LAMPADARI

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Bruxelles nel 1727 di lampadari a dodici bracci, mentre un commerciante francese, Claude de la Roue, riempiva per i sovrani francesi le dimore di Marly e di Choisy di lampadari boemi proprio attorno alla metà del secolo (3). Ma dobbiamo in questo caso (e forse in svariati altri) supporre che si importassero esclusivamente i pezzi vitrei mentre la fattura e il disegno d’insieme dovevano essere stati affidati a ornatisti e maestri locali. Durante gli anni di Luigi XVI e di Maria Antonietta la moda non cessa, anche se adesso l’Inghilterra sembra minacciare il primato delle esportazioni. Di lì a poco le cristallerie francesi del Moncenisio renderanno autonoma la produzione di lampadari e lumi per le regge napoleoniche. Ma la Boemia non cesserà, come aveva d’altronde fatto durante tutta la seconda metà del secolo, di essere la meta preferita dei committenti nordici come l’Imperatrice Elisabetta, i sovrani danesi, la corte polacca e tutti i minuscoli stati sovrani della Germania per arrivare a toccare persino i palazzi del Portogallo e quelli, rutilanti, del Gran Sultano. * Ma per tornare alla storia del del gusto, che è poi quella Fig. 2 - Progetto di lampadario, New York, Cooper-Hewitt che aiuterà, più dei fatti tecnici ed economici, a comMuseum prendere meglio lo stile di questi fogli, andrà ancora esaminata la questione francese. Si è soliti affermare che i lampadari à cage di gusto rococò vengono soppiantati a Parigi da quelli impostati su un grande cerchio metallico intorno al 1770. Resta il fatto che gran parte degli esemplari sopravvissuti o dei disegni di ornatisti neoclassici francesi sembra privilegiare un impiego generoso del bronzo dorato che non solo forma cerchio e asta di sostegno ma si forgia in molteplici elementi decorativi senza funzione se non quella ornamentale. Basta scorrere gli schizzi del geniale J.D. Dugourc per far chiaro sull’assunto: putti, volute, elementi archeologizzanti, naturalistici e fantastici bilanciano l’uso del cristallo e danno un andamento assai poco geometrico all’insieme (siamo negli anni Ottanta e la preziosità compositiva dello stile Louis XVI è all’apice) (4). Nel catalogo della leggendaria vendita dei beni appartenuti al Duca d’Aumont, nel 1783, comparve invece un lampadario forse più semplice ma comunque dotato di bracci a fogliami in bronzo dorato e di perle sertite che si dicono essere vere (non si sa con quanta onestà): quel che è comunque interessante è la relativa sobrietà del progetto che assume la forma a campana da allora in poi consueta e che culmina in basso in una tazza in cristallo blu (5). Percier e Fontaine, nel loro Recueil del 1814, dedicano una certa attenzione ai lampadari ma il risultato, come è prevedibile per la poetica del momento, gronda di Vittorie imperiali e di una retorica figurativa che affida all’ormoulu la parte di protagonista. Non così in altre lande. Esistono disegni diversi, sparsi qua e là, che descrivono elementi del genere che qui trattiamo in uno stile più prossimo a quello espresso nei fogli di Praga, l’oggetto di questo catalogo. Pensiamo ad esempio ad un


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