LAMPADARI

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I LAMPADARI DI CRISTALLO Ventinove disegni di una manifattura boema

Catalogo a cura di Francesca Antonacci

Roma, 1 dicembre 2003 - 15 gennaio 2004

FRANCESCA ANTONACCI Via Margutta 54, Roma


I LAMPADARI DI CRISTALLO Ventinove disegni di una manifattura boema

Catalogo edito in occasione della mostra “I lampadari di cristallo. Ventinove disegni di una manifattura boema” Roma, 1 dicembre 2003 - 15 gennaio 2004

© Francesca Antonacci Via Margutta, 54 00187 Roma Tel. +39.06.45433036 - +39.06.45433054 e-mail: info@francescaantonacci.com http://www.francescaantonacci.com

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I LAMPADARI DI CRISTALLO Roberto Valeriani

Esistono momenti dello stile che godono di una particolare fluidità. Si ha un bel dire, ad esempio, che è facile distinguere, per un occhio esperto, la mobilia dell’ultimo Settecento -mentre ancora sopravviveva l’ancien régime e il continente si ispirava alle mode parigine con fantasie talvolta dialettali- da quella del primo Impero (e per primo si intende il periodo di gestazione dello stile napoleonico). Le variazioni di latitudine, le idiosincrasie delle varie classi dominanti, la diversa prosperità di ogni singola corte rendono la materia fluida, sensibile ad anticipazioni e ritardi che incrinano le certezze accademiche che vorremmo fossero verità assolute. Un ulteriore elemento che non aiuta certo a stabilire regole è la natura stessa dei diversi manufatti: un conto è parlare di sedie e commodes, un’altro, per avvicinare il tema che qui ci tocca, è quello di mobilia più flessibile e meno studiata come le fonti di illuminazione. Lo straordinario nucleo di disegni illustrati in queste pagine ne è l’esempio più palese, aperto alle novità, eroiche e pittoresche insieme, del primo Ottocento ma memore di certe vaghezze francesi che riportano addirittura agli anni di Luigi XVI. Qualche breve scritta che accompagna i nostri progetti permette di ricondurre alla capitale Boema la formazione di questo insieme e al nome di una delle più celebrate manifatture di cristalli del primo Ottocento – ma di essa discuteremo oltre. La mano del disegnatore è sicura, lo si direbbe un tecnico oltreché un progettista; il suo senso cromatico è impeccabile nell’alternare all’immagine solo delineata, appena rialzata dall’inchiostro, quella del medesimo oggetto sfavillante di luci biancastre, di tocchi blu o rossi e di un oro disteso con dovizia musicale. E questo aggettivo non sembri paradossale poiché l’importanza di una certa ispirazione melodica è un fatto tutt’altro che casuale nella ideazione di oggetti di lusso nel mondo nordico (un celebre centrotavola in porcellana di Vienna, come è noto, trae vita da una composizione di Haydn). Ma restano il dubbio e il quesito su come e quando questi preziosi foglietti siano stati composti. Che si tratti di un catalogo perfettamente compiuto appare indubbio. Il repertorio è vasto, ben congegnato secondo la maniera tradizionale di una volta, quando agenti e artigiani proponevano modifiche sottili su una stessa sagoma, variazioni di colore o di misura, aggiungendo e togliendo con perizia consumata in modo che il cliente avesse sott’occhio in un solo istante possibilità diverse ed allettanti. Nel periodo in cui questi disegni vennero composti Praga e altri centri boemi godevano ormai di una supremazia quasi assoluta Fig. 1 - L.D. Soldini, Progetto di lampadario, Berlino, Kunstbibliothek nella fabbricazione del cristallo. A contrastarla era, pressoché esclu-


sivamente, la concorrenza inglese. Come è noto fu proprio in Inghilterra che nella seconda metà del Seicento venne inventato il cristallo ma quasi contemporaneamente in Boemia una formula analoga, ma con componenti calcio-potassiche, dava origine ad una materia più leggera di quella inglese e nel contempo più dura e resistente, qualità tutte che la resero ideale sia per incisioni alla mola sia per la costruzione di lampadari che avevano un peso minore di quelli inglesi. Soppiantando il costosissimo cristallo di rocca, quello artificiale sembra aver immediatamente, almeno dai primi del Settecento, conquistato un mercato vastissimo. Se le forme, all’origine, devono essersi ispirate con una certa fedeltà agli schemi parigini, imitando persino nel taglio dei singoli elementi le lineee sinuose o rotondeggianti degli antichi pendenti in cristallo di rocca, la tecnica deve aver portato con una certa rapidità a soluzioni innovative che guardavano, semmai, a quei prismetti a punta di diamante che le manifatture inglesi sfornavano a migliaia. Comprendere quanto e come lampadari del genere abbiano mutato l’aspetto degli interni aulici europei significa rivolgere lo sguardo ad un elemento, quello della luce, fra i più elusivi e irricostruibili per colui che oggi studia o riallestisce interni storici. Bisogna riuscire ad immaginare la qualità luminosa della fiamma di decine di candele scomposta e moltiplicata negli interni ancora barocchi che si andarono allietando di una simile innovazione. Che aspetto avranno avuto, ad esempio, le aule grandiose, assiepate di antichi dipinti, del palazzo di città del Principe Marcantonio Borghese, a Roma, dopo che venne installato il lampadario di Boemia “a più colori”, dal costo elevatissimo, acquistato nel 1778 presso un mercante, Giovanni Gualdi, che deteneva contatti con i quattro angoli del continente in materia di oggetti di lusso? (1) Anche l’orgogliosissima Francia non seppe resistere alla moda, almeno da un punto di vista della materia. Sin dal 1699 abbiamo notizia, ad esempio, di un fabbricante di lampadari in “cristal fondu” che chiedeva di brevettare le proprie realizzazioni. Ma non dovette avere gran successo se, come ricorda l’eruditissimo Dictionnarie de l’ameublement compilato sullo scorcio dell’Ottocento da Henry Havard, tutti i documenti parigini relativi a fonti luminose in cristallo nell’intero XVIII secolo parlano di cristallo di Boemia: ne vende il più celebre marchand-mercier del regno di Luigi XV, Lazare Duvaux, e se ne incontrano persino nelle stanze di Versailles (2). Johann Ferdinand Bramberk, vetraio e mercante praghese, dota la reggia di


Bruxelles nel 1727 di lampadari a dodici bracci, mentre un commerciante francese, Claude de la Roue, riempiva per i sovrani francesi le dimore di Marly e di Choisy di lampadari boemi proprio attorno alla metà del secolo (3). Ma dobbiamo in questo caso (e forse in svariati altri) supporre che si importassero esclusivamente i pezzi vitrei mentre la fattura e il disegno d’insieme dovevano essere stati affidati a ornatisti e maestri locali. Durante gli anni di Luigi XVI e di Maria Antonietta la moda non cessa, anche se adesso l’Inghilterra sembra minacciare il primato delle esportazioni. Di lì a poco le cristallerie francesi del Moncenisio renderanno autonoma la produzione di lampadari e lumi per le regge napoleoniche. Ma la Boemia non cesserà, come aveva d’altronde fatto durante tutta la seconda metà del secolo, di essere la meta preferita dei committenti nordici come l’Imperatrice Elisabetta, i sovrani danesi, la corte polacca e tutti i minuscoli stati sovrani della Germania per arrivare a toccare persino i palazzi del Portogallo e quelli, rutilanti, del Gran Sultano. * Ma per tornare alla storia del del gusto, che è poi quella Fig. 2 - Progetto di lampadario, New York, Cooper-Hewitt che aiuterà, più dei fatti tecnici ed economici, a comMuseum prendere meglio lo stile di questi fogli, andrà ancora esaminata la questione francese. Si è soliti affermare che i lampadari à cage di gusto rococò vengono soppiantati a Parigi da quelli impostati su un grande cerchio metallico intorno al 1770. Resta il fatto che gran parte degli esemplari sopravvissuti o dei disegni di ornatisti neoclassici francesi sembra privilegiare un impiego generoso del bronzo dorato che non solo forma cerchio e asta di sostegno ma si forgia in molteplici elementi decorativi senza funzione se non quella ornamentale. Basta scorrere gli schizzi del geniale J.D. Dugourc per far chiaro sull’assunto: putti, volute, elementi archeologizzanti, naturalistici e fantastici bilanciano l’uso del cristallo e danno un andamento assai poco geometrico all’insieme (siamo negli anni Ottanta e la preziosità compositiva dello stile Louis XVI è all’apice) (4). Nel catalogo della leggendaria vendita dei beni appartenuti al Duca d’Aumont, nel 1783, comparve invece un lampadario forse più semplice ma comunque dotato di bracci a fogliami in bronzo dorato e di perle sertite che si dicono essere vere (non si sa con quanta onestà): quel che è comunque interessante è la relativa sobrietà del progetto che assume la forma a campana da allora in poi consueta e che culmina in basso in una tazza in cristallo blu (5). Percier e Fontaine, nel loro Recueil del 1814, dedicano una certa attenzione ai lampadari ma il risultato, come è prevedibile per la poetica del momento, gronda di Vittorie imperiali e di una retorica figurativa che affida all’ormoulu la parte di protagonista. Non così in altre lande. Esistono disegni diversi, sparsi qua e là, che descrivono elementi del genere che qui trattiamo in uno stile più prossimo a quello espresso nei fogli di Praga, l’oggetto di questo catalogo. Pensiamo ad esempio ad un


fantasioso progetto per lampadario della Kunstbibliothek di Berlino (Fig. 1), attribuito all’ancor poco noto Luigi Domenico Soldini, nato a Firenze intorno al 1715 ma attivo dalla metà del secolo a Parigi: in esso la presenza del metallo serve di pretesto per creare una forma che ricorda quella di un pallone aereostatico, strozzata in basso per divaricarsi nei bracci esili e tutta imbracata da filari di gocce cristalline (6). Nel Cooper-Hewitt Museum di New York è conservato invece un foglio che, caso raro, presenta una scritta esplicativa in italiano: anche in questo, come nei modelli francesi, il bronzo abbonda ma il movimento a campana dei serti di cristallo contrapposto alla gran tazza sottostante, è parente prossimo dei progetti praghesi e non va neanche dimenticato il fatto che il concetto di rappresentazione grafica è lo stesso, arricchendosi del delicato fiocco in seta colorata che lega, come sui nostri fogli, il tutto al margine superiore (Fig. 2) (7). E che dire ancora dei due lampari visti da Sir Robert Smirke in Palazzo Balbi, a Genova, nel 1802? L’architetto li ritrasse in un disegno meticoloso specificando, per nostra ulteriore fortuna, che erano stati acquistati a Vienna: le loro sagome sono quanto di più prossimo ai nostri progetti si possa immaginare, scatole chiuse in un’ossessiva ripetizione di prismi sfaccettati, una con due coni tronchi contrapposti l’altra con un cilindro percorso da tralicci chiuso in basso da una grande tazza e in alto da un cupolino a pagoda (8). Varcato il secolo le sagome si faranno più grandiose e spoglie nel contempo, abbandonando i graziosi tralci di felce, le gocce colorate montate come il pendente di un collier, gli scoppi pirotecnici. Architetti come Thomas Hope, Karl Friedrich Schinkel, o mercanti come William Collins alterneranno di volta in volta una versione austera dell’archeologia a vertiginose costruzioni fatte di sola luce che sanno già di Secondo Impero. Ma cosa dire a questo punto del gusto espresso nei fogli che, come si accennava sopra, si accompagnano a una scritta che li riporta all’attività di Franz Steigerwald? Il nostro artefice, in realtà, non era neppure boemo ma bavarese, allievo di un grande fabbricante di vetri quale Meyr d’Adolfov, che l’aveva introdotto ai segreti del mestiere. Aprì la sua officina sul versante tedesco della foresta boema e vi pose alla guida suo fratello


Wilhelm: il suo colpo di genio consistette nell’inviare i suoi migliori artigiani a Parigi per perfezionare il gusto e la tecnica riuscendo in questo modo a qualificarsi come il solo vero concorrente del più celebrato cristalliere boemo del primo Ottocento, Friedrich Egermann (9). La fortuna di Steigerwald (che a quanto pare aveva emittenti anche a Praga) durò a lungo e culminò con i successi ottenuti alle gloriose esposizioni universali di metà secolo. Ma sia Egermann sia Steigerwald non dovettero immischiarsi molto nel disegno dei loro manufatti. L’ombra di un anonimo ornatista aleggia ancora sui nostri fogli il cui senso della geometria compatta ma contemporaneamente spezzata da divertiti ornamenti ci fa capire quale profumo avesse, ai sensi di un nordico, l’aria di Parigi. Qui e là sembra di poter cogliere quasi l’esasperazione ornamentale del più puro Luigi XVI, ma si tratta di ricordi ovvi per il mondo teutonico e, nonostante l’apparente complessità, questi progetti spiccano per la distribuzione chiara dei vari livelli decorativi, per la ricchezza che si materializza nelle stelle e nei pendenti che sembrano tolti di peso dalle vesti e dai seni delle sorelle Bonaparte o delle dame della Restaurazione. Se c’è un confronto da fare fra le fantasie del cristalliere praghese con le arti decorative europee forse quello con l’arte del gioiello finirà per essere il più calzante.

NOTE (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) (8) (9)

E. Colle, A. Griseri, R. Valeriani, Bronzi decorativi in Italia, Milano, 2001, p.183 P. Verlet, Les bronzes dorés franòais du XVIIIe siècle, Parigi, 1987, pp.92-94 A. Langhamer, Le Verre de Bohême, Parigi, 2002, pp.56-57. De Dugourc a Pernon, catalogo della mostra, Lione, 1990, ill. a p. 24, 25, 37: si tratta di progetti relativi a commissioni per la corte russa e quella di Madrid. C. Davillier, Le Cabinet du Duc d’Aumont, Parigi, 1870, riedizione a cura di J. Parker, New York, 1986, tav.351 E. Berrckenhagen, Die Französischen Zeichnungen der Kunstbibliothek Berlin, Berlino, 1970, p.270, Hdz 2859 datato al 1785 circa. French and Italian Drawings and Prints from the Cooper Hewitt Museum, catalogo della mostra, Washington, 1978, n.123 Ill. in A. Gonzalez-Palacios, Il mobile in Liguria, Genova, 1996, fig.362. Langhamer, op. cit. a nota 3, pp.71-75



TAVOLE



1.

Matita, penna, inchiostro giallo e azzurro; misure: 252 x 170 mm In alto a destra: “N. 1�; iscrizione in basso a destra. Scala metrica lungo margine sinistro


2.

Matita, penna, inchiostro rosso, azzurro e giallo; misure: 300 x 175 mm In alto a destra: “N. 2�; iscrizione in basso; scala metrica lungo margine sinistro


3.

Matita, penna, inchiostro rosso, azzurro e giallo; misure: 260 x 160 mm In alto a destra: “N.3�; iscritto in basso; scala metrica lungo margine sinistro


4.

Matita, penna, e inchiostro blu; misure: 298 x 172 mm In alto a destra: “ N.4�; iscritto in basso; scala metrica lungo margine sinistro


5.

Matita, penna, inchiostro giallo e azzurro; misure: 198 x 135 mm In alto a destra : “N. 10�


6.

Matita, penna, inchiostro grigio, rosa, giallo e oro; misure: 240 x 170 mm In basso a destra: “N. 1�


7.

Matita, penna, inchiostro grigio, rosa, giallo e oro; misure: 262 x 194 mm In basso a destra: “N.2�


8.

Matita, penna, inchiostro grigio, rosa, giallo e oro; misure: 325 x 210 mm In basso a destra: “ N. 3�


9.

Matita, penna, inchiostro grigio, rosa e oro; misure: 236 x 170 mm In basso a destra: “N. 4�


10. Matita, penna, inchiostro grigio, rosa e oro; misure: 236 x 176 mm In basso a destra: “ N. 5�


11. Penna, inchiostro grigio, rosa e oro; misure: 240 x 175 mm In basso a destra: “ N. 6�


12. Penna, inchiostro argento, rosa e giallo; misure: 236 x 170 mm In basso a destra: “N. 7�


13. Penna, inchiostro argento, rosa e grigio; misure: 235 x 166 mm In basso a destra: “N. 8�


14. Matita, penna, inchiostro giallo e grigio; misure: 382 x 240 mm In alto a destra: “A�


15. Penna e inchiostro; misure: 382 x 240 mm In alto a destra: “B�


16. Penna, inchiostro giallo e azzurro; misure: 382 x 228 mm In alto a destra: “D�


17. Penna e inchiostro; misure: 383 x 238 mm In alto a destra: “E�


18. Matita, penna, inchiostro giallo, marrone e grigio; misure: 380 x 228 mm In alto a destra: “F�


19. Penna e inchiostro; misure: 385 x 237 mm In alto a destra: “G�


20. Matita, penna e inchiostro giallo e azzurro; misure: 228 x 190 mm In alto a destra: “H�


21. Penna e inchiostro; misure: 240 x 192 mm In alto a destra: “I�


22. Penna, inchiostro giallo e azzurro; misure: 228 x 190 mm In alto a destra: “K�


23. Penna e inchiostro; misure: 238 x 195 mm In alto a destra: “L�


24. Penna, inchiostro giallo e azzurro; misure: 229 x 190 mm In alto a destra: “M�


25. Penna, inchiostro giallo e grigio; misure. 375 x 228 mm In alto a destra: “C�; iscritto in basso


26. Penna, inchiostro giallo e azzurro; misure: 230 x 190 mm In alto a destra: “O�; iscritto in basso


27. Matita, patita, penna e inchiostro; misure: 240 x 190 mm In alto a destra: “P�; iscritto in basso


28. Penna, inchiostro giallo e grigio; misure: 220 x 185 mm In alto a destra: “q�; iscritto in basso


29. Matita, penna, inchiostro giallo e azzurro; misure: 185 x 230 mm In alto a destra: “R�; iscritto in basso


30a. Due incisioni con lampadari a tazza e a vaso


30b. Incisione con un lampadario ovoidale


30c. Incisione con un lampadario a lira


30d. Incisione con un lampadario a dodici luci


30e. Incisione con un lampadario a sette cerchi


30f. Incisione con un lampadario a quattro luci


30g. Incisione con un lampadario a sei luci


30h. Incisione con un lampadario con parti in vetro colorato e dettaglio dei dischi


Finito di stampare nel mese di Novembre 2003




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