La fabbrica della città

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La fabbrica della città

Sospesa tra presente e futuro, la Perugina è chiamata ad una svolta L’ennesima della sua storia di Paolo Andreatta e Alessandro Salveti

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con il part-time, ma il percorso portava immancabilmente alla stabilizzazione del rapporto di lavoro. Alla Perugina hanno sempre puntato sulla qualità, non solo del prodotto ma anche del modo di vivere la fabbrica. Il medico, l’assistente sociale, i servizi: c’erano un sacco di cose che attualmente non ci sono più, ma erano molto avanti per l’epoca. E rispetto a oggi c’era molta manualità. L’evoluzione tecnologica, in seguito, ha fatto perdere quella familiarità tra colleghi che era parte essenziale dello “spirito Perugina”». Da allora è cambiato un mondo ed è cambiata anche la fabbrica, che rimane però all’avanguardia. Basti osservare quanto pensato dai suoi operai: nei giorni scorsi hanno presentato all’azienda la loro proposta di piano industriale, forse uno dei primi casi in Italia. La risposta della Nestlè aprirà il dibattito. «Nel 2014 – spiega Luca TurLuca Turcheria (a d�), coordinatore rsu, e Walter Bassi, da 35 anni cheria, coordinain Perugina, davanti all’ingresso della fabbrica di San Sisto

a giacca allacciata fin sotto al mento. Un berretto giovanile in testa. Walter Bassi ci accompagna al circolo aziendale della Perugina, uno spazio creato 45 anni fa dai lavoratori della storica fabbrica umbra. «Lo abbiamo fatto noi», racconta con emozione indicando il salone al primo piano. Dice noi, anche se Walter in Perugina è entrato quando questa sala c’era già: nel 1979. Trentacinque anni a San Sisto. Una vita in fabbrica: prima con Buitoni, poi con De Benedetti, oggi con la multinazionale svizzera Nestlè. Allo spaccio lo conoscono tutti, lo salutano per nome. «Sono qui da 37 anni: ormai – scherza Bassi – sono troppo giovane per andare in pensione e troppo vecchio per cercarmi un altro lavoro. All’epoca bastava mettere “un piede dentro”: da stagionale,

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tore della Rsu – abbiamo sottoscritto un contratto di solidarietà, mentre la proprietà parlava di esuberi. Da quel momento abbiamo cercato di incalzare l’azienda: al termine del percorso di solidarietà biennale, a settembre 2016, vogliamo che sia chiaro il nostro futuro. La Nestlè era attendista, noi abbiamo cercato di parlare. Abbiamo presentato a loro, alla città e alle istituzioni la nostra visione della fabbrica: le sue potenzialità e come dovrebbe svilupparsi. Immaginiamo una Perugina che parta dal cioccolato, ovviamente, ma che vada oltre la stagionalità del prodotto. Che sappia valorizzare il Bacio ma anche investire in altri settori come caffè, biscotti, confiserie, caramelle (abbiamo la Rossana che sta per festeggiare i novant’anni di storia)». C’è grande aspettativa tra gli operai e dalla proprietà ci si aspetta una risposta chiara. L’obiettivo principale è voler difendere la fabbrica, e di riflesso anche la sua italianità. «Nestlè – dice Turcheria – deve decidere cosa fare con l’Italia: se è un mercato importante in cui vuole solo commercializzare o utilizzarlo anche per produrre. Noi, con un pizzico di

«Noi chiediamo alla Nestlè di credere nella Perugina e investire su San Sisto»


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