenziale sullo spessore.

-

M 1 ( z ) Momento torcente sulla sezione “z”, quale quota parte di “M”.

- τ(z) tensione tangenziale sul mantello interno del tubo (2) per frizione con il tubo interno (1).

Figura 3.7 46

-

m2 ( z)

( z) p1 R1

(Ncm) momento torcente per unità lunghezza, generato da τ(z) e distribuito lungo l’asse “z” del tubo.

di

- τ2(z,r) con r Є (R1; R2), tensione tangenziale sullo spessore del tubo (2) faccia “┴” all’asse “z”.

-

M 2 ( z ) Momento torcente sulla sezione “z” quale quota parte di M”.

Figura 3.8 (a) sez. “z”, con posizione particelle p1; p2, frontestanti prima di applicare il momento esterno “M”

(b) p1; p2, dopo l’applicazione di “M” .θ(z)= spostamento angolare di “p1” .γ(z)= spostamento angolare di “p2

Scorrimento relativo tra i tubi a distanza “z”

S(z)= R1( θ(z) – γ(z) )

(2)

Ipotesi di base.

II)

Comportamento elastico lineare

b) τ(z) = k x s(z) = k R1[ θ(z) – γ(z) ]

(3) legame costitutivo “tensione – scorrimento

relativo“

τ(z) (N/cm2 ) = tensione tangenziale sul mantello a distanza z; k (N/cm3 ) = costante di proporzionalità Analisi tensionale Dall’equilibrio globale del tratto (z – ℓ), si ha:

M

M 1 ( z) M 2 ( z)

(4)

47

Mentre, dall’equilibrio del tratto (z-ℓ), del singolo tubo (1), si ha:

M 1 ( z)

M

x z

m1 ( x) dx

(5)

La rotazione relativa della sezione “ℓ” rispetto alla sez“z”, è data da:

Essendo per z=0

(

z)

( 0)

0

(

Ed essendo risulta:

( z)

(

z)

z)

x

m1 ( x) ( x z ) dx z ( IG )1

tubo interno libero, si ha:

0)

( )

Ovvero

M ( ( IG )1

( )

M ( IG )1

( )

1 M z ( IG )1

z 0

(0)

0

M ( IG )1

0

m1 ( x) x dx ( IG )1

( z ) ovvero

m1 ( x) x dx

m1 ( x) x dx ( IG )1 (0)

( z)

( )

z m1 ( x) dx z

(

( 0)

z) ,

(6)

Per il tubo esterno (2), si ha:

Dall’equilibrio del tratto (z - ℓ), si ha:

M 2 ( z)

x z

m2 ( x) dx

(7)

48

ed essendo γ(0)=0 (vincolo incastro), con ragionamento simile al caso precedente, risulta:

( z)

0

m2 ( x) x dx z ( IG ) 2

z

m2 ( x ) dx ( IG ) 2 1 ( IG )1

Sostituendo (6) e (8) nella (3) e indicando con ( II )

( z)

k R1

M z ( IG )1

p1 R1 ( II )

z 0

( x) x dx

A2

( z)

0

(9)

1 si ottiene ( IG ) 2

p1 R1 ( II ) z

Che derivando due volte rispetto a “z”, e ponendo

d 2 ( z) dz 2

(8)

A2

( x)dx

z

k p1 R12 ( II )

k R1

risulta:

equazione differenziale risolutiva del problema

( z)

La cui soluzione è data da:

a e Az

b e

Az

(10)

Con a; b costanti d’integrazione da valutare con le condizioni al contorno, e che nel caso in esame sono: 1° c. al c.)

per z=0 si ha: θ(0) ≠0 tubo (1) libero γ(0) = 0 tubo (2) incastrato

Da (3) e (10) Risulta da cui

a b

(0) a e A0 b e

k R1

(0)

A0

k R1

(0) 0 (11)

49

(0)

2° c. al c.) Nel tratto che va da z=0 a z=ℓ, tutto il momento torcente “M” applicato, deve trasferirsi dal tubo (1) al tubo(2) attraverso il mantello. Pertanto, dalla (5) deve essere:

M 1 (0)

M

m1 ( x) dx

0

0

sostituendo la (1) e quindi l’espressione di τ(z)= (10) e facendo sistema con (11), si valuta:

a

k p1 R12 (0) (e A p R1 (e A e

1) M A A 2)

k p1 R12 (0) (e A 1) M A p R1 (e A e A 2)

b

Nell’incognita (0)

T ( z)

Indicando con

p1 R1

.z

( x) x dx

.0

p1 R1 z

. .z

( x) dx

che previa sostituzione di (10), e successiva integrazione, risulta:

T ( z)

Z1

avendo posto

Z2

A z (a

Si valuta:

A

(e

A

1 e A

A z (e A

M Z1 2) A

e

A

e A ) e Az (1 e

da (6)

da (8)

( z)

M z ( IG )1

( z)

(0) Z2 ( II )

) e A

Az

e Az

) (1 e A )e

( 0)

T ( z) ( IG ) 2

(12)

T ( z) ( IG )1

Az

(e

A

eA

(13)

(14)

50

2)

Sostituendo (10) (13) e (14) nella (3), si ottiene

(0)

Risulta inoltre per la τ(z) coordinata di minimo per “τ”.

2

M A ( IG ) 2 d ( z) dz

( IG ) 2 ( IG )1 (e A

0

eA e

zs

e

A

(15)

)

A

ln(b / a ) 2A

E a ritroso si valuta: - Da (12)

T(z)

- Da (13)

(z )

- Da (14)

(z )

- Coefficienti di integrazione a; b - Da (10)

τ(z)

Calcolo momento torcente M(z) sezione “z” e tensioni “τ” sulla faccia “┴” all’asse dei tubi.

Per tubo interno (1)

da (5)

M 1 ( z)

Per tubo esterno (2)

da (7)

M 2 ( z)

r Є (0 – R1) p1 R1 a(e Az A

1) b(e

1)

Az

1 ( z, r )

→

M 1 ( z) r I1

r Є (R1 – R2) p1 R1 a (e A A

e Az ) b(e

A

e

Az

)

→

2

( z, r )

M 2 ( z) r I2

51

3.4 Esempio numerico.

G1= 6.000.000 N/cm2 G2= 8.000.000 N/cm2 K= 8.000 N/cm3

I1(cm4 )

I2 (cm4 )

(II) (1/Ncm2 )

A (1/cm)

981,25

1053,47

2,8850687 10-10

0,042565515

(0) =0,0029018 10

-2

a = 0,022845

b = 1,1379

coordinate minimo per Ď„.

zs

ln(b / a) = 45,9079 cm 2A

Z (cm)

Ď„(z) N/cm2 sul mantello 0 1,16 25 0,459 45,9079 0,32 75 0,60 100 1,63

Calcolo rotazioni.

Z 0

T(z) 0

45,9077

342911,035

100

553799,45

(z ) rad.

(z ) rad -3

0,029018 x10 0,048688277 x10-3 0,104127 x10-3

0 0,040688177x103

0,065711x10-3

52

Calcolo tensioni faccia ┴ all’asse z. z

M1(z)

0 0 45,9077 4.112,80 100 10.000

τ1(z,5) (N/cm2 ) 0,0 20,96 50,96

M2(z)

τ2(z,5)

τ2(z,6)

10.0000 5.887,2 0,0

47,46 27,94 0

56,95 33,95 0,0

Si riportano in fine, il diagramma delle tensioni tangenziali sul mantello nei casi in cui uno dei due tubi è caratterizzato da rigidezza torsionale infinita.

Caso con tubo esterno infinitamente rigido

53

3.5 Modello 3D ed analisi sollecitazione.

Al fine di rendere ancora più completo lo studio fin qui trattato, si è proceduti alla modellazione 3D tramite il software Inventor di Autodesk®.

Come ben noto il sistema è composto da due cilindri coassiali, geometrie che il programma permette di creare in maniera immediata partendo da uno schizzo 2D ed utilizzando il comando “estrusione”.

Figura 3.9

Figura 3.10

54

Le dimensioni dei due oggetti sono le stesse dell’applicazione numerica vista in precedenza, ovvero: - R1= 5 cm - R2= 6 cm - Z= 100 cm

Tramite l’interfaccia Assieme possiamo unire i due oggetti definendo: - Tipo di accoppiamento(nel nostro caso privo di interferenza) - Superfici a contatto - Eventuale attrito

Figura 3.11

55

Per rendere ancora più completo il sistema, prima di procedere con l’analisi statica delle sollecitazioni, bisogna assegnare il materiale dei due cilindri, scegliendoli dalla libreria fornita dal software.

Nel nostro studio abbiamo analizzato due casi differenti: 1) Cilindro esterno ed interno rispettivamente in Acciaio e Ferro fuso.

2) Cilindro esterno ed interno rispettivamente in Titanio e Gomma.

Caso 1 La scelta del binomio Acciaio-Ferro è stata dettata dal fatto che presentano entrambi moduli di elasticità

simili a quelli utilizzati dall’Ing. Grasso nell’applicazione

numerica del capitolo precedente.

Vincolato il sistema ed applicato un Momento torcente M(z) si procede con la vista Mesh e con l’analisi delle sollecitazioni, di seguito riportate.

Figura 3.12

56

Figura 3.13 Caso 2 Nell’analisi numerica svolta dall’Ing. Grasso si parla di tubo esterno infinitamente rigido senza però esplicitarne i moduli di elasticità: di conseguenza i materiali scelti sono il Titanio per il cilindro esterno e la Gomma per il cilindro interno.

In maniera analoga al caso 1, seguono la vista Mesh e l’analisi delle sollecitazioni.

Figura 3.14 57

Figura 3.15

58

3.5 Modellazione parametrica.

Per procedere alla modellazione parametrica di un accoppiamento albero-mozzo con interferenza, utilizziamo lo stesso sistema ipotizzato dall’Ing. Grasso(Figura 3.12) con l’aggiunta di tre diversi casi di interferenza nell’accoppiamento.

Per creare lo stato di interferenza si è provveduti a variare il raggio del cilindro interno, mantenendo il cilindro esterno invariato.

Ricordiamo che: - R1= 50 mm - R2= 60 mm - Z= 1000 mm Interno Raggio Caso 1 Caso 2 Caso 3

(mm) 5,1 mm 5,5 mm 5,9 mm

Il software(lo stesso utilizzato in precedenza) permette di determinare l’interferenza volumica tramite lo strumento “Analisi interferenza”.

Interno Raggio Caso 1 Caso 2 Caso 3

(mm) 5,1 mm 5,5 mm 5,9 mm

Interferenza 7,87 x 10^3 3,95 x 10^4 7,13 x 10^7

(mm3) (mm3) (mm3) (mm3)

Come fatto nel Capitolo 3 vincoliamo il sistema in Z=0 ed applichiamo in Z= 1000 mm un momento torcente M = 100.000 N mm.

Si ricorda che il Momento viene applicato solo al cilindro interno.

59

Caso 1

Figura 3.16

Figura 3.17

60

Caso 2

Figura 3.18

Figura 3.19

61

Caso 3

Figura 3.20

Figura 3.21

62

Dopo aver provveduto all’analisi delle sollecitazioni dei tre casi, i dati sono stati tabellati e riportati di seguito.

Interno Raggio Caso 1 Caso 2 Caso 3

(mm) 5,1 mm 5,5 mm 5,9 mm

Interferenza 7,87 x 10^3 3,95 x 10^4 7,13 x 10^7

(mm3) (mm3) (mm3) (mm3)

τ1 0 MPa 1,055 MPa 10,29 MPa Z=0

τ2 11,41 0,644 6,24 Z=1000

Definendo: - τ1 le tensioni tangenziali in Z = 0 - τ2 le tensioni tangenziali in Z = 1000 mm

Per rendere lo studio più completo, i dati trovati sono stati rappresentati in un grafico a dispersione: 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

τ1 τ2

5

5,2

5,4

5,6

5,8

6

63

(MPa) MPa MPa MPa

Le due curve rappresentano gli andamenti delle tensioni τ1 e τ2 al variare del raggio del cilindro interno(valori ascissa) e di conseguenza dell’interferenza.

Notiamo che: - All’incastro (Z =0) abbiamo valori maggiori di tensioni tangenziali per il Caso 3 di interferenza e nulle per Caso 1 di interferenza.

- Nel punto di applicazione di M (Z= 1000 mm) abbiamo valori maggiori di tensioni tangenziali per il Caso 3 di interferenza e valori minori per il Caso 2 di interferenza.

Successivamente si è volutamente fatto un azzardo: mantenere immutato il raggio del cilindro esterno, dimezzarne la lunghezza e variare il raggio del cilindro interno in maniera analoga allo studio precedente.

La lunghezza dimezzata (Z2 = 500 mm) ha restituito valori differenti di interferenza volumica: Interno Raggio (mm) Caso 1 5,1 mm Caso 2 5,5 mm Caso 3 5,9 mm

Interferenza 3,93 x 103 1,97 x 103 3,56 x 103

(mm3) (mm3) (mm3) (mm3)

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Applicato il medesimo sistema di forze, il sistema ci ha restituito i seguenti valori: Interno Raggio (mm) Caso 1 5,1 mm Caso 2 5,5 mm Caso 3 5,9 mm

Interferenza 3,93 x 103 1,97 x 103 3,56 x 103

(mm3) (mm3) (mm3) (mm3)

τ1 0,03 MPa 0,0024 MPa 0,03 MPa Z=0

τ2 4,044 0,359 3,26 Z=1000

(MPa) MPa MPa MPa

4,5 4 3,5 3 2,5

τ1

2

τ2

1,5 1 0,5 0

-

5

5,2

5,4

5,6

5,8

6

Notiamo che le tensioni τ1 assumono valori prossimi allo zero, quindi da considerarsi nulle mentre le tensioni τ2 assumono valore massimo per il Caso 1 di interferenza e minime per il Caso 2 di interferenza.

65

Introducendo Δτ= τ1-τ2 ed inserendo in una tabella i valori dei tre raggi differenti del cilindro interno in funzione dei casi di L =1000 mm e L =500 mm notiamo che ad una variazione di segno del Δτ

corrisponde un’inversione di andamento delle

tensioni.

Δτ= τ1-τ2 5,5 mm 0,411 L=1000 mm -4,014 L=500 mm 5,1 mm -11,41 L=1000 mm -4,014 L= 500 mm 5,9 mm 4,05 L=1000 mm -3,23 L=500 mm

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CONCLUSIONI Il lavoro svolto, sulla base dei calcoli svolti dall’Ing. Grasso, è stato quello di verificarne la correttezza tramite l’ausilio del software Inventor di Autodesk®. a) Come calcolato dall’Ing. Grasso e verificato dal software si nota che: - Nel Caso 1 le tensioni non assumono valore nullo in Z= 0 cm e in Z= 100 cm.

- Nel Caso 2 le tensioni sul mantello assumono valore nullo per Z=0 cm e valore massimo per Z= 100 cm Si intendono valutati gli andamenti delle tensioni in funzione della lunghezza e non la precisione numerica. b) Dalla modellazione parametrica di un accoppiamento albero-mozzo, approssimato al sistema ipotizzato dall’Ing. Grasso, si è constatato che sullo stato tensionale incide maggiormente la differente sezione longitudinale rispetto la variazione di interferenza.

Come schematizzato nella tabella

Δτ= τ1-τ2, il dimezzare la lunghezza ha portato ad avere nel Caso 2 e nel Caso 3 un inversione di posizione delle sollecitazioni massime e minime da un estremo all’altro del sistema. c) Inoltre lo studio ha permesso di valutare il comportamento dell’accoppiamento al variare del rapporto tra i moduli di Young dei materiali che costituiscono l’albero ed il mozzo. In particolare si è visto come variano le tensioni massime al variare di

.

In conclusione il modello proposto consente di ottimizzare le sollecitazioni nell’accoppiamento albero-mozzo al variare dei parametri L, R, E.

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E’ mio desiderio ringraziare: - Il revisore Prof. Ing. Michele Calì per la disponibilità ed il supporto datomi alla stesura dell’elaborato di fine corso.

- L’Ing. Grasso per i dati concessi.

- La mia famiglia per la vicinanza in questi anni.

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INDICE DELLE IMMAGINI Capitolo 1: - Figura 1.1: differenti tipologie di accoppiamenti albero-mozzo.

- Figura 1.2: rappresentazione accoppiamento albero-mozzo.

- Figura 1.3: rappresentazione accoppiamento albero-mozzo con chiavetta.

- Figura 1.4: modalitĂ misura cave.

- Figura 1.5: rappresentazione chiavetta con nasello.

- Figura 1.6: rappresentazione accoppiamento albero- mozzo con chiavetta a nasello e grano di fissaggio.

- Figura 1.7: disposizione di piÚ chiavette a 120°.

- Figura 1.8: dimensioni di chiavette (tipo UNI 6607) e chiavette a nasello (tipo UNI 6608).

- Figura 1.9: rappresentazione linguette.

- Figura 1.10: linguette previste nelle norme UNI 6605.

- Figura 1.11: unificazione linguette di tipo ribassato.

- Figura 1.12: rappresentazione esempio di quotatura di un albero con una cava per linguetta a disco.

- Figura 1.13: rappresentazione snodo realizzato con perno con testa.

- Figura 1.14: rappresentazione spina elastica con funzione di arresto.

- Figura 1.15: applicazioni coppiglie.

- Figura 1.16: rappresentazione spine elastiche.

Capitolo 2 - Figura 2.1: Grafico scostamento fondamentale Capitolo 3 - Figura 3.1: rappresentazione trave sottoposta a torsione uniforme.

- Figura 3.2: rappresentazione curvatura torsionale.

- Figura 3.3: rappresentazione deformazione torsionale.

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- Figura 3.4: rappresentazione sezioni travi “spesse�.

- Figura 3.5: sistema in oggetto di studio Ing. Grasso - Figura 3.6 : applicazione momento M(z) al sistema (tubo interno).

- Figura 3.7: applicazione momento M(z) al sistema (tubo esterno).

- Figura 3.8 : rappresentazione spostamento particelle infinitesimali.

- Figura 3.9: modello 3D cilindro esterno.

- Figura 3.10: modello 3D cilindro interno.

- Figura 3.11: assieme cilindro interno-esterno.

- Figura 3.12: mesh Caso 1.

- Figura 3.13: analisi sollecitazione Caso 1.

- Figura 3.14: mesh Caso 2.

- Figura 3.15: analisi sollecitazione Caso 2.

- Figura 3.16: analisi sollecitazione Caso 1 interferenza.

- Figura 3.17: mesh Caso 1 interferenza.

- Figura 3.18: analisi sollecitazione Caso 2 interferenza.

- Figura 3.19: mesh Caso 2 interferenza.

- Figura 3.20: analisi sollecitazione Caso 3 interferenza.

- Figura 3.21: mesh Caso 3 interferenza.

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