Anima capitolo 0

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Anima

K Kyrial immaginò una linea di un colore tra il giallo e l’arancione, leggermente luminescente, e la fece piegare nell’aria delineando i contorni di un’armatura alta quanto lui. Così piccola? domandò sgranando leggermente gli occhi. Styx annuì con un flebile ronzio. Un tempo le guerre erano combattute a misura d’uomo. Non so né quando né a chi venne l’idea che le dimensioni fossero un fattore determinante in uno scontro.

Styx osservò l’armatura, probabilmente confrontandola coi suoi ricordi artificiali, e Kyrial la fece ruotare lentamente perché potesse ammirarla da tutte le angolazioni, aggiungendo mentalmente qualche dettaglio qua e là. E come hanno fatto a non accorgersi di quello che stavano facendo? Styx scosse la testa. La vera domanda è: perché gli uomini hanno continuato a scendere in battaglia quando potevano semplicemente mandare i Corpi a combattere per loro? Kyrial rifletté sulla domanda. Pensaci Kyrial. I lineamenti perfetti di Styx si contrassero in un sorriso. Kyrial trattene il fiato. Aveva visto solo due volte quell’espressione sui lineamenti di Styx. Un ricordo di quando l’aveva vista per la prima volta, la ceramica bianca fulgente alla luce gialla della stella calante mentre camminava sul ponte aereo, gli spessi filamenti argentei agitati dalla brezza, gli sovvenne alla mente. Lo trattenne frettolosamente dal proiettarsi. Avvertì una coscienza sfiorare la propria ma respinse il contatto. Non si sarebbe perso quel sorriso per niente al mondo. Quando tornerò, mi darai una risposta, concluse Styx voltandosi lentamente verso la porta. Te ne stai andando? Gli parve che il suo cuore avesse cessato di battere. Arkolanth è sotto assedio. Hanno richiesto la mia presenza, spiegò solamente inclinando leggermente il capo di lato. Kyrial fissò la porcellana bianca infilare la porta e svanire dal suo campo visivo. Si protese istintivamente verso Styx, ma la sua presenza era, come sempre, introvabile nella Rete. Kyrial, il professor Arlarad ti sta… si ritrasse dalla rete, infastidito, e bloccò tutte le comunicazioni mentali. D’un tratto gli parve di poter capire perché la rete di Styx fosse per lo più inaccessibile. Perché vogliono un’Anima ad Arkolanth? Non sono droni da combattimento! Un’immagine di Arkolanth si dipinse nella sua mente. Le torri dorate erano avvolte da una cortina di fumo spesso e nerastro, e qua e là poteva intravedere pesanti danni strutturali, macerie che si piegavano fino a staccarsi e precipitare sui civili sottostanti. Non riusciranno mai a evacuare tutti. Con irritazione si riconnesse alla rete e cercò qualche informazione. Arkolanth aveva dieci milioni di abitanti. Come hanno fatto ad arrivare così vicini? Era una domanda stupida, lo sapeva. Styx l’avrebbe rimproverato in quel suo modo strano, socchiudendo appena gli occhi in un sorriso che non si sarebbe riflesso sulle sue labbra. Non tornerà. Il pensiero lo precipitò in un’angoscia che chiedeva di essere proiettata. Oscurò i vetri, dipinse i muri della stanza di nero e fece sparire gli arredi, sostituendoli

Federico Aleotti

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Anima con le statue mostruose che aveva scoperto in un anfratto della rete. Un tempo gli umani temevano simili esseri soprannaturali, e gli sembrava più che appropriato che rappresentassero quello che lo rodeva. Riarredare una stanza non proteggerà Styx. La sua concentrazione si infranse e la proiezione svanì, facendo tornare la stanza in cui si trovava un posto luminoso e terribilmente vuoto. Lanciò un’occhiata agli edifici che si stendevano sotto la torre, sotto il ponte sospeso che portava alla piattaforma di atterraggio. Una figura bianca stava attraversando il ponte privo di parapetti, avvolta da una cascata di filamenti d’argento che rilucevano alla luce della stella. Styx. Sta partendo? Una nave attendeva sulla piattaforma, con un capannello di persone schierato davanti alla rampa. Erano i suoi ultimi minuti… li ha passati con me. Una fredda determinazione di impadronì di lui. Dove e quando? Chiese ad Aglirix, la segretaria. Nel suo ufficio, immediatamente. Sembrava piuttosto seccato.

Uscì dalla stanza e scese le scale facendo i gradini a due a due. La Rete è troppo pericolosa, qualsiasi informazione può essere tracciata. Ma Arlarad potrebbe sapere qualcosa! Altrimenti dovrò fare in modo che qualcuno cerchi per me. Si fermò davanti al pannello di frinvetro e bussò due volte, riconnettendosi alla Rete. Il pannello di cristallo azzurrino diventò trasparente e Kyrial lo attraversò reprimendo il brivido che il contatto col frinvetro in quello stato gelido gli suscitava sempre. «Kyrial, questa è l’ultima volta che ti concedo una proroga» sbottò Arlarad senza lasciargli il tempo di sedersi. «Se vuoi diplomarti all’accademia come mio protetto, dovrai terminare il tuo progetto entro e non oltre la prossima sequenza, sono stato chiaro?». Kyrial si umettò le labbra più volte osservando il professore reclinato sulla sedia fluttuante. Quel giorno appariva in giacca e cravatta, coi capelli neri cortissimi e la barba ben rasata. Finalmente le parole emersero dalla sua bocca. «Sì signore. Mi scusi signore». Ci voleva sempre un po’ per passare a quel tipo di conversazione antiquata. «Credevo che il diploma fosse la cosa più importante per te in questo momento. Non mi sarei mai immaginato che avresti mancato la convezione di ricerca di oggi. Si può sapere cos’avevi da fare?» Kyrial valutò se rispondere. Per quanto posta nel modo brusco di Arlarad, sapeva che era una domanda sincera e che poteva rifiutarsi di rispondere senza conseguenze. «Ho saputo che l’Anima Styx sta partendo» disse solo. Arlarad aggrottò le sopracciglia, e tre profonde rughe deturparono la sua pelle abbronzata. «Questa è un’informazione riservata» rispose sistemandosi il nodo della cravatta blu notte. Per un attimo rimase sconcertato. Styx mi ha rivelato qualcosa che non dovrei sapere? Forse allora nessuno sa dell’attacco… forse nemmeno Arlarad! «Non ti chiederò come tu ne sia giunto in possesso, ma voglio che tu mi prometta di non farne parola con nessuno». Kyrial annuì. Arlarad sospirò. «Sono tempi duri, per l’Accademia… e per tutta l’umanità».

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Anima Kyrial desiderò improvvisamente che i professori non fossero connessi a una Rete privata, così da poter cogliere qualcuno dei pensieri di Arlarad. «Professore, non capisco perché la sua presenza sia stata richiesta… dove è stata richiesta». Arlarad lo fissò con quei suoi penetranti occhi grigi, che Kyrial avrebbe giurato fossero l’unico connotato del suo aspetto ad apparire nelle vere sembianze degli oltre sessant’anni del suo corpo. «Siediti». Kyrial obbedì. Sapeva che non era un invito. Sto giocando un gioco pericoloso. «A questo punto mi vedo costretto a chiederti come tu faccia a sapere quello che sai» disse piano Arlarad raddrizzandosi sullo schienale e posando le mani giunte sulla scrivania sgombra. Anche questa non era una semplice richiesta. Kyrial scosse la testa e scrollò le spalle. «Sono sicuro che qui all’accademia ci siano dei Manufatti. Li sta scortando? È l’unica a sapere come funzionano? Se li hanno prelevati tutti cosa difenderà noi…» Arlarad levò una mano con gli occhi sbarrati. «Non sei autorizzato a sapere nulla di tutto ciò, e io non sono autorizzato a parlartene! Se il Rettore lo venisse a sapere…» Quindi le mie supposizioni sono esatte! «Ma io so» ribatté Kyrial. «E se lei non mi tranquillizzasse in merito, l’ansia o la paura potrebbero spingermi a cercare informazioni sulla rete…» Arlarad si accasciò sulla sedia. «Hai vinto» sospirò. «Questa conversazione non è tracciabile, ma dovrai criptare tutto quello che ti dirò, e sappi che sarà il minimo indispensabile! E dovresti anche evitare di connetterti alla Rete quanto più possibile, almeno fin quando la notizia non sarà trapelata». Non che avessi intenzioni di connettermi comunque più del necessario. «Succederà?» Arlarad sfoderò un sorriso triste e tornò ad appoggiarsi allo schienale. «Certo che succederà. Dovranno pur portare da qualche parte quei pochi che riusciranno a evacuare». Le sue dita tornarono a giocare col nodo della cravatta e Kyrial fissò i due anelli, uno di rame e uno d’ottone, che ornavano le sue dita della mano destra. A sinistra scintillava un solo cerchio d’argento. «Tutti» disse solo. I suoi occhi grigi salirono a inchiodarlo sulla sedia. Tutti. Le sue speranze riaffondarono da dove erano emerse. Annuì, si alzò e riattraversò il frinvetro.

Federico Aleotti

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