Identità in moto
Manifestazioni e traduzioni della cultura motociclistica

Identità in moto
Manifestazioni e traduzioni della cultura motociclistica
Identità in moto Manifestazioni e traduzioni della cultura motociclistica Alessio Zoni
STAMPAFONT
Laurea magistrale in Design della Comunicazione Scuola del Design, Politecnico di Milano A.A. 2020 Matteo Ciastellardi Je rey PassengerViktorRobertoZaniParodiRadicsSerif by Diana Ovezea e Samo Ačko Theinhardt by François Rappo Arti Grafiche Meroni Lissone (MB) In copertina: mia nonna Carla e un’amica in sella alla Gilera 150 Rossa Super di mio nonno Mario, Lainate, 1958. A loro il mio pensiero.
CONTRIBUTIRELATORE DI
2019/
Indice ABSTRACT 7 INTRODUZIONE 9 COME NASCE UN’ICONA CULTURALE 17 La motocicletta come oggetto 19 La motocicletta come esperienza 22 Velocità 24 Rischio 25 La motocicletta come aleph culturale 26 La definizione di motomobilità 28 Una “cultura” motociclistica 29 La motocicletta come icona culturale 32 Merce, feticcio, culto 34 Verso una rappresentazione 35 LA MOTO E LE SUE RAPPRESENTAZIONI 39 Veloci comparsate 41 Fotografia del biker: i fatti di Hollister 43 The Wild One: Il primo selvaggio 46 Sfruttare il mezzo: la bikexploitation 50 Easy Rider: In strada verso New Hollywood 56 L’Italia su due ruote 59 Sul piccolo schermo: parodie, officine e cucine 62 Iliade e Odissea: l’epica documentaristica 63 Diari di viaggio 66 Latinoamericana. I diari della motocicletta 66 In una parola, Z.A.A.M.M. 67 Una moto al museo: The Art of the Motorcycle 69 Una collezione di immagini 72 UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ 75 Il neo-tribalismo 77 Sei la mia neo-tribù 80 Brand 80 1 . 1 . 1 . 2 . 2 . 1 . 2 . 2 . 2 . 3 . 2 4 2 . 5 . 2 .6. 2 .7. 2 . 8 . 2 9 1 . 3 . 1 . 4 . 1 . 4 . 1 . 1 . 5 . 2 . 10. 2 . 11 . 3 . 1 . 3 . 2 . 1 . 2 . 1 . 1 . 2 . 2 . 1 3 1 1 . 3 . 2 . 2 . 9 . 1 . 2 . 9 . 2 . 3 . 2 . 1 1 . 2 . 3 .
Tipologia di moto 82 Località geografica 84 Identità di genere 86 Il significato dello stile: le subculture della moto 88 Mods & Rockers 92 Bōsōzoku 96 Outlaw Club 100 Subculture italiane motociclistiche 104 Teddy boys 104 Paninari 106 Street crew 110 Elementi di cultura materiale 112 Giacca di pelle, o giacca biker 114 Patch 116 Casco 120 Paradossi identitari 124 STRADE VIRTUALI: LE MOTO-COMMUNITY 127 Motocicletta 2 .0 hp 129 Community moto-mediali 130 I canali della community motociclistica 132 Due ruote convergenti 134 Il valore delle community ri-creative 135 Engagement 136 Meaning-making 138 Narrazioni grassroots 139 Un patrimonio da narrare 140 Patrimoni digitali 141 L’heritage e le community 143 Il patrimonio motociclistico 144 International Journal of Motorcycle Studies 145 The Vintagent 146 Una storia da raccontare 150 La strada virtuale 151 MOTO-COMMUNITY: CASI STUDIO 153 Format e contenuto 155 Lo Schema di Analisi 156 Struttura 158 Community 159 Coinvolgimento 160 Identità generata 161 Caso studio 1 : I fidanzati della morte 165 Caso studio 2 : The Moto Social 173 3 . 3 . 3 4 3 . 5 . 3 .6. 4 8 4 .6. 4 .7. 4 . 9 . 4 . 10. 5 . 1 . 5 . 2 . 5 . 3 . 5 . 4 . 4 . 1 . 4 2 4 . 3 . 4 . 4 . 4 . 5 . 3 . 2 . 2 . 3 . 2 . 3 3 2 4 3 . 3 . 1 . 3 . 3 . 2 3 . 3 . 3 . 3 . 4 . 1 . 3 . 4 . 2 3 . 4 . 3 . 3 . 5 . 1 . 3 . 5 . 2 3 5 3 4 . 5 . 1 4 5 2 4 .7. 1 4 .7. 2 4 . 8 . 1 4 . 8 . 2 5 . 2 . 1 . 5 2 2 5 . 2 . 3 . 5 2 4 4 . 5 .
Caso studio 3 : Motoclub Ting’avert 181 Caso studio 4 : Deus Bike Build Off 189 Caso studio 5 : Bikerface 197 Caso studio 6 : Wrench 205 CONCLUSIONI APERTE E LINEE-GUIDA 213 Conclusioni comparative dei casi studio 215 Identità generate 215 Espressione e Rappresentazione 216 Connessione ed Eco temporale 218 Riflessione critico-progettuale 220 Linee-guida progettuali per il coinvolgimento delle moto-community 223 Traduzioni motociclistiche 223 Linee-guida progettuali 224 Sul valore del community engagement per la cultura motociclistica 226 APPENDICE: LE INTERVISTE 229 Intervista a: Jeffrey Zani 231 Intervista a: Roberto Parodi 239 Intervista a: Viktor Radics 243 BIBLIOGRAFIA 251 SITOGRAFIA 262 OPERE CITATE 266 INDICE DELLE FIGURE 272 RINGRAZIAMENTI 277 5 . 5 . 5 .6. 5 7 5 . 8 . 6. 1 . 7 1 7. 2 . 7. 3 . 6. 2 . 6. 3 . 6 1 1 6. 1 . 2 . 6. 1 . 3 . 6. 1 . 4 . 6 2 1 6. 2 . 2 . 6. 7.
La cultura motociclistica si è formata attorno a un oggetto – la motocicletta – che ha assunto i valori dell’icona culturale, divenendo per alcuni individui un “mezzo” con cui veicolare e distinguere la propria identità. Col tempo si sono radunate comunità su due ruote eterogenee e caratterizzate da particolari codici comunicativi. I media hanno contribuito alla formazione del mito – fornendone rappresentazioni e interpretazioni – e oggi o rono nuove opportunità agli appassionati di tradurre la propria presenza online. Qui si sviluppano modalità di coinvolgimento che vedono i motociclisti partecipare attivamente, contribuendo a un patrimonio culturale comune. La tesi vuole indagare come la dimensione del progetto di comunicazione possa supportare tali “moto-community” nella costruzione partecipativa di narrazioni significative per gli appassionati e per la cultura motociclistica stessa.
ENIT
The motorcycle culture has been formed around an object – the motorcycle – which has taken on the values of the cultural icon, becoming for some people a “medium” to convey and distinguish their own identity. Over time, heterogeneous two wheels communities, characterized by unique communication codes, have been formed. The media have contributed to the formation of the myth – providing representations and interpretations – and today they o er new opportunities to the motorcycle enthusiasts to translate their physical presence online. Here, new ways of engagement see motorcyclists actively participate, contributing to a common cultural heritage. The thesis aims to investigate how communication design can support these “moto-communities” in the participatory production of meaningful narrations for enthusiasts and for the motorcycle culture itself.
7 Abstract
Introduzione
Attorno alla motocicletta, così evocativa da diventare un’icona, si sono radunate molteplici identità tradotte in comunità concrete: dalle subculture dotate di particolari codici comunicativi, alle moto-community che online hanno trovato un nuovo spazio di azione.
9
Eppure, quello motociclistico sembra un fenomeno poco emerso, almeno per la trattazione prodotta; aspetto che ha fornito un’ulteriore motivazione ad intraprendere questo percorso di ricerca. È possibile riscontrare infatti una certa esitazione dell’ambiente accademico – in particolare italiano –nell’occuparsi di cultura motociclistica. Come segnala Federico Boni, docente di sociologia all’Università degli Studi di Milano: C’è un che di curioso in questo silenzio della sociologia (almeno di quella italiana) nei confronti di un mezzo che pure è così pervasivo nelle
Si potrebbe pensare che a causa della loro velocità, le motociclette risultino un argomento particolarmente sfuggente e che il tentativo di fermarle, come in una fotografia, produrrebbe un’immagine mossa e dai contorni non ben definiti. E allora scaliamo qualche marcia, rallentiamo. La folle diventa uno spazio di pensiero da cui poter iniziare un viaggio diverso, quello lungo l’itinerario che caratterizza la cultura motociclista, a tratti lineare, a tratti tortuoso. Poi si sa, che è quando iniziano le curve, che viene il bello. Di usa in ogni parte del globo, la motocicletta viene utilizzata per spostarsi e come veicolo ricreativo. Le strade che solca, però, conducono l’oggetto e chi lo usa verso mete ogni volta diverse, spesso impreviste. La moto, inevitabilmente, coinvolge il grande tema dell’identità: viene scelta, acquistata, guidata, personalizzata, raccontata. Per uno strano scherzo deterministico, l’uomo ha creato la moto, ma la moto ha generato i motociclisti. E, col tempo, quella dei motociclisti è diventata una cultura distintiva che ha assunto svariate manifestazioni, interpretazioni e traduzioni.
Diverso, almeno in parte, è l’approccio anglofono che ha visto persino sorgere l’ambito disciplinare dei “motorcycle studies”, grazie soprattutto all’impegno di accademici necessariamente appassionati quali Steven E. Alford e Suzanne Ferriss. Riprendendo la metafora di Alford, la motocicletta nelle loro ricerche (e in quelle dell’International Journal of Motorcycle Studies) assume i tratti di un “aleph culturale”; un argomento trasversale in cui arrivano a convergere il mondo della sociologia, dell’antropologia culturale, del design, ma anche dei media e dei gender studies (si pensi ad Esperanza Miyake).
L’associazione con il design della comunicazione, anche qui, non risulta poi così azzardata. Nello sviluppo della ricerca, infatti, emergeranno diversi elementi facilmente riconducibili a questo ambito, solo per citarne alcuni: il processo mediatico ai biker iniziato nel 1947 a Hollister; le rappresentazioni cinematografiche e letterarie; i codici comunicativi delle subculture a due ruote; gli elementi di cultura materiale legati al design vernacolare; gli strumenti e i metodi sviluppati dalle moto-community online.
Già, perché solo considerando la storia industriale, la fascinazione dei media e la presenza di comunità attive di appassionati, gli elementi interessanti per parlare di motociclismo sembrano esserci. La motocicletta può essere considerata un “veicolo narrativo”, in grado non solo di catturare questioni socioculturali globali, ma anche di mostrare le peculiarità locali di una nicchia di appassionati.
In tal senso questa ricerca si pone l’obiettivo di stabilire un primo contatto e aprire un dialogo con una cultura meno nota, periferica, ma dalla quale possono emergere narrazioni particolarmente significative.
10 IDENTITÀ IN MOTO nostre strade e nelle nostre città. E se anche la dimensione quantitativa della presenza di mezzi a due ruote potrebbe di per sé giustificare l’interesse per questo veicolo, è soprattutto l’aspetto culturale legato alla moto che offre una molteplicità di occasioni di lettura della nostra società. (Boni 2020b: 96)
Soprattutto, nella sua svolta verticale, la tesi va a interessarsi in modo specifico delle nuove prospettive o erte dalle traduzioni online della cultura motociclistica. Nel passaggio che riconfigura le comunità di presenza in moto-community, lo spazio virtuale o re ai moto-utenti un ulteriore territorio da esplorare. Qui si sviluppano modalità di coinvolgimento che vedono i motociclisti partecipare attivamente, fornendo narrazioni e contributi in grado
• Il capitolo 4 rappresenta la svolta verticale della tesi andando ad indagare gli spazi digitali della cultura motociclistica. Questo passaggio, in particolare, si so erma sul processo di traduzione delle tradizionali comunità di
alimentare un patrimonio culturale comune. La tesi vuole indagare come la dimensione del progetto di comunicazione possa supportare tali community nella costruzione partecipativa di narrazioni significative per gli appassionati e per la cultura motociclisticaStrutturalmente,stessa.
• Il capitolo 2 o re una panoramica (seppur parziale) delle principali rappresentazioni della motocicletta proposte dai media e delle modalità di narrazione coinvolte. Fin dalla sua invenzione, infatti, la motocicletta ha catturato l’attenzione dei media sia per i suoi aspetti più romantici, che per quelli più controversi. Nel cinema, nella letteratura ed anche nell’arte, la moto ha fornito ispirazione a numerosi autori, determinando la nascita di un vero e proprio genere narrativo, da cui emerge una vasta collezione di immagini.
l’elaborato si articola in sei capitoli, più un’appendice dedicata alle interviste.
11
INTRODUZIONE
• Il capitolo 1 fornisce un’inquadratura dei più rilevanti aspetti in cui la motocicletta si rende esplorabile. Lo fa attraverso una literature review delle diverse interpretazioni occorse nel tempo, in grado di chiarire il salto interpretativo che ha portato l’oggetto-motocicletta ad a ermarsi come icona culturale. In tal senso, la motocicletta risulta definibile come oggetto di design, come esperienza, come “aleph” e, infine, come icona culturale, ponendo così le basi per l’analisi dei fenomeni culturali ad essa connessi.
• Il capitolo 3 volge lo sguardo alle identità del motociclismo, in parte rappresentate e in parte influenzate da quelle stesse immagini poste precedentemente in evidenza.
Il capitolo si occupa di chi utilizza la motocicletta per configurare la propria identità, ovvero i motociclisti, sotto forma delle molteplici neo-tribù che ne contraddistinguono la concezione comunitaria. Spazio quindi anche alle subculture motociclistiche emerse nel corso negli anni come più rappresentative (anche in Italia) e all’analisi dei codici comunicativi sviluppati.
12 IDENTITÀ IN MOTO presenza in moto-community virtuali. La partecipazione attiva degli utenti evidenza le potenzialità della motocommunity, definibile come ri-creativa, che trova nel coinvolgimento e nella produzione di narrazioni i suoi elementi chiave. Aspetti che risultano particolarmente rilevanti in riferimento alle modalità in cui gli utenti possono contribuire, in modo partecipativo, al patrimonio culturale motociclistico.
• In appendice sono presenti le tre interviste integrali a Je rey Zani, Roberto Parodi e Viktor Radics, tre figure che agendo all’interno della cultura motociclista sono in grado di fornire opinioni particolarmente informate rispetto alla sua evoluzione. Nello specifico, il confronto con Zani, regista, riguarda le rappresentazioni storiche della motocicletta e le potenzialità narrative del mezzo. Aspetto ripreso anche con Parodi, spostandosi poi verso la dimensione identitaria del motociclismo. Radics, infine, permette di riflettere sul fenomeno delle moto-community attraverso la sua esperienza con The Moto Social.
• Il capitolo 6 fornisce delle conclusioni che vogliono essere necessariamente aperte. A partire dal confronto dei casi studio vengono proposte delle linee-guida progettuali per sviluppare strumenti e processi che favoriscano un più e cace coinvolgimento delle moto-community nella produzione di narrazioni significative per i propri membri e, più in generale, per la cultura motociclistica stessa.
• Il capitolo 5 presenta sei casi studio che consentono di mostrare i format e le modalità di coinvolgimento nello spazio virtuale presenti oggi e più rilevanti nel contesto specifico delle moto-community. Che siano un contest creativo, un forum o un’app dedicata ai motociclisti, i progetti presentati risultano interessanti non solo per le tipologie di contributi generati dagli utenti, ma perché possono essere letti come delle auto-narrazioni di comunità, che incrementano un patrimonio culturale curato degli utenti stessi. I casi studio presi in esame vengono inquadrati in uno Schema di Analisi che, se da un lato chiarisce gli aspetti particolari del singolo progetto, dall’altro favorisce il confronto con gli altri, utile a fare emergere pattern comuni e distinzioni significative.
13
La tesi è inoltre supportata da un apparato iconografico, resosi necessario per spiegare visivamente alcuni aspetti di un fenomeno la cui sola descrizione testuale sarebbe risultata limitata.Lamoto è un mezzo di trasporto “emotivo”. Inutile negarlo, lo slancio passionale c’è ed è in buona parte alla base di questo lavoro. Molto tempo prima dell’inizio di questa ricerca ho trovato nella celebre opera di Robert Pirsig, Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta (1974 , ed. it. 1981), una grande fonte d’ispirazione e una conferma. Il libro mi colpì più che per l’argomento trattato (d’altronde il libro “non andava associato troppo strettamente alle motociclette”), per la potenzialità della motocicletta di essere il tassello di una narrazione e di un’analisi molto più ampia e profonda. In tal senso, nel mio piccolo, ho cercato di ricalcarne l’approccio in questa tesi: parlare di motociclette, dunque di cultura, dunque di design. Buon viaggio.
Un breve chiarimento terminologico: all’interno della tesi utilizzerò i termini “motociclismo” e “cultura motociclistica” come sinonimi. Se per motociclismo si intende generalmente lo «sport delle corse su motocicletta» (Treccani), tale definizione va a limitare l’aspetto più esteso delle attività e dei motivi legati all’utilizzo di una moto. In tal senso, proponendo un legame con l’aspetto “culturale” (nell’accezione di erenziale) viene valorizzato il su sso “ismo” del termine, suggerendo una diversa e più ricca percezione del fenomeno come “movimento”.
INTRODUZIONE
Gottlieb Daimler costruisce la prima motocicletta Hopper e Fonda portano al cinema Easy Rider Pirsig pubblica Lo zen e l’arte della manutenzionemotociclettadella 1909: Filippo Tommaso Marinetti pubblica il Manifesto del Futurismo 1911: a Milano viene fondato il Motoclub d’Italia 1986: In edicola esce il primo numero del fumetto Paninaro, “Il galloso della Zündapp” 1966: Roger Corman con The Wild Angels inaugura il film-genre della bikexploitation 1885 1969 1974 Itinerario storico della motociclisticacultura Alcune delle tappe più significative dal 1885 ad oggi 1900 1970 1980



Esce al cinema The Wild One con Marlon Brando La campagna “You meet the nicest people on a Honda” è un successo Il Guggenheim ospita “The Art of the Motorcycle” La Ducati 1199 Panigale vince il Compasso d’Oro 1947: Hollister Riot, nasce il “biker” 1946: Corradino D’Ascanio inventa la Vespa 1964: Mods & Rockers si scontrano a Brighton 1922: Lady Warren pubblica il suo diario di viaggio Through Algeria & Tunisia on a Motor-Bicycle 1953 1963 20141996 1950 1960 2000 2020 1990




Come un’iconanasceculturale1.
1. Gottlieb W. Daimler è stato un ingegnere tedesco, oltre ad aver inventato la motocicletta è stato uno dei grandi iniziatori dell'industria automobilistica.
19
Per costruire una moto non ci vuole poi molto, basta attaccare un motore a un telaio, in modo che l’energia si trasferisca ad una ruota. È una forma semplice, ma segue talmente bene la propria funzione, che Melissa H. Pierson l’ha definita «il veicolo perfetto» (Pierson 1997). Un oggetto inventato quasi per caso, quando per testare la “vera” invenzione – il motore a 4 tempi a benzina di Nicholas Otto – il suo collega Gottlieb Daimler¹ decise di inserirlo nella struttura di una bici.
LA MOTOCICLETTA COME OGGETTO1.1.
Come un’iconanasceculturale
Il 10 novembre 1885 vicino a Stoccarda, Wilhelm Maybach diventò, suo malgrado, il primo motociclista della storia, testando la Daimler Einspur (FIG. 1) , altrimenti detta la “spaccaossa”. In più di cento anni di storia la motocicletta si è evoluta, ha cambiato aspetto, implementato nuovi componenti, tradotto in materia le tendenze dello zeitgeist e del mercato. Non è cambiata la funzione: il trasporto quotidiano di persone e oggetti e il soddisfacimento di un piacere di natura ricreativa.
Grandi case motociclistiche sono sorte e cadute – si pensi che in Italia la storia produttiva annovera più di duecento marchi – ed oggi il mercato è più vivo che mai, con fertili sbocchi nei paesi in via di sviluppo che vanno ad aggiungersi allo storico bacino d’utenza, ora più adulto e ra nato, in Europa e Nord-America.
Nel 2014 ADI (Associazione del Disegno Industriale) conferisce il Compasso d’oro alla Ducati Panigale 1199 (FIG. 2) , modello di punta della casa bolognese, con la seguente motivazione: “per aver trasferito prestazioni agonistiche in un prodotto di serie ra nato e coerente con l’immagine tradizionale del marchio”. Ducati realizza la prima moto nella storia a ricevere tale onorificenza: un “pezzo” di motociclismo trova un riconoscimento u ciale nel mondo del design. Simile è la storia della Britten, una moto da record costruita dal visionario John Britten, esposta come simbolo della Nuova Zelanda nel museo nazionale Te Papa Tongarewa di Wellington.
20 IDENTITÀ IN MOTO FIG. 1 Daimler Einspur (1885).

21 FIG. 2 Ducati Panigale 1199 (2014). 1. COME NASCE UN’ICONA CULTURALE
Dal brevetto al Compasso d’Oro. In più di un secolo di storia l’essenza della motocicletta non è cambiata poi di molto: due ruote, un telaio e un motore.

IDENTITÀ IN MOTO
L’insieme di metallo, cavi, olio, benzina, grasso e ovviamente il corpo del pilota, cessa di essere una “cosa” statica, ma si rivela come un’entità proteiforme che, animata dall’accensione del motore, è in grado di scaturire tutte le proprie energie «semantiche, simboliche, estetiche, tecniche, economiche, culturali e così via» (ibidem).
22
LA MOTOCICLETTA COME ESPERIENZA
Non si parla solo di tecnologia e di prestazioni, né di estetica e di moda, ma di progetto nella sua più completa definizione.
Sono molti i centauri che si trovano concordi nel percepire l’atto di guidare una moto come una esperienza quasi “spirituale”, in cui mente, corpo e anima vengono portati a uno stato di esaltazione. Un’alterazione dei sensi, dovuta alla particolare condizione percettiva del motociclista, profondamente immerso nell’ambiente circostante. Una percezione che non è solo visiva, ma anche tattile e ritmica. «Salvo l’equipaggiamento protettivo che indossate, tra voi il resto del mondo non c’è nulla. L’aria e il vento premono direttamente su di voi. Siete nello spazio in cui state viaggiando. Intorno a voi non c’è nessun involucro» (Berger 2019: 34). Il rapporto con il mondo è più intimo. Si è più coscienti 1.2.
In quanto oggetto di design è possibile attribuire alla motocicletta tre funzioni: una funzione pratica, spostare un corpo; una funzione estetica, appagare i sensi; e una funzione simbolica, trasferire informazioni riguardo colui o colei che sono in sella (Alford e Ferriss 2007: 8). Ma superando la canonica riflessione sul rapporto forma-funzione nel design, la vera potenzialità dell’oggetto d’uso emerge dalla capacità di costruire un immaginario, in una metamorfosi che passa dal concepimento creativo alla sublimazione culturale. Nella motocicletta il percorso induttivo descritto da Vitta (2016) pare trovare limpido compimento: [l’oggetto nasce] evocato dal bisogno, e poi via via immaginato nel desiderio, definito nella funzione, disegnato nel progetto, realizzato nella produzione, distribuito come merce, classificato nel comportamento di consumo, vissuto nell’uso, apprezzato nel godimento estetico e infine, non di rado, esaltato come bene culturale. (Vitta 2016: 11)
Non più – non solo – un oggetto, ma si potrebbe parlare di un “evento”, o meglio ancora di una «esperienza» (Miyake 2015).
2. Thomas E. Lawrence è stato un militare, archeologo e scrittore britannico. Grande appassionato di motori, rimase vittima di un incidente proprio in sella all’amata Brough Superior.
23
Il borbottìo dello scappamento si dipanava dietro di me come una lunga fune. Ben presto la mia velocità l’ha troncata, e io ho udito solo il grido del vento, che la mia testa, come un ariete, fendeva e spazzava via. Con la velocità il grido è diventato uno strillo: mentre l’aria fredda entrava negli occhi annebbiati come due getti d’acqua ghiacciata. Io stringevo gli occhi, li riducevo a due fessure, e mettevo a fuoco la vista duecento metri più avanti, sul vuoto mosaico ondeggiante della ghiaia incatramata. Come frecce i moscerini mi pungevano le guance: e a volte un corpo più pesante, forse una mosca o un coleottero, mi si schiacciava sul viso o sulle labbra come una pallottola spenta. Un’occhiata al tachimetro: settantotto. (Lawrence [1936] 1996: 246; corsivo mio) La logica dell’abitacolo dell’automobile – una no man’s land tra la casa e il lavoro (cfr. Baudrillard 1972) – viene totalmente abbattuta: In moto la cornice non c’è più. Hai un contatto completo con ogni cosa. Non sei più uno spettatore, sei nella scena, e la sensazione di presenza è travolgente. È incredibile, quel cemento che sibila a dieci centimetri dal tuo piede, lo stesso su cui cammini, ed è proprio lì, così sfuocato eppure così vicino che col piede puoi toccarlo quando vuoi – un’esperienza che non si allontana mai dalla coscienza immediata. (Pirsig [1974] 1981: 14-15)
1. COME NASCE UN’ICONA CULTURALE
delle condizioni della strada, della tenuta delle gomme, del ritmo del percorso col suo alternarsi di curve e rilievi.
3. Theresa E. Wallach è stata una motociclista e scrittrice britannica, la prima donna a Florenceafricano,dal’attraversamentocompiereinmoto,nordasud,delcontinenteinsiemeall’amicaBlenkiron.
Thomas E. Lawrence², noto ai più come Lawrence d’Arabia, nel raccontare di un giro in sella alla sua altrettanto celebre Brough-Superior, riesce ad evocarne in punta di penna l’aspetto sensoriale (si noti il frequente ricorso a similitudini e metafore):
Quello che si manifesta è uno spostamento dell’io nelle geografie dell’esistenza: è l’illuminazione spirituale di Robert Pirsig nel romanzo Lo Zen e l’Arte della manutenzione della motocicletta; è il risveglio politico di Ernesto Che Guevara raccontato ne I diari della motocicletta; è una rivelazione della propria identità per Ted Simon nel suo I viaggi di Jupiter. Inoltre, in una cultura accentuatamente maschilista – come dimostrano tali e altri autori – le contro-narrazioni femminili, come The Rugged Road di Theresa Wallach³, diventano un processo politico di auto-rappresentazione di genere, importante per scardinare stereotipi e costruire una più completa immagine del discorso sul motociclismo (cfr. Miyake 2015).
Superato lo spostamento come necessità, la velocità emerge come un piacere: «Il movimento già in se stesso, è ragione di felicità, ma l’euforia meccanica della velocità è tutt’altra cosa» (Baudrillard [1972] 2014: 130). Per usare la definizione da dizionario redatta da Valentino Rossi⁴ (FIG. 3) , nove volte campione del mondo di motociclismo, la velocità: comporta movimento. Del riflesso, del pensiero, dell’attenzione, del gesto. Genera vantaggi, libidini, un pizzico di rischio, un piacere esclusivo. Il piacere di guadagnare qualcosa per raggiungere qualcosa. Un traguardo, un compimento. Velocità come eliminazione dei tempi morti, del tempo perduto, della noia, talvolta. Velocità come sistema Velocità
Sulla possibilità di trasformazione del – o in questo caso della – motociclista è interessante la riflessione fatta da Esperanza Miyake (2015) sull’entità del bike-biker. In sella, e nelle particolari condizioni e alterazioni spazio-temporali che ne conseguono, le diverse identità che ci contraddistinguono trovano l’occasione di venire riconfigurate. Una modalità fluida di “diventare Altro” basata sull’assemblage ovvero «un’accumulazione di risorse fisiche, economiche e sociali riassumibili nel concetto di “capitale di mobilità”» (Boni 2020: 102). Scrive Miyake, riportando la sua esperienza diretta: Quando guido, in particolare a determinate velocità, il mio corpo perde la sua forma femminile, come i contorni neutri della silhouette del motociclista genderless su un cartello stradale. Il colore della mia pelle e la sottigliezza dei miei occhi scompaiono quando sono ricoperta di pelle […]. Sono libera in un senso completamente diverso: il mio genere e la mia etnia cessano di avere importanza. È solo quando mi fermo e tolgo il casco che la protezione e la maschera cadono, sono una “donna giapponese” di nuovo. (Miyake 2015)
FIG. 3 Valentino Rossi e la sua Yamaha M1, ritratti da Gigi Soldano (2013).
La moto dunque come simbolo collettivo o archetipo, ovvero «una struttura organizzatrice di immagini» (Durand [1977] 2012: 61) e come tale in grado di favorire la metamorfosi individuale (cfr. Ma esoli 2009: 26). Riprendendo Berger: «Dopo qualche ora di guida attraverso la campagna, avete impressione di esservi lasciati alle spalle non solo le città e i villaggi da cui siete passati. Vi siete lasciati alle spalle certe costruzioni familiari. Vi sentite meno terrestre di quando vi siete messi in viaggio» (Berger 2019: 37 38).
24 IDENTITÀ IN MOTO

25
La conquista della libertà trascende anche la percezione del rischio. I motociclisti vengono solitamente inseriti – assieme a pedoni e ciclisti – nella categoria degli “utenti deboli della strada” coloro cioè che, non possedendo una struttura esterna 4. Valentino Rossi è un pilota italiano tra i più vincenti del la storia del motociclismo, in virtù dei nove titoli mondiali conquistati in quattro classi differenti: 125, 250, 500 e MotoGP.
La velocità in sella altera la percezione dello spazio e del tempo, Hutch (2007) collega l’esperienza allo spiritualismo e la trascendenza: la motocicletta diventa il luogo sacro del “qui e ora” che interrompe il fluire temporale. Molto frequentemente, nei racconti quotidiani dei singoli, piuttosto che nelle parole di centauri più autorevoli, il guidare una motocicletta viene immediatamente legato alla sensazione di libertà psichica e fisica. Ma non si tratta della libertà di essere agili nel tra co e di scattare per primi al semaforo, non solo almeno. John Berger parla di libertà spaziale, data dall’immediatezza con cui il mezzo “risponde” al comando del pilota: «La rapidità che conta di più è quella dell’intervallo tra decisione e conseguenza, tra l’azione, che spesso è un’azione riflessa, e il suo e etto. In altre parole, la velocità di trasmissione, che riguarda la direzione, la frenata o l’accelerazione» (Berger 2019: 35). Mai come in moto, infatti, l’attesa che intercorre tra una decisione e la sua conseguenza è così breve. Una perfetta coincidenza tra il corpo e la mente, la mano e il cuore. Un’unione cibernetica in cui la moto diviene estensione degli arti, rivelandosi «organo esosomatico» (Bonfantini e Zingale 2015: 136). Il motociclista ritrova nel suo veicolo i propri tratti identitari; parte delle sue funzioni vitali, arriva a trasferirsi in esso. Risuonano le parole di Marshall McLuhan: «Ogni invenzione o tecnologia è un’estensione o un’autoamputazione del nostro corpo, che impone nuovi rapporti o nuovi equilibri tra gli altri organi e le altre estensioni del corpo» (McLuhan [1967] 1986: 65). Emerge il mito del centauro che a ascina Baudrillard, nella fusione dell’intelligenza umana e delle forze animali o, meglio ancora, nell’unione tra la tecnica e l’istinto.
1. COME NASCE UN’ICONA CULTURALE
Rischio di vivere, di vincere, di stare al mondo, essendo il mondo in piena accelerazione. È una aspirazione e, spesso, una scelta, oppure una attitudine che amplifica sensazioni, reazioni, gusto. La velocità costringe a una cura adatta, a una capacità specifica, altrimenti comporta un errore, una caduta, un rimpianto. Ci vuole testa e fisico, per la velocità. Quella padronanza che permette di apprezzare la lentezza, quando essere veloci non serve affatto. (Rossi 2018)
Tra gli aspetti su cui Alford si so erma troviamo: la velocità, ora più che mai centrale in un mondo in cui anche il tempo
È all’Aleph (1959) di Borges che Steven E. Alford pensa quando deve spiegare che cos’è una motocicletta e perché vale la pena interessarsene. L’aleph – il punto nello spazio che contiene tutti gli altri punti – assume nella motocicletta la connotazione di «aleph culturale» (Alford 2015), per via della capacità del mezzo a due ruote di materializzare molteplici tematiche sociali e culturali, a tratti impreviste.
26 IDENTITÀ IN MOTO in grado di proteggerli, risultano più esposti ai pericoli che un incidente stradale può causare. Il rischio è una componente sottesa dell’andare in moto e i motociclisti, generalmente, ne sono consapevoli (cfr. Le Blanc III 2019). Lo stesso Berger⁵ ne sottolinea la palpabilità, esorcizzandone ad ogni modo gli e etti:
C’è chi rimprovera ai motociclisti di “flirtare con la morte”. È vero che la percentuale di incidenti mortali è più alta per le moto che per altri veicoli. Tuttavia il rimprovero non mi convince. Forse i motociclisti prendono una certa distanza dal quotidiano, voltando così le spalle a una grossa parte della vita, ma non lo fanno per danzare con la morte, bensì per non esserne intralciati. (Berger 2019: 37)
LA MOTOCICLETTA COME ALEPH CULTURALE “L’Aleph?” ripetei. “Sì, il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli.” (Borges [1959] 2003: 161)
5. John Berger è stato un critico d'arte, scrittore, pittore britannico. Non solo, è stato anche un grande appassionato di moto, diversi suoi scritti a riguardo sono stati raccolti da Maria Nadotti nel libro Sulla motocicletta (2019). 1.3.
A una elevata probabilità statistica di essere coinvolti in un incidente – in molti casi purtroppo fatale – fa da contraltare una motivazione di usa nel partecipare a tale attività. Pur conoscendone i rischi, per i motociclisti i benefici dello stare in sella sono in grado di alleggerire la sua componente di pericolosità. Con l’età e l’esperienza la propensione a “cercare” il rischio tendenzialmente diminuisce; inoltre, la percezione del rischio risulta minore se si adottano alcuni accorgimenti come indossare abbigliamento protettivo, essere concentrati e avere un’alta coscienza situazionale. In sostanza si guida per trovare piacere e le distrazioni non sono ammesse, per usare un motto della comunità biker “live to ride, ride to live”.
stesso sembra ogni giorno correre più veloce; l’invenzione della motocicletta coincide con gli albori della modernità e, più tardi, diventerà simbolo di alcuni dei suoi e etti come l’alienazione e l’opposizione all’autorità; l’unione uomo-macchina del motociclista visto come cyborg, in un’epoca in cui la cibernetica è parte del nostro vivere quotidiano e dei nostri corpi, dai pacemaker ai wearable device; la questione dell’identità, del motociclista sia come individuo singolo, sia come parte di un gruppo con i propri codici comunicativi. E di conseguenza l’identità di genere, con il machismo della categoria messo in discussione da figure come Theresa Wallach o Dot Robinson. Infine, la motocicletta mette in luce una dimensione tacita ma essenziale e significativa della nostra vita: l’incapacità di esprimere a parole l’emozione e la sensazione dello stare in sella, rivela in questo caso i limiti del linguaggio (cfr. Alford 2015).
1. COME NASCE UN’ICONA CULTURALE
6. Steven E. Alford e Suzanne Ferrisss, sono professori emeriti alla Nova Southeastern University. Fondatori dell’IJMS, hanno scritto il libro Motorcycle (2007).
La motocicletta si configura dunque come un oggetto materiale dai molteplici significati, il «nodo di relazioni sociali e culturali» (Alford e Ferrisss 2007: 8) di una rete che consente di connettersi ad ambiti come la storia, la tecnologia, i consumi, il potere il genere. Nell’analisi del più ampio contesto implicato, Steven E. Alford e Suzanne Ferriss⁶ partono dalle componenti materiali della moto – gomma, tessuto, metallo e strada– e portano in luce relazioni impreviste. Ad esempio, quella tra l’industria motociclistica e il colonialismo europeo, considerando lo sfruttamento coloniale dell’Africa o dell’America Latina nel contesto della produzione di pneumatici. Così come con il protezionismo e lo schiavismo in India, coinvolti nell’industria tessile dalla quale il motociclismo eredita sia il sapere meccanico che gli indumenti stessi. Uno sfruttamento che coinvolge anche la filiera della lavorazione del metallo, legato all’industria bellica, dove i mezzi a due ruote sono stati largamente impiegati. Tra le componenti materiali della moto infine, la strada, con tutta la sua carica ideologica, diventa centrale sia per le implicazioni fisiche – la possibilità di movimento – sia per quelle simboliche – la libertà di movimento.
27
In compagnia della strada dopo un po’ prevedete quel che farà. Anticipate. La strada offre dei segnali – che non hanno niente a che fare con i segnali internazionali ufficiali. Segni che esprimono la sua personalità e le sue intenzioni. Entrate in una curva cieca e sapete già quanto sarà lunga o corta, stretta o agevole. La sentite nervosa quando inizia una salita ripida. Sul rettilineo la sentite sgranchirsi. […] A questo punto guidare è diventato un pas de deux. Guidatore e strada diventano
Si tratta di un concetto moderno che riguarda le molteplici dimensioni della mobilità: dai movimenti globali di persone, di oggetti, di capitali e di informazioni, ai processi più quotidiani di trasporto locale e movimento nello spazio pubblico. In tale paradigma c’è anche interesse per le nuove “immobilità”, ovvero quei processi di esclusione sociale in grado di limitare o impedire il libero movimento di alcuni gruppi sociali. Pinch e Reimer (2012) propongono il termine “motomobilità” – mutuato da quello di “automobility” di Urry (2004: 27) – per indicare il complesso sistema che definisce le geografie del rapporto tra motocicletta, motociclista e società.
28 IDENTITÀ IN MOTO
Tra le dimensioni della motomobilità analizzate da Boni troviamo: a) l’attivismo e il movimentismo politico, b) la mobilità nei Paesi in via di sviluppo, c) la mobilità sociale e di genere. a) Nel caso dell’attivismo, con le Riders’ Right Organizations i motociclisti possono riunirsi col fine di tutelare i propri diritti, esercitando in gruppo una pressione sulle istituzioni.
7. Federico Boni è professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e all’UniversitàcomunicatividegliStudi di Milano. I suoi interessi di ricerca vertono sugli studi culturali e la comunicazione.
Si consideri anche il moderno contesto dei nuovi “rider”, termine riadattato alla gig economy: dove la motocicletta torna ad essere un mezzo di lavoro, in Brasile come in Italia, i motoboy si riuniscono in associazioni sindacali al fine di migliorare le proprie condizioni lavorative. Nasce così una nuova metafora: l’instabilità del mezzo a due ruote si lega alla precarietà lavorativa.
Il Coordinamento Italiano Motociclisti ne è un esempio: sorto a Roma nel 1991, il Cim ha condotto, tra le altre, una campagna di sensibilizzazione sull’adeguamento dei guardrail, ritenuti pericolosi per la sicurezza stradale.
Federico Boni⁷ (2020a) lega l’approccio cultural-materialista degli studiosi Alford e Ferriss, due tra i maggiori esponenti dei motorcycle studies, al paradigma sociologico di “mobilità”.
La definizione di motomobilità compagni di ballo. Può perfino capitare che vi innamoriate. C’è in gioco una promessa che nessuna terza persona può spiegare. […] È solo la promessa che voi e la strada continuerete a essere insieme e che non smetterete mai di sorprendervi e confermarvi a vicenda. E non appena vi siete innamorati, esiste il rischio di essere traditi. Se dovesse succedere, a perdere è sempre il pilota. Un errore di calcolo, un falso movimento, un difetto di immaginazione e si cade a terra. Non tra le braccia dell’amata strada, ma sul duro suolo. (Berger 2019: 11-13)
b) Le popolazioni dei paesi in via di sviluppo (Asia, America Latina e Africa sono i mercati più importanti oggi per l’industria delle due ruote) si trovano spesso a fronteggiare condizioni di “immobilità”. La motocicletta risulta un veicolo economico e di semplice utilizzo per il trasporto quotidiano e il lavoro, a di erenza del contesto occidentale, dove viene soprattutto considerata come un mezzo per lo svago. Per le strade di Nairobi o Kampala, non potreste fare a meno di notare i Boda Boda, i caratteristici taxi a due ruote. Qui i bodabodamen (FIG. 4) hanno creato una comunità esclusivamente maschile, in cui i fantasiosi interventi estetici sul mezzo consentono di distinguersi dalla concorrenza. In ogni caso, globalmente, la motocicletta si presenta come un’alternativa strategica allo spostamento, particolarmente e cace in condizioni di tra co congestionato e – anche per tale motivo – dalla guida particolarmente piacevole. c) Nata come veicolo “proletario” a supporto della working class, la motocicletta verso la fine del Novecento in Occidente – per una sorta di mobilità sociale – si è avvicinata al ceto medio-alto della popolazione. Una sorta di gentrificazione del consumo della moto, in cui le fasce più abbienti – i cosiddetti rubbies (rich urban bikers) – si sono appropriate di tale veicolo (cfr. Maxwell 1998). In tutto ciò, la cultura motociclistica risulta un dominio quasi esclusivamente maschile, con ancora evidenti disuguaglianze di genere. Secondo Esperanza Miyake la moto rappresenta una «tecnologia mobile di genere» (2018) che inquadra la mobilità femminile come un tipo di mobilità statica, ancora limitata o accettata in modo ambiguo.
Una “cultura” motociclistica La di usione del fenomeno motociclistico, riconosciuto in quanto tale su scala geografica e sociale estesa, ha già fornito spazio in questi paragrafi all’emergere del termine “cultura”. Riprendendo Bauman e la sua ripartizione del termine “cultura” in tre distinte tipologie – e dunque come “gerarchica”, “generica” e “di erenziale” (cfr. Ciastellardi 2017: 13) – la specifica declinazione motociclistica trova a nità proprio con quest’ultima definizione. La nozione “di erenziale” riguarda infatti l’appartenenza comune manifestata da quegli
1. COME NASCE UN’ICONA CULTURALE
29
Lion GhostRiderRider 30


Boda Boda Madness è un progetto nato dalla collaborazione tra il fotografo olandese Jan Hoek e lo stilista ugandese-keniota Bobbin Case. Entrambi affascinati dai Boda Boda, – gli appariscenti moto-taxi che affollano le strade di Nairobi – hanno selezionato sette piloti e ne hanno completato il look, creando degli abiti appropriati al tema della loro motocicletta. FIG. 4 Jan Hoek e Bobbin Case, Boda Boda Madness (2019). Machete Rider
31

Al suo interno, tuttavia, anche la cultura motociclistica appare animata da diverse interpretazioni: c’è chi utilizza la moto come un semplice mezzo di trasporto, individuale e non ricreativo; chi dall’altro lato la utilizza proprio per la personale attività ludica, sportiva o turistica; chi ancora non ha una moto, ma risulta partecipe della cultura motociclistica seguendo grandi eventi come la MotoGP. È come se esistessero molte culture motociclistiche, o almeno numerose e diverse interpretazioni; ognuno ha la possibilità di condividere gli aspetti più globali di questa cultura, così come le sue declinazioni più locali. Ciò che risulta interessante è come una definizione di “cultura motociclistica” delinei più chiaramente lo spazio di riflessione in cui poter andare a indagare i vari processi e i fenomeni che la riguardano. 1.4.
32 IDENTITÀ IN MOTO
LA MOTOCICLETTA COME ICONA CULTURALE
La motocicletta, con il suo forte potere simbolico, può essere considerata a tutti gli e etti come un’icona. Non è nell’interesse di questa tesi esplorare le varie accezioni di un termine estremamente dibattuto in campo semiotico. Se il legame tra “icona” e “segno visivo” è quello più di uso, c’è anche il rischio di limitarne il potenziale. Come a erma Ferraresi «l’icona non può essere studiata e ridotta a semplice fenomeno di somiglianza visiva» (Ferraresi 2020: 8). La somiglianza, piuttosto, risulta centrale se intesa come il riconoscere in un oggetto (la moto) le qualità di un altro oggetto, inteso anche come idea o stato d’animo (ad esempio la sensazione di libertà). In questo modo il primo diventa il significante del secondo (cfr. individui che risultano condividere una serie di caratteri, idee e valori nei quali si identificano e che li rendono distinti rispetto ad altri. In tal senso, lo sviluppo di una passione per la motocicletta e per i vari elementi che vi ruotano attorno (dall’uso del veicolo alla partecipazione a grandi eventi collettivi) consente di individuare chiaramente l’evidenza dei “motociclisti”, intesi come i partecipanti a tale cultura. Questo aspetto risponde anche al riconoscimento di una di erenza rispetto ad altre manifestazione culturali appartenenti allo stesso contesto di riferimento. In questo senso, la cultura motociclistica può manifestare la propria di erenza rispetto a quella “automobilistica” e “ciclistica” relativamente al contesto stradale, ma si distingue anche dalla cultura “calcistica” se si estende la riflessione al contesto sportivo.
Riboldi e Zingale 2020), riportando così il significato di icona in un’ottica peirciana. In altre parole: Diventano icone quegli artefatti di design che condensano nella propria natura il senso e i valori dell’ambiente in cui nascono o del contesto nel quale la loro presenza diventa pervasiva, in termini fisici e di diffusione commerciale oppure in termini di relazione con la società, relazione che non necessariamente deve essere agita tramite il possesso o l’uso, ma che può limitarsi al semplice riconoscimento. (ivi: 318)
1. COME NASCE UN’ICONA CULTURALE
33
c) Il motociclismo si articola in narrazioni frammentarie, parte di un «canone selvaggio» (Fiorentino 2009: 9) costellato di racconti mitici, letterari, cinematografici, pratiche culturali e discorsive. Funziona da «forma immaginante» (Ma esoli 2009: 29): una sorta di crogiolo dal quale ognuno può attingere gli elementi utili a costruire la propria esistenza.
Colgo dunque l’invito che Grillo fa nel suo saggio “Testi fatti a pezzi. Il culto mediale come ars excerpendi” (2020) a ricontestualizzare le riflessioni di Eco sull’uso delle icone riferendomi all’oggetto-motocicletta. Vengono indicate come caratteristiche delle icone: a) l’immediata riconoscibilità, b) la capacità di generare una comunità, c) la tendenza a essere rilavorate (Grillo 2020: 18). a) La presenza sulle strade (ma anche o -road) del globo e una ampia copertura mediale, basterebbero ad indicare una riconoscibilità di usa, seppur generica, del mezzo a due ruote nel contesto culturale. Senza che ci sia un’approfondita conoscenza della “cultura motociclistica” alle spalle, una frase come: «La Harley Davidson è una icona dell’industria motociclistica americana» (Ferraresi 2020: 12) non fatica a trovare l’e etto iconico di un immediato riscontro. b) L’icona, nel suo aspetto cultuale, è in grado di generare una comunità di “devoti” di diversa natura. Il motociclismo trova nelle comunità (più o meno strutturate) gran parte del proprio spirito vitale: dai “motociclisti” in generale (i soli possessori, non necessariamente a liati ad una federazione), alle associazioni strutturate (come gli Hog –Harley Owners Group), ai motoclub locali.
34 IDENTITÀ IN MOTO
Lo status di icona culturale, soprattutto se attribuito a un oggetto d’uso – e dunque disponibile sul mercato – si lega a un altro termine ampiamente discusso che è quello di merce. Come nota Franco La Cecla⁸, gli oggetti sono carichi di «un’irrefrenabile vocazione ad animarsi» ed è quando divengono merce che si trasformano: «Le merci alludono a tutt’altro che alla propria pura evidenza materiale, sono sovraccariche di ben altre valenze simboliche, nascondono il processo che le ha prodotte» (La Cecla e Vitone 2013: 41). Si può dunque parlare di «“ipermerce”, intendendo con tale termine eventi, personaggi, oggetti di consumo a cui viene attribuito un particolare significato culturale» (Ferraresi 2020: 11). È la forza comunicativa – che sovrasta il valore d’uso e di scambio – a permettere alle merci di superare se stesse, diventando potenti poli d’attrazione. Secondo La Cecla, gli oggetti delle culture indigene possedevano una componente in grado di animarli: la chiama “oggettualità”, ovvero la capacità di un oggetto di interagire con chi lo utilizza e, di conseguenza, la sua capacità di trasformare l’utente. Di contro, gli oggetti moderni, prodotti in serie, hanno la pretesa di essere universali, neutri, adatti a qualsiasi contesto, proponendo una fascinazione per l’utilità e l’estetica. Ma anche questi oggetti moderni, ed è il caso della motocicletta, sono in grado di stimolare desideri e passioni, diventando icone attorno alle quali si riuniscono comunità. Accade dunque che «il mondo dei nostri oggetti e il mondo degli oggetti indigeni si toccano, smarginano l’uno oltre i confini dell’altro» (La Cecla e Vitone 2013: 53). L’oggetto moderno torna “indigeno”, recuperando l’elemento di relazione con la singolarità. In tal senso, la motocicletta posizionandosi nell’interstizio tra il moderno e il primitivo, si configura come un oggetto pidgin o un feticcio. Un sistema in cui le regole “esterne” della produzione in serie, dell’universalità e della neutralità, si incontrano con le regole “interne” dell’oggettualità, la costruzione di identità e l’auto-rappresentazione. Rendendo visibile una forza invisibile, l’oggetto ritrova una antica dimensione sacrale (cfr. Ma esoli 2009): torna il culto, di nuovo eredità delle civiltà premoderne. E l’esempio che Ferraresi propone gioca a favore: «Quando le merci diventano di culto una moto non è più soltanto un mezzo di trasporto» (Ferraresi 2020: 11). Ed ecco che la Vespa Piaggio scatena il culto per un’icona rappresentativa dell’italianità, così come la Harley-Davidson diventa icona della vita libera on the road. Merce, feticcio, culto 8. Franco La Cecla è un antropologo, architetto e accademico italiano. Ha insegnato Antropologia Culturale negli atenei di Venezi, Verona, Palermo, Milano e Parigi.
Esperanza Miyake⁹ (2015) riadatta il termine semiotico di “veicolo segnico” alla motocicletta: così come una moto reale trasporta persone e bagagli, le sue rappresentazioni – in film, libri, magazine, canzoni, pubblicità – trasportano determinati significati. E spesso il senso veicola una alterizzazione, un modo di rappresentare elementi di appartenenza, di genere o di classe, fortemente stereotipato. Dai motociclisti ribelli ne Il selvaggio (1953) alle umbrella-girl sulle griglie dei gran premi, tutto ciò che ruota attorno al motociclismo e al modo in cui viene rappresentato, diventa un veicolo segnico in grado di viaggiare, di ondersi e definire l’identità di una cultura molto vasta. Nel capitolo successivo verranno analizzate la storia delle rappresentazioni della motocicletta e le modalità di narrazione coinvolte. In questo modo sarà possibile rintracciare parte degli elementi costitutivi dell’identità del motociclismo, in modo poi da capire la relazione tra tali rappresentazioni e la realtà.
9. Esperanza Miyake è ricercatrice presso la University of Strathclyde, dove si occupa di culture digitali, tecnologia e società. È autrice del libro The Gendered Motorcycle (2018).
UNA RAPPRESENTAZIONE
35
1. COME NASCE UN’ICONA CULTURALE 1.5.
VERSO
Sono molti i testi che vedono la motocicletta (e il motociclismo) come focus della narrazione, prodotti sia pop che cult, che se in passato determinarono la formazione del mito, tuttora contribuiscono ad alimentarlo. La di usione e la menzione a livello mediatico sono in grado di rendere un artefatto iconico (cfr. Riboldi e Zingale 2020: 318) poiché gli consentono di cristallizzarsi più facilmente nell’immaginario collettivo. Caso significativo è certamente quello di HarleyDavidson, come testimonia Ferraresi: «è vero che la maggior parte del successo è dovuto alla qualità e bellezza delle sue motociclette, ma è allo stesso tempo innegabile che molti in passato hanno scelto quella moto sull’onda dell’entusiasmo dopo aver visto il film Easy Rider, a sua volta simbolo di vita libera e fuori dagli schemi» (Ferraresi 2020: 13).

37 FIG. 5 Traffico dell’ora di punta a Taipei, Taiwan (2009). FIG. 6 Motocross at Opio, France, Jacques Henri Lartigue,(1967). 1. COME NASCE UN’ICONA CULTURALE

La moto e le rappresentazionisue2.
Fin dalla sua invenzione, la motocicletta non ha faticato ad entrare nell’immaginario popolare. Fragoroso prodotto della tecnica, veloce, rischioso, eccitante: un veicolo in grado di ispirare chi sta in sella e di attirare l’osservatore audace a saltarci su. Chiunque, fondamentalmente, può guidare una moto. Ecco perché la cultura motociclistica rappresenta un interessante milieu in cui ritrovare varie identità, tra loro eterogenee, quando non evidentemente antagoniste. Nel corso del tempo i media hanno rintracciato e cristallizzato le varie rappresentazioni del motociclismo, permettendo ora di porle a confronto: da un lato Gregory Peck e Audrey Hepburn innamorati su una Vespa e dall’altro la flotta indisciplinata di Wild Angels (1966) capitanati da Peter Fonda; Che Guevara studente dall’animo rivoluzionario in sella alla sua “Poderosa” e Benito Mussolini, “Primo Motociclista d’Italia”, a cavallo della sua Bianchi Freccia d’oro; l’irrequieto Robert Pirsig nel suo profondo viaggio interiore e i più spensierati Wild Hogs (2007) alla ricerca di una tragicomica evasione dalla monotonia. A seconda di chi sta in sella, cambia la storia che viene raccontata e cosa quella storia contribuisce a rappresentare.
La moto e le rappresentazionisue VELOCI COMPARSATE
41
Agli albori della settima arte, l’esaltazione per il nuovo, misterioso e incontrollabile veicolo a motore catturò l’interesse dei primi cineasti. The Uncontrollable Motorcycle (1909) è il primo film in cui viene mostrata una motocicletta; le informazioni sulla trama sono poche anche se eloquenti: un ragazzo modifica la moto del fratello, finendo per distruggere la casa. Dalle prime slapstick comedy fino ai più recenti action movie, la moto è introdotta e spesso riproposta come un oggetto di scena: un mezzo con cui spostare un personaggio in modo veloce, rischioso ed eccitante. Charlie Chaplin, motociclista “furfante” in Charlot and Mabel (1914), cerca di conquistare Mabel con un 2.1.
42 IDENTITÀ IN MOTO giro in moto, ma finisce per farla cadere in una pozza. Buster Keaton in Sherlock jr. (1924) si destreggia su una moto senza manubrio in una rocambolesca corsa verso la sua amata.
L’evoluzione del mercato ha fornito al cinema nuovi modelli di moto, in alcuni casi diventati iconici grazie anche alla pellicola stessa. In Vacanze romane (1953) Audrey Hepburn (la principessa Anna) e Gregory Peck (Joe Bradley) (FIG. 7) , scorrazzano per le strade della Capitale a bordo di una Vespa 125 “faro basso”. In una tra le scene più celebri, la protagonista accende lo scooter e parte, elettrizzata più che intimorita dalla guida: la Vespa permette alla principessa Anna di evadere i confini della femminilità convenzionale (cfr. Alford e Ferrisss 2007: 121). Il successo commerciale della pellicola premiò l’astuta strategia di propaganda di Piaggio, che riuscì a convincere i produttori ad includere una Vespa nella sceneggiatura. È più potente la Triumph TR6 con cui Steve McQueen ne La grande fuga (1963) compie il salto (FIG. 8) più iconico della filmografia motociclistica. McQueen interpreta Virgil Hilts, un capitano dell’aviazione americana in cerca anch’egli di un’evasione, in questo caso dai propri carcerieri nazisti. Prima e tra le più celebri, la scena di inseguimento tra i nazisti e il capitano Hilts apre la strada a un fortunato “ruolo” delle due ruote che arriva fino ad oggi: dall’inseguimento di Trinity (Carrie-Ann Moss) su una Ducati 996 in Matrix Reloaded (1999) a Will Smith in lotta col suo clone su due Honda CRF in Gemini Man (2019). In tali sequenze, attentamente coreografate, la percezione della velocità viene enfatizzata dalla posizione della camera e dalla presenza di ostacoli con cui viene sfiorata la collisione. Qui le motociclette restano icone del movimento, della velocità, riproponendo lo stesso ruolo catturato ne Il cineocchio (1924) di Dziga Vertov (cfr. Simon A. 1998). E dunque: Viva la poesia delle macchine spinte e guidate; la poesia delle leve, delle ruote e delle ali d’acciaio; il grido di ferro dei movimenti; le smorfie accecanti di flussi roventi. (Vertov 1922: 9) Quand’anche la motocicletta assume un ruolo centrale nella narrazione, film come Biker Boyz (2003), Torque (2004), Supercross (2005) – nati sulla scia del blockbuster Fast and Furious (2001) – non riescono a fornire una convincente rappresentazione del motociclismo, né dal punto di vista narrativo, né da quello sensoriale. Il focus della narrazione
FIG. 7 Audrey Hepburn e Gregory Peck su una Vespa in Vacanze romane (1953).
FIG. 8 L’iconico salto di McQueen in La grande fuga (1963). Il fatto storico da cui il film prende spunto, datato 24 marzo 1944, non prevedeva alcuna moto; Steve McQueen, grande appassionato di motori, la pose come condizione nel proprio contratto.


Alford e Ferrisss (cfr. 2007: 126) attribuiscono il fallimento di questi progetti a una di erenza sostanziale tra la motocicletta e il cinema: il motociclismo è un’attività «incarnata» e dunque percepita sensorialmente da tutto il corpo. Con un gioco di parole, e scomodando McLuhan (cfr. 1967: 41 42), si potrebbe intendere la motocicletta – in quanto “mezzo” – come un medium freddo, a bassa definizione ed altamente partecipativo. Al contrario, il cinema è un medium caldo, caratterizzato da un’alta definizione (vista e udito) e dunque meno partecipativo. Ad ogni modo i film non possono far altro che o rire allo spettatore un’esperienza mediata della guida.
Meglio dunque concentrarsi sulle storie dei personaggi e delle loro aspirazioni, in grado di coinvolgere emotivamente il pubblico. Tra le tante, si può riscontrare una narrazione che ha trovato una maggiore e cacia nell’imporsi e di contro un’estrema di coltà nell’erodersi: il motociclista come “deviante”, ribelle, violento, trasgressivo, erotizzato, icona negativa ma al tempo stesso a ascinante. Jean Cocteau nella sua rilettura dell’Orfeo (1949) anticipa per primo il lato oscuro del motociclismo (D’Orléans 2018), ma è l’industria cinematografica americana che, tra gli anni Sessanta e Settanta, ha creato l’immagine e il mito del biker; traduzione filmica di un fatto di cronaca.
FOTOGRAFIA DEL BIKER: I FATTI DI HOLLISTER
Con questa fotografia a tutta pagina, il 21 luglio 1947, il magazine Life presenta al mondo l’immagine del “biker”. Illustra quanto accaduto ad Hollister, California, nel weekend del 4 luglio 1947, quando per celebrare l’Independence Day, venne organizzata una gara di moto – il Gipsy Tour – approvata u cialmente dall’American Motorcyclist Association, federazione conosciuta per l’atteggiamento rispettoso della legge. Nel piccolo centro a un’ora da Auckland, arrivarono quasi 4 .000 motociclisti, tra cui alcuni gruppi interessati più a spassarsela che alla gara in sé: nei giorni dell’evento la legge non esiste; vennero organizzate gare clandestine nel centro e le vendite 2.2.
finisce per concentrarsi sulle scene di rivalità tra i personaggi.
43
Un uomo dallo sguardo confuso con indosso una camicia aperta fino all’ombelico, stivaloni ai piedi e un cappello con la visiera storta, siede a cavalcioni su una motocicletta. In entrambe le mani tiene una bottiglia di birra e molte altre vuote si accumulano ai suoi piedi (FIG. 9) .
2. LA MOTO E LE SUE RAPPRESENTAZIONI
44 IDENTITÀ IN MOTO di alcolici salirono alle stelle. La situazione degenerò e il paese divenne teatro di episodi di vandalismo e violenza. Nel suo resoconto, riportato a didascalia della foto del motociclista ubriaco, Life scrive: 4000 membri di un club di motociclette sono arrivati ruggendo a Hollister, California, per un raduno di tre giorni. Si sono stancati in fretta dell’eccitazione che danno normalmente le motociclette e si sono rivolti verso bravate più eccitanti. Correndo con i loro veicoli nella via principale e tra i semafori, si sono cacciati dentro i ristoranti e i bar, rompendo il mobilio e i vetri. Alcuni poi si sono riposati vicino ai marciapiedi, altri hanno invece aspettato a lungo prima di fermarsi. La polizia ne ha arrestati molti per ubriachezza e per atti osceni, ma non è riuscita a ristabilire l’ordine. Infine, dopo due giorni, i motociclisti se ne sono andati via dando una spiegazione impudente: «Ci piace metterci in mostra. È proprio divertente». Ma il capo della polizia di Hollister non è stato dello stesso avviso e ha dichiarato lamentandosi: «È stato un disastro infernale». (Life 1947: 31) Senza dubbio evocative, la descrizione dell’evento e la fotografia stessa sono state parzialmente smentite nel tempo. Secondo alcune fonti, compreso Paul Brokaw all’epoca giornalista di Motorcyclist magazine, la foto è stata accuratamente allestita (Hayes 2005: 40; Dulaney 2005; Ries 2015): il motociclista in questione, tale Eddie Davenport, acconsentì a posare secondo le indicazioni del fotografo Barney Peterson. Contrariamente a quanto riportato dalla stampa, chi assistette o partecipò agli eventi, divenuti noti come l’Hollister Riot, riferì che l’entità dei danni non assunse le gravi proporzioni raccontate. Ad ogni modo, dimostrare oggi che la foto sia o meno un falso non cambia la storia di quel processo mediatico iniziato nel ’47. Come a erma Jerry Smith: Incolpare gli eventi di Hollister, o la foto di Barney Peterson, per l'immagine negativa che oggi fa dimenare alcuni motociclisti è troppo semplicistico. Se tutti i motociclisti fossero stati cittadini modello prima di Hollister, è improbabile che la loro percezione da parte del pubblico sarebbe stata così drasticamente alterata da un incidente isolato. (Smith 2015). Numerose testate perpetrarono l’immagine negativa dei motociclisti: “4000 motociclisti devastano Hollister”, strilla il San Francisco Chronicle; “I motociclisti mettono la città in subbuglio”, scrive l’Associated Press; “La battaglia di Hollister finisce con i motociclisti selvaggi in festa che lasciano la città”,
FIG. 9 La fotografia del biker scattata a Hollister da Barney Peterson e apparsa su Life (1947). Ad Hollister viene scattata la fotografia del biker: un uomo sbandato in sella a una grossa motocicletta. In entrambe le mani tiene una bottiglia di birra e molte altre vuote si accumulano ai suoi piedi.
45

46 IDENTITÀ IN MOTO riporta l’Hollister Freelance. I media forniscono al mondo un nuovo e unico archetipo americano chiamato «outlaw biker» (Krakauer 1993: 91). Daniel R. Wolf ¹⁰, antropologo, a erma che: L’esposizione nazionale che venne data da Life e altre testate all’incidente di Hollister ha prodotto la stigmatizzazione di un’immagine: il motociclista come deviante. Il racconto di Life ha innescato nei mass-media una reazione a catena che ha visto l’incidente di Hollister crescere considerevolmente nella sua rappresentazione sensazionalistica e, di conseguenza, l’immagine del motociclista come deviante diventare più definita e immutabile. (Wolf 1991: 5) Quella reazione a catena proseguì nel 1949, quando Frank Rooney scrisse un breve racconto basandosi sul resoconto fatto da Life. Cyclists’ Raid, pubblicato nel 1951 in Harper’s magazine, venne letto dal celebre produttore hollywoodiano Stanley Kramer che poco tempo dopo decise di farne un film: The Wild One (1953), in Italia noto come Il selvaggio.
THE WILD ONE: IL PRIMO SELVAGGIO Dopo aver letto Cyclists’ Raid (1951) e averne acquisito i diritti per una sua trasposizione cinematografica, Stanley Kramer assieme allo sceneggiatore John Paxton e al protagonista del film Marlon Brando, trascorse tre settimane assieme ad alcuni club di motociclisti per elaborare lo script finale. Di quell’esperienza, Kramer ricorda: Questi ragazzi erano una razza nuova… non ce n’erano molti in giro. […] Avevano tutti delle ragazze e vivevano come nomadi. Tutto quel certo modo di parlare era qualcosa che avevamo sentito mille volte. Anche una delle battute più famose del film fu ricavata da una mia conversazione con loro. Chiesi a uno dei ragazzi «Contro cosa vi ribellate?», e lui rispose: «cosa c’hai?». (Kramer in Hinderycks 1991: 82)
In breve, ne Il selvaggio (1953), due bande di motociclisti rivali guidate da Johnny (Marlon Brando) e Chino (Lee Marvin) si scontrano in una tranquilla cittadina californiana. La gang di Chino semina il caos, ma i cittadini adirati si scagliano contro l’incolpevole Johnny e ci scappa il morto. Solo Kathie, sua innamorata e figlia dello sceri o, riesce a scagionarlo.
Il film, diretto da László Benedek, porta in scena una realtà, all’epoca ancora non del tutto emersa, ma per certi aspetti già
10. Daniel R. Wolf è un antropologo e docente canadese. Ha studiato il fenomeno dei club motociclistici outlaw nel Nordamerica. 2.3.
FIG. 10 Seguenza tratta dall’intro del film The Wild One (1953).
FIG. 11 Marlon Brando nel ruolo di Johnny Strabler.
47
2. LA MOTO E LE SUE RAPPRESENTAZIONI
La pellicola, presentata nel dicembre del 1953, ottenne un profitto discreto. Nulla di paragonabile alla sua portata rivoluzionaria da un punto di vista culturale e cinematografico, in grado di produrre una serie di immagini fortemente significative (Alford e Ferriss 2007: 91). La scena di apertura (FIG. 10) è un paradigmatico lascito formale per i successivi film motociclistici: la camera è a livello dell’asfalto, in mezzo a una strada di campagna che sembra infinita. È una quiete solo momentanea: un rombo profondo all’orizzonte indica che si stanno avvicinando, e mentre il suono diventa quasi insopportabile, dozzine di ragazzi in giacca di pelle volano oltre la camera sulle loro motociclette. La scena ha una potenza visiva tale da essere ripresa in altri film appartenenti al genere, come The Wild Angels (1966), Electra Glide in Blue (1973) e The Loveless (1983). Quella prima sequenza può essere letta come una dichiarazione d’intenti del duo Benedek-Kramer. Come a erma Art Simon: La sua angolazione e l’inquadratura rendono la telecamera – e quindi la nostra prospettiva – vulnerabile, suggerendo che la motocicletta è un pericolo per qualsiasi cosa sul suo cammino. Ma stabilisce anche la strada come luogo privilegiato, e la mobilità come aspetto determinante dell’identità del motociclista. Senza dubbio questa mobilità è il motivo per cui il motociclista appare così minaccioso. (Simon A. 1998: 80) Ma è soprattutto l’interpretazione di Johnny Strabler fatta da Brando (FIG. 11) a rendere il film epocale. Antieroe giovane e ribelle, cupo e misterioso, bello e impossibile: Strabler è il capo di una banda di motociclisti – The Black Rebels Motorcycle Club – che ricalca alcuni degli esempi visti ad Hollister come i Boozefighters. Il film riesce a catturare i dettagli di uno stile di vita ancora senza nome che sta formandosi in quegli anni, a tratti mappandolo, a tratti anticipandolo. Come a erma uno dei membri dei primi motorcycle club: «Andammo al Fox Theatre su Market Street. […] Stavamo nella galleria e fumavamo sigari e bevevamo vino e facevamo il tifo come degli stronzi. Potevamo vederci su quello schermo. Eravamo tutti Marlon Brando. Penso
lontana dai fatti di Hollister. L’immagine dei motociclisti diviene la rappresentazione di quella delinquenza giovanile che cresce simbioticamente al boom dei consumi. Il motociclista è un “rebel without a cause”, solo contro tutto e tutti, con un linguaggio incomprensibile al mondo, specialmente quello degli adulti (cfr. Castellani 1997: 38).




48 FIG. 12 Frame di avvertenza tratto dall’intro di The Wild One (1953).
Gli spettatori sono avvertiti: “Questa è una storia scioccante. Potrebbe non accadere in molte città americane – ma è successa in questa. È una sfida collettiva non permettere che accada di nuovo”.

2. LA MOTO E LE SUE RAPPRESENTAZIONI
12. Bill Osgerby è professore emerito di Media, Culture, and Communication alla London culturadiUniversity.MetropolitanIsuoiinteressiricercavertonosullaanglo-americana del ventesimo secolo.
49 di averlo visto quattro o cinque volte» (Thompson H. S. 1967: 162). È un film che strizza l’occhio alla ribellione giovanile, un teppismo inedito che inizia ad essere scoperto proprio in quegli anni e in cui «le moto simbolizzano più che mai una nuova generazione mobile, in cerca di identità, che ha scelto la strada come scenario dei suoi desideri e come ribalta delle proprie azioni» (Castellani 1997: 34).
Hunter S. Thompson¹¹ accusò The Wild One di aver creato un nuovo fuorilegge americano, poiché ha presentato una realtà ancora agli albori che, di conseguenza, ne è stata inevitabilmente influenzata (Thompson H. S. 1967: 172). L’antieroe interpretato da Brando ha fornito un ritratto romantico in cui potersi specchiare: un ragazzo in fondo buono, anche se fa di tutto per non sembrarlo nascondendosi dietro i modi da duro. Il film ha goduto della sua duplice potenzialità di attrarre e scandalizzare le audience (FIG. 12) . Negli Usa, Columbia Pictures impose alla produzione di inserire nell’inquadratura finale un messaggio per rassicurare gli spettatori che i protagonisti erano stati consegnati alla polizia. Krakauer a erma che «grazie a Brando, milioni di spettatori hanno visto i motociclisti sotto una nuova luce romantica, così come molti altri rimasero convinti che quelli come Johnny fossero dei delinquenti» (Krakauer 1993: 92). Giovani, pericolosi e alla moda, i protagonisti spaventano i genitori e allo stesso tempo divengono dei modelli per i teenager nel pubblico. Per attitudine e stile, col suo giubbotto di pelle, i jeans e gli occhiali da aviatore, il personaggio di Johnny Strabler ha ispirato fin da subito numerosi emulatori. Come a erma Bill Osgerby¹² , Il selvaggio ha stabilito molti dei codici che hanno definito l’archetipo del “biker movie”: l’aura esplosiva di una imprevedibile banda di motociclisti fuorilegge, anticonformisti e ribelli; la loro totale, violenta e gratuita rottura dei tabù sociali attraverso il comportamento e il linguaggio adottato; la presenza di una “piazza” provinciale che viene terrorizzata dall’invasione dell’Altro; il fascino per le cromature, la pelle nera e altri segni machisti; la minacciosa introspezione di un leader terribilmente carismatico (cfr. Osgerby 2003: 100). Tutte queste caratteristiche sono state sfruttate, è il caso di dirlo, con la nascita del genere “bikexploitaition” di cui il film si fa anticipatore e riferimento.
11. Hunter S. Thompson è stato un giornalista e scrittore statunitense. Padre del gonzo journalism, è autore di Hell’s Angeles (1967) la prima monografia dedicata al club outlaw.
50 IDENTITÀ IN MOTO SFRUTTARE IL MEZZO: LA BIKEXPLOITATION
Il selvaggio ha aperto la strada: tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, un periodo di grandi cambiamenti sociali, le motociclette hanno progressivamente invaso il grande schermo. Il soggetto si addice ad un pubblico giovane, profondamente coinvolto nelle istanze libertarie e a ascinato dalla sperimentazione e dalla trasgressione. Le case cinematografiche investirono sul cliché del motociclista-teppista e venne creato un nuovo e originale filone narrativo.
I film di exploitation, o rendo contenuti espliciti, scene di violenza, sesso e trame perverse, divennero molto popolari negli Stati Uniti e in Europa, grazie all’allentamento della censura cinematografica (nel 1968 cessa il Production Code che dettava le linee guida morali del cinema Usa). Sostanzialmente simili ai B-movie, i film di exploitation venivano girati con risorse esigue, poca attenzione alla qualità e in breve tempo, eppure erano talvolta in grado di ottenere enormi ricavi al botteghino.
Quello della bikexploitation è uno dei tanti sottogeneri, qui declinato nel contesto delle bande di motociclisti, di cui vengono esaltate la violenza gratuita e la trasgressione sessuale. Dai titoli delle pellicole è già possibile prevederne il contenuto, solo per citarne alcuni: Motorcycle Gang (1957), Motorpsycho! (1965), Devil’s Angels (1967), The Savage Seven (1968), Savages from Hell (1968), Angels from Hell (1968), Satan’s Sadists (1969), The Cycle Savages (1970). La lista prosegue, ma sostanzialmente si tratta di declinazioni del tema “selvaggi infernali”, tanto attraente da essere riproposto anche nella più recente serie tv Sons of Anarchy (2008 2014). La figura di Roger Corman¹³, padre del nuovo cinema indipendente americano, diventa centrale in questa narrazione.
13. Roger Corman è un regista, attore e produttore americano. Pioniere della cinematografia indipendente, nonché “padre del cinema pop”, ha ricevuto un Oscar alla carriera nel 2010.
2.4.
Il regista americano volge lo sguardo ai gruppi giovanili in generale e in particolare ai giovani motorizzati alle prese con alcolismo, trasgressione sessuale e frustrazione generazionale. Come a erma Spanu (1999), sono proprio i film a tema motociclistico di Corman a stabilire tutti i record di incassi e a di ondere un nuovo mito cinematografico; in tal senso, The Wild Angels (1966), il suo più grande successo, diventa emblematico. Noto in Italia come I selvaggi (FIG. 14) , il film è costato 360.000 dollari, ma l’incasso totale ha raggiunto i 14 milioni di dollari. La pellicola catturò l’attenzione di Variety, del New York Times e anche del Dipartimento di Stato che tentò di boicottarne la presentazione al Festival di Venezia in quanto
51
2. LA MOTO E LE SUE RAPPRESENTAZIONI
«non rappresentava in modo veritiero l’America» (Corman 2011).
Al contrario però gli Angels del film, capitanati da Heaven’s Blue (Peter Fonda) sono i veri Hell’s Angels di Venice (California) e i fatti narrati dal regista di Detroit derivano dall’aver lavorato insieme a loro, dell’aver fatto parte di quel mondo privo di ogni tabù. Corman si concentra sulla loro storia e non sulla percezione che ne aveva il mondo: la sua non è né una condanna, né una mitizzazione. Ad ogni modo come fa notare Bill Osgerby: Come nel classico cinema d’exploitation, film come The Wild Angles […] privilegiano l’esibizione invece della narrazione, lo spettacolo invece dell’intelletto. Nella loro rappresentazione di outsider rabbiosi e anticonformisti, i biker movies evocavano temi di una “Alterità” fuori controllo e maschilista, le cui libidini sfrenate e la sdegnosa disaffezione la collocano al di là della cultura mainstream. (Osgerby 2003: 98) Corman firma anche la svolta femminile del genere con la produzione di The Mini-Skirt Mob (1968). All’interno dei B-movie a tema motoristico, la figura della donna in moto venne marginalizzata: devianza nella devianza, la motociclista venne rappresentata come una pazzoide, ninfomane e dalle “temibili” tendenze bisessuali. Film come Girl on a Motorcycle (1968) di produzione anglo-francese nacquero per soddisfare fantasie erotiche strettamente maschili. Secondo Kie ner solo una produzione del periodo riuscì in parte a distinguersi, She Devils on Wheels (1968), film fondamentale per una «rappresentazione fittizia dell’inversione dei ruoli di genere» (Kie ner 2009: 150). Nella pellicola, diretta e prodotta da Hersell G. Lewis¹⁴, i membri di una gang di sole donne gareggiano tra loro per eleggere a chi spetta la prima scelta tra uomini qui essenzialmente passivi. È possibile, infine, tracciare una linea immaginaria che partendo da Il selvaggio, passando per i film di exploitation, arriva a Scorpio Rising (1963), corto-metraggio cult che o re, nella declinazione nazi-omosessuale, una nuova contronarrazione all’immagine biker emersa in quel periodo. Nel film di Kenneth Anger, dall’impronta fortemente sperimentale ed artistica, l’atto di guidare una moto diventa esplicito omoerotismo. Qui la virilità tipicamente associata alla motocicletta viene interpretata da «soldati dell’Anticristo» (Simon A. 1998) uomini iper-mascolini vestiti di pelle e catene. Un’iconografia, questa, divenuta caposaldo dell’identità leather nella cultura gay, veicolata abilmente anche dalle tavole disegnatore Tom of Finland (Ronzon 2009: 33) (FIG. 13) .
14. Herschell G. Lewis è stato un regista e produttore cinematografico statunitense di genere horror e gore. È riconosciuto come pioniere del sottogenere splatter. FIG. 13 Tavola di Tom of Finland, illustratore finlandese noto per le sue tavole omoerotiche particolarmente influenti per la cultura gay.

52 FIG. 14 Poster promozionale del film The WIld Angels (1996) diretto Roger Corman con protagonisti Peter Fonda e Nancy Sinatra.



FIG. 15 Peter Fonda e Dennis Hopper in una scena tratta dal film Easy Rider (1969).

FIG. 16 Copertina dell’album Steppenwolf contenutoamericana,dell’omonima(1969)bandincuièilbrano
Come un figlio vero della natura / eravamo nati per essere selvaggi / possiamo salire così in alto / non voglio morire mai.
56 IDENTITÀ IN MOTO EASY RIDER: IN STRADA VERSO NEW HOLLYWOOD
Nelle intenzioni di Fonda il film (di cui è produttore) si presenta come un western moderno, in cui uno spazio vasto e desolato viene esplorato da due cowboy in sella a una moto e non più a un cavallo (Laderman 2010: 69). È una riscoperta
Anche la canzone viene codificata: diventa la colonna sonora per antonomasia del viaggio sulle highways, possibilmente in moto. La traccia assieme al resto della soundtrack – che accoglie anche brani dei Byrds e Jimi Hendrix – diventa una celebrazione della Controcultura musicale dell’epoca e il rock diventa la sonorità legata al motociclismo.
E in e etti come recita la tagline promozionale della pellicola: “Un uomo è andato alla ricerca dell’America. E non è riuscito a trovarla da nessuna parte...”. In realtà l’oggetto del desiderio e della tragica ricerca dei protagonisti è la libertà. Una libertà anelata dalla quella generazione, di cile da esprimere a parole, ma che appare chiarissima una volta in sella. Il chopper – quello di Captain America è forse la moto più famosa della storia del cinema – è il mezzo eletto per compiere questa esplorazione ottimistica di una terra senza pregiudizi.
2.5.
Diretto da Dennis Hopper, Easy Rider è il road movie per eccellenza (Laderman 2010: 66): due amici, Wyatt (Peter Fonda) e Bill (lo stesso Hopper), con i proventi di un carico di cocaina, decidono di partire per un viaggio in moto coast-to-coast che attraversa il paese dalla California a New Orleans, per vederne il Carnevale. I due partono alla ricerca di una libertà selvaggia, lanciati a tutta velocità e col vento in faccia. Scorrono i titoli di testa con in sottofondo la martellante Born to be Wild degli Steppenwolf (FIG. 16) , che recita: Fai correre la tua moto / dritto sull’autostrada / in cerca di avventura / e qualunque cosa ci capiti sulla nostra strada.
Sulla scia della popolarità della bikexploitation, il terreno risultò fertile per una definitiva consacrazione dell’immaginario biker. Nel 1969 esce Easy Rider e fa la storia: il film diventa un’icona della beat generation, manifesto della Controcultura e l’opera che secondo molti critici segnò l’inizio della New Hollywood. Steven Alford lo definisce un film di «ricerca» (2018).
Born To Be Wild.

57
Anche in questo caso il film è un miracolo economico: prodotto con meno di 400.000 dollari, arrivò ad incassarne quasi 60 milioni. Ottenne inoltre due nomination agli Oscar e un ottimo responso della critica al Festival di Cannes del 1969. Il film provocò una forte scossa nell’industria del cinema americano, a ermandosi come un successo soprattutto grazie ad un forte seguito tra i giovani.
2. LA MOTO E LE SUE RAPPRESENTAZIONI
Il viaggio lisergico esalta tutto il potere mistico e significativo della strada e, filtrato dalle lenti filo-hippie dei protagonisti, diventa una potente critica culturale (cfr. Van Valkenburg 2017). Se da un lato la presenza della droga e del suo consumo è fortemente attrattiva per la Controcultura, dall’altro rinforza lo stereotipo del motociclista fuorilegge. In realtà, è interessante notare come, tranne per l’apparenza, Wyatt e Bill nei comportamenti si siano spogliati degli attributi outlaw: «non sono teppisti, non hanno una voglia irrefrenabile di menar le mani o di causare disordini nelle città in cui transitano, non sono razzisti e sui loro capi d’abbigliamento proliferano i simboli della controcultura hippy» (Frasca 2001: 85). Si potrebbe dire che il film mostra cosa significhi essere motociclista nell’America dell’epoca, compresi gli e etti indesiderati di tale “etichetta”. Quando i due si fermano in un bar, l’accoglienza della provincia è fredda e nervosa, la loro apparenza attira repulsione e insulti. La libertà ha un prezzo, che diventa particolarmente caro quando incontra pregiudizi e violenza. Il personaggio di George (Jack Nicholson) fornisce un’importante FIG. 17 Il casco indossato da Peter Fonda, diventato iconico anche per il mercato.
Secondo Frasca, l’intento di Fonda e Hopper «è quello di utilizzare il biker-movie, o perlomeno le sue caratteristiche esteriori, per lanciare un atto d’accusa all’intolleranza e alle contraddizioni presenti negli Stati Uniti del periodo» (Frasca 2001: 84). In Easy Rider vive un paradosso a stelle e strisce: da un lato c’è una celebrazione dell’America, dei suoi paesaggi, della Stars and Stripes (FIG. 17) ; dall’altro c’è una critica alla stessa America “bigotta” con la sua repulsione per l’Altro. Il film testimonia la fine del sogno americano e in tal senso rispecchia il percepito di un’intera generazione.
dell’America, delle sue zone selvagge, ma anche delle sue di erenti culture e contraddizioni: una visione sintomatica del periodo. In questa traversata i due protagonisti incontrano hippie, poliziotti, prostitute e infine gli spari di due intolleranti redneck che mettono fine al loro viaggio. Rispetto ai film precedenti, i presupposti vengono ribaltati: ora i biker sono i “buoni”, mentre i cattivi sono gli “altri” (cfr. Castellani 1997: 109).

IDENTITÀ IN MOTO chiave di lettura per comprendere l’evoluzione della storia; nella scena del campeggio davanti al falò a erma: Non hanno paura di voi, hanno paura di quello che voi rappresentate.
Al di là della parabola tragica del film, quando corrono sui loro chopper, Wyatt e Bill sono davvero liberi dai confini della società. Gli attimi di libertà esperiti in sella, vengono enfatizzati dalle inquadrature: la camera è dinamica e si muove con loro. Il tempo e la distanza, diventano protagonisti stessi della pellicola e la moto diventa il veicolo con cui giungere a una trascendenza fisica e spirituale.
[…] Quello che voi rappresentate per loro, è la libertà. […] Parlare di libertà ed essere liberi sono due cose diverse. Voglio dire che è difficile essere liberi quando ti comprano e ti vendono al mercato. E bada, non dire mai a nessuno che non è libero, perché allora quello si darà un gran da fare a uccidere, a massacrare, per dimostrarti che lo è. Ah, certo: ti parlano, e ti parlano, e ti riparlano di questa famosa libertà individuale; ma quando vedono un individuo veramente libero, allora hanno paura. [E la paura] li rende pericolosi.
FIG. 18 Poster promozionale del film Easy Rider (1969).

Il secondo dopoguerra segna la svolta della motorizzazione di massa: la moto entra nelle case degli italiani, viene usata per andare al lavoro, per gli spostamenti quotidiani, per lo svago. Nel 1946 dalla mano di Corradino D’Ascanio nasce la Vespa FIG. 19 Mario Sironi, L’uomo nuovo (1918).
Noi a ermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. (Marinetti 1909: 6) Il Manifesto del Futurismo, a firma di Filippo Tommaso Marinetti, appare sulle colonne de Le Figaro il 20 febbraio 1909. Nello stesso anno, a Milano, Giuseppe Gellera fonda la Gilera, la prima casa motociclistica italiana. La coincidenza dei due eventi testimonia un tempismo riguardo la ventata di progresso industriale e culturale che coinvolge l’Italia di inizio Novecento. Sui mezzi di trasporto si costruisce il mito della velocità: «tagliare l’aria con la motocicletta è la nuova immagine-simbolo dell’epoca» (D’Elia 1988: 28). E infatti possiamo trovare la motocicletta protagonista nelle tele di diversi artisti futuristi come Dottori, Depero e Balla. Senza un confine netto tra la macchina e la persona, il motociclista è L’uomo nuovo (1918) ritratto da Mario Sironi (FIG. 19) . Sono gli albori dell’industria motociclistica, dopo Gilera nascono Benelli e Moto Guzzi:
Guzzi! Nome vivo e dirò palpitante nella sistole-diastole d’ogni italico centauro. (Gadda [1944] 2011: 225)
59 L’ITALIA SU DUE RUOTE È interessante ora parlare della rappresentazione del motociclismo in Italia, non tanto – non solo – per spirito patriottico, ma perché può o rire un interessante parametro di confronto con l’immagine del biker movie all’americana. Qui dove la bikexploitation non ha attecchito particolarmente, se non nella misura di una sua riscoperta cult, la percezione di un motociclismo più quotidiano e popolare, lo ha reso un fenomeno meno emarginato e dunque di di erente lettura mediale.
La motocicletta inizia lentamente a entrare nel tessuto sociale e culturale italiano: si tengono le prime manifestazioni sportive a carattere motoristico, i circuiti cittadini, la Targa Florio (1920), o la Milano-Taranto (1937). L’audacia del centauro diventa un’immagine cara al Ventennio fascista: Benito Mussolini, pronto a sfruttare a fini propagandistici i “frutti dell’italico ingegno”, nel 1931 viene proclamato “Primo Motociclista d’Italia” in sella a un Bianchi 175 “Freccia d’Oro”.
2. LA MOTO E LE SUE RAPPRESENTAZIONI 2.6.

La motocicletta diventa un elemento vernacolare, dialettale; elemento che conquista anche Federico Fellini. Il simbolo motociclistico è una costante all’interno delle sue opere, una pennellata di autenticità nelle scenografie narrative. Ecco dunque apparire i motocarri in La strada (1954) e Le notti di Cabiria (1957), un sidecar ne I clown (1970); in Roma (1972) la Città Eterna viene invasa da un gruppo di motociclisti e ne La dolce vita (1960) da orde di paparazzi in Vespa. Ne La città delle donne (1980) la moto diventa simbolo di una sensualità femminile che Snaporaz (Marcello Mastroianni) fatica a comprendere: una virago lo scarrozza in moto e poi tenta di violentarlo. Il motociclista torna seduttore maschile invece nel suo ultimo film La voce della luna (1990), dove una moglie lascia il marito per un amante su due ruote. Infine, merita certamente una menzione particolare Scurèza ‘d Corpolò (FIG. 20) , uno dei tanti personaggi creati da Fellini e che vanno a popolare l’universo surreale della Rimini di Amarcord (1973). Il nome è uno sfottò legato al rumore del motore; il pittoresco personaggio pare essere realmente esistito: tale Attilio Vignali, un motociclista della frazione Corpolò di Rimini che negli anni ’20 era solito disturbare il silenzio delle notti romagnole scorrazzando con la sua moto. Fellini coglie questo aneddoto popolare per rappresentare il suo archetipo di motociclista, con Scurèza che in sella ad una Harley-Davidson WL 750 compie folli scorribande per le vie della città, scandendo il passare delle stagioni e incarnando quell’amore tipicamente romagnolo per il “mutòr”. FIG. 20 Scurèza ‘d Corpolò, uno dei personaggi della Rimini felliniana di Amarcord (1973).
60 IDENTITÀ IN MOTO
Si sposta su una bici motorizzata il maresciallo Carotenuto (Vittorio De Sica) in Pane, amore e fantasia (1953); Alberto Sordi è Il vigile (1960) motociclista; ne Il federale (1961) il duo TognazziWilson a ronta un turbolento viaggio a bordo di un sidecar. E poi impossibili da citare sono le innumerevoli Vespa apparse negli anni, da Vacanze romane (1953) a Caro diario (1993), segno distintivo non solo dell’industria motociclistica, ma anche dell’italianità stessa (FIG. 21) .
Piaggio ed è subito un successo: un motociclo economico, che unisce comfort ed estetica. L’anno successivo dalla Innocenti di Milano esce la sua “antagonista” Lambretta, “il motoscooter per tutti”. Nel 1955 le moto in Italia sono un milione, nel 1960 raggiungono i 4 milioni: rappresentano un nuovo stile di vita (FIG. 21) , un modo di vivere “all’italiana” (cfr. Castellani 1997: 51 52) replicato anche nell’universo cinematografico.

61 FIG. 21 Mario De Biasi, Gli italiani si voltano (1954). «Ricordo la famosa foto del 1954 di Mario De Biasi di una donna che avanza a grandi passi verso un gruppo di uomini italiani occhialuti. L’uomo più vicino a lei siede su (che altro?) una Vespa» (Kimmelman 1998).

SUL PICCOLO SCHERMO: PARODIE, OFFICINE E CUCINE
La produzione di film con protagonista la motocicletta si è sostanzialmente risolta in un lustro, la maggior parte dei titoli sono infatti passati per le sale tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta. Come nota Giorgio Sarti¹⁵: Il picco è a cavallo del 1970, poi, di colpo, il fenomeno svanisce. A partire dal 1972 si cambia registro: ormai non c’è più nulla da dire, il barile delle trasgressioni è stato grattato fino al fondo. Anche il pubblico comincia a mostrare una certa stanchezza davanti alla ripetitività delle sequenze […] gli anni del boom motociclistico sono finiti per sempre.
Le due ruote ci saranno ancora però torneranno a rappresentare più il mezzo di trasporto che il simbolo della trasgressione. Adesso che la libertà è stata conquistata c’è meno bisogno di fare la rivoluzione. (Sarti 2018: 187-188) Se è vero che la bikexploitation è risultata una moda passeggera, la necessità ancora attuale di aziende e motociclisti di prendere le distanze da quell’immagine del “biker” attesta la potenza e la persistenza di tale immaginario, conosciuto globalmente. Come notano Alford e Ferriss, «la distanza che tale immagine ha percorso, non dipende dalla motocicletta, ma dalla di usione globale della cultura visiva, in particolare dei film americani più popolari» (Alford e Ferriss 2007: 142). La moto diventa il mezzo con cui raggiungere una libertà sociale teoricamente accessibile a tutti, ma praticamente riservata, per la rappresentazione che ne è stata fatta, a maschi bianchi, con una giacca di pelle e tendenzialmente eterosessuali. Un’immagine stereotipata e suscettibile di parodie, nonché, in determinati casi, funzionale alla costruzione di un personaggio all’interno di un universo mediale non strettamente motociclistico. Si pensi ad esempio al personaggio di Arthur “The Fonz” Fonzarelli (FIG. 22) dell’universo anni Cinquanta di Happy Days (1974 84) che viene presentato con tutti i cliché del motociclista bullo (progressivamente smorzati). O ancora il cameo “outlaw” nell’universo The Simpsons: nell’episodio Take My Wife, Sleaze (Ep.8 S.11) Homer vince una moto e fonda il club “I Satanassi Infernali” (FIG. 23) – “È questa la vita che fa per me Marge, vagabondare e tormentare i negozianti!”. È opportuno indagare il ruolo della motocicletta in relazione alla maschilità veicolata da due tipologie di programmi tv semigeneralisti: il “voyeurismo d’o cina” e il “gastro-motociclismo”.
FIG. 22 Arthur “The Fonz” Fonzarelli, interpretato da Henry Winkler in Happy Days (1974–84).
62 IDENTITÀ IN MOTO
15. Giorgio Sarti è uno scrittore e saggista italiano, specializzato in storia motociclistica. Ha scritto diverse monografie dedicate alle moto italiane, europee e americane.
FIG. 23 Gli Hell’s Satans, il motoclub outlaw dell’universo The Simpsons 2.7.


16. Il new lad è il modello maschile tradizionale «del binomio “donne e motori”» (Boni 2020: 67) che precede la svolta espressiva del new man « femminilizzato,vagamente[...]più legato alla dimensione espressivoemotiva che a quella razionale» (ibidem).
63
Diversamente dai lavori di fiction, è nel filone documentaristico che si incrociano nuove prospettive, in grado di svelare personalità o comunità che vivono con il motociclismo un rapporto simbiotico, sia professionale che personale. Rappresentazioni dalle intenzioni più autentiche, in grado di limare gli eccessi di alcuni stereotipi e o rire una più visione eterogenea del motociclismo. Tra le convinzioni 2.8.
2. LA MOTO E LE SUE RAPPRESENTAZIONI
Nel primo caso parliamo di show come Biker Build-O (2002 07), American Chopper (2003 10) o ancora l’italiano Lord of the Bikes (2017–in corso), nei quali il piacere voyeuristico viene appagato dalla narrazione delle operazioni di restauro o personalizzazione delle moto. Un format su cui si basa anche il programma Le strade di Max (2013 14), che si divide tra la vita nell’o cina Harley-Davidson del cantante Max Pezzali e i giri in moto dello stesso assieme ad amici celebrity motociclisti. In tal senso, vi è una riconferma di un modello maschile new lad¹⁶ (cfr. Boni 2020b: 67). La motocicletta qui è nel suo contesto più “tradizionale”: tali programmi hanno come protagonisti uomini e si rivolgono tendenzialmente a un target maschile, bianco e del cetoDiversamente,medio. risulta interessante segnalare la connessione imprevista tra celebrity-chef, show di cucina e motociclette nel fenomeno che Esperanza Miyake chiama «gastro-motociclismo» (Miyake 2018: 114). Da Alessandro Borghese e Gordon Ramsey a show come The Naked Chef (1999 01) o Hairy Bikers (2004–), nel contesto della «foodatainment» (Finkelstein 1999) la connessione con le moto non risulta poi così azzardata. Gli uomini ai fornelli, cercando di evitare l’ambiguità della loro presenza in un contesto tipicamente femminile, trovano nella moto un dispositivo narrativo per consolidare la propria mascolinità. Anche in questo caso la motocicletta viene coinvolta in un processo di escapismo maschile, in altre parole: «La mobilità della moto in quanto tecnologia di genere permette di fatto ai cuochi maschi di allontanarsi dall’ambiente domestico e quindi dalla sfera del privato e del femminile, distanziandosi così dal rischio della de-mascolinizzazione» (Boni 2020b: 90). La moto, dunque, in entrambi i casi, risulta un veicolo segnico che si adatta alle diverse messe in scena, rimanendo in bilico tra i diversi “ruoli” per cui, di volta in volta, viene scritturata.
ILIADE E ODISSEA: L’EPICA DOCUMENTARISTICA
17. Mark Neale è un regista britannico legato al mondo delle docufilmmotociclistiche.competizioniIlsuo
64
18. Jeffrey Zani è un giornalista, scrittore e sammarinesedocumentaristainteressato al mondo del motociclismo da corsa. Le sue opere sono apparse su Netflix, Rolling Stone e Riders di Bruce Brown, regista di On Any Sunday (1972), c’è quella di aver cambiato la percezione pubblica dei piloti di moto da bad guys a eroi popolari, persone normali che «provengono da un mondo di innocenza e semplici piaceri fisici» (Ebert 1973). Il suo documentario (FIG. 24) , nominato agli Oscar, presenta il mondo del motociclismo – nello specifico del motocross – da un punto di vista sportivo e atletico; un’attività divertente svolta con un attrezzo sportivo a due ruote e adatta a tutta la famiglia. Ed è in e etti dal mondo sportivo che emergono nuovi archetipi: storie intense, in cui la moto diviene uno strumento del pilota per sfidare se stesso. Da Continental Circus (1971) al più recente Love, Speed and Loss (2005), così come i titoli più “patinati” di Mark Neale¹⁷, la narrazione dei fatti e dei personaggi del campionato mondiale di motociclismo assume una dimensione epica, al tempo stesso romantica e adrenalinica. Uomini che esposti al rischio scoprono la loro forza e le loro fragilità. Una prospettiva interessante, non solo in chiave motoristica. Come a erma Je rey Zani¹⁸, documentarista, il motociclismo sportivo: è una disciplina in cui il limite è sempre relativo. In pista i piloti frenano un attimo più tardi e cercano di accelerare un attimo prima in ogni curva, a ogni giro, cercando di abbassare il proprio crono. L’obiettivo è essere più veloci. Cercano di superare i limiti che loro stessi stabiliscono. È una pratica che non conosce né perfezione, né un FIG. 24 Poster promozionale del documentario On Any Sunday (1972) di Bruce Brown.
Hitting the Apex (2015) è stato prodotto e narrato dall’attore Brad Pitt.

Parlando di viaggi, Roberto Parodi¹⁹ è una figura che si ritagliata un ruolo di rilievo nel panorama mediale italiano dedicato alle due ruote. Parodi è giornalista e scrittore, ma soprattutto motociclista “overland” con all’attivo svariati raid. Ha scritto libri, saggi, articoli su riviste specializzate e non. È stato direttore del mensile Riders magazine e ha prodotto e condotto due programmi tv sulle reti Mediaset e Rai di adventure motorcycling, rispettivamente Born to Ride (2012 2017) e #DiarioDellaMotocicletta (2019). In questi spazi documenta i propri viaggi in cui tutto il materiale video è girato amatorialmente dallo stesso Parodi e dai compagni di viaggio. Born to Ride in particolare è confezionato come un programma fatto da motociclisti e per motociclisti: un format arricchito da rubriche che vanno dai consigli di meccanica, a recensioni su abbigliamento e accessori moto, con spazio anche a video degli stessi spettatori. La centralità nel mondo delle due ruote, rendono Parodi un ambassador indipendente, spesso coinvolto nel discorso attorno alla motocicletta, di cui o re la propria prospettiva e che pertanto gode di una maggior evidenza.
risultato finale che mette fine alla prova. Può andare avanti all’infinito. Non è affascinante? Dov’è il limite? Chi lo stabilisce? Come si supera? (Zani 2021, app. 7.1.)
Anche nei documentari il ricorso al pretesto del viaggio diventa un’opportunità di sviluppo narrativo, dove la trascendenza viene raggiunta macinando chilometri. Reportage di un viaggio in moto: vere avventure narrate dai veri protagonisti, nelle quali si l’osservatore può assistere alle fortune, agli imprevisti e alle mete raggiunte. Tra i più famosi protagonisti di tale genere c’è il duo di celebrity Ewan McGregor e Charlie Boorman, con la loro – ad oggi – trilogia di docu-serie Long Way Round (2004), Long Way Down (2007) e Long Way Up (2020). Compiendo viaggi intorno al mondo, i due attori protagonisti rivelano la loro bromance, sostenuta dalla comune passione per le due ruote. Nello show come ammettono candidamente «non c’è copione e nessuno ci dirige. E non ci proviamo nemmeno a fare uno show televisivo: tutto quello che facciamo, per quanto assurdo possa sembrare, è vivere il momento» (McGregor in Tammaro 2020). Poco importa se a seguirli fin dalla prima edizione ci sia tutto un team di produzione, senza contare un forte product placement – tanto da parlare di «e etto Long Way Round» (Pinch e Reimer 2012: 452) – che richiede una necessaria sceneggiatura.
2. LA MOTO E LE SUE RAPPRESENTAZIONI
65
19. Roberto Parodi è uno scrittore, giornalista e conduttore televisivo italiano. Ha esordito con il saggio Il cuore a due cilindri (2008) dedicato al mondo delle Harley-Davidson in Italia.
Parodi, come detto, ha iniziato la sua produzione narrativa con i libri. È del 2008, il saggio Il cuore a due cilindri riguardo le origini del culto Harley-Davidson esplorato attraverso il tema del viaggio. L’autore si colloca in un filone narrativo prolifico per la letteratura in cui l’elemento “motocicletta” ha contribuito a sondare strade inaspettate. Pare, tra l’altro, che imparare a guidare una moto fosse nei piani di Virginia Woolf e come nota Ted Bishop: «Mrs Dalloway sarebbe sicuramente diverso se la protagonista fosse andata a prendere i fiori su una Royal Enfield» (Bishop 2006: 58).
Ad ogni modo altri e numerosi motociclisti si sono trovati a scrivere di viaggi, anche in questo caso, spinti da un motore interiore. Tra i primi titoli balza all’occhio Through Algeria & Tunisia on a Motor-Bicycle (1922) scritto da una motociclista, Lady Warren, che compì un viaggio di quasi tremila chilometri in nord-Africa. I diari sono trascrizioni di esperienze autentiche e negli anni sono diventati, per così dire, dei best-seller: dal primo giro del mondo in moto di Robert Edison Fulton Jr. narrato in One Men Caravan (1937); passando per The Rugged Road (1935) – altra avventura al femminile – in cui Theresa Wallach (FIG. 25) e Florence Blenkiron attraversano da nord a sud il continente africano; per arrivare ai quattro anni in solitaria di Ted Simon raccontati in I viaggi di Jupiter (1979). Libri capisaldo della letteratura motociclistica che hanno ispirato migliaia di globetrotter a partire all’avventura. Due libri colpiscono l’immaginario più di altri, per la capacità di slegarsi dalle dinamiche più memoriali del viaggio e o rire due prospettive di illuminazione personale, laddove la motocicletta diventa strumento di trasformazione umana, intellettuale, emotiva. In Latinoamericana (1992, ed.it. 1993) e Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta (1974 , ed.it. 1981) la carica semantica del viaggio in moto trova la sua più alta traduzione. Latinoamericana. I diari della motocicletta
Come nota Larry Rohter (2004), l’immagine di Guevara che emerge da Latinoamericana è più vicina a Easy Rider che a quella del prode rivoluzionario: un giovane eroe romantico partito all’avventura in sella ad una motocicletta. Per questa ragione il libro, che non piaceva molto al governo cubano, è rimasto FIG. 25 Theresa Wallach e la sua Norton 350 (1939). 2.9.
66 IDENTITÀ IN MOTO DIARI DI VIAGGIO

20. Robert Maynard Pirsig è stato uno scrittore e filosofo statunitense. Nelle sue opere ha esposto il sistema filosofico della Metafisica della Qualità.
67 a lungo inedito: la rappresentazione del Che con i suoi dubbi giovanili, le emozioni e le spensieratezze, non si addicevano all’epica del guerrigliero immortale su cui il mito si è edificato. Una volta pubblicato, nel 1992, è diventato immediatamente di culto tra gli studenti e i giovani intellettuali; il film I diari della motocicletta (2004), presentato a Cannes, ne ha poi amplificato ulteriormente il successo. Il libro è il memoriale di un’odissea durata otto mesi e più di 12.000 chilometri percorsi attraverso cinque paesi sudamericani. Ernesto Guevara, un ventitreenne studente di medicina, parte nel dicembre 1951 dall’Argentina accompagnato dall’amico Eric Granado. I due compiono un viaggio avventuroso, di auto-scoperta, prima di tutto personale e poi anche politica. La moto in tutto ciò ha un ruolo secondario, diventa un personaggio comico a sé stante: la Norton 500 M18 ironicamente ribattezzata “La Poderosa” «è il Ronzinante di Don Chisciotte in versione benzina» (Morgenstern 2004) che, malandata com’è, costringe ben presto i due a proseguire a piedi. L’evento, simbolicamente, appare come il segnale di una trasformazione, di un risveglio spirituale: Guevara in cammino vede con i propri occhi la miseria in cui versano quelle terre, prendendo consapevolezza delle disuguaglianze. Letto in retrospettiva come un romanzo di formazione, per Ernesto è un cammino verso la maturità: la conclusione del viaggio coincide con la nascita del Che, il rivoluzionario. In una parola, Z.A.A.M.M. Zen and the Art of Motorcycle Maintenance venne pubblicato nel 1974 . Dopo essere stato rifiutato da ben 121 editori, quello di Robert Pirsig²⁰ è ormai un best-seller, il libro di filosofia e –tendenzialmente – di motociclismo più letto al mondo. Il titolo un po’ tradisce, lo stesso Pirsig ammette nella nota introduttiva: «[questo libro] non va in alcun modo assimilato al vasto corpo di dati relativi alle pratiche ortodosse del buddhismo Zen. E neppure va associato troppo strettamente con la realtà pratica delle motociclette» (Pirsig [1974] 1981: 8). Eppure. Ingranaggi, puntine, bulloni del motore, alberi a camme, paracatena, iniettori, sono tutti elementi importanti. Questo è davvero un libro sull'arte della manutenzione della motocicletta, sulla concentrazione, sullo scrupolo e la delicatezza necessarie sia alla mano che all’orecchio, per mantenere un motore performante con il caldo o il freddo, con l'asfalto o la polvere del deserto. (Steiner 1974)
2. LA MOTO E LE SUE RAPPRESENTAZIONI
IDENTITÀ IN MOTO
Robert Pirsig o re un modo di guardare alla motocicletta che non condivide nulla della simbologia presentata in quegli anni sul grande schermo. La trama in realtà è un classico: padre e figlio in vacanza (FIG. 26) compiono un viaggio in moto da Minneapolis alla California. Le pagine scorrono, si alternano paesaggi ed eventi; Pirsig non è il primo a mettersi “on the road”, ma è il significato di questo viaggio, necessariamente fatto in moto, a portare la storia ad un livello più profondo. Stare in sella consente all’autore di entrare in uno stato di percezione che lo induce alla meditazione e così facendo i suoi pensieri compiono un proprio percorso parallelo. La motocicletta diventa lo strumento su cui e con cui condurre una ricerca sui valori: «Il Buddha, il divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore» (Pirsig [1974] 1981: 28). Pirsig sfida la concezione platonica della ragione sopra l’emozione, andando a riconciliare la sfera spirituale (lo Zen), quella artistica (l’Arte) e quella scientifica (la manutenzione della motocicletta) all’interno di un nuovo paradigma, la “Metafisica della Qualità” (cfr. McWatt 2017). Ma il libro è soprattutto la leggenda di una grande caccia all’identità, il percorso contrastato di un uomo che fugge dal proprio passato verso la redenzione. Per questo motivo, George Steiner (1974) sul New Yorker arriva a paragonare il capolavoro di Pirsig a un altro della letteratura americana, Moby Dick di Melville. FIG. 26 Robert Pirsig e il figlio Chris fotografati dall’amica Sylvia Sutherland (1968).

UNA MOTO AL MUSEO: THE ART OF THE MOTORCYCLE Nel 1998, al Guggenheim Museum di New York aprì “The Art of the Motorcycle”(FIG. 27) , una delle mostre più popolari, discusse e in definitiva importanti della sua storia. Curata e voluta dall’allora direttore del museo Thomas Krens²¹ , appassionato di due ruote, la mostra coprì più di un secolo di storia della motocicletta: dal primo velocipede a vapore Michaux-Perreaux del 1868, alla MV Agusta F4 del 1998. In totale furono 114 veicoli che vennero selezionati – in base alla rilevanza storica o l’eccellenza del design – dallo stesso Krens, assieme ad altri collaboratori tra cui Charles Falco, fisico e storico della motocicletta.Imodelli vennero esposti in ordine cronologico sulla suggestiva rampa a spirale di Frank Lloyd Wright, in un allestimento curato da Frank Gehry (FIG. 28) : pannelli di acciaio specchiante ricoprirono il lato interno della rampa di Wright, andando a smaterializzare la struttura a spirale e trasformandola, metaforicamente, in una sorta di macchina. La mostra ha segnato il maggior numero di visitatori della storia del museo ed è tra le prime cinque mostre più visitate di tutti i tempi. Nei tre mesi di apertura a New York, vennero raggiunte più di trecentomila presenze, senza contare le repliche a Chicago e al Guggenheim di Bilbao e di Las Vegas, che fanno lievitare le presenze registrate attorno ai due milioni di partecipanti (Falco 2004).
21. Thomas Krens, americano, è stato per vent’anni il direttore del Guggenheim Museum di New York. Durante la sua direzione controversa, ha promesso e rivoluzionato l’istituzione, ottenendo grande notorietà.
Aldilà del dato oggettivo, a distanza di tempo, tale esposizione sembra confermare le premesse di Krens, secondo cui: «The Art of the Motorcycle segna l’inizio di una trasformazione della sovrastruttura culturale» (Drutt e Krens 1998: 18). Ad inizio degli anni ’90, la direzione artistica dei musei era messa in discussione, tra approcci elitari ed altri più democratici. Krens, direttore del Guggenheim di New York dal 1988, lavorò a uno spostamento della concezione di museo da statico deposito di opere d’arte, a luogo d’intrattenimento più aperto (cfr. The Economist 2001). La mostra del 1998, come a erma Erika Balsom, «fornisce un chiaro esempio del modo in cui istituzioni di primo piano del mondo dell’arte e della cultura si sono allontanate dal loro classico mandato, per proporre qualcosa per cui i visitatori avrebbero fatto la fila» (Balsom 2013: 182). Come ricorda Luca Beatrice²² (2018), “The Art of the Motorcycle” propose un nuovo paradigma stilisticointerpretativo che la rende uno spartiacque: 22. Luca Beatrice è un critico d'arte, curatore e accademico italiano. Nel 2018 ha curato la mostra “Easy Rider. Il mito della motocicletta come arte” ospitata alla Reggia di Venaria. FIG. 27 Manifesto della mostra “The Art of the Motorcycle” (1998).
2. LA MOTO E LE SUE RAPPRESENTAZIONI 2.10.
69

23. Ad ogni modo, su 114 moto di quaranta marche diverse, quelle della casa tedesca esposte furono solo nove, a dimostrazione di una sostanziale indipendenza del curatore (cfr. Kimmelman 1998).
70 IDENTITÀ IN MOTO Prima e dopo, ne sono state ordinate altre e in genere riassumibili in due tipologie: rassegne di dipinti, disegni, sculture ecc., che hanno per soggetto la motocicletta; esposizioni di moto dal carattere eccezionale, solluchero per appassionati, che non si discostano troppo dalle fiere di settore o dalle sale allestite nei musei d'impresa. Quella parola “art” accanto a “motorcycle” ha definito invece un altro modo di guardare a un oggetto d'uso e la combinazione tra stile, innovazione, tecnologia, sperimentazione, definisce innanzitutto il profilo estetico della motocicletta che dunque ne include un certo valore artistico come in un qualsiasi prodotto che unisca l’industria con l'artigianato e la creatività. (Beatrice 2018: 19)
La mostra venne concepita come un sistema composto oltre che dall’esposizione in sé, da diversi elementi tra cui un pregiato catalogo e una serie di altri eventi culturali come conferenze e proiezioni cinematografiche. Nelle parole di Krens, «l’esperienza culturale di The Art of the Motorcycle è la somma delle sue parti» (Drutt e Krens 1998: 18). La mostra ha spaccato la critica in due, tra chi ne ha apprezzato l’approccio innovativo e l’originalità e chi ha tacciato il museo di essere populista, nonché compromesso dall’influenza degli sponsor. La mostra venne infatti finanziata da BMW per celebrare il 75esimo anniversario della casa tedesca²³. Le critiche del mondo dell’arte vennero mosse soprattutto per l’aspetto “blockbuster” della mostra. Per il critico Hilton Kramer la mostra: «È uno sfacciato stratagemma per portare soldi e un qualunque visitatore che arrivi su una moto» (Kramer in Kinsella 1998). Anche tra i visitatori ci si interrogava se le moto fossero così importanti da finire al Guggenheim, una «cattedrale della cultura» (Wolfe 1975). Aldilà che le moto possano essere o meno giustificate come opere d’arte, Krens non volle proporre le motociclette come tali, quanto piuttosto come esempi di cultura materiale del ventesimo secolo. «Le motociclette ci hanno fornito una ricca narrazione culturale e questa mostra è un serio tentativo di guardare a un’icona del nostro tempo» (Krens in Vogel 1998). La mostra determinò un cambio di percezione della cultura motociclistica: le motociclette si caricarono di un nuovo significato, quello di metafore del Novecento. Come a erma Thompson: «Dato che molti motociclisti americani si sono a lungo sentiti una minoranza incompresa e una generalmente disprezzata, vedere i loro mezzi elevati allo status di Arte in questa roccaforte dell’Elite Establishment non può che aver fatto sorridere molti di loro» (Thompson S. L. 2000: 103).
FIG. 28 Dettaglio dell’allestimento di Frank Gehry per la mostra “The Art of the Motorcycle” (1998).
Il suggestivo allestimento di Frank Gehry: una serie di pannelli di acciaio specchiante ricoprono il lato interno della rampa di Wright, andando a smaterializzare la struttura a spirale e trasformandola, metaforicamente, in una sorta di macchina.
71

2.11.
Quanto riportato sin qui, cerca di o rire una panoramica, seppur parziale e non definitiva, delle rappresentazioni del motociclismo apparse negli anni. Nessuna di queste immagini, nonostante alcune abbiano riscontrato una maggior di ondibilità, può essere assunta a rappresentativa di un universo tanto vasto ed eterogeneo. Ad ogni modo determinati modelli presentati soprattutto nei film, hanno avuto la capacità di stagliarsi nell’immaginario collettivo con una maggior e cacia. È dunque interessante intendere l’immagine del motociclista come una «valuta culturale» (Alford e Ferriss 2007: 157) che in quanto tale: a) è in grado di circolare sia nei media che nell’immaginazione collettiva; b) non identifica strettamente i membri di una determinata categoria, quanto piuttosto un set di valori culturali (come la ribellione o la propensione al rischio); c) può essere utilizzata negli scambi dai singoli individui. Se è vero che le rappresentazioni del motociclismo siano per larga parte fittizie, o quantomeno parziali, è altrettanto vero che la visione di tali immagini ha avuto un impatto concreto sulle persone. Ciò vale sia per quei motociclisti che le hanno talvolta adottate come modelli di stile, sia per gli “abiti” che i non-motociclisti hanno sviluppato nei confronti della figura del “biker”. Come notano Alford e Ferriss, lo storico club motociclistico femminile statunitense The Motor Maids ha speso veri soldi in un abbigliamento che potesse identificarne i membri come “donne”. Nel tentativo di opporsi all’immagine del biker outlaw hanno fornito a loro volta una nuova immagine (cfr. ivi: 158). Risulta ora fondamentale spostare il focus dell’indagine su chi utilizza il veicolo a due ruote per configurare la propria identità: la figura del motociclista, come individuo e come parte di una comunità.
72 IDENTITÀ IN MOTO UNA COLLEZIONE DI IMMAGINI
73 FIG. 29 Jacques Henri Lartigue, Route from LA to Carmel (1972). Alcuni modelli presentati soprattutto nei film, hanno avuto la capacità di stagliarsi nell’immaginario collettivo con una maggior efficacia. Pochi anni dopo l’uscita di Easy Rider, Jacques Henri Lartigue ritrae questi motociclisti in viaggio in California.

Una molteplicimotocicletta,identità3.
77
Nella sua concezione strutturale, la motocicletta è un mezzo essenzialmente individualistico. A norma di legge, in sella possono salirci al massimo due persone; aggiungiamone una se consideriamo anche i sidecar. Chi si mette al manubrio è un individuo che compie una scelta “altra” di mobilità e così come si può scegliere un accessorio, un capo di abbigliamento o una squadra sportiva, anche la moto diventa un’occasione per definire la propria identità. Inoltre, senza alcuna carrozzeria a nasconderla, l’identità del motociclista si trova in una particolare situazione di esposizione nella giungla urbana e nelle scelte estetiche è possibile rintracciare l’io di chi è dentro al casco. In questo senso una persona è in grado certamente di distinguersi dagli altri, così come di trovare un gruppo capace di riflettere una comune percezione del sé. È negli aspetti comunitari, in particolare, che si concretizza il concetto di motocicletta come “aggregatore sociale”: quando l’oggetto-icona diventa oggetto di culto (vedi 1. 4 .), attorno al totem è pronta a radunarsi una nuova tribù.
Una molteplicimotocicletta,identità
IL NEO-TRIBALISMO
L’individualismo che caratterizza il nostro tempo è una conclusione logica della ricerca moderna di una liberazione da qualsiasi vincolo sociale. Alla progressiva conquista delle libertà fa da contraltare una maggior frammentazione della società, promossa dagli sviluppi industriali e commerciali, nonché accelerata dalle innovazioni tecnologiche. Quando tutti i punti del globo sono a portata di click, la totale accessibilità virtuale può lasciare spazio a un isolamento fisico. Il progresso, trionfo del razionalismo, ha permesso alle comunità premoderne di evolversi in società moderne, un processo che secondo Michel Ma esoli²⁴ (1988) risulta reversibile, mettendo in crisi proprio i presupposti della modernità. Lo stesso progresso, infatti, nell’era post-moderna apre uno spiraglio al ritorno dell’arcaico, 24. Michel Maffesoli è un accademico e sociologo francese, professore emerito alla Sorbona. È il fondatore della “sociologia del quotidiano”, nonché il teorico del “neo-tribalismo”. 3.1.
La condivisione di un interesse o di una passione comune diventa stimolo e rinforzo di tali sodalizi. Nelle esperienze collettive emozionali è possibile vedere il ritorno di quell’immaginazione premoderna, rinnegata dal pensiero moderno, in cui trovare i valori di comunità, localismo e nostalgia (cfr. Cova e Cova 2002: 597). Agli individui è inoltre concessa la piena libertà nello scegliere a quale neo-tribù a liarsi attraverso una sorta di «bricolage identitario» (Barile 2017): l’individuo sceglie la sua neo-tribù in base alla vicinanza dei valori, può modulare la propria appartenenza e partecipare
78 IDENTITÀ IN MOTO tra i cui e etti osserviamo la ritrovata centralità della comunità come modello di organizzazione dei rapporti interpersonali. Emerge infatti il desiderio di formare nuovi gruppi, non più ereditari, in grado di fornire un senso di appartenenza ai propri membri e di supportarne il processo di costruzione dell’identità (cfr. Dencik 2001: 194).
Come a ermano Bernard e Véronique Cova: «La nostra era, quindi, non celebra il trionfo dell’individualismo ma piuttosto annuncia l’inizio della sua fine» (2002: 597 L’equazione).
di Ma esoli trova nella postmodernità il risultato di un ritorno del tragico a cui si somma l’innovazione tecnologica (cfr. Barile 2017). Per usare dei termini cari al sociologo francese, se il razionalismo moderno è tipicamente “apollineo”, dunque freddo ed equilibrato, nella postmodernità si assiste al ritorno del calore della passione, tipica di quella dimensione “dionisiaca” sopita. Desiderosi di ritrovare il senso della comunità, di un’emozione collettiva, aumentano gli individui che si riuniscono in gruppi eterogenei, in quello che Ma esoli definisce il fenomeno del «neo-tribalismo» (1988: 11).
Nelle neo-tribù ci si ritrova liberamente, senza alcun vincolo di sangue o senza identificarsi in un progetto politico comune. «Le tribù postmoderne possono anche avere un obiettivo, una finalità, ma non è l’aspetto essenziale: ciò che è importante è l’energia spesa nel costituire il gruppo in quanto tale» (ivi: 96).
Se nelle aggregazioni umane tipicamente moderne (come le congregazioni religiose o politiche) l’unione con l’altro risulta funzionale al raggiungimento di uno scopo comune, nelle aggregazioni umane postmoderne il collante dei rapporti, la sola raison d’être dello stare insieme, altro non è che il puro piacere di farlo. Aggregazioni sociali di prossimità che, seppur e mere, sono in grado di esercitare un’influenza sul comportamento dei membri più e cace di qualsiasi istituzione moderna o altre autorità culturali formali.
• Gli elementi simbolici sono i legami emozionali, spesso intangibili, in grado di riunire le persone che condividono interessi o uno stile di vita. In altre parole, ciò che conferisce il senso di comunità.
79 anche a più neo-tribù contemporaneamente. In questo modo, riprendendo Bauman (2003), l’individuo si riscopre multiidentitario, la sua identità cioè si fa liquida e fluida.
• Gli elementi comportamentali sono i luoghi di ritrovo dove la neo-tribù può manifestarsi in quanto tale, consolidando e a ermando la propria identità di comunità. Sono inclusi gli spazi fisici, i rituali, nonché tutti quei significanti in grado di mostrare con maggior evidenza l’identità della tribù, siano un marchio, un adesivo o un outfit.
Nella loro struttura, tali gruppi appaiono reti basate su un sistema di relazioni orizzontali. L’ordine sociale al loro interno non è garantito da un potere centrale, bensì il motivo di aggregazione è astratto, rinsaldato da dinamiche quali la solidarietà e il cameratismo. Tipici esempi di neo-tribù sono quei collettivi umani uniti da un interesse condiviso, come gli hobbisti o gli appassionati di un particolare sport. Insomma, il denominatore comune delle tribù postmoderne è la condivisione di una passione che può essere scatenata anche da un mezzo di “trasporto” – si potrebbe dire emotivo – come la motocicletta. Il ruolo dell’oggetto di culto torna fondamentale all’interno di una prospettiva tribale in cui anche quella dei “motociclisti” può essere interpretata come una neo-tribù. Tramandando gli aspetti premoderni, l’appartenenza alla tribù passa anche attraverso l’accettazione o il rifiuto dei rituali, alcuni dei quali sono quotidiani. «Dal momento che le aspirazioni, il futuro e gli ideali non servono più da collante per unire la società, il rituale, rinforzando il senso di appartenenza, può giocare questo ruolo consentendo ai gruppi di esistere» (Ma esoli 1988: 140). Ad esempio, tra i membri della neo-tribù motociclistica è tipica l’abitudine di scambiarsi un particolare cenno di saluto. Salutare l’incontro di un altro motociclista sporgendo l’indice e medio della mano sinistra o allargando il piede dopo un sorpasso, sono norme non scritte del galateo della strada che sono condivise e applicate globalmente. Di fatto, come nota Dolles et al. (cfr. 2018: 123), le neo-tribù sono caratterizzate dalla presenza di elementi simbolici e comportamentali, facilmente riscontrabili in un motoclub:
3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ
Il cosiddetto “marketing tribale” trova un terreno fertile nel contesto motociclistico, con alcuni casi di applicazione particolarmente riusciti. I brand più storici e importanti
80 IDENTITÀ IN MOTO SEI LA MIA NEO-TRIBÙ
25. MotoGP e MXGP, rappresentano due delle più note declinazioni sportive del motociclismo. Entrambi campionati mondiali, MotoGP riguarda le corse su asfalto (motomondiale), MXGP le corse in fuoristrada (motocross). 3.2.
26. Bernard Cova è un docente di marketing francese. I suoi interessi di ricerca vertono vertono sulle strategie di marketing non convenzionale. Ha teorizzato il termine “marketing tribale”.
Così come all’interno di un quartiere con numerosi locali, i gruppi di amici tendenzialmente ne eleggono uno come ritrovo abituale, anche all’interno della comunità motociclistica si avvertono diverse polarizzazioni in grado di dar vita ad altrettante sottotribù. Che siano ducatisti o harleysti, stradisti o fuori-stradisti, piuttosto che fan di MotoGP o MXGP ²⁵, gli appassionati possono trovare la propria o le proprie nicchie di riferimento in grado di di erenziarsi anche negli elementi simbolici e comportamentali. Le occasioni di aggregazione sono molte, ma è possibile identificare quattro rilevanti categorie di neo-sottotribù motociclistiche riassumibili in: brand; tipologia di moto; località geografica; identità di genere. Tali categorie non vanno intese come esclusive, ma piuttosto fluide e disposte a frequenti intersezioni. È possibile trovare comunità legate a un brand ma accomunate anche da una determinata località, così come gruppi che si ritrovano sia in base all’identità di genere che per tipologia di moto. Brand Nel soddisfare il proprio desiderio di comunità, i consumatori ricercano prodotti e servizi in base al loro valore “relazionale” oltre che per il loro valore d’uso: possedere un particolare oggetto diventa la chiave con cui costruire nuovi rapporti, con cui relazionarsi all’altro. Seppur priva di un carattere esplicitamente commerciale, «quando una neo-tribù è organizzata attorno ad una stessa passione per un oggetto di culto come l’Harley Davidson, mostra molte somiglianze con una brand community» (Cova e Cova 2002: 603).
Accade dunque che certi brand riescano nel tempo a costruire un’identità tanto potente e attrattiva, in grado non solo di scatenare la fascinazione del consumatore, ma di essere adottata come parte dell’identità del consumatore stesso. In tal senso, secondo Bernard e Véronique Cova²⁶, nell’era delle neo-tribù, il marketing diviene l’attività di progettazione e successivo lancio sul mercato di prodotti e servizi destinati a favorire l’aggregazione tra individui (cfr. ivi 2002: 600).
Ducati fornisce uno dei casi studio di successo nel campo del marketing tribale, una filosofia fortemente sposata dall’ex presidente e Ceo Federico Minoli²⁸. Nella visione di Minoli c’era la necessità di trasformare la casa bolognese «da azienda metalmeccanica ad azienda dell’intrattenimento» (Minoli 2012) replicando un percorso già intrapreso con successo da Harley Davidson qualche anno prima. Per i ducatisti significa ritrovarsi all’interno di un “villaggio neo-tribale”, costruito più sulle relazioni che sull’oggetto in sé.
possono godere del supporto di una propria comunità di possessori, spesso particolarmente attiva e influente: dagli “HOG” (Harley Owners Group, FIG. 30) al “Clan” Moto Guzzi, così come il Ducati “DOC” (Desmo Owners Club).
Qui non si parla di clienti, ma di fan. E, in termini di marketing, qual è il fan tipo Ducati? All’inizio, avevo intenzione di segmentare la clientela, ma si è rivelato impossibile. […] È per questo che preferisco parlare di tribù Ducati. Per tribù si intende un gruppo di persone che condividono un qualcosa. Al centro della tribù c’è il totem, la Ducati. Detto questo, il prodotto non identifica la tribù, ma serve da legame identitario tra i suoi membri. (Minoli 2010) Una neo-tribù in grado di “lavorare” attivamente per l’azienda, divenendo individualmente e collettivamente la più autentica ed e cace promotrice del marchio. 28. Federico Minoli è un manager e imprenditore italiano. Dal 1996 al 2007 è stato CEO e presidente di Ducati. Oggi è coproprietario e CEO di Deus Ex 27.Machina.Perchapter si intende la sezione locale di un motoclub generalmente legato al contesto HarleyDavidson, dunque sia lato HOG che onepercenters FIG. 30 Marchio di HOG – Harley Owners Group
3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ
81
Immagina il calore di una grande famiglia e il colore sgargiante di bandiere di paesi diversi che si incontrano. Immagina di vivere nuove esperienze, di scoprire paesaggi mozzafiato, partecipare ad eventi esclusivi e di trascorrere momenti unici in sella alla tua moto in compagnia di chi condivide la tua stessa passione. Immagina una grande community che sceglie ogni giorno il rosso di Borgo Panigale per colorare le proprie giornate. Ora puoi smettere di immaginare. Tutto questo esiste. (Desmo Owners Club)
Tali club sono spesso supportati dall’azienda stessa, possono operare su scala internazionale con particolari emanazioni locali (come nel caso dei chapter²⁷ HOG). Per accedere è necessario essere possessori di un veicolo e pagare una quota associativa; solitamente ai membri vengono riservate particolari agevolazioni, eventi e raduni dedicati, nonché una serie di accessori e gadget in grado di rinforzare il legame col brand e con gli altri appassionati.

Tipologia di moto Il mercato moto presenta un’o erta così eterogenea da soddisfare i gusti anche dei biker più esigenti: la storia di un brand, il comfort, le prestazioni, l’estetica, la personalizzazione, sono alcuni dei parametri che possono condurre il “motoconsumatore” nella propria scelta d’acquisto. Certamente, come visto, non mancherà di trovare una specifica comunità con cui condividere la propria passione. È possibile individuare una sottotribù per ogni specifica tipologia di veicoli presente sul mercato: dalle supersportive agli scooter, dalle tourer alle custom. Sta ai singoli individui a errare le varie identità messe “a catalogo”, basta solo avere le risorse per potervi accedere e diventare così il tipo di motociclista che si vuole incarnare. È quanto mai calzante la riflessione fatta da Zygmunt Bauman²⁹ a proposito del “boom scooterista” che ha coinvolto le metropoli europee da qualche anno: dopo l’introduzione della congestion charge, la tassa per gli automobilisti che vogliono circolare in auto nel centro di Londra, essere uno «scooterista» è subito diventato un obbligo per i londinesi alla moda. Non è semplicemente lo scooter a essere diventato un must, ma anche un abbigliamento appositamente disegnato, indispensabile per chiunque voglia sfoggiare in pubblico la sua nuova «identità di scooterista»: giacca di pelle Dolce&Gabbana, scarpe da ginnastica alte e rosse dell’Adidas, casco argentato Gucci o sciarpa gialla Jill Sander intorno agli occhiali da sole. (Bauman 2003)
82 IDENTITÀ IN MOTO
Quando la moto diventa “accessorio”, scelto anche per veicolare la propria identità, la strada spesso conduce alla personalizzazione del veicolo stesso. Modificare la propria moto non solo riflette la propria individualità, ma la manualità richiesta testimonia le competenze meccaniche del proprietario. Il mondo custom si presenta come uno scenario eterogeneo, fatto di nicchie nella nicchia, da qualche anno in particolare evidenza. Il fenomeno della personalizzazione in realtà esiste da quando le moto sono state inventate e per certi aspetti può essere considerato folkloristico: C'è il desiderio in ognuno di noi di rendere più personali le cose che possediamo e questo vale anche per le automobili o le motociclette. [...] La personalizzazione o customizzazione, rende un oggetto, in questo caso una motocicletta, più personale, mettendovi un marchio identificativo. (Ballard 2017: 25) 29. Zygmunt Bauman è stato un sociologo, filosofo e accademico polacco. Tra i massimi liquida”.ilcontemporanei,intellettualihateorizzatoconcettodi“modernità
FIG. 32 Cliff Vaughs in sella a una delle sue creazioni. FIG. 31 Il chopper Captain America
3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ
L’universo custom è dotato di un proprio lessico; tra i termini più noti troviamo “chopper” e “bobber” nati per descrivere gli interventi manuali sulla struttura della moto seguendo l’ethos del DIY. Se la filosofia bobber consiste in una riduzione all’essenzialità, nel chopper la forma viene stravolta, talvolta in modo manierista. La Captain America (FIG. 31) progettata da Cli Vaughs³⁰ per Easy Rider può essere un chiaro esempio di chopper con il suo serbatoio ridotto (“peanut tank”) e il manubrio alto (“ape hangers”). È interessante notare come con lo sviluppo della comunità custom – la nascita di o cine artigianali specializzate, grandi fiere di settore e motoraduni – alcuni brand si siano messi in ascolto investendo sulle possibilità di “customizzazione” del cliente e o rendo nutriti cataloghi di accessori. Dal vocabolario di una nicchia di appassionati, Chopper e Bobber sono divenuti modelli di produzione industriale: sono del 2016 la Triumph Bonneville Bobber e del 2018 la Moto Guzzi V9 Bobber, mentre già agli inizi degli anni ’70 l’italiana Fantic Motor proponeva sul mercato i suoi Chopper 50 e 125 cc. 30. Cliff Vaughs è stato un costruttore di moto, regista e attivista per i diritti civili americano. Tra le tante, ha progettato i due chopper usati nel film Easy Rider


Se Federmoto – in quanto ente organizzato – traccia programmaticamente le sue aree d’azione e i suoi obiettivi, la passione condivisa può dar luogo a movimenti locali più fluidi in grado di arrivare a ridefinire l’identità di un territorio: la FIG. 33 Un marchio di 110 anni: l’evoluzione del logo della Federmoto. 1911 (Moto Club d’Italia) 2021 (Aldo Drudi)
L’odierna Federazione Motociclistica Italiana (Federmoto) nacque nel 1911 sotto il nome di Moto Club Italia. Come visto (vedi 2.6.), tra le due guerre il motociclismo (sportivo) in Italia raggiunse una grande popolarità anche grazie allo sviluppo di un’industria che conferì al nostro Paese una posizione di particolare rilievo. Come suggerisce Laura D’Amico (2019), nel marchio attuale della Federmoto (FIG. 33) è possibile riscontrare una continuità con le origini, data la presenza di quattro elementi «caratterizzanti la moto: l’industria meccanica con il blocco cilindro-testa; la velocità e la libertà di movimento con un’aquila girata a sinistra; la gloria rappresentata dalla treccia di alloro in basso; […] la bandiera italiana nel centro e la scritta F.M.I.» (D’Amico 2019: 55 56).
84 IDENTITÀ IN MOTO
Federmoto, che ha da poco celebrato i 110 anni di attività, è un complesso “sistema” sorretto da una struttura federale, con alla base uno statuto e un codice etico a cui fanno riferimento i motoclub locali sparsi per la Penisola. Nelle sue attività ed emanazioni vi è la testimonianza di quali responsabilità può farsi carico un’aggregazione nata sostanzialmente da una passione condivisa.
La FMI sviluppa, controlla, promuove e tutela sul territorio italiano tutte le attività motociclistiche sportive e non, attraverso l’organizzazione di iniziative che riguardano la diffusione di una cultura dell’educazione e sicurezza stradale, la tutela del patrimonio motociclistico nazionale, il rispetto delle regole, delle persone e dell’ambiente, in linea con i principi di trasparenza ed efficienza economica. (Federmoto)
Località geografica Per una comunità in movimento come quella motociclistica è evidente come il territorio diventi una componente fondamentale: il territorio esplorato, in cui si manifestano i rituali della neo-tribù, è anche punto di partenza e di ritrovo. Cambiando la scala geografica, cambia l’area di influenza e di conseguenza il proposito di un sodalizio. A seconda dei propri confini, un’associazione può essere a livello internazionale (Fédération International de Motorcyclisme), nazionale (Federazione Motociclistica Italiana) o locale.


[…] In Romagna, negli anni ‘50, la spinta delle case motociclistiche per organizzare gare in cui potevano promuovere le proprie moto era molto forte. […] Le corse entravano nelle città, nei centri abitati. Non erano le persone a raggiungere i circuiti, erano le gare che arrivavano in città. (Zani 2021, app. 7.1.)
Romagna, specificità italiana e proverbiale “Terra dei Motori”, si presta a tali considerazioni. Laura D’Amico³¹ (2019) sostiene che il motociclismo qui sia un «catalizzatore delle esperienze» (cfr. D’Amico 2019: 240), un fenomeno culturale che in questa regione ha trovato un terreno particolarmente fertile per poter germogliare. «Ci sono circuiti, o cine, rettilinei di lungomare, percorsi fuori pista. […] Il binomio motociclismo-Romagna è spesso dato per scontato, come se fosse così da sempre, perché continuamente manifestato» (ivi 2018: 20).
85
La passione amatoriale della comunità motociclistica romagnola si inserisce nella narrazione del territorio. Come sottolinea Je rey Zani: c’è stata una scintilla e il fuoco che ha generato continua a bruciare.
Il distretto della Motor Valley e il brand The Riders’ Land (FIG. 34) testimoniano l’evoluzione della terra «de Mutor» (Rivola 1975). Spinto da una condivisa «pulsione» (D’Amico 2019) verso la moto, in questa regione si è sviluppato un “sistema” in cui menti creative, gloriose aziende, talenti sportivi, associazioni e semplici appassionati hanno collaborato spontaneamente alla costruzione e all’a ermazione dell’identità territoriale. FIG. 34 L’identità del brand The Rider’s Land è stata applicata al Circuito di Misano Adriatico, dove annualmente si disputa il Gran Premio di San Marino e della Riviera di Rimini. Progetto grafico: Aldo Drudi. 31. Laura D’Amico, è una designer italiana. Si definisce una “grafica in Riviera”, poiché collabora con diverse realtà del territorio romagnolo. È autrice del libro Pulsioni. Il fenomeno del motociclismo in Romagna (2019).

Da un punto di vista quantomeno tecnologico la motocicletta non richiede necessariamente un uomo al manubrio, tuttavia nel percepito comune la neo-tribù motociclistica viene generalmente considerata maschile ed eterosessuale. Coloro che non rispecchiano tale stereotipo, spesso enfatizzato, risultano una minoranza e faticano a trovare visibilità e riconoscimento sia tra i motociclisti che nella narrazione mediatica. In realtà il motociclismo è in grado di accogliere le comunità più eterogenee e anche qui l’identità di genere o l’orientamento sessuale forniscono un’e cace spinta all’aggregazione, in grado talvolta di connotarsi come una dichiarazione socio-politica.
Nel 1940 le americane Dot Robinson e Linda Dugeau³² fondarono il primo moto club femminile della storia, The Motor Maids of America (FIG. 35) , con lo scopo di riunire le motocicliste americane e o rire un’immagine alternativa a quella machista più di usa. Come a ermava Robinson: «Ho fatto capire alla gente che non tutti [i motociclisti] sono come quei gruppi di barbuti, vestiti di pelle nera, con cui veniamo asfaltati dai media» (Robinson in Ferrar 1996: 29). Il motociclismo risultava lontano dalle tradizionali nozioni di femminilità: un’attività limitata per le donne che, salendo in sella, si trovano tuttora a dover combinare il desiderio di guidare con una visione della femminilità che lo consenta: oltre ad a rontare una prova fisica le motocicliste devono confrontarsi con i potenziali riflessi contrastanti della propria immagine (cfr. Roster 2007: 446).
86 IDENTITÀ IN MOTO
In un contesto sociale in cui, generalmente, una donna in sella veniva considerata una «sexual outlaw» (Joans 2003: 165) – lesbica, misandra e irresponsabile – per le Motor Maids la lotta a tali stereotipi divenne la propria missione. Tuttavia, nei primi anni dalla sua fondazione, il club elaborò un’immagine della donna motociclista che, invece di metterlo in discussione, si conformò all’ideale convenzionale di femminilità: la divisa sociale rosa unita a una rigorosa cura estetica rispecchiava le casalinghe americane degli anni ’40. Alla base del club vigeva la regola: «Una Motor Maid deve essere proprietaria della sua motocicletta e deve sempre comportarsi come una signora» (Japenga 1986). Le motocicliste continuavano a trovare un’e ettiva di coltà nel veicolare un’immagine che ne esprimesse un’identità autentica. Col tempo il cliché femminile venne meno, la divisa si adattò a un taglio “maschile” usato nelle motoclub Motor Maids
FIG. 35 Stemma del
The
Identità di genere

Oltre a un club sociale, le Maids assunsero il ruolo di ambasciatrici del motociclismo, o rendo uno spazio sicuro, organizzato e legittimato in cui le donne potessero essere maggiormente coinvolte (cfr. Buck 2017). L’aspetto dell’inclusione trova eco in quel senso di empowerment che tuttora spinge nuovi gruppi femminili a ritrovarsi. Alle classiche “fratellanze” vanno sempre più consolidandosi nuove “sorellanze” (cfr. Boni 2020: 71) in cui la forza e l’indipendenza femminile si manifestano nel partecipare a una socialità a atata, nata dalla passione condivisa per la motocicletta. In Italia, le realtà più recenti nascono facendo leva proprio sul ruolo di “facilitatore” che una comunità motociclista femminile può svolgere. L’associazione Donneinsella (FIG. 37) , fondata nel 2007 da Laura Cola³³, nasce con l’intento di rendersi un punto di riferimento a supporto di tutte coloro che vogliono diventare motocicliste. Lo fa o rendo un ambiente famigliare, una struttura e uno sta organizzato per seguire le neofite nel conseguire la patente di guida e, successivamente, negli eventi della comunità. In questo modo, oltre al piacere derivante dell’esperienza, le partecipanti hanno la possibilità di diventare dei modelli in grado di ispirare nuove motocicliste.
87 corse e nell’esercito: pantaloni grigi, giacca blu, stivali bianchi, cravatta e un paio di guanti bianchi, un tocco riconosciuto di femminilità (cfr. Alford e Ferriss 2007: 107).
Come evidenza Roster, nelle esperienze motoristiche femminili è possibile leggere una «resistenza di genere» (2007: 458): le motocicliste, attraverso la loro individualità, le azioni collettive e l’aspetto vanno a ridefinire il significato non solo del “machismo” ma anche della femminilità stessa, allargandone gli orizzonti e opponendosi agli stereotipi.
33. Laura Cola è una motociclista, architetta e scrittrice italiana. Nel 2007 ha fondato motociclisteradunareun’associazioneDonneinsella,nataperesupportareleitaliane.
FIG. 36 Linda Dugeau (a sinistra) e Dot Robinson con la divisa da Motor Maids
32. Dot Robinson e Linda Dugeau sono state due motocicliste americane. Nel 1940 hanno fondato le Motor Maids, il primo club motociclistico femminile della storia.
FIG. 37 Marchio Donneinsella.dell’associazione


Alessandra Castellani³⁵ (1997) è tra le poche autrici – se non l’unica – ad aver dedicato una monografia in lingua italiana al “mondo biker”. Beninteso, l’ambito di ricerca risulta necessariamente limitato: la sua indagine si so erma sulle radici mitiche delle sottoculture giovanili della moto dal dopoguerra alla fine anni Sessanta. I giovani “bikers” ribelli nella definizione di Castellani sono: coloro che vivono le moto come qualcosa di davvero importante, come un complesso sistema di segnali determinante per esprimere il proprio mondo e le proprie ispirazioni. I bikers infatti non usano la moto come un semplice mezzo di trasporto; essa è piuttosto il fine, ciò che circoscrive e contraddistingue la realtà. (Castellani 1997: 9) L’identità sociale viene così trasposta in un oggetto, dando luogo a una forma simbolica di «resistenza» (Hebdige 1979:
Nel processo di partecipazione a una comunità si ra orzano il senso di appartenenza e l’identità personale. In tale aspetto, come ricorda Boni, la motocicletta o re «una particolare opportunità di definizione (o di ridefinizione) di sé e della propria identità, sia a livello individuale che come parte di un gruppo» (Boni 2020a: 102).
34. Dick Hebdige è un accademico e sociologo dei media britannico. Il suo interesse di studio verte sul fenomeno delle subculture giovanili inglesi.
Dick Hebdige³⁴ (1979) definisce le subculture come il rumore che si oppone al suono: una metafora appropriata al caso motociclistico. In una concezione che vede la subcultura a due ruote come minoritaria e deviante, la motocicletta diventa, come altri oggetti simbolici, una forma di «stimmate, emblemi di un esilio volontario» (Hebdige 1979: 2). Lo stile di una subcultura è costituito da oggetti con un duplice significato in grado di riflettere le tensioni tra i gruppi dominanti e quelli subalterni; è in questo modo che emerge «la dialettica fra azione e reazione che rende significativi tali oggetti» (ibidem).
Non deve stupire, dunque, che la cultura motociclistica si trovi declinata in alcune tra le subculture più a ascinanti per sociologi e antropologi. Subculture qui intese sia come «sistemi di pensiero, costumi, pratiche e codici di interazione sociale, stili di vita» (Solinas 1998) sia come categorie di devianze periferiche, un approccio con cui spesso sono state studiate.
88 IDENTITÀ IN MOTO IL SIGNIFICATO DELLO STILE: LE SUBCULTURE DELLA MOTO
35. Alessandra Castellani è un’antropologa e accademica italiana. Il suo interesse di ricerca verte su tematiche qui il gender, la moda e le culture giovanili. È autrice del libro Mondo Biker (1997). 3.3.
La motocicletta, come altri simboli, avverte della presenza di un’alterità “sinistra”, ma allo stesso tempo assume il valore di icona identitaria “proibita”.
Analisi “etnologiche” di questo tipo, lasciano trasparire un certo sguardo orientalista sull’Altro motociclista, visto come parte di una cultura esotica e primitiva. Ad ogni modo, la rilevazione di quei codici comunicativi, utilizzati almeno in parte all’interno della cultura motociclistica, risulta utile per svelare le «identità narrative» (Ricœur [1991] 2009) sorte in tale contesto. Identità caratterizzate da una «trasgressione creativa» in grado di interpretare in modo originale la realtà; in tal modo le comunità motociclistiche «[…] riscoprono e reinventano identità locali e vernacolari, fondate su un piccolo mondo» (Castellani 1997: 30). Di subculture motociclistiche ne sono sorte e continuano a sorgere nel mondo, si pensi alle contemporanee crew urbane di giovani dirt-bikers (Winny 2018) in Nordamerica (FIG. 38) e Francia, così come all’emergente comunità motociclistica di Accra (FIG. 39), in Ghana (Amegavie 2019). Ai fini di questa ricerca, però, verranno indagati gli esempi storici più rilevanti, in grado di catturare l’interesse mediatico e finire incorporati in consumi e stili mainstream. Parliamo di Mods & Rockers inglesi, Bōsōzoku giapponesi e Outlaw Club americani.
3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ
89 18). La motocicletta in tal senso diventa una manifestazione stilistica di quel ribellismo giovanile motoristico che la sfrutta, assieme ad altri segni, per costruire il proprio codice comunicativo.SecondoWillis (1994), tali culture “minoritarie” dispongono di vie alternative a quelle verbali per esprimere i propri sentimenti e le intenzioni, e dunque veicolare i propri significati. È tipico di tante subculture giovanili posizionarsi in una minoranza di cui essere orgogliosi, con un proprio linguaggio esclusivo e incomprensibile alla realtà circostante. Nella sua analisi di un gruppo di giovani biker boys di Birmingham, il corpo, l’abbigliamento e determinati artefatti di interazione ed espressione svolgono un importante compito narrativo: Essenzialmente questi gruppi hanno forme di espressione abbastanza varie e ricche come quelle di culture apparentemente più “affermate”, ma in un modo che li rende opachi alle indagini mediate verbalmente e quindi vulnerabili a una grossolana minimizzazione nei resoconti convenzionali. (Willis 1994: 144)
90 IDENTITÀ IN MOTO FIG. 38 M. Holden Warren, Chino, Baltimora (2018).

3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ
Nel mondo, le subculture motociclistiche continuano a sorgere. Le crew di giovani dirt-bikers sono un fenomeno noto in Nordamerica (FIG. 38) e Francia ed emergente in Africa (FIG. 39) . Baltimora (Usa), Argenteuil (Francia) e Accra (Ghana) sono tra i centri più rilevanti. 91 FIG. 39 Ofoe Amegavie, 12 o’clock in Accra, Ghana (2018).

92 IDENTITÀ IN MOTO Mods & Rockers
A loro volta eredi dei precendenti fenomeni Ted e Leatherboy, i Mods e i Rockers hanno costruito delle immagini iconiche, in grado di svelare il timore e al contempo la fascinazione dei media per le sottoculture “devianti” (cfr. Alford e Ferriss 2007: 79). Entrambi i gruppi erano in grado di riconoscersi come “tribù” distinte con una propria identità, trasmessa attraverso l’utilizzo di codici comunicativi basati su stili densi di dettagli. I Mods erano figli della working class britannica, aspiranti al cambiamento e dediti a una cura maniacale nella costruzione della propria immagine. L’abbigliamento gioca un ruolo chiave in tutto ciò: il look è sobrio e modernist (da qui il nome), d’ispirazione europea con abiti italiani, pettinature “alla francese” e l’inseparabile parka. Nei weekend i giovani Mods fuggivano dalla routine dell’u cio, radunandosi nelle discoteche londinesi, ascoltando pezzi preferibilmente jazz, R&B e ska, spesso assumendo anfetamine per restare svegli. Gli Who (FIG. 40) sono la band Mod per eccellenza, come ricorda Pete Townsend, chitarrista e fondatore de gruppo rock: Una delle cose che mi ha colpito di più nella vita è stato il movimento Mod in Inghilterra […]. Era un esercito, un esercito potente e aggressivo di adolescenti motorizzati. […] Per essere un Mod, dovevi avere i capelli corti, abbastanza soldi per comprarti un vestito elegante, belle scarpe, belle camicie; dovevi essere in grado di ballare come un pazzo. Dovevi essere sempre carico di pillole […]. Dovevi avere uno scooter pieno di luci. Dovevi avere come un parka da indossare sullo scooter. Questo era essere un Mod, fine della storia. (Townshend 1968)
Nei fiorenti tardi anni Cinquanta, la gioventù inglese si ritrovò con un lavoro, tempo libero a abbastanza soldi in tasca da poterli spendere per il proprio divertimento. Gli adolescenti iniziarono a prendere coscienza di sé, riconoscendosi come una classe sociale e maturando progressivamente un’identità di gruppo. Generalizzando, i giovani lavoratori si distinguono in chi lavora in u cio e chi in fabbrica: tradotto “motociclisticamente” in Mods e Rockers.
Lo scooter italiano, Vespa o Lambretta, divenne il mezzo di trasporto perfetto: semplice nell’utilizzo, alla moda ed economico, grazie allo scudo frontale era in grado di garantire la pulizia necessaria ad outfit così curati. Anche il veicolo fornì FIG. 40 Il simbolo Mod ripreso e reso celebre dalla band The Who

36. Per bricolage si intende «l’operazione di ri-contestualizzazione e ri-significazione di oggetti circolanti all’interno della società» (Boni: 2020 103); posti nel nuovo contesto simbolico tali oggetti assumono un significato sovversivo rispetto a quello originario. FIG. 41 Jimmy Cooper (Phil Daniels) è il protagonista del film Quadrophenia (1979).
3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ
93
la possibilità di mostrare la propria personalità attraverso modifiche prettamente estetiche. Così gli scooter iniziarono a riempirsi di abbondanti accessori decorativi come cromature, specchietti retrovisori e faretti supplementari. Con questa operazione di bricolage³⁶ «il motoscooter, originariamente rispettabilissimo mezzo di trasporto, era trasformato in un minaccioso simbolo di solidarietà di gruppo» (Hebdige 1979: 105).
Tutti gli oggetti mondani che vengono assunti e reinterpretati in chiave Mod perdono il loro significato originale, finendo per risultare incomprensibili e inquietanti agli occhi delle persone comuni (cfr. Boni 2020: 105).
Contemporaneamente, nelle periferie rurali emerge un altro movimento giovanile, quello dei Rockers. Fiero membro della classe operaia, abituato al lavoro manuale, il Rocker si mostra come un “duro” sia nelle maniere che nell’abbigliamento: non si sposta sullo scooter, ma guida motociclette e veste con jeans, giacche di pelle e stivali. Ascolta musica rock (preferibilmente Elvis Presley) e rifiuta l’uso di sostanze psicoattive. Il Rocker è il biker “vero”, modifica anch’egli il proprio mezzo, ma solo per renderlo più potente e veloce. Il ritrovo preferito è l’Ace Café sulla London North Circular, dove i Rockers si incontrano per passare del tempo insieme, bevendo e sfidandosi in temerarie gare di velocità. I mezzi eletti a tale scopo sono le gloriose moto inglesi dell’epoca – come BSA, Norton e Triumph – le café racer appunto, recentemente riportate in auge in chiave hipster. L’omologia della subcultura Rocker è particolarmente evidente nelle loro moto: potenti, aggressive e “virili” nell’aspetto, ne definivano lo stile e riflettevano i valori.
Mods e Rockers sanno di incarnare due stili diversi quando non opposti; in una sorta di «sessismo meccanico» (Hebdige 1979: 87) tradotto nei veicoli, scooter Mod e moto Rocker proponevano il contrasto tra femminile e maschile. Lo scontro ideologico non tardò a spostarsi sul piano fisico, così durante due Bank Holiday del 1964 alcune città balneari inglesi furono teatro di violente risse tra i due gruppi. La “battaglia di Brighton” verrà poi ricostruita nel film Quadrophenia (1979) di Franc Roddam (FIG. 79) . L’inattesa ondata di violenze inaugurò un periodo di «panico morale» (Cohen 1972) che portò media e cittadini inglesi a interessarsi di questi “diavoli popolari”, dando finalmente un nome al proprio terrore.


FIG. 42 Terence Spencer, Mods & Rockers (1964).

Nello specifico i Bōsōzoku sono gruppi di adolescenti, solitamente maschi, radunati in club con una propria struttura gerarchica. L’adolescenza non solo fornisce l’incoscienza e la propensione al rischio necessarie per impegnarsi in tali attività, ma definisce anche i limiti temporali dell’esperienza stessa che viene vissuta come un rito di passaggio. All’età di diciotto anni, ci si aspetta dai membri il passaggio all’automobile, segno della raggiunta maturità, pena l’umiliazione (cfr. Sato 1991: 52).
96 IDENTITÀ IN MOTO B ōsōzoku In Giappone, i primi club motociclistici nacquero già nel secondo dopoguerra, ma solo verso gli anni Settanta iniziarono a diventare una fonte di preoccupazione per i media e l’opinione pubblica. Quella dei Bōsōzoku (in italiano “tribù della velocità sfrenata”) è una sottocultura giapponese impegnata in corse motociclistiche urbane altamente spettacolari e rischiose, a causa delle velocità raggiunte e dalle acrobazie prodotte. Fenomeno tuttora attivo anche se in via di estinzione (Osaki 2016), il periodo di massimo splendore dei “motociclisti kamikaze” si colloca tra il 1979 e il 1982 e fu segnato da diversi incidenti mortali e numerosi arresti.
FIG. 43 La bandiera del Sol Levante (o Nascente) è divenuta parte dell’iconografia
Bōsōzoku
Ispirandosi alla temerarietà e alla virilità della figura del samurai, i Bōsōzoku propongono la declinazione nipponica del motociclista ribelle, con uno stile incentrato su una «teatralità fantasmagorica» (Boni 2020). Come per i Mod, le risorse finanziarie a disposizione dei giovani giapponesi venivano investite nella propria cura estetica. Le moto risultano eccentricamente decorate con colori sgargianti e numerosi accessori, tra cui lo shugo un particolare impianto di scarico realizzato per creare un suono roboante (cfr. Sato 1991: 46). Lo stesso avviene per l’abbigliamento: partendo da basici abiti da lavoro, i giovani motociclisti creano dei veri e propri costumi, con elaborati ornamenti a ricamo.
La divisa indossata tipicamente dai Bōsō è il tokkōfuku (FIG. 44) , un abito che deriva dalle uniformi dei piloti kamikaze, personalizzato con i kanji del club o altri slogan (Osaki 2018). Come ulteriore decorazione troviamo una serie di simboli culturalmente ambigui, seppur spogliati del proprio significato originale. Con una sorta di logo rip-o (cfr. Galluzzo 2020), alcuni segni come l’emblema imperiale, il Sol Levante (FIG. 43) o la bandiera giapponese venivano parodiati per veicolare l’identità del club.

97
Nonostante i frequenti scontri violenti tra tribù Bōsō rivali e l’a liazione di alcuni membri alla yakuza, un solo avvenimento riuscì a scuotere l’opinione pubblica giapponese. Nel 1976 l’ordine della città di Kobe venne sconvolto dall’arrivo di 10mila Bōsōzoku che incendiarono una stazione di polizia e causarono la morte di un cameraman. Anche in questo caso l’evento certificò l’esistenza di una minaccia pubblica e i giovani Bōsōzoku divennero agli occhi dei media una forma di devianza e delinquenza su due ruote. Secondo Ikuya Sato³⁷, lo stile dei Bōsō – dalle modifiche illegali della moto alla guida “sovversiva” – testimonia una ricerca dell’eccitazione dalla valenza sostanzialmente ludica. Questo non vuol dire che i partecipanti a questa subcultura non riconoscano di produrre azioni antagoniste o negative, piuttosto, l’appagamento che ottengono «deriva da un piacere intrinseco negli atti delinquenziali» (Sato 1983: 75). In altre parole la “devianza” è un gioco.
FIG. 44 Il giovane che indossa questo tokkōfuku afferma di essere il “numero uno” in sella e non. Foto: Tomohiro Osaki (2018).
37. Ikuya Sato è un accademico e scrittore giapponese. È tra i principali studiosi del fenomeno Bōsōzoku. Ha scritto il libro Kamikaze Biker (1991).
Le moto, i costumi e le manovre acrobatiche svolgono un ruolo fondamentale nelle intenzioni di stupire, o meglio intimorire, gli spettatori. Il Bōsōzoku qui diventa una maschera, il protagonista di uno spettacolo coerentemente strutturato con un inizio (il ritrovo), uno svolgimento (la corsa adrenalina) e una fine (momento di conversazione e socialità). Un’eccentrica performance basata sulla ricerca del limite, resa spettacolare dalle alte velocità così come dalle acrobazie.

FIG. 45 Masayuki Yoshinaga, Bosozoku (2002).

99

38. Ralph “Sonny” Barger è un motociclista e scrittore americano. È lo storico fondatore degli Hells Angels nonché del primo chapter di Oakland.
100 IDENTITÀ IN MOTO Outlaw Club La subcultura motociclista più universalmente nota, nonché archetipo della devianza su due ruote, è quella dei famigerati biker outlaw. I primi Club vennero fondati negli Stati Uniti da veterani della Seconda guerra mondiale che, alienati, faticavano a reinserirsi nel ritrovato contesto sociale borghese. Solo un nuovo gruppo di commilitoni poteva fornire quel senso di identità ed appartenenza che i giovani andavano cercando. Uniti dal ritrovato cameratismo e dal brivido della velocità, sul finire degli anni Quaranta sorsero diversi Club motociclistici dai nomi coloriti come Boozefighters (FIG. 46) , 13 Rebels e Pissed O Bastards of Bloomington. Non essendo a liati all’American Motorcycle Association guadagnarono la nomea di “fuorilegge” e successivamente di “onepercenters”. Protagonisti dell’Hollister Riot (vedi 2.2.), l’AMA ne prese le distanze definendoli come “l’un percento dei motociclisti americani”, a fronte di un restante 99% che rispettava la legge. Quel “1%” oggi è uno dei simboli preferiti dagli hardcore bikers che campeggia fieramente tra le molteplici patch poste sui loro gilet in pelle. Più delle altre viste sinora, quella degli outlaw è una subcultura che ha raggiunto piena coscienza di sé e della propria identità. Ha elaborato un’epica, composta da miti di fondazione, rituali e simboli condivisi: moto possenti, tatuaggi, un proprio argot, fanno parte di uno stile di vita estremo. Tutti elementi sfruttati per veicolare un’immagine mascolina e fatalista, considerando la centralità della morte nell’iconografia (cfr. Boni 2020: 105). In breve tempo i Club iniziarono a strutturarsi internamente, dotandosi di una costituzione e di una gerarchia di membri eletti: ruoli ben definiti, di derivazione militare, tra cui non potevano mancare un presidente, un tesoriere, un seargent-at-arm ed un ride captain. Per entrare a far parte di un Club MC è necessario attendere un periodo di prova, superato il quale il Club diventa l’unica ragione di vita per i propri membri. Non è come indossare un costume Bōsōzoku nel week-end: si è membri del Club ogni giorno, sia in strada che a fare la spesa, e tendenzialmente per sempre. Per una sorta di processo evolutivo, quelle neo-tribù “primitive” legate dal cameratismo ora sono società organizzate anche per secondi fini, che nelle declinazioni più «radicali» (Wolf 1991) coincidono con attività criminali. Anche l’appartenenza “spaziale” è un elemento importante: la territorialità viene conquistata dai Club attraverso intense
FIG. 46 Lo stemma dei Boozefighters, tra i primi club MC americani.

Outlaws
101 negoziazioni politiche che possono sfociare occasionalmente in conflitti violenti. Dalla metà degli anni Cinquanta in poi, quattro rilevanti patch club si sono imposti prima in Nord America, per poi di ondersi in tutto il mondo. I cosiddetti “Big Four” (FIG. 47) , ovvero gli Hells Angels, i Bandidos, i Pagans e gli Outlaws. Gli Angels, presi singolarmente, possono contare su circa 200 chapter negli Usa e più di 200 emanazioni locali sparse in venticinque paesi del mondo. Per citare il controverso Sonny Barger³⁸, mitico fondatore del chapter Hells Angels di Oakland, parafrasando Carlo V d’Asburgo: «Il sole non tramonta mai su una patch Hells Angels» (Barger 2001: 254). Cowboy su cavalli d’acciaio, i biker fuorilegge perpetuano l’icona del “western hero”: solitario e indipendente, abile in sella quanto temibile. Harley-Davidson possiede il monopolio non solo “semantico” della moto americana, tant’è che come notano Alford e Ferriss: «Per i non-americani, guidare una moto Harley-Davidson permette al pilota, attraverso il consumo di tale veicolo, partecipare alla grande tradizione romantica Usa di interpretare un cowboy» (2007: 88). Ripercorrendo il mito selvaggio del West c’è spazio anche per gli indiani nel concetto della «brotherhood» (Thompson W.E. 2008: 95): così i biker rappresentano un gruppo fiero ed unito, pronto a sacrificarsi interamente per la comunità. In tempi moderni, ad ogni modo, la violenza non risulta così occasionale o “eroica”, così come non sembra esserci spazio per la cavalleria nei confronti delle figure femminili, spesso escluse, se non subordinate (cfr. Boni 106).
HellsBandidosMCMCPagan’sMCAngelsMC
Lo stereotipo del biker “deviante” è entrato di diritto a far parte della cosmogonia della “american way of life” che i media hanno contribuito a creare e di ondere. Un’immagine così potente da essere assunta – nei termini di Saussure – come unico significante del ben più ampio significato motociclistico.
The Big Four:
La “devianza” dei biker outlaw ha avuto il proprio peso nel tessuto sociale, culturale e politico degli Stati Uniti. Si pensi ad esempio al ruolo degli Angels a Berkeley nel 1965 (Van Niekerken 2018): i biker al grido di “America for Americans!” si scontrarono con i dimostranti pacifisti riuniti per opporsi alla guerra in Vietnam. Un mese più tardi in una ca etteria, venne organizzato un inusuale dibattito che vide protagonisti, tra gli altri, il poeta beat Allen Ginsberg e le rappresentanze degli Angels per confrontarsi riguardo le rispettive posizioni in merito al conflitto in Vietnam.
FIG. 47 Le patch (gli stemmi) dei Big Four MC americani.
3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ




FIG. 48 Bill Ray, Hells Angels playing pool inside a clubhouse, San Bernardino (1965).
102 IDENTITÀ IN MOTO

Quando i club outlaw in America erano ancora agli esordi, due giovani fotografi americani, Bill Ray e Danny Lyon – poi divenuti celebri – si interessarono ai biker. Nel 1965, Bill Ray documentò la sua esperienza con gli Hells Angels MC di San Bernardino (FIG. 48); un anno più tardi Danny Lyon iniziò a seguire gli Outlaws MC di Chicago (FIG. 49) . Gli scatti di Lyon vennero poi pubblicati nella raccolta The Bikeriders (1968).
3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ
103 FIG. 49 Danny Lyon, Crossing the Ohio, Louisville (1966).

39. Simone Tosoni è ricercatore e docente in Sociologia presso l’Università Cattolica di Milano. Tra i suoi interessi di ricerca vi è il tema delle subculture attive in Italia. 3.4.
104 IDENTITÀ IN MOTO SUBCULTURE ITALIANE MOTOCICLISTICHE
È vero che buona parte delle subculture sorte nel nostro Paese non sono autoctone, ma importate grazie alle mediazioni di show televisivi, pellicole cinematografiche o fanzine controculturali; eppure, anche se chiaramente legate alla matrice originaria, nel venire riadattate al nuovo contesto assumono nuovi significati. La declinazione italiana consente di sviluppati linguaggi inediti, costruiti in base agli elementi disponibili sul territorio tra i quali trova posto, ad esempio, un di uso e adattabile veicolo narrativo come la motocicletta.
La sociologia e le scienze sociali in Italia hanno infatti lasciato le subculture giovanili praticamente inesplorate, al contrario di quanto è avvenuto in ambito accademico anglosassone, dove godono di un’attenzione sistematica e ininterrotta da oltre tre decenni. (Tosoni 2015: 2)
Anche in Italia è possibile riscontrare l’avvento di alcune subculture giovanili di cui oggi però non restano tracce, se non nelle collezioni di memorabilia su eBay o in qualche revival musicale a tema. Eppure quei movimenti, seppur frivoli, di nicchia e con una durata limitata nel tempo, si sono rapidamente inseriti nell’immaginario nostrano. Tuttavia, si conosce ben poco di cosa abbiano rappresentato tali forme di appartenenza per il nostro Paese e, soprattutto, per coloro che le hanno adottate e sviluppate come opportunità per definire la propria identità. Nella sua più generale analisi delle sottoculture giovanili italiane degli anni Ottanta, Simone Tosoni³⁹ a erma:
Di queste realtà abbiamo però una conoscenza assolutamente superficiale, che non si spinge molto oltre la nota di folklore. […]
Teddy boys Per i giovani italiani degli anni Cinquanta la mobilità rappresentava la vera di erenza rispetto alle generazioni precedenti in grado di far emergere di nuovi valori; una mobilità geografica pronta a tradursi anche in mobilità sociale ed economica (cfr. Castellani 1997: 47). Tra i principali beneficiari del cosiddetto miracolo economico, gli adolescenti trovarono nel consumo di massa un modo per definire la loro identità ed materializzare i propri desideri. In tutto ciò, la musica leggera ed il rock’n’roll all’italiana fecero da colonna sonora ad
Nel 1959 a Venezia venne organizzato un convegno dal significativo titolo “Adolescenza traviata” in cui numerose figure tra cui giudici, professori e criminologi proposero le punizioni corporali oltre al divieto dell’uso di jeans, moto e cinema come soluzioni per contrastare il problema del teppismo (Pomilio 1961). Anche Pier Paolo Pasolini si interessò del caso, prendendo le difese dei giovani in un articolo apparso su Vie nuove dal titolo “La colpa non è dei Teddy boys” (1959) e identificando nell’esistenza stessa del convegno di Venezia la più chiara spiegazione del disagio giovanile. I Teddy boys furono forse la manifestazione più spettacolare del cambiamento in atto in Italia e che riguardò tutta quella nuova generazione pronta a scardinare i valori tradizionali del Paese; qualche anno più tardi anche in maniera violenta.
Come a erma Castellani (1997), la motorizzazione divenuta accessibile grazie ai veicoli a due ruote, venne vissuta dai giovani italiani come un’esperienza fisica e simbolica molto forte. Motociclette e scooter contribuirono a fare emergere un nuovo modo di vivere gli spazi cittadini e le relazioni, permettendo di allontanarsi dagli occhi vigili dei genitori e di cambiare lentamente i costumi: Le motorette riuniscono quella voglia di mobilità, di consumi nuovi, di identità di gruppo; e sono qualcosa abbastanza a portata di mano: esprimono un desiderio raggiungibile per molti giovani. Le famiglie più benestanti comprano ai loro ragazzi una motocicletta. Alla gran parte della gente basta uno scooter. (Castellani 1997: 49)
105 all’avvento della modernità e del benessere.
FIG. 50 Copertina dell’album La motoretta (1965) inciso da Gli Scooters band beat italiana, attiva nei primi anni Sessanta.
3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ
Anche in Italia c’è spazio per l’emergere di una subcultura ben presto interpretata con i canoni della devianza. I Teddy boys all’italiana sono giovani sottoproletari che vivono nelle aree industrializzate del Centro-Nord, in particolare a Milano. Questi “teppisti” si dilettano in piccoli furti, qualche bravata; soprattutto vengono riconosciuti come “devianti” proprio per l’utilizzo della moto, il muoversi in gruppo e vestirsi “d’oltreoceano”. Per l’Italia di fine anni Cinquanta, jeans e giacca di pelle sono ancora troppo pericolosamente americani. L’ondata di panico morale nella Penisola non assume i toni accesi degli altri paesi, ma anche qui le istituzioni reagiscono con una dura condanna nei confronti di tali gruppi.

Per di erenziarsi dalle altre sottoculture cittadine come i punk o i dark, i Paninari svilupparono un proprio gergo diventato progressivamente molto popolare: “sfitinzie”, “gallo”, “cuccare” divennero nuovi tormentoni lessicali di usi e talvolta ideati in prodotti mediali come la trasmissione tv Drive-In o le riviste a fumetti come Paninaro e Cucador. Divenne un fenomeno così noto che nel 1986 il duo musicale britannico dei Pet Shop Boys –tra i gruppi di culto della subcultura – incise la canzone Paninaro (FIG. 52) a loro dedicata.
FIG. 51 Sticker a tema motociclistico del brand Best Company FIG. 52 Copertina del singolo Paninaro (1986) dei Pet Shop Boys. 40. Eugenia Paulicelli è una accademica e autrice italiana. Docente di Italian Studies al Queens College (NY), i suoi interessi di ricerca vertono su moda, gender studies e identità culturali.
Rispetto alle controculture degli anni Settanta, la novità portata dai Paninari fu nell’accettazione del presente, tradotta nell’entusiasmo con cui risposero alle crescenti seduzioni della società consumistica (cfr. Tosoni 2015: 4). Lo stile paninaro è di fatto basato sul consumo e su un’ostentazione della disponibilità economica a partire dall’abbigliamento di ispirazione – ancora una volta – americana. Levi’s, Moncler, El Charro, Fiorucci, Best Company (FIG. 51) , Timberland: per i Paninari alcuni brand diventarono dei must-have con cui comporre attentamente il proprio look e a ermare la propria identità.
106 IDENTITÀ IN MOTO Paninari
Anche le due ruote fanno parte di questo stravagante quando vasto universo semantico. Si consideri ad esempio che nel 1985 l’italiana Edisoft rilasciò “Il Paninaro” un videogioco per Commodore 64 e composto da due fasi di gioco ambientate nello scenario di Milano: la prima consiste in una gara in moto,
Se gran parte delle subculture italiane giovanili possono considerarsi “di importazione”, il fenomeno dei Paninari è squisitamente nostrano: di origini milanesi si è poi di uso in altri centri della Penisola. Seppur pochi autori se ne siano occupati in modo esaustivo, Eugenia Paulicelli⁴⁰ (1998) ha tracciato la genesi del fenomeno. Dopo il decennio di forte contestazione segnato dal Sessantotto, gli anni Ottanta furono un periodo di ripresa economica e nel capoluogo lombardo gli e etti del benessere si riscontrarono con più evidenza. A Milano e in altre città aprirono le prime paninoteche delle catene fast-food Burghy e McDonald's (FIG. 53) che diventarono un punto di ritrovo molto in voga tra gli adolescenti del centro e dell’hinterland. In questi nuovi spazi di incontro e di consumo prese forma il movimento paninaro, più leggero, «simbolo di un periodo che veniva chiamato del disimpegno, del riflusso, del rifiuto della politica» (Paulicelli 1998: 321).


Tale comunità altamente selettiva ha trovato nella centralità del contesto cittadino la possibilità di sviluppare il proprio codice comunicativo, individuando nel culto dell’apparenza un potente meccanismo di socializzazione. I Paninari, dopo essere entrati nel tessuto culturale del Paese, svanirono con la fine gli anni Ottanta e con la maturità raggiunta dalla generazione che li ha interpretati.
107
mentre nella seconda il personaggio paninaro deve cercare di saltare la fila in un fast-food. In un contesto come detto di consumo, ostentazione e necessaria mobilità, il giovane paninaro non può che puntare sulle rombanti novità del mercato. Vanno molto di moda, ad esempio, le 125 stradali, moto di piccola cilindrata (per questioni d’età) di marca Zündapp, Gilera e Laverda, acquistate soprattutto per essere sfoggiate nei momenti di ritrovo del gruppo.
FIG. 53 Giovani paninari ritratti davanti al Burghy di Piazza San Babila, Milano. Foto di Egizio Fabbrici (1987).

108 IDENTITÀ IN MOTO 31 42




Negli anni Ottanta, lo stile paninaro veniva diffuso soprattutto attraverso una serie di riviste a fumetti come Paninaro e New Preppy (Edifumetto), Cucador (Garden Editoriale) e Wild Boys (Look Boys). All’apice del successo, la rivista Paninaro raggiunse una tiratura di 100mila copie. Si noti come la motocicletta sia un elemento ricorrente nell’iconografia paninara. 3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ 109 FIG. 54 Copertine varie di riviste a fumetti paninare: Cucador (1), Wild Boys (2), New Preppy (3), Paninaro (4–6). 5 6


41. Antonio Baciocchi è un musicista, scrittore e blogger italiano. È considerato da molti come tra i precursori della scena mod italiana.
110 IDENTITÀ IN MOTO Street crew Complice una progressiva perdita di centralità dello spazio pubblico cittadino (cfr. Tosoni 2015: 6) è opportuno volgere lo sguardo verso la periferia dove le forme di appartenenza e identificazione giovanile, manifestate attraverso lo stile, la musica e la moda sono tutt’ora presenti e rilevanti. La trap è il fenomeno musicale – e non solo – più significativo degli ultimi anni, oltre che molto di uso in Italia. Nato ad Atlanta, il genere musicale si caratterizza per basi elettroniche minimali a cui si sovrappongono versi, cantati in autotune, che spesso si concentrano sulla realtà circostante con un particolare fascino per la trasgressione, l’ostentazione e la provocazione. A ciò si aggiunge uno stile composto da tatuaggi, comportamenti estremi e un gergo incomprensibile dall’esterno. Antonio Bacciocchi⁴¹ descrive la trap come: Uno dei fenomeni (musicali e non) più criticati, osteggiati, sbeffeggiati da musicisti, critici, pubblico. La trap ha coagulato intorno a sé un unanime fronte di repulsa. A partire dalla irritante essenzialità musicale, passando per il contenuto dei testi, concludendo con un aspetto estetico che difficilmente può trovare approvazione. Le coordinate che appartenevano al punk degli esordi. Ma dove il punk era in qualche modo una prosecuzione di discorsi socioculturali e artistici già affermati in precedenza […] la trap e il suo corollario estetico, pur essendo figlio di rap e hip hop, ostentano ogni mancanza di contenuto «politico» o contro culturale. (Bacciocchi 2020) Manifestazione del nichilismo figlio del più sfrenato capitalismo, la trap viene indicata come la “devianza” dei giorni nostri. Alla base però ci sono nuove interessanti modalità di produzione creativa, basate sul concetto di DIY, l’autoproduzione a costo zero e la di ondibilità dei contenuti attraverso la rete e i social media. È possibile datare la nascita del fenomeno trap in Italia a metà degli anni Dieci, con l’esordio sulla scena musicale dell’artista Sfera Ebbasta. Ad essere portato in scena, oltre al personaggio, è uno spaccato di periferia – l’hinterland milanese – di cui vengono presentati alcuni elementi caratterizzanti la dura vita “da strada” già ripresi tempo prima dall’hip-hop e dal rap (cfr. Ermisino 2018). Come a erma Paulicelli: «[…] la strada è potenzialmente uno spazio autonomo in cui gruppi di individui possono esprimere sia il loro consenso che la loro opposizione ai trends di una determinata società e ambiente» (1998: 320).
3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ 111
La strada è il luogo dell’imprevedibile dove «la cultura “locale” assume i connotati visibili di un modo di vivere, condiviso e comunemente codificato» (Solinas 1998). Nell’appropriazione spaziale si ria erma la centralità della mobilità “accessibile” a due ruote. Nei testi delle canzoni trap questo dettaglio emerge chiaramente con un vocabolo che si riferisce a un modello di scooter molto noto e di uso: il Booster.
Prodotto da MBK su concessione Yamaha, il Booster (FIG. 56) arrivò in Italia all’inizio degli anni Novanta e fu subito un successo: semplice, con un’estetica accattivante e unisex, il cinquantino si inserì rapidamente nel tessuto culturale del nostro Paese. Un filmato di quegli anni mostra un giovane Valentino Rossi impennare per la pista di Assen in sella a un Booster e per tantissimi altri giovani in età da patentino divenne l’oggetto del desiderio. I motorini (a cui si aggiungono altri marchi e modelli come Piaggio Zip, Malaguti Phantom e Yamaha Aerox) sono ancora oggi un fenomeno di consumo e di costume per i giovani italiani che se ne appropriano, modificandone l’estetica o elaborandoli amatorialmente per aumentarne le prestazioni.Nelcontesto “periferico” trap, il motorino diventa un chiaro riferimento del vivere la strada, simbolo di indipendenza, spavalderia e di trasgressione quotidiana ancora attuale. Nel brano Booster (2018) DrefGold canta: «Ho lo scooter che è più vecchio di me / Il mio Booster, casco Momo con me». Bando (2020) di Anna inizia invece con: «Ci beccavamo nel bando, sopra il Booster». E per concludere Shiva in Auto Blu (2020) recita: «Brum-brum, quello Zip sembra un Supermotard / A MI, c’è il mio fra’, arriva in cinque minuti».
FIG. 56 MBK Booster, prima serie (1990-1996).
FIG. 55 Logo Booster Spirit.
Allargando la prospettiva e includendo le crew giovanili stradali (formate sia da motorini che da altre moto di piccola cilindrata) è interessante rilevare anche qui la centralità di YouTube e della più generale condivisione social di contenuti auto-prodotti. Parte di uno stesso territorio semantico, i pezzi trap da un lato e dall’altro i giovani motociclisti impegnati in stunt e scorribande finiscono per influenzarsi e contaminarsi a vicenda. E forse in questa nuova scena italiana – che dalla modifica amatoriale di motorini arriva all’editing e alla produzione di brani musicali – è possibile intravedere quella trasgressione creativa “post cyber-punk” auspicata da Castellani (cfr. 1997: 31) per il contesto delle subculture italiane della moto.


Come a erma Solinas (1998): «le identità subculturali vivono in una sorta di instabilità irrisolta fra l’autoriconoscimento senza contaminazioni […] e la dipendenza rispetto al mercato, il diventare oggetto riproducibile in repliche consumabili».
La riflessione si fa ulteriormente interessante se quegli elementi di cultura materiale usati per veicolare le identità motociclistiche, come patch e caschi, vengono inquadrati come artefatti di progettazione vernacolare. Per “design vernacolare” si intende «una progettazione spontanea originata ai margini del design mainstream» (Finizola et al. 2012: 557). Manufatti per certi aspetti vicini a quello che Achille Castiglioni definiva “design anonimo” e di cui fanno parte invenzioni di origine popolare, oggetti d’uso e architetture, nonché artefatti di comunicazione.Ilvaloredegli artefatti vernacolari non proviene da una consacrazione “dall’alto” – dal mercato o dalle autorità del Design (riviste, premi, interesse accademico) – ma da un riconoscimento “dal basso”, nel far parte di una tradizione quotidiana e tipica di un luogo o un gruppo sociale. Come a erma Finizola et al.: «Questi elementi […] possono rivelare
Le subculture giovanili mostrano l’importanza degli oggetti come portatori di significato, impiegati in una «comunicazione intenzionale» (Hebdige 1979: 100) di opposizione alla cultura dominante. Manifestazioni di una significativa “di erenza” che sviluppa i propri codici attraverso una ri-contestualizzazione degli oggetti quotidiani, sovvertendone gli usi e i significati e inventandone di nuovi.
112 IDENTITÀ IN MOTO ELEMENTI DI CULTURA MATERIALE
Gli stili delle subculture possono essere condivisi e imitati da un pubblico più vasto, tanto che Matteo Guarnaccia⁴² vede nelle subculture dei veri e propri laboratori di innovazione da cui il mercato è sempre più dipendente (cfr. Guarnaccia 2009: 11).
In un ciclo inevitabile, ciò che nasce dal mercato ritorna ad esso; così prodotti nati dalla resistenza creativa delle subculture finiscono per essere incorporati nel mainstream. Nel motociclismo troviamo ulteriori elementi di cultura materiale in grado di esprimere lo stile e l’identità di un gruppo o di un individuo. Oggetti come una patch o la giacca di pelle da motociclista finita sulle passerelle dell’alta moda (cfr. Paulicelli 1998: 320) dimostrano come anche in questo contesto possano emergere stili in grado di raggiungere e influenzare un pubblico molto vasto (Shouten e McAlexander 1995: 43).
42. Matteo Guarnaccia è un artista e storico del costume italiano. Il suo interesse di ricerca verte sulla controcultura italiana. È autore del libro Ribelli con stile (2009). 3.5.
• il processo di produzione è artigianale, che sia cucito come nel caso delle patch o dipinto a mano nel caso dei caschi;
Nelle patch dei club motociclistici, così come nei primi caschi verniciati – si consideri la produzione che va dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, prima della professionalizzazione –è possibile ritrovare quei criteri che definiscono un artefatto di design vernacolare (cfr. ivi: 559):
• l’autore è anonimo; • il processo di progettazione è intuitivo e amatoriale;
• il riferimento concettuale si trova in immagini di consumo popolare, ne fornisce un esempio il “Paperino” dipinto sul casco del pilota inglese Barry Sheene (FIG. 57) ;
FIG. 57
L’iconico Paperino che caratterizza il casco del pilota inglese Barry Sheene.
L’avvento del postmodernismo ha portato le “autorità progettuali” ad avvicinarsi sempre più al design vernacolare, che è stato rivalutato e reinterpretato in nuovi approcci, nonché riconosciuto come nuova area di ricerca. Come per il processo creativo delle subculture, anche i linguaggi nati dal basso vengono così incorporati nel design formale, in un continuo gioco di ispirazioni reciproche. Di seguito verranno analizzati i tre elementi di cultura materiali più significativi e di usi del contesto motociclistico, oggetti che, se talvolta risultano di necessaria adozione, altre volte vengono sfruttati appositamente dai motociclisti (e non) come supporti per veicolare la propria identità. Rispettivamente: giacche di pelle, caschi e patch.
• l’utente finale è locale: il club motociclistico o il pilota; • il linguaggio dell’estetica è riferito alla cultura visiva della comunità di riferimento (quella motociclistica) e incorpora codici dal significato condiviso al suo interno. Si pensi qui all’universo di simboli motoristici: dai teschi, alle aquile, ai motivi a scacchi, alle fiamme.
3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ 113
alcune peculiarità sugli usi e costumi di un popolo, i suoi desideri, i suoi bisogni, le sue idee, ed esprimere ancora qualcosa dalla periferia e dalla sua controcultura» (Finizola et al. 2012: 557).

114 IDENTITÀ IN MOTO Giacca di pelle, o giacca biker
La tradizionale giacca di pelle nera è divenuta un elemento di cultura materiale in grado di rappresentare l’universo motociclistico. La costante attualità di questo item nelle collezioni di moda, inoltre, ne testimonia il successo anche come prodotto di consumo per non-motociclisti (cfr. Paulicelli 1998: 320). Nel corso del tempo l’indumento ha assunto diversi significati, in base soprattutto al valore riconosciuto dai principali utilizzatori, i motociclisti.
Secondo Alford e Ferriss, la giacca di pelle si è a ermata come «talismano di mascolinità attraverso una combinazione di associazioni storiche e popolari» (2007: 181). Quasi una seconda pelle, da quella connessione intima col corpo è derivato anche un significato sessuale che ne ha portato l’adozione all’interno della realtà leather, dove ha trovato nuovo valore come parte di una conoscenza tacita (cfr. Ronzon 2009: 37).
Di derivazione militare, nella sua concezione è un indumento estremamente funzionale, adatto alle esigenze di chi guida: la pelle è infatti un tessuto ideale, in grado di o rire calore e protezione dagli agenti atmosferici.
Con l’emergere delle prime subculture giovanili, la giacca in pelle assieme a jeans e t-shirt divenne una “uniforme della devianza”, elemento visivo in grado di manifestare l’opposizione alle norme sociali. La giacca non doveva più essere necessariamente abbinata al mezzo a due ruote; come a erma Suzanne McDonald-Walker⁴³ andare in moto «non è solo un’attività, ma un modo di essere» (2000: 13) e pertanto indossare un giubbotto può considerarsi come parte dell’esperienza.Nelventunesimo secolo, se la giacca di pelle continua a mantenere la propria centralità, è il motociclista si è trasformato da renegade a «regular Joe o Josephine» (DeLong et al. 2010): uomini e donne qualunque a cui piace godersi la libertà e il brivido dell’andare in moto o interpretare un ruolo con cui trasgredire i confini d’età, sesso o stile di vita.
In una sorta di fenomenologia della giacca in pelle, DeLong et al. (2010) considera tale indumento un riferimento per interpretare i cambiamenti del motociclismo. Nel ventesimo secolo, il motociclista vestito con un giubbotto in pelle nera è un fascinoso simbolo di ribellione e indipendenza: è la figura del «renegade» (ibidem) perfettamente interpretata da Marlon Brando nel film The Wild One (FIG. 58) . Indossare tale indumento risultava un’a ermazione della propria mascolinità.
43. Susan McDonald-Walker è una ricercatrice, docente e autrice inglese. I suoi interessi di ricerca vertono sulla cultura motociclistica; è autrice del libro Bikers: Culture, Politics and Power (2000).
Con la sua interpretazione, Marlon Brando non rende iconico soltanto il suo personaggio, ma anche il suo celebre outfit. Da quel momento, la giacca di pelle diventerà nota come la giacca “da motociclista”. FIG. 58 Marlon Brando nei panni di Johnny Strabler sul set di The Wild One (1953).
115

L’identità di un club motociclistico è veicolata anche attraverso elementi visivi. Senza scomodare gli strutturati termini della corporate identity – di cilmente riscontrabile in un contesto poco “progettato” – è comunque interessante notare come ogni club motociclistico abbia la necessità di dotarsi di un proprio «segno di comunità» (Frutiger 1978: 273).
44. Jeff Decker è un artista americano. Nelle sue sculture indaga la sinergia tra uomo e macchine, in particolare moto storiche.
Nello specifico i colors sono tradotti fisicamente su patch ricamate. La “back-patch”, applicata sul retro del gilet, è la più importante e solitamente si struttura in tre insegne: due “rocker” semicircolari, uno superiore e uno inferiore con il nome del club e la località, e nel mezzo l’emblema del club (cfr. Alford e Ferriss 2007: 87). Questa sorta di marchio è l’elemento centrale e più evidente: si configura come un elemento grafico vernacolare che rappresenta l’identità del gruppo attraverso immagini spesso intimidatorie come teschi, diavoli o serpenti.
Ogni club si raccoglie attorno al proprio set di simboli e numerosi elementi aiutano a veicolare una più specifica narrazione del gruppo e dell’individuo al suo interno. Sono frequenti altre patch di dimensioni più piccole come la sigla “MC” (motorcycle club), l’“1%” (onepercenter, FIG. 59) e il “13” (M è la tredicesima lettera dell’alfabeto, indica generalmente un fumatore di marijuana). Non mancano poi svastiche e altri simboli nazisti, qui usati soprattutto con valore “punk” per provocare sdegno e o esa (Stallings 2012). Eppure, tali indumenti nella rivalutazione fatta dall’artista Je Decker⁴⁴ (FIG. 60) possono essere intesi come espressioni d’arte popolare in grado di incarnare la libertà e l’anticonformismo dei biker d’Oltreoceano (cfr. ibidem).
116 IDENTITÀ IN MOTO
Patch
L’esigenza di un nome distintivo e di un elemento grafico da poter essere applicato sull’equipaggiamento trova le proprie radici nella tradizione araldica. Sui campi di battaglia medievali, le livree delle armature e gli stemmi sugli scudi identificavano chiaramente l’appartenenza a un gruppo (cfr. ivi: 276): anche questa usanza militare di portare i “colori” è stata ripresa dai gruppi motociclistici e nelle rigide identità outlaw si è tradotta in un’iconografia particolarmente rilevante e significativa. I colors vanno guadagnati dai membri dei Club e chi con la propria condotta li disonora può esserne privato. C’è una devozione quasi sacra verso il proprio stemma tanto da essere strenuamente protetto, sia attraverso il copyright che con la violenza (cfr. Kuldova 2017: 190).
3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ 117
“L’un percento dei motociclisti americani”, ha reso quella percentuale uno dei simboli di cui essere più orgogliosi. Ancora oggi campeggia fieramente sui gilet degli onepercenter di tutto il mondo. FIG. 59 Patch a diamante simbolo degli onepercenter.

118 IDENTITÀ IN MOTO




as American
folk art americana.
3. UNA MOTOCICLETTA, MOLTEPLICI IDENTITÀ 119
Nel 2012, attraverso la mostra “Hell’s Union” all’UCR Arts, l’artista Jeff Decker ha di alcuni club outlaw di FIG. 60 Jeff Decker, Hell’s Union: Motorcycle Club Cuts Folk
esposto i cuts
americano
estinti rivalutandoli come forme
Art (2012).

FIG. 61 Casco jet Bell 500 indossato da Steve McQueen. 45. Aldo Drudi è un designer italiano. Vincitore del Compasso d’Oro, ha realizzato caschi per i più importanti piloti del motomondiale creando un vero e proprio stile.
120 IDENTITÀ IN MOTO Casco «Siete in sella a un disegno» a erma John Berger (2019: 90) in un parallelismo tra l’atto di guidare una moto e quello di disegnare. La logica condivisa del “tracciato” evoca la presenza del segno grafico. In quest’ottica, il casco si o re come tela da riempire per esprimere la propria identità individuale ed accogliere simboli in grado di esorcizzare i rischi della guida.
Il casco, però, fuori dalla pista faticò ad essere accettato poiché visto come una privazione al senso di libertà dell’andare in moto. In Italia l’uso del casco divenne obbligatorio solo nel 1986, non senza qualche malumore; oggi però può essere considerato come un ulteriore elemento di cultura materiale, un oggetto in grado di adattarsi alle esigenze del motociclista e esprimerne la personalità.
L’introduzione dell’uso del casco è stata progressiva: da accessorio facoltativo è divenuto un dispositivo di protezione individuale obbligatorio, non senza polemiche. Già nei primi anni del Novecento iniziarono a fare la comparsa i primi caschi a scodella, o cromwell, usati nelle competizioni e realizzati in cuoio rigido. Bisognerà comunque aspettare il 1953 e l’invenzione di Charles F. Lombard, professore alla University of Southern California, per vedere un casco progettato appositamente per le alte velocità raggiunte nella guida in moto. Il suo design jet venne messo subito in produzione dall’azienda americana Bell che con il modello “500” (FIG. 61) inaugurò l’era del casco moderno. Fu un punto di svolta per la sicurezza, una soluzione e cace per abbattere la mortalità degli incidenti.
Nel casco dei piloti del Motomondiale (FIG. 63) è possibile riscontrare una rilevanza del segno grafico usato per distinguersi. Sul casco standard viene così operata una sorta di «barochizzazione» (Bar in Ciastellardi 2017: 126) attraverso colori, forme, pattern ed elementi simbolici dalla duplice funzione sia identitaria, che apotropaica. Negli anni Cinquanta, l’introduzione di materiali verniciabili come la fibra di vetro permise ai piloti di avere caschi con grafiche personalizzate; diverse divennero celebri come i “Moon Eyes” di John Cooper (FIG. 62) , il “Paperino” di Barry Sheene, o la livrea tricolore del campionissimo Giacomo Agostini. Dai primi simboli disegnati amatorialmente sulle calotte, la pratica di personalizzazione oggi è ormai una consueta abitudine anche grazie al lavoro di professionisti come Aldo Drudi⁴⁵ in grado di creare artefatti di particolare valore grafico.

Poco soddisfatto del suo semplice casco rosso, John “Mooneyes” Cooper decise di attaccarci due grandi occhi creando una delle prime e più iconiche personalizzazioni grafiche. FIG. 62 Casco cromwell di John “Mooneyes” Cooper (1964).
121


FIG. 63 Alcuni dei caschi e delle grafiche più iconiche della storia del Motomondiale.

Beninteso: spesso si basavano su cose vere. Infatti era vero che chi in quegli anni sceglieva una moto era certamente un originale e spesso questa scelta era davvero fatta per dare il proprio personale segnale di insofferenza verso le istituzioni e il puritano e allineato modo di pensare della gente comune. (Parodi 2021, app. 7.2.)
Ecco dunque che il 99% dei motociclisti “buoni” prende le distanze dall’un percento “cattivo”; i motociclisti “veri” si allontanano dagli “scooteristi”, e così facendo ogni gruppo demarca i propri confini. La necessità stessa per le Motor Maids di o rire un’immagine “positiva” di donna motociclista manifesta – implicitamente – la preoccupazione di vedersi attribuita un’etichetta “deviante”.
Quanto visto in precedenza testimonia come le diverse subculture “a due ruote” abbiano sviluppato dei particolari codici comunicativi, nati come atti di resistenza alla cultura mainstream e capaci di veicolare identità anticonvenzionali. Non è un caso che tale processo spesso abbia coinvolto adolescenti alla ricerca di nuove sicurezze, trovate – almeno in parte – grazie a una comunità motociclistica.
Il motociclista non è da solo nel processo di costruzione della propria identità: la società nell’inquadrarlo come “deviante” ne fornisce una determinata interpretazione. Sfidando i valori della cultura dominante, tale identità risulta pericolosamente attrattiva, divenendo pertanto meritevole di particolari attenzioni. Si pensi ad esempio al modo in cui i media hanno narrato le subculture giovanili della moto, che fin dalla loro comparsa sono risultate troppo sovversive per le aspettative sociali conformiste. Come a erma Roberto Parodi: Negli anni 70 bastava possedere una moto per esserne automaticamente qualificati e vedersi attribuiti gli stereotipi del motociclista, creati appunto da film e letture e dall’opinione pubblica.
Definita la figura mitologica del “biker”, diventa necessaria una sua corretta attribuzione e, a ben vedere, la logica della “devianza” influenza anche la cultura motociclistica stessa. Anche qui, tramite una serie di spostamenti, le identità emergono per distinzione, quando non per aperta opposizione.
124 IDENTITÀ IN MOTO PARADOSSI IDENTITARI
I confini netti tra biker “veri” e wannabies si fanno sempre più sfumati. Ed è vero che «oggi più che mai avere una moto “non significa essere un motociclista”» (Parodi 2021, app. 7.2.) 3.6.
Se la cultura motociclistica è stata generalmente presentata come una tribù di uomini, bianchi, eterosessuali, oggi vi trovano posto una pluralità di identità che considerano la moto come un unico elemento aggregante. Ne deriva che il passato stereotipo del motociclista si stia via via ridefinendo in una nuova e più sfaccettata immagine che, di conseguenza, necessita di nuovi spazi per essere espressa.
125
soprattutto in riferimento all’archetipo di motociclista fissato storicamente nell’immaginario comune. Ma già nel 1963 la fortunata campagna pubblicitaria “You Meet the Nicest People on a Honda” (FIG. 64) , andò a scardinare lo stereotipo duro e crudo del biker “americano”. Lo fece o rendo un’immagine alternativa del motociclismo come semplice, divertente, sicuro e alla portata di tutti (cfr. Alford e Ferriss 2007: 132). E lo scooter Honda Cub pubblicizzato risulta di fatto la moto più venduta al mondo. Di fronte ai dati oggettivi, la realtà diventa più chiara.
Col tempo, il profilo dei motociclisti è cambiato e lo spirito ribelle si è a evolito, in quella che McDonald-Walker chiama una «gentrificazione della ribellione» (2000: 41). Demograficamente, la categoria dei biker di oggi è in larga parte rappresentata dai cosiddetti «rubbies» (Maxwell 1998: 274), ovvero quei Rich Urban Bikers membri del ceto medio-alto che possono concedersi la passione per la moto. Inoltre, accanto alle passeggere “zavorrine” (two-uppers), anche la presenza delle donne alla guida è in forte ascesa.
FIG. 64 Manifesto campagna “You Meet the Nicest People on a Honda”, Grey Advertising (1963).

Strade virtuali: le moto-community 4.
129
In un celebre passaggio de Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta (1974) riguardo il rapporto tra la motocicletta e la tecnologia emergono due visioni che pongono in contrasto l’autore, Robert Pirsig, e la coppia di amici con cui è in viaggio, John e Sylvia DeWeese. Per i coniugi DeWeese – due personalità “creative” – la motocicletta rappresenta soprattutto una modalità con cui fuggire dall’ostile mondo tecnologico, senza interrogarsi troppo sulla meccanica del mezzo. Al contrario per Pirsig la moto è un frutto della tecnica, e come tale richiede di essere compresa a fondo attraverso l’arte della manutenzione, appunto. Nella concezione dell’autore la tecnologia non va né odiata né osteggiata, poiché, come recita una sua celebre massima: «Il Buddha, il divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore» (Pirsig [1974] 1981: 28). Sarebbe interessante conoscere il pensiero del filosofo statunitense in relazione alla natura tecnica delle motociclette moderne, strutturalmente più disposte all’uso “ingenuo” anticipato a suo tempo dai DeWeese. Mi si conceda, a titolo esplicativo, una prima e unica divagazione meccanica: nel sistema di alimentazione del motore, l’introduzione dell’iniezione elettronica al posto del tradizionale carburatore rappresenta un chiaro esempio di sviluppo tecnologico. Se da un lato tale innovazione comporta una 4.1.
MOTOCICLETTA 2.0 HP Se gli aspetti fondamentali della motocicletta rimangono sostanzialmente gli stessi – due ruote, un telaio e un motore – nel tempo le manifestazioni culturali ad essa legate sono mutate anche radicalmente. Il progresso tecnologico ha da sempre contraddistinto tutto il settore motoristico, fortemente improntato all’implementazione di soluzioni innovative; tale dinamismo contribuisce a determinare anche una continua ridefinizione dell’esperienza motociclistica in sé.
Strade virtuali: le moto-community
tipiche delle comunità fisiche come la prossimità geografica, i rituali condivisi e il senso di appartenenza – già fortemente presenti nel caso motociclistico 4.2.
COMMUNITY MOTO-MEDIALI Oggi, le scorribande in moto degli anni Cinquanta sono state sostituite dal girovagare tra blog, chat e bacheche dei “biker 2.0”. L’avvento di Internet ha profondamente influenzato anche la cultura motociclistica che si è adattata ai suoi linguaggi e alle nuove possibilità di interazione in grado di superare i limiti geografici e culturali del passato. Ecco dunque che le tipiche comunità di presenza trovano un nuovo spazio di azione online, traducendosi in «community» (Ciastellardi 2017: 85 86). Intesa in tali termini anche la community motociclistica si caratterizza per la capacità di intercettare diversi gruppi, pur fondandosi su un comune interesse in grado di spingere gli utenti a condividere materiali, opinioni e informazioni: in altre parole a partecipare.Lecaratteristiche
Con gli anni, la tecnologia ha fornito ai motociclisti un’ampia dotazione di sempre nuovi strumenti e gadget. Navigatori GPS, interfoni, così come i comunissimi smartphone sono in grado di rendere più confortevole e meno imprevedibile l’esperienza quotidiana della guida. Insomma, oggi è sempre più di cile perdersi e a un guasto di percorso può sempre rimediare l’assistenza stradale: tutto ciò ha un profondo impatto culturale sul modo di “vivere” la motocicletta. Quando i problemi si possono risolvere con una chiamata, anche gli individui tendenzialmente più cauti o inesperti possono godersi l’esperienza della guida senza dover uscire troppo dalla propria zona di comfort (cfr. Frazier in Blankenship 2013: 57). Anche questo aspetto ha permesso di ampliare i confini della popolazione motociclistica, diversificandone il profilo.
130 IDENTITÀ IN MOTO maggior e cienza del motore, dall’altro un componente tecnico di grande complessità segna anche la potenziale estinzione di quei riparatori “amatoriali” in grado di mettere mano al proprio mezzo (cfr. Blankenship 2013: 64). Alla stregua di altri prodotti tecnici, anche la motocicletta e i suoi elementi costitutivi con l’avvento dell’elettronica stanno diventando sempre meno accessibili. Il motore diventa così una sorta di «scatola nera» (Flusser 1983: 16), magico «algoritmo» (Finn 2018) della mobilità.
Se per “capitale sociale” si intendono, generalmente, i benefici ottenuti dalle connessioni che le persone sviluppano con la loro rete sociale (ad esempio la produzione di conoscenza, il supporto emotivo o lo sviluppo di un’identità collettiva) il “capitale socio-tecnico” amplia la portata del termine alle possibilità o erte dai nuovi media. I membri di una community attraverso le interazioni virtuali possono produrre artefatti di varia natura che divengono risorse per la comunità stessa. Resnick individua sei opportunità con cui le tecnologie ICT possono influenzare la produzione di capitale sociale: • rimuovere le barriere all’interazione (ovvero le distanze spazio-temporali);
(Parks 2011: 109) ovvero di possibilità d’azione sollecitate dalla tecnologia. Malcom Parks⁴⁶ identifica tre tipologie di social a ordance riscontrabili anche nelle moto-community virtuali: a) membership: l’ingresso e la permanenza in una community virtuale sono soggette alla scelta individuale. La presenza dell’utente è determinata dall’accettazione delle policy strutturali della community e dalla modulazione della propria partecipazione (profilo pubblico o privato, frequenza degli scambi, produzioni UGC, …); b) espressione personale: la personalizzazione del proprio profilo e la gestione dei contenuti pubblicati consentono di esprimere la propria identità; c) connessione: la possibilità di stabilire relazioni attraverso i diversi strumenti messi a disposizione delle piattaforme, dagli instant messages ai commenti.
Come a erma Ellison et al.: «Internet fornisce agli individui nuovi modi per interagire con i membri della loro rete sociale già esistente e per creare nuove connessioni attraverso una varietà di forme di comunicazione sincrone e asincrone» (Ellisson et al. 2011: 128). Le struttura della «network society» (Castells 1996) rende più semplice gestire le proprie relazioni e fornisce supporto per cercare e creare nuove connessioni. Internet diviene così uno strumento supplementare in grado di influenzare l’abilità delle persone di agire collettivamente e creare e mantenere il “capitale sociale” o, come lo definisce Paul Resnick⁴⁷, il «capitale socio-tecnico» (2001).
47. Paul Resnick è un accademico e autore americano. È docente di Scienze dell’Informazione alla University of Michigan. I suoi interessi di ricerca vertono su intelligenza collettiva, scienza della gestione e organizzativa.socialvertonoIUniversityComunicazioneprofessoreaccademico46.organizzative.tecnologieMalcomParksèunamericano,emeritodiallaofWashington.suoiinteressidiricercasulleretisociali,networkecultura
– vengono amplificate da una serie di nuove «social a ordance»
4. STRADE VIRTUALI: LE MOTO-COMMUNITY
131
I CANALI DELLA COMMUNITY MOTOCICLISTICA Grazie alle caratteristiche dei nuovi media, i motociclisti hanno la possibilità di trovare online nuovi spazi di coinvolgimento, come in una sorta di raduno virtuale. Ognuno, a seconda delle proprie esigenze, può rintracciare con facilità il proprio gruppo d’interesse e di conseguenza i contenuti 4.3.
132 IDENTITÀ IN MOTO • espandere le possibilità d’interazione (la rete aumenta le connessioni e gli scambi); • canalizzare il flusso di informazioni (riducendo i disturbi della comunicazione); • programmare e gestire le interazioni (supportando la collaborazione); • tracciare le interazioni (rendendo facilmente accessibile e consultabile la storia);
• creare identità collettive (fornendo ad esempio il nome ad un gruppo web). Il capitale prodotto non è solo il risultato di attività partecipative ma, sviluppando coinvolgimento, è anche uno stimolo per le attività future. La riflessione di Resnick mantiene validità anche oggi soprattutto in relazione alle diverse e numerose modalità di interazione proliferate con il boom delle piattaformeAttraversosocial.le«social community» (Tuten e Solomon in Ciastellardi 2017: 156 157) anche i motociclisti hanno la possibilità di «condividere materiali e raccontare le proprie esperienze ed emozioni» (ibidem), sviluppando una forte intesa partecipativa. Social Network Sites, forum, piattaforme Wiki, blog; questi e altri strumenti (sviluppati anche ad hoc) vengono così adottati dagli utenti per scambiare suggerimenti meccanici, discutere delle nuove proposte del mercato, promuovere eventi e raduni, nonché sviluppare piccoli “mercatini”. La partecipazione alla community consente così di sviluppare una sorta di «familiarità» (Thompson W. E. 2008: 100) con gli altri membri, attraverso lo stesso tipo scambio culturale che in precedenza avveniva soprattutto nei ritrovi e nelle sedi dei club motociclistici.
133 più rilevanti. Quale che sia la modalità di traduzione di un contenuto (video, immagini, testi) o l’argomento trattato (dall’attualità sportiva alla meccanica), forum, blog e social network radunano larga parte della community a due ruote, testimoniando una propensione partecipativa alla narrazione e alla fruizione. Seppur non risultino le uniche modalità di coinvolgimento e si prestino ad un utilizzo che va frequentemente ad ibridarli, tali esempi di social community definiscono i principali spazi dove rintracciare i diversi attori della comunità motociclistica, dai brand al singolo biker. Forum. I forum sono una delle più di use modalità di partecipazione, legata anche alla longevità del medium in sé. Un po’ come accade per le comunità di presenza (vedi 3.2.) la formazione delle bacheche avviene in relazione a un interesse specifico o a una particolare “prossimità” dei membri. Tra le svariate funzioni dei forum, i motociclisti qui hanno a disposizione una comunità informata alla quale chiedere informazioni specifiche e di cili da reperire altrove. Gli appassionati di moto d’epoca, ad esempio, hanno spesso a che fare con marchi non più attivi sul mercato e che quindi non garantiscono più un’assistenza u ciale. Nei forum dedicati vi è la possibilità di reperire informazioni o suggerimenti meccanici da chi, tra gli appassionati, può o rire la propria competenza in materia. Lo scambio nei thread diventa così una valida modalità di produrre conoscenza “dal basso”, un manuale virtuale sempre consultabile. Blog. Un altro “classico” del web, anche i blog a due ruote sono numerosi. La struttura perde l’orizzontalità tipica del forum, poiché si tratta di una pagina personale da cui può scaturire una comunità di lettori. L’attività del moto-blogger può orientarsi su diverse tematiche, siano reportage di viaggi, recensioni di prodotti, piuttosto che il generale opinion-making. Il blog è un mezzo che lascia spazio all’espressione personale e alla circolazione di informazioni utili alla comunità. Nella sua traduzione video-motoristica il blog assume il termine di “motovlog”: questa modalità di narrazione può contare sul supporto delle immagini condivise poi su piattaforme di sharing come YouTube. La figura del moto-blogger diventa una sorta di “garante di esperienze”, un opinion leader la cui sfera di influenza può anche essere sfruttata in logiche commerciali sia per il proprio interesse sia per aziende del settore. 4. STRADE VIRTUALI: LE MOTO-COMMUNITY
L’avvento delle action-camera rappresenta un esempio abbasta chiaro di come la digitalizzazione di un’esperienza contenga un potenziale risvolto creativo. Le microcamere vengono installate dai motociclisti sul proprio casco o sul manubrio della moto in modo da riprendere l’esperienza di guida in soggettiva. Oltre a o rire un punto di vista empatico per l’osservatore, nella condivisione di tale contenuto c’è soprattutto una produzione di valore. Itinerari, strade e scorci spettacolari, precedentemente sconosciuti ai più, vengono resi noti non solo col passaparola ma anche grazie a un’e cace testimonianza visiva.
Anche nella community motociclista si attuano quelle forme di «partecipazione attiva» (Jenkins et al. 2013: 164) che 4.4.
134 IDENTITÀ IN MOTO Social Network. La comunità motociclista trova nei gruppi social una semplice traduzione: qui i motociclisti possono a liarsi virtualmente alla propria tribù di riferimento o crearne di nuove in base a una comunione di interesse. La presenza degli esponenti più rilevanti del settore (brand, influencer, associazioni) e dei membri della propria rete sociale personale, permette di convogliare nel proprio feed contenuti aggiornati e di sviluppare di erenti modalità di interazione. Di fronte a uno scenario particolarmente dinamico come quello delle piattaforme social, impossibili da mappare in modo duraturo, è interessante notare le modalità eterogenee con cui vengono utilizzate anche dalla community motociclistica dalla promozione di eventi alla condivisione di meme. La pratica del “reposting”, in particolare, definisce lo scopo e la chiave di lettura di diverse pagine “collettori”, in cui vengono ri-condivise le foto o i video di un utente e della sua motocicletta. Oltre a fornire una «vetrinizzazione» (Codeluppi 2015) ai profili, tali contenuti o rono la possibilità di sviluppare discorsi all’interno della comunità. DUE RUOTE CONVERGENTI Nella sua traduzione virtuale, la community motociclistica mette in atto quelle che Blankenship definisce delle «esperienze a ettive digitalizzate» (2013: 59). Gli strumenti digitali o rono ai motociclisti delle nuove strade, nuove modalità di interazione adatte a sviluppare i propri scambi culturali. Le arterie virtuali consentono l’emergere di nuove opportunità di coinvolgimento, non meno significative di quelle di persona.
4. STRADE VIRTUALI: LE MOTO-COMMUNITY
Che siano video di fai-da-te, documenti rari o memorabilia, in questa «cultura convergente» (Ciastellardi 2017: 106) i gruppi di appassionati, anche delle due ruote, producono e distribuiscono in modo spontaneo contenuti considerati di particolare significato per la propria comunità di riferimento. In tale aspetto, emerge così quella prospettiva «artigianale», descritta da Richard Sennett⁴⁸ ([1997] 2008), secondo cui la produzione viene ricompensata in modi anche intangibili, attraverso la soddisfazione personale e il riconoscimento.
135
includono, nel più ampio senso del termine, sia chi produce valore con un contenuto, sia chi fornisce valore a quel contenuto. Le attività di una community attiva e partecipe portano a un ampliamento della conoscenza a beneficio della community stessa. Nei risultati vi è testimonianza sia della «intelligenza collettiva» (Levy 1994), sia della «intelligenza connettiva» (De Kerckhove 1997) di una community legata da una comune passione e orientata a un comune arricchimento, facilitato dagli strumenti digitali contemporanei. L’aspetto del «coinvolgimento» (Jenkins et al. 2013: 65) ben si adatta alla community dei motociclisti, generalmente poco rappresentata dai mass-media, in cui resiste un desiderio di dialogo, di creazione di reti sociali e di collaborazione.
IL VALORE DELLE COMMUNITY RI-CREATIVE Sia da una prospettiva individuale che – forse con maggior evidenza – nelle forme di aggregazione sociale, il motociclismo è sostanzialmente vissuto come un’attività ricreativa. Tale aspetto non ne diminuisce necessariamente il significato, anzi, una comunità legata da una passione condivisa nel proprio tempo libero diventa un terreno fertile a favorire lo sviluppo e il sostegno di un particolare patrimonio culturale. Se è evidente che le attività ludiche siano apprezzate dagli individui poiché vissute come una tregua dalla routine quotidiana, ad un maggior livello di profondità tali attività lasciano intravedere anche un impegno spontaneo dei partecipanti nella produzione di significati. È nelle passioni che si possono trovare i valori del tempo libero, soprattutto se quelle stesse passioni forniscono un’opportunità di auto-narrazione – spesso identitaria – per individui e Secondocomunità.Iwasaki et al. (2017: 5) hobby e passatempi di varia natura contribuiscono ad ampliare lo spettro qualitativo
48. Richard Sennett è un sociologo, scrittore e accademico statunitense. I suoi interessi di ricerca vertono sui temi della convivenza nel mondo moderno urbanizzato. È autore di The Craftsman (2008). 4.5.
136 IDENTITÀ IN MOTO della vita rendendola non solo “felice” (grazie ad emozioni positive), ma anche “connessa” (socialmente e culturalmente), “conosciuta” (scoprendo la propria identità), “autonoma” (controllabile in modo indipendente) e “potenziata” (tramite empowerment e autorealizzazione).
• meaning-making: la produzione di senso, ovvero il processo mediante il quale una persona ricava significati da quella determinata attività che è in grado di fornire uno scopo alla propria vita. Tali termini, essendo piuttosto trasversali, ci consentono di produrre una sorta di circolarità terminologica che unisce l’attività ludica – centrale nella cultura motociclistica – la partecipazione delle community e la loro costruzione di significati, tali per cui sarebbe opportuno parlare di “community ri-creative”. La motocicletta diventa uno stimolo a incontrarsi fisicamente, a raccontarsi e ricercare il proprio senso identitario, diventa un elemento attivo per coinvolgere e lasciarsi coinvolgere, nonché per produrre narrazioni significative sia a livello personale che comunitario. Engagement Il concetto di engagement è centrale sia da un punto di vista sociale che culturale e, a livello pratico, anche creativo; il coinvolgimento è infatti ciò che consente di attrarre gli individui a partecipare e di attivarli culturalmente (cfr. Jenkins [2006] 2007: 83). Johnston (2018) definisce l’engagement come «un concetto relazionale multidimensionale e dinamico che presenta attributi psicologici e comportamentali di connessione, interazione, partecipazione e coinvolgimento, progettati per raggiungere o favorire un risultato a livello individuale, organizzativo o sociale» (Johnston 2018: 19). In altre
Nelle passioni coltivate durante il tempo libero secondo Iwasaki⁴⁹ è possibile riscontrare due risorse chiave non solo da un punto di vista del benessere dell’individuo, ma anche da punto di vista creativo:
• engagement: il coinvolgimento, ovvero la predisposizione dell’individuo ad essere attivamente coinvolti in qualcosa di considerato importante da un punto di vista personale, sociale e culturale.
49. Yoshitaka Iwasaki è un ricercatore e accademico giapponese. È docente alla University of Alberta. I suoi interessi di ricerca vertono sui processi di community engagement relativi alle attività ricreative.
137
50. Kim A. Johnston è una ricercatrice e accademica australiana. È docente alla QUT Business School di Brisbane. I suoi interessi di ricerca vertono sui processi e le pratiche di community engagement
• orientamento: una sorta di filosofia comune, basata su convinzioni e comportamenti condivisi e in grado di produrre significati e valore attraverso il dialogo, l’interazione e la connessione tra gli individui;
• esperienza: le interazioni (o relazioni) che sono motivo oppure risultato dell’engagement;
A livello individuale si caratterizza come un sistema dinamico composto da tre dimensioni in grado di generare un particolare “stato” di coinvolgimento. Nello specifico parliamo di engagement cognitivo come gli investimenti in termini di attenzione necessari a sviluppare la comprensione di un particolare argomento; e. a ettivo intendendo le reazioni emotive e, tipicamente, il senso di appartenenza; e. comportamentale riguarda, infine, la disposizione all’azione, alla partecipazione e alla interazione.
• azione collettiva: il consenso condiviso o una definizione concordata verso un tema considerato rilevante all’interno comunità;
4. STRADE VIRTUALI: LE MOTO-COMMUNITY
parole, il coinvolgimento è ciò che permette ad un individuo o una comunità di raggiungere un obiettivo. Pur partendo da premesse che riguardano organizzazioni piuttosto “strutturate” quali imprese, enti culturali e no-profit – e quindi in grado di progettare strategicamente il coinvolgimento – l’analisi dell’autore risulta utile ad individuare i motivi che spingono individui e gruppi ad essere coinvolti. Nello specifico, Kim A. Johnston⁵⁰ (2018) individua una duplice natura dell’engagement, definibile come uno “stato” e un “processo” riscontrabile sia a livello individuale che sociale. Engagement come “stato”. L’engagement è inteso come “stato” nell’accezione mentale del termine e dunque rappresenta quella condizione dell’essere che consente di definire le persone come “coinvolte”.
A livello sociale le dimensioni si ampliano per meglio accoglierne gli aspetti collettivi. Sono cinque gli attributi che interagendo dinamicamente consentono di creare uno “stato” di engagement all’interno delle comunità. Nello specifico sono:
• partecipazione: ovvero il potere della community, ciò che configura i membri come attivi partecipanti alla produzione di significato;
Come a erma Ezio Bianchi: «La forza della narrazione consiste nella sua capacità di dare senso. […] La narrazione stabilisce una cornice che dà forma al racconto e all’esperienza narrata: ponendo un inizio e una fine, il racconto rende comprensibile ciò che altrimenti non lo è» (Bianchi 2014).
A livello sociale consiste nel dare voce alle comunità all’interno dei processi decisionali, lasciando spazio alle opinioni e ai contenuti più rappresentativi. Rappresenta dunque quelle interazioni e discorsi nati dalla collaborazione tra i membri della comunità e in grado di avere un impatto significativo e positivo sulla comunità stessa.
Quello di narrare è forse il più umano tra gli istinti umani: non se ne può fare a meno insomma; raccontiamo per lasciare tracce, ripercorrere le nostre esperienze e dare forma alla nostra realtà. È raccontando storie che l’homo narrans (cfr. Gottschall
A livello individuale descrive quelle azioni comunicative (le interazioni) in grado di produrre coinvolgimento che consistono, ad esempio, in una serie di passaggi “formativi”, come costruire la fiducia, fornire informazioni o guadagnare attenzione. Dinamiche in grado di motivare gli individui al raggiungimento di determinati risultati.
In termini motociclistici è possibile assistere a un’applicazione “totale” del coinvolgimento se si considera sia l’investimento diretto alla propria passione personale, sia le azioni più strutturate che sono richieste dalla creazione e dalla gestione di una community. Se si considera che, come visto, spesso le comunità motociclistiche – come i motorcycle club – vengono sviluppate dal basso (anche quando riguardano un brand), ecco che il processo di coinvolgimento ricade sull’intraprendenza di appassionati indipendenti, particolarmente motivati.
138 IDENTITÀ IN MOTO • intenzione: le motivazioni intrinseche che spingono gli individui a partecipare e che sono determinate da una preesistente attitudine all’azione. Engagement come “processo”. L’engagement è inteso come “processo” da un punto di vista strategico e si riferisce a quelle azioni progettate consapevolmente al fine di produrre coinvolgimento negli individui.
Meaning-making
4. STRADE VIRTUALI: LE MOTO-COMMUNITY
Nel contesto della narrazione, i mezzi di comunicazione digitali trovano particolare centralità, o rendo attraverso opportunità innovative di coinvolgimento delle modalità dirette per la divulgazione di storie personali. Grazie a caratteristiche quali la multimedialità, l’ipertestualità, la convergenza, l’interattività, la socialità, i nuovi media divengono strumenti alla base delle relazioni tra individui e comunità 4.6.
Il racconto è presente in tutti i tempi, in tutti i luoghi e in tutte le società; il racconto comincia con la storia stessa dell’umanità; non esiste, non è mai esistito in alcun luogo un popolo senza racconti; tutte le classi, tutti i gruppi umani hanno i loro racconti e spesso questi racconti sono fruiti in comune da uomini di culture diverse, talora opposte; […] internazionale, transstorico, transculturale, il racconto è come la vita. (Barthes [1966] 1969: 7)
scopre se stesso, arriva a comprendere la propria identità e la relaziona a quella degli altri. Nel racconto si trova quel potere in grado di legare gli individui, fornendo senso di appartenenza, emozioni, motivazioni.
139 2014)
Le comunità motociclistiche vivono delle proprie narrazioni, in grado di determinare obiettivi, ruoli e strutture che forniscono senso a un sodalizio e di tradurre fisicamente un’identità. Quando i personaggi delle storie sono i membri stessi della comunità allora i racconti diventano auto-narrazioni cariche di particolare significato. Le comunità grassroots motociclistiche, in tal senso, sono sforzi immaginativi tradotti in realtà; passato, presente e futuro vivono nelle storie e negli aneddoti scelti e raccontati dai propri membri. Come a erma Glover: «Condividendo la storia di un “noi” collettivo, in altre parole, i membri danno vita alle associazioni a cui appartengono» (2004: 47).
Le persone, raccontandosi, scoprono di condividere esperienze con altri ed emerge così un senso di prossimità in ciò che si è e in ciò che si può essere. Le storie diventando vitali, poiché forniscono motivi di esistenza. Sono manifestazioni di un’identità collettiva basata su una condivisione di valori, credenze e identità personali. Se lette, permettono di comprendere le qualità e le caratteristiche attribuite di un gruppo e dei suoi membri.
NARRAZIONI GRASSROOTS
140 IDENTITÀ IN MOTO contemporanee (cfr. Manovich in Castellano 2020). Social e piattaforme risultano strumenti centrali nei processi socioculturali contemporanei, a ermandosi come spazi di fruizione, produzione e condivisione. La gerarchia nel web si fa orizzontale e le narrazioni si fanno “prossime”. Tra vari aspetti, gli UserGenerad Content consentono di raccontare storie in un filo diretto che va dagli utenti agli utenti. Come a erma Giovanni Boccia Artieri⁵¹: si tratta di stimoli alla riflessività che hanno una maggiore capacità di ancorarsi alla quotidianità delle nostre vite. Sono narrazioni “finzionalizzate” perché pensate per essere lette (viste, sentite) da un pubblico e allo stesso tempo intimamente coinvolgenti, perché raccontate dalla voce di protagonisti con cui possiamo entrare in conversazione, rispondendo, commentando o raccontando altre storie. (Boccia Artieri 2012: 75) Il digital storytelling rappresenta la moderna espressione dell’arte narrativa realizzata attraverso elementi multimediali (immagini, testi, audiovisivi) sfruttando le potenzialità della Rete. Raccontare diventa una pratica sociale aperta in cui la “mia” storia diventa la “nostra” storia: gli utenti-prosumer attraverso la loro azione partecipativa forniscono contributi personali in grado di formare un racconto identitario a più voci utile a tramandare, definire e – perché no — inventare gli aspetti “genetici” di una cultura. Come a erma Castellano, il vasto panorama delle social community sembra o rire: «diverse possibilità in termini di engagement e coinvolgimento dei pubblici, da cui non va esclusa l’opportunità di utilizzare gli UGC per dar vita a narrazioni alternative, creative e soprattutto dal basso, per e in diversi ambiti, settori e contesti» (Castellano 2020: 15). Così come su Instagram, ad esempio, esistono iniziative e progetti in grado di produrre una valorizzazione territoriale è possibile rintracciare nei profili e nei gruppi social, ovvero nei “discorsi virtuali” di chi partecipa alla comunità motociclistica, una sorta di valorizzazione dal basso di una cultura, se non locale, quantomeno specifica. UN PATRIMONIO DA NARRARE Il coinvolgimento della comunità è riscontrabile anche nell’interesse che matura verso il proprio patrimonio culturale (cfr. Watson e Waterton 2010). Storie e memorie – i tratti
51. Giovanni Boccia Artieri è un sociologo, saggista e accademico italiano. Professore di Scienze della Comunicazione presso l'Università degli Studi di Urbino, il suo lavoro si concentra soprattutto sullo studio dei nuovi media. 4.7.
digitalizzazione.interessataConnecteddirigeUniversityindustrialitaliana.ricercatrice53.materiale.l’antropologial’archeologia,elaculturaElisaGiaccardièunaeaccademicaDocentediPost-DesignallaDelftofTechnology,ilgruppodiricercaEverydayLab.Èallesfidedella
4. STRADE VIRTUALI: LE MOTO-COMMUNITY
141
dell’identità – divengono quegli elementi da tramandare attraverso l’impegno dei membri della comunità stessa.
Le narrazioni prodotte dagli individui e dalle comunità hanno il potenziale per arricchire l’esperienza e la comprensione del loro patrimonio culturale, sia attraverso la partecipazione che la collaborazione. Quando sono le comunità a raccontare se stesse c’è la possibilità di fare emergere aspetti molteplici, diversi e opposti, che vanno a contrastare la tendenza a considerarle come qualcosa di omogeneo. Alla luce delle rappresentazioni e delle interpretazioni “dall’alto” che i media hanno fornito della cultura motociclistica, è opportuno interrogarsi sull’esistenza di visioni alternative. Patrimoni digitali Le nuove tecnologie hanno cambiato il modo in cui catturiamo le nostre esperienze di vita, la natura dei nostri artefatti e il modo in cui li condividiamo. Molteplici aspetti della nostra vita vengono “salvati” e condivisi con altre persone, le quali possono incrementare queste “tracce digitali” fornendo il proprio contributo. Preservare, fornire un senso e scambiare artefatti quotidiani sta diventando sempre più una questione di heritage: il passato diventa presente, aiutandoci a raccontare storie su chi siamo. Come a erma Elisa Giaccardi⁵³: l’heritage oggi non riguarda più solo i manufatti museali e gli edifici storici e come essi devono venire tutelati e promossi. Si tratta di dare 52. Margaret Purser è una ricercatrice e accademica americana. Docente alla Sonoma State University, i suoi interessi di ricerca vertono su
Seppur legato al contesto “curatoriale” è opportuno, ai fini di questa analisi, riferirsi al termine “heritage” inteso da Purser⁵² (2018) «come qualcosa utilizzato attivamente dalle persone per definire e costruire nozioni sostenibili di comunità». Secondo l’autrice, l’heritage di una comunità è sostenuto da tre aspetti: il patrimonio culturale immateriale (codici, narrazioni, rituali), gli elementi tangibili (luoghi e oggetti) e la natura della partecipazione. Se si guarda alla cultura motociclistica e agli aspetti già a rontati caratterizzanti le neo-tribù a due ruote è possibile intravedere come col tempo sia stato formalizzato, anche se non del tutto esplicitato, un patrimonio culturale a cui i membri della comunità possono fare riferimento. Si consideri, inoltre, il contributo “esterno” (dai media ai ricercatori della “devianza”) capace di influenzare fortemente l’identità della cultura motociclistica.
54. Henry Jenkins è un accademico e saggista statunitense. Docente di comunicazione e giornalismo alla University of Southern California, è autore di numerose pubblicazioni su differenti aspetti dei media e della cultura popolare.
Ne consegue che la nuova nozione di patrimonio culturale non può prescindere da un’attività partecipativa che proviene dal basso e che evidenziando gli aspetti vivi delle pratiche culturali, ricolloca l’heritage come parte dell’esistenza attuale. Un approccio grassroots e partecipativo permette di collaborare con i membri di una comunità, nel produrre un’immagine in cui specchiarsi e ritrovare la propria identità. Tale impegno trova nella tecnologia un supporto; social media e social community o rono nuove piattaforme per la partecipazione, anche spontanea, in grado di fornire interpretazioni alternative di una cultura (cfr. Purser 2018: 4).
Tale definizione supera il concetto di patrimonio culturale legato a dimensioni materiali e temporali statiche, piuttosto riguarda la «gestione del cambiamento» (Fairclough in Giaccardi 2012: 1) e la rappresentazione di aspetti culturali –valori, credenze, conoscenze, tradizioni – che sono in continua evoluzione. In tale prospettiva, le tecnologie mobili assumono particolare rilevanza non solo accelerando questi cambiamenti, ma permettendo agli utenti di partecipare, spontaneamente e in modo continuo, alle attività di produzione, conservazione e interpretazione di contenuti, producendo un patrimonio culturaleGraziedigitale.alletecnologie digitali, le persone occupano una posizione di maggior centralità, c’è una rete di produzione di significati e i contesti culturali sono soggetti a rapidi cambiamenti e rinegoziazioni. I social media forniscono le infrastrutture di comunicazione e le modalità di interazione in grado di designarli come spazi per la produzione culturale; in tal senso il patrimonio culturale viene ridefinito attraverso una serie di pratiche vive, dinamiche e attuali. Collegandosi direttamente al pensiero di Henry Jenkins⁵⁴, Giaccardi a erma che la cultura partecipativa: sposta l’attenzione dall’espressione individuale al coinvolgimento della comunità e riformula i termini dalle questioni di tecnologia interattiva a questioni di attitudine culturale. La cultura partecipativa non riguarda solo la produzione e il consumo di user-generated content; è manifestata anche attraverso diverse forme di affiliazione, espressione, collaborazione e distribuzione. (Giaccardi 2012: 3)
142
un senso ai nostri ricordi e sviluppare un senso di identità attraverso interazioni condivise e ripetute con i resti tangibili e le tracce vissute di un passato comune. (Giaccardi 2012: 1)
IDENTITÀ IN MOTO
Tra i vantaggi che gli ambienti digitali o rono alle (moto) community per diventare partecipanti attivi nella narrazione del proprio patrimonio culturale troviamo «l’accessibilità, la di usione e la rilevanza per un pubblico più ampio e la creazione di nuove forme mediali per l’espressione, la comprensione, la conservazione e la collaborazione» (A eck e Kvan 2008: 271). A eck e Kvan citano alcuni casi studio di progetti web in cui emerge il potenziale creativo e narrativo delle community collaborative; nel Memory Capsule project (sviluppato dagli stessi autori), ad esempio, i contributi fotografici e testuali raccolti coinvolgendo una community hanno prodotto un’interpretazione alternativa della storia recente di Hong Kong fornita direttamente dagli abitanti.
L’heritage e le community I tratti di una comunità vengono spesso ricostruiti da figure esterne che, attraverso approcci “verticali”, producono definizioni astratte di una particolare cultura. Come a ermano Waterton e Smith: «Ci riserviamo il diritto di parlare per loro e interpretarle, e talvolta, alla fine, li rifiutiamo, soprattutto se non si conformano ai nostri ideali nostalgici» (2010: 8). Opponendosi a tale prassi, A eck e Kvan⁵⁵ rilevano come gli ambienti digitali siano adatti allo sviluppo di «interpretazioni discorsive» (A eck e Kvan 2008: 270), ovvero processi “circolari” in grado di attivare un pubblico di utenti nella produzione di significati che riguardano il loro patrimonio culturale. La collaborazione con le community permette, favorendone il coinvolgimento, di produrre storie e tramandare memorie, raccogliendo contenuti culturalmente significativi dagli utenti stessi.
Le tecnologie digitali forniscono strutture e modalità con cui riunire gruppi di persone impegnate nella pratica interattiva del “ricordare insieme” (cfr. Simon R. I. 2012: 89), ricostruendo il proprio passato e narrando il proprio presente. Se i membri di una comunità virtuale possono narrare il senso di un luogo fisico condividendo le proprie esperienze di spazio, tempo e socialità, lo stesso potrebbe avvenire in relazione a un oggetto come la moto, indagando il rapporto che si instaura con esso e le modalità in cui tale rapporto consente di produrre narrazioni identitarie. Le cose che portiamo con noi, infatti, divengono segni di complesse storie personali, «oggetti di memoria» (Pitsillides et al. 2012: 57) che, se letti, raccontano del nostro rapporto con il mondo e con gli altri. Elementi di cultura materiale che o rono una manifestazione concreta non solo 55. Janice Affleck e Thomas Kvan sono due ricercatori australiani. Il loro interesse di ricerca verte sull’uso dei nuovi media al servizio del cultural heritage.
143
4. STRADE VIRTUALI: LE MOTO-COMMUNITY
I significati della motocicletta riguardano soprattutto chi sta in sella, con i proprio motivi e le proprie sensazioni. Se si allarga lo sguardo, il motociclismo assume i tratti di un universo complesso, sviluppatosi nel corso del tempo e che contempla scenari, personaggi, trame in grado di fornire i tratti di una grande identità collettiva. C’è chi si è interessato a raccontare storie non solo legate all’attualità sportiva o del mercato, ma che piuttosto andassero a trovare o produrre un senso nella motocicletta. I discorsi intorno al motociclismo tendenzialmente interessano solamente ai motociclisti ed è logico pensare che possano nascere necessariamente “dal basso” e dunque dai motociclisti stessi. È interessante notare come la narrazione di tale patrimonio culturale, oltre ad essere presa in carico dai membri stessi della comunità, abbia trovato nelle formule partecipative dei nuovi media un valido supporto per la di usione dei contenuti e per la creazione di coinvolgimento.
“Essere motociclisti” sembra essere diventato un elemento di «cultura residua» (Williams in Jenkins et al. 2013), un’immagine nostalgica a cui gli appassionati continuano a guardare come un riferimento per definire la propria identità e sviluppare conversazioni. I nuovi media, in ciò, aumentano la facilità e la frequenza con cui i membri e i non-membri possono accedere ai codici comunicativi della cultura motociclistica. Chi non possiede una moto, la desidera o semplicemente è appassionato di quel mondo – nell’essere fan di film, serie tv o eventi sportivi – può ritagliarsi una propria nicchia per partecipare a tale cultura. Vanno così a cadere anche quei due requisiti necessari un tempo per accedere alla comunità motociclistica ovvero la proprietà e l’esperienza fisica di guida.
L’International Journal of Motorcycle Studies e The Vintagent, sono due “testate” online di alto profilo, redatte da motociclisti. Seppur la natura dei contenuti sia di erente, lo scopo è il medesimo, ovvero produrre e promuovere discorsi riguardo la cultura motociclistica, in tutte le sue forme. Fondamentale nelle logiche della partecipazione online, l’invito a contribuire è aperto a tutti i membri della comunità motociclistica, di cui 4.8.
144 IDENTITÀ IN MOTO della loro produzione – artigianale, industriale o digitale – ma anche delle relazioni che producono, di come li desideriamo, li consumiamo o li adattiamo alle nostre esigenze.
IL PATRIMONIO MOTOCICLISTICO
In tal senso IJMS e The Vintagent propongono un cambio di prospettiva: rappresentano due esperimenti digitali che attraverso le proprie pratiche e i risultati prodotti sono in grado di fornire una nuova lettura della cultura motociclistica, o rendo nuovi spazi di espressione e dunque di rappresentazione. La componente virtuale è stata, dal principio, il motore di entrambi i progetti, in grado di intercettare sia le storie più interessanti del patrimonio culturale a due ruote, sia un pubblico disposto ad ascoltarle e, molto spesso, a raccontarle.
L’International Journal of Motorcycle Studies (IJMS) nasce da un gruppo internazionale di accademici dediti alla creazione della disciplina degli studi motociclistici. La redazione è formata da figure multidisciplinari, tra cui i già citati Steven Alford (Professore Emerito in Letteratura alla Nova Southeastern University) e Suzanne Ferrisss (Professoressa di Inglese alla Nova Southeastern University), Caryn Simonson (Coordinatrice del Bachelor in Textile Design presso la University of the Arts London) e Ted Bishop (Professore di Inglese alla University of Alberta, Canada). In un convegno organizzato nel 2003 ad Albuquerque (New Mexico) dal titolo “Motorcycling Culture and Myth Area” emerse l’esigenza di estendere tale discussione oltre i confini della conferenza e del Nord America, fondando una rivista scientifica. La prima edizione dell’IJMS venne pubblicata nel 2005 e resa disponibile solo online. Come a ermano i fondatori Alford e Ferrisss: Volevamo coinvolgere non solo altri studiosi, ma anche altri motociclisti, prendendo sul serio l’idea che il discorso intellettuale non dovesse essere confinato all’accademia, pur riconoscendo allo stesso tempo che l’obbedire alle convenzioni – e al rigore – della ricerca accademica convenzionale sarebbe stato di fondamentale interesse. Vorremmo portare quanto più è prezioso delle pubblicazioni accademiche su Internet al fine di raggiungere un pubblico più ampio possibile. Solo così saremo in grado di attirare un quadro globale di studiosi e portare avanti lo studio del motociclismo in tutte le sue forme. (Alford e Ferriss 2010) IJMS ha una pubblicazione semestrale, è in lingua inglese e ospita contenuti eterogenei ma legati, necessariamente, al fenomeno culturale del motociclismo: dall’esperienza della
4. STRADE VIRTUALI: LE MOTO-COMMUNITY
145
vengono selezionate le storie più interessanti.
International Journal of Motorcycle Studies
146 IDENTITÀ IN MOTO guida alla storia del veicolo, dal design alle rappresentazioni dei motociclisti nei media. Oltre a saggi accademici che spaziano dall’economia alla sociologia, la rivista ospita anche recensioni di libri, film e programmi televisivi. La Rete, con la sua struttura, va a definire le caratteristiche del journal basato su tre elementi chiave: a) peer-review; b) tempestività; c) apertura. Di seguito: a) peer-review: il journal è supervisionato da un comitato editoriale di studiosi con di erenti background (dall’economia alla sociologia). Ogni saggio prima della pubblicazione viene sottoposto a un rigoroso processo di revisione tra pari in grado di fornire una validazione critica. b) tempestività: se un articolo inviato a una rivista cartacea richiede anni prima della pubblicazione, gli strumenti digitali permettono di dimezzare i tempi di attesa a qualche mese. Un vantaggio sia per il curriculum degli autori che per l’attualità della rivista. c) apertura: la rivista non prevede abbonamenti e vanta migliaia di lettori al mese, provenienti da ogni parte del mondo. Inoltre, il processo di submission è aperto, pur sottoposto al rispetto di un elevato standard di qualità e leggibilità.
The Vintagent The Vintagent nasce come blog nel 2006 dall’idea di Paul D’Orléans⁵⁶, esperto di storia e cultura motociclistica di fama mondiale. L’incontro con Corinna Mantlo (già fondatrice del New York Motorcycle Film Festival) ha permesso alla testata web di diventare una “moto-media company” in grado di o rire il meglio della cultura motociclistica attraverso film, foto e storie originali. Come a erma il fondatore D’Orléans: Nella storia del motociclismo c’è la storia del mondo. Basta guardare attentamente, è tutto lì; gesta eroiche, intrighi politici, design geniali, business spietati, personaggi bizzarri, tensioni internazionali, arte, sesso e morte. Le motociclette sono belle, ma sono solo metallo, quindi ci interessiamo alle persone che le costruiscono, le guidano e le rendono arte, trovando sempre delle ricchezze inaspettate… insomma, tutto ciò che rende la vita interessante. (The Vintagent)
56. Paul D'Orléans è uno scrittore, blogger e fotografo americano. Esperto di moto storiche, nel 2006 ha creato il blog The Vintagent in cui si occupa di documentare diversi aspetti della cultura motociclistica.
4. STRADE VIRTUALI: LE MOTO-COMMUNITY
The Vintagent in quasi dieci anni di attività ha accumulato milioni di visualizzazioni e quasi mille articoli. I contenuti o rono una lettura del motociclismo attraverso diverse discipline come storia, arte e design, cultura, attualità, cinema. La rivista vanta un’attiva collaborazione con numerosi storici, artisti e registi di tutto il mondo al fine di fornire contributi di qualità. Anche in questo caso, il sito è aperto alla collaborazione dal basso: tutti coloro che condividono la passione per le moto e la cultura motociclistica sono invitati a presentare i propri miglliori contributi.
The Vintagent si configura così come un grande collettore di storie, in grado di far emergere i significati della moto-culture oltre che il potenziale creativo dei suoi partecipanti. Il progetto, inoltre, è legato alla Motorcycle Arts Foundation di New York, la più rilevante organizzazione no-profit dedicata alla creazione, conservazione e distribuzione di arte motociclistica, ente nato per sostenere l’importanza culturale delle motociclette e promuoverne il patrimonio.
In tal senso, particolarmente significativo è il progetto Mototintype (FIG. 65), che dal 2012 impegna Paul D’Orléans e la fotografa Susan McLaughlin nella documentazione della cultura motociclistica americana. In questo progetto ambizioso progetto di etnofotografia i due mettono in gioco le rispettive competenze: la conoscenza storica del motociclismo di D’Orléans e la tecnica della ferrotipia, la stampa fotografica su lastre di latta, di cui la McLaughlin è esperta.
147
L’obiettivo è quello di ritrarre i membri della comunità motociclistica attraverso la fotografia in un modo che non era mai stato fatto prima. Viaggiando su un van convertito in una camera oscura, i due si sono recati in tutti i principali eventi di moto d’epoca del Nordamerica per ritrarre i motociclisti utilizzando l’antica tecnica fotografica. Gli scatti nati dall’iniziativa con cui sono stati prodotti libri e mostre, divengono soprattutto una testimonianza visiva e fisica in grado di fornire la narrazione di una comunità.
Non ci si può nascondere in un ferrotipo, è il motivo che mi ha avvicinato a questa tecnica antica. È così personale. Guardare il ritratto di un motociclista e vedere distintamente ogni dettaglio che rappresenta anni di esposizione agli elementi, consente a Susan e a me di aiutare a raccontare la loro storia senza parole (D’Orléans in Buckholtz 2018)
Shinya Spike Linda Monahan Cliff Vaughs Gary Wright
148 IDENTITÀ IN MOTO




Paul D’Orléans e Susan McLaughlin
4. STRADE VIRTUALI: LE MOTO-COMMUNITY 149
«Guardare il ritratto di un motociclista e vedere distintamente ogni dettaglio che rappresenta anni di esposizione agli elementi, consente a Susan e a me di aiutare a raccontare la loro storia senza parole» (D’Orléans 2018).
FIG. 65 Alcuni ferrotipi dal progetto Mototintype curato da Paul D’Orléans e Susan McLaughlin.


Provare a far passare la narrazione di un popolo dal motociclismo può offrire comunque prospettive interessanti. In fondo, permetterebbe di esplorare tanti aspetti. Dal contesto economico e industriale, viste le case motociclistiche coinvolte, agli sforzi imprenditoriali, le dinamiche sindacali, per esempio. La realizzazione di sogni e di visioni. La possibilità di esprimere talenti in ambito ingegneristico, estetico e non solo. Il ruolo di questi mezzi a motore nella quotidianità delle persone: nel secondo dopoguerra, chi non aveva i soldi per un’auto si comprava, se poteva, una moto. Lì sopra ci sono nate relazioni, famiglie, amori.
Potresti spaziare dalla storia più intima a quella più vasta. Non potresti raccontare tutte le storie, attraverso le due ruote. Ma alcune, sì. (Zani 2021, app. 7.1.)
Spesso alla richiesta di spiegare le sensazioni derivanti dell’esperienza di guida, i motociclisti si rifugiano in espressioni del tipo: “se non lo hai mai provato, non te lo posso spiegare”, formule abbastanza sbrigative e che non sembrano lasciare spazio alla ricerca di particolari significati. È chiaro che un’esperienza fortemente sensoriale abbia una traduzione soprattutto emozionale e “intangibile”, ma è anche vero che nella cultura motociclistica gli scambi comunicativi, anche quando inconsapevoli, sono di usi e utili sia a livello individuale che collettivo. 4.9.
Nel 2012 lo slogan di Eicma (Salone Internazionale del Ciclo e Motociclo di Milano) recitava “se hai una moto, hai una storia da raccontare”. La tendenza alla narrazione sembrerebbe particolarmente di usa in tale cultura, basterebbe solo considerare quei testi che hanno reso le trame motociclistiche un vero e proprio genere. Ma quello che lo slogan di Eicma suggerisce sono soprattutto le storie comuni e popolari, di chi sceglie questo particolare modo di viaggiare. La moto in questo senso diventa uno “storytelling device”, un mezzo in grado di fornire stimoli a raccontare e raccontarsi. Se si pensa alla di usione del veicolo, alla sua storia e a quello che ha rappresentato, non si può fare a meno di pensare a quanti racconti possano emergere a moto spenta, una volta posato il casco. Ed è vero che se le moto – e tendenzialmente le storie di moto – interessano ai motociclisti e a qualche curioso, non si può negare che questo oggetto faccia parte del retroterra culturale di un popolo ben più ampio di quello “strettamente” motociclistico. Come a erma Zani:
150 IDENTITÀ IN MOTO UNA STORIA DA RACCONTARE
Se gli scambi di informazioni in un forum, inquadrati in una «economia del dono» (Rheingold in Jenkins et al. 2013: 67), possono essere interpretati come quelli più “utilitaristici”, d’altra parte tali contributi narrativi possono essere letti anche come delle azioni dirette a sostenere la comunità e il suo sapere. Attraverso le storie autentiche dei motociclisti, soprattutto, c’è la possibilità di scoprire le modalità in cui un’attività –sostanzialmente ricreativa – diventi un’opportunità per definire la propria identità e sommando molteplici identità per creare una cultura. Infine, se come visto nei precedenti capitoli, l’immagine del motociclista ha “so erto” – per così dire – di etichettature a volte forzatamente spettacolari, i nuovi spazi virtuali aperti alla narrazione dal basso, consentono di dare parola alle identità originali, per come si vogliono raccontare.
4. STRADE VIRTUALI: LE MOTO-COMMUNITY 151
Che siano un contest creativo, un forum o un’app dedicata ai motociclisti, tali progetti forniscono il proprio contributo al patrimonio della cultura a due ruote, ospitando o stimolando la produzione di narrazioni. In tal senso le dinamiche di community engagement risultano fondamentali per consentire l’apertura di spazi che possano permettere agli utenti di raccontare, ascoltare e dunque arricchirsi a vicenda. Tali dinamiche verranno approfondite nel capitolo successivo, attraverso l’analisi di alcuni casi studio, utili a comprendere i format e le modalità di coinvolgimento impiegate nel contesto specifico delle community motociclistiche. 4.10.
LA STRADA VIRTUALE La strada virtuale o re alla cultura motociclistica una deviazione alternativa: da lì parte un vasto itinerario in grado di non sottostare a limiti di spazio, tempo e benzina. Online i motociclisti hanno la possibilità di portare la propria esperienza in modo pioneristico o incoraggiati da piattaforme e contesti partecipativi. I già citati IJMS e The Vintagent rappresentano due esempi, ma nel tempo e in di erenti scenari sono sorti ulteriori progetti, spesso concepiti, sviluppati e interamente gestiti dal basso. Iniziative, che supportate dai media digitali sono in grado di costruire community o fornire agli utenti l’opportunità di essere coinvolti.
casiMoto-community:studio5.
casiMoto-community:studio 5.1.
155
FORMAT E CONTENUTO I nuovi media, fornendo strumenti e pratiche per l’interazione, diventano il teatro della produzione e della riscoperta di contenuti di valore per le comunità. Qui i motociclisti trovano non solo un valido spazio di espressione, ma anche un’opportunità per ritrovarsi attivamente coinvolti, chiamati a rispondere a richieste di conoscenza, di produzione, così come di creatività personale.
Giunti a questo punto della ricerca, dopo aver descritto la svolta online delle moto-communities, è opportuno andare ad analizzare quelle che sono le modalità di coinvolgimento nello spazio virtuale già presenti e più rilevanti, spesso messe in atto dai motociclisti per i motociclisti. La presentazione di alcuni casi studio significativi permette di far luce sia sulle pratiche che sui risultati di alcuni progetti che hanno coinvolto specificatamente le community di motociclisti. In tali aspetti risultano interessanti non solo le tipologie di contributi (che spesso ibridano l’aspetto analogico e quello virtuale) ma come tali contributi generati dagli utenti, possano essere letti come delle auto-narrazioni di comunità, in grado di incrementare un patrimonio culturale curato degli utenti stessi.
I capitoli precedenti hanno fornito una narrazione delle molteplici forme in cui la cultura motociclistica si rende manifesta ed esplorabile. Nella motocicletta, e nel suo utilizzo, è possibile individuare i vantaggi dell’attività ricreativa legati indubbiamente al piacere individuale, ma che con sguardo più esteso riguardano anche il coinvolgimento delle comunità nella produzione attiva di significati. Le due ruote divengono un veicolo per narrare la propria storia e ascoltare le storie di altri: i discorsi “sulla motocicletta” radunando numerose identità, ponendo le fondamenta per lo sviluppo di comunità e culture.
L’obiettivo che l’analisi dei seguenti casi studio si propone è quello di analizzare alcuni format che trovano nel coinvolgimento delle moto-community il proprio elemento chiave. Ciò permette di individuare le modalità più o meno e caci per coinvolgere i motociclisti in una produzione che si potrebbe definire di tipo culturale. Questo perché, come vedremo, negli obiettivi del progetto e nelle diverse tipologie di azioni partecipative richieste, il contributo degli utenti può essere letto in funzione di un arricchimento culturale per la propria cultura di riferimento.
156 IDENTITÀ IN MOTO
Che sia la condivisione di un particolare itinerario, di uno specifico lavoro di fai-da-te, piuttosto che mostrare la propria creazione “artistica”, le piccole partecipazioni di ogni appassionato sono in grado di alimentare, sostenere, ma anche di “inventare” la cultura motociclistica.
I sei casi studio presi in esame individuano di erenti modalità di coinvolgimento dell’utente il quale può produrre contributi di tipo economico come nel caso del finanziamento del restauro de I fidanzati della morte; creativo nel caso del contest Deus Bike Build O ; nonché interattivo, come in The Moto Social, Motoclub Ting’avert, Bikerface e Wrench, ovvero spazi di espressione personale dove è possibile interagire con altri utenti, postare contenuti personali e fornire informazioni utili alla community stessa.
LO SCHEMA DI ANALISI I casi studio presi in esame vengono inquadrati in uno schema di analisi (pagina a anco) che, se da un lato chiarisce gli aspetti particolari del singolo progetto, dall’altro favorisce il confronto con gli altri, utile a fare emergere pattern comuni e distinzioni significative. Ai fini dell’analisi e dell’intento di indagare le modalità e le finalità del coinvolgimento delle moto-community sono stati esclusi gli aspetti strettamente “visivi” del progetto di comunicazione (come font, palette, layout). Questo per due motivi: da un lato la relativa marginalità di tale dimensione all’interno di molti dei progetti trattati, 5.2.
La dimensione del progetto di comunicazione presente in tali progetti – nelle pratiche e nei contesti occupati – assume centralità, poiché in grado di supportare le community nella costruzione partecipativa di narrazioni significative per gli appassionati e per la cultura motociclistica stessa.
157


• progetto, ovvero il titolo dell’iniziativa e/o dell’artefatto.
• la mission, che coincide con l’obiettivo e il motivo che ha mosso l’iniziativa.
Struttura La prima sezione contribuisce a chiarire il contesto in cui si inserisce il progetto, fornendo le informazioni in grado specificarne le finalità e le caratteristiche di base. La sezione si articola nei seguenti parametri descrittivi:
• una breve descrizione in grado di definire brevemente di cosa si tratta.
• l’anno di lancio in cui ha preso il via il progetto.
• il curatore, l’individuo o il gruppo che ha promosso e sviluppato il progetto.
• il profilo del curatore, e dunque se si tratta di un’iniziativa grassroots, di un brand o di una start-up.
• la tecnologia alla base dello sviluppo del progetto.
• il format, ovvero la formula in cui il progetto si articola.
• gli eventi chiave e interesse nel tempo mostrati attraverso un grafico ad area: l’andamento delle ordinate rappresenta
158 IDENTITÀ IN MOTO
• il paese di origine del curatore e, per estensione, del progetto.
dall’altro la frequente mancanza di una progettazione visiva su cientemente strutturata da poter essere analizzata. Ad ogni modo, nelle sezioni descrittive dell’analisi non mancherà l’accenno a quei casi che si distinguono anche per una particolare cura anche del livello visivo. Lo schema di analisi è suddiviso in quattro aree: struttura, community, coinvolgimento e identità generata. Tali sezioni vengono ulteriormente approfondite attraverso diversi parametri in grado di definire gli aspetti rilevanti del progetto talvolta mediante il supporto di alcuni schemi grafici esplicativi.
l’evoluzione dell’interesse in relazione al tempo; il valore 100 indica il momento di maggior interesse. In questo modo è possibile identificare anche quali sono gli eventi chiave nella storia del progetto. Community Il progetto si sviluppa grazie alla stretta relazione con una community di riferimento, predisposta ad essere coinvolta e dunque a partecipare, o rendo il proprio contributo in termini di tempo, interesse e contenuti. Tale community viene definita attraverso i seguenti parametri:
• gli interessi della community, che in relazione ai casi studio presi in esame possono essere di cinque tipi: la narrazione motociclistica (sia la produzione che l’ascolto), il cinema (nell’accezione di genere, dunque i biker-movies), il networking (espandere la propria rete sociale), gli itinerari e il DIY (i due contenuti UGC motociclistici più di usi). Gli interessi vengono rappresentati da cinque icone (opacità 100 se presenti).
• i partecipanti (per nazione o regione) che testimonia l’attività dei partecipanti in base alla nazionalità (o regionalità nel caso in cui il progetto sia di uso solo in Italia). In questo modo emergono i centri in cui il progetto ha riscosso particolare interesse. Viene rappresentato da un istogramma che indica i primi tre valori più rilevanti, raccolti in relazione alla totalità o a un campione di partecipanti.
• la geografia della community, in grado di rappresentare la di usione geografica del progetto. Su una mappa globale vengono indicate le nazioni in cui il progetto è di uso (opacità 100 se presente).
5. MOTO-COMMUNITY: CASI STUDIO 159
• il totale dei partecipanti, ovvero il dato quantitativo di coloro che partecipano attivamente a sostegno del progetto (sostenitori, utenti iscritti, membri). Viene operato un confronto con un altro dato (quando disponibile) per meglio comprenderne l’entità.
• i canali di attrazione, ovvero quei media che sono stati utilizzati dal curatore del progetto per indurre il coinvolgimento, attraendo e formando una community di partecipanti. Lo schema radar ha una bipartizione che identifica i canali online (social media, video trailer, newsletter, landing page) e o ine (word-of-mouth, motoraduni, fiere di settore, riviste).
Centrale nell’analisi dei casi studio è il ruolo del coinvolgimento, che risulta quell’elemento trasversale in grado di rappresentare le diverse modalità in cui le community motociclistiche possono partecipare. Viene descritto dai seguenti parametri: • la risonanza social e cioè l’amplificazione del progetto negli spazi social, spesso in grado di superare i partecipanti attivi stessi. I dati, organizzati in un istogramma, rappresentano la risonanza rispetto allo spazio social più “ricettivo” in una scala da 0 (nessuna risonanza) a 100 (massima risonanza).
Coinvolgimento
• Il percorso partecipativo testimonia i passaggi chiave del coinvolgimento dell’utente nel progetto e viene articolato in tre fasi distinte. L’access gate è quel passaggio necessario che gli utenti devono compiere per poter contribuire attivamente al progetto (registrazione, following). L’azione partecipativa rappresenta la modalità di partecipazione dell’utente utile alle finalità del progetto (submission, posting, contributo economico, interazione, presenza fisica). Infine, la capitalizzazione, individua sia le risorse che l’utente ottiene come risultato della propria azione partecipativa (capitalizzazione individuale: ricompensa, riconoscimento, informazioni, nuove relazioni), sia le risorse ottenute a livello di community (capitalizzazione collettiva: archivio di sapere, creazione di una community, supporto alle attività locali, sostegno/alimentazione del patrimonio culturale) che, potenzialmente, vanno ad estendere la portata della mission del progetto.
160 IDENTITÀ IN MOTO
Gradimento rispetto a un contenuto terzo Risposta breve (testuale) rispetto a un contenuto terzo Condivisione personale di un contenuto terzo Produzione di un contenuto testuale rispetto a un tema specifico Produzione libera di un contenuto in forma testuale Produzione libera di un contenuto in forma visiva Identità generata Il coinvolgimento della community ha la potenzialità di generare una nuova identità che si manifesta sia nei risultati che nelle pratiche partecipative innescate dal progetto stesso. Le relazioni tra i membri risultano centrali nello sviluppo di interazioni e di narrazioni significative; grazie al progetto, gli utenti con i propri contenuti creano una community che a sua volta vive delle storie raccontate al suo interno. Se la comunità auto-narrandosi genera la propria identità, il progetto fornisce l’opportunità per compiere tale processo. Tale sezione, evidenzia la potenzialità del coinvolgimento: una nuova identità è quanto di più significativo possa generare l’azione di una community coinvolta, capace non solo di rappresentare i singoli membri, ma anche di fornire una nuova lettura della cultura motociclistica. L’identità generata viene “letta” attraverso i seguenti parametri: • espressione e rappresentazione, cioè le possibilità (gli strumenti) che il progetto o re agli utenti per potersi raccontare e il grado di rappresentazione della community che emerge. A una possibilità di espressione limitata, consegue gioco-forza una minor rappresentazione degli utenti. In relazione ai casi studio sono stati individuati sei strumenti d’espressione, dotati di un di erente grado di rappresentazione (R) in una scala che va dal valore più basso (1) al più alto (6). Il grado di rappresentazione generale della community (in rapporto percentuale) viene calcolato in base alla somma dei valori degli strumenti di espressione presenti. Di seguito:
5. MOTO-COMMUNITY: CASI STUDIO 161
Strumento Modalità di espressione R 621345ImmagineTestoQ&ACondividiCommentoLike(forum)
Conseguimento di un obiettivo progettuale fissato nel tempo
162 IDENTITÀ IN MOTO • connessione ed eco temporale, ovvero il tipo di relazione su cui si fonda la nuova identità generata e che fornisce uno stimolo a “rimanere coinvolti” nel tempo. La resistenza dell’identità nel tempo è infatti legata alla tipologia di connessione esistente tra i membri della community: può sfumare una volta raggiunto l’obiettivo posto dalla mission del progetto, così come estendersi nel tempo grazie a una community che, seppur nata virtualmente, si ritrova poi nello spazio reale. La community ibrida in tal senso manifesta la propria presenza sia nello spazio online che o ine, traendo i vantaggi di entrambi i contesti. Se la narrazione online permette di superare la limitazione delle distanze fisiche, l’incontro o ine consente di trovare quella componente a ettiva sensoriale necessaria all’attività motociclistica. In relazione ai casi studio sono state individuati tre tipi di connessione, dotati di un di erente eco temporale (E) in una scala che va dal più limitato nel tempo (1) al più esteso (3). L’eco temporale generale della community (in rapporto percentuale) viene calcolato in base alla somma dei valori dei valori delle tipologie di connessione presenti. Di seguito: diTipologiaconnessione Modalità espressionedi E 213ibridaCommunityvirtualeCommunitydiCommunitysostenitori
Connessione tra utenti sviluppata unicamente online (presenza Connessionevirtuale)trautenti sviluppata sia online che o ine (presenza virtuale e fisica)
Rodaggio Film ha impiegato due anni per scovare e disseppellire il film dagli archivi. Delle bobine originali rimanevano solo due copie: una copia positiva d’epoca, molto rovinata posseduta dalla Cineteca di Bologna e il negativo originale (il cui 20% era andato bruciato). A sessant’anni di distanza dall’uscita originale, l’interesse ancora vivo e di uso per il film convinse Rodaggio Film a occuparsi del restauro.
Il primo trailer di uso su Youtube nel dicembre del 2016 raggiunse in pochi giorni migliaia di visualizzazioni, scatenando gli appassionati di motociclismo di tutto il mondo e in particolare dei marchi Moto Guzzi e Gilera, ampiamente
5. MOTO-COMMUNITY: CASI STUDIO 165
FIG. 66 Logo Rodaggio Film.
Nei 2015, Rodaggio Film si è impegnata nell’ambizioso progetto di riportare alla luce I fidanzati della morte, un film scritto e diretto da Romolo Marcellini, girato nel 1957 e rimasto nell’oblio per più di sessant’anni, divenendo col tempo una sorta di leggenda nella filmografia legata al mondo dei motori. Sullo sfondo di una fiction fatta di amore, rivalità e passioni, viene celebrato lo sport motociclistico italiano degli anni ‘50. Nel montaggio, infatti, vennero usati alcuni filmati a colori autentici e rari del Motomondiale a Monza, dell’ultima edizione della Milano-Taranto e di altre competizioni di quegli anni. Oltre ad alcuni dei marchi più prestigiosi, su tutti Moto Guzzi e Gilera, sono anche presenti i veri piloti dell’epoca come Geo Duke, Libero Liberati o Dickie Dale.
Prodotto originariamente dalla Sirio Film di Roma, il lungometraggio italiano venne girato in Cinemascope, a colori, con un cast e una distribuzione internazionale: caratteristiche decisamente rare. In tal senso il film rappresenta un documento unico nel suo genere, preziosa testimonianza del motociclismo oltre che della cinematografia italiana. I fidanzati della morte per l’epoca fu un mini-colossal che però non trovò fortuna. Se ne persero le tracce, fino a che Rodaggio Film tornò ad interessarsene, cercandolo e cogliendo una curiosità ancora viva per la pellicola ormai considerata un miraggio.
Caso studio 1: I fidanzati della morte

FIG. 67 Gilera e Moto Guzzi nel film I fidanzati della morte, restauro (2017). FIG. 68 Maglietta con illustrazione riservata ai finanziatori del restauro del film. 166 presenti nel film. Per finanziare il progetto di restauro e le operazioni di digitalizzazione, Rodaggio Film ha avviato il 9 marzo 2017 una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Kickstarter che in pochi mesi ha raccolto il sostegno di centinaia di donatori da ventidue paesi raggiungendo l’obiettivo economico prefissato. Ai finanziatori del progetto oltre alla copia del film vennero o erti vari gadget come magliette e stampe, oltre che alla citazione come sostenitore nei titoli di coda della pellicola.Ilprogetto venne promosso, oltre che tramite le pagine social della casa di produzione, anche da diverse testate di settore, dalla Federmoto e da numerosi motoclub di ogni parte del mondo; senza contare l’endorsement di personalità come Paul D’Orléans (The Vintagent), Giacomo Agostini e Melissa H. Pierson. Una vera mobilitazione generale nel mondo delle due ruote che ha consentito di raggiungere l’obiettivo: in quattro mesi tramite la piattaforma sono stati raccolti più di 20mila euro. Il restauro è stato completato presso il laboratorio “L’Immagine Ritrovata” della Cineteca di Bologna e si è concluso con successo il 28 giugno del 2017 con la prima italiana della nuova versione digitale al Cinema Lumière di Bologna. Dal luglio successivo il film è tornato disponibile per tutti in versione rimasterizzata, sottotitolato e con contenuti aggiuntivi, acquistabile sia in versione streaming on demand su Vimeo, sia nel cofanetto da collezione.


FIG. 69 Manifesto della versione restaurata del film I fidanzati della morte (2017). 167

168 IDENTITÀ IN MOTO Progetto STRUTTURA Grazie al progetto, il film ha trovato un nuovo interesse dopo 60 anni. Anno di lancio interesseEventiPaeseProfiloCuratoreTecnologiaBreveFormatMissiondescrizionecuratorechiaveeneltempo Restauro de “I fidanzati della morte” 2017 Recupero di un artefatto di valore CasaRodaggioKickstarterCrowdfundingFilmdidistribuzione cinematograficaRaccoltaItalia fondi per il restauro e la distribuzione del film motociclistico “I fidanzati della morte” (1957) 10050 1957 2016 2017 2018 Prima6.02.1957:delfilm originale Trailer8.12.2016:restauro7.03–6.05.2017:Crowdfunding28.06.2017:Primadelfilm restaurato
5.3. CASO STUDIO 1: I FIDANZATI DELLA MORTE 169 COMMUNITY Geografia partecipantiTotale(perPartecipanticommunitydellanazione)dei Media dei sostenitori su Kickstarter per progetti italiani, di cinema e finanziati con successo (aggiornata al 2021). Le prime tre nazioni per numero di sostenitori. (Fonte: Kickstarter) Italia, Stati Uniti, Gran Bretagna, (Fonte:progetto.allacontribuitoSostenitoriFinlandia.Spagna,Germania,Australia,Francia,Svizzera,chehannoattivamenterealizzazionedelKickstarter) Italia (118) Stati Uniti (107) Gran Bretagna (41) 372 111 Interessi communitydella Narrazione Cinema Networking Itinerari DIY
170 IDENTITÀ IN MOTO Risonanza social Canali di attrazione partecipativoPercorso YouTube: 32.362 views Facebook: 4.100 seguaci Instagram: 1.400 seguaci Twitter: 837 seguaci Il progetto ha stampasocial)sulleuncoinvolgimentoprodottotramitevideotrailer(apparsopropriepagineel’interessedelladisettore. Access gate Azione partecipativa Capitalizzazione VideoNewslettertrailerLanding page Word-of-mouthFierediMotoradunisettore Riviste Social media IndividualeCollettiva Registrazione Contributo economico PatrimonioRiconoscimentoculturaleRicompensa COINVOLGIMENTO 50 100 Online O ine
Tipologia di connessioneLegenda: Eco temporale della community dato dalla somma dei valori delle tipologie di connessione presenti (0-100%) Eco temporale della tipologia di ConnessioneConnessioneconnessionepresenteassente 213 A
Il tipo di connessione generata è quella dei Sostenitori, in particolare una fandom di finanziatori del film. L’eco temporale è dunque limitato e relativo alla durata e al completamento del progetto stesso. L’espressione personale dispone di strumenti limitati, il valore di rappresentazione della community risulta dunque basso. Community virtuale
5.3. CASO STUDIO 1: I FIDANZATI DELLA MORTE 171 IDENTITÀ GENERATA
Espressione ecoConnessionerappresentazioneeedtemporale
Communityibrida Sostenitori
Immagine Like Commento CondividiQ&A eTsto Legenda: Grado di rappresentazione della community dato dalla somma dei valori degli strumenti di espressione presenti (0-100%) Strumento di espressione Grado di rappresentazione dello strumento di espressione Strumento presente Strumento assente 142536 A
The Moto Social (TMS) nasce nel maggio 2013 da un’idea di Samantha e Viktor Radics, una giovane coppia canadese appassionata di moto. I due si accorsero di come i tradizionali raduni motociclistici della loro città – Toronto – non fossero particolarmente attrattivi e inclusivi, decisero quindi di soddisfare l’esigenza sociale creandone uno tutto loro. Prese così il via The Moto Social che da raduno settimanale di pochi amici, è divenuto un format a due ruote di uso in 21 città del mondo, capace di radunare più 20mila persone in più di cento eventi. Non abbiamo creato The Moto Social perché diventasse globale, ma rendendoci conto dall’incredibile risposta che stavamo ricevendo ai nostri eventi mensili qui a Toronto, abbiamo pensato dovessimo esplorare la possibilità di iniziare a ospitare i nostri eventi aperti e inclusivi anche in altre città. (Radics 2021, app. 7.3.)
In base agli obiettivi e alla struttura del progetto, Viktor definisce The Moto Social come una «community building organization» (Radics 2020) pensata per favorire nuove relazioni tra le persone e costruire comunità. Da una prima formula che prevedeva il ritrovo settimanale nei pressi di un locale di Toronto, nelle successive edizioni The Moto Social ha elaborato un nuovo assetto riscontrando particolare successo e un aumento dei partecipanti. Il raduno è divenuto mensile (il primo mercoledì del mese) e itinerante: TMS non ha una sede fissa ma si sposta nei vari quartieri della città, radunandosi ogni volta vicino a un diverso ca è. In questo modo oltre a sostenere l’economia locale, c’è la possibilità di conoscere nuovi luoghi e farsi conoscere, incontrando sempre nuovi appassionati.
Caso studio 2: The Moto Social
Lo spazio urbano risulta dunque fondamentale: da un lato impone la spontaneità dell’incontro tra i membri della comunità (il parcheggiare dove si trova posto consente di generare incontri imprevisti tra moto e motociclisti diversi) e dall’altro permette di veicolare la nuova immagine dei
FIG. 70 Monogramma di The Moto Social 5. MOTO-COMMUNITY: CASI STUDIO 173

La natura di usa del progetto, come accennato, in breve tempo ha superato anche i confini nazionali. I vari distaccamenti TMS in giro per il mondo sono guidati da team di una sessantina di persone, coinvolti direttamente da Sam e Viktor e valutati in base alla volontà di produrre valore per le proprie comunità motociclistiche. Il progetto potrebbe definirsi come una community di comunità locali, un’identità globale ma applicata localmente. In tal senso, le nuove tecnologie hanno o erto agli organizzatori un modo per mantenere e produrre connessioni virtuali e sviluppare le interazioni con la propria community necessarie allo svolgimento delle proprie attività. Attraverso un sito web, le pagine social e una newsletter è infatti possibile rimanere aggiornati sul calendario degli eventi e partecipare alla narrazione della community The Moto Social.
The Moto Social: Felpa (Fig. 1) e il Buddy Brew (Fig. 2).
Di particolare importanza è lo storytelling visivo in grado di portare una e cace rappresentazione dei membri della community. Come a erma Viktor: La maggior parte dei membri del nostro team ha sentito parlare di noi tramite i social media e se non raccontassimo la nostra storia e condividessimo il nostro lavoro tramite foto e video online, avrebbero avuto molte più difficoltà ad entusiasmarsi per ciò che è The Moto Social. E lo stesso vale per la comunità. (Radics 2021, app. 7.3.)
FIG. 71 FIG. 72 Declinazioni della brand identity
IDENTITÀ IN MOTO motociclisti “friendly” proposta da TMS. L’invito a partecipare all’evento, infatti, non riguarda una specifica tipologia di moto ed è esteso anche a chi non possiede una moto e in definitiva a tutti gli abitanti del quartiere. Un approccio volto a mostrare il motociclismo come un’attività positiva, aperta e non esclusiva, in cui ognuno può sentirsi coinvolto senza distinzioni di genere.
174
The Moto Social è inoltre dotato di una propria distintiva brand identity tradotta anche in un merchandising in grado ra orzare la dimensione identitaria e il senso di appartenenza della community. Interessante è ad esempio il “Buddy Brew”, un ca è in grani a marchio TMS nato dalla collaborazione con i roaster indipendenti di Toronto e pensato per supportare entrambe le realtà attraverso i proventi della vendita.


FIG. 74 Elementi visual TMS. FIG. 73 175


176 IDENTITÀ IN MOTO Progetto STRUTTURA Il progetto ha ottenuto un interesse crescente nel tempo globalmente.diffondendosi Anno di lancio interesseEventiPaeseProfiloCuratoreTecnologiaBreveFormatMissiondescrizionecuratorechiaveeneltempo The Moto Social 2013 «Building community & connecting people» Social community ed evento Social media (Facebook ed Instagram) Viktor e Samantha Radics Iniziativa grassroot Canada Community building organization che propone motoraduni mensili in diverse città del mondo 10050 2013 2015 2016 20182014 2017 2019 TMSIl22.05.2013:primoeventoaToronto TMS si estende ad altre città canadesiCape Town e Auckland Europa New SanChicagoYork,eFrancisco
5.4. CASO STUDIO 2: THE MOTO SOCIAL 177 COMMUNITY Geografia partecipantiTotale(perPartecipanticommunitydellacittà)dei 25 persone: la media di partecipanti ai raduni nel 2013, il primo anno di attività. Le prime tre città con più partecipanti in base ai tag MotoquartamotoradunideiNumeroUngheria,Zelanda,GranBelgio,(Fonte:#themotosocialInstagram).Canada,Germania,Bretagna,NuovaSudafrica,Usa.mediopartecipantiaidurantelastagionediTheSocial(2016). Toronto (3422) Ottawa (785) Cape Town (529) 500 Interessi communitydella Narrazione Cinema Networking Itinerari DIY
178 IDENTITÀ IN MOTO Risonanza social Canali di attrazione partecipativoPercorso YouTube: 630 views Facebook: 8.600 seguaci Instagram: 14.000 seguaci Twitter: –Il progetto ha deiattraversolandingunalecoinvolgimentoprodottotramitepropriepaginesocial,newslettereunapage,nonchélosvolgimentopropriraduni. Access gate Azione partecipativa Capitalizzazione VideoNewslettertrailerLanding page Word-of-mouthFierediMotoradunisettore Riviste Social media IndividualeCollettiva Following PresenzaInterazionefisica Sostegno attività localiNuoveCommunityrelazioni COINVOLGIMENTO 50 100 Online O ine
Communityibrida Sostenitori
5.4. CASO STUDIO 2: THE MOTO SOCIAL 179 IDENTITÀ GENERATA
Tipologia di connessioneLegenda: Eco temporale della community dato dalla somma dei valori delle tipologie di connessione presenti (0-100%) Eco temporale della tipologia di ConnessioneConnessioneconnessionepresenteassente 213 A
Immagine Like Commento CondividiQ&A eTsto
L’espressione personale dispone di diversi strumenti, il valore di rappresentazione della community risulta dunque medio-alto. Il tipo di connessione è quello di una community virtuale con modalità di incontro reale. L’eco temporale è dunque ampio, considerando la possibilità di instaurare legami sociali reali e duraturi.
Community virtuale
Espressione rappresentazionee Legenda: Grado di rappresentazione della community dato dalla somma dei valori degli strumenti di espressione presenti (0-100%) Strumento di espressione Grado di rappresentazione dello strumento di espressione Strumento presente Strumento assente 142536 A
Connessione ed eco temporale
FIG. 75 Logo (stemma) Motoclub Ting’avert.
5. MOTO-COMMUNITY: CASI STUDIO 181
Motoclub Ting’avert è un forum che da diversi anni costituisce un importante punto di riferimento per la comunità motociclistica italiana. Nato u cialmente come estensione online del motoclub locale di Casina, un piccolo paese in provincia di Reggio Emilia, il forum viene sviluppato nel 2003 dall’ingegnere elettronico Davide Vignali: Tutto nacque dalla passione della moto, che ha generato il Ting’avert, che ha generato lo sviluppatore Davide Vignali. Qualcuno può pensare che la passione per la moto sia inutile e pericolosa, che sia tempo perso. Nel mio caso, la passione per le moto ha determinato anche la mia professione, benché l’informatica con le moto abbia poco a che fare. (Davide Vignali, conversazione con l’autore, 4 marzo 2021) Vignali si occupò sia della struttura del forum, sia dei primi contenuti. Ben presto aumentò la quantità di articoli scritti, vennero diversificate le sezioni e incrementato lo spazio web. I numeri delle visite cambiarono rapidamente, raggiungendo oggi i quasi 320mila iscritti, con picchi di oltre un milione e mezzo di visitatori unici mensili e quasi 10 milioni di messaggi scambiati in circa 530.000 topic. La partecipazione degli utenti risulta fondamentale non solo nella produzione di contenuti ma anche nella loro gestione; da qui la necessità di formare una squadra di moderatori, trovati direttamente tra gli utenti più a dabili.
Caso studio 3: Motoclub Ting’avert
Gli argomenti del forum spaziano tra i molteplici aspetti del motociclismo; le aree tematiche principali riguardano: informazioni sui motoraduni, eventi e viaggi; domande di natura tecnica su moto e accessori; discussioni su sicurezza e normative; “mercatino” e proposte di natura commerciale. Uno strumento capace di attirare anche alcune aziende del settore che lo hanno utilizzato come spazio “alternativo” di dialogo con i propri consumatori. I membri del forum attivi dimostrano un costante impegno e una fidelizzazione in grado di favorire gli interessi della community. Il forum non solo fornisce la possibilità sviluppare azioni collettive (dalla creazione di

182 IDENTITÀ IN MOTO gruppi d’acquisto all’organizzazione di eventi), ma testimonia anche una modalità di produzione di conoscenza peer-to-peer, dal rispondere a un quesito di natura tecnica al raccontare la propria esperienza in termini di sicurezza stradale. In tali aspetti il forum amplifica il proprio significato progettuale, o rendosi come spazio in cui accedere (e contribuire) a una parte consistente del patrimonio motociclistico italiano. I discorsi, in prevalenza testuali, prodotti dalle interazioni tra gli utenti, divengono l’auto-narrazione di una community in grado di trovare nell’ambiente virtuale un’estensione e uno stimolo all’esperienza fisica. Non mancano infatti gli incontri fisici tra gli iscritti, come testimoniano gli attesi moto-raduni nazionali. Come a erma Vignali: L’utente in genere ha voglia di interagire, di mettersi in gioco e di approfittare delle occasioni per uscire in moto in compagnia. L’attiva partecipazione degli iscritti è il cuore del Ting’avert stesso: senza questi contributi, il forum sarebbe stato inutile. Negli anni sono sorte tante dinamiche, belle e brutte. Preferisco parlare delle belle, cioè aver visto nascere coppie conosciutesi sul forum, che poi sono diventate una famiglia. (Davide Vignali, conversazione con l’autore, 4 marzo 2021)
Motoclub Ting’avert – espressione dialettale emiliana che significa “tieni aperto il gas” – dispone della propria sede virtuale, ma anche di alcune sezioni territoriali sorte spontaneamente in diverse regioni italiane; l’iscrizione è gratuita e non prevede tesseramenti. Il forum è ormai attivo da quasi vent’anni, nel tempo sono sorti nuovi strumenti e piattaforme in grado di intercettare le più diverse community, eppure la creazione artigianale di Vignali resiste e conserva ancora ampio seguito:
L’approccio aperto e inclusivo, oltre che la credibilità assunta nel tempo, ha consentito al Tinga di diventare la più grande community di motociclisti italiani.
Effettivamente ormai il grande aspetto che animava il forum, cioè fare community, si è spostato sui social; questo è un peccato, ma è la naturale evoluzione delle cose. Il fatto che il forum resista è perché è uno strumento migliore dei social per documentarsi tecnicamente, puoi leggere tanti pareri diversi e farti una cultura su ogni argomento. (Davide Vignali, conversazione con l’autore, 4 marzo 2021)
FIG. 76 Homepage forum Motoclub Ting’avert 183

184 IDENTITÀ IN MOTO Progetto STRUTTURA Il forum è longevo e ha trovato il maggior interesse nella prima parte di vita. Anno di lancio interesseEventiPaeseProfiloCuratoreTecnologiaBreveFormatMissiondescrizionecuratorechiaveeneltempo Motoclub Ting’avert 2003 Lo spazio d’incontro online per motociclisti DavidePHPForum Vignali (Motoclub Casina) Iniziativa grassrootForumItalia per appassionati di moto articolato in diverse sezioni tematiche 10050 2004 2009 2014 2019 Ting’avertNasce30.07.2003ilMotoclub utenti300.000iscritti nazionalePrimo26.03.2006raduno
5.5. CASO STUDIO 3: MOTOCLUB TING’AVERT 185 COMMUNITY Geografia partecipantiTotale(perPartecipanticommunitydellaregione)dei 27.000: gli utenti iscritti al forum della rivista DueRuote, tra i principali “competitor” Le prime tre regioni per frequenza di ricerca del forum dal 2003 ad oggi (Fonte: Google Trends). Italia (ed expat). Numero degli utenti iscritti al forum Ting’avert aggiornato al 2021. Veneto Lombardia(100)(86 Emilia-Romagna) (65) 320k Interessi communitydella Narrazione Cinema Networking Itinerari DIY
Risonanza social Canali di attrazione partecipativoPercorso YouTube: Facebook:–2.600 seguaci Instagram: –Twitter: Motoclub– Ting’avert dispone della sola pagina Facebook. Il progetto ha coinvolgimentoprodottotramite il passaparola, l’interesse della stampa di settore e l’organizzazione di motoraduni. Una pagina Facebook viene usata per promuovere l’attività del forum. COINVOLGIMENTO
186 IDENTITÀ IN MOTO
50 100 Registrazione Online O ine
Access gate Azione partecipativa Capitalizzazione VideoNewslettertrailerLanding page Word-of-mouthFierediMotoradunisettore Riviste Social media IndividualeCollettiva PresenzaInterazionefisica ArchivioCommunitydisapereNuoverelazioniRiconoscimentoInformazioni
Il tipo di connessione è quello di una community virtuale con modalità di incontro reale. L’eco temporale è dunque ampio, considerando la possibilità di instaurare legami sociali reali e duraturi. L’espressione personale dispone di strumenti legati alla struttura del forum, il valore di rappresentazione della community risulta dunque medio-basso.
5.5. CASO STUDIO 3: MOTOCLUB TING’AVERT 187 IDENTITÀ GENERATA
Tipologia di connessioneLegenda: Eco temporale della community dato dalla somma dei valori delle tipologie di connessione presenti (0-100%) Eco temporale della tipologia di ConnessioneConnessioneconnessionepresenteassente 213 A Legenda: Grado di rappresentazione della community dato dalla somma dei valori degli strumenti di espressione presenti (0-100%) Strumento di espressione Grado di rappresentazione dello strumento di espressione Strumento presente Strumento assente 142536 A
Communityibrida Sostenitori
Community virtuale
Immagine Like Commento CondividiQ&A eTsto
Espressione ecoConnessionerappresentazioneeedtemporale
FIG. 77 Logo Deus Ex Machina 5. MOTO-COMMUNITY: CASI STUDIO 189
Caso studio 4: Deus Bike Build O
Deus ha elaborato una piattaforma online per gestire le varie fasi del concorso, dal processo di submission (da gennaio a luglio 2019) alla successiva elezione del vincitore e la catalogazione delle moto presentate. Il progetto è stato supportato da importanti brand del motorsport come Yamaha, Metzeler e Acerbis. Per partecipare ai builder vengono richieste
Deus Bike Build O è un contest ideato nel 2010 direttamente legato alla visione dei due fondatori del brand Dare Jennings e Carby Tuckwell: un concorso che potesse premiare chi crea qualcosa di divertente ed originale senza spendere troppi soldi. Come a erma Jennings: Volevamo qualcosa in cui poter convogliare la passione e l’entusiasmo delle persone. Perciò ci siamo concentrati su coloro che potessero creare qualcosa di divertente e originale, senza dover necessariamente spendere un sacco di soldi, ma usando ingenuità e creatività. Devo ammettere che da quando abbiamo iniziato ho visto alcune cose straordinarie, che mi hanno spezzato, i vincitori hanno mostrato un incredibile senso dell’umorismo e creatività (Jennings 2019) Inizialmente concepito in modo fisico come un evento organizzato e limitato ai vari Deus Temple (gli store del brand dislocati in giro per il mondo), l’edizione 2019 è stata “spostata” online divenendo un concorso globale, in grado di coinvolgere molte più persone, con partecipanti da oltre 35 paesi e più di 200 entries. Obiettivo dei builder resta quello di costruire una moto custom originale senza vincoli alla creatività o alla tipologia di veicolo. Creati in modo amatoriale e con pezzi recuperati setacciando retrobottega, i progetti sono poi stati valutati da una squadra di 11 giudici provenienti dai diversi campi della cultura motociclistica, in grado di selezionare l’artefatto che meglio incarnasse l’approccio “the most with the least”. Al vincitore – l’americano Aaron Laniosz – è stato destinato un viaggio per due persone verso uno dei Deus Temple a scelta.

FIG. 78 Banner promozionale Deus Bike Build Off (2019) 190 IDENTITÀ IN MOTO
alcune fotografie del proprio veicolo auto-prodotto e un testo che ne racconti la storia progettuale.
Oltre alle pagine social attraverso cui restare aggiornati sull’andamento del progetto, nei diversi Deus Temple sono stati organizzati alcuni eventi in presenza per promuovere l’iniziativa e radunare alcuni dei creatori locali o rendo loro la possibilità di iscrivere la moto al contest, usufruendo di uno shooting dedicato e raccontando la propria storia.
Deus Bike Build O rappresenta una continuità con l’approccio di Deus nel proporsi come lifestyle brand e nel coinvolgere coloro che hanno adottato tale stile di vita. In questo caso, i builder con le proprie creazioni non solo propongono le proprie storie, ma partecipano alla narrazione e alla costruzione dell’identità del brand stesso. Al di là del risultato (e del premio) il contest fornisce un’opportunità creativa per coloro i quali vogliono impegnarsi, ma diviene anche una chiara testimonianza di come poter costruire una community legata da una passione comune, supportata da un brand.

FIG. 80 Pagine della piattaforma Deus Bike Buld Off FIG. 79 191


192 IDENTITÀ IN MOTO Progetto STRUTTURA Il concorso ha cadenza annuale e ha ottenuto maggior interesse con la svolta virtuale. Anno di lancio interesseEventiPaeseProfiloCuratoreTecnologiaBreveFormatMissiondescrizionecuratorechiaveeneltempo Deus Bike Build O (edizione 2019) 2010 «The most with the least» Contest ContestAustraliaBrandDeusPiattaformacreativowebExMachinamultisettorialevirtualeglobale di creazione di motociclette artigianali, costruite spendendo il meno possibile 10050 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 Prima edizione del Deus BBO a Sidney cancellataEdizione Prima delle edizioni globali fisiche tenute nei Deus Temple Deus BBO diventa un contest globale e virtuale
5.6. CASO STUDIO 4: DEUS BIKE BUILD OFF 193 COMMUNITY Geografia partecipantiTotale(perPartecipanticommunitydellanazione)dei Le moto iscritte alla prima edizione del contest di Sidney nell’estate del 2010. Le prime tre nazioni per numero di partecipanti. Argentina, Australia, Bali, Belgio, Brasile, Canada, Cile, Filippine, Finlandia, Francia, contestedizioneLeTaiwan,Sudafrica,Slovenia,Russia,NuovaItalia,Grecia,Giappone,Germania,GranBretagna,India,Indonesia,Marocco,Messico,Zelanda,Olanda,Serbia,Slovacchia,Spagna,Svizzera,Thailandia,Usa.motoiscritteall’ultimavirtualedelnel2019. Usa Giappone(39) (35) Australia (22) 200 Interessi communitydella Narrazione Cinema Networking Itinerari DIY 35
194 IDENTITÀ IN MOTO Risonanza social Canali di attrazione partecipativoPercorso YouTube: 10.000 views Facebook: –Instagram: 3.000 seguaci Twitter: –Deus BBO dispone di soli due spazi social Ildedicati.progetto ha unal’interessepagenewsletterpaginaDeussulleuncoinvolgimentoprodottotramitevideotrailer(apparsopaginesocialdiExMachina),unaInstagram,unaeunalandingdedicata,nonchédellastampaeseriedieventi. Access gate Azione partecipativa Capitalizzazione VideoNewslettertrailerLanding page Word-of-mouthFierediMotoradunisettore Riviste Social media IndividualeCollettiva Submission (Brand) PatrimonioCommunityculturaleRiconoscimentoRicompensa COINVOLGIMENTO 50 100 Registrazione Online O ine
Tipologia di connessioneLegenda:
5.6. CASO STUDIO 4: DEUS BIKE BUILD OFF 195 IDENTITÀ GENERATA
Espressione ecoConnessionerappresentazioneeedtemporale
L’espressione personale dispone di molteplici strumenti, il valore di rappresentazione della community risulta dunque alto. Il tipo di connessione generata è quella dei Sostenitori, in particolare partecipanti al contest. L’eco temporale è dunque limitato e relativo alla durata del progetto stesso. Community virtuale
Communityibrida Sostenitori Immagine Like Commento CondividiQ&A eTsto
Eco temporale della community dato dalla somma dei valori delle tipologie di connessione presenti (0-100%) Eco temporale della tipologia di ConnessioneConnessioneconnessionepresenteassente 213 A Legenda: Grado di rappresentazione della community dato dalla somma dei valori degli strumenti di espressione presenti (0-100%) Strumento di espressione Grado di rappresentazione dello strumento di espressione Strumento presente Strumento assente 142536 A
Bikerface è un’app interattiva e gratuita nata dal desiderio di rispondere ai bisogni più comuni dei motociclisti. Per farlo, un team di giovani imprenditori appassionati di moto ha realizzato quella che si prefigge di essere “l’app più completa per motociclisti”.Disponibiledall’estate
Caso studio 5: Bikerface
• Creare il proprio profilo “Biker” fornendo informazioni su di sé (ad esempio, stile di guida e accessori in dotazione) e sulle moto presenti nel proprio “Garage”.
• Postare contenuti multimediali (immagini, testi e link).
• Interagire con la community seguendo i profili di altri appassionati, commentando, condividendo e mettendo mi piace ai contenuti. È disponibile anche uno spazio per instant messaging.
FIG. 81 Logo Bikerface 5. MOTO-COMMUNITY: CASI STUDIO 197
2019 sia per dispositivi iOS che Android, l’app è stata presentata ad Eicma 2019, a ermandosi come una delle tendenze del Salone (cfr. Gentili 2019). Seppur ancora in fase di sviluppo (versione corrente 1.8.1) e non del tutto ottimizzata, l’app stima più di 50mila motociclisti italiani iscritti. Negli obiettivi dei creatori: «Lo scopo di Bikerface è quello di o rire un modo semplice e dinamico per tenere in contatto i biker di tutto il mondo, condividere le proprie passioni e itinerari, scambiarsi informazioni ed indicazioni utili, fare nuove conoscenze per vivere al 100% questa passione» (Moto.it 2019). Se nella sua concezione e nella sua struttura è comparabile ad altre app di social networking – un ibrido tra Facebook e Instagram – Bikerface è dotata di numerose funzionalità pensate specificatamente in relazione alle esigenze del pubblico di utenti motociclisti. L’app si caratterizza in particolare per le seguenti funzionalità:

• Organizzare e promuovere eventi, raduni e viaggi.
• Pianificare itinerari e ricercare tra quelli condivisi dagli utenti, filtrandoli in base a chilometri e durata. È inoltre possibile avviare e gestire la navigazione GPS attraverso la connessione alle mappe dello smartphone.
Formare gruppi e club di interazione virtuale in base alla prossimità geografica, alla categoria o alla marca di moto.
198 IDENTITÀ IN MOTO
•
Le relazioni sociali prodotte al suo interno consentono di individuare un’identità collettiva legata sia da una medesima passione che, più specificatamente, dall’iscrizione a Bikerface. È interessante notare come questo aspetto possa favorire lo sviluppo di azioni “di gruppo”. Ad esempio, ad aprile 2020, in relazione alle restrizioni per il contenimento della pandemia Covid-19, la community Bikerface ha organizzato una petizione (con quasi 20mila firme raccolte) a nché il Governo italiano autorizzasse lo svolgimento dell’attività motociclistica sportiva e turistica nella fase 2 dell’emergenza. Questo a dimostrazione delle potenzialità che un tale strumento può assumere, con risultati che talvolta prescindono dagli scopi originari del progetto stesso.
Anche se riprende la struttura di un social “tradizionale” il livello di interazione risulta meno completo: è possibile mettere like, ma non rispondere ai commenti, taggare altri utenti o postare stories. Ad ogni modo, l’app consente soprattutto di scremare il target online a seconda del proprio interesse. Bikerface consente l’interazione tra diverse identità motociclistiche, lasciando spazio all’iniziativa dei singoli utenti nella tipologia di narrazioni prodotte. L’app o re uno spazio dedicato esclusivamente ai motociclisti, i quali vengono invitati a partecipare, formando una community virtuale.
FIG. 82 Selezione di schermate della mobile app Bikerface Community (homepage) Post ItinerariSidebar (ricerca) Profilo personale Gruppi (ricerca) 5.7. CASO STUDIO 5: BIKERFACE 199






200 IDENTITÀ IN MOTO Progetto STRUTTURA L’app, lanciata nell’estate 2019 è ancora in fase di sviluppo. Anno di lancio interesseEventiPaeseProfiloCuratoreTecnologiaBreveFormatMissiondescrizionecuratorechiaveeneltempo Bikerface 2019 «L’app più completa per motociclisti» Social network App (iOS e Android) Bikerface LTDSocialItaliaStart-upapp multifunzione pensata per soddisfare le esigenze dei motociclisti italiani 10050 2018 2019 aPartecipazione2020Eicma2019Lancio dell’app su Play Store e App Store Petizione Bikerface durante la fase 2 dell’emergenza Covid-19
5.7. CASO STUDIO 5: BIKERFACE 201 COMMUNITY Geografia partecipantiTotale(perPartecipanticommunitydellaregione)dei 3,8: Valutazione dell’app su un totale di 202 recensioni (Play Store) Le prime tre regioni per iscritti alla piattaforma (su un campione di 460L’appItalia.profili).Bikerface ha raggiunto più di 50mila utenti iscritti nel 2020. Lombardia (115) Lazio (55 Emilia-Romagna) (41) 50k Interessi communitydella Narrazione Cinema Networking Itinerari DIY
202 IDENTITÀ IN MOTO Risonanza social Canali di attrazione partecipativoPercorso YouTube: Facebook:–1.300 seguaci Instagram: 700 seguaci Twitter: –Il progetto ha onlinedallastampadall’interesselamotoraduni,Eicmalacoinvolgimentoprodottoattraversopartecipazionea2019ediversinonchécoperturadatasiadelladisettorechepropriapresenzaesocial. Access gate Azione partecipativa Capitalizzazione VideoNewslettertrailerLanding page Word-of-mouthFierediMotoradunisettore Riviste Social media IndividualeCollettiva RiconoscimentoNuoveCommunityrelazioni COINVOLGIMENTO 50 100 Registrazione InterazionePosting Online O ine
Immagine Like Commento CondividiQ&A eTsto
Tipologia di connessioneLegenda:
5.7. CASO STUDIO 5: BIKERFACE 203 IDENTITÀ GENERATA
Communityibrida Sostenitori La social app multifunzione offre ampi strumenti di espressione personale, il valore di rappresentazione della community risulta dunque alto.
Il tipo di connessione è quello di una community virtuale con opportunità di incontro reale. L’eco temporale è dunque ampio, considerando la possibilità di instaurare legami sociali reali e duraturi.
Community virtuale
Espressione ecoConnessionerappresentazioneeedtemporale
Eco temporale della community dato dalla somma dei valori delle tipologie di connessione presenti (0-100%) Eco temporale della tipologia di ConnessioneConnessioneconnessionepresenteassente 213 A Legenda: Grado di rappresentazione della community dato dalla somma dei valori degli strumenti di espressione presenti (0-100%) Strumento di espressione Grado di rappresentazione dello strumento di espressione Strumento presente Strumento assente 142536 A
Wrench è un social network per motociclisti, pensato in particolare per gli appassionati del fai da te meccanico impegnati nella costruzione o nel restauro delle moto. Wrench permette di documentare i propri progetti e condividerli con una comunità di appassionati.
FIG. 83 Logo Wrench 5. MOTO-COMMUNITY: CASI STUDIO 205
La piattaforma è nata nel 2018 dall’idea di un gruppo di amici svedesi – Pontus Abrahamsson, Viktor e Felix Hofte –che hanno progettato, costruito e tuttora gestiscono questa project community. Dalla testimonianza degli autori: «L’intera idea di Wrench è nata dopo che Pontus, che ha l’hobby della costruzione di cafe racer, non ha trovato alcun forum o community in grado di radunare tutti gli appassionati di tale attività per condividere i propri progetti» (Wrench, conversazione con l’autore, 14 marzo 2021).
Wrench si propone come un’innovazione rispetto alle migliaia di piccoli forum e gruppi Facebook, o rendo uno spazio dinamico, moderno e aggiornato dove poter radunare la community dei moto-builder amatoriali. La piattaforma multilingua dispone di un sito web e di un’app dedicata, attiva sia per i dispositivi iOS che Android. Seppur ancora in fase di sviluppo, a gennaio 2021 la piattaforma ha raggiunto i 30mila utenti; il profilo Instagram del progetto invece supera i 50mila follower. Come a ermano i creatori: Abbiamo trovato un pubblico di utenti disposti a mettersi in gioco, mostrando le proprie competenze creative e formando così la nostra project community. Fin dall’inizio, il nostro obiettivo è quello di supportarla; nel farlo, contemporaneamente vengono incrementati sia il coinvolgimento che la qualità dei contenuti. Oggi sulla piattaforma sono attivi circa 3.500 differenti progetti da più di 120 nazioni. È fantastico vedere una partecipazione così estesa e diffusa, indipendentemente dalla propria provenienza. Una community dovrebbere essere così. (Wrench, conversazione con l’autore, 14 marzo 2021)
Caso studio 6: Wrench

Sia nel costruire materialmente la moto che nel documentare i vari step della build è possibile rintracciare l’impegno creativo degli utenti attivi su Wrench. In questo processo è come se i builder riflettessero la propria identità personale. I nostri motociclisti formano una community molto appassionata, oltre che specializzata. (Wrench, conversazione con l’autore, 14 marzo 2021) Nel caso della community di Wrench, sono gli utenti che, partecipando, producono conoscenza. In questo aspetto si ritrova anche il principale limite dell’app: la qualità dei contenuti dipende dagli utenti e dal tipo di documentazioni fotografiche e testuali che vengono prodotte. Queste non sempre risultano complete ed e caci, soprattutto in relazione al livello di dettaglio che richiederebbe la narrazione dei vari passaggi costruttivi della build.
Il futuro dell’evoluzione dell’app prevede l’introduzione di nuove modalità per favorire gli scambi di informazioni consentendo, ad esempio, la documentazione video (utile alla dimostrazione dettagliata di particolari tecniche produttive) e l’attivazione di masterclass tematiche.
Il coinvolgimento è stimolato sia dalla possibilità di mostrare le proprie skill e i traguardi raggiunti nel completamento di un progetto, sia dall’opportunità di riferirsi ad una nicchia di utenti informati o particolarmente interessati, in grado a loro volta di fornire feedback e competenze.
206 IDENTITÀ IN MOTO
L’iscrizione alla piattaforma è gratuita; come per altri social network anche qui c’è la possibilità di creare un proprio profilo personale in cui pubblicare l’evoluzione dei propri progetti. Le “build” vengono documentate attraverso dei post – immagini (formato 1:1) e testo – in grado di testimoniare le varie fasi della costruzione creativa. È inoltre possibile esplorare i diversi progetti personali portati avanti dalla community di utenti. I post possono essere commentati o apprezzati lasciando una “spark” (una scintilla dal valore di un like). Le varie build sono catalogate in base alla categoria del veicolo – come cafe racer, bobber, chopper e molte altre – che permettono agli utenti di trovare il proprio segmento di riferimento.
FIG. 85 Selezione di schermate della mobile app Wrench FIG. 84 Homepage sito web Wrench. Home (progetti seguiti) Popular projects (ricerca) Profilo builder 207




208 IDENTITÀ IN MOTO Progetto STRUTTURA L’app, lanciata nell’estate 2019 è ancora in fase di sviluppo. Anno di lancio interesseEventiPaeseProfiloCuratoreTecnologiaBreveFormatMissiondescrizionecuratorechiaveeneltempo Wrench 2018 «Condividi i tuoi progetti e impara dalla community» Social network App (iOS e Android) Pontus Abrahamsson, Viktor e Felix HofteSocialSveziaStart-upnetwork per appassionati di DIY motociclistico in cui documentare le proprie build 10050 2018 2019 2020 Lancio dell’app su Play Store e App Store Apertura canali social Wrench utenti30.000iscritti
5.8. CASO STUDIO 6: WRENCH 209 COMMUNITY Geografia partecipantiTotale(perPartecipanticommunitydellanazione)dei Australia, utentiraggiuntoL’appUcraina.Russia,Pakistan,NuovaIndia,Germania,Finlandia,Danimarca,Canada.Filippine,Francia,GranBretagnaItalia,Norvegia,Zelanda,Olanda,Portogallo,Spagna,Svezia,Wrenchhapiùdi30milaiscrittinel2020. Francia (55) Italia (43) Spagna (38) 30k Interessi communitydella Narrazione Cinema Networking Itinerari DIY 2,8: Valutazione dell’app su un totale di 101 recensioni (Play Store) Le prime tre nazioni per iscritti alla piattaforma (su un campione di 200 profili/build).
210 IDENTITÀ IN MOTO Risonanza social Canali di attrazione partecipativoPercorso YouTube: Facebook:–500 seguaci Instagram: 50.000 seguaci Twitter: –Il progetto ha riferimento.elecoinvolgimentoprodottotramitepropriepaginesocialunalandingpagedi Access gate Azione partecipativa Capitalizzazione VideoNewslettertrailerLanding page Word-of-mouthFierediMotoradunisettore Riviste Social media IndividualeCollettiva RiconoscimentoCommunity COINVOLGIMENTO 50 100 Registrazione InterazionePosting Nuove Archiviorelazionidisapere Online O ine
211 IDENTITÀ GENERATA 5.8. CASO STUDIO 6: WRENCH
Eco temporale della community dato dalla somma dei valori delle tipologie di connessione presenti (0-100%) Eco temporale della tipologia di ConnessioneConnessioneconnessionepresenteassente 213 A
Il tipo di connessione generata è di una project community unicamente virtuale. L’eco temporale è dunque fortemente dipendente dagli sviluppi della piattaforma. Community virtuale
Espressione ecoConnessionerappresentazioneeedtemporale
Communityibrida Sostenitori Grazie all’opportunità di interagire e di postare immagini il valore di rappresentazione della community risulta medio-alto.
Tipologia di connessioneLegenda:
Immagine Like Commento CondividiQ&A eTsto Legenda: Grado di rappresentazione della community dato dalla somma dei valori degli strumenti di espressione presenti (0-100%) Strumento di espressione Grado di rappresentazione dello strumento di espressione Strumento presente Strumento assente 142536 A
Conclusioni aperte e linee-guida 6.
215
Se una nuova identità è quanto di più significativo l’azione di una moto-community coinvolta possa generare, è opportuno in questa sede individuare quali progetti sono riusciti a generare un’identità con maggior e cacia. Nelle pagine seguenti verranno poste a confronto le diverse formulazioni di identità generata elaborate nel capitolo 5, sia per il parametro di “Espressione e Rappresentazione”, sia per quello di “Connessione ed Eco temporale”. aperte linee-guida
Conclusioni
I precedenti casi studio definiscono alcuni dei format di coinvolgimento della comunità motociclistica che sono emersi come più rilevanti in questi anni. Attraverso questi spazi, gli utenti e le moto-community hanno potuto articolare le proprie narrazioni più significative, manifestando la propria identità. Il proposito non è quello di presentare tali progetti come modelli assoluti, piuttosto, confrontandoli, è possibile ora individuare alcuni elementi chiave utili per fornire uno spunto progettuale.
CONCLUSIONI COMPARATIVE DEI CASI STUDIO Identità generate 6.1.
e
Pur conservando di erenze anche sostanziali sia nelle dinamiche di partecipazione delle moto-community, sia nei risultati ottenuti, il confronto tra i progetti consente di individuare quelli che si distinguono come “migliori” o più validi sotto determinati aspetti. In particolare, riprendendo i termini dello Schema d’Analisi, risultano significativi i risultati dell’indagine condotta sulle identità generate. Le diverse rappresentazioni grafiche ottenute consentono di operare una comparazione tra i diversi casi studio, utile a sviluppare una riflessione critico-progettuale.
The Moto Social (2), seppur tragga molto vantaggio dallo storytelling visivo nel raccontare la propria community, in realtà o re limitate possibilità ai membri della community di esprimersi, se non in quegli incontri nella vita reale che vengono promossi.Motoclub
L’app Bikerface o re una struttura ancora più dinamica: all’utente è infatti concessa libera espressione. Gli stessi sviluppatori invitano gli utenti dell’app ad “esporsi” per diventare influencer. Per farlo sono fornite le principali modalità di posting social con cui produrre una narrazione identitaria mediata attraverso il proprio profilo personale. Gli altri casi studio non risultano così e caci: anche Wrench (6) consente la gestione di un profilo personale, ma la tipologia di narrazione fortemente “tematizzata” (la documentazione personale della build) e vincolata al solo post fotografico, non o re molto spazio per la libera espressione.
Dalla tavola a lato risulta evidente come il contest creativo Deus Bike Build O (4) e la social app Bikerface (5), siano in grado di rappresentare al meglio la community di utenti partecipanti. Questo perché entrambi i progetti dispongono della stessa varietà di strumenti – e dunque di spazi – utili ad articolare una narrazione che risulti non solo autentica, ma ricca e adatta alle esigenze della community. Deus Bike Build O poggia su una piattaforma digitale realizzata ad hoc, con una propria forte identità (legata al brand Deus) che si sviluppa anche su un profilo Instagram dedicato. Il partecipante trova una piattaforma adatta a ricevere il suo contenuto, valorizzando i suoi sforzi creativi e produttivi; può raccontare la propria creazione con un testo e una serie di immagini che forniscono una rappresentazione identitaria piuttosto completa.
Ting’avert (3) ha una barriera strutturale: la natura della tecnologia del forum, vincola gli utenti al quasianonimato, nonché a un set di strumenti limitati. Infine, nel caso de I fidanzati della morte (1), i sostenitori possono supportare la campagna di restauro su Kickstarter, così come sui social ed essere ricompensati dal vedere il proprio nome nei titoli di coda del film; tuttavia la loro narrazione non risulta rilevante per gli esiti del progetto.
216 IDENTITÀ IN MOTO Espressione e Rappresentazione
6. CONCLUSIONI APERTE E LINEE-GUIDA 217 1. I fidanzati della morte 3. Motoclub Ting’avert 5. Bikerface 2. The Moto Social 4. Deus Bike Build O 6. Wrench
Meno e cace, Wrench (6) raduna una community virtuale che, seppur vasta, ha un eco temporale strettamente legato allo sviluppo della piattaforma: se dovesse perdere interesse, esiste il rischio che anche la stessa community di builder venga persa.
Motoclub Ting’avert è stato creato per o rire un punto di ritrovo online per i motociclisti ed ha raggiunto tale obiettivo formando la moto-community più vasta e longeva del panorama italiano. Non solo, il desiderio di “attività” degli utenti ha dato vita alle varie traduzioni fisiche del progetto, dalle magliette, ai grandi raduni nazionali, all’apertura delle sezioni locali del Motoclub in diverse regioni italiane.
Bikerface con la sua struttura adatta alle esigenze dei motociclisti, fornisce gli strumenti necessari per costruire delle relazioni virtuali (come la chat) a cui spontaneamente facciano seguito degli incontri fisici, anche di gruppo.
Lo stesso vale sia per il caso de I fidanzati della morte (1) sia per Deus Bike Build O (4) pensate con un orizzonte temporale limitato. Le due iniziative hanno radunato una community di sostenitori che ha partecipato attivamente fino al raggiungimento degli obiettivi del progetto per poi disperdersi.
218 IDENTITÀ IN MOTO Connessione ed Eco temporale Nella tavola a lato tre casi si distinguono chiaramente come più “solidi” sia a livello temporale che per le connessioni sviluppate: la social community The Moto Social (2), Motoclub Ting’avert (3) e la social app Bikerface (5). Questi progetti sono riusciti a sviluppare community che, seppur radunate online hanno trovato modo di concretizzarsi anche nell’ambiente reale. Vengono così sfruttati i vantaggi di entrambe le dimensioni: se da un lato il “virtuale” consente di trascendere i limiti spaziotemporali e di ondere una narrazione con maggior e cacia, il “reale” fornisce quella componente fisica, emozionale e sensoriale, che un’attività come quella motociclistica non può prescindere.Icanadesi di The Moto Social hanno utilizzato il web come una grande piazza, in cui non solo ritrovarsi, ma anche di ondere con più e cacia il proprio messaggio di inclusione. L’obiettivo fin dal principio è stato quello di tradurre il “tra co” virtuale in reale durante i propri incontri mensili; uno scopo che è stato raggiunto non solo a Toronto, ma nelle diverse città del mondo dove oggi agisce questa community ibrida.
6. CONCLUSIONI APERTE E LINEE-GUIDA 219 1. I fidanzati della morte 3. Motoclub Ting’avert 5. Bikerface 2. The Moto Social 4. Deus Bike Build O 6. Wrench
In un’ottica di valorizzazione, la qualità dei contenuti e la loro presentazione diventa fondamentale. Come ricordano Fedrigo e Marotto di Rodaggio Film: «di materiale ne troviamo in quantità, ma spesso la qualità lascia molto a desiderare» (Fedrigo e Marotto 2017). È opportuno, dunque, che i contributi risultino selezionati e che le modalità di produzione siano ben definite. Ad accogliere tali contenuti, come in altri contesti di passione, c’è una comunità attenta, disposta a inserirsi in una narrazione che spesso viene trasformata in un dialogo. Come in un motore ben avviato, si crea così un processo di alimentazione continua: un’auto-narrazione prodotta dai motociclisti per i motociclisti stessi, ma che ha la potenzialità di arrivare a coinvolgere chiunque. Nicchie di risonanza. Come visto, il grosso del lavoro di produzione dei contenuti lo fanno gli appassionati, ovvero i membri delle moto-community. Anche quando le aziende ne traggono beneficio – come nel caso Deus Bike Build O – la volontà di partecipare si pone spesso al di là degli interessi di profitto. Nel mondo della moto come ricordano Fedrigo e Marotto: «esiste un patrimonio enorme di appassionati di marchi dall’enorme fascino e valore storico che i marchi stessi stentano a comprendere e a valorizzare» (Fedrigo e
220 IDENTITÀ IN MOTO Riflessione critico-progettuale
La forza della narrazione. La centralità della narrazione emerge chiaramente, sia nel suo aspetto di racconto attivo, sia in quello di ascolto passivo. La cultura motociclistica ospita storie in quantità, da quelle mitiche dei suoi eroi glorificati in pista, agli aneddoti dei motociclisti più comuni. Forse in sella «[…] si è più aperti a percepire le esperienze e a trasformarle in avvenimenti e storie» (Parodi 2021, app. 7.2.), ma è comunque possibile trovare nella quotidianità dell’esperienza motociclistica qualcosa – una storia – che valga la pena condividere con la comunità.
I casi studio forniscono alcuni esempi in cui è possibile identificare la presenza di una dimensione progettuale applicata al motociclismo. In riferimento al precedente confronto sulle identità generate da tali progetti, è ora possibile stilare quegli aspetti salienti che non solo li contraddistinguono, ma che risultano utili considerare in riferimento alle modalità di coinvolgimento delle moto-community nella produzione di narrazioni.
Inoltre, quando i contenuti risultano particolarmente rilevanti – come nel caso del restauro I fidanzati della morte o della petizione organizzata da Bikerface – la community motociclistica è in grado di mobilitarsi collettivamente. Come se fosse un progetto comune, i motociclisti possono formare una «equipe ibrida e interconnessa» (Ciastellardi e De Kerchove 2016: 175) impegnata a condividere quella che considerano come una parte significativa della propria storia personale, fornendogli di conseguenza particolare evidenza e risonanza.
6. CONCLUSIONI APERTE E LINEE-GUIDA 221 Marotto 2017). Gli appassionati operano nel campo della «cultura residua» (Williams in Jenkins et al. 2013) tutelando e riscoprendo il valore culturale di oggetti (di varia natura) che hanno perso interesse e rischiano quindi di venir perduti.
Così come cambia il profilo del motociclista, cambiano anche i suoi interessi. Dalla testimonianza di Fedrigo e Marotto: «esiste un mondo estremamente eterogeneo che è interessato a dei consumi di qualità, che acquista libri, che si interessa alla storia delle due ruote, al design e alla moda legati ad una nuova cultura motociclistica» (Fedrigo e Marotto 2017). Quella dei motociclisti oggi è un’identità collettiva arricchita nei contenuti che trova online gli strumenti e gli stimoli per potersi esprimere. È necessario tener conto di questo cambiamento in atto, o rendo alle moto-community spazi per una rappresentazione più autentica in grado di produrre un impatto positivo anche nelle esperienze reali e quotidiane.
Storytelling visivo. The Moto Social, Deus BBO, le app social Bikerface e Wrench, senza citare le produzioni di Rodaggio Film, dimostrano come la narrazione trovi nella
Biker non più biker. L’identità del motociclista nel tempo si è evoluta e lo stereotipo del “biker” può ormai dirsi superato. I diversi progetti presentati manifestano il cambiamento reale avvenuto nelle comunità motociclistiche, che appaiono oggi più aperte, inclusive ed eterogenee. La distinzione di genere, qui legata non solo al motociclista ma anche alla moto, viene progressivamente abbattuta. L’attività di The Moto Social, ad esempio, dimostra che quando “tutti sono benvenuti” gli stereotipi vengono sradicati, fornendo un impatto positivo anche sulla moto-community stessa. Come ricorda Viktor Radics: «Stiamo mostrando alla comunità motociclistica una nuova prospettiva positiva, […] quanto sia migliore il motociclismo se si è aperti alle novità, a persone diverse e tutte i tipi di moto» (Radics 2021, app. 7.3.).
Globalità localizzata. L’elemento chiave che da sempre genera e ravviva le comunità motociclistiche è la passione, una dimensione intangibile che risulta facilmente adatta a di ondersi. I casi studio, da questo punto di vista, fanno emergere un altro elemento importante e trasversale, quello della scalabilità. Ognuno dei progetti presentati, infatti, dimostra la sua capacità di adattarsi facilmente alle esigenze
Se gli utenti sono detentori di una conoscenza – che può assumere l’aspetto di una memoria o di un particolare expertise – lo spazio virtuale diventa il luogo ideale in cui far convergere la partecipazione. Qui il patrimonio culturale assume consistenza, sotto forma di un grande archivio del sapere motociclistico alimentato dall’interesse e dalla partecipazione attiva degli utenti.
222 IDENTITÀ IN MOTO dimensione visiva un aspetto di fondamentale importanza. Le immagini godono di un forte impatto emozionale in grado di stimolare interesse e il coinvolgimento: forniscono testimonianze dirette, propongono rappresentazioni autentiche e facilitano la lettura e la comprensione delle informazioni. Come ricorda il fondatore di The Moto Social, lo storytelling visivo è necessario e particolarmente e cace se veicolato su canali online: «Penso che i nostri visual abbiano un ruolo fondamentale per la comunità motociclistica che si identifica con l’iniziativa che stiamo portando avanti» (Radics 2021, app. 7.3.). Questo aspetto di «traduzione sinestetica» (Riccò 2017) di cui il design della comunicazione in particolare si fa carico, fornisce quella dimensione sensoriale che rende il progetto più accessibile, consentendo inoltre ai partecipanti di sentirsi maggiormente coinvolti. Community di esperti. Le moto-community radunano utenti ricchi di passione, ma dotati anche di grande conoscenza pratica e storica del motociclismo. Collettivamente costruiscono e custodiscono un patrimonio informativo di notevole valore in grado di interessare altri membri della comunità in cerca di particolari informazioni e contenuti. Come nel caso della project community di Wrench, così come nelle sezioni più “tecniche” del forum Motoclub Ting’avert, le moto-community online possono configurarsi come degli archivi di sapere aperti. In tale aspetto emerge quella duplice natura di «intelligenza collettiva» (Levy 1994) e «connettiva» (De Kerckhove 1997), capace di produrre conoscenza attraverso i processi di scambio amplificati dalle connessioni virtuali tra gli individui.
6. CONCLUSIONI APERTE E LINEE-GUIDA 223 e alle dimensioni delle community coinvolte, spesso andando oltre gli obiettivi che i curatori si erano prefissati. Da qui la necessità di prevedere il coinvolgimento della moto-community nel progetto, concedendo la possibilità agli utenti di produrre particolari declinazioni del progetto stesso e stimolando la co-creazione delle narrazioni. The Moto Social, Motoclub Ting’avert, Bikerface, lo dimostrano abbastanza chiaramente: queste moto-community sono caratterizzate da strutture piuttosto aperte e “globali” a cui sono seguite interpretazioni più “locali” e Connessospecifiche.aquestotema e alla dimensione sensoriale dell’attività motociclistica, quelle identità globali manifestate e strutturate nelle community online devono tradursi –necessariamente – in identità locali che hanno la possibilità di agire nello spazio o ine. In questo modo viene raggiunto il grado massimo di coinvolgimento con un progetto che non risulta diluito, ma piuttosto arricchito dal taglio strategico della sua natura ibrida che invita all’incontro reale.
LINEE-GUIDA PROGETTUALI PER IL COINVOLGIMENTO DELLE MOTO-COMMUNITY Traduzioni motociclistiche
Se alcuni progetti risultano più e caci di altri nella generazione di un’identità e nel loro più generale contributo alla cultura motociclistica, parte di questo successo è attribuibile –oltre a coloro che vi partecipano con la propria passione – anche a quegli aspetti “strutturali” che consentono a tali progetti e alle complessità in gioco di concretizzarsi.
Anche la cultura motociclista può assumere i tratti di quella che Zingale definisce come una «entità generalmente non strutturata e dai confini incerti, aperti, esposti all’indeterminazione e all’incoerenza» (Zingale 2018: 71) e che interroga il design per una propria strutturazione. Tale istanza sociale e culturale può essere intesa, in definitiva, anche come quella passione alla base delle identità motociclistiche e alla quale il design può dare forma. Il design della comunicazione ha qui la possibilità di adoperarsi nei termini più estesi del suo ruolo traduttivo: Tradurre vuol dire rendere accessibili i contenuti di un processo di comunicazione, individuando la forma di espressione più pertinente per 6.2.
2. chiarisce: rende più comprensibili gli aspetti celati della cultura a due ruote. In altre parole, fornisce l’accesso a quei contenuti rilevanti per gli appassionati, ampliando contestualmente il numero dei potenziali interessati.
224 IDENTITÀ IN MOTO un nuovo medium, ma significa anche sapersi muovere in un universo sempre più interlinguistico e interculturale, fatto cioè di molteplici culture, supporti, sistemi, linguaggi che convivono e dialogano tra loro. (Baule e Caratti 2018: 27-28) Se «la traduzione riguarda più le culture che le lingue» (Lefevere in Baule e Caratti 2018: 18) e, di conseguenza, «il tradurre è fondamentale nel passaggio da una cultura all’altra» (Gregory in Riccò 2018: 151) anche il motociclismo, inteso come cultura, può esserne interessato. Rielaborando Zingale (cfr. 2018: 90 91), in questo contesto l’attività traduttiva del design applicata al motociclismo ha la possibilità di assolvere a una triplice funzione: 1 . esplicita: fornisce opportuni spazi di espressione alle molteplici identità della cultura motociclistica. In questo modo, la passione dei motociclisti ha l’occasione di rendersi manifesta ed esplorabile come mostrato, ad esempio, nelle modalità dei diversi progetti esposti in questa ricerca.
3. riformula: propone una visione alternativa del fenomeno motociclistico. In questo modo è possibile individuare una nuova e originale lettura non solo della specifica cultura, ma anche di tematiche più ampie – e impreviste – della società.
Linee-guida progettuali Chiarite le potenzialità e il valore dell’aspetto progettuale, anche il contesto motociclistico può o rirsi come scenario valido per accogliere l’azione traduttiva del design. Giunti a questo punto della ricerca ed estendendo le precedenti considerazioni, è opportuno provare a tracciare delle linee-guida utili come spunto progettuale per favorire il coinvolgimento delle moto-community nella produzione di narrazioni significative per i propri membri e, più in generale, per la cultura motociclistica stessa. Per far questo è opportuno sviluppare strumenti e processi che siano in grado di:
• Favorire la formazione e l’azione di un’identità collettiva. Per i membri delle moto-community il gruppo fa ancora la di erenza; è quindi opportuno incrementare il senso di appartenenza, o rendo eventi e spazi di socialità, così come una “insegna” sotto cui radunarsi e dalla quale sentirsi rappresentati.
• Favorire la scalabilità progettando strutture dinamiche e aperte, adattabili alle esigenze dei membri della motocommunity. È opportuno progettare format che non siano centralizzati, ma di usi e adattabili a diversi contesti, pur mantenendo la propria riconoscibilità.
• Supportare l’interazione tra i membri della motocommunity, poiché quando le narrazioni individuali divengono dialoghi aperti, in essi prende forma l’identità di una comunità. La rappresentazione che ne risulta sarà non solo più autentica, ma in grado di intercettare l’evoluzione dei discorsi rilevanti per le comunità stesse.
• Allontanarsi dagli stereotipi, se non “fuorilegge”, quantomeno “esclusivi” del motociclismo, per renderlo un fenomeno aperto e leggibile anche dall’esterno. Per farlo è opportuno favorire spazi di inclusione e una narrazione che tenga conto sia delle esigenze di approfondimento specifiche della moto-community, sia delle necessità di chiarezza dei potenziali membri o dei semplici interessati.
6. CONCLUSIONI APERTE E LINEE-GUIDA 225
• Valorizzare i contributi grassroots (di varia natura), fornendo sia spazi di condivisione per i contenuti già esistenti, sia nuove e originali opportunità di produzione creativa. In entrambi casi è opportuno sviluppare modalità che risultino aperte e inclusive, ma allo stesso tempo in grado di distinguere contenuti di qualità, collezionati in modo coerente.
• Facilitare l’accesso ai contenuti, nell’ottica della creazione di un archivio della conoscenza comune, partecipativo e aperto, che consenta ai membri delle moto-community di trovare le informazioni necessarie in un medesimo luogo. Inoltre, se tale spazio viene alimentato dai contributi di esperti “grassroots”, non solo aumenterà la partecipazione, ma le narrazioni risulteranno più autentiche ed a dabili.
Spiegare a parole una passione può essere di cile. Non tutti i motociclisti hanno a disposizione il ricco vocabolario di autori come John Berger o Robert Pirsig. Potrebbe dunque passare il messaggio che questa passione di nicchia – a tratti periferica –per le due ruote lasci un po’ il tempo che trovi. Eppure, l’aspetto più “coinvolgente” del rapporto che lega una persona a una motocicletta e che, di conseguenza, forma le “comunità della motocicletta”, può tradursi in risultati visibili, tangibili, discreti. Il coinvolgimento, anzi, può diventare il motore con cui generare relazioni, narrare memorie, creare storie, che consentono di rendere concretamente a errabile l’esperienza mistica del “vivere la motocicletta” e del suo valore.
Non tralasciare l’aspetto sensoriale; il motociclismo è soprattutto un’attività ricreativa e come tale rende necessaria una partecipazione anche fisica. È opportuno favorire il ritrovo tra i membri delle moto-community, ra orzando le relazioni e permettendo così la creazione di identità territoriali ibride, attive sia nello spazio virtuale che in quello reale.
Tenere presenti questi elementi in fase di progettazione consente di sviluppare pratiche in grado non solo di ottimizzare il coinvolgimento degli utenti, ma anche di accrescere il valore dei contenuti prodotti. Le moto-community possono, in tal senso, diventare curatrici attive del proprio patrimonio culturale, incrementando le possibilità di fruizione e di lettura.
SUL VALORE DEL COMMUNITY ENGAGEMENT PER LA CULTURA MOTOCICLISTICA
I media e gli strumenti digitali, in tale prospettiva, divengono un territorio ideale di partecipazione, formazione ed esplorazione della cultura motociclistica. La dimensione virtuale si configura come uno spazio esteso, privo dei vincoli di tempo e di spazio, dove è possibile coinvolgere e lasciarsi coinvolgere in nuove opportunità di manifestare la propria passione, ampliandone i confini. È nella partecipazione delle moto-community, infatti, che si manifesta la potenzialità dell’engagement per la cultura motociclistica. Se è chiaro, in una logica aziendale, quali possano essere i benefici della presenza di una community attiva, quando il profitto non è presente – o nelle intenzioni risulta secondario – il valore prodotto dalle 6.3.
226 IDENTITÀ IN MOTO •
6. CONCLUSIONI APERTE E LINEE-GUIDA
227 community ricade sulla collettività, arricchendo in questo caso il patrimonio culturale motociclistico. La forza delle motocommunity sta nelle moto-community stesse; il loro senso sta nelle narrazioni di cui sono alimentate e che sono prodotte direttamente dai propri membri, spesso in modo indipendente e spontaneo. Ognuno raccontando la propria storia esprime la propria identità; in questo senso l’interpretazione del significato della motocicletta risulta strettamente personale. In relazione ai propositi di questa indagine, il design – negli strumenti e nei metodi – diventa quell’elemento in grado di favorire il coinvolgimento degli appassionati, traducendo la loro volontà di costruire narrazioni, di formare community, di partecipare. In altre parole, il design costruisce quegli spazi in cui le community motociclistiche possono narrarsi, contribuendo a rappresentare le identità dei propri membri e ad arricchire il patrimonio culturale del motociclismo. Quando una community è pronta a partire, altro non serve che seguirne l’azione, magari proponendo “itinerari” o invitando a condividere le proprie esperienze. Le identità viaggiano anche in moto e nel farlo, ogni volta, raccontano qualcosa.
leAppendice:interviste7.
ALESSIO ZONI I tuoi documentari, come affermi, sono “mossi da un inaudito fascino per ciò che spinge gli uomini alla scoperta dei loro limiti e alla ricerca della propria libertà come forma di essere e d’espressione”. Come riesce la motocicletta, nata fondamentalmente come oggetto d’uso e poi evolutasi in icona culturale, a diventare il comune denominatore di molte di queste storie?
La seconda parte della risposta riguarda la scoperta dei propri limiti. Qui circoscriviamo il discorso al motociclismo sportivo. È una disciplina in cui il limite è sempre relativo. In pista i piloti frenano un attimo più tardi e cercano di accelerare un attimo prima in ogni curva, a ogni giro, cercando Sammarinese e romagnolo, classe 1982, Jeffrey Zani è un regista, scrittore e giornalista freelance. Da giornalista ha firmato servizi per testate come Rolling Stone, Vice, Riders e Sportweek. È tra i pochi registi in Italia a occuparsi di motociclismo: i suoi documentari, presentati in diverse rassegne cinematografiche internazionali, ne raccontano le sfumature più autentiche e meno note. Alcuni dei suoi ultimi lavori sono stati selezionati da realtà come Netflix e Amazon Prime Video BIOGRAFIA
231 Intervista a: Je rey Zani
JEFFREY ZANI La risposta si divide in due parti. La prima riguarda la ricerca della propria libertà; che è in qualche modo la ricerca di un “senso” di libertà, di una percezione. Per chi è della mia generazione, quindi nato nei primi anni ‘80 – ma è stato così anche prima, come confermano le numerose testimonianze che ho raccolto negli anni (e mi pare che le dinamiche siano simili ancora oggi, almeno in provincia) – a 14 anni la libertà era rappresentata dalla possibilità di guidare un mezzo a motore. Il cinquantino. Via di casa, quindi. Per me, pura libertà di andare dove volevo, a fare quello che volevo. Una sorta di piccola emancipazione dai genitori, dalle loro abitudini e dal loro controllo, se vogliamo. E se poi guidi una moto e ti diverti, sei probabilmente spinto a cercare di imitare le icone e i personaggi che ti vengono proposti: i grandi piloti, quindi. Ti vuoi vestire come loro, sporgi il ginocchio in curva per imitare il loro stile. E via dicendo. Poi c’è la sensazione della guida. La superficie di contatto fra una moto e il terreno, cioè la porzione degli pneumatici che tocca terra, penso sia più o meno quella di una carta di credito, sommando entrambe le ruote. Potrei sbagliarmi, ma di poco. Guidare è come volare. E il volo, non può essere forse interpretato come un simbolo di libertà?
IDENTITÀ IN MOTO di abbassare il proprio crono. L’obiettivo è essere più veloci. Cercano di superare i limiti che loro stessi stabiliscono. È una pratica che non conosce né perfezione, né un risultato finale che mette fine alla prova. Può andare avanti all’infinito. Non è a ascinante? Dov’è il limite? Chi lo stabilisce? Come si supera? Quanto ho descritto spiega la mia a ermazione e la contestualizza all’interno del mondo delle due ruote a motore. La motocicletta come mezzo di trasporto, come giustamente hai osservato. La motocicletta come gioco per bambini adulti. È l’icona culturale di cui parlavi: guidare una moto per incarnare uno stile di vita. E poi, la moto come strumento per sfidare se stessi. Le due ruote, concludo, diventano quindi il denominatore di storie in cui i protagonisti cercano la propria libertà e sfidano i propri limiti in sella. Fuggono da qualcosa? La rincorrono? Chissà. La domanda è sempre aperta e cambia a seconda del destinatario. Ciò o re mille prospettive.
JEFFREY ZANI Va premesso che c’è una di erenza sostanziale fra la fiction, in pellicole come Easy Rider, e i documentari, come nel caso dei miei lavori. In ogni caso, in ballo ci sono i temi legati alle due ruote: la velocità, il pericolo, le acrobazie, le abilità. Soprattutto, inoltre, il viaggio, che è un ottimo ‘pretesto’ per lo sviluppo di una storia e per la sua dinamicità. Può portare le vicende e i personaggi in luoghi diversi, o rire il pretesto per mille imprevisti. È tutto più dinamico. Un UFO fa atterrare un marziano in California, una moto può portare un newyorchese in Arkansas. È la stessa cosa. Un pretesto perfetto per creare cortocircuiti, relazioni e reazioni. Insomma, vengono o erti contesti in cui i personaggi possono mettersi allo scoperto, sia nella fiction che nei documentari. Penso però che ci sia una netta di erenza fra le pellicole che hanno le moto come focus principale, quindi che parlano di moto, e quelle in cui le moto rientrano nella storia per darle una qualche direzione. I miei lavori sono spesso in bilico, credo. Questa è la mia impressione.
ALESSIO ZONI Scuderia Filibusta (2012), Morbidelli: storie di uomini e di moto veloci (2014), Il Mago Mancini (2016); la tua produzione si concentra sul tema motoristico. Non sei il primo a portare le due ruote sul grande schermo, se pensiamo a un film come Easy Rider, sembra che i temi veicolati dal motociclismo siano rilevanti per il cinema stesso. Perché secondo te?
232
7.1. INTERVISTA A: JEFFREY ZANI 233
ALESSIO ZONI A partire da Il selvaggio (1953) di Benedek, il genere della bikexploitation nel cinema d’oltreoceano ha veicolato l’equazione “motociclista=outlaw biker” che si è poi imposta a livello internazionale. Con l’occhio del regista e del motociclista appassionato, come giudichi la rappresentazione che è stata fatta del motociclismo fino ad ora? E per la serie “consigli cinematografici”: quali pellicole, oltre alle tue, sono in grado di catturare al meglio i valori di questa cultura?
JEFFREY ZANI Parliamo di fiction. Secondo me ogni rappresentazione è influenzata da una serie di fattori che coinvolgono: gli stili cinematografici del periodo in cui è stato prodotto il film, le tendenze degli sceneggiatori, i valori del periodo all’interno della cultura di riferimento e via dicendo.
Farò due esempi. Il selvaggio è un film dei primi anni ‘50 e la tua descrizione è corretta. Pochi anni dopo, tre o quattro mi pare, in Italia esce I fidanzati della morte. Una storia italianissima: c’è l’industria motociclistica nazionale, ci sono dei piloti italiani, ci sono due donne che si contendono lo stesso uomo, una benestante e una di origini più modeste. Non c’è quasi nulla di ciò che si vede ne Il selvaggio. Nel film italiano, se al posto delle moto ci fossero state le auto, sarebbe cambiato pochissimo. Se al posto delle moto o delle auto ci fossero stati un ovale di atletica e un centometrista, sarebbe cambiato probabilmente qualcosa, ma poco. Le dinamiche potevano restare le stesse, o simili. Moto e auto portano nella cornice rischi, pericoli e adrenalina. Ma non cambiano troppo il resto, secondo me. Non credo esista una cultura motociclistica. Ne esistono molte, tantissime. Quindi: come giudico la rappresentazione che è stata fatta del motociclismo? Molto varia. Per quanto riguarda i documentari, penso che ci siano diversi lavori che non incontrano quello che reputo un equilibrio chiave fra competenza nel saper raccontare una storia e conoscenza dell’argomento (la seconda a volte può essere una trappola, quindi occorre stare attenti, altrimenti si rischia di rivolgersi solo agli appassionatissimi). Riuscire a stare alla larga dagli stereotipi e da un certo tipo di retorica è importante, ma questa è solo la mia visione. Rispetto ai consigli, posso solamente rispondere a seconda del mio gusto personale, e non ci sono film di fiction nella mia lista. Mi limiterò a due pellicole. La prima è Continental Circus [1971, regia di Jérôme Laperrousaz]: la storia di un pilota che partecipa al Motomondiale con un furgone, qualche moto e sua moglie. Nel caso migliore può arrivare secondo, ma non vincere.
234 IDENTITÀ IN MOTO
C’è un motivo: chi primeggia ha probabilmente 10 o 20 volte la sua struttura e le sue possibilità in termini di mezzi e finanze. C’è una certa poesia, in tutto ciò. È la storia di un uomo che sa di non potere vincere ma vive e corre come se non lo sapesse. Per me èIlgrandioso.secondodocumentario
è Love, Speed and Loss [2005, regia di Justin Pemberton]. La storia di un neozelandese che si trasferisce con la sua famiglia nell’Europa Orientale, fra gli anni ‘60 e ‘70, per costruire una moto che sfrutta il motore di un fuoribordo. Muore in gara mentre è in testa alla classe regina del Motomondiale, nel 1973. Una storia drammatica che restituisce adrenalina e rischio, sacrificio, genio, incoscienza, intraprendenza, romanticismo, improvvisazione. Siamo al punto che ho già citato quando ho detto che vengono o erti contesti in cui i personaggi possono mettersi allo scoperto. Una storia del genere evoca tanti quesiti. Ne cito qualcuno, d’istinto: perché una moglie appoggia il suo uomo mentre rischia la vita? L’amore è abbastanza? Lui è un egoista? Oggi il motociclismo è cambiato, sono cambiati i valori, è cambiata la società. Lo sviluppo non è stato solo tecnologico. In questo periodo storico i circuiti devono essere sicuri, la vita dei piloti è importante. Mezzo secolo fa, non era così. I piloti erano squattrinati e rischiavano di morire ogni domenica, vista la pericolosità dei tracciati. Perché a rontare questi rischi, visto che in ballo c’era poca fama e zero soldi? La migliore risposta l’ho trovata nel documentario di un mio grande collega e amico, il francese Bernard Fau. Il titolo è “Once upon a time… the Continental Circus”. Viene detto - la faccio breve - che nel secondo dopoguerra uno dei valori principali - ciò che la gente inseguiva e voleva - era l’intensità. Era importante vivere una vita intensa. A prescindere da tutto. Oggi, invece, la nostra società celebra la longevità. Dobbiamo vivere a lungo. Penso che i miti del motociclismo si siano creati perché rischiavano la vita e l’alone di leggenda che aleggia attorno ai piloti di oggi sia una conseguenza di ciò. Sono andato un po’ fuori tema, forse, ma ci tenevo a o rire questo spunto perché penso circoscriva meglio ciò di cui stiamo parlando.
ALESSIO ZONI Romagna Racing (2020) – il tuo ultimo documentario – è anche e soprattutto il racconto di un territorio: quella storica Rider’s Land dove si cresce a “piada e motore”. In questo senso, come spieghi la capacità del motociclismo di essere un fenomeno così efficace nel creare comunità e generare identità?
Si creerà un piccolo movimento che negli anni muterà senza scomparire, trasmettendosi di generazione in generazione, alimentando cicli che andranno avanti e avanti.
Penso sia successo questo, in Romagna. C’è stata una scintilla e il fuoco che ha generato continua a bruciare. Perché c’era legna da buttarci dentro. Altrove, magari, non è stato così, ci sono stati falò più isolati e brevi. Considera che in Romagna, negli anni ‘50, la spinta delle case motociclistiche per organizzare gare in cui potevano promuovere le proprie moto era molto forte. C’erano in ballo Moto Morini, Benelli, Ducati e tanti altri marchi. Le corse entravano nelle città, nei centri abitati. Non erano le persone a raggiungere i circuiti, erano le gare che arrivavano in città.
7.1. INTERVISTA A: JEFFREY ZANI 235
ALESSIO ZONI Per la produzione del tuo documentario, sei ricorso a una campagna di crowdfunding su “produzionidalbasso.com”: nella comunità motociclistica c’è spazio anche per una sorta di mecenatismo creativo?
JEFFREY ZANI Immaginati di essere a Savignano, cittadina romagnola, nei tardi anni ‘50. Hai 10 anni, sei una spugna, registri tutto, sei vigile, attento, hai fame di conoscere e fare esperienze. Frequenti il bar del paese, oppure sosti semplicemente lì fuori. Non sarà poi così raro per te finire a tu per tu con assi del manubrio e del volante come Giuseppe Campari e Luigi Arcangeli, che si fermano per una sosta mentre provano il percorso della “1000 Miglia”. Vedrai da vicino un’auto da corsa quando in Paese ce ne sono probabilmente cinque normali, insieme a 10 moto e non di più. Le tocchi, ne annusi gli odori. Questi uomini ti parlano, li vedi arrivare sporchi, neri, corteggiati dalle donne, ammirati dagli uomini del paese. Poi ripartono alzando una nuvola di fumo e rumore: tu passi giorni, settimane a fantasticare su di loro. Perché dove sono diretti, non lo sai di preciso. Che cosa significa guidare mezzi del genere, non lo sai. Puoi solo immaginarlo. E la fantasia viaggia, lavora, costruisce. Nel frattempo condividi questo interesse con altre persone. Diventate complici. Comprate la prima moto in società perché nessuno ha soldi per farlo da solo. E nel frattempo, sui giornali, leggete della gesta di Campari e Arcangeli, descritti come eroi. Non ci sono Youtube e i dietro le quinte televisivi che vi mostrano tutto: avete poche informazioni e ci costruite attorno una personale narrazione, fantastica, fatta di fascino, innanzitutto. Con i tuoi amici, poi, andrà a finire che il più portato farà il meccanico, un altro organizzerà le gimcane di parrocchia perché ha le giuste conoscenze e via dicendo.
Degli aspetti, però, si possono raccontare. Prendi per esempio Il Mago Mancini (2016): Guido Mancini rappresenta quella passione pura, altruista e romantica che tanti italiani mettono nelle discipline più varie, dalla musica al cibo.
Provare a far passare la narrazione di un popolo dal ALESSIO ZONI In Italia, in generale, c’è una moto in quasi ogni casa. E c’è anche una gloriosa storia produttiva, un mercato ampio, numerosi motoclub, talenti sportivi, semplici appassionati. La moto, insomma, è un oggetto che permea il nostro retroterra culturale, ma resta spesso sottotraccia, soprattutto a livello mediatico. Dal motociclismo può passare la narrazione di un popolo?
236 IDENTITÀ IN MOTO
La seconda ragione: quasi tutti i media che ci avevano inizialmente garantito supporto o visibilità, per un motivo o per l’altro, si sono tirati indietro. È mancato, quindi, l’interesse dei media, degli addetti ai lavori, della maggior parte dei colleghi. Dati alla mano, la percentuale fra numero di visite e sostenitori è stata nella media, se non leggermente superiore. Ma è mancato un buon numero di utenti a conoscenza dell’esistenza del crowdfunding. Il numero di testate che ha parlato del progetto sta sulle dita di una mano. Dov’è in questo caso lo spirito di comunità?
La prima, probabile: una mia inesperienza con questo strumento. Era la prima volta in cui mi ci confrontavo. Ho avuto consulenti e un piccolo sta ad aiutarmi, non so se qualcosa non abbia funzionato al suo interno.
JEFFREY ZANI In Italia è forse possibile ma complesso. La mia esperienza con il crowdfunding è stata formativa, più che concreta. Il risultato è stato al di sotto delle mie aspettative. Le ragioni penso siano principalmente due.
JEFFREY ZANI Come ho rilevato per Continental Circus (1971) e per Love, Speed and Loss (2005), può passarci di certo una narrazione che porta un uomo in situazioni estreme, quindi allo scoperto, fra forza e Quantofragilità.allanarrazione di un intero popolo, non so se raccontare la cultura motociclistica possa raccontare un Paese. Ne è una parte ed è abbastanza impermeabile, indipendente rispetto a ciò che succede all’esterno di essa. D’altronde, puoi trovare motociclisti di destra e di sinistra, giovani e meno giovani, ricchi e modesti, colti e meno istruiti. È un interesse trasversale. Ma in fondo, le moto piacciono principalmente ai motociclisti. E a ascinano i curiosi. Se, quindi, si tratta di parlare di moto per parlare di un popolo, ho delle riserve.
La realizzazione di sogni e di visioni. La possibilità di esprimere talenti in ambito ingegneristico, estetico e non solo. Il ruolo di questi mezzi a motore nella quotidianità delle persone: nel secondo dopoguerra, chi non aveva i soldi per un’auto si comprava, se poteva, una moto. Lì sopra ci sono nate relazioni, famiglie, amori. Potresti spaziare dalla storia più intima a quella più vasta. Non potresti raccontare tutte le storie, attraverso le due ruote. Ma alcune, sì.
ALESSIO ZONI Negli anni Settanta il marchio Morbidelli, nato come hobby motoristico del suo fondatore Giancarlo, è arrivato alla vittoria del campionato mondiale di motociclismo, sbaragliando la concorrenza delle case più blasonate. Nel tuo film su questa storia – Morbidelli. Storie di uomini e di moto veloci (2020) – dalle parole dei protagonisti si evince come la passione non sia stata solo lo stimolo ma (forse romanticamente) il motivo del successo di una tale impresa. La tua stessa passione è percepibile nei progetti in cui sei coinvolto direttamente, basta quella allora? motociclismo può o rire comunque prospettive interessanti. In fondo, permetterebbe di esplorare tanti aspetti. Dal contesto economico e industriale, viste le case motociclistiche coinvolte, agli sforzi imprenditoriali, le dinamiche sindacali, per esempio.
JEFFREY ZANI Se intendi che basta la passione per avere successo nelle corse, la risposta è negativa. Servono talento, voglia di lavorare, di fare sacrifici, fortuna, ambizione, denaro, intuizione e via dicendo. La passione è imprescindibile, probabilmente, ma non è la ragione del successo. È il motore che ti fa andare avanti. Se devi fare un documentario, è la stessa cosa. La passione è quella che sicuramente non ti fa vivere i sacrifici come tali. Ma non basta. Se ti dovessi raccontare le ore dedicate a ogni progetto, quelle passate a studiare, gli anni di studio e giornalismo, le ricerche di informazioni e di fondi, la gestione delle finanze, dei contratti con agenti e i distributori, i corsi fatti, le fregature prese, la gestione delle persone coinvolte nelle produzioni e via dicendo, staremmo qui a parlare per giorni e andrei a ricordare momenti sia bellissimi che bruttissimi. Fare un film è un incubo bellissimo. Ma pur sempre un incubo.
7.1. INTERVISTA A: JEFFREY ZANI 237
BIOGRAFIA
Roberto Parodi, nato ad Alessandria nel 1963, è un personaggio eclettico: scrittore, giornalista, conduttore tv, ma soprattutto motociclista e viaggiatore. È autore di diverse pubblicazioni, tra cui Scheggia (2010) il primo romanzo di una trilogia basata sui suoi viaggi overland, composta da Controsole (2011) e Chiedi alla strada (2013). Ha condotto i programmi Born To Ride (Mediaset) e successivamente #DiariodellaMotocicletta (Rai). Dal 2018 a 2020 è stato direttore del mensile motociclistico italiano Riders magazine.
ALESSIO ZONI I fatti di Hollister del ’47 hanno definito negli Usa l’immagine del “biker”. Film come Il selvaggio (1953) e Easy Rider (1969), hanno poi diffuso le proprie interpretazioni dei motociclisti su scala globale. L’identità del motociclismo, il suo percepito, passa anche dalle sue rappresentazioni mediatiche. Esiste (o resiste) tuttora un’immagine del motociclista?
Intervista a: Roberto Parodi
ROBERTO PARODI Molto meno rispetto a prima. Negli anni 70 bastava possedere una moto per esserne automaticamente qualificati e vedersi attribuiti gli stereotipi del motociclista, creati appunto da film e letture e dall’opinione pubblica. Beninteso: spesso si basavano su cose vere. Infatti era vero
239
ALESSIO ZONI Un vecchio slogan di Eicma recitava “ogni motociclista ha una storia da raccontare”. Per te che sei autore e narratore – e che di avventure in moto ne hai affrontate – questa frase è certamente rappresentativa. Come mai la moto, nata fondamentalmente come un oggetto d’uso, si presta ad essere un così efficace veicolo narrativo?
ROBERTO PARODI Perché la moto è più avventurosa e il solo guidarla modifica sempre, più o meno intensamente, la nostra percezione di quello che stiamo facendo. Probabilmente è la stessa sensazione che avevano i primi automobilisti all’inizio del secolo, rispetto ad andare a cavallo o in carrozza: stavano facendo qualcosa di diverso, di meno usuale. Andare in moto è sempre fare qualcosa di non convenzionale, è una scelta più originale. Ecco perché si è più aperti a percepire le esperienze e a trasformarle in avvenimenti e storie. Ovviamente ci si mette dentro anche l’iconografia letteraria e cinematografica della moto, vista sempre come mezzo per protagonisti disallineati, originali e romantici. Tutto questo fa si che “ogni motociclista abbia una storia da raccontare”.
ROBERTO PARODI Sì e no. Sono consapevole di avere un discreto seguito di lettori e follower, ma non per questo cambio idea e approccio narrativo. Per esempio continuo a girare con caschi jet aperti (anche se non sempre), ad avere il mio stile e a dire quello che penso, dimostrandolo con i fatti. Ho idee molto chiare su molte altre cose che alcuni giornalisti “super allineati” non si sognerebbero mai di dire, ma io non sono d’accordo. Piuttosto invece faccio molta divulgazione su come credo sia giusto guidare e vivere la moto e cioè andando piano, godendosi il panorama, viaggiando, sognando ed essendo curiosi e non convenzionali.
Oggi più che mai avere una moto “non significa essere un motociclista”: l’avvento dello scooter, la familiarizzazione delle due ruote e specialmente l’introduzione nella società di altri elementi più moderni che caratterizzano e qualificano le persone agli occhi della gente, hanno fatto si che la moto non sia più uno stereotipo così forte e questo vale sia che si possieda una harley, una enduro o una granturismo.
Gli ultimi stereotipi forti legati alla moto, sono arrivati negli anni ‘90 in Italia con chi possedeva una Harley. Modello costoso e desiderato: i primi acquirenti erano visti come “quello che aveva l’harley”, uno status symbol molto forte, anche se dato da elementi molto diversi da quelli che contraddistinguevano i bikers anni ‘60. Negli anni ‘80 e ‘90 si parlava solo di denaro e moda, ma era comunque un percepito molto forte. Questa fu l’ultima situazione in cui possedere una moto ti qualificava con una serie di stereotipi (alcuni pure giusti peraltro).
240 IDENTITÀ IN MOTO che chi in quegli anni sceglieva una moto era certamente un originale e spesso questa scelta era davvero fatta per dare il proprio personale segnale di inso erenza verso le istituzioni e il puritano e allineato modo di pensare della gente comune.
Odio i motociclisti rumorosi, quelli che impennano, fanno burn-out, chi si scatena a tutto gas ingarellandosi con amici (e automobilisti) sui tornanti delle statali e sulle autostrade. Li disprezzo veramente e nei miei scritti e video, lo si percepisce sempre. Ho sempre parlato senza schermi, infatti una delle mie prime rubriche sulla rivista Freeway si chiamava “Senza Parabrezza”
ALESSIO ZONI Sulle moto hai scritto libri, condotto programmi tv, non ultimo hai diretto il magazine Riders; insomma sei uno dei motociclisti italiani più in evidenza. In questo senso, avverti una sorta di “responsabilità” nell’orientare la narrazione?
ROBERTO PARODI No. Il motociclismo è pieno di poser e fake people. Il bravissimo Je rey Zani (che conosco bene e che ha scritto per Riders quando io ero direttore), ha la capacità di trovare e raccontare personaggi autentici, ma non sono la media, anzi casomai l’eccezione. Non è di cile comprarsi una moto, vestirsi da capo a piedi di abbigliamento vintage e far finta di essere un biker hard core, un esperto di custom o tantomeno un viaggiatore. E forse va anche bene così, visto che non dimentichiamo che prima di tutto, la moto deve essere specialmente qualcosa che ti fa sognare e ti fa stare bene. E quindi un notaio o un commercialista di 50 anni, vergini di moto, hanno tutto il diritto di trasformarsi in un wild biker del week end. L’importante è che sappiano che è una parentesi della propria vita: l’autenticità è un’altra cosa, ed è sempre più rara.
ALESSIO ZONI Con i tuoi programmi televisivi Born to Ride e #DiariodellaMotocicletta, hai portato la cultura motociclistica su reti generaliste come Mediaset e Rai. E non è una cosa scontata. Come hai vissuto l’esperienza di uscire dalla “nicchia” e quale è stato l’impatto?
ROBERTO PARODI Positivo, per la percezione che il pubblico ha avuto e per l’apprezzamento verso l’originalità e la profondità che ho cercato di mettere nei miei programmi. Ho cercato di mostrare il viaggio nel modo più reale e credibile, facendo sentire lo spettatore come se fosse sul sellino della mia moto.
Peccato per la di coltà con cui si deve mediare il racconto con le esigenze della televisione. Non sempre si ha la possibilità di far vedere tutto, né tantomeno di avere posizionamenti in palinsesto che consentono buoni ascolti. Ma questo è business e lo capisco benissimo.
7.2. INTERVISTA A: ROBERTO PARODI 241
ALESSIO ZONI Parlando con Jeffrey Zani è emerso come, alla base del suo lavoro di regista, ci sia la volontà di catturare l’autenticità dei personaggi e delle loro storie. Rispetto ad altri fenomeni culturali, forse più mainstream, si può affermare che il motociclismo è ancora qualcosa di autentico?
ALESSIO ZONI Tu hai un discreto seguito sui social. In questo spazio, oltre che incontrare la tua community, offri anche un diverso tipo di contenuti. Il raduno è uno dei “rituali” tipici della cultura motociclistica, è un paragone che regge anche online nel creare comunità? Com’è il rapporto con chi ti segue?
242 IDENTITÀ IN MOTO
ALESSIO ZONI In Italia, in generale, c’è una moto in quasi ogni casa. E c’è anche una gloriosa storia produttiva, un mercato ampio, numerosi motoclub, talenti sportivi, semplici appassionati. La moto, insomma, è un’oggetto che permea il nostro retroterra culturale, ma resta spesso sottotraccia, soprattutto a livello mediatico. Dal motociclismo può passare la narrazione di un popolo?
ROBERTO PARODI Forse solo attraverso grandi nomi e grandi modelli. La vespa Piaggio e la Lambretta hanno regalato mobilità e libertà negli anni ‘60 a chi non poteva permettersi la macchina. La MV Agusta, la Guzzi, la Laverda, (assieme a piloti come Agostini, Pasolini e Valentino) hanno fatto la storia del motociclismo e portato al mondo il concetto che gli italiani erano grandi costruttori e ingegneri, ma anche grandi industriali e grandi piloti. Un po’ come è successo per le grandi auto italiane: dalla Ferrari, alla Lamborghini, Maserati e Alfa romeo. In questi termini l’Italia è associata a grandi successi e ne viene assimilata.
ROBERTO PARODI Certo, e anche molto di più: oggi il mio nome è più conosciuto per il web e i social che per il motivo che abbia fatto sette stagioni televisive tra Mediaset e Rai e che abbia scritto nove libri sull’argomento. L’immediatezza e la possibilità di comunicare in modo diretto da parte mia da un lato, e la fruibilità on demand che il pubblico ha rispetto alla televisione, rende il web il luogo ideale per creare una vera community, molto meglio dei programmi TV.
Viktor Radics Nato a Budapest, ma cresciuto a Toronto, Viktor Radics è un fotografo, regista e community builder. La sua passione per le motociclette e, soprattutto, la volontà di costruire nuove relazioni lo ha spinto nel 2013 a dar vita assieme alla moglie Samantha il progetto The Moto Social. Diffusao globalmente, The Moto Social organizza eventi mensili in 21 diverse città, con l’obiettivo di rafforzare il senso di comunità ed aiutare motociclisti (e non) a sentirsi più connessi con le propria realtà locali.
VIKTOR RADICS The Moto Social was created to fill an unmet social need in Toronto. Our motorcycle community needed a positive and inclusive space to gather, connect and thrive and no one was meeting that need at the time. We didn’t create The Moto Social to go global, we just realized from the amazing response we we’re getting to our monthly events here in
BIOGRAFIA
243 Intervista a:
ALESSIO ZONI I heard you define The Moto Social as a “community building organization”. In your opinion – and based on your experience – how does an object like the motorcycle manage to be such an effective resource for binding people and creating communities?
ALESSIO ZONI The motorcycle is an exploration vehicle and – in your case – I would say that it works very well even across the virtual space. How did you manage to create an online community and spread it globally (and, strategically, with which tools)?
VIKTOR RADICS The motorcycle or motorcycling is a unique interest that crosses into more of “a way of life” or a lifestyle for many. Fundamentally the motorcycle binds people together like most interest based connections. For example, if you’re really into pottery, then you’ll probably enjoy social events that are created for pottery enthusiasts, and you’ll enjoy connecting with those people. Motorcycles and motorcycling on the other-hand connect people a bit di erently compared to other “interest based activities” because there is often a shared experience, an adventure and a feeling of overcoming that is part of the connecting process. The individuals passion for the lifestyle, partnered with the experience shared with other “like-minded” moto-enthusiasts creates a somewhat heightened connection experience and bonds people faster.
ALESSIO ZONI “Connecting people” is the goal, the action and the main result of your project. The motorcycle community generally seems to be composed of multiple tribes (i.e. harleysts, sport-bikers, cafe-racers) how did you manage to involve and represent all these identities?
IDENTITÀ IN MOTO Toronto, that we should explore hosting our approachable and inclusive events in other cities as well. Strategically we used the skills we had and made the best of it. My wife and I had a huge passion for meeting new people, we had medium/strong social skills, I had photography skills and some very basic design and social media skills. We mashed those skills together and started showing the world what we were doing and inviting them along to come hang with us.
244
VIKTOR RADICS This is hard and easy for me to answer. The divide between genres or brands in the motorcycle community has always been a problem, a barrier and what created stereotypes. We’ve always believed that people and the motorcycle community itself was missing out by giving into it and limiting themselves only one of those identities. You’re right that there are all types of people who ride bikes. That’s actually the beautiful thing about the motorcycle
ALESSIO ZONI Who are the members of your online and physical community? How would you define the collective identity of The Moto Social?
VIKTOR RADICS I have to split my answer in three parts: Our Team: defined as our friends who represent and organize The Moto Social in each city is made up of 60 friendly and inclusive local moto-enthusiasts based in 21 cities around the world. Our team is 35% Women and 65% men and their average age is probably about 35. Our Audience: defined as the community we’re serving or our guests are super diverse. 40% Women and 60% Men. In 2019 just before covid kicked-in, we hosted about 20.000 people over 107 events Collectiveglobally.Identity: Oooo I like this questions. This one required some deeper thinking. I think I would define the collective identity of The Moto Social as a group of people connected by a great passion for bikes and a greater love for people. We have a few slogans that hint at this: #DontBeADudBeABud and Be A Bud, Love Everyone.
ALESSIO ZONI Your widespread community is based on social media, however your project develops a strong relationship with the urban context where the various The Moto Social groups meet. Let’s consider Toronto: what does the city offer you and what do you think you can offer? Based on the history of the place, do you represent a novelty or a continuity with the pre-existing (moto-cultural) narration?
community, while it is also the weird part. Breaking down barriers and breaking negative stereotypes wasn’t originally why we created The Moto Social. At first we just wanted to hang out with all the nice people who rode motorcycles and we didn’t care if they rode a Harley, a scooter, or a cafe racer. My wife and I, and most of our friends, were of the mindset of “I want to ride all the motorcycles”. Breaking down these genre barriers and breaking negative stereotypes became part of the mission over the years as we noticed that our inclusive and “everyone’s welcome” ethos was having a positive impact on the stereotypical crowd and on the community as a whole. We were showing the motorcycle community a positive, new alternative outlook by introducing them to people who were di erent from them in a social setting and it opened their eyes to how much better life is – how much better motorcycling is – when I’m open to new things, di erent people and all the motorcycles.
7.3. INTERVISTA A: VIKTOR RADICS 245
I think we achieved this by being very intentional in what we did and what we said. We were intentionally leading by example, welcoming everyone, being inclusive and politely discouraging or correcting negative behaviour that alienated anyone. We also made sure all of our team members around the world did the same.
VIKTOR RADICS Great question. I think us living in Toronto and growing up in the culture of this city is a big reason why The Moto Social is successful. The city is super diverse and multicultural, respectful and accepting of everyone. This had a huge impact on our mindset and our culture that I think was refreshing to many cities around the world who are embracing The Moto Social culture and values. I think The Moto Social in Toronto – and really in all the cities we exist in – just amplifies already existing e orts from the local moto communities. Bike meets have always existed, I think we’ve just come in with a very inclusive, human focused approach that is refreshing for riders who don’t identify with any of the usual biker stereotypes.Ourapproach on the ground has always been to have local
VIKTOR RADICS Absolutely! I believe that if we didn’t use photography to communicate along the way, The Moto Social would not be where it is today. Most of our team members heard about us via social media and if we weren’t telling our story and sharing our work via photo and video online, they would have a much harder time getting excited about what The Moto Social is. And same goes for the community. I think our visuals are a huge part in the moto-community identifying with the work we’re doing.
IDENTITÀ MOTO moto enthusiasts building their local moto community by hosting free and inclusive monthly events. “Locals for locals” is how I say it sometimes.
246
VIKTOR RADICS At the moment the only participation from our community is either in-person at our monthly events or on social media through likes and comments. That will change in the near future with The Moto Social ONLINE and other virtual and in real life initiatives we’ll be work on.
IN
ALESSIO ZONI Considering your “social” nature, social media offer a space to share spontaneous and diverse contents. Besides physical participation in your events, there are other ways your community members can become “active” and produce direct contributions?
ALESSIO ZONI Your identity is supported by a great care in the visual storytelling. Do you consider it as an effective resource for shaping your community and engaging its members?
A eck, Janice; Kvan, Thomas
Hell’s Angel: The Life and Times of Sonny Barger and the Hell’s Angels Motorcycle Club, Londra, Fourth Estate.
A Virtual Community as the Context for Discursive Interpretation: A Role in Cultural Heritage Engagement, “International Journal of Heritage Studies”, 14 , No. 3, 1 maggio, pp. 268 80.
“Introduzione all’analisi strutturale dei racconti”, in AA.VV., L’analisi del racconto, Milano, Bompiani, 1969
“Per un design della traduzione”, in Baule, G. e Caratti, E. (a cura di), Design è Traduzione: Il paradigma traduttivo per la cultura del progetto, Milano, FrancoAngeli, pp. 11 36.
Changing the identity of a motorcycle: lessons for life, “Folk Life”, 55, No. 1, 2 gennaio, pp. 22 33 Il sistema degli oggetti, Milano, Bompiani, 2014 .
Alford, Steven E. Alford, Steven E.; Ferriss, Suzanne Balsom, Erika Barger, Baule,Baudrillard,Ballard,Barthes,SonnyRolandRonnieJeanGiovanni;Caratti, Elena 2008 2018 2007 2013 2001 1966 2017 1972 2016
Easy Riders Lost in America: Marx, Mobility and the Hollywood Road Movie, “Class, Race and Corporate Power”, Vol. 6, Issue 2, Article 1.
Motorcycle, London, Reaktion Books.
Around the Clock: Museum and Market, “Framework: The Journal of Cinema and Media”, Vol. 54 , No. 2 (Fall), Wayne State University Press, pp. 177 191.
251 Bibliografia
Bishop, Blankenship,Ted Paul D. Boccia Artieri, Giovanni Bonfantini, Massimo A.; Zingale, Salvatore Boni, Castellano,Castellani,Borges,FedericoJorgeLuisAlessandraSimona
252 IDENTITÀ IN MOTO
“L’arte della motocicletta” in AA.VV., Easy Rider. Il mito della motocicletta come arte, Verona, Arthemisia Books, pp. 19 25.
Bauman, Zygmunt; Vecchi, Benedetto (a cura di)
Beatrice, Luca Berger, John; Nadotti Maria (a cura di)
2018 2019 2007 2013 2012 2015 2020a 1959 1997 2020 2020b
2003 Intervista sull’identità, Roma, Laterza, 2009.
Sulla motocicletta, Vicenza, Neri Pozza.
Mondo Biker. Bande giovanili su due ruote, Roma, Donzelli. La centralità di Instagram nelle narrazioni contemporanee tra transmedia storytelling e contenuti grassroots, “Mediascapes journal”, 0, No. 14 , 11 aprile, pp. 3 20. Fast/Food. Appunti sul “gastro-motociclismo” televisivo, “AG About Gender – Rivista internazionale di studi di genere”, Vol. 9, N° 17, pp. 63 96.
Riding with Rilke: Reflections on Motorcycles and Books. New York, W. W. Norton & Company. Gender, Style, Technology: The Changing Landscape of Motorcycle Culture, The University of Texas at Arlington. Stati di connessione. Pubblici, cittadini e consumatori nella (Social) Network Society, Milano, FrancoAngeli. L’oggetto del progetto. Saggi, dialoghi e lezioni di semiotica intorno al design e all’inventiva progettuale, Brescia, ATì Editore. La sociologia e l’arte della manutenzione della motocicletta. Le scienze sociali e le culture della moto, “Rassegna Italiana di Sociologia” (1/2020), pp. 95 124 . L’Aleph, Milano, Feltrinelli, 2003.
Folk Devils and Moral Panics, Londra, MacGibbon and Kee.
Tribal marketing: The tribalisation of society and its impact on the conduct of marketing, “European Journal of Marketing”, 36, No. 5/6 (gennaio), pp. 595 620 Pulsioni. Il fenomeno del motociclismo. Todi, Tau.
Traduzione: Il paradigma traduttivo per la cultura del progetto, Milano, FrancoAngeli, pp. 173 192.
De Kerckhove, Derrick Codeluppi, Vanni Cohen, Stanley Cova, Bernard; Cova Véronique D’Amico, Laura De Kerckhove, Derrick D’Elia, Dolles,Dencik,AnnaLarsHarald et al. 1996 2017 2016 2015 1972 2002 2019 1997 1988 2001 2018
Media culture design. Introduzione alla cultura dei media per il design della comunicazione, Milano, FrancoAngeli.
Mi metto in vetrina. Selfie, Facebook, Apple, Hello Kitty, Renzi e altre “vetrinizzazioni”, Milano, Mimesis.
Connected intelligence: the arrival of the web society, Toronto, Somerville House. L’universo futurista: una mappa, dal quadro alla cravatta, Bari, Dedalo.
BIBLIOGRAFIA 253
“Transformations of Identities in Rapidly Changing Societies”, in Carleheden, M. e Michael H. Jacobsen M. H., The Transformations of Modernity: Aspects of the Past, Present and Future of an Era, 183 224 . Londra, “MotorcycleAshgate.
Castells, Ciastellardi,Ciastellardi,ManuelMatteoMatteo;
The Rise of the Network Society, Cambridge-Oxford, Blackwell.
“La narrazione e il supporto”, in Baule, G. e Caratti, E. (a cura di), Design è
Racing and Neo-Tribes at the Isle of Man”, in Hardy, A., Bennett, A. e Robards, B. (a cura di), Neo-tribes: Consumption, leisure and tourism, Cham, Palgrave Macmillan, pp. 119 34 .
Towards a Philosophy of Photography, Londra, Reaktion Books. “Vernacular Design: A Discussion on Its Concept”, in da Costa Braga, M., Farias P., Calvera A., e Schincariol Z. (a cura di), Design Frontiers: Territories, Concepts, Technologies, São Paulo, Blucher, pp. 557 61.
On Any Sunday, “Chicago Sun”, 3 agosto.
Road movie. Immaginario, genesi, struttura e forma del cinema americano on the road, Torino, UTET Università. Che cosa vogliono gli algoritmi? L’immaginazione nell’era dei computer, Torino, Einaudi.
“With a Little Help from My Friends: How Social Network Sites A ect Social Capital Processes”, in Papacharissi, Z. (a cura di), A Networked Self: Identity, Community and Culture on Social Network Sites, New York-Oxon, Routledge, pp. 124 145.
254 IDENTITÀ IN MOTO Drutt, Matthew; Krens Thomas Durand, Gilbert Ebert, Ellison,Finizola,Flusser,Ferraresi,Finn,Frasca,Finkelstein,Ferrar,RogerAnnJoanneGiampieroEdMauroVilémFátimaetal.NicoleB.etal.
Hear Me Roar: Women, Motorcycles, and the Rapture of the Road, New York, Crown Pub. Foodatainment, “Performance Research”, Vol. 4 , No. 1, pp. 130 136.
“Storie di icone. Dall’icona all’icona culturale”, in Bernardelli, A. e Grillo, E. (a cura di), Be cool. Come nasce un’icona culturale, “Ocula 22”, Vol. 21, No. 22 , aprile, pp. 7 15.
1998 1977 1971 1996 1999 2001 2018 2020 1983 2012 2011
The Art of the Motorcycle, New York, Guggenheim Museum Publications. L’immaginazione simbolica, Milano, Ipoc, 2012.
“Testi fatti a pezzi. Il culto mediale come ars excerpendi”, in Bernardelli, A. e Grillo, E. (a cura di), Be cool. Come nasce un’icona culturale, “Ocula 22”, Vol 21, No 22 (Aprile 2020), pp. 16 32.
The Original Wild Ones: Tales of the Boozefighters Motorcycle Club Est. 1946, Saint Paul (Minnesota), Motorbooks International.
Subculture: The Meaning of Style, Londra, Routledge. “I film di bikers”, in Martini, E. (a cura di), Innamorati e lecca lecca. Indipendenti americani anni sessanta, Torino, Lindau.
The role of leisure in meaning-making and engagement with life, “The Journal of Positive Psychology”, 13, No. 1, pp. 29 35.
255
Heritage and Social Media: Understanding heritage in a participatory culture, New York, Routledge. L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, Torino, Bollati Boringhieri. Narrative Inquiry and the Study of Grassroots Associations, “Voluntas: International Journal of Voluntary and Nonprofit Organizations”, 15, No. 1, 1 marzo, pp. 47 69.
Hayes,Guarnaccia,EduardoMatteoBill;Nichols, Dave Hebdige, Iwasaki,Hinderycks,DickGregYoshitaka
Frutiger, Adrian Gadda, Carlo Emilio Giaccardi, Elisa (a cura di)
Gottschall, Jonathan Glover, Troy D. Grillo,
1978 1944 2012 2014 2004 2020 2009 2005 1979 1991 2017
Segni & simboli. Disegno, progetto e significati, Viterbo, Stampa Alternativa & Gra ti, 1996 L’Adalgisa. Disegni milanesi, Milano, Garzanti, 2011.
et al.
Ribelli con stile. Un secolo di mode radicali, Milano, ShaKe.
BIBLIOGRAFIA
Luca 1986 2006 2013 2003 2018 2009 1998 1998 1993 2017 2013
LaKuldova,Krakauer,Kinsella,Kimmelman,KieJohnston,BarbaraKimA.ner,GaryL.MichaelEileenJonTerezaCecla,Franco;Vitone,
“Toward a Theory of Social Engagement”, in Johnston, K. A. e Taylor, M. (a cura di), The Handbook of Communication Engagement, Hoboken, WileyBlackwell, pp. 19 32.
Riding the Borderlands: The Negotiation of Social and Cultural Boundaries for Rio Grande Valley and Southwestern Motorcycling Groups, 1900 2000, El Paso (Texas), The University of Texas. Machines As Art, And Art As Machine, “The New York Times”, 26 giugno.
Guggenheim in Rare Tie-In With BMW for Bike Show, “Wall Street Journal”, 22 maggio. A Hog is still a hog, but the “wild ones” are tamer, “Smithsonian”, Vol. 24 , No. 8, November, pp. 88 99.
Non è cosa. Vita a ettiva degli oggetti/Non siamo mai stati soli. Oggetti e disegni. Milano, Elèuthera.
Cultura convergente, Milano, Apogeo, 2007.
256 IDENTITÀ IN MOTO Japenga, Ann Jenkins, Henry Jenkins, Henry et al. Joans,
Motor Maids: More Like the Mild Ones Than the Wild Ones, “Los Angeles Times”, 17 luglio.
The Sublime Splendor of Intimidation: Outlaw Biker Aesthetics of Power, “Visual Anthropology”, 30, No. 5, 20 ottobre, pp. 379 402
Santarcangelo di Romagna, Maggioli.
“Women Who Ride: The Bitch in the Back Is Dead”, in AA.VV., Athletic Intruders: Ethnographic Research on Women, Culture and Exercise, New York, State University of New York Press, pp. 159 176.
Spreadable media. I media tra condivisione, circolazione, partecipazione,
Laderman, David Lawrence, Thomas E. Levy, Steven MaLife esoli, Michel
Osgerby,Morgenstern,Miyake,McLuhan,McDonald-Walker,H.SuzanneMarshallEsperanzaJoeBill
BIBLIOGRAFIA
Motorcyclists And Community In Post-Industrial Urban America, “Urban Anthropology and Studies of Cultural Systems and World Economic Development”, 27 (3/4), pp. 263 299.
Marinetti, Filippo Tommaso, Maxwell, Andrew
Bikers: Culture, Politics & Power, Londra, Bloomsbury Academic.
The Gendered Motorcycle. Representations in Society, Media and Popular Culture, London-New York, I. B. Tauris.
Sleazy Riders. Exploitation, “Otherness” and Transgression in the 1960s Biker Movie, “Journal of Popular Film & Television”, 31.3, pp. 98 108.
Cyclist’s Holiday. He and friend terrorize a town, 21 luglio, p. 31.
The Time of the Tribes: The Decline of Individualism in Mass Society. California, SAGE, 1996.
1994 1947
1967 2018 2004 2003
Icone d’oggi, Palermo, Sellerio. I Manifesti del futurismo. Lanciati da Marinetti [et al.], Firenze, Lacerba, 1914 .
Gli strumenti del comunicare, Milano, Garzanti, 1986.
Driving Visions: Exploring the Road Movie, Austin (Texas), University of Texas. Lo stampo, Milano, Adelphi, 1996.
Easy Revolutionary: Che Guevara Loves and Bikes In Fine “Motorcycle Diaries”, “Wall Street Journal”, 24 settembre.
257
2010 1936 1988 2009 1909 1998 2000
Hackers. Gli eroi della rivoluzione informatica, Milano, ShaKe.
258 IDENTITÀ IN MOTO Parks, Malcom R.
Il veicolo perfetto, Parma, Guanda.
“Oggetti persistenti. La somiglianza a posteriori nelle icone del design”, in Bernardelli, A. e Grillo, E. (a cura di), Be cool. Come nasce un’icona culturale, “Ocula 22”, Vol. 21, No. 22, aprile 2020, pp. 313 340.
“Community Heritage”, in AA.VV., The Encyclopedia of Archaeological Sciences, 1 5. Hoboken, JohnWiley & Sons.
Le narrative della moda. Egemonia, genere, identità, “Annali d’Italianistica”, 16, 1998, pp. 315 37.
Riboldi, Anna; Zingale, Salvatore Pasolini, Pier Paolo Paulicelli, Eugenia Pierson, Melissa H. Pinch, Philip; Reimer, Suzanne Pirsig, Robert M. Pitsillides, Stacey et al. Pomilio, Mario Purser, Resnick,MargaretPaul
Moto-mobilities: Geographies of the Motorcycle and Motorcyclists, “Mobilities”, 7, 3, pp. 439 457
Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, Milano, Adelphi, 1981.
“Social Network Sites as Virtual Communities”, in Papacharissi, Z. (a cura di), A Networked Self: Identity, Community and Culture on Social Network Sites, New York-Oxon, Routledge, pp. 105 23.
2020 1959 1998 1997 2012 1974 2012 1961 2018 2001
Adolescenza traviata, Firenze, Sansoni.
“Beyond Bowling Together: SocioTechnical Capital”, in Carroll, J. M. (a cura di), Human-Computer Interaction in the New Millennium, Boston, Addison-Wesley, pp. 647 72.
La colpa non è dei teddy boys, “Vie Nuove”, XIV edizione, 10 ottobre.
“Museum of the self and digital death: an emerging curatorial dilemma for digital heritage”, in Giaccardi, E. (a cura di), Heritage and Social Media: Understanding heritage in a participatory culture, New York, Routledge, pp. 56 68.
2011
L’identità narrativa, in Baldini, A. (a cura di), “Allegoria: per uno studio materialistico della letteratura”, Anno XXI, lug./dic., No. 60, pp. 93 104, 2009
Kamikaze Biker: Parody and Anomy in A uent Japan, Chicago, University of Chicago Press.
BIBLIOGRAFIA 259 Riccò,
La Rumagna de Mutor, Faenza, Astorre. Che Today? More Easy Rider Than Revolutionary, “The New York Times”, 26 maggio. Taxa & taboo. Saggi di etnografia cognitiva, Verona, QuiEdit.
Crime as Play and Excitement : A Conceptual Analysis of Japanese Bosozoku (Motorcycle Gangs), “Tohoku psychologica folia”, 41, 22 marzo, pp. 64 84 .
“Due ruote e due bobine” in AA.VV., Easy Rider. Il mito della motocicletta come arte, Verona, Arthemisia Books, pp. 184 189
Schouten,Sato,Sarti,Roster,Rossi,Ronzon,Rohter,Rivola,Ricœur,DinaPaulLuigiLarryFrancescoValentinoCatherineA.GiorgioIkuyaJohnW.;McAlexander,
Subcultures of Consumption: An Ethnography of the New Bikers, “Journal of Consumer Research”, 22, No. 1, pp. 43 61
Sennett, Richard 1997 L’uomo artigiano, Milano, Feltrinelli, 2008.
James H. 2016 1991 1975 2004 2009 2018 2007 2018 1983 1995 1991
“Velocità” in Cannella, M. e Lazzarini, B. (a cura di), lo Zingarelli 2019 (Limited Edition VR46), Bologna, Zanichelli. “Girl Power” and Participation in Macho Recreation: The Case of Female Harley Riders, “Leisure Sciences”, 29, No. 5, 2 ottobre, pp. 443 61.
“Traduzioni multiple”, in Baule, G. e Caratti, E. (a cura di), Design è Traduzione: Il paradigma traduttivo per la cultura del progetto, Milano, FrancoAngeli, pp. 151 72.
260 IDENTITÀ IN MOTO Simon, Art Simon, Roger I. Solinas, Pier Giorgio Steiner, Thompson,GeorgeHunter
Subculture giovanili, fenomeni tutti da studiare, “Vita & Pensiero”, 2015, No. 3, 1 gennaio.
The “system” of automobility, “Theory, Culture and Society”, 21, pp. 25 39.
“Remembering together: social media and the formation of the historical present”, in Giaccardi, E. (a cura di), Heritage and Social Media: Understanding heritage in a participatory culture, New York, Routledge, pp. 89 106 “Subculture”,. in AA.VV., Enciclopedia delle scienze sociali, Vol. VIII, Roma, Treccani. Uneasy Rider, “The New Yorker”, 15 aprile.
Hell’s Angels: A Strange and Terrible Saga, New York: Ballantine Books, 1996.
S. Thompson, Steven L. Thompson, William E. Tosoni, Townshend,SimonePete; Wenner, Jann (intervista di) Urry, Vertov,JohnDziga 1998 2012 1998 1974 1967 2000 2008 2015 1968 2004 1922
The Rolling Stone Interview: Pete Townshend, “Rolling Stone”, 18/9.
“We: Variant of a Manifesto” in Michelson, A. (a cura di), Kino-Eye: The Writings of Dziga Vertov, Berkeley, University of California Press, 1985.
The Arts of the Motorcycle: Biology, Culture, and Aesthetics in Technological Choice, “Technology and Culture”, Vol. 41, No. 1, January, The Johns Hopkins University Press, pp. 99 115.
“Freedom or Death: Notes on the Motorcycle in Film and Video” in Drutt M. e Krens, T. (a cura di), The Art of the Motorcycle, New York, Guggenheim Museum Publications, pp. 68 81.
Pseudo-Deviance and The “New Biker” Subculture: Hogs, Blogs, Leathers, and Lattes, “Deviant Behavior”, 30, No. 1, 26 novembre, pp. 89 114 .
“The Expressive Style of a Motor-Bike Culture”, in Gott, M., Jones, L. e Sidell, M. (a cura di), Health and Wellbeing: A Reader, Londra, MacMillan, pp. 144 51
Smith, Laurajane Watson, Steve; Waterton, Emma Willis, Paul E. Wolf, Daniel R. Wolfe, Zingale,TomSalvatore
Le voci delle cose. Progetto idea destino, Torino, Einaudi.
Latest Biker Hangout? Guggenheim Ramp, “The New York Times”, 3 agosto.
BIBLIOGRAFIA 261
Heritage and community engagement, “International Journal of Heritage Studies”, 16, No. 1 2, 1 gennaio, pp. 1 3
“Come una traduzione”, in Baule, G. e Caratti, E. (a cura di), Design è
Vitta, Waterton,Vogel,MaurizioCarolEmma;
Traduzione: Il paradigma traduttivo per la cultura del progetto, Milano, FrancoAngeli, pp. 71 94 .
The Rebels: A Brotherhood of Outlaw Bikers, Toronto, University of Toronto Press. The Painted Word, New York, Farrar, Straus and Giroux.
The recognition and misrecognition of community heritage, “International Journal of Heritage Studies”, 16, No. 1 2, 1 gennaio, pp. 4 15.
2016 1998 2010 2010 1994 1991 1975 2016
Suzanne 2015 2019 2020 2014 2017 2018 2010 Why Motorcycle Studies?, “International Journal of Motorcycle Studies”, <https://motorcyclestudies.org/why-motorcycle-studies/>; in rete il 23 ottobre 2020. 12 o’clock in Accra, “The Fader”, 18 settembre, <https://www.thefader. com/2019/09/18/12-oclock-in-accra-ghana-bikes-photo-essay>; in rete il 19 gennaio 2021. Anatomia della trap, il fascino indiscreto della trasgressione, “il Manifesto”, 7 marzo, della-trasgressione/>;<https://ilmanifesto.it/anatomia-della-trap-il-fascino-indiscreto-inreteil 19 gennaio 2021.
Narrarsi per avere un senso, “Il Sole 24 Ore”, 18 novembre, <http://www. ilsole24ore.com/art/notizie/2014 05 18/narrarsi-avere-senso- 081330. shtml?uuid=ABPEBAJB>; in rete il 10 febbraio 2021.
The Oldest Women’s Motorcycle Club Is Strictly Feminine and Also Badass, “Timeline”, 7 agosto, <https://timeline.com/motor-maids-2a8d052d57de>; in rete il 19 gennaio 2021.
Mototintype: Documenting Biker Culture in America, “Two Lanes Blog”, 26 aprile, <https://www.antiquearchaeology.com/blog/tag/the-vintagent/>; in rete il 10 febbraio 2021.
262 IDENTITÀ IN MOTO Sitografia
Alford, Steven E. Amegavie, Alford,Buckholtz,Buck,Bianchi,Bacciocchi,OfoeAntonioEnzoStephanieSarahStevenE.;Ferriss,
Peer-Reviewed, Timely, Global and Free: Online Scholarly Publication, “International Journal of Motorcycle Studies”, 31 marzo, <https:// motorcyclestudies.org/volume- 6-issue-1-fall-2010/peer-reviewed-timelyglobal-and-free-online-scholarly-publication/>; in rete il 10 febbraio 2021.
Alessandro; Farina Mauro (intervista di) Falco, Hutch,Jennings,Gentili,Galluzzo,CharlesMicheleMarcoDareRichard
EICMA 2019: le cinque tendenze (più una) del Salone, “DueRuote”, 7 novembre, <https://www.dueruote.it/news/attualita/2019/11/07/eicma-2019 -letendenze-le-moto-le-novita.html>; in rete il 15 febbraio 2021.
The Deus Bike Build O is back for 2019, “Deus Ex Machina”, <https://www. youtube.com/watch?v=xFepyZRT_i0>; in rete il 15 febbraio 2021.
2021 Rodaggio Film: storie e pellicole a due ruote, “The Creative Brothers”, 3 agosto, marotto-rodaggio-film/>;<https://www.thecreativebrothers.com/silva-fedrigo-alessandro-inreteil 15 febbraio 2021.
SITOGRAFIA 263
“Roger Corman” in Post Mortem with Mick Garris, Ep. 5, S. 1, Nice Guy Productions, <https://www.mickgarrisinterviews.com/roger-corman>; in rete il 3 dicembre 2020.
Art of the Motorcycle, College of Optical Sciences, The University of Arizona Wyant, <https://wp.optics.arizona.edu/falco/art-of-the-motorcycle/>; in rete il 3 dicembre 2020 Logo in real life, “Rapso Magazine”, 8 giugno, <https://www.rapsomag.com/ post/logo-in-real-life; in rete il 19 gennaio 2021.
Death By Cocteau, “The Vintagent”, 22 luglio, <https://thevintagent. com/2018/07/22/death-by-cocteau/>; in rete il 3 dicembre 2020
Manuale minimo per capire la trap, “Wired”, 2 giugno, <https://www.wired. it/play/musica/2018/06/02/manuale-minimo-trap/>; in rete il 19 gennaio
Speed Masters Throttle Up: Space, Time and the Sacred Journeys of Recreational Motorcyclists, “International Journal of Motorcycle Studies”, <http://ijms.nova.edu/July2007/IJMS_Artcl.Hutch.html>; in rete il 7 novembre 2020.
2018 2018 2017 2004 2020 2019 2019 2007
2011
Corman, Fedrigo,Ermisino,D’Orléans,RogerPaulMaurizioSilvia;Marotto,
15 febbraio 2021.
The CMG Video Chat: The Moto Social, “Canada Moto Guide”, 9 aprile, <https://canadamotoguide.com/2020/04/09/the-cmg-video-chat-the-motosocial/>; in rete il 15 febbraio 2021.
Radics,Moto.it
Viktor; Woods, Dustin (intervista di) Osaki, Tomohiro 2019 2017 2012 2010 2015 2019 2020 2016 2018
Rider Self-Reports on the Beneficial E ects of Motorcycle Riding, “International Journal of Motorcycle Studies”, <https://motorcyclestudies. org/volume-15 2019/rider-self-reports-on-the-beneficial-e ects-ofmotorcycle-riding-h-paul-leblanc-iii/>; in rete il 5 novembre 2020.
264 IDENTITÀ IN MOTO Le Blanc III, Paul H. McWatt, Anthony Minoli, Federico Minoli, Federico; Varone, Alessandro (intervista di) Miyake, Esperanza
La Settimana del Tribal Marketing. Il caso Ducati, “NinjaMarketing”, 9 aprile, <https://www.ninjamarketing.it/2010/04/09/la-settimana-del-tribalmarketing-il-caso-ducati/>; in rete il 19 gennaio 2021
Robert Pirsig & His Metaphysics of Quality, “Philosophy Now”, Issue 122: October/November, <https://philosophynow.org/issues/122/Robert_Pirsig_ and_His_Metaphysics_of_Quality>; in rete il 3 dicembre 2020.
BikerFace, l’App che mette in contatto i motociclisti, 15 novembre, motociclisti.html>;www.moto.it/accessori/bikerface-l-app-che-mette-in-contatto-i-<https://inreteil
Japan’s bosozoku bikers: a vanishing rebel breed, “The Japan Times”, 13 dicembre, <https://www.japantimes.co.jp/news/2016/12/13 Wsocial-issues/japans-bosozoku-bikers-a-vanishing-rebel-breed/#./national/
Living with the fans. Learning from the Ducatisti, presentato a “Stagis: The authentic companies”, Copenhagen, 23 febbraio, https://vimeo. com/39413912; in rete il 19 gennaio 2021.
Deleuzian Motorcycle: Towards a Theory of Motorcycles and the Other, “International Journal of Motorcycle Studies”, <https://motorcyclestudies. org/volume-11-issue-1-spring-2015/deleuzian-motorcycle-towards-a-theoryof-motorcycles-and-the-other/>; in rete il 14 settembre 2020.
7w9WWhKiUk>; in rete il 19 gennaio 2021.
Worn to be wild: Tokkōfuku combat uniforms, “The Japan Times”, 15 ottobre, https://features.japantimes.co.jp/tokkofuku/; in rete il 19 gennaio 2021.
2015 1999
Choppers & beatniks: l’America e i gruppi di Roger Corman, “Fucinemute”, 1 gennaio, <https://www.fucinemute.it/1999/01/choppers-beatniks-lamericae-i-gruppi-di-roger-corman-i/> in rete il 3 dicembre 2020.
“Motociclismo” in Vocabolario Treccani on line, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, <https://www.treccani.it/vocabolario/motociclismo>; in rete il 19 gennaio 2021. When merchants enter the temple, aprile 19, <https://www.economist.com/ business-special/2001/04/19/when-merchants-enter-the-temple>; in rete il 3 dicembre 2020.
SITOGRAFIA 265
outlaws-<https://jalopnik.com/the-riot-and-the-photo-that-made-bikers-into-luglio, 1729051837>; in rete il 3 dicembre 2020.
Ries,
Hell’s Union: Motorcycle Club Cuts as American Folk Art, “KCET”, 13 novembre, motorcycle-club-cuts-as-american-folk-art>;<https://www.kcet.org/shows/artbound/hells-union-inreteil 19 gennaio 2021.
Hells Angels vs. Allen Ginsberg: The Unlikely Vietnam War-Era Confrontation, “San Francisco Chronicle”, 15 maggio, thetake/article/Hells-Angels-vs-Allen-Ginsberg-The-unlikely-<https://www.sfchronicle.com/ 12911542. php>; in rete il 15 gennaio 2021
How a Drunk Guy on a Motorcycle Helped Create the Modern Biker Gang, “Mashable”, maggio 18, <https://mashable.com/2015/05/18/1947-hollisterbike-riot/>; in rete il 3 dicembre 2020.
VanTheTreccaniStallings,Spanu,Smith,BrianJerryMassimilianoTylerEconomistNiekerken,Bill 2015 2012 s.d. 2001 2018
The Riot And The Photo That Made Bikers Into Outlaws, “Jalopnik”, 9
Booth, Walter R. (regia di), Charles Urban Trading Company, Regno Unito.
Sennet, Mack (regia di), Keystone Film Company, Stati Uniti.
Fellini, Federico (regia di), Ponti-De Laurentiis Cinematografica, Italia. Marcellini, Romolo (regia di), Sirio Film, Italia.
La
The Uncontrollable Motorcycle Mabel at the wheel (Charlot e Mabel)
266 IDENTITÀ IN MOTO
Keaton, Buster (regia di), Buster Keaton Productions, Stati Uniti.
Vertov, Dziga (regia di), Unione Sovietica. Cocteau, Jean (regia di), Andre Paulve Film, Francia.
Wyler, William (regia di), Paramount Pictures, Stati Uniti.
The Wild One (Il selvaggio)
Sherlock jr. (La palla n° 13)
Pane, amore e fantasia strada notti
Benedek, Laslo (regia di), Stanley Kramer Productions, Stati uniti. Comencini, Luigi (regia di), Titanus, Italia.
Kinoglaz (Cineocchio) Orphée (Orfeo) Roman Holiday (Vacanze romane)
Opere citate FILM (in ordine cronologico)
di Cabiria 1909 1914 1924 1924 1950 1953 1953 1953 1954 1957 1957
Fellini, Federico (regia di), Ponti-De Laurentiis Cinematografica, Italia.
I fidanzati della morte Le
Sturges, John (regia di), The Mirisch Company-Alpha, Stati Uniti.
Il
Corman, Roger (regia di), American International Pictures, Stati Uniti.
Prieto, Joseph G. (regia di), Trans-International Films, Stati Uniti.
Satan’s
Salce, Luciano (regia di), Dino de Laurentiis Cinematografica, Italia.
Rush, Richard (regia di), American International Pictures, Stati Uniti.
selvaggi) La dolce vita
The Savage Seven The Mini-Skirt Mob (Senza sosta)
Sadists
The Cycle
Devil’s Angels (Facce senza Dio)Savagesfederalefrom
Haller, Daniel (regia di), American International Pictures, Stati Uniti.
Dexter, Maury (regia di), American International Pictures, Stati Uniti .
Motorcycle She Devils on Wheels
Cardi , John (regia di), Adel Productions, Regno Unito-Francia.
Adamson, Al (regia di), Independent-International Pictures, Stati Uniti.
Brame, Bill (regia di), Maurice Smith Productions, Stati Uniti.
Girl on a
The Great Escape (La grande fuga)
Cahn, Edward L. (regia di), Golden State Productions, Stati Uniti.
Meyer, Russ (regia di), Eve Productions, Harlequin Pictures, Stati Uniti..
Hell
Savages 1957 1965 1960 1966 1960 1967 1961 1968 1963 1968 1968 1968 1968 1969 1970
Lewis, Herschell G. (regia di), Mayflower Pictures, Stati Uniti.
Zampa, Luigi (regia di), Royal Film, Italia.
OPERE CITATE 267 Motorcycle TheIlMotorpsycho!GangvigileWildAngels(I
Fellini, Federico (regia di), Riama Film-Cinecittà, Italia.
268 IDENTITÀ IN MOTO I
OnclownAny
Sunday (Il rally dei campioni)
Laperrousaz, Jérôme (regia di), Open Films, Productions Filmanthrope, Fellini,Francia.Federico (regia di), Solar Productions, Italia-Francia.
Fellini, Federico (regia di), RAI-Compagnia Leone Cinematografica, ItaliaFrancia-Germania Est.
1970 1972 1979 1971 1973 1975 1980 1981 1993 2003 2001 2003 2004 1990
LaTorqueBikerFastMatrixCaroTheLaElectraAmarcordContinentalQuadropheniaCircusGlideinBluecittàdelledonneLovelessdiarioReloadedandFuriousBoyzvocedellaluna
Guercio, James W. (regia di), Guercio-Hitzig, Stati Uniti.
Bigelow, Kathryn e Montgomery, Monty (regia di), Pioneer Films, Stati Moretti,Uniti.Nanni (regia di), Sacher Film, Italia-Francia.
The Wachowski Brothers (regia di), Warner Bros., Stati Uniti. Cohen, Rob (regia di), Universal Pictures, Stati Uniti. Bythewood, Reggie R. (regia di), Dreamworks Pictures, Stati Uniti. Kahn, Joseph (regia di), Warner Bros., Stati Uniti. Fellini, Federico (regia di), Cecchi Gori Group, Italia-Francia.
Brown, Bruce (regia di), Solar Productions, Stati Uniti. Roddam, Franc (regia di), The Who Films, Polytel, Regno Unito.
Fellini, Federico (regia di), Gaumont, Italia-Francia.
Zani, Je rey (regia di), San Marino-Italia.
Pemberton, Justin (regia di), Visionary, Nuova Zelanda.
Groening, Matt et al. (creato da), Gracie Films-20th Century Fox Television, Stati Oliver,Uniti.Jamie (ideato da), BBC, BBC Two, Regno Unito.
Zani, Je rey (regia di), San Marino-Italia.
Becker, Walt (regia di), Touchstone Pictures, Stati Uniti.
OPERE CITATE 269 Love, Speed and Loss Wild Hogs (Svalvolati on the road)
SERIE E PROGRAMMI TV (in ordine cronologico)
e di moto veloci
Zani, Je rey (regia di), San Marino-Italia.
Beers, Tom (creato da), Discovery Channel, Stati Uniti. Lee, Ang (regia di), Skydance Media, Stati Uniti.
2005 2007 2012 2014 2016 2020 1974 84 1989 1999 01 2002 07 2019
Il Mago GeminiBikerTheTheHappyRomagnaManciniRacingDaysSimpsonsNakedChefBuild-OMan
Scuderia Morbidelli:Filibustastoriedi uomini
Diarios de motocicleta (I diari della motocicletta) 2004 Salles, Walter (regia di), FilmFour, Argentina et al. Supercross 2005 Boyum, Steve (regia di), Tag Entertainment, Stati Uniti.
Marshall, Gary (creato da), Miller-Milkis Productions, Stati Uniti.
Zani, Je rey (regia di), San Marino-Italia.
Pilgrim Films & Television, Discovery Channel, Stati Uniti.
TheAmerican#DiarioDellaMotociclettaUpChopperHairyBikers’Cookbook
Ewan e Boorman, Charley (ideato da), Elixir Films, BBC Two, Regno Unito.
McGregor, Ewan e Boorman, Charley (ideato da), Elixir Films, Sky 1, Regno McGregor,Unito.
2004 2007 2008 14 2012 17 2013 14 2017 2020 2019 2003 10 2004
Pezzali, Max (ideato da), Squarcia, Giorgoi J. (regia di), Deejay TV. Sunrise, Sky Uno, Italia. McGregor, Ewan e Boorman, Charley (ideato da), Elixir Films, Apple+, Regno Parodi,Unito.Roberto (ideato da), Rai, Rai 2, Italia.
Sutter, Kurt (creato da), SutterInk, FX, Stati Uniti.
270 IDENTITÀ IN MOTO Long Way Round Long Way Down Sons of Anarchy Born to Ride Le strade di Max Lord of the Bikes Long Way
Parodi, Roberto (ideato da), Mediaset, Italia 2, Italia.
Stroud, John (regia di), BBC Two, Regno Unito.
Born to be Wild Paninaro 1968 1986 Steppenwolf (eseguito da), Gabriel Mekler (prodotto da), Dunhill Records, Stati Uniti Pet Shop Boys (eseguito e prodotto da), Parlophone, Italia. CANZONI (in ordine cronologico)
OPERE CITATE 271
Latinoamericana, Milano, Feltrinelli, 1993 Warren, Lady Wallach, Theresa Rooney, Frank Fulton, Robert Edison jr.
LIBRI E RACCONTI (in ordine cronologico)
BoosterAutoBandoBlu
1979 1992 I viaggi di Jupiter, Milano, Longanesi, 1981.
One Men Caravan, New York, Brace and Company.
1922 1935 1951 1937 Through Algeria & Tunisia on a Motor-Bicycle, Londra, Jonathan Cape.
Simon Guevara,TedErnesto
The Rugged Road, High Wycombe, Pather, 2001
Parodi, Roberto 2008 2010 2011 2013 Il cuore a due cilindri, Milano, TEA. Scheggia, Milano, TEA. Controsole, Milano, TEA. Chiedi alla strada, Milano, TEA.
Cyclists’ Raid, “Harper’s magazine”, gennaio, pp. 35 44 .
2020 2020 2018 Anna (eseguito da), Soulker (prodotto da), Virgin Records, Italia.
Shiva (eseguito da), Adam11 (prodotto da), Jive, Italia. DrefGold (eseguito da), Daves the Kid (prodotto da), Billion Headz Music Group, Italia.
FIG. 5 Traffico dell’ora di punta a Taipei, Taiwan (2009). FIG. 6 Motocross at Opio, France, Jacques Henri Lartigue, (1967). FIG. 8 L’iconico salto di McQueen in La grande fuga (1963).
FIG. 1 Daimler Einspur (1885). FIG. 2 Ducati Panigale 1199 (2014).
FIG. 9 La fotografia del biker scattata a Hollister da Barney Peterson e apparsa su Life (1947).
FIG. 12 Frame di avvertenza tratto dall’intro di The Wild One (1953). FIG. 13 Tavola di Tom of Finland. FIG. 14 Poster promozionale del film The WIld Angels (1996).
FIG. 18 Poster promozionale del film Easy Rider (1969). FIG. 19 Mario Sironi, L’uomo nuovo (1918). FIG. 21 Mario De Biasi, Gli italiani si voltano (1954). FIG. 20 Scurèza ‘d Corpolò, uno dei personaggi della Rimini felliniana di Amarcord (1973).
FIG. 10 Seguenza tratta dall’intro del film The Wild One (1953). FIG. 11 Marlon Brando nel ruolo di Johnny Strabler.
FIG. 22 Arthur “The Fonz” Fonzarelli, interpretato da Henry Winkler in Happy Days (1974–84). FIG. 15 Peter Fonda e Dennis Hopper in una scena tratta dal film Easy Rider (1969).
FIG. 3 Valentino Rossi e la sua Yamaha M1, ritratti da Gigi Soldano (2013).
FIG. 17 Il casco indossato da Peter Fonda, diventato iconico anche per il mercato.
FIG. 16 Copertina dell’album Steppenwolf (1969).
P. 16 P. 50 P. 53 PP. 54–55 PP. 56–57 P. 58 P. 59 P. 60 P. 61 P. 62 P. 63 P. 64 P. 16 P. 23 P. 38 P. 39 P. 44 P. 44 P. 47 P. 49 P. 49 PP. 32–33 FIG. 4 Jan Hoek e Bobbin Case, Boda Boda Madness (2019).
Indice delle figure
272 IDENTITÀ IN MOTO
FIG. 7 Audrey Hepburn e Gregory Peck su una Vespa in Vacanze romane (1953).
FIG. 48 Bill Ray, Hells Angels playing pool inside a clubhouse, San Bernardino (1965).
FIG. 37 Marchio Donneinsella.dell’associazione FIG. 36 Linda Dugeau (a sinistra) e Dot Robinson con la divisa da Motor Maids FIG. 38 M. Holden Warren, Chino, Baltimora (2018). FIG. 39 Ofoe Amegavie, 12 o’clock in Accra, Ghana (2018). FIG. 40 Il simbolo Mod ripreso e reso celebre dalla band The Who FIG. 41 Jimmy Cooper (Phil Daniels) è il protagonista del film Quadrophenia (1979). FIG. 42 Terence Spencer, Mods & Rockers (1964). FIG. 43 La bandiera del Sol Levante parte dell’iconografia Bōsōzoku FIG. 44 Dettaglio tokkōfuku. Foto: Tomohiro Osaki (2018). FIG. 45 Masayuki Yoshinaga, Bosozoku (2002). FIG. 46 Lo stemma dei Boozefighters, tra i primi club MC americani. FIG. 47 Le patch (gli stemmi) dei Big Four MC americani.
FIG. 23 Gli Hell’s Satans, il motoclub outlaw dell’universo The Simpsons FIG. 24 Poster promozionale del documentario On Any Sunday (1972) di Bruce Brown. FIG. 25 Theresa Wallach e la sua Norton 350 (1939). FIG. 26 Robert Pirsig e il figlio Chris fotografati dall’amica Sylvia Sutherland (1968). FIG. 27 Manifesto della mostra “The Art of the Motorcycle” (1998). FIG. 28 Dettaglio dell’allestimento di Frank Gehry per la mostra “The Art of the Motorcycle” (1998). FIG. 29 Jacques Henri Lartigue, Route from LA to Carmel (1972). FIG. 30 Marchio di HOG – Harley Owners Group FIG. 32 Cliff Vaughs in sella a una delle sue creazioni. FIG. 31 Il chopper Captain America FIG. 33 Un marchio di 110 anni: l’evoluzione del logo della Federmoto. FIG. 34 L’identità del brand The Rider’s Land applicata al Circuito di Misano Adriatico. FIG. 35 Stemma del motoclub The Motor Maids
INDICE DELLE FIGURE
P. 64 P. 89 P. 89 P. 92 P. 93 P. 94 P. 95 PP. 96–97 P. 98 P. 99 PP. 100–101 P. 102 P. 103 P. 104 P. 66 P. 68 P. 70 P. 71 P. 73 P. 75 P. 83 P. 85 P. 85 P. 86 P. 87 P. 88 273
FIG. 58 Marlon Brando nei panni di Johnny Strabler sul set di The Wild One (1953).
P. 105 P. 123 PP. 124–125 P. 127 P. 167 P. 168 P. 168 P. 169 P. 175 P. 176 P. 176 P. 177 P. 177 P. 183 PP. 150–151 P. 107 P. 108 P. 108 P. 109 PP. 110–111 P. 113 P. 113 P. 115 P. 117 P. 119 P. 122 PP. 120–121
IDENTITÀ IN MOTO FIG. 49 Danny Lyon, Crossing the Ohio, Louisville (1966). FIG. 50 Copertina dell’album La motoretta (1965). FIG. 51 Sticker a tema motociclistico del brand Best Company FIG. 52 Copertina del singolo Paninaro (1986) dei Pet Shop Boys FIG. 53 Giovani paninari ritratti davanti al Burghy di Piazza San Babila, Milano. Foto: Egizio Fabbrici (1987). FIG. 54 Copertine varie di riviste a fumetti paninare: Cucador, Wild Boys, New Preppy, Paninaro. FIG. 56 MBK Booster, prima serie (1990-1996). FIG. 55 Logo Booster Spirit FIG. 57 L’iconico Paperino che caratterizza il casco del pilota inglese Barry Sheene.
FIG. 59 Patch a diamante simbolo degli onepercenters. FIG. 60 Jeff Decker, Hell’s Union: Motorcycle Club Cuts as American Folk Art (2012). FIG. 61 Casco jet Bell 500 indossato da Steve McQueen. FIG. 62 Casco cromwell di John “Mooneyes” Cooper (1964). FIG. 63 Alcuni dei caschi e delle grafiche più iconiche della storia del Motomondiale. FIG. 64 Manifesto campagna “You Meet the Nicest People on a Honda”, Grey Advertising (1963).
FIG. 65
Alcuni ferrotipi dal progetto Mototintype curato da Paul d’Orléans e Susan McLaughlin. FIG. 66 Logo Rodaggio Film. FIG. 67 Gilera e Moto Guzzi nel film I fidanzati della morte, restauro (2017). FIG. 68 Maglietta con illustrazione riservata ai finanziatori del restauro del film. FIG. 69 Manifesto della versione restaurata del film I fidanzati della morte (2017). FIG. 70 Monogramma di The Moto Social FIG. 71 Felpa The Moto Social. FIG. 72 Buddy Brew TMS. FIG. 73 Elementi visual TMS. FIG. 74 Elementi visual TMS. FIG. 75 Logo (stemma) Motoclub Ting’avert 274
FIG. 76 Homepage forum Motoclub Ting’avert FIG. 77 Logo Deus Ex Machina FIG. 80 Pagine della piattaforma Deus Bike Buld Off. FIG. 79 Pagine della piattaforma Deus Bike Buld Off. FIG. 78 Banner promozionale Deus Bike Build Off (2019). FIG. 81 Logo Bikerface FIG. 82 Selezione di schermate della mobile app Bikerface FIG. 83 Logo Wrench. FIG. 85 Selezione di schermate della mobile app Wrench FIG. 84 Homepage sito web Wrench. P. 185 P. 191 P. 192 P. 193 P. 193 P. 199 P. 201 P. 207 P. 209 P. 209
275 INDICE DELLE FIGURE
Ringraziamenti
277
GRAZIE , anzitutto, a Matteo Ciastellardi, il relatore di questa tesi. Per usare un linguaggio certamente divenuto più familiare, è saltato in sella senza indugi, facendomi strada e supportandomi sempre con cordialità, chiarezza e disponibilità, soprattutto nei momenti in cui il percorso di scrittura si è fatto più tortuoso.
GRAZIE ai miei amici di sempre, quelli del paese, quelli che c’erano, quelli che ci sono, quelli che delle moto non gliene frega poi tanto, quelli che sono speciali così, quelli che alla fine conta stare insieme, non importa dove, ancora.
GRAZIE al “mio” Motoclub Penta Lentate, al Consiglio Direttivo, ai soci, a chi ci crede. Gli sforzi, le di coltà, i momenti di gioia e i traguardi raggiunti rendono autentica e magnifica l’esperienza che stiamo portando avanti, dimostrando il valore del nostro progetto e della nostra comunità.
GRAZIE a chi mi ha aiutato, fornendo direttamente un proprio contributo: Je rey Zani, Roberto Parodi, Viktor Radics e Davide Vignali. La vostra disponibilità e cordialità sono una conferma di quanto questa passione possa unire, annullando le distanze geografiche e temporali. Continuate così, trasformando la vostra passione in valore.
Eccoci alla fine di questo viaggio. Nei momenti di pausa giù dalla sella, il grande sentiero narrativo della strada lascia sempre spazio alle parole che, in questo caso, sono di sincero e profondo ringraziamento per chi mi ha supportato, anche in modo inconsapevole, durante i lunghi e intensi mesi di realizzazione di questa tesi e non solo.
GRAZIE ai colleghi, diventati amici, che questi intensi anni universitari mi hanno fatto incontrare, in particolare Leonardo e Daniel. Leonardo, grazie per le riflessioni, i consigli, le risate, l’entusiasmo. Ti auguro di portare sempre con te la tua spontanea riflessività, nella pratica e nella vita. Daniel, danke, a few months in Vilnius brought us close as if we had known each other for years. And now, I am happy to continue this relationship even miles away.
GRAZIE a mamma e papà, perché sì, e basterebbe questo. Grazie, perché mi avete reso ciò che sono e mi avete dato la possibilità di esserlo. Grazie per la passione che mi avete trasmesso e per l’esempio di vita che ogni giorno vi dimostrate essere.
278 IDENTITÀ IN MOTO
GRAZIE a mio zio Ana e agli Zoni su due ruote, per avermi trasmesso l’entusiasmo, la conoscenza e la passione che sta nell’essere sempre “in moto”.
GRAZIE a tutta la mia famiglia, nel senso più allargato che noi sappiamo. Grazie a chi c’è e chi non più. Ognuno di voi mi ha fatto crescere, sotto molteplici aspetti, donandomi tempo, sostegno e serenità.
GRAZIE , infine, ad Azzurra, per lo splendido viaggio che abbiamo iniziato e per essermi compagna dolce, paziente e presente. Anche in moto.
Milano, aprile 2021.
Identità in moto La cultura motociclistica si è formata attorno a un oggetto – la motocicletta – che ha assunto i valori dell’icona culturale, divenendo per alcuni individui un “mezzo” con cui veicolare e distinguere la propria identità. Col tempo si sono radunate comunità su due ruote eterogenee e caratterizzate da particolari codici comunicativi. I media hanno contribuito alla formazione del mito – fornendone rappresentazioni e interpretazioni – e oggi offrono nuove opportunità agli appassionati di tradurre la propria presenza online. Qui si sviluppano modalità di coinvolgimento che vedono i motociclisti partecipare attivamente, fornendo contributi in grado alimentare un patrimonio culturale comune. La tesi vuole indagare come la dimensione del progetto di comunicazione possa supportare tali “moto-community” nella costruzione partecipativa di narrazioni significative per gli appassionati e per la cultura motociclistica stessa. Alessio Zoni Laurea magistrale Design della Comunicazione Scuola del A.A.PolitecnicoDesigndiMilano2019/2020