VUOTO IN MARE

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A mio padre.



Vuoto in mare

Alex Cavuoto


ISIA Urbino Diploma Accademico II Livello con Indirizzo in Fotografia dei Beni Culturali A.A. 2015/2016 Progettazione per l’editoria II Leonardo Sonnoli / Jason Fulford Alex Cavuoto


“La tua fotografia è, per chi sa vederla, una registrazione della tua vita.” Così affermava Paul Strand, fotografo che all’inizio del XX secolo contribuì a dare dignità artistica alla fotografia. Alla luce di queste dichiarazioni mi sono fermato a pensare a dei luoghi importanti, dei luoghi felici, che conservo come dolce ricordo ma che non ho mai potuto rappresentare (e rendere poi tangibili) con la fotografia. Ho deciso di indagare un posto a me molto caro attraverso la macchina fotografica, per poterlo esplorare adottando un diverso punto di vista. Ho scelto il lungomare di Pesaro (in cui sono nato e vivo) perché legato a tanti ricordi della mia infanzia e parte del mio presente. Il mio rifugio nei momenti in cui ho bisogno di pace. D’estate è un luogo pieno di vita, vista la cultura balneare e turistica della città, mentre d’inverno è come un luogo desolato e lasciato a se stesso. Ho cominciato ad esplorare il posto con occhi nuovi e ho iniziato a pormi delle domande. Prima di andare a fotografare, la mia intenzione era quella di cercare una fotografia più pulita di forme e contrasti, ma una volta sul luogo, pur tentando di seguire questo obiettivo, ho restituito delle fotografie solo leggermente svuotate. Gli scatti erano ancora estremamente carichi. Sono tornato più e più volte sui miei passi partendo sempre con la stessa idea, ma una volta tornato a casa mi accorgevo che il risultato non era cambiato. Sono arrivato così alla conclusione che è il luogo stesso a essere pesante, perché ogni costruzione o forma naturale si piega irreversibilmente sull’altra. A questo punto la soluzione è stata andare oltre il luogo nell’unica direzione possibile, il mare. Capire che l’unico punto dove la leggerezza è padrona, è dove la natura ha ancora il sopravvento. Il mio lavoro presenta un paesaggio dove lo sguardo si perde su se stesso, dove l’orizzonte viene da subito negato e restituito solo alla fine del percorso. Presento un paesaggio antropizzato, il racconto della storia di un cittadino che negli anni, sia per divertimento, sia per necessità, ha trasformato un luogo. Il lavoro è stato ispirato principalmente dal saggio sulla leggerezza di Italo Calvino in “Lezioni Americane”, che mi ha fatto riflettere su come essa non sia un semplice svuotamento di forma e peso, ma un andare oltre per riuscire a vedere le cose con occhi nuovi. In questo caso il concetto non viene riferito al luogo in sé, quanto al modo in cui il fotografo può osservarlo e percepirlo in modo diverso; è una leggerezza che fa pressione su una nuova mente consapevole. Ogni foto porta in sé l’impressione del mondo esterno e quella del mondo interiore del fotografo, che determina con la propria visione un diverso modo di rappresentazione del soggetto; queste immagini sono tanto piene di dettagli quanto lo è il mondo stesso. Il fotografo non è più lo scultore che libera la bellezza stessa intrinseca della materia, quanto un indagatore che si preoccupa di lasciare i luoghi nel dramma e nella sovrabbondanza di dettagli disordinati. Vuole decifrare gli indizi lasciati sulla scena in modo che il disordine all’improvviso si organizzi e acquisti senso. Grazie all’azione del fotografare si attesta l’inesorabile azione del tempo. Grazie a queste fotografie esprimo il mio fragile rapporto con il passato. Ho una maggiore visione di me stesso e di chi ho vicino a me.




























































Bibliografia Calvino, Italo, Lezioni americane, Monadadorim Milano 2012 Minor White: Riti e Passaggi, Federico Motta Editore, Milano, 1992 Sontag, Susan, Sulla Fotografia, Einaudi, Torino, 2004 Krauss, Rosalind, Teoria e storia della fotografia, Bruno Mondadori, Milano, 1996




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