DIPARTIMENTO DI INFORMATICA, BIOINGEGNERIA, ROBOTICA E INGEGNERIA DEI SISTEMI
SCUOLA POLITECNICA
Corso di laurea magistrale in Digital Humanities - Comunicazione e Nuovi media
Anno accademico 2020/2021
Grotta Doria fra passato e presente Tecniche digitali per la valorizzazione del patrimonio nascosto
Relatore:
Massimo Malagugini
Correlatore:
Carlo Battini
Sara Rulli
Saverio Iacono
Candidato:
Alessia Novella
DIPARTIMENTO DI INFORMATICA, BIOINGEGNERIA, ROBOTICA E INGEGNERIA DEI SISTEMI
SCUOLA POLITECNICA
Corso di laurea magistrale in Digital Humanities - Comunicazione e Nuovi media
Anno accademico 2020/2021
Grotta Doria fra passato e presente tecniche digitali per la valorizzazione del patrimonio nascosto
Relatore:
Massimo Malagugini
Correlatore:
Carlo Battini
Sara Rulli
Saverio Iacono
Candidato:
Alessia Novella
A Genova, la signora del mare.
Indice
1. Territorio fra mare e monti
1.1 L’anfiteatro ligure
1.2 Il capoluogo
2. Siglo de los Genoveses
2.1 La Superba
2.2 Le residenze
2.3 I giardini
3. Fonte Doria
3.1 I Doria
3.2 Il borgo di Fassolo
3.3 La fonte del capitan Lercaro
4. Dalla storia all’attualità
4.1 Il backgound
4.2 I Software
4.3 La ricostruzione virtuale
5. Il Tour
5.1 Realtà virtuale per dispositivi mobile
5.2 Realtà virtuale per visori
6. Conclusioni
Bibliografia e sitografia Ringraziamenti
1 2 6 12 22 28 50 80 84 96 114 126 134 152 156 160 162 166 Premesse
Premesse
Esiste un patrimonio nascosto, in parte degradato e difficilmente accessibile: Grotta Doria di Villa del Principe. L’obiettivo della tesi è dunque quello di valorizzare e far conoscere la grotta nella sua originaria bellezza; questo sarà possibile grazie alla ricostruzione virtuale e alla possibilità di effettuare una visita turistica, anch’essa virtuale.
Nell’elaborato viene raccolto l’intero lavoro, il quale è stato eseguito iniziando dallo studio della città nel periodo storico tardo rinascimentale. Questa ricerca si è vista indispensabile per la comprensione della struttura e il posizionamento originari di Grotta Doria, poiché al giorno d’oggi il sito risulta diviso tra Villa del Principe e costruzioni urbanistiche, quali edifici residenziali, la linea ferroviaria e strade cittadine.
La tesi sarà dunque sviluppata in due parti: la ricerca storica e la progettazione grafica.
La ricerca illustrerà la città di Genova e la vita dei ceti medio-alti a partire dalla fine del Cinquecento; verranno analizzate le vie principali, i palazzi storici e sarà eseguita una comparazione grafica tra passato e presente.
La parte di progettazione esporrà l’utilizzo dei materiali e dei software che hanno portato al prodotto grafico finale; inoltre, saranno poste le basi per un ulteriore elaborato, un tour VR.
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Territorio fra mare e monti 1.
Allegoria di un convegno navale in occasione della
Sacra Lega, Anonimo, 1538, Museo Galata di Genova.
L’anfiteatro ligure 1.1
Analisi territoriale
Nel XIII secolo e parte del XIV, l’area geografica della Repubblica Marinara era denominata Genovesato, e genovesi erano i suoi abitanti.
“Liguria”, ai tempi, apparteneva al linguaggio erudito e identificava una regione di epoca romana più estesa di quella attuale; solo nel corso dell’età contemporanea sono stati affermati i confini che conosciamo oggi (fig. n1-2).
La regione, lunga circa 280km e larga per un massimo di 35km, ha un territorio per lo più bagnato dal mare; inoltre, è caratterizzato da un’alta percentuale di montagne (65%), le quali scendono a picco sulla costa, e una più bassa percentuale di zone collinari (35%). Per quanto riguarda le pianure, la Liguria possiede solamente alcune zone pianeggianti in prossimità della costa; le più conosciute sono la Piana di Albenga, a ponente, e la Piana di Sarzana, alla foce del Fiume Magra a levante.
La forma caratteristica di questa regione ricorda un anfiteatro. È coronato a nord dall’incontro delle due catene montuose italiane, le Alpi e gli Appennini, più precisamente dal tratto delle Alpi Marittime e dalla prima parte dell’Appenino Settentrionale; a sud vi è la costa affacciata sul Mar Ligure, divisa e denominata in “Riviera di Ponente” e “Riviera di Levante”. Quest'ultime si congiungono nel punto più interno del golfo ligure, dove sorge la città di Genova. Il confine fra Alpi e Appennini è alle spalle di Savona, geologicamente presso il passo di Cadibona (A), geograficamente presso il gruppo montuoso del monte Beigua (1287 m - B) (fig. n3).
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fig. n 2 - Veduta satellitare, in evidenza l'estensione della regione Liguria nel XIV secolo.
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fig. n 1- Vista satellitare, in evidenza i confini della regione Liguria odierna.
fig. n 3 - Vista satellitare della regione Liguria, in evidenza le catene montuose.
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fig. n 4- Vista satellitare della regione Liguria, in evidenza l’idrografia.
Il tratto alpino in realtà si divide tra Alpi Marittime, al confine con la Francia, e Alpi Liguri, che dal Colle di Tenda proseguono verso est fino agli Appennini.
La parte dell’Appennino Settentrionale che passa per la Liguria è detto Appennino Ligure ed è tale fino al Passo della Cisa, dopodiché prende il nome di Appennino Tosco-Emiliano.
L’Appenino Ligure è caratterizzato da cime non troppo elevate e da un terreno di natura mista; quest'ultimo è composto da scisti1 e da accumuli rocciosi resistenti alle erosioni. Nello spezzino si rilevano terreni calcarei, appartenenti al periodo geologico in cui è emerso in Liguria lo zoccolo2 , di età precedente rispetto alla catena Appenninica. Il paesaggio ha profili morbidi con qualche spuntone roccioso, la cima più alta è il monte Maggiorasca (1.803 m).
Le valli si sviluppano perpendicolarmente alla costa, come la Val Fontanabuona e Val di Vara, sono valli separate dal mare da una serie di monti minori che non sempre sono inferiori ai 1.000 m, ne conseguono ripidi pendii che si riversano in mare.
Dalle cime delle Alpi scendono a raggiera le vallate, solcate da modesti corsi d’acqua che sfociano fra Ventimiglia e Albenga, mentre dagli Appennini le vallate sono perpendicoli alla costa (fig. n4).
L’idrografia della Liguria è per lo più costituita da fiumi dal percorso breve, per la sensibile pendenza e bacini poco ampi, che si creano percorsi all’interno degli incavi, tra un rilievo e l’altro. Sul versante nord, vi sono fiumi più ricchi d'acqua che si dirigono verso il Piemonte e diventano affluenti o subaffluenti del Po come il Tanaro, il Bormida, lo Scrivia e il Trebbia. Sul versante sud, invece, i monti hanno posizione prossima al mare, per questo non possono formarsi veri e propri fiumi; i corsi d’acqua più conosciuti, identificati come torrenti, sono il Polcevera e il Bisagno (Genova) e l’Entella (Chiavari). Questi, in occasione di piogge abbondanti, e a causa di un’edilizia economica popolare mal pianificata in prossimità degli alvei dei torrenti, hanno causato inondazioni e conseguenti danni al territorio e ai suoi abitanti.
La vegetazione risulta molto variegata, conseguentemente alle differenti zone climatiche, alla diversità orografica e alla distanza dal mare. Data la conformazione del territorio, l’uomo da diversi secoli, per giovare del clima favorevole, è stato spinto a servirsi anche delle zone impervie; ancora oggi, per l’agricoltura ligure sono fondamentali i terrazzamenti ricavati sui pendii, i quali donano anche una caratteristica peculiare al panorama (fig. n5).
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In origine erano i Greci e gli Etruschi a vivere lungo la costa, mentre i liguri vivevano sulle alture, fin quando hanno compreso che l'influenza del mare risultava essere proficua per la riuscita dei raccolti, soprattutto per quanto riguardava gli alberi di vite e di olive; col passare del tempo si è coltivato sempre più in prossimità della costa e meno all’interno.
Un altro motivo sull'abbandono delle coltivazioni nell'entroterra, come denunciava un articolo risalente al 19113, era dovuto allo sviluppo residenziale e industriale, che portava la gente a raggiungere i centri urbani e ad abbandonare lavori ormai poco proficui.
Fino al XII secolo, la viabilità ligure consisteva nell’utilizzo di strette e ripide mulattiere per quello che riguardava il transito tra il mare e i monti; mentre per il transito da est a ovest e viceversa era prevista soprattutto la navigazione.
Napoleone prima e poi i Savoia, intrapresero le opere che portarono strade e linea ferroviaria in territorio ligure, scavate nelle valli o a picco sul mare.
La distinzione fra costa ed entroterra ha iniziato ad affievolirsi solo nel secondo dopoguerra, vista la costruzione di nuove strade per scopi commerciali e di comunicazione, le quali vennero poi implementate per uso turistico. I nuclei cittadini, originariamente compatti, hanno iniziato a propagarsi lungo questi nuovi percorsi, e quindi lungo la costa, in modo più dispersivo.
Massimo Quaini, geografo, umanista e storico genovese, descrive questa fase di transizione: «La trasformazione territoriale dell’ultimo secolo ha visto radicalizzarsi il contrasto tra una fascia costiera sempre più urbanizzata e separata dal mare e un entroterra in larga misura restituito alla natura in seguito alla caduta del rapporto terra lavoro. Mentre l’ambiente costiero si sviluppa come un’unica città lineare, modello urbano genovese, l’ambiente montano si naturalizza, regredisce a quelle forme paesistiche di selva selvaggia dove la boscaglia riconquista le colture. È come se la Liguria avesse voltato le spalle ai suoi più tradizionali quadri ambientali, alle due componenti principali del suo paesaggio: il mare e la montagna»4
Dunque, il territorio caratteristico ligure, ha costretto l’uomo, non solo a creare i terrazzamenti per la coltivazione, ma anche a erigere città e strade lungo la costa e le valli; sulle pendici dei monti, invece, costruì a scopo difensivo.
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fig. n 5 - Nella pagina a fianco, foto dei terrazzamenti liguri, in "www.fotocommunity.it"
Il Capoluogo 1.2
Genova
« Un largo seno di mare aperto a meriggio e circoscritto ad ambo i lati da un promontorio roccioso; poggi aprici ed estesi che spiccandosi da un alto monte a settentrione, digradano in forma d’anfiteatro; rivi e ruscelletti che scorrono lieti di perenni acque sorgive; qua e là ripe e burroni petrigni che si alternano a prati verdeggianti ed a folte boscaglie; spiaggia ove dolce e di molli arene, ove ripida ed irta di scogli; tal era in origine l’incantevole regione ove ora siede Genova -la Superba » 5
Il territorio, dove oggi poggia la città, si può descrivere iniziando dal suo caratteristico golfo, insenatura profonda e riparata, dominato dal Monte Peralto, ai cui lati si trovano la Val Polcevera a ponente e la Val Bisagno a levante. I rilievi più vicini al mare distano solo pochi chilometri, con dislivelli notevoli; in modo quasi simmetrico, il fondale marino è caratterizzato da ripide e profonde discese a poche centinaia di metri dalla costa.
Nelle sue valli, che si sviluppano in maniera prevalentemente longitudinali, scorrono i principali torrenti della città, che nascendo dal versante marittimo dell’Appennino non raggiungono lunghezze di rilievo; ma, il carattere impermeabile del suolo e il dissesto idrogeologico, che caratterizza il territorio urbano, contribuiscono a rendere irregolare il regime di questi torrenti, alternando improvvise e violente piene a periodi di magra. L’appennino, cingendo la città, blocca parzialmente i venti provenienti da nord permettendo inverni soleggiati e miti ed estati poco afose grazie anche all’influsso delle brezze marine. Il territorio, grazie al suo golfo, alla costa e alle alture, vede l’alternarsi di diversi paesaggi e caratteristiche ambientali.
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fig. n 6 - Foto del porto di Genova, in Gabriele Basilico, Filippo Maggia (a cura di) Gabriele Basilico Cityscapes, Baldini&Castoldi, Milano 1999, pp.154-155.
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fig. n 7 - Foto del porto di Barcellona, in Gabriele Basilico, Filippo Maggia (a cura di) Gabriele Basilico Cityscapes, Baldini&Castoldi, Milano 1999, pp.154-155.
L’insediamento urbano di Genova si sviluppa soprattutto lungo la costa tanto da non individuare facilmente i suoi confini. Questo scenario lo vediamo anche nelle città come Nizza e Barcellona, in quanto città portuali e industriali sembrano apparentemente lo stesso luogo, un unico grande scalo marittimo. A questo proposito, il fotografo milanese Gabriele Basilico nel 1999 pubblica alcuni scatti per il progetto editoriale “Cityscapes ” (Gabriele Basilico, Filippo Maggia (a cura di) Gabriele Basilico Cityscapes, Baldini&Castoldi, Milano 1999.) (fig. n6-7).
Le logiche commerciali, che hanno caratterizzato nascita e sviluppo dell’insediamento, sono praticamente rimaste invariate dai tempi delle repubbliche marinare.
Tra fine Settecento e inizio Ottocento il settore portuale si stabilisce come forza trainante dell’economia; nasce quindi la necessità di garantire un adeguato scambio di merci. La costa viene utilizzata come supporto alle attività portuali, viene potenziato il porto con la costruzione di nuovi moli, ciò vuol dire più distese di cemento che separano il mare dai nuclei urbani (fig. n8).
Questo, sino alla seconda metà dell’Ottocento, da quel momento in poi inizia un’importante crescita urbana che si espande a macchia d’olio ed investe le pendici del Monte Peralto; per la prima volta nella storia della città si decide di investire in modo attivo sulla modifica della topografia del luogo.
Per facilitare l’espansione della città, al tradizionale adattamento dei versanti scoscesi si contrappone lo spianamento di porzioni collinari, i dossi più sporgenti si eliminano e il materiale ricavato dagli scavi viene utilizzato per colmare le cavità vallive.
Dopo una fase di stasi, nella prima metà del Novecento, lo sviluppo edilizio cambia direzione; vengono annessi al nucleo di Genova comuni limitrofi quali: Foce e Albaro ad Est, San fruttuoso, Marassi e Staglieno a Nord, mentre a ponente si è giunti fino a Voltri; la giurisdizione è aumentata così da 34 a 200km2 . La città, che da sempre guardava verso il mare, ora dispone di un nuovo fronte terrestre verso il quale espandersi (fig. n9).
Nel percorrere le vallate del Polcevera e del Bisagno, oppure la costa occidentale da Sampierdarena a Voltri, si nota una maggiore diffusione di complessi abitativi e industriali; mentre, tra Albaro a Nervi questa espansione urbanistica risulta ridotta, a causa della diversa situazione geografica. Ovunque, si percepisce ancora la presenza di centri urbani culturalmente autonomi, corrispondenti a quei comuni inglobati nel 1926 alla grande Genova ma ancora ben distinguibili nel tessuto della moderna urbanizzazione amministrativa.
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fig. n 8 - A destra , Tav 3, Quadro schematico d'assieme, Piero Barbieri, Forma Genuae, Edizione del Municipio di Genova, 1938.
fig. n 9 - Schema cartografico dei comuni limitrofi odierni.
La dorsale tra le due Valli (Polcevera - Bisagno) si distacca dallo spartiacque appenninico in corrispondenza del M. Alpe (800 m) nel Comune di Genova nel solo versante della Val Bisagno. Il monte più alto in questo tratto è il Monte Diamante (672 m) sul quale sorge il forte omonimo e fa parte del comune di Sant’Olcese, mentre il Monte Spino (622 m), dove sorge il Forte Fratello Minore, è nel Comune di Genova ed è rivolto verso la Val Polcevera.
Il crinale dal Monte Spino scende gradualmente di quota fino al Monte Peralto (489 m) dove si trova il forte Sperone. Dal Monte Peralto, che costituisce il punto più alto dell’anfiteatro collinare sul centro storico di Genova, dipartono due dorsali coronate dalle mura seicentesche6 . Il crinale a ovest con i forti Begato, Teglia e Crocetta, oggi termina con i Colli Belvedere degli Angeli, ma in passato proseguiva fino al colle di San Benigno, il quale è stato sbancato completamente intorno alla prima metà del ’900, e terminava a picco sul mare con il promontorio di Capo Faro, dove venne costruita la Lanterna7.
La dorsale rivolta sulla Val Bisagno, con il quartiere collinare Righi, scende anch’essa in modo graduale fino alla piana del Bisagno concludendosi sul Colle di Carignano affacciato sul mare in zona Foce.
Nella zona del quartiere Struppa, Val Bisagno, si incontra lo spartiacque appenninico definito dal Colle di Creto (603m), il quale raggiunge l’Alta Valle Scrivia. Sul versante opposto, che divide la
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Val Bisagno dalla valle del torrente Sturla, il Monte Ratti (560m) è il più alto, e sul quale sorge l’omonimo forte. Questo crinale con fortificazione collinare (Forte Richelieu, Forte Quezzi, Forte Santa Tecla, Forte San Martino), non collegata da una cortina muraria, digrada verso la collina di Albaro e termina sul mare, con il Forte San Giuliano. Tutto ciò costituisce “il parco urbano dei forti”. L’insieme delle fortificazioni collinari, comprese nei due parchi urbani, rappresenta un eccezionale valore storico e paesaggistico per la città di Genova.
Il levante genovese ha sullo sfondo il Monte Fasce (834 m). Nelle zone più alte, il territorio si presenta aspro con versanti ripidi e rocce che affiorano. Il versante esposto a sud mostra zone aride ed è privo di insediamenti, mentre resti isolati di piccole costruzioni testimoniano un uso agricolo nel passato. Il crinale che scende dal Monte Moro (412 m), subito sopra l’abitato di Nervi, digrada rapidamente fino al mare.
Il sistema portuale di Genova per svilupparsi ha dato origine, a partire dai primi del ‘900, all’artificializzazione della costa in quanto privo di idonei spazi naturali, ciò ha comportato il consumo di rilevanti risorse ambientali e paesaggistiche e la modifica di ciò che esisteva prima(fig. n10-11).
fig. n 10 - Il porto di Genova 1964, Lisetta Carmi. Courtesy Martini & Ronchetti.
Le trasformazioni del territorio sono avvenute principalmente per soddisfare le esigenze abitative, nonché per lo sviluppo delle attività produttive industriali, artigianali e commerciali.
Più recentemente, le trasformazioni sono avvenute sulle aree già urbanizzate, con minore consumo di suolo, attraverso operazioni di riqualificazione o riutilizzo di aree dismesse.
Il sistema della mobilità è basato su una rete infrastrutturale che si sviluppa lungo la costa e lungo le principali vallate perpendicolari (strade, ferrovie e autostrada).
Il territorio della città di Genova è inserito in un’area geografica morfologicamente complessa e difficile rispetto alle zone limitrofe. Tale complessità ha determinato da sempre una condizione di evidente svantaggio per la riorganizzazione del sistema insediativo e lo sviluppo delle attività economiche.
Queste condizioni sfavorevoli, negli anni, hanno compromesso anche la viabilità, la quale è rinomata a livello nazionale per le sue criticità, come dimostrato pochi anni fa con il crollo dell'ex Ponte Morandi (ora Ponte Genova San Giorgio), a causa del quale, oltre alla tragedia per la perdita di vite umane si è vissuto un disagio inenarrabile nella città; é venuta a mancare un'arteria viaria, se non l'unica certamente la più importante, che collega la parte di levante con quella di ponente della città.
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fig. n 11 - Il porto di Genova 1964, Lisetta Carmi. Courtesy Martini & Ronchetti.
Note
1 scisto s. m. [alterazione di schisto (v.), secondo la pronuncia dell’ingl. schist o shist]. – In petrografia, nome generico (anche roccia scistosa) di una roccia metamorfica caratterizzata da una disposizione regolare, in piani grossolanamente paralleli, dei componenti minerali lamellari o fibrosi, che le conferisce una più o meno facile divisibilità secondo tali piani, detti perciò piani di scistosità.
2 zòccolo s. m. [lat. socculus, dim. di soccus: v. socco]. In geotettonica, il basamento rigido di una regione geologica o di una unità strutturale, sul quale poggiano formazioni con assetto tettonico diverso e in genere affette da deformazioni plastiche plicative. In geologia marina e sedimentologia, z. continentale, la porzione di crosta sialica che forma la base di una placca continentale e che comprende, al di sotto del livello marino, la piattaforma e la scarpata continentale.
3 G. Boine, La crisi degli ulivi in Liguria , La Voce, 1911.
4 M. Quaini, Liguria. Paesaggio arte e cultura , Sagep Editore, Genova, 2006, cit., p.10
5 F. Podestà, I l porto di Genova dalle origini fino alla caduta della Repubblica Genovese (1797), E. Spiotti, Genova, 1913, ed. citata a cura di P. Barbieri, Forma Genuae , Edizione del Municipio di Genova, Genova, 1938, p.1-2
6 «le mura costruita difesa della città si sviluppavano per 4380 metri. Meno di tre secoli dopo, nel 1633, la cerchia delle Mura nuove attraverso la costruita sui disegni di Vincenzo Maculano misurava 19.560 metri» (Guglielmi, 2019, p.84)
7 Ibidem, «Con i suoi settantasette metri, la Lanterna è il faro più alto del Mediterraneo e il secondo in Europa ... Sembra che attualmente sia il quinto faro del pianeta. e invece sicuro che sia il terzo faro più antico al mondo...», «... La torre, costruita da tre tronchi merlati sovrapposti, venne costruita nel 1128 per l’avvistamento di possibili navi nemiche ...» (cit., p.43-44.)
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EL SIGLO DE LOS GENOVESES 2.
Veduta di Genova, (1481 c.a), Cristoforo De Grassi, Genova-Pegli, Civico Museo Navale.
La Superba 2.1
Città di mura e di porto
Città-Porto chiusa da cinte murarie, con l’intento di possedere l’intera economia marittima1. Le mura si spandono principalmente a nord sui monti, costruite nel IX secolo quando Carlo Magno irradiò in tutta Europa. Hanno subito lavori di ampliamento in numerose occasioni: nel 1160 per far fronte alla minaccia di Federico I di Svevia, anche conosciuto con il nome di Barbarossa; nel corso del XIV secolo e successivamente nel 1536 l’estensione è stata operata lungo il porto, eliminando così ogni futura possibilità di espanderlo oltre; e infine, tra il 1626 e il 1639 si è realizzata l’ultima e la più grandiosa cinta di mura. Il porto, le cui origini storiche risalgono al V sec. a. C., cresceva di anno in anno diventando così il porto più importante del Mediterraneo.
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fig. n 12 - Veduta di Genova, Felice Calvi, 1584, Palazzo Doria-Spinola, Loggia delle vedute di città.
Nel XVI secolo, fu uno dei maggiori scali europei per i commerci internazionali, grazie anche al periodo proficuo che la città stava vivendo negli ambiti economico, culturale e artistico. Nel 1128 venne costruita la torre d’avvistamento, progettata da un architetto ignoto2 , diventata successivamente, nel 1161, un faro; da quel momento, le navi dirette in porto erano tenute a pagare una tassa per il servizio di segnalazione luminosa. Agli inizi del Cinquecento, questa costruzione fu parzialmente distrutta, quando Luigi XII Re di Francia assunse il dominio su Genova e fece costruire il Forte Briglia accanto al faro. Con l’intervento di Andrea Doria, e la rivolta dei cittadini, la fortezza venne distrutta causando gravi danni anche alla Lanterna, la quale rimase monca per circa trent'anni; nel 1543 venne ricostruita con le sembianze che vediamo tuttora. Ancora oggi, essa rappresenta il monumento più importante della città, prendendosi anche il primato del faro più alto del Mar Mediterraneo e quinto del mondo.
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fig. n 13 - Lanterna di Genova,Salvatori del porto e del molo, 1371.
Il panorama Cinquecentesco
Si sente parlare di Genova definita come “la Superba ” già dal 1096, quando Guglielmo Embriaco conquistò Gerusalemme durante la prima crociata. Le gesta di Guglielmo, ossia lo smantellamento delle proprie navi per costruire due torri d’assedio, assodarono l’immagine di Genova come una delle maggiori potenze navali, commerciali e politiche per tutti i principali porti.
Dopo la scoperta dell’America (1492), l’Italia non fu più al centro dello spazio economico europeo, un posto che aveva ricoperto per diversi secoli, subendo dunque un’emarginazione durante il XVI secolo, fino a quando alcune città si risollevarono, sia sul piano artistico sia su quello economico. In quest’ultimo fu protagonista la città di Genova, la quale, grazie all’intraprendenza di una ristretta classe dominante, divenne un punto di riferimento, e in parte un passaggio obbligatorio per i flussi finanziari.
Genova si inserì nel flusso di ricchezze proveniente dal Nuovo Mondo, così la finanza genovese assunse una posizione di assoluto predominio nel panorama economico europeo.
La fase più rappresentativa per Genova, come per altre città dell’Italia settentrionale, corrisponde al 1520 circa, durante la quale si assiste alla realizzazione delle più importanti modifiche della morfologia urbana medievale; si susseguirono una serie di interventi urbanistici, pubblici e privati, rivolti alla creazione di nuove strade e di nuove piazze.
Questo periodo corrisponde ai secoli nei quali il patriziato, composto da mercanti e banchieri, si impose come classe dominante e determinò le condizioni necessarie per la convivenza con la vecchia nobiltà. Il dominio patrizio si consolidò quando si fusero in un blocco sociale omogeneo l’antica nobiltà e i nuovi casati, che trassero le proprie ricchezze dallo sviluppo della città. La nobiltà non era più un ordine giuridicamente definito, ma ciò che valeva a definirla nobiltà era il potere. L’egemonia da parte del patriziato è durata diversi secoli, esaurendosi solo con le grandi rivoluzioni nella seconda metà del Settecento.
La classe dominante assunse il ruolo di eminente controllore della politica locale.
I patrizi possedevano ciascuno uno spazio urbano, definito albergo 3 o consortato; all’interno di questi alberghi convivevano diversi ceti sociali, gerarchicamente definiti.
Questi spazi erano originati in modo semplice e residenziale, per poter accogliere parenti, amici e dipendenti; prevedevano un nucleo di case, una cappella gentilizia e le torri.
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L’architetto Grossi Bianchi e lo storico Poleggi hanno dato due interpretazioni sull’origine degli Alberghi: una è la riproposizione di modelli architettonici, aggregazioni edilizie e sociali dalla società feudale, riprendendo aspetti simbolici di prestigio anziché osservare le effettive necessità; l’altra riguardava l'esigenza di sicurezza, che il governo non garantiva, a protezione delle fortune accumulate con i commerci d’oltre mare.
La città, quindi, era percepibile come un aggregato eterogeneo, composta sia dagli spazi privati abitativi sia da spazi comuni, come: i luoghi di culto, l'architettura di difesa, il postribolo, il Palazzo di Governo. Si distingueva la zona del porto, la quale era destinata principalmente alle attività mercantili.
Tra gli alberghi c'era sempre stata una rivalità, uno stato persistente di guerra civile che causò un’instabilità politica.
Nel 1528 si attuò “Le Reformationes novae”, fortemente voluta da Andrea Doria e che prevedeva l’assegnazione del governo della Repubblica ad un’oligarchia di nobili. Questa riforma aveva come obiettivo la costituzione “Unicus omnium civium rempublicam administrantium ordo” -l’unica organizzazione amministrativa di tutti i cittadini- così da riuscire a placare i contrasti tra le fazioni genovesi. Gli alberghi assunsero un ruolo politico, era infatti consentito l’accesso solo agli organi governanti dell’oligarchia “costituita dalle famiglie più cospicue: sia quelle di più antica ascendenza nobile che quelle di parte popolare”4 . Il frutto di questa riforma fu una saggia gestione amministrativa, dove gli interessi privati si unirono ai pubblici dando vita a un modello originale; le famiglie che abitavano i palazzi ebbero l’onore di ospitare le visite di Stato e di viaggiatori illustri, mostrando loro lo sfarzo delle proprie dimore per il consolidamento dell’immagine e del ruolo diplomatico della città.
Questi cambiamenti assicurarono stabilità alla città; iniziò così il periodo denominato “El siglo del los genoveses”, in cui i ricchi mercanti divennero importanti banchieri che finanziavano le più importanti corone europee.
Fernand Braudel (storico francese), a tal proposito si espresse così «questa straordinaria città divorante il mondo è la più grande avventura umana del secolo XVI. Genova sembra allora la città dei miracoli...».
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I patrizi
Il sommo scrittore Francesco Petrarca (1304-74) visitò Genova per la seconda volta nel 1347, e nell'opera meno nota “L’Itinerarium breve de Ianua usque ad Ierusalem et Terram Sanctam” pubblicata nel 1358 la definisce “Superba”.
«Veniamo a Genova, che dici di non aver mai visto. Vedrai una città regale, addossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cuore solo aspetto la indica signora del mare; ...»
Nello stesso brano, fa traspirare un particolare che riguarda l’aristocrazia.
«... la sua potenza, come è già accaduto a molte città, le nuoce e le reca danno, perché offre materia alle contese e alle gelosie cittadine.»
Nulla di più vero, la sua storia era costellata da faide tra famiglie, una continua guerra per la conquista del potere.
Durante il medioevo Genova era una città di torri, che i nobili o le persone di potere fecero costruire non per difendersi dagli attacchi degli invasori ma per difendersi e attaccare i loro vicini. Queste torri vennero abbattute tutte tranne una, quella della famiglia di Guglielmo Embriaco.
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fig. n 14 - Genova in una xilografia, Michael Wolgemut, Norimberga, 1493.
La causa comune di queste lotte sanguinose tra le famiglie era la fonte di guadagno, ossia le attività internazionali di commercio, ricchezza investita poi sul territorio. Spesso, per mettere fine a queste contese, la città fu governata dall’esterno; una decisione presa dai genovesi stessi, mantenendo sempre una loro autonomia di movimento, soprattutto nei commerci via mare.
« The Genoese aristocracy was typically political: a patrician order rooted in the medieval centuries closed its ranks in 1528, ...» (Grendi, 1974, p.650)
Questa situazione cambiò con la riforma del 1528 che gettò le basi di un dominio aristocratico più stabile (una ristretta cerchia formata da famiglie più ragguardevoli, sia di antica ascendenza nobiliare sia popolare). Il termine nobiltà, quindi, assunse un significato giuridico e politico, ciò vuol dire che l’accesso alle cariche pubbliche era un privilegio riservato ai nobili, una minoranza individuata e registrata nel libro “liber civilitatis”, il libro d’oro della nobiltà. Per quanto riguarda le ventotto famiglie governanti gli alberghi prima citati, è stato mantenuto un riconoscimento legale che dava la possibilità di esercitare il controllo sulle nuove iscrizioni; ogni nobile di nuova nomina doveva essere accolto in uno degli alberghi e assumere il nome della famiglia governante. Così facendo, continuavano a esistere le famiglie storiche della città e al contempo si eliminava, o almeno era quella l’intenzione, ogni distinzione di rango tra le casate.
Alcune delle famiglie che davano nome agli alberghi erano:
i Doria, originari di Oneglia (nel ponente ligure), il cui motto araldico era "Altiora peto" -miro a cose più alte-; i Fieschi, discendenti dei conti di Lavagna; gli Imperiali, precedentemente conosciuti con il nome Tartaro, discendenti dai conti di Ventimiglia e parenti di Adalberto re d'Italia; i Grimaldi, antica famiglia genovese che ad oggi regna sul Principato di Monaco; i Lercari, originari armeni, arrivarono a Genova nel 1100 da Moneglia, sulla riveria di levante; i Lomellini, conti di Corsica e sostenitori della fazione dei guelfi; i Pallavicino della casata Obertenga dinastia longobarda (Lombardia, Svizzera italiana e parte di Emilia e Piemonte); gli Spinola, abili mercanti, presenti sul territorio genovese dal 948; i Sauli, provenienti da Lucca finanziarono alcune opere tra cui la Basilica di Santa Maria Assunta in Carignano di Galeazzo Alessi (1512-72).
Queste, e le altre famiglie, erano alla base del gruppo di preminenza politica ed economica; tale supremazia è rimasta anche dopo l'abolizione degli alberghi, avvenuta nel 1576.
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Le residenze 2.2
I palazzi di Strada Nuova
Nel periodo di maggior fortuna della finanza genovese, il paesaggio urbano si è trasformato. Sono stati fatti interventi pubblici e privati, configurando i nuovi caratteri di un'edilizia abitativa. In questi vi sono come parte integrante i giardini e le loro strutture architettoniche, come ninfei e grotte artificiali, che in quegli anni hanno avuto la massima diffusione.
Strada Nuova è uno dei primi piani urbanistici della storia per via del territorio collinare sui cui sarebbe sorta (sulle pendici del colle di Monte Albano). Fu costruita, a partire dal 1551, come quartiere residenziale per le famiglie nobili genovesi, proprio a ridosso delle mura che racchiudevano la città.
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fig. n 15 - veduta strada nuova, Antonio Giolfi (Genova, 1721 – 1806).
Una strada che lasciava tutti i visitatori a bocca aperta, come il pittore Pieter Paul Rubens (1577-1630), così affascinato dai palazzi che delimitavano Strada Nuova che ebbe l’idea di raggruppare i modelli delle abitazioni in un libro, datato presumibilmente nell’intervallo tra il 1607-1622.
Quando Rubens arrivò a Genova nel 1607, a seguito del Duca di Mantova che doveva curarsi la gotta facendo dei bagni in mare, entrambi alloggiarono in Villa Grimaldi (la Fortezza) della Signora Giulia Grimaldi.
Tra i tanti estimatori di Strada Nuova c’era lo storico dell’arte Giorgio Vasari che ne parla in termini entusiastici, come del suo ideatore, l’architetto Galeazzo Alessi, nella seconda edizione del libro Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori 5, del 1568. Anche lo scrittore Charles Dickens, che vi abitò per qualche tempo, era un estimatore della strada, la cosa che lo affascinava di più è che questi palazzi, che potrebbero essere ciascuno una reggia, fossero popolati anche da commercianti e mendicanti.
Partendo da Piazza Fontane Morose i primi due palazzi sono Palazzo Cambiaso al civico 1 e Palazzo Gambaro al civico 2. Palazzo Cambiaso fu commissionato dal signor Agostino Pallavicino, ambasciatore alla corte di Spagna, fratello di Tobia che nello stesso periodo fece costruire il civico 4; il palazzo venne acquistato poi dalla famiglia Spinola e nell’Ottocento dalla famiglia Cambiaso. L'edificio venne costruito nel 1565 dal progettista Bernardino Cantone, collaboratore dell’architetto G. Alessi.
La pianta di Palazzo Cambiaso è quadrangolare e la facciata è elegante; la pietra grigia che la ricopre fa risaltare il marmo bianco delle zoccolature decorate alla greca, le mensole, gli stipiti e i frontoni. Rubens 6 è riuscito a rappresentare tutti i dettagli, come il taglio delle pietre, con una precisione rigorosa (fig.16).
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fig. n 16 - Facciata del Palazzo di Augustino Pallavicino ultimo di Strada Nuova, Pieter Paul Rubens, in Palazzi di Genova, 1622.
È possibile trovare similitudini con Palazzo Marino, che si trova in Lombardia, potrebbe essere il suo gemello sia per l’età sia per le fattezze. Hanno numerose caratteristiche uguali, come il timpano spezzato al centro con una testa di leone, o le incorniciature delle finestre, le quali sono al pian terreno nel palazzo di Strada Nuova mentre nel gemello risultano al piano nobile; questo non è l’unico particolare uguale ma con diversa posizione.
Le ipotesi, per spiegare queste similitudini, sono due: l’architetto perugino mentre preparava il modello per Palazzo Marino potrebbe aver “copiato” e adattato degli elementi per il palazzo a Genova, oppure, e forse la più probabile, può essere che abbia preso gli elementi di palazzo Cambiaso e li abbia espansi a palazzo Marino, vista la sua disponibilità nello spazio e nella spesa.
Il Palazzo Pantaleo Spinola / Gambaro fu eretto da Bernardo Spazio e proseguito da Pietro Orsolino, nel 1558, per il Signor Pantaleo Spinola, il quale non poté viverci poiché morì nel 1536. Successivamente diventò proprietà dei Giustiniani Gambaro.
La facciata (fig. n17) è piuttosto semplice e pulita, si può notare un senso di movimento dato dal ritmo delle finestre, dai balconi e dal portale sormontato da due statue che rappresentano Prudenza e Vigilanza; inoltre, le colonne, diversamente dagli altri palazzi, sono incassate dentro una nicchia angolare che rimanda alle antiche strombature. In passato si pensava che le pareti esterne fossero ricoperte d’affreschi, sbiaditi del tutto con il passare del tempo, ma nel 1939 il palazzo fu sottoposto a un restauro estremo e radicale, e venne smentita qualsiasi ipotesi in riferimento a degli affreschi. Osservando il disegno del Rubens notiamo che il palazzo è rimasto immutato, salvo alcune aggiunte, come la copertura in vetro nel cortile. All’interno vi sono due scaloni simmetrici, uno dei due si limita alla prima rampa che poi termina con il muro, in altre parole
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fig. n 17 - Facciata e pianta del Palazzo del Sig. Andrea Spinola, Pieter Paul Rubens, in Palazzi di Genova, 1622
è finto, questo poi fu demolito per rendere possibile l’installazione di un ascensore.
Proseguendo per la via troviamo al civico 3 Palazzo Lercari-Parodi e al numero 4 Palazzo Carrega Cataldi.
Il Palazzo Lercari Parodi venne costruito nel 1571 dall’Alessi per Franco Lercari soprannominato “il Ricco”, un facoltoso banchiere dell’epoca che negli anni Settanta del Cinquecento occupò la carica di governatore nella Repubblica Genovese; il palazzo è rimasto alla sua discendenza fino al 1845, quando venne acquistato da Bartolomeo Parodi.
L’edificio si differenzia dagli altri palazzi della strada per la facciata che è decorata in modi diversi; nella parte inferiore si nota la decorazione a bugnato, o a punta di diamante. Di particolare rilievo è sicuramente il portale, opera dello scultore Taddeo Carlone, alle cui paraste laterali spuntano due telamoni con i nasi mozzati, reggenti le due mensole, rievocando la leggenda di Megollo Lercari7; infine, nel mezzo del portale vi è lo stemma marmoreo della famiglia. Ai piani superiori, in origine sono state installate delle piccole logge, le stesse sono state chiuse all’inizio dell’Ottocento con delle vetrate.
Del Palazzo Lercari esistono cinque disegni di diversi artisti, uno dell’architetto tedesco Heinrich Schickhardt (fig. n18), disegnato durante il viaggio a Genova che fece nel 1599, quello fatto da Rubens tre o quattro anni dopo (fig. n19), quello dell’architetto francese Gauthier nei primi anni dell’Ottocento (fig. n20), la pro-
fig. n 18 - A sinistra la prospettiva di Heinrich Schickhardt
fig. n 19 - In mezzo la facciata di Pieter Paul Rubens
fig. n 20 - A destra il prospetto di Martin Paul Gauthier
fig. n 21 - A sinistra la prospettiva di Max Reinhardt
fig. n 22 - A destra il rilievo di MArio Labò
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spettiva fatta nel 1880 da Reinhardt (fig. n21) e successivamente il rilievo che fece Mario Labò (fig. n22).
Schickhardt, disegna solo la parte sinistra del palazzo, come decoro al primo piano disegna il bugnato a punta di diamante, il portone fiancheggiato da due telamoni e la sola torretta di sinistra con l’arcata fiancheggiata da colonne chiuse. Rubens non riporta i telamoni, disegna il bugnato e due torrette con tre arcate. Gauthier, Reinhardt e Labò disegnano il bugnato, i telamoni ai lati del portone, due torrette con una arcata ciascuna e un terzo piano. Se non fosse per il disegno di Schickhardt si potrebbe pensare che il disegno di Rubens fosse il progetto originale e che i telamoni furono aggiunti in seguito, ma così non è, a comprova di ciò sappiamo che i telamoni furono scolpiti già nel 1580 da Taddeo Carlone. Al numero 4 il Palazzo Carrega Cataldi venne costruito a partire dal 1558, quando Tobia Pallavicino acquistò il terreno all’asta pubblica dai deputati all’opera di San Lorenzo e di Strada Nuova, e terminato nel 1561. Tobia Pallavicino era discendente di una delle famiglie nobili più antiche di Genova, ed era un facoltoso commerciante di allume. L’architetto che progettò il Palazzo Carrega è Giovan Battista Castello, detto “il Bergamasco”, con la collaborazione di Bartolomeo Riccio e Antonio Roderio. Nel medesimo periodo si stava decorando Villa Pallavicino delle Peschiere, progettata da Alessi e di proprietà sempre del signor Pallavicino. Il Bergamasco, durante la costruzione del palazzo, lavorò simultaneamente per le decorazioni interne ed esterne; queste ultime al pian terreno sono rivestite a bugnato in pietra, mentre al primo piano sono di ordine ionico e scandiscono armoniosamente la facciata, il palazzo nasce come blocco cubico di due piani e due mezzanini. Quando il palazzo venne acquistato da Giacomo Filippo Carrega, nel XVIII secolo, subì delle modifiche; venne ampliato e sopraelevato di un piano. Paragonando i disegni del Rubens e quelli del Gauthier (fig. n23-24) si può vedere che l’ampliamento avvenne con la costruzione di due ali che formano un cortile chiuso da due logge sovrapposte, quella superiore è la famosa galleria per le decorazioni di Lorenzo de Ferrari. Il terzo piano è intonacato di calce anziché rivestito in pietra, come i due piani inferiori; da questo particolare si capisce che si tratta di un’aggiunta data dal rivestimento, e si può notare anche dai disegni del Rubens e di Gauthier. Nel disegno di quest’ultimo la facciata possiede una piacevole regolarità neoclassica, poiché i frontoni delle finestre in tutti e tre i piani sono uguali. Nel 1706 i Carrega ospitarono la famiglia di Vittorio Amedeo II, durante l’assedio del Re Sole a Torino, la
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quale portò la preziosa reliquia della Sacra Sindone. Si può dire che fu la dimora preferita dai Savoia, fino al 1824, anno in cui la famiglia reale acquistò il palazzo in via Balbi.
Proseguendo per la via troviamo a destra Palazzo Spinola e a sinistra Palazzo Doria.
Nel 1558 iniziarono i lavori per Palazzo Spinola (fig. n25), eretto su uno dei lotti più prestigiosi, opera dell’architetto d’origine imperiese
Giovanni Ponzello, per il Signor Angelo Giovanni Spinola di Luccoli, ambasciatore della Repubblica di Genova in Spagna e banchiere del re Carlo V. In seguito alla sua morte, il figlio Giulio Spinola, banchiere del Re di Spagna Filippo II d’Asburgo, fece ampliare e completare il palazzo, per poi iscriverlo nei Rolli del 1576. Nel 1582
Ponzello avviò i lavori di sbancamento della collina a nord, ampliando così il cortile (fig. n26), il quale si limitava solo al piano terra con il ninfeo sul fondo.
fig. n 23 - Facciata e pianta del Palazzo A, Pieter Paul Rubens, in Palazzi di Genova, 1622
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fig. n 24 - Prospetto e pianta, di M. P. Gauthier, in Les plus beaux de la ville de Genes et de ses environs, 1818-1825
Il terreno di fronte a Palazzo Spinola fu acquistato all’asta da Costantino Gentile nel 1551, che poi lo vendette ai fratelli Spinola, Gio. Batta e Andrea, che nel 1563 commissionarono la costruzione di Palazzo Doria o Palazzo Gio Battista Spinola. Nel 1698 fu documentato che l’architetto che diresse i lavori fu Bernardino Cantone, e il Bergamasco progettò la corte interna e il camino al piano nobile; inoltre, il lavoro fu richiesto da Andrea Doria nel 1562, prima di aver acquistato il terreno da Costantino.
L’architetto che progettò il palazzo fu Giovan Battista Castello; l’architettura dell’edificio appare molto diversa dai suoi standard, esso infatti ha una facciata pulita (fig. n27). Si è supposto che la semplicità della facciata fosse in realtà voluta poiché destinata a una decorazione a stucchi, che però non fu mai realizzata.
Tra il XVII e il XVIII secolo il palazzo subì notevoli trasformazioni, a seguito dei danni causati dal bombardamento della flotta francese; tra i rinnovi subiti fu rilevante la decorazione della facciata che assunse l’aspetto che vediamo oggi. Nel 1723 il palazzo fu acquistato dalla famiglia Doria, coloro che diedero il nome al palazzo.
Continuando su Strada Nuova, si trova Palazzo Podestà, a destra, e Palazzo Cattaneo, a sinistra.
fig. n 25 - Facciata del Palazzo F, Pieter Paul Rubens, in Palazzi di Genova, 1622
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fig. n 26 - Sezione, di M. P. Gauthier, in Les plus beaux de la ville de Genes et de ses environs, 1818-1825
Palazzo Podestà, al civico 7, venne costruito tra il 1559 e il 1565 dal Bergamasco e da Bernardino Cantone per Nicolò Lomellino8 , parente del Principe Andrea Doria, che si arricchì durante la prima metà del Cinquecento grazie alla pesca dei coralli nei pressi dell’isola di Tabarca.
La facciata è caratterizzata da decorazioni a stucco; al pianterreno vi sono statue femminili ai lati che sorreggono la cornice del primo piano, dove la facciata è decorata da nastri e drappeggi, mentre al secondo piano tra le finestre, coronate da ghirlande e mascheroni, ci sono decori che rappresentano trofei d’armi. All’interno fu progettato l’atrio ovale che costituisce un’importante innovazione (fig. n28).
Rispetto a ciò che si può osservare nel disegno di Rubens, la facciata risulta diversa; infatti, il portale in marmo e le finestre del piano terra sono allungate verso il basso. Questo palazzo ebbe molti proprietari: la famiglia Centurione lo acquistò all’inizio del Seicento, successivamente vi furono i Pallavicini, i Raggio e infine i Podestà, che fecero restaurare il vestibolo, il ninfeo in fondo al cortile, le aiuole, il giardino pensile e la torre.
fig. n 27 - Facciata e pianta del Palazzo del Sig. Niccolò Spinola, Pieter Paul Rubens, in Palazzi di Genova, 1622
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fig. n 28 - Facciata e pianta Palazzo del sig. Luigi Centurione Marchese de Maorsasco, Pieter Paul Rubens, in Palazzi di Genova, 1622
L’unico edificio che in Strada nuova possiede due numeri civici, 8 e 10, è Palazzo Cattaneo Adorno, o palazzo Lazzaro e Giacomo Spinola. Quest’ultimi, erano cugini e coloro che fecero costruire il palazzo; i lavori iniziarono nel 1583 e si conclusero circa cinque anni dopo. La storia di questo palazzo è tra le più misteriose, ovvero non si trova nessun documento che lo riguardi; nemmeno Federico Alizeri (1817-1882), noto storico italiano, citò questo palazzo nei suoi documenti riguardanti Strada Nuova. Data la mancanza di documenti, anche per questo palazzo è molto utile la testimonianza del Rubens (fig. n29); tramite il suo disegno si è a conoscenza del fatto che successivamente è stato
costruito un ulteriore piano. È molto probabile che questo cambiamento sia avvenuto dopo i bombardamenti francesi, dato che si ha la certezza di interventi del genere per altri palazzi nelle vicinanze di Palazzo Cattaneo. Il palazzo ha buone proporzioni generiche, non ha particolari architettonici di cui vantarsi, tranne per i due portali in marmo e in pietra di Finale molto eleganti.
Proseguendo per la via, a sinistra troviamo Palazzo Baldassarre Lomellini o Palazzo Campanella, di fronte a lui non c’è un palazzo ma i giardini di Palazzo Doria Tursi, proprietà del genero di Baldassarre Lomellini. Il signor Baldassarre fu banchiere per il re Filippo II di Spagna, si fece costruire il palazzo nel 1562 su progetto di Giovanni Ponzello, mentre Andrea Semino affrescò i saloni. Oggi il palazzo appare diverso da come è stato disegnato dal Rubens (fig. n30), sopravvive soltanto il portale in marmo fatto da Taddeo Carlone.
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fig. n 29 - Facciata del Palazzo del Sig. Giacomo Saluzzo et del Sig. Giovan Battista Adorno, Pieter Paul Rubens, in Palazzi di Genova, 1622
A fine Cinquecento il palazzo passò alla famiglia Salvago e poi al Marchese Cristoforo Spinola, Ambasciatore della Repubblica di Genova in Francia, che fece restaurare il palazzo, secondo il nuovo gusto neoclassico, dal genovese Emanuele Andrea Tagliafichi e dall’architetto francese De Wailly. Durante questo restauro si realizzò l’atrio del cortile porticato che sostituì il giardino originario. L’opera più nota fu il Salone del Sole (fig. n31) ispirato alla Reggia di Versailles, distrutto durante i bombardamenti del 1942 e mai più ricostruito. Le pareti e il soffitto erano rivestite d’oro. Un altro particolare , andato perduto nel 1942, era la struttura sopra il tetto.
Al civico 9 troviamo il Palazzo Doria Tursi, il suo primo proprietario, colui che lo commissionò, fu Nicolò Grimaldi duca di Eboli, soprannominato “il Monarca”, banchiere del re Filippo II. Il palazzo è edificato su tre lotti di terreno di Strada Nuova e fu eretto a partire dal 1565 dai fratelli Domenico e Giovanni Ponzello.
fig. n30 - Facciata e pianta del Palazzo del Sig. Henrico Salvago, Pieter Paul Rubens, in Palazzi di Genova, 1622
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fig. n 31 - Veduta prospettica del “Salone del Sole” di Charles De Wailly, XVIII secolo
L’edificio ha due ampi giardini che lo incorniciano. Nel 1593 il palazzo fu messo in vendita, avvenimento che fece scalpore in città. La madre di Ambrogio Spinola, voleva acquistarlo per il figlio, futuro conquistatore delle Fiandre, che stava per sposare una giovane aristocratica della famiglia Basadonne, ma prevalsero Gio. Battista e Gio. Stefano Doria che lo rivendettero nel 1595 a Giovanni Andrea I Doria, il quale lo comprò per il figlio, Carlo Duca di Tursi dal quale deriva la denominazione. Il duca di Tursi fece costruire, nel 1597, le due logge laterali che si affacciano sulla strada, realizzate da Taddeo e Gianbattista Carlone e da Battista Orsolino, Taddeo fu l’autore anche del portale di marmo bianco
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fig. n 32 - Facciata e pianta del Palazzo in strada Nova de Don Carlo Doria Ducca de Tursi, Pieter Paul Rubens, in Palazzi di Genova, 1622
con le figure di armati che circondano l’aquila dei Doria. La facciata (fig. n32), la più lunga della via tanto che Rubens per mostrarla nel dettaglio nel suo libro ne riporta solo la metà, è caratterizzata dall’alternarsi di diversi materiali: pietra di Finale color rosa, ardesia grigio-nera e marmo di Carrara bianco. Di fronte a Tursi si trova Palazzo delle Torrette, il cui nome deriva dalle due torri laterali, fu progettato da Giacomo Viano due secoli dopo l’apertura della strada, nel 1716, su commissione del duca di Tursi. La costruzione fu resa necessaria per completare l’urbanizzazione della strada e per nascondere alla vista le case popolari verso Via della Maddalena.
Al civico 11 troviamo Palazzo Bianco, eretto tra 1530 e il 1540, undici anni prima dell’apertura di Strada Nuova, per Luca Grimaldi. Il palazzo sorgeva in una zona suburbana, con l’ingresso presso la salita che portava alla chiesa di San Francesco di Castelletto.
Nel 1658 il palazzo passò di proprietà alla famiglia De Franchi, e nel 1711 venne ceduto a Maria Durazzo Brignole Sale, già proprietaria di Palazzo Rosso. Essa fece restaurare il palazzo dall’architetto Giacomo Viano, che lavorò ispirandosi all’architettura del Cinquecento e progettò il nuovo accesso che dava su Strada Nuova.
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fig. n 33 - Veduta del palazzo del duca di Tursi in Strada Nuova, Antonio Giolfi, 1760 circa
La decorazione esterna, in stucco, fu realizzata da Taddeo Cantone nel 1714. Da allora il palazzo fu denominato “Bianco” per il contrasto che aveva con il palazzo davanti, Palazzo Rosso. Le due statue di Giove e Giano sono l’unico elemento visibile dell’opera originaria. Rubens decise di non includerlo tra i palazzi da lui studiati. Come già detto prima, davanti Palazzo Bianco troviamo Palazzo Rosso, progettato tra il 1671 e il 1677, dall’architetto Pietro Antonio Corradi, per i fratelli Brignole Sale, Ridolfo e Francesco. Il palazzo presenta due piani nobili sovrapposti; il primogenito Ridolfo abitava al secondo piano, Francesco al primo. Quando Ridolfo morì, nel 1683, suo fratello diventò l’unico proprietario, in quanto non esistevano eredi maschi, e si trasferì al secondo piano. La pianta dell’edificio ha un’impostazione a U, le due ali sono unite da logge che definiscono il cortile interno; entrando da Strada Nuova si nota la consueta successione di atrio, cortile, ninfeo e imbocco dello scalone monumentale.
Nel 1585 venne progettata la Strada Nuova del Vastato, oggi via Balbi, dall’architetto Bartolomeo Bianco; venne costruita tra il 1601 e il 1618 per volere di Stefano Balbi, un ricchissimo esponente della famiglia Balbi, noti i banchieri genovesi.
La strada ha lo stesso schema urbanistico di Strada Nuova, simbolo dell’architettura barocca. Qui vennero costruiti altri palazzi per le famiglie d’alto livello, il più noto è Palazzo Reale, edificato dalla famiglia Balbi tra il 1643 e 1650, venne acquistato e ampliato dai Durazzo tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento. Infine, nel 1824 il palazzo venne acquistato dai Savoia diventando così Palazzo Reale.
Alla fine del XVIII secolo fu tracciata, dall’architetto svizzero Giorgio Petondi, Strada Nuovissima, oggi via Cairoli. La sua costruzione portò grossi cambiamenti in quel territorio; dove oggi troviamo piazza della Meridiana, c’era il giardino che apparteneva alla famiglia Brignole, il quale venne sacrificato, per favorire la viabilità pubblica, da Giacomo Maria Brignole, ultimo Doge della Repubblica oligarchica. In origine la piazza fu denominata Piazza Brignole, poi prese il nome attuale poiché sulla facciata di palazzo Grimaldi fu messo un orologio solare. Un altro palazzo che subì un mutamento è palazzo Lomellini, proprietà di Gian Tommaso Balbi. Esso possedeva un solo ingresso che dava su via Lomellini, ma per far continuare l’armonia della via, l’architetto svizzero realizzò un secondo portale su Strada Nuovissima; diede, inoltre, un senso di continuità tra i due ingressi grazie alle diverse altezze e con uno straordinario raccordo scenografico di scale, atri, balaustre e finestroni.
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fig. n34 - Nella pagina seguente, Strada Nuova del Vastato ,Zuccagni Orlandini, 1842
fig. n 35- Villa delle Peschiere, Rolli Days del 2018 , httpwww.turismoitalianews.it
Le ville suburbane
Molte, se non tutte, le famiglie citate precedentemente, oltre a possedere palazzi magnifici nelle strade principali della città, possedevano anche ville suburbane anch’esse bellissime e con vasti giardini, la maggior parte ormai scomparsi.
In questo capitolo verranno menzionate solo le ville più inerenti al progetto.
Villa Pallavicino
Situata sulla collina di Manin c’è Villa Pallavicino (fig. n35), che in quell’epoca sorgeva all’esterno delle mura, costruita intorno al 1560 per divenire il soggiorno suburbano di Tobia Pallavicino, principale esponente del patriziato genovese.
Comunemente conosciuta come Villa delle Peschiere, per le numerose vasche per pesci all’interno del giardino, fu progettata dall’architetto Galeazzo Alessi; esaminando il decoro è riconoscibile lo stile di Giovanni Battista Castello, per questo motivo negli anni si è messo in dubbio l'artefice del progetto o si è pensato ad una collaborazione tra i due, è tuttavia evidente la somiglianza con Villa Giustiniani Cambiaso, opera architettonica dell'Alessi risalente al 1548. L’edificio, con la sua geometria, ha una certa familiarità con
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la cultura romana, infatti, rimanda al noto palazzo romano della Villa Farnesina, realizzata da Agostino Chigi su progetto di Baldassarre Peruzzi.
Il progetto della villa è planimetricamente complesso, sono stati realizzati due ingressi sulle facciate nord e sud, per risolvere il problema della centralità dell’edificio con il giardino. La facciata meridionale è decorata con una composizione geometrica con lesene, cornicioni e balaustre; dall’incisione del Rubens (fig. n36) notiamo che i tre archi centrali a pianterreno erano originariamente vuoti per creare una loggia.
La progettazione di questa villa e del giardino aveva come obiettivo il senso di legame con l’ambiente circostante, ricercando una sorta di fusione tra edificio e paesaggio.
L’entrata a nord è inserita al disotto della loggia nobile tra due avancorpi, la si raggiunge percorrendo un vasto giardino pianeggiante, il cui asse principale segnava l’accesso carrabile posto lungo l’antico percorso che dalla porta dell’Acquasola conduceva a San Bartolomeo degli Armeni.
Il giardino nord si sviluppa lungo un’asse longitudinale, ai lati del viale ci sono delle aiuole con motivi geometrici e il complesso crea una visuale simmetrica. Di fronte alla facciata a sud, a diretto contatto con la loggia al pianterreno, vi è un secondo giardino, anch'esso decorato con aiuole geometriche dove è ancora presente la vasca marmorea eseguita da Vansoldo.
Oggi il parco è ben diverso da quello che era; in origine il giardino era ricco di apparati scenografici come le terrazze a gradoni, le fontane e la grotta artificiale, poi nell’Ottocento il giardino venne ridotto per la costruzione di via Peschiera.
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fig. n 36 - Facciata e pianta Palazzo E, Pieter Paul Rubens, in Palazzi di Genova, 1622
fig. n 38- Particolare della cartografia che mostra i binari davanti a Villa Durazzo, di Ignazzo Porro, cartografia per l’architettura militare nella Genova, 1835.
fig. n 37 - Prospetto /Assonometria centrale di villa Rosazza, sconosciuto, 1853
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fig. n 39 - Ferrovia Torino-Genova e Villa Di Negro Rosazza,XVIII secolo.
Villa Rosazza
Spostandoci a sud-ovest di fronte al porto, a circa 600 m. fuori dalle mura cittadine si trova Villa Rosazza «lo Scoglietto» (fig. n37), la residenza estiva fatta costruire dal Doge Ambrogio Di Negro nel XVI secolo; il figlio Orazio la terminò e commissionò le decorazioni interne ad Andrea Ansaldo. La proprietà si estendeva su un pendio precedentemente organizzato a terrazzamenti, sui quali sono stati inseriti il palazzo e il giardino.
Già nel XV secolo esistevano notizie relative a una struttura di villa sull’area dell’attuale Villa Rosazza, e nei due secoli successivi la villa subì lavori di rifacimento.
Successivamente la proprietà passò alla famiglia Durazzo; Gio. Luca Durazzo commissionò un ulteriore e definitivo rinnovamento a opera di Andrea Tagliafichi nel 1787, intervenendo sia sul giardino sia sul palazzo, facendogli assumere caratteristiche neoclassiche; il prospetto frontale a sud fu decorato con riquadri a basso rilievo, da putti con festoni e da medaglioni.
A coronamento vi sono sette statue che danno uno slancio verticale contrastando l’andamento orizzontale della facciata.
Nel parco a nord vennero rinnovati ambienti naturalistici: grotte, ninfei, cascate e il bosco alle spalle dell’edificio. Il giardino davanti venne prima compromesso e poi distrutto definitivamente per far spazio alla linea ferroviaria (fig. n38-39); il giardino a monte, invece, fu invaso dall’urbanizzazione cancellando ogni traccia originaria.
Villa Grimaldi Sauli
Edificata su un terreno pianeggiante a oriente rispetto alla cinta muraria, nella piana alluvionale del torrente Bisagno, troviamo
Villa Grimaldi Sauli, o la casa di Giovan Battista Grimaldi in Bisagno, costruita entro il 1554, su progetto dell’architetto Alessi per la famiglia Grimaldi, ereditata poi nel XVII secolo dai Sauli. Nonostante sorga a poca distanza dal centro della città, la posizione al di fuori delle mura la classifica come residenza suburbana e non cittadina.
Con il disegno lasciato dal Rubens (fig. n40), vediamo che la facciata è ripartita in tre zone da tre grossi cornicioni; sotto a quello intermedio è stata fatta una decorazione in stucco raffigurante un albero di vite con grappoli d’uva e foglie, per questo motivo la villa veniva chiamata anche Villa della Vigna.
Servendosi del disegno di Reinhardt (fig. n41) si nota qualcos’altro; la villa sembra fosse immersa in un paesaggio verdeggiante, composto da giardini e terrazzamenti che estendevano la proprietà fino all’Acquasola.
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fig. n 40 - Prospetto del Palazzo H, Pieter Paul Rubens, in Palazzi di Genova, 1622.
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fig. n 41 -Dipinto della veduta dall’alto, Robert Reinhardt, Berlino, 1886.
fig. n 42 - Particolare portico del Palazzo H,Pasquale Domenico Cambiaso, Genova, metà Ottocento.
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fig. n 43 -Schizzo del particolare portico del Palazzo H,Pasquale Domenico Cambiaso, Genova, metà Ottocento.
Villa Imperiale
Infine, nel quartiere di Sampierdarena (all’epoca San Pier d’Arena) troviamo Villa Imperiale Scassi, edificata tra il 1560 e il 1563 per il nobile Vincenzo Imperiale, il quale richiese il rinomato Alessi; l'architetto perugino, impegnato in Lombardia, suggerì di affidarsi al suo allievo Domenico Ponzello che, insieme al fratello Giovanni, progettò la villa sullo stile del maestro. La villa venne definita anche «la Bellezza» (fig. n44), per la sua architettura imponente, per gli interni sfarzosamente decorati e per lo spettacolare parco che, racchiuso fra due crinali, risaliva sino al promontorio; l'impegno dei fratelli Ponzello era volto ad innalzare la reputazione del loro committente e renderlo degno di un dogato agli occhi dei senatori. Il parco di grandi dimensioni, come dimostrano le tavole lasciate da Gauthier (fig. n45), era distinto da una grotta artificiale, due ninfei polimaterici, fontane, statue collocate in diversi punti del giardino; infine, una voliera al centro di un lago artificiale.
La facciata a sud, della Villa Imperiale Scassi che dava sulla strada principale, è avvicendata dalle semicolonne doriche al pianterreno, che sono elemento di decoro ma anche strutturale, servivano per sorreggere le balaustre dei balconi e le lesene corinzie al secondo piano. La loggia dona un equilibrio alla facciata, la quale risulterebbe appesantita dalle finestre.
Nel 1888 l'intera villa fu acquisita dal comune di Sampierdarena. L'espansione del tessuto urbano del Novecento inglobò la villa e il giardino, oggi divisi da Via Antonio Cantore.
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fig. n 44 - Prospetto e pianta del Palazzo D, Pieter Paul Rubens, in Palazzi di Genova, 1622.
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fig. n 45 - Planimetria del Palazzo D, Pieter Paul Rubens, in Palazzi di Genova, 1622.
I giardini genovesi 2.3
La moda Cinquecentesca
Nei giardini dei palazzi e delle ville genovesi era di moda far costruire grotte artificiali, ninfei e fontane con giochi d’acqua, simili alle antiche domus romane. Queste opere rappresentavano la ricchezza della famiglia, ma non solo, anche la modernità e l'aggiornamento culturale.
Gli architetti che venivano ricercati per la progettazione di tali manufatti erano il bergamasco Giovan Battista Castello e il perugino Galeazzo Alessi9, che era a conoscenza della cultura romana, ed era anche abilissimo nel trasformare le componenti lessicali e grammaticali dell’antico in “chiave moderna”.
La grotta costituiva l’elemento principale dei giardini genovesi e per questo veniva collocata nelle zone di passaggio e rappresentava un luogo di meditazione.
L’archetipo delle grotte artificiali fu ideato dall’architetto perugino, il quale, giunto a Genova nel 1548, presentava ai ricchi e moderni committenti genovesi un manufatto originale; le sue idee si rifacevano alle grotte del periodo imperiale romano, come ad esempio Grotta Lupercale (fig. n46) alle pendici del Palatino, della quale si pensa sia il luogo dove Faustolo, secondo leggenda mitologica, trovò i gemelli Romolo e Remo allattati dalla lupa.
Nel 1584 Giovan Paolo Lomazzo indicava, nel suo Trattato dell’Arte della Pittura, Scultura ed Architettur a 10, Genova, Roma e Fontainebleau come principali centri di sviluppo di questa moda.
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Contrariamente alle grotte ipogee genovesi, dove l’aspetto naturalistico era più importante, le grotte delle altre città europee davano più attenzione all’impianto architettonico rispetto a quello decorativo, come si può vedere nelle grotte di Fontainebleau, di Monaco di Baviera, di Lione e di Heidelberg (fig. n47).
Le Grotte artificiali e ninfei, in origine santuario delle ninfe11, mostrano i caratteri di un’operazione intellettuale condotta tra committenti aggiornati e artisti partecipi alla medesima cultura.
Nel '600, le grotte e i ninfei vennero riproposti anche all’interno dei rinnovati giardini della dimora cittadina, non solo per ricreare quell’aspetto scenografico e misterioso ma anche come soluzione per l’articolazione del giardino. I cortili vengono conclusi da scenografici ninfei, i quali si potevano ammirare anche dalle finestre del palazzo.
La peculiarità di queste grotte era data anche dalle statue in stucco di grandi dimensioni, raffiguranti grandi eroi, e dai mosaici polimaterici all’interno delle nicchie. Alcuni dei palazzi in cui troviamo questi posti teatrali sono Palazzo Podestà e Palazzo Balbi
Senarega, Palazzo Pallavicino, Palazzo Spinola (fig.n48-52).
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fig. n 46 - Foto dettaglio cupola grotta del Lupercale, www.romanoimpero.com
3 - Grottes des Pins, costruita tra il 1541–43.
5- Hortus Palatinus, incisione da S. De Caus, Les Raison de forces mouvantes, Paris 1624.
6 - La Bâtie d’Urfé nasce come casa fortificata nel Medioevo e , e solo nel XVI che fu trasformato in un castello. La grotta venne edificata nel XVII secolo circa, su commissione di Claude d'Urfé.
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4 - Grotta della Residenz, uno dei palazzi più grandi d'Europa, fu realizzata tra il 1581-86 dal duca Guglielmo V.
Fontainebleau Lione
Heidelberg
Monaco di Baviera
Roma
Genova
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fig. n 47 - Vista satellitare evidenziato il posizionamento delle grotte europee.
Originariamente il giardino di Palazzo Podestà sì sviluppava su più livelli, sfruttando la pendenza del terreno che saliva verso la collina di Castelletto. Successivamente, intorno al 1730, Domenico Parodi suggerì di creare un fondale scenografico giocando coi livelli del cortile.
Parodi fece disporre, al pian terreno, un arco sostenuto da giganteschi tritoni in stucco che sorreggono la balaustra sovrastante; nella nicchia retrostante l’acqua che scorre e la vegetazione danno luogo ad uno scenario suggestivo. Il livello posto al di sopra del giardino ospita un viale centrale, il quale si collega con quello del piano inferiore, e che termina con un ninfeo ospitante le figure in stucco di Apollo e Sileno (fig. n48).
A concludere il cortile di palazzo Balbi Senarega, posto nella parte meridionale dell’edificio, c’è un grande ninfeo su due piani. Il mosaico sulle volte allude al mito di Orfeo e delle sue nozze con Euridice figlia di Nereo e Doride. Il mito narra del celebre poeta e musicista della Tracia, il quale suonando la sua lira era capace di incantare belve feroci e oggetti inanimati. Orfeo si innamorò della driade Euridice, la quale morì il giorno stesso del loro matrimonio a causa del morso di un serpente.
Nella nicchia centrale al pianterreno si trova la statua di Nettuno, a guida dei suoi cavalli marini; questa figura è collegata al mito precedentemente citato poiché la driade Euridice proveniva dal dominio marino.
I leoni, che si trovano nel registro superiore, dai quali si originano gli zampilli d’acqua, sono anch’essi collegati al mito, poiché sono presenti tra le strofe di un canto di Orfeo.
Nella nicchia, a sinistra del ninfeo vi sono le statue di Giove e Orfeo, mentre in quella di destra vi sono quelle di Caronte e del poeta Orfeo.
Al contrario dei ninfei, le grotte da giardino hanno comunemente una pianta ottagonale o circolare con copertura a cupola.
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fig. n 48 - Prospettodel ninfeo del palazzo Lomellini-Podestà, rilievo di M. C. Brizzolara, A. Della Costanza, S. Giordani, coordinamento L. Cogorno
fig. n 49 - Pianta e sezione di Palazzo Podestà, di M. P. Gauthier, in Les plus beaux de la ville de Genes et de ses environs, 1818-1825.
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fig. n 50 - Pianta e sezione di Palazzo Spinola, di M. P. Gauthier, in Les plus beaux de la ville de Genes et de ses environs, 1818-1825.
fig. n 51 - Pianta e sezione di Palazzo Balbi-Senatega, di M. P. Gauthier, in Les plus beaux de la ville de Genes et de ses environs, 1818-1825.
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fig. n 52 - Pianta e sezione do Palazzo Pallavicino, di M. P. Gauthier, in Les plus beaux de la ville de Genes et de ses environs, 1818-1825.
Questa tecnica decorativa risulta innovativa e denuncia l’originalità della formula genovese. Gli esperti artigiani decoratori posavano sulla malta il materiale polimaterico: tessera di maiolica, ciottoli, cristalli, tessere vitree, conchiglie e coralli (fig. n53); spesso usavano malta colorata per ottenere giochi di colori.
Frequentemente i decori rappresentavano delle raffigurazioni che riprendevano l’ambiente esterno, ad esempio, la grotta Doria è adornata da temi marini poiché, all’epoca, nelle vicinanze della grotta c’era il mare, oppure nella grotta degli Orti Sauli, il mosaico raccontava scene di caccia poiché è collocata nell’entroterra.
Al di là delle decorazioni, chiaramente elaborate dall’uomo, il luogo della grotta doveva risultare il più possibile simile a quello delle grotte naturali, nelle quali i processi naturali danno vita a nuovi elementi e materiali.
Queste strutture risultano di interesse scientifico, oltre che architettonico, per la naturalezza degli elementi e per le concrezioni nate da essi nel tempo, le quali si presuppone non fossero nell’immaginario originale ma che, nonostante ciò, hanno reso ancora più interessanti questi luoghi. Qui, infatti, entrano in gioco due approcci differenti verso i misteri della natura: quello intellettuale, attraverso le figurazioni dei miti, e quello sensoriale, attraverso le facoltà percettive e il coinvolgimento del visitatore. All’interno delle grotte venivano inseriti accurati meccanismi idraulici sotto forma di rane, mostri marini e mascheroni.
Esempi ancora esistenti sono: la grotta Doria, costruita molto probabilmente entro la metà del XVI secolo; la grotta di Villa Pallavicino delle Peschiere, databile entro il 1562; la grotta di Villa Di Negro Rosazza, la struttura originale risale al periodo tra la fine del XVI e l’inizio del XVII, successivamente ha subito delle modifiche, probabilmente dall’architetto Tagliafichi, alla fine del XVIII Secolo; la grotta Grimaldi degli Orti Sauli della seconda metà del XVI secolo; la grotta Pavese e la grotta di Villa Imperiale.
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fig. n 53 - Particolare della decorazione in mosaico polimaterico (della grotta Pavese), P. Marchi, 1993, p.336.
Grotta di Villa delle Peschiere
Le grotte sono la testimonianza del lusso e della cultura tardorinascimentale, come la grotta di Villa delle Peschiere; il giardino di questa villa, come già descritto in precedenza, era stato costruito seguendo l’andamento del terreno, il quale era organizzato in terrazzamenti. Percorrendo il giardino verso sud si giunge a una doppia scalinata che porta sul terrazzo sottostante, ed è qui che fu costruita la grotta.
Il pronao, che risulta al centro del muro e sorregge il terrazzo soprastante, è fiancheggiato dai due scaloni, il tutto decorato con un motivo geometrico regolare (fig. n54-55).
La pianta della grotta, che fino a qualche tempo fa si pensava fosse ellittica, è in realtà una pianta ottagonale allargata (fig. n58), coperta da una volta ribassata.
A precedere il vano ottagonale c’è un atrio a pianta rettangolare con gli angoli smussati, esso è coperto con una volta a crociera sostenuta da costoloni a sezione rettangolare.
Alle pareti ci sono elementi sia decorativi sia architettonici che raffigurano cariatidi e telamoni; fanno da sostegno alla volta, e si alternano sui contrafforti, quattro nicchie con all’interno statue marmoree che si succedono a tre nicchie decorate a rustico.
Al centro della cupola (fig. n59) è stato creato un anello astrologico, il quale riprende la forma allungata della pianta, decorato con le simbologie zodiacali.
Le partizioni della volta frazionano le decorazioni; in alcune vengono raffigurate scene con satiri che escono da grotte, nelle altre figure di tritoni che si scontrano.
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fig. n 54 -Prospetto della grotta Pallavicino delle Peschiere, P. Marchi, 1993, p.288.
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fig. n 55 - Fotografia del prospetto a sud della Villa Pallavicino delle Peschiere in primo piano la grotta, in "www.regione.liguria.it"
fig. n 56 - Sezione trasversale della grotta di villa Pallavicini delle Peschiere, (rilievo di E. Bertolotto, A. M. Colombo , coordinamento L. Cogorno), P. Marchi, 1993, p.310.
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fig. n 57 - Sezione longitudinale della grotta di villa Pallavicini delle Peschiere, (rilievo di E. Bertolotto, A. M. Colombo , coordinamento L. Cogorno), P. Marchi, 1993, p.310.
fig. n 58 - Pianta della grotta Pallavicino delle Peschiere, V. Cazzato, 2001, p.60.
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fig. n 59 - Pianta della volta della grotta di villa Pallavicini delle Peschiere, (rilievo di E. Bertolotto, A. M. Colombo , coordinamento L. Cogorno), P. Marchi, 1993, p.309.
fig. n 60 - Grotta Pallavicino, vista dell’interno verso Ovest (Hanke, 2008, p. 390).
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fig. n 61 - Ingresso da sud-est di Grotta Pallavicino con vestibolo, (Hanke, 2008, p 393).
fig. n 62 -Volta del vestibolo di Grotta Pallavicino, (Hanke, 2008, p.393).
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fig. n 63 - Volta dell’ambiente principale di Grotta Pallavicino, (Hanke, 2008, p.394).
Grotta di Villa Di Negro Rosazza
Nei primi decenni del XVII secolo, Orazio Di Negro fece realizzare nel giardino di Villa Rosazza una grotta, nella quale l’aspetto simbolico e la decorazione figurata avevano il dominio. La grotta si trova allo stesso livello del piano nobile, inserita al centro di un muraglione di contenimento; risulta dissonante rispetto al modello alessiano, infatti si potrebbe ipotizzare un intervento del Tagliafichi sulla primitiva struttura tardo cinquecentesca. La struttura è riccamente decorata; tra i vari materiali che si osservano, le conchiglie costituiscono la componente maggiore, voluta per sottolineare l’ambiente marino teatralmente ricostruito. Le conchiglie sono rare ed esotiche, così la grotta risulta a sua volta una vera e propria Wunderkammer12 all’aperto.
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fig. n 64 - Il prospetto d’ingresso di villa Di Negro Rosazza dello “Scoglietto”, P. Marchi, 1993, p.322.
fig. n 65 -Prospetto della grotta di villa Di Negro Rosazza dello “Scoglietto”, P. Marchi, 1993, p.288.
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fig. n 66 -Sezione trasversale e longitudinale della grotta di villa Di Negro Rosazza dello “Scoglietto”, (rilievo di E. Bertolotto, A. M. Colombo, coordinamento L. Cogorno), P. Marchi, 1993, p.323-324.
La grotta è caratterizzata da un monumentale prospetto (fig. n65) con quattro erme che incorniciano la serliana, mentre l’interno è articolato in un vestibolo biabsidato con ricche decorazioni e una volta a botte.
All' interno (fig. n66) vi sono due telamoni che sostengono i capitelli ionici. Sopra il cornicione due figure marmoree di tritoni che cavalcano mostri pisciformi affiancano un riquadro centrale con uno motivo a tema marino.
La grotta presenta un ingresso, con volte a botte decorate da concrezioni polimateriche, affiancato da due nicchie decorate a rustico; di fronte si apre una cavità, che porta in un luogo ancora più sotterraneo, occupata da un laghetto, anch’essa decorata in rustico con stalattiti, concrezioni calcaree e conchiglie di ogni tipo. Nei pilastri che incrociano i quattro archi vi alloggiano figure in forma di nereidi e tritoni.
Grotta di Villa Grimaldi degli Orti Sauli
Posizionata nel giardino, o meglio negli “Orti” dietro la villa vi è Grotta Grimaldi.
Oggi si inserisce in un contesto completamente diverso e snaturato rispetto a quando è stata costruita. La grotta fu edificata su terrazzamenti, in prossimità delle mura dell’Acquasola, per sfruttare la pendenza del terreno, che beneficiava della presenza delle sorgenti d’acqua sotterranee; l’acqua si raggruppava in una cisterna ed era incanalata in parte verso la villa, e in parte verso la grotta, tramite condotti sotto il suolo stradale, per alimentare i getti, zampilli e giochi d’acqua.
Il 26 giugno 1813, l’architetto Cantoni disegnò una planimetria dell’area compresa tra Villa Serra e il Monastero dei Santi Giacomo e Filippo. Questo disegno rivela un terreno, denominato Villa Sauli, che corrisponde all’area degli Orti e presso di questi fu rappresentata la grotta in forma quadrilobata.
Il prospetto, oggi non più visibile nella sua interezza, è costituito da un portale di ingresso, riconducibile ai modelli usati nell’architettura del Cinquecento, affiancato da due nicchie. Sugli stipiti sono presenti dei bassorilievi marmorei che ritraggono scene mitologiche di Ercole e il leone, e due mascheroni sempre in marmo.
La grotta ha un breve atrio voltato a botte, con pareti ornate da due grandi tritoni e la volta decorata da putti che giocano su un traliccio di vite, un elemento decorativo che troviamo anche nella facciata della villa; l'atrio dava accesso alla sala principale con pianta ottagonale sormontato da una cupola semisferica.
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fig. n 67 - Pianta, rilievo della volta e sezione trasversale della grotta Grimaldi Sauli, V. Cazzato, 2001, p.50
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fig. n 68 - Veduta interna della grotta Grimaldi Sauli, V. Cazzato, 2001, p.58
Alle pareti ci sono nicchie di dimensioni maggiori e nicchie dimensioni minori; quelle più grosse sono rivestite in finta grotta e al centro è collocata una vasca circolare rivestita esternamente da concrezioni spugnose e conchiglie, mentre il catino è decorato con ciottoli bianchi e grigio scuro. Dalle pareti della nicchia, un tempo, fuoriuscivano delle teste di mostri marini e rane che emettevano zampilli d’acqua che cadevano dentro la vasca.
Le nicchie più piccole sono rivestite in stucco, decorate da un motivo a conchiglia; queste cavità sono le uniche con pareti intonacate, a differenza delle altre che venivano rivestite da materiale polimaterico. Al di sotto di queste nicchie vi sono quattro mascheroni raffiguranti dei leoni. Nelle pareti verticali, che si alternano tra le nicchie, vengono rappresentate figure di tritoni che fiancheggiano le lesene decorate con motivi geometrici. Sulla parete in fondo, di fronte all’ingresso, vi è un’apertura ad arco che conduce a uno stretto cubicolo che termina con un piccolo locale voltato a botte.
La cupola è percorsa da una scena di caccia con uomini armati che inseguono la selvaggina, mentre al centro, una corona di foglie e frutti circonda un’apertura dalla quale un tempo pendeva una sfera di vetro, che filtrava la luce da un lucernaio e illuminava il luogo anche di notte.
Il pavimento è rivestito in lastre quadrate in pietra di Finale, losanna in marmo e altri elementi in pietra di promontorio, i quali insieme creavano un disegno con regolarità e simmetria (fig. n67).
Grazie alle condizioni attuali di degrado si può constatare che la grotta è realizzata per lo più in mattoni mentre alcune parti sono in marmo, come la zoccolatura, la mensola perimetrale e gli elementi verticali.
Grotta di Villa Pavese
Nell'attuale quartiere di Sampierdarena vi è la grotta Pavese, la quale secondo il Furttenbach è la più nobile ed elegante tra tutte le grotte da giardino in tutta Italia.
È probabile che venne fatta erigere in occasione del matrimonio tra Camillo Pavese e Maria Doria, nel 1594 circa.
L’architetto Joseph Furttenbach, nel suo Itinerarium Italiae del 1627 13 disegnò i particolari della decorazione interna; fu colpito soprattutto dalle rose (fig. n69) ottenute con l’accostamento di conchiglie di tipo diverso.
Il mosaico polimaterico della grotta è assai ricco, si tratta della grotta da giardino genovese con l’apparato decorativo più vario nell’uso dei materiali.
Nelle componenti figurative e ornamentali viene rappresentato il matrimonio dei due giovani nobili e diverse scene naturalistiche.
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fig. n 69 - Rose di conchiglie, J. Furttenbach, da Architectura Civilis, in P. Marchi, 1993, p.347
fig. n 70 - Pianta della grotta Pavese, , in V. Cazzato, 2001, p.73
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fig. n 71 - Pianta della volta della grotta Pavese, (rilievo di E. Bertolotto, A. M. Colombo , coordinamento L. Cogorno), in P. Marchi, 1993, p.313
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fig. n 72 - Foto della volta di grotta Pavese, in L. Magnani, Tra magia, scienza e “meraviglia” le grotte artificiali dei giardini genovesi nei secoli XVI e XVII, 1984
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fig. n 73 -Sezione trasversale e longitudinale di grotta Pavese, (rilievo di E. Bertolotto, A. M. Colombo , coordinamento L. Cogorno), P. Marchi, 1993, p.314.
La grotta venne inserita in una terrazza del giardino della villa, vi si accedeva da un atrio tripartito e rivestito con decorazione a mosaico. Sulla volta a crociera dell’atrio sono rappresentate al centro le Horai 14 , che rappresentano le quattro stagioni, intente a suonare degli strumenti come chitarre, liuti e viole. Sempre nel l’atrio, sulle volte laterali, sono presenti figure allegoriche raffiguranti i quattro elementi, a sinistra fuoco e aria e a destra acqua e terra, nelle trabeazioni sotto le arcate si alternano le figure del Leone e dell’Aquila create da un mosaico polimaterico, emblemi della famiglia Pavese e Doria.
Dall’atrio si capisce il carattere simbolico della grotta, dove vengono fusi i quattro elementi coinvolti nella metamorfosi della stagione e dei cicli della vita.
La cupola, conclusa da un lanternino, è retta da otto pilastri in forma di ninfee che portano sul capo cesti di frutta, segno di abbondanza nel matrimonio. Sulla cupola sono raffigurate scene mitologiche che trattano la metamorfosi, alcune di queste scene sono state interpretate come Atteone trasformato in cervo da Diana, sorpresa nuda, e Salmacide ed Ermafrodito uniti in un solo essere (fig. n72). Sotto la cupola si trova un tamburo ottagonale decorato con una serie di paesaggi, che rappresentano Genova e Savona, e si alternano a finestre che illuminano l’ambiente interno. La parte centrale della grotta è circondata dall'acqua, elemento essenziale per la metamorfosi che è rappresentata nella decorazione della cupola. Tutta la struttura appare quindi come una rappresentazione simbolica del mondo bagnato dal mare. All’interno delle sei nicchie, sono ospitate creature mostruose e nel più profondo degli atri c’è la statua di Nettuno.
Grotta di Villa Imperiale
Nel parco di Villa Imperiale Scassi, rara testimonianza di un esempio di giardino tardo cinquecentesco genovese ed attualmente impoverito e spogliato dei suoi arredi, vi è Grotta Imperiale. Nell’incisione del Gauthier (fig. n74) si può intuire un’asse centrale che allineava l’ingresso della villa, i ninfei e la grotta. Il primo ninfeo si trova sullo stesso livello della villa, posizionato in corrispondenza del muro di contenimento del primo terrazzamento. Sul prospetto ci sono quattro telamoni scolpiti in marmo che sostengono i capitelli ionici e un architrave posto al di sotto del parapetto balaustrato. Tutte e tre le nicchie sono incorniciate da una bombatura in marmo e decorate con stalattiti e concrezioni calcaree; nelle nicchie laterali vi erano due statue, oggi perdute, che poggiavano su pilastri ornati da volti mostruosi, mentre la
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fig. n 75 -Prospetto della grotta di villa Imperiale Scassi, P. Marchi, 1993, p.289.
fig. n 74 - Veduta del palazzo e del giardino di villa Imperiale Scassi, di M. P. Gauthier, in Les plus beaux de la ville de Genes et de ses environs, 1818-1825.
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fig. n 76 -Pianta della grotte del secondo terrazzamento del giardino di villa Imperiale Scassi, (rilievo di E. Bertolotto, A. M. Colombo , coordinamento L. Cogorno), P. Marchi, 1993, p.316.
cavità centrale ospita due statue di nereidi a cavallo di un animale marino. Alla base del ninfeo si trova una vasca quadrangolare con il bordo realizzato in pietra di Finale.
La grotta si trova sul terrazzo soprano al ninfeo, anch’essa in corrispondenza di un muro di contenimento. Il prospetto (fig n75) si caratterizza per le sei colonne decorate a bugnato rustico che sorreggono la trabeazione che presenta, in corrispondenza dei fornici, alcune maschere grottesche.
La grotta subì degli interventi di risistemazione nell'Ottocento, che rovinarono l’apparato decorativo originale. La grotta di Villa Imperiale Scassi, come grotta Pavese, presenta sei pilastri disposti a circolo intorno alla pianta, realizzati con ciottoli, bianchi e neri, raffiguranti soggetti della tradizione ligure dei risseu (fig n76), ed è circondata probabilmente da un fosso che seguiva il perimetro della grotta.
Grazie ad un intervento di restauro è stata riportata alla luce, sulla fascia interna sinistra, una decorazione polimaterica che raffigura un drago con ali di pipistrello; per merito di Gio. Vincenzo Imperiale15 si ipotizza che in passato all’interno vi fosse un gruppo scultoreo raffigurante due putti in lotta fra loro. Sempre grazie allo scritto di Gio. Vincenzo Imperiale e ai rilievi fatti da Gauthier e Reinhardt è possibile rendersi conto dell’ultimo ninfeo, quello sul terrazzamento superiore alla grotta, oggi perduto.
Nonostante la deturpazione e la cancellazione del paesaggio delle ville, che hanno privato le grotte e i ninfei del loro contesto naturale, Genova rimane l’unica città europea con più testimonianze di questa moda del tardo rinascimento.
Note
1 Luciano Grossi Bianchi, Ennio Poleggi, Una città portuale del medioevo, Genova nei secoli X-XVI, Sagep, Genova 1980.
2 «Una leggenda racconta che il progettista venne gettato dalla cima alla fine dei lavori, per evitare che costruisse un’opera della stessa bellezza da qualche altra parte.» (Guglielmi, 2019, p.44).
3 «ciascuna parte della città si pone in termini di conflitto o di alleanza nei confronti degli altri alberghi, in uno stato endemico di guerra civile». (Giontoni, Baletti, 2002, p.12).
4 L. Grossi Bianchi, Una città portuale del Medioevo: Genova nei secoli X-XVI, Sagep, Genova 1980, pag. 253.
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5 G. Vasari, le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori, Firenze, 1568, ed. citata a cura di G. Milanesi, Firenze 1906, vol, V, pag. 554
6 Rubens venne ospitato durante il suo soggiorno a Genova dal figlio di Augustino, Nicolò Pallavicini.
7 «Megollo, abilissimo mercante era in affari con l’imperatore bizantino Alessio II insediatosi a Trebisonda. Offeso ferocemente dal favorito dell’imperatore -il greco Andronico- durante una partita a scacchi, Megollo per vendicarsi compì delle razzie sulla costa del Mar Nero, tagliando nasi e orecchie a chi gli capitava a tiro.» (Padovano, 2020, p.126).
8 « il Rubens registra come proprietà di Luigi centurione marchese di Morsascho» (Labò, 2003, p.146).
9 «... Alessi è l’architetto individuato da questi personaggi per sviluppare un’immagine vincente del ruolo loro raggiunto.» (Magnani, 1999, p.308).
10 G. P. Lomazzo, Trattato dell’Arte della Pittura, Scultura ed Architettura, Milano, 1584, p.300.
11 ninfeo, in epoca ellenistica o romana, costruzione di forma rettangolare o circolare o ellittica, spesso absidata, con nicchie e prospetto architettonico a colonne, contenente una fontana, che in alcuni casi raggiunge un notevole fasto scenografico, sia nelle città ellenistiche specialmente asiatiche (Mileto, Efeso, Side, Antiochia ecc.), sia nelle città romane (Settizonio a Roma, Villa Adriana, Leptis Magna ecc.).
12 «... Le Wunderkammer, così tipiche nelle corti principesche e nelle cerchie erudite, collezione in cui venivano raccolte le curiosità ed e meraviglie naturali accanto agli oggetti prodotti dall’uomo attraverso le più raffinate tecniche dell’arte...» (Magnani, 1984, p.39).
13 Furttenbach, 1627, p.220.
14 Le Horai, simbolo di grande metamorfosi delle stagioni costituiscono l’accesso i misteri della fonte introducendo il visitatore nel microcosmo della grotta, luogo dove avvengono trasformazione e metamorfosi.
15 G. V. Imperiale, Lo stato rustico, 1611, p.449-452.
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Fonte Doria 3.
Veduta di Genova dai giardini di Palazzo Doria, Domenico Pasquale Cambiaso, 1859 (Poleggi, 1976, p.156).
I Doria 3.1
Il Principe dimenticato
Quando si pensa alle persone più rappresentative del Rinascimento in Italia, Andrea Doria non è una delle prime a venire in mente. Questo è dovuto al fatto che la sua vita si sia svolta nel periodo iniziale del predominio straniero sull’Italia.
Andrea Doria nasce ad Oneglia nel 1466 da Ceva Doria, Consignore di Oneglia, e Caracosa Doria di Dolceacqua. Andrea, sebbene fosse un Doria da parte di entrambi i genitori, non apparteneva ad uno dei rami più facoltosi della casata; inoltre, la madre, in seguito alla morte del padre, si era vista costretta a vendere i titoli feudali, lasciandolo nel 1484 orfano e privo del suo patrimonio. Nel 1485 Nicolò Doria, un lontano parente di Andrea Doria e capitano a servizio di Papa Innocenzo VIII, riuscì a far ottenere al giovane orfano l’incarico di Guardia pontificia nel corpo militare di Roma.
Pur provenendo da una famiglia di tradizioni marinare, Andrea Doria fu prima comandante delle truppe terrestri e solo quarantenne cominciò a cimentarsi nelle imprese marittime.
Nel 1513, entrò al servizio della Repubblica Genovese e con sole due galee1 di sua proprietà, Andrea Doria partecipò a varie spedizioni contro i corsari Barbareschi e catturò il famoso corsaro Gad Alì nel 1519.
Dopo soli tre anni dalle prime era divenuto proprietario di altre tre galee, portando a cinque la sua flotta.
Dal 1522 al 1528, nonostante fosse alleato della Spagna, si mise al servizio di Francesco I re di Francia (1496-1547) e nel mentre, esattamente nell’anno 1526, anche all’opera di Papa Clemente VII Medici.
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Nell’agosto del 1528 il Doria stipulò un nuovo contratto con l’Imperatore Carlo V d’Asburgo (1500-58) che lo nominò capitano della flotta spagnola nel Mediterraneo, alla quale l’Ammiraglio Doria destinò l’utilizzo di dodici galee e tre triremi.
Sul piano politico chiese all’imperatore la sottomissione di Savona e l’indipendenza di Genova, alleata da tempo alla Spagna, liberandola così dall’occupazione francese.
Per questa conquista Andrea Doria ricevette il titolo di pater patriae e un palazzo vicino alla chiesa di San Matteo; questo venne convertito, da Giovannangelo Montorsoli, a monumento funebre.
Come già menzionato nel capitolo 2, nel 1528 l’ammiraglio Doria attuò la riforma oligarchica dei 28 alberghi nobiliari, acconsentendo a divenire Priore Perpetuo dei Sindacatori.
In quegli anni, tra il 1521 e 1529 fece costruire una splendida dimora, la sua realizzazione non simboleggiò solo il ruolo egemone che Andrea Doria assunse in politica, ma la sua costruzione avviò l’uso delle forme di mecenatismo e interesse per l’arte, proprie delle corti italiane più progredite.
Andrea Doria, con il compimento del proprio palazzo, diffuse il messaggio secondo il quale la sontuosità delle dimore e degli arredi è sinonimo di “instrumentum regni”, strumentalizzazione delle masse in particolare per conseguire fini politici e mondani.
Come afferma Grendi: «Doria offriva un modello nuovo alla classe dirigente genovese: l’immagine di un reggente illuminato ed umanista che s’adoperava a trasformare il cantiere di Fassolo in un’occasione culturale internazionale, rompendo decisamente con gli schemi tradizionali della committenza genovese» (Grendi, 2012, p.111-112)
L’aristocrazia genovese, ormai parte importante di egemonia sulla finanza europea, accolse favorevolmente l’ispirazione di Fassolo, infatti in aree esterne alle porte di Genova, intorno alla metà del secolo, sorsero residenze aristocratiche magnifiche. Nel 1531, grato dei servigi resi, l’Imperatore d’Asburgo Carlo V nominò Andrea Doria Principe del feudo di Melfi in Basilicata e gli conferì il titolo onorifico del Toson d’Oro. Il Principe Doria affrontò nel 1547 “la congiura dei Fieschi” che si concluse con l’annientamento di quest’ultimi e la morte di Giannettino Doria, figlio di Tommaso cugino di primo grado del Principe (1510-47).
Andrea Doria morì nel 1560, e lo succedette il figlio di Giannettino, Giovanni Andrea I.
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L’erede dell’Ammiraglio
Giannettino Doria nacque nel 1510 e sarebbe dovuto succedere ad Andrea Doria, non per diritto di discendenza legittima, ma in seguito alla rottura dei rapporti tra il Principe e il figlio adottivo Marco Antonio del Carretto, il quale deluse le aspettative del Doria.
Sotto l’ala protettrice di Andrea Doria, Giannettino ottenne un vantaggioso matrimonio e una brillante carriera navale, partecipando a importanti spedizioni con l'Ammiraglio e raccogliendo importanti successi come, ad esempio, la cattura di nove imbarcazioni turche e l’arresto del pirata Dragut, che venne incatenato e portato a Genova dallo stesso Giannettino. Durante la notte della congiura organizzata da Gian Luigi Fieschi, Giannettino si diresse a placcare i disordini fuori dalle porte della città, ma non appena varcò la soglia della villa di Fassolo venne ucciso da un colpo di archibugio.
Dal matrimonio vantaggioso con Ginetta Centurione, figlia del banchiere e mercante Adamo, nacque nel 1540 Giovanni Andrea I Doria il quale succedette al padre nella carica di erede del Principe. Solo dopo un anno dalla morte del padre venne condotto sulle galee, affinché si abituasse alla vita di mare poiché il suo destino sarebbe stato quello di divenire ammiraglio. Anche per lui, Andrea Doria organizzò un matrimonio vantaggioso con sua nipote
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fig. n 77- Ritratto dell’ammiraglio Andrea Doria, Sebastiano del piombo, 1526
Zenobia del Carretto, per ragioni dinastiche garantendo la solidità del patrimonio. Questa unione fu comunque contraddistinta da un amore sincero, a testimoniarlo furono le volontà di Giovanni Andrea I di essere seppellito con in mano una ciocca di capelli della sua «Signora et vera amica».
Alla morte del suo tutore e mentore, egli ereditò i titoli nobiliari, le galee e la proprietà a Fassolo.
Nel 1571 Giovanni Andrea fu capo della flotta, sotto il comando dell’ammiraglio Don Juan de Austria (1547-78), a Lepanto; lì sconfisse i turchi e nel 1583 il re spagnolo Filippo II (1527-98) lo nominò generale del mare. Nonostante fosse al servizio della corona e membro del Consiglio di Stato spagnolo, ebbe un ruolo importante anche all’interno dello Stato genovese.
Definito «ricchissimo sopra ogni eccellenza d’Italia e odiato da tutti fuorché dal re»2 poiché il suo patrimonio era molto cospicuo; oltre la dimora di Fassolo, egli possedeva anche la villa Doria a Pegli, Palazzo Tursi in Strada Nuova e due case nella curia medievale dei Doria in piazza San Matteo.
Al di fuori di Genova era in possesso dei feudi di Loano, Campione e altri dislocati sugli Appennini. Giovanni Andrea I, molto devoto alla fede cattolica, insieme alla moglie Zenobia fondò, rinnovò e donò numerosi edifici religiosi.
Grazie alle imprese di Giannandrea, la stirpe dei Doria venne riconosciuta come una delle famiglie nobili europee.
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fig. n 78-Ritratto di Giovanni Andrea Doria, sconosciuto, 1594, ca.
Il borgo di Fassolo 3.2
Il palazzo
La dimora del principe venne costruita nel sobborgo di Fassolo, fuori dalle mura della città, presso la porta di San Marco. L’edificio fu costruito in una zona pianeggiante e si estendeva dal lido del mare, dove avrebbe potuto far ancorare le sue navi, fino alla sommità della collina. Quella ubicazione non fu scelta solo per la sua bellezza e maestosità, ma anche perché essendo fuori dalle mura era una posizione valida strategicamente e politicamente:
• le caratteristiche del sito offrivano protezione a nord, grazie alla pendenza della collina,
• vivere fuori dalle mura indicava restare esterni alle controversie della politica cittadina,
• non si correva il rischio di venirvi intrappolato in caso di assedi, rivolte e tumulti cittadini,
• aveva il controllo all’accesso alla città da chi proveniva da ponente.
Doria acquistò nel 1521 tre proprietà contigue, dove il podere centrale apparteneva alla famiglia Lomellini. La villa originale di Andrea Doria corrispondeva solo alla parte centrale che vediamo oggi, quindi, una struttura aperta con un porticato sulla facciata e due bracci perpendicolari.
Nei primi anni l’ammiraglio si limitò a conservare le strutture già presenti, poiché Genova era sotto l’assedio dei francesi. Il periodo dell’alleanza tra Doria e l’imperatore Carlo V coincise con l’ampliamento della villa, diventando una dimora sontuosa.
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Questa trasformazione avvenne anche perché dopo aver frequentato le corti importanti di quell’epoca (Parigi, Roma, Urbino, Napoli), avvertì, rientrando a casa, il provincialismo e l’arretratezza della città di Genova. Chiamò gli artisti più qualificati, come Pietro Bonaccorsi detto Perin del Vaga (1501-47), discepolo di Raffaello, che impreziosirono la dimora di Fassolo con arazzi, suppellettili in oro e affreschi.
Successe che, capitò a Roma Nicola Veneziano, raro esperto maestro di ricami e servitore del Principe Andrea Doria, costui era un vecchio amico di Perin del Vaga e persuase quest’ultimo a partire per Genova promettendogli che il Principe Doria, amante della pittura, gli avrebbe commissionato una grande opera. A tal proposito, il Principe aveva più volte confidato a Nicola Veneziano che voleva realizzare un appartamento con stanze da bellissimi decori. A Perin del Vaga va dato il merito per i cicli di affreschi avviati nel 1529 e conclusi nel 1533. Questo complesso programma iconografico, integrato ad un ricco apparato di stucchi, era volto a celebrare la figura di Andrea Doria e della sua famiglia. Perin del Vaga progettò anche la decorazione, mai eseguita, nell’ingresso originario, che si trova sulla facciata nord del palazzo (su via San Benedetto), esso doveva raffigurare le storie di Furio Camillo che saccheggia i Galli (evidente allusione alla cacciata dei Fieschi).
Al primo piano, Andrea Doria fece costruire due appartamenti: il proprio ad ovest, quello ad est per la moglie Peretta Usodimare (1478-1550); le stanze della principessa furono decorate con temi amorosi, tratti perlopiù dalla Metamorfosi di Ovidio, sempre commissionate a Perin del Vaga.
fig. n 79-Veduta del palazzo del principe Doria a Fassolo, M.P.Gauthier, (1818-32), vol II, tav.52
Le sale erano state organizzate seguendo un modello gerarchico; alle prime stanze potevano accedere solo uomini ma di un certo rango, invece nelle ultime sale, quelle private, era necessario un invito formale del Principe.
La sua abitazione era in grado di ospitare i personaggi più importanti come, ad esempio, l'Imperatore Carlo V (1533) ed il Re di Spagna Filippo II (1548).
Le sale nel versante ovest sono:
• Salone dei Giganti, è la sala principale dell’appartamento di Andrea Doria e luogo di massima valenza cerimoniale del palazzo; qui fu messo il trono in onore di Carlo V durante il suo soggiorno. In questa stanza Perin del Vaga decorò la volta, raffigurando Giove che folgora i Giganti ribelli.
• Sala della Carità Romana, contingua del salone dei giganti, fungeva da sala da pranzo. La stanza prende il nome grazie all’affresco di Perin del Vaga che illustra l’episodio della Carità Romana.
• Sala di Perseo, utilizzata come camera da letto invernale poiché sulle pareti sono disposti teli di velluto. Nelle lunette viene rappresentata la Storia di Perseo, eroe sottoposto a dure prove e in grado di ristabilire la pace, ovviamente alludendo alle virtù pacificatorie di Andrea Doria.
• Sala di Cadmo, all’interno ci sono quattordici lunette in cui vengono rappresentate le vicende di Cadmo il fondatore di Tebe. Cadmo, seguendo le istruzioni di un oracolo, insegui una giovenca alla ricerca della sorella.
• Sala dei Sacrifici, qui, Perin del Vaga dipinse nelle lunette scene di sacrificio agli dèi pagani.
• Sala dello Zodiaco, la stanza prende il nome dai segni zodiacali presenti sulle lunette, oggi si possono vedere solo il segno dei Pesci e dell’Acquario, ancora parzialmente visibile il segno del Capricorno. Al centro della volta una Fenice in bassorilievo.
Le sale nel versante a levante sono:
• Salone del Naufragio, la decorazione sulla volta fu la prima impresa di Perin del Vaga nel Palazzo3, l’affresco rappresenta Nettuno che placa la tempesta dopo il naufragio di Enea.
• Sala della Metamorfosi, dove nelle lunette viene raffigurato Aracne, la quale sfidò Minerva in una gara tessile. Minerva dopo aver vinto trasformò in ragno la sua avversaria.
• Sala di Psiche, nelle lunette viene raffigurata la vicenda di Psiche e Amore. Inoltre, è esposto il ritratto di Andrea Doria eseguito da Sebastiano del Piombo commissionato da Papa Clemente VII.
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• Sala di Filemone, retrocamera della Sala di Psiche. Nelle lunette sono stati riconosciuti due episodi di Filemone e Bauci, coppia di anziani che accolse Giove e Mercurio.
• Sala di Fetonte, retrocamera della Sala di Aracne. Le lunette rappresentano il mito di Fetonte, ossia l'esempio di superbia punita.
A Giovanni Andrea I Doria (1539-1606), ammiraglio della flotta spagnola del Mediterraneo, si deve l'ampliamento e la modernizzazione della villa e dei giardini, commissionandoli all’architetto Giovanni Ponzello (1520-98); l'operazione servì a dimostrare il potere di Giovanni Andrea I Doria.
Si fece costruire una loggetta proprio accanto alla villa nel 1545 (distrutta successivamente durante gli ampliamenti della città), in seguito, a partire dal 1561, fece aggiungere delle stanze al palazzo nella parte est (fig. n80).
Nel 1566 furono costruite altre stanze verso il giardino a ponente e undici anni più tardi, fu avviata la costruzione di un nuovo volume sul lato est della proprietà; nel 1581 fu eretta una più grandiosa loggia a mare e nello stesso anno fu aperto a levante un secondo portone, oltre a quello principale, sulla via San Benedetto. Nel 1594 fu concluso un contratto, con B. Cantone e L. Carlone, per l’edificazione di una galleria ad ovest analoga a quella costruita precedentemente ad est, e della cappella adiacente. Un esempio degli ampliamenti di Giannandrea è la Sala di Paride, con decorazioni a stucco, commissionate a Marcello Sparzo, a tema amoroso, probabilmente legato alle nozze del primogenito Andrea II Doria con Giovanna Colonna.
Durante la permanenza di Giovanni Andrea fu ospitato il duca di Brunswick (1578), la duchessa di Lorena (1579), Maria d’Austria (1581), Margherita d’Austria (1599).
Giovanni Andrea, a fine ‘500, acquistò per il figlio Carlo il palazzo di Nicolò Grimaldi su Strada Nuova (oggi Doria-Tursi) e fece riadattare la villa in una struttura da utilizzare come forestiera.
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fig. n 80- Pianta del piano nobile
I Giardini
Andrea Doria si preoccupò di dotare il suo palazzo di giardini adeguati all’importanza della dimora, uno a sud che si affacciava sul mare e l’altro nord.
Il giardino nord venne costruito tra il 1539 e il 1542, quando Andrea Doria fece regolarizzare il lotto alle spalle del palazzo, ottenendo dalla Repubblica la concezione dell’acqua proveniente da Granarolo. Nella seconda metà dell’Ottocento questo giardino venne in parte distrutto, per la costruzione della linea ferroviaria Genova-Torino, avvenuta nel 1854, e in parte trascurato e lasciato in stato di abbandono, visto che Genova non era più la sede principale per la famiglia. Nel 1899 venne demolita ulteriormente parte del giardino a causa della realizzazione di Via Pagano Doria; dove nel 1913 venne costruito l’hotel Miramare ed edifici per le abitazioni private.
Nel 1543 Andrea Doria commissionò l’organizzazione del giardino a Gio. Angelo Montorsoli (1507-63) che era evidentemente influenzato dai giardini romani e toscani, in particolare dal giardino della villa per Cosimo I Medici (a Fiesole). Per il giardino fu creato un sistema di terrazze sovrapposte, che seguivano il pendio della collina, su cui vennero posti pergolati, alberi d’agrumi, statue e fontane. Dal pergolato, al piano nobile, ad ovest del palazzo (fig. n82), costruirono una passerella che si congiungeva col giardino, e su quello stesso piano si trovava un pergolato lungo tutta la cubba4
fig. n 81- Veduta del palazzo del principe Doria a Fassolo, Luigi Garibbo (Genova, 1782Firenze, 1869) .
(fig. n83), al centro del pergolato si trovavano due scalinate che portavano al piano superiore del giardino. In questo spazio inserirono una Fontana ottagonale, mentre ai due lati del piano vi erano vasi di agrumi disposti geometricamente.
Per il giardino a sud Andrea Doria affidò il lavoro a Perin del Vaga. Il giardino si trova sull’asse della linea mediana del cortile centrale, dell’atrio e del portale dell’edificio, sulla facciata nord. Se un tempo il giardino della villa si estendeva fino al mare, oggi non è più così; nel 1930, infatti, venne costruita la Stazione Marittima che occupò la parte finale in prossimità del lido, mentre un’altra porzione di giardino venne distrutta per far spazio a Via Adua. Inevitabilmente, questo stravolgimento eliminò quel senso di tranquillità originario.
Importante è il cortile terrazzato (fig. n84), suddiviso in tre spazi delimitati dai bracci ortogonali del palazzo. In quello a ponente è presente la Fontana dei Delfini realizzata da Silvio Cosini, su disegno di Perin del Vaga, unico elemento decorativo superstite dell’artista fiorentino. In precedenza, la Fontana dei Delfini doveva rappresentare il punto focale del giardino meridionale.
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fig. n 82- Pianta generale e sezione principale, di M. P. Gauthier, in Les plus beaux de la ville de Genes et de ses environs, 1818-1825.
fig. n 84- Veduta del cortile terrazzato , Pittore del XIX secolo.
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fig. n 83- Litografia del 1700 ca., di N. Orsolini, collezione topografica del Comune di Genova, 1970.
fig. n 85- Veduta a volo d’uccello, di Antonio Lafrery, Roma 1537- copia a stampa 1581 Palazzo Rosso .
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fig. n 86- Veduta a volo d’uccello, di Antonio Giolfi Inca, carta 1769 Museo Galata.
fig. n 87- Veduta dei giardini di Villa Doria di Fassolo, di M. P. Gauthier, in Les plus beaux de la ville de Genes et de ses environs, 1818-1825.
Il giardino, dal lato mare, era delimitato da un porticato, il quale dava la possibilità di accedere alla battigia; è possibile vederlo nel particolare della veduta a volo d’uccello (fig. n85) realizzato da Antonio Lafrery, nella sua raffigurazione di Genova del 1537. Una volta ereditato il palazzo, Giovanni Andrea I, con l’aiuto dell’architetto Giovanni Ponzello, chiarì la fisionomia definitiva dei giardini.
Giovanni Andrea fece realizzare, nel 1586, la statua di Giove5, chiamata dai genovesi “il Gigante”, si trovava nella terrazza superiore che concludeva il giardino, come possiamo vedere sull’incisione di Antonio Giolfi (fig. n86).
La statua, alta circa 8 metri, era inserita in una nicchia, ed era perfettamente in asse con la fontana di Nettuno. Sotto la statua fu sepolto il “gran Roldano”, l’amato cane di Giovanni Andrea Doria. Giannandrea fece costruire due ali, che andavano ad incorniciare il giardino sud, e le rese complete di tutti quei servizi (mulino, stalle, cucina, alloggi per la servitù) che servivano a garantire al palazzo la totale autosufficienza; fece poi costruire, al posto della struttura eretta da Andrea Doria, una loggia sul mare (fig. n89-91), rifacendosi alle antiche ville marittime romane, con terrazze e la scalinata di accesso.
Tra il 1580 e il 1590 vennero fatti degli interventi in modo da organizzare il giardino in maniera più sistematica; si realizzò il “Giardino del Satiro" che si trovava di fronte alle sale di levante,
e la scalinata in marmo che collegava il piano del cortile al giardino marino. In quest'ultimo furono disposte quattro fontane, sormontate da statue raffiguranti le quattro stagioni con i relativi piedistalli, sui quali erano raffigurati i segni zodiacali; al centro del giardino fu collocata la fontana di Nettuno, il fulcro del giardino.
La fontana fu realizzata da Taddeo Carlone tra il 1599 e il 1601, il quale ha voluto raffigurare la figura di Nettuno alla guida di una conchiglia trainata da cavalli marini, tipica iconografia doriana introdotta da Perin del Vaga nel salone del Naufragio; sul margine della fontana vi sono dodici aquile con serpi e mostri marini tra gli artigli, simbolo araldico della famiglia. Inoltre, la figura di Nettuno la troviamo anche nella grotta nel giardino a monte.
È evidente la volontà di Giovanni Andrea nel continuare la tradizione del suo predecessore "il quale aveva anche lui commissionato a Giovanni Angelo Montorsoli (1507-63) una statua di Nettuno ormai perduta" celebrando il potere dei Doria sul mare attraverso l’esaltazione della divinità.
Nel 1603, l'Ammiraglio Giovanni Andrea, acquistò da Erasmo Doria la proprietà a nord, dove già esistevano la Villa del Gigante e la grotta progettata da Galeazzo Alessi.
Nel medesimo anno, infine, venne realizzata sul lato ovest la grande uccelliera a pianta trapezoidale, essa serviva a mascherare l’irregolarità della pianta del giardino. Venne progettata da Battista Orsolino e costruita da Andrea Varchi e Silvestro Mongiardino. Si pensa che la struttura assomigliasse ad una sorta di tunnel o chiosco allungato, costituito da pali in ferro e racchiuso in una rete metallica; sulla parte superiore venne installata una cupola in ottone sulla quale era posata un'aquila, simbolo dei Doria.
L'imponenza di tale uccelliera era data anche dal fatto che Giovanni Andrea Doria volle al suo interno alberi ad alto fusto6 , sui quali gli uccelli potessero nidificare, e fontane, anch’esse create da Battista Orsolino, che fungevano sia come elemento di decoro sia per fornire acqua agli uccelli.
La statua di Nettuno e quella di Giove, poste una a nord e l'altra a sud creavano un’asse immaginario che collegava il mare alla collina, riuscendo a far cogliere unitariamente l’intera proprietà dei Doria (fig. n87-88). Tra di loro sorgeva il palazzo che così risultava posto sotto la protezione delle due divinità.
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fig. n 88- Vista del palazzo Doria e del giandino a nor, di Nicolas Marie Joseph Chapuy (Parigi, 1790-1858).
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fig. n 89- Veduta della loggia sul mare, di James Holland, 1850.
fig. n 90- Pianta e sezione della loggia, di M. P. Gauthier, in Les plus beaux de la ville de Genes et de ses environs, 1818-1825.
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fig. n91- Veduta della loggia, di M. P. Gauthier, in Les plus beaux de la ville de Genes et de ses environs, 1818-1825.
La fonte del Capitan Lercaro 3.3
Inquadramento storico
«... costruire artificialmente da far dimenticare persino che si tratti di qualcosa di artificiale» (Magnani, 1984, p.25)
La fonte Doria merita una particolare attenzione nel panorama delle grotte genovesi da giardino, poiché fu il prototipo e modello per i successivi sviluppi della moda delle fonti rustiche. (G. Vasari, le Vite, 1568, ed. citata a cura di G. Milanesi, Firenze 1906 Vol. V p.554).
Certa è la progettazione dell’architetto Galeazzo Alessi, nella prima metà del Cinquecento.
Erroneamente si supponeva fosse stata da sempre Grotta Doria, ma dal momento che nel documento del 1568 di Vasari veniva chiamata Fonte Lercaro sono stati avviati studi più approfonditi, consultando anche documenti nobiliari7, i quali hanno chiarito che la fonte prima di appartenere alla proprietà di Villa del Principe si trovava in quella di Villa del Gigante, nata come Villa Fassolo, che a suo tempo aveva inglobato il terreno di un’altra villa: Villa Lercaro. Quindi la Fonte fu quasi sicuramente commissionata da Capitan Lercaro, acquistata in seguito da Marcello Galleani insieme all’intera proprietà e lasciata in eredità al figlio Erasmo. Infine, Giovanni Andrea, per garantire la permanenza del patrimonio nel casato, acquisì la villa da Erasmo, il quale era caduto in disgrazia in seguito all’allontanamento dalla città nel 1600 e, dopo tre anni, fu condannato per l’omicidio di un suddito del Duca di Savoia. Il vasto possedimento divenne così parte del
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Palazzo e dei giardini, che proprio in quel periodo stavano subendo un importante restauro tramite l’installazione di fontane, statue marmoree e altre meraviglie.
Sino al XIX secolo la grotta è celebrata dalle fonti locali e da quelle dei viaggiatori, come ad esempio il testo di un viaggiatore spagnolo, che nella metà del XVI secolo, con lo pseudonimo di Pedro de Urdemalas, descrive la grotta come la cosa più delicata che si possa immaginare, ricca di zampilli d’acqua e decorata da ciottoli piccoli quanto mezza unghia che andavano a formare figure di giganti.
Anche Raffaele Soprani, uno storico genovese, nel 1674 elogia l’opera dell’Alessi, e l’artista stesso, per la tecnica scelta unita alla varietà dei materiali per il mosaico; importanza minore venne data all’apparato iconografico.
Il luogo dove sorgeva la grotta doveva risultare il punto d’arrivo di un percorso tra le meraviglie della villa, ma allo stesso tempo distaccato per amplificare l’importanza dell’opera; godeva, infatti, di un eccezionale panorama sul golfo di Genova.
L’intento di Alessi era quello di mescolare natura e artificio; per ricreare la parte “naturale” ideò una struttura architettonica costituita dall’insieme di elementi, come conchiglie e ceramiche, e diede alla grotta un aspetto acquatico grazie al mosaico polimaterico, che riveste la struttura, rappresentante scenari e personaggi mitologici. Alizeri insiste sulla ricchezza dei rilievi di materie diversi «talché nell’intera fabbrica non è palmo che si mostri nodo di tali bellezze» (Alizeri, 1847, p. 1311).
Nonostante l’importanza goduta da queste opere nel Cinquecento, col tempo vennero pian piano dimenticate o addirittura distrutte. La testimonianza dell’Alizeri, nel XIX secolo, riportava che già da anni la grotta Doria stava subendo un uso improprio da parte dei genovesi; era diventata, infatti, un deposito usato dai contadini della zona per riporre fascine o altro materiale. La grotta fu ignorata e dimenticata fino agli anni Ottanta dello scorso secolo; fu infatti ritrovata dal professore Lauro Magnani in un’area ormai edificata. La struttura e la decorazione sono visibilmente danneggiati a causa dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale ma anche dalle trasformazioni urbane, dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento; sono state trovate lettere di protesta, risalenti a quel periodo, riguardanti la demolizione di parti importanti come il lanternino e la nicchia centrale del lato ovest. La grotta subì un intervento di pulizia, che ha consentito di riportarla alla luce, venne poi riacquistata nel 1999 dalla famiglia Doria Pamphilj, che acquistò l’intero appartamento con annessa la grotta.
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I danni architettonici che subì sono stati: la perdita dell’atrio che precedeva la sala ottagonale; la chiusura del lanternino posto sulla cupola; la distruzione della fontanella sul lato sinistro e di una raffigurazione in uno spicchio della cupola sopra l’entrata; la dislocazione della cupola. La grotta e la lapide del cane Roldano sono gli unici elementi sopravvissuti.
Impianto Architettonico
L’aspetto originario della grotta ci è testimoniato da una pianta dipinta da uno sconosciuto databile alla fine del XVIII secolo o inizio del XIX secolo (fig. n92). Numerosi sono i riferimenti alla cultura romana, sia nell’apparato iconografico con le divinità fluviali che accolgono il visitatore sia nella composizione architettonica che è modellata facendo riferimenti all’antico, come l’atrio biabsidato, la cupola, le statue e la pianta ottagonale, la quale ricorda le fonti termali romane.
L’ambiente principale era preceduto da un atrio biabsidato, il quale riprendeva la medesima pavimentazione in marmo decorata da un motivo geometrico. Sorpassato l’atrio d’entrata, si accedeva alla sala ottagonale, della quale è ancora riconoscibile la sua originalità nonostante abbia subito danni rilevanti; il soffitto è una cupola
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fig. n 92- Dipinto della pianta di Grotta Doria, ignoto disegnatore, XVIII - XIX secolo, Genova, Collezione topografica del Comune.
divisa in otto spicchi, e culminava con un lucernaio che filtrava la luce e illuminava il luogo. Al centro di quest’ultimo era raffigurata l’aquila della famiglia Doria.
La conformazione, quasi circolare, è stata definita la più adatta per esprimere il carattere “intellettuale” dei bagni e delle fonti, i quali elevavano la reputazione dei committenti definiti raffinati cultori dell’antico e ammiratori del creato della natura.
Di fronte all’accesso, c’è una cavità (fig. n94) più profonda decorata da stalattiti e stalagmiti naturali, da cui ancora oggi sgorga l’acqua.
Ai lati di questa cavità ci sono due nicchie, decorate con un mosaico polimaterico, e a fianco se ne trovano altrettante, incrostate da conchiglie e concrezioni calcaree; in queste ultime due, si trovano due vasche sorrette da delfini. Per quanto riguarda le due nicchie a fianco dell’ingresso si sa, grazie al disegno dell’artista ignoto, che era presenta una scala nella nicchia di destra, ma il deterioramento del sito non ha reso possibile conoscere se portasse ad un piano superiore o inferiore. Si sa inoltre che all’interno della grotta vi erano due statue9, entrambe scomparse in epoca più recente.
Tra le arcate vi sono otto erme con il busto coperto da conchiglie e un cesto di frutta sul capo, il loro ruolo non era unicamente decorativo ma anche strutturale.
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fig. n 93- Foto del particolare delle maschere dalle guance gonfie.
fig. n 94- Pianta dellagrotta Doria Galleani, (rilievo di E. Bertolotto, A. M. Colombo , coordinamento L. Cogorno), P. Marchi, 1993, p.305.
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fig. n 94- Sezione longitudinale di grotta Doria Galleani, (rilievo di E. Bertolotto, A. M. Colombo , coordinamento L. Cogorno), P. Marchi, 1993, p.307.
Erano collegate a un impianto idraulico che faceva scorrere l’acqua su di loro, così da far sembrare che stessero sudando per la fatica di sorreggere la volta.
La struttura è divisa in otto spicchi, decorati con il mosaico, sulla parte superiore di questi si trovano otto maschere (fig. n93), come se fossero intente a soffiare così da simboleggiare i venti; sono delle icone presenti anche nelle sale della residenza di Andrea, sia in affresco sia in stucco, ad esempio negli angoli della cornice che contorna l’affresco della Caduta dei Giganti.
Nel 2000 è stato effettuato uno scavo nella zona antistante la grotta, che ha evidenziato uno strato di mattoni forati, databili alla metà del XX secolo, usati per livellare il terreno dopo lo sgombero dalle macerie dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale; da questo scavo, inoltre, sono emersi dei resti dell’atrio biabsidato della grotta. Nei documenti redatti (fig. n96) sono evidenziate due vasche in forma ovale (20004 e 20009) pavimentate con quadrelle di ardesia di 30x30cm posate sopra uno strato di malta.
Nella parte a ovest si nota un canale di deflusso dell’acqua (20011) verso un connettore centrale che attraversa l’area mediana dell’atrio in direzione nord-sud. È stata individuata una fondazione di un muro (20013) lunga circa 1,70 m, che doveva chiudere la grotta.
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fig. n 96- Area di scavo nella zona antistante la Grotta Doria. 2000, Disegno di A. Gismondi e V. Fravega..
fig. n 97- Pianta della volta dellagrotta Doria Galleani, (rilievo di E. Bertolotto, A. M. Colombo , coordinamento L. Cogorno), P. Marchi, 1993, p.306.
Apparato Iconografico
L’intero sistema simbolico della decorazione rimanda al regno delle acque, le scene raffigurate nei mosaici illustrano temi legati all’acqua, elemento presente fisicamente nella grotta, originalmente scorreva dall’alto nei bacini posti sotto le nicchie e nella grotta naturale che si trova in fondo. L’iconografia non è collegata ad Andrea Doria, visto che non era il committente, è collegata col paesaggio che si trovava nelle vicinanze, ovvero il mare. Le otto scene mitologiche sulla cupola sono tratte dalla Metamorfosi di Ovidio e l’acqua è un elemento unificante; sopra l’ingresso della cavità, in fondo alla grotta, viene rappresentato Nettuno che guida i cavalli marini (fig. n99), questa raffigurazione la vediamo altre volte sia nel palazzo sia nel giardino, poiché è la tipica iconografia Doriana. Osservando a partire dalla destra di Nettuno troviamo il rapimento di Europa (fig. n100), Galatea sulla conchiglia (fig. n101) e Polifemo seduto su uno scoglio (fig. n102); a partire dalla sinistra di Nettuno troviamo Perseo, che uccide il mostro marino e libera Andromeda (fig. n103), Peleo e Teti (fig. n104), Nesso, che rapisce Deianira (fig. n105), e in corrispondenza con l’ingresso una scena, ormai illeggibile, che presenta tracce di una figura umana a cavallo di un delfino (fig. n106). Sulla parte superiore degli spicchi compaiono otto mascheroni, di diversi colori, con le guance gonfie, sono la rappresentazione dei venti: Subsolanus, Vulturnus, Auster, Africus, Favonius, Corus, Septentrio, Aquilo, venti legati
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al regno di Nettuno «ove essi mostrano meglio forse che in altro loco le loro forze»10 . Gli otto venti indicano anche gli orientamenti cardinali. Le costolature della cupola, sono decorate da rose, create dall’accostamento di conchiglie e chiocciole, e da sedici medaglioni che sembrano imitare i cammei, gioiello realizzato tramite l’incisione di una conchiglia o di una pietra. Questi in particolari, insieme alle statue, sottolineano il ruolo della grotta come luogo dell’antico.
Nelle nicchie sono raffigurate scene mitologiche, dove vengono personificati due fiumi11, rendendo il luogo più suggestivo. Nella parete di sinistra viene rappresentato il fiume Nilo (fig. n107), un vecchio con la barba che rovescia una damigiana creando il fiume, il particolare che fa capire che si tratti del Nilo è il coccodrillo che si trova vicino al vecchio, dietro di lui sono rappresentati tre bambini che rappresentano gli estuari del fiume. A destra c’è il Tevere (fig. n108), anch’esso rappresentato da un vecchio che crea il fiume rovesciando un vaso. Anche qui vi sono raffigurati dei particolari che fanno capire che si tratta del fiume Tevere, ovvero la Lupa e due bambini, Romolo e Remo. Riguardo le altre due nicchie (fig. n98), che si trovano vicino all’ingresso della grotta, non si è certi se siano state distrutte o se già in origine apparivano così, come delle insenature prive di elementi decorativi.
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fig. n 98- Foto del mosaico, della niccia a destra rispetto all'ingresso.
fig. n 99- A sinistra, foto del mosaico raffigurante Nettuno che guida i cavalli marini.
fig . n 100- A destra, foto del mosaico raffigurante il rapimento di Europa.
fig. n 101- A sinistra, foto del mosaico raffigurante Galatea sulla conchiglia.
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fig . n 102- A destra, foto del mosaico raffigurante Polifemo sullo scoglio.
fig. n 103- A sinistra, foto del mosaico raffigurante Perseo e Andromeda. fig . n 104- A destra, foto del mosaico raffigurante Peleo e Teti.
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fig. n 105- A sinistra, foto del mosaico raffigurante Nessuno che rapisce Deianira. fig . n 106- A destra, foto del mosaico perduto.
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fig. n 107- Foto del mosaico, della niccia a destra rispetto la cavità rustica, raffigurante la personificazione del Nilo.
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fig. n 108- Foto del mosaico, della niccia a destra rispetto la cavità rustica, raffigurante la personificazione del Tevere.
Tecnica e materiali
Lo scenario che si è creato all’interno della grotta è reso affascinante dal potere della natura e dalla tecnica decorativa; si assiste alle mutazioni geologiche date dal tempo, all’ingegno adoperato per l’installazione dei giochi idraulici, e alle metafore decorative come l’utilizzo delle conchiglie per rappresentare le onde marine. La struttura della grotta è costituita da mattoni pieni coperti da uno strato di malta, alla quale viene aggiunto uno strato di intonaco, per sostenere le decorazioni o nel quale far affondare graffette di ferro che servivano per ancorare le stalattiti o le concrezioni calcaree. Sull’intonaco è stato applicato del tonachino, un materiale composto da calce e sabbia (oca) a cui talvolta viene aggiunto del pigmento rosa o rosso. Il tonachino colorato era impiegato per ottenere effetti cromatici laddove venivano utilizzati dei materiali caratterizzati da trasparenze, come ad esempio i cristalli. La pavimentazione di carattere rinascimentale è l’unico elemento che non presenta concrezioni polimateriche; infatti, l’architetto perugino scelse di utilizzare lastre in marmo policromo. Le lastre sono state tagliate e posate creando una composizione a ottagoni concentrici di colore rosso e verde.
Ogni decorazione è formata dall’insieme di un mosaico polimaterico: conchiglie, frammenti di coralli, ciottoli, tessere di maiolica, piccole 4/5 mm; insomma materiali provenienti dal mare e che venivano preparati e lavorati da artigiani locali, come i palliatori e corallieri, un lavoro di precisione e di abilità che dava vita a una sorta di magia.
Gli artigiani commissionati dovevano essere in grado di eseguire le figurazioni combinando i materiali diversi. La loro abilità e la tecnica dovevano garantire resistenza e durata, poiché l’ambiente era umido e sottoposto al continuo passaggio dell’acqua. Venivano utilizzate come elemento decorativo anche tessere di maiolica a goccia da 2 a 3 cm; il lato rivolto a vista veniva ricoperto da uno strato sottile di smalto colorato, così da essere utilizzate per coprire ampie zone colorate, costituendo superfici compatte e riflettenti di grande effetto. L’utilizzo delle maioliche veniva scelto soprattutto per la loro forma: sono piccoli tasselli caratterizzati da un lato arrotondato smaltato e da un altro piatto; la punta, data dalla forma a goccia, serviva per fissare la tessera nella malta. Le linee di contorno delle figure erano ottenute con ciottoli neri di serpentino.
Per le parti del mosaico, che dovevano essere di colore rosso, venivano utilizzati piccoli rametti di corallo.
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fig. n 109- A sinistra in alto, foto dei lenticolari gialli sul volto di un bambino che affianco il Nilo nella nicchia di sinistra (Alessandro Bruzzese, Tesi di Laurea Magistrale , 2017, p78).
fig . n 110- A destra in alto , foto delle tessere di maiolica blu, (Alessandro Bruzzese, Tesi di Laurea Magistrale, 2017, p76).
fig. n 111- A sinistra in basso, foto dei cristalli quadrangolari e dei ciottoli neri che compongono un pezzo del mosaico della grotta (Alessandro Bruzzese, Tesi di Laurea Magistrale, 2017, p79).
fig . n 112- A destra in basso, foto del particolare mosaico della decorazione degli archi della grotta(Alessandro Bruzzese, Tesi di Laurea Magistrale, 2017, p81).
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Venivano usati anche cristalli di calcite, soprattutto per ricreare l’incarnato delle figure.
Le conchiglie di diverse forme e qualità erano utilizzate per arricchire le concrezioni rustiche nelle parti più naturalistiche e come decoro, ad esempio le rose di conchiglie.
Le conchiglie sono state utilizzate per definire sia le figure sia gli ornamenti, grazie alla loro varietà di forme; ad esempio, per i volti, per gli occhi e per le orecchie delle erme. La differenza cromatica interna ed esterna, ma anche quella data dalla tipologia di conchiglia, era ottima per donare un effetto sfumato alle creazioni. Joseph Fürttenbach (1591-1667) nella sua monografia del 1628, specifica sia i tipi di conchiglie utilizzate, sia la lavorazione con cui venivano lavate e posate. Dopo averle pulite dalle incrostazioni, venivano sottoposte a un trattamento per esaltare l’aspetto madreperlaceo, utilizzando una miscela di polvere a base di gesso, pietra pomice e sapone.
Tutti questi materiali pregiati erano facilmente reperibili a Genova, ad esempio la famiglia Lomellini aveva il monopolio della pesca del corallo nel mare dell’isola nordafricana di Tabarca.
Per quanto riguarda le stalattiti e le concrezioni calcaree erano prelevate dalle grotte naturali nel Finalese, famose per la loro bellezza. Le rose composte da conchiglie e chiocciole sono state sottoposte a degli studi al microscopio, fatti presso il Laboratorio Regionale di Restauro di Opere d’Arte dell’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, da cui è emerso che alcuni esemplari provenivano dal Mar Mediterraneo e altri dai Paesi Baschi.
Note
1 Galèa (e anche galèra) s. f. [dal gr. mediev. γαλέα , a indicare una sorta di squalo (donde, per traslato, la nave)]. – Nave mediterranea, generalmente militare, a remi e a vela, lunga una cinquantina di metri, veloce e leggera, con prua molto affinata e con due alberi a vele latine, tipica del periodo medievale e in uso fino agli inizî del sec. 19°.
2 L. Stagno, palazzo del principe, villa di Andrea Doria Genova, Sagep, Genova, 2005, pag 28
3 G. Vasari, le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori, Firenze, 1568
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4 «termine arabo con cui documenti definiscono il pergolato monumentale, con colonne doriche intervallate da pilastri e ninfeo centrale, che correva parallelo alla facciata nord del palazzo, distrutto nelle XIX secolo per consentire il passaggio dei binari ferroviari» (Stagno, 2005, p.108)
5 Ibidem, «... lo stesso Giovanni Andrea aveva commissionato a Marcello Sparzo una imponente statua di Giove in stucco.» (cit., p.113)
6 dalla testimonianza di John Evelyn: i cui tronchi misuravano più di due piedi di diametro.
7 Archivio di Stato di Genova -notai Antichi – Notaio Ligalupo senior
8 «Doria Galleani, una famiglia in origine avignonese e nizzarda ascritta nel 1520 all’Albergo dei Doria e con questi direttamente imparentata» (Magnani, 1984, p. 55)
9 «... Raffigurante due ninfe giacenti con il capo appoggiato sul braccio sinistro, interpretazioni cinquecentesche dell’Ariana - detta Cleopatra - Vaticana.» (Magnani, 1999, p.311-312)
10 V. Cartari, Immagini delli dei de glantichi, Venezia, 1647, cit. pag. 140
11 « ... sullo sfondo delle figure dei fiumi e richiamo alle immagini di edifici antichi o moderni realizzati alla maniera degli antichi - in particolare un edificio a pianta centrale simile a S. Eligio degli orefici di Raffaello - Piero la segnano il debito alessiano verso l’esperienza romana...» (Magnani, 1999, p.312)
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Dalla storia all’attualità 4.
Genova vista dal Palazzo Doria, Ippolito Caffi, 1851 (Poleggi, 1976, p.155).
Il background 4.1
Le Cartografie
Durante la ricerca a livello storico-geografico si sono consultati diversi tipi di documenti, quelli di maggiore interesse per lo svolgimento di questo progetto sono state le cartografie. Quelle disegnate da Ignazio Porro (fig. n113), prima metà dell’Ottocento, e da Barbieri (fig. n114), prima metà del Novecento, hanno fornito preziose informazioni sulla conformazione cittadina durante il periodo storico d’interesse, quello a cavallo tra il XVI e il XVII secolo. In particolare, i documenti redatti da Barbieri, estratti dal volume "Forme Genvae" del 1938, sono serviti per illustrare la zona del centro storico e gli annessi palazzi nobiliari, e per notare i cambiamenti avvenuti a partire dal XV secolo fino ad oggi; quest’ultima parte grazie al materiale fornito dal laboratorio Geomorfolab e la rielaborazione in 3D (fig. n115-116). Il disegno di Porro, di carattere militare, è stato fondamentale per la conoscenza dell’area della Villa del Principe e le immediate vicinanze. Da tale cartografia si nota soprattutto l’aspetto dei giardini; infatti, quando Giovanni Andrea acquistò l’area a nord-ovest, essa risultava meno ordinata rispetto ai giardini della villa e la grotta sorgeva nel mezzo di un piccolo bosco ad ovest dei terrazzamenti. Il lucernaio della grotta si suppone fosse simile a quello sulla cupola della Basilica Santa Maria Assunta di Carignano, altra opera dell’Alessi, e a quello della grotta degli Orti Sauli, del quale si conoscono le sembianze grazie all’imitazione voluta a Villa Borzino prima che l’originale genovese andasse distrutto.
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fig. n 114 - Tav 14, Piero Barbieri, Forma Genuae, Edizione del Municipio di Genova, 1938.
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fig. n 113 - Cartografia per l'architettura militare nella Genova, di Ignazio Porro, 1835.
Il confronto della città del XVI secolo con quella del XXI secolo, rende subito evidenti le profonde trasformazioni territoriali avvenute dal tardo rinascimento ad oggi. Già da un primo sguardo, le assonometrie (fig. n115-116) mostrano come il territorio costiero sia stato riempito da un denso tessuto urbano e fortemente fragile. Senza approfondire quello che sarebbe un tema complesso e già analizzato in altri scritti e circostanze, si nota che l'urbanistica di Genova ha spinto l'espansione verso tre "direzioni": ad Est e ad Ovest del tessuto storico, sulle alture e sul mare. Si cita in particolare "Genova città fragile", mostra fotografica ospitata a Palazzo Ducale, a cura di Elisa Cagelli e organizzata dalla Fondazione Ordine Architetti di Genova e patrocinata dalla Regione Liguria, dal Comune e dall'Università di Genova. Inoltre, le porzioni assonometriche comparative mettono in luce le principali infrastrutture caratterizzanti i due periodi storici di Genova e in particolare l'area limitrofa a Palazzo Principe e a Grotta Doria. Prima, vi erano le lunghe mura di circa 5 km che circoscrivevano la città e, come riportano numerose raffigurazioni storiche, la separavano da Palazzo Principe con l'imponente bastione Ovest di chiusura della cinta muraria (fig. n119-120);
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fig. n 115- Assonometria di Genova, fine XVI secolo e inizio XVII secolo, in evidenza la proprietà dei Doria e edifici iconici storici.
oggi, sono presenti infrastrutture che, anziché da elemento di separazione (come le mura), sono funzionalmente oggetto di connessione: la ferrovia a nord del palazzo e la sopraelevata a sud del palazzo. Tuttavia, seppur connettive, spesso sono margini visivi che deturpano il panorama cittadino. Nello specifico, Palazzo Principe, come scritto in precedenza, oltre ad avere perduto i terrazzamenti a Nord, appare pizzicato tra le due infrastrutture viarie, perdendo gran parte del suo fascino e della sua monumentalità.
L'antica area boschiva di Grotta Doria attualmente è un'area urbanizzata e la stessa grotta, ancor più che il palazzo, si ritrova ingabbiata tra i palazzi di epoca post bellica; se un tempo era stata concepita come un suggestivo cannocchiale visivo verso il mare, la vista odierna si ferma pochi metri più avanti alla facciata di un palazzo. Essendo, inoltre, un sito privato, e dunque visitabile secondo le disposizioni dell'amministrazione Doria Pamphilj, risulta difficile apprezzarne la bellezza, sia per i turisti sia per i genovesi. Non vi è alcun tipo di valorizzazione del bene architettonico-culturale. La si può quindi definire un patrimonio nascosto
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fig. n 116- Assonometria di Genova, XXI secolo, in evidenza la proprietà dei Doria e edifici iconici storici.
fig. n 117- Assonometria di Genova, fine XVI secolo e inizio XVII secolo, in evidenza la proprietà dei Doria e edifici iconici storici
fig. n 118- Assonometria di Genova, XXI secolo, in evidenza la proprietà dei Doria e edifici iconici storici
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fig. n 119- Assonometria della zona di Fassolo, fine XVI secolo e inizio XVII secolo, in evidenza la proprietà dei Doria e edifici iconici storici
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fig. n 120- Assonometria della zona di Fassolo XXI secolo, in evidenza la proprietà dei Doria e edifici iconici storici
Workflow HDR per la fotogrammetria 3D
Oltre alla consultazione dei documenti storici, è stata di fondamentale importanza la fotogrammetria 3D. Il Professore Battini Carlo ha fornito il modello 3D della grotta attuale, creato da un suo studente per lo sviluppo della sua tesi di laurea avente come oggetto la fotogrammetria tridimensionale. Questo particolare processo inizia con le fotografie in sequenza, centrando il soggetto e incorporando in ogni frammento il 25-30% di quello precedente. Questa tecnica prevede tre metodi differenti: ad assi paralleli, ad assi convergenti, e panoramico. Nel caso di grotta Doria è stato adoperato il terzo e le fotografie sono state esportate in formato RAW, il quale conserva più informazioni e non comprime i dati. Le fotografie dal formato RAW sono state convertite in formato LDR (Low Dynamic Range), poi in formato LDR-CR, per correggerle radiometricamente, e infine in HDR (High Dynamic Range)1, che si basa sulla sovrapposizione di almeno tre immagini dello stesso scatto acquisite con tempi differenti di esposizione (fig. n122124); si è scelto questo formato perché grotta Doria è una struttura esposta a scarse condizioni d’illuminazione. Per la creazione del modello 3D vero e proprio sono state importate le fotografie, secondo l’ordine di scatto, su Agisoft Photoscan, programma che le ha allineate creando una nuvola densa di punti; successivamente è stata creata una mesh con oltre 20 milioni di poligoni, decimati fino a raggiungere circa 5 milioni. Infine, è stata creata una texture e poi importata sul software per la modellazione e l’animazione
tridimensionale: Blender®
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fig. n 121- Modello 3d renderizzato della grotta Doria
fig. n 122- A sinistra in alto, fotografia 217 con tempo di esposizione -1EV. fig. n 123- A destra in alto, fotografia 217 con tempo di esposizione +1EV.
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fig. n 124- A sinistra in basso, fotografia 217 con tempo di esposizione 0EV, ovvero la fotografia standard LDR. fig . n 125- A destra in basso, fotografia 217 HDR.
I software 4.2
Il fulcro di questo progetto è stata la modellazione virtuale della grotta, ricostruendo anche le parti andate perdute, e successivamente la creazione di un tour simulato. Per la realizzazione di questi prodotti sono stati adoperati diversi software grafici descritti successivamente.
Blender®
Il software Blender® è stato utilizzato per la gestione della nuvola di punti, la modellazione 3D, l'applicazione di texture e il rendering di immagini.
Una volta aver ricevuto i file riguardanti la cupola (fig. n126) e le pareti, si è notato innanzitutto il numero elevato di poligoni, il quale rendeva i file troppo pesanti e quindi il lavoro su di essi sarebbe risultato lento. Per ovviare a tale problematica è stato necessario eseguire una decimazione di questi poligoni, questo processo si è reso possibile tramite il metodo chiamato retopology utilizzando il software Istant Mesh; si è importata la mesh originale e attraverso lo strumento “Target vertex count“ è stato abbassato il numero di poligoni (fig. n127). Dopo tale procedimento, la mesh è risultata meno densa e quindi più facilmente gestibile dal software, rendendone così possibile la modellazione e riordinazione.
Una volta alleggerito il file è stata necessaria la ricollocazione della texture originaria, poiché non era predisposta per quel numero di poligoni e quindi perduta; tale processo è stato eseguito con “Blender baking texture“, che ha riadattato e fissato la texture del vecchio modello su quello nuovo (fig. n128).
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fig. n 126- Particolare del modello 3D della cupola in alta definizione.
fig. n 127- Particolare del modello 3D della cupola in bassa definizione.
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fig. n 128- Particolare del modello 3D della cupola in bassa definizione con la texture.
SketchUp
Il software di modellazione 3D SketchUp, utilizzato principalmente per la progettazione architettonica e urbanistica, in questo caso è risultato utile per la modellazione volumetrica di Genova nel XVI secolo e nel XXI secolo.
La base di partenza, fornita dal laboratorio universitario Geomorfolab, era il file AutoCAD del piano urbanistico comunale vigente, con le relative curve di livello.
Dopo l'import su SketchUp, i dati sono stati utilizzati per creare due modelli volumetrici da mettere a confronto tra loro. Il primo modello riporta l'organizzazione urbanistica di Genova odierna; per questa realizzazione sono risultati sufficienti i dati di Geomorfolab, i quali hanno subito solamente un'operazione di semplificazione e di selezione per evidenziare gli elementi rilevanti. Per il confronto è stato realizzato il modello di Genova durante il periodo tardorinascimentale; i dati del piano urbanistico comunale sono risultati utili solo per la creazione della mesh del suolo, poichè tutte le informazioni relative alle strutture cittadine sono state importate dai disegni planimetrici storici.
Questa applicazione è stata utilizzata anche per la ricostruzione dell’atrio e del lanternino della grotta, entrambi andati perduti.
fig. n 129-
0 200 400m 128
Planimetria di Genova, XVI secolo.
Lumion
Il software di rendering Lumion permette la realizzazione di render, immagini 360° e video. Nel caso di questo progetto, si è reso fondamentale per l’esportazione dei primi due tipi di elaborati grafici. I 3D realizzati con i programmi descritti precedentemente sono stati importati e collegati, contestualizzando Grotta Doria nel paesaggio originario. In tal modo una visione complessiva ed immersiva dell'area ha agevolato l'individuazione dei punti di vista strategici e suggestivi in grado di agevolare la percezione del sito. In un secondo momento sono stati applicati dei filtri per correggere luci e ombre.
Unreal Engine
Unreal Engine è un motore grafico per la realizzazione di videogiochi, tour virtuali, filmati, rendering e altro. Per quanto riguarda il progetto in questione, questo software ha reso possibile la creazione di un prototipo per un tour VR; i modelli 3D di Genova e della grotta sono stati convertiti in formato FBX per poter essere importati su Unreal Engine.
200 400m 129
fig. n 130- Planimetria di Genova, XXI secolo.
0
fig. n 131- Vista fuori dalla grotta, fine XVI secolo e inizio XVII secolo
fig. n 132- Vista fuori dalla grotta, fine XVI secolo e inizio XVII secolo
La ricostruzione virtuale 4.3
Atrio biabsidato
Come menzionato nei capitoli precedenti, la grotta, per i cambiamenti urbani e per i bombardamenti, ha subito gravi lesioni strutturali. Oggi, quando ci si trova davanti all’attuale ingresso si nota la mancanza dell’atrio biabsidato (fig. n133), il quale comprendeva anche una cupola; il lavoro di ricostruzione è dunque iniziato da questi due elementi. Non essendoci documenti a testimoniare l’iconografia del primo atrio, il rifacimento è stato realizzato seguendo
fig. n 133- Arione e il delfino, Giovanni Lanfranco, 1604-1605, Roma, Galleria Farnese.
lo stile di ciò che è ancora possibile osservare, ma non potrà mai essere una rappresentazione autentica. Grazie agli scavi precedentemente citati e al dipinto di autore ignoto (fig. 92) è stato possibile concretizzare questo primo accesso, per il quale è stata presa ispirazione dall’atrio di Villa Pallavicino. L'atrio aveva una pianta rettangolare con angoli smussati presso i quali si trovavano quattro statue simili a quelle nella sala principale; probabilmente, era coperto da una volta a crociera ribassata, divisa in quattro spicchi con mosaici raffiguranti soggetti marini, tema ricorrente in tutta la grotta. Per il decoro si è scelto di trarre spunto dai disegni di Luisa Cogorno (fig.n97) e dai pochi resti visibili, come la scena raffigurata in un rettangolo sopra alle nicchie laterali.
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fig. n 134- Modello 3D della grotta con le integrazioni delle parti mancanti.
Sala ottagonale
Nella sala principale si è visto necessario l’intervento sulla pavimentazione e su uno dei due acquai. Per la pavimentazione si è a conoscenza del materiale usato, marmo bianco, rosso e verde, mentre per il disegno geometrico è stato consultato il dipinto dell’ignoto. La realizzazione del pavimento, come tutte le altre di carattere strutturale, è avvenuta tramite il software SketchUp, la texture, invece, è stata inserita tramite Lumion.
L’area in cui era presenta l’acquaio oggi risulta murata, ma si presuppone fosse identico a quello ancora esistente; dunque, la creazione è avvenuta tramite duplicazione su Blender®
Cupola e lanternino
La cupola risulta danneggiata, a partire dall’esterno, solamente in uno degli otto spicchi che la compongono. La visione interna denota la mancanza di una raffigurazione, per la quale si ipotizza riguardasse la figura dell’Arione. Questa idea è data dal fatto che risultano visibili delle gambe umane a cavalcioni di un animale, il quale si dice essere un delfino. La leggenda dell’Arione narra di un citarista, in navigazione verso casa, catturato da marinai che volevano ucciderlo per derubarlo delle proprie ricchezze; l’Arione espresse il desiderio di suonare la sua cetra per l’ultima volta, la
fig. n 135- Arione e il delfino, Giovanni Lanfranco, 1604-1605, Roma, Galleria Farnese.
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fig. n 136- Sintesi grafica dello spicchio raffigurante l'Arione.
sua melodia richiamò un pod di delfini attorno all’imbarcazione, terminato di suonare, rassegnato a morte certa, si gettò in mare ma un delfino lo portò in salvo. Un’altra ipotesi crede che l’immagine mancante riguardasse Venere, della quale si narra che sbarcò sulle coste genovesi; tale ipotesi è meno probabile per alcuni motivi, tra cui il colore della pelle che risulta essere giallo come le altre figure maschili.
Si è deciso di interpretare il tassello mancante secondo la prima ipotesi; per la raffigurazione sono state ricercate opere attinenti alla leggenda ed eseguite nello stesso periodo, una tra tutte fu dipinto di Dürer (fig. n135). Con l’ausilio del software Adobe®
Illustrator è stata eseguita una sintesi grafica (fig. n136), successivamente è stata creata la texture e infine, questa è stata proiettata sulla mesh della parte mancante (fig. n137).
Un altro elemento andato perduto è il lanternino, costruito sulla parte superiore della cupola. Si pensa potesse essere uguale ad altri realizzati dall’Alessi (fig. n138-139), per questo sono stati presi come ispirazione per la ricostruzione virtuale.
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fig. n 136- Veduta interna dello spicchio raffigurante l'Arione.
fig. n 138- Sezione longitudinale della Grotta di Villa Borzino.
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fig. n 138- Santa Maria Assunta di Carignano, Genova, in " www.wga.hu".
Le stanze dell’ignoto
Non è stato possibile esaminare tutto ciò che è andato perduto, a causa soprattutto dell’incuranza di questi luoghi per oltre due secoli che ha aggravato il deterioramento e la perdita di alcune parti. Un esempio evidente è quello delle stanze disegnate dall’autore ignoto, unica testimonianza a riguardo. Ad oggi, infatti, sono inaccessibili a causa dei troppi detriti; perciò, è impossibile conoscere cosa ci fosse all’interno in origine, su questo sono state fatte delle ipotesi, e conoscere il motivo per il quale siano in queste condizioni. In quest’opera misteriosa sono state disegnate delle scale nella stanza ad est, purtroppo non è chiaro se dessero accesso a un piano inferiore o superiore. Dato che l’esistenza delle stanze stesse è stata precedentemente oggetto di ipotesi, collegandosi a queste, ne sono state fatte altrettante per le scale. Se la rampa avesse portato ad un piano inferiore, potrebbe esservi stato un ambiente sotterraneo, costruito per estendere quel senso mistico e fantastico proprio delle grotte artificiali; in relazione a ciò, si torna all’ipotesi sull’età della stanza, la quale sarebbe nata insieme alla grotta. Se invece, le scale avessero dato accesso a un piano superiore, presumibilmente al livello del lucernaio, sarebbero servite durante quel periodo di uso improprio, in cui gli ambienti della grotta erano adibiti a deposito da parte dei contadini della zona; tale stanza, infatti, poteva fruire da cella frigorifera.
Tutto ciò si è preferito tenerlo ad un livello immaginario, senza progettarlo e dunque senza effettuare una ricostruzione.
Note
1 « L’High Dynamic Range è il modo in cui la maggior parte di noi vede il mondo ogni giorno. I nostri occhi operano secondo i principi dell’High Dynamic Range e sono sensibili a un’ampia gamma di colori.» Bill Baggelaar è vice Presidente del Technology for Colorworks presso Sony Pictures.
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fig. n 140- Vista dell'atrio attuale.
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fig. n 141- Vista dell'atrio ricostruito.
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fig. n 142- Visuale dell'ingresso della grotta attuale.
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fig. n 143- Visuale dell'ingresso della grotta XVI secolo.
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fig. n 144- Visuale della grotta attuale.
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fig. n 145- Visuale della grotta ieri.
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fig. n 146- Vista della cupola attuale.
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fig. n 147- Vista della cupola XVI secolo.
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fig. n 148- Vista delle nicchie che affianca l'ingresso attuale.
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fig. n 149- Vista delle nicchie che affianca l'ingresso XVI secolo.
Il tour 5.
Veduta di Genova, Pittore ignoto, XIX secolo.
5.1 Realtà virtuale per dispositivi mobile
L’idea di creare un tour virtuale di Grotta Doria nasce dalla necessità di far conoscere le bellezze di Genova allo stato originale, tenute segrete per troppo tempo e irrimediabilmente danneggiate; l’unica alternativa consiste nell’ausilio del digitale. Si è pensato, inoltre, che l’eventuale prodotto finale venga fornito ad uso esclusivo dell’Amministrazione Doria Pamphilj s.r.l., per renderla una visita riservata ai turisti della villa genovese.
Il tour 360° è stato creato a partire dall’importazione sul software Lumion dei modelli 3D, realizzati precedentemente con SketchUp e Blender®; come per i render, sono stati applicati i filtri per la regolazione delle luci e delle ombre, successivamente sono stati posizionati i punti di vista al centro della sala ottagonale, dell’atrio e della cupola mentre per il punto di vista esterno alla grotta si è deciso di sistemarlo sul piazzale antecedente l’ingresso. Sono
fig. n 150- Immagine 360° esportata da Lumion.
poi state esportate le immagini 360° per importarle sull’applicazione Roundme; questa applicazione consente la creazione di tour virtuali per renderli fruibili attraverso diverse modalità di visualizzazione, tra cui i visori VR. Accedendo alla schermata del profilo creato su Roundme appare il box del progetto (Draft), sul quale sono stati scritti alcuni dati riguardanti la grotta, come la posizione e cenni informativi; cliccando sul draft si accede direttamente alla visuale 360°. All’interno della visuale sono stati inseriti degli audio esplicativi in prossimità di elementi d’interesse; inquadrando questi elementi, infatti, sarà possibile ascoltare delle nozioni descrittive. Questi file audio sono stati registrati esternamente all’applicazione e poi uniti a un ulteriore suono che funge da sottofondo; si è deciso di integrare come fondo della spiegazione lo sciacquìo dell’acqua che scivola sulle pareti, poiché il tema dell’acqua e del mare è ricorrente in tutta l'iconografia all’interno della grotta. Questi file MP3 sono stati importati su Roundme e collegati ognuno all’oggetto corrispondente.
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fig. n 151- Mockup della schermata interattiva del tour, per il Computer e per lo smartphone.
fig. n 152- Mockup della schermata interattiva del tour vista dallo smartphone.
Realtà virtuale per visori
Questa parte del progetto risulta prevalentemente teorica, l’unica realizzazione effettuata riguarda un prototipo per un’eventuale realizzazione di un video VR. Sono stati importati i modelli 3D su Unreal Engine; con questo software è stata realizzata una programmazione in Blueprint, adatta per progetti di design, in modalità first person game e utilizzando un template vuoto. Scegliendo questo format si è potuto inserire il modello 3D senza incontrare limitazioni grafiche, le quali risultano nei template preimpostati; infine, sono state applicate le textures e posizionata la telecamera nel punto di partenza del tour. Per integrare la parte descrittiva, data dagli audio creati per il tour 360°, si sono create delle piccole sfere posizionate in prossimità degli oggetti descritti; attorno a queste sfere sono stati istituiti dei box colllision (fig. n153), i quali fungono da reagenti e attivano l’audio informativo. In questa realtà, a differenza del tour precedente, il suono dell'acqua impostato come sottofondo è costante, poiché in passato l'acqua era reale e scorreva ininterrottamente, inoltre, questo tour vuole simulare, nel modo più realistico e suggestivo, la presenza in prima persona all'interno della grotta.
Essendo Unreal Engine un motore grafico creato inizialmente per la realizzazione di videogiochi sparatutto in prima persona, alcune impostazioni risultano predisposte per queste progettazioni; infatti, selezionando la modalità first person game, nell’interfaccia appare un avatar che impugna un’arma quindi è stato eliminato in quanto non era inerente al lavoro. Si è scelta questa modalità anziché la Virtual Reality in quanto risulta fondamentale l'utilizzo di un visore per visualizzare l'anteprima del lavoro, che altrimenti rimarrebbe a livello progettuale.
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fig. n 153- Schermata Viewport su Unreal Engine, in evidenza un box colllision.
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fig. n 154- Schermata Event Graph su Unreal Engine, l'immagine mostra i nodi serviti per collegare il file MP3 alla sfera.
fig. n 155-
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Mockup del tour usando il visore.
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Conclusioni
Da questo progetto è emersa la volontà di donare rilievo a tesori per troppo tempo dimenticati, e ancora oggi non del tutto apprezzati. Lo studio di ricerca ha approfondito conoscenze già divulgate da eventi culturali molto acclamati, quello più conosciuto è certamente “Rolli Days”; mentre l’intera elaborazione grafica ha generato un prodotto basico ma allo stesso tempo di notevole effetto. Tale lavoro ha reso necessario l’apprendimento di nuove competenze e abilità sia informatiche sia grafiche, ma anzitutto è stato iniziatore di potenziali approfondimenti e adattamenti per rendere realizzabile ciò che al momento è solo teorico e ipotetico. È ormai noto l’avvalersi delle nuove tecnologie per la ricostruzione di contesti appartenenti al passato, per questo motivo e per il patrimonio protagonista di questa tesi è da auspicarsi che questo progetto possa essere portato avanti.
In conclusione, sono stati raggiunti gli obbiettivi preposti, o per lo meno dal punto di vista progettuale e di avviamento a quello che potrebbe divenire un prodotto usufruibile; è stata inoltre menzionata la volontà che fosse ad uso esclusivo dell’Amministrazione Doria Pamphilj s.r.l., la quale gestisce i beni storici e artistici della dinastia, poiché si è a conoscenza del valore di tale progetto e per questo è ritenuto opportuno venga affidato a coloro che custodiscono questo patrimonio. Da questo progetto è emersa la volontà di donare rilievo a tesori per troppo tempo dimenticati, e ancora oggi non del tutto apprezzati.
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Ringraziamenti
Al mio relatore il Professore Massimo Malagugini per la sua disponibilità, e per avermi fatto conoscere il patrimonio delle grotte e della storia di Genova.
Ai correlatori i Professori Carlo Battini, Sara Rulli e il Dottore Iacono Saverio, per la loro collaborazione e il loro aiuto nello sviluppo del progetto.
Ai Professori Lauro Magnani e alla Laura Stagno, per le conoscenzeillustratemi sul tema delle grotte genovesi.
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A mia cugina Lara e Cristina; mi avete dato un grande aiuto, fornendomi materiale e accompagnandomi sui luoghi d'interesse per effettuare al meglio la ricerca storica.
Ai miei amici, in particolare Fabio, Chicca e Tommy che mi hanno tirato su il morale nei momenti più faticosi, ascoltato e dato consigli, insomma, per qualsiasi cosa loro erano lì per me.
A Giulio, che mi è sempre stato vicino nonostante la nostra distanza, era disposto a mollare i suoi impegni per darmi una mano; mi ha consolata, sostenuta e sopportata. Sei davvero importante per me.
Alla mia famiglia; a mia madre che è sempre lì pronta ad aiutarmi, a mio padre per avermi spronato a mettermi in gioco, a mia nonna Maria che si è sempre interessata al mio percorso universitario, infine, a mia sorella Elena che praticamente mi ha fatto da tutor senza mai volere nulla in cambio. Questa tesi la dedico pure a voi.
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