Edizione N.5

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indice

n. 5 - febbraio 2015

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speciale italia-svizzera

06 costa domani

09 speciale italia-svizzera 10 - Retro rischio 16 - VD ci siamo 24 - La guerra dei Roses 28 - E se mi ravvedo? 32 - Franco bello 36 - CS a orologeria 40 - Super tassa niente ricchi 43 - Vecchi e nuovi

napoli e i dragaggi

madre russia

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08 EDITORIALE

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Madre russia 50 - L’orso è russo 57 - Profumo di Russia 59 - Quel ramo di озеро 63 - Russo minimale 67 - Eleganza e razionalismo 76 - Un giorno a Mosca e ... 79 - Eventi tailor-made

80 napoli

80 - 50 sfumature di Fango 84 - Voce del verbo dragare 88 - Protocollo d’intesa 92 - Alla scoprerta di Napoli

rubriche 128 - Books 130 - On the road 132 - Diamo i numeri 134 - Nord ovest e sud est 138 - Appuntamenti Italia 139 - Forrest 140 - Appuntamenti mondo 142 - Back to the past

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indice

130 on the road

128 books

132 numbers

143 history


45 - Giannino intervista Giannino Le tre guerre monetarie

94 infratrsutture e trasporti 94 infrastrutture

94 - Far West 100 - Autorizzazione al decollo

110 sport

114 high-tech

110 sport

110 - Jump, jump 112 - Corpo o mente?

114 high-tech

114 - Futuroggi 120 - Cellmaniac 122 - Il Louvre del deserto

gallery&news 72 - Dalla Russia: design gallery 74 - Verso la Russia: design gallery 78 - Color marsala: beauty gallery 89 - Da Napoli: fashion gallery 90 - Da Napoli: design gallery 119 - Focus high-tech 124 - Eco idee: news 125 - La stanza del lusso

125 lusso

72 design

78 beauty

93 fashion indice

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COSTA DOMANI L’editoriale

N.5 - febbraio 2015

Quando una nave era stata battezzata Costa Fortuna, i giornali americani non si erano fatti passare sotto il naso l’occasione di chiosare il nome in “Cost a fortune”. Quando sulla stessa nave il genio e la sregolatezza dell’architetto Farcus aveva sospeso al soffitto dell’atrio della nave modelli di nave capovolti con la chiglia all’insu, gli uomini di mare, noti per la loro superstizione, avevano fatto qualcosa di più che semplici scongiuri… Per Costa Crociere, reduce da un anno horribilis caratterizzato negativamente non solo dal naufragio ma anche dalle gestione loro e italiana della tragedia della Costa Concordia, ora non si tratta di fortuna e sfortuna. Dietro alla decisione (ancora una volta mal gestita dal punto di vista della comunicazione esterna) di ridimensionare la presenza a Genova, e di concentrare molto di più di quanto si ammetta servizi e funzioni negli uffici di Amburgo, non c’è né la mala sorte, né la cattiva volontà di un amministratore di nazionalità tedesca che vuole portarsi il lavoro a casa. C’è solo l’Italia, un sistema di burocrazia, di amministrazione, di vincoli lavorativi, di rischi giudiziari, di totale incertezza nel quadro normativo e fiscale nonchè di inaffidabilità politica, che sono del tutto incompatibili con le grandi multinazionali. In questo caso le multinazionali del mare e del turismo. Ma più in generale con qualsiasi gruppo che per sopravvivere sul mercato debba competere, e punti a fare profitto. Parola vietata dalle nostre parti, dove chi fa profitto a priori è un delinquente. E allora per quali motivi un gruppo come Carnival, che ha avuto la sorte di rilevare (facendo un grande affare e facendolo fare a chi l’acquisto ha mediato) dovrebbe stare in Italia? Per ricordi del passato, perché alla bandiera italiana lo Stato garantisce tasse bassissime? La bandiera delle navi non dipende dalla sede e le agevolazioni riconosciute all’armamento sono ormai comuni a mezzo mondo. Da tempo qualche inascolato osservatore suggeriva alle grandi città marittime di compiere il salto e di diventare capitali dello shipping (con servizi e norme adeguate). Domani, forse.

DIRETTO DA Bruno Dardani e Oscar Giannino Pubblicità info@chlifestyle.ch Tel. +41 (0) 815110132 Con la collaborazione di Le Cromiche di De Andreis P. e A. S.n.c. STAMPA MediaPoint Sa

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AMMINISTRATORE Giovanni Parisi MEMbro dell’associazione axis

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R el ai s - Gou r m e t - We l l n e s s - M e e t i n g - C e r i m o n ie - Eventi Immersa nel verde di un magnifico castagneto secolare, sulle colline che circondano il lago di Como e si innalzano verso il confine svizzero, a 493 metri s.l.m., TENUTA de l’ANNUNZIATA è un country hotel di charme circondato da 13 ettari di bosco, dove potrete concederVi un momento di relax nella splendida Beauty Farm, scegliendo il percorso ideale per risvegliare e rigenerare corpo e spirito. TENUTA de l’ANNUNZIATA è la location ideale per ogni tipo di evento: meeting di lavoro, workshop, matrimoni, cerimonie e feste speciali. Una calda atmosfera accoglie gli ospiti nelle sue 22 camere, viziandoli con ogni moderno confort.

Embraced by the magnificent green of ancient chestnut trees, on top of the hills around the Lake of Como, rising towards the swiss border, at 493 meters (1617 feet) a.s.l., TENUTA de l'ANNUNZIATA a charming country hotel surrounded by 13 hectares of woods, where you will be able to enjoy a moment of relax, in the wonderful Beauty Farm, choosing the perfect path to awaken and regenerate your body and soul. TENUTA de l'ANNUNZIATA is the ideal location for any kind of event: meetings, workshops, weddings, ceremonies and special celebrations. A warm atmosphere welcomes the guests in its 22 rooms, spoiling them with every modern comfort.

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DIRITTO DI VITA L’editoriale

E se la globalizzazione fosse solo una truffa mediatica? Una tecnica raffinata studiata a tavolino per condizionare le opinioni, per spostare il consenso adeguandolo a interessi tanto superiori quanto particolari? Indipendentemente dalle convinzioni politiche, a patto che esistano ancora e che abbiamo un senso logico, indipendentemente dagli studi e dalla cultura, non sorge a nessuno di voi, cari lettori, questo ragionevole dubbio? Non vi incuriosisce comprendere il motivo per cui l’ebola, dopo aver avvelenato e ammorbato i nostri sonni e le nostre giornate, sia scomparsa totalmente dalle pagine dei quotidiani? È sparita l’epidemia? Non esistono più pericoli di diffusione in Occidente? O che altro? É solo un esempio fra i mille. Dalle studentesse rapite da Boko Haram all’aviaria, dagli attentati che muovono le moltitudini a quelli che si consumano in luogo chiuso. Dalle liste di proscrizione degli evasori detentori di conti in Svizzera, liste vecchie di dieci anni che vengono riproposte come il frutto di una brillante inchiesta giornalistica multinazionale, alla distorsione della realtà ucraina, terreno fertile per attaccare un leader fuori dal coro. Complottisti, fautori della teoria del grande vecchio o burattinai? Le accuse che potrebbero essere mosse a queste sintetiche considerazioni sono molteplici. In un mondo in cui le leadership sono povera cosa, pallida ombra del Principe di Macchiavelli, in cui le ideologie sono sfatte come vecchie prostitute, cosa rimane se non la costruzione metodica del consenso globale? Grandi network che controllano l’informazione, poveri giornalisti (salvo rare eccezioni) che distolgono gli occhi dal potere e diventano cuccioli uggiolanti quando entrano a far parte dell’ingranaggio. E poi le grandi masse globali che non hanno più confini di riferimento, che in Internet pensano di appropriarsi dell’informazione, quando sono invece oggetto di una propria

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di Bruno Dardani azione metodica della loro capacità di giudizio autonomo. Le Barbie di ieri, i film nei quali si fumava una sigaretta dopo l’altra per costruire la voglia, la dipendenza, l’affiliazione e la partecipazione omologa agli standard vincenti, sono e sono stati nulla rispetto alla manipolazione di oggi. Bombardamenti, stermini, profughi, guerre economiche, povertà sono il prezzo che comunque va pagato a una società globale che non distribuisce ricchezza, ma sparge ansia a piene mani perché nell’insicurezza si generano le crepe della convinzione, dell’indipendenza e quindi della verità. I metodi sono sottili, ma ormai collaudati, scientifici. “Non vi mostriamo le immagini – afferma puntualmente il conduttore di un Tg – perché sono troppo crude” e perché sa benissimo che la sete di paura e di disgusto, ma anche di eccitazione malata, sarà soddisfatta dalla rete, dove

a una segnalazione di filmato rimosso corrispondono mille altri siti che il pilota giordano avvolto dalle fiamme lo mostrano in tutta la sua rabbrividente crudeltà. Eppure in settimane e settimane di immagini agghiaccianti, non un singolo commento su un presidente degli Stati Uniti che, dopo aver sovvenzionato i talebani, si apprestava (e forse lo ha fatto) ad armare l’Isis contro il tiranno reggente della Siria. Non una parola, non un commento sui curdi: ma chi cavolo sono questi curdi, che mandano anche le loro donne a battersi come tigri per difendere una terra che Iraq, Turchia e ancora prima gli imperi coloniali hanno negato loro? Nessuno che ricordi la storia di un popolo che la storia e oggi il circo globale sfrutta, ma che poi butterà via come fazzolettini di carta usati. Come gli armeni, come i tibetani, come i milioni e milioni che non hanno diritto di vita sui networks.




RETRO RISCHIO

L’accordo fra Italia e Svizzera è “fatto”... o quasi, ma piú che una vera intesa sembra un insieme di pagherò da saldare nei mesi a venire: dall’uscita della Svizzera dalla black list alla libera circolazione delle informazioni bancarie, alla suddivisione delle tasse che i frontalieri dovranno pagare in Svizzera e in Italia. Ma per ora l’accordo serve solo a dare un po’ di credibilità e di fattibilità alla voluntary disclosure, con lo zuccherino della non retroattività degli accertamenti e quindi della limitazione degli anni da sanare. Ma gli eredi dei mercenari svizzeri ci staranno veramente?

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’accordo è firmato ma si parla di due tempi: prima la voluntary disclosure… Poi si vedrà. L’intesa fra Italia e Svizzera prevede lo scambio di informazioni, e quindi la possibilità di sanzioni più leggere per il rientro dei capitali, visto che la Svizzera entrerà a far parte dei Paesi black list che hanno stipulato intese con l’Italia. Uscita quindi dalla black list: neanche a pensarci. Escono temporaneamente dalla lista nera le banche che collaborano, ma ad esempio le imprese, piccole e grandi, della Confederazione continuano a restare sotto il giogo di un paese marchiato: per quanto concerne la deducibilità dei costi black list (che richiedono una delle due esimenti di effettiva attività economica della controparte o di concreto interesse all’operazione) e della comunicazione degli scambi effettuati, nell’immediato non dovrebbe cambiare nulla. L’uscita vera e propria dalla black list avverrà in un secondo momento, con il decreto del Ministero dell’Economia che modificherà la lista allegata al decreto ministeriale del 21 novembre 2011, ratificando l’esclusione della Svizzera (come è avvenuto il 23 dicembre per il Lussemburgo). Già nella legge legge di stabilità è contenuta una norma che prevede, per la lista dei Paesi a fiscalità privilegiata rilevante agli

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effetti della deducibilità dei costi sostenuti con i fornitori esteri non si terrà più conto anche del criterio della tassazione “congrua” ma solo della mancanza di un adeguato scambio di informazioni. Il primo punto, quello dolente, riguarda la retroattività dello scambio di informazioni: in base alla Convenzione di Vienna sui trattati internazionali, lo scambio di informazioni dovrebbe riguardare solamente le informazioni bancarie relative a un periodo successivo a quello dell’entrata in vigore dell’accordo bilaterale stipulato fra gli Stati (in questo caso Italia e Svizzera). I due Paesi dovranno verificare la possibilità di attivare la retroattività attraverso un protocollo aggiuntivo. Quindi l’accordo dovrà essere ratificato dai Parlamenti dei due Paesi e, nel caso della Svizzera, dovrà quasi certamente superare le forche caudine di un eventuale referendum. Secondo voci insistenti, le firme sarebbero state già raccolte per impedire a Berna di ratificare un’intesa che da parte svizzera viene interpretata come una resa senza condizioni, una effettiva perdita di sovranità nazionale, senza alcuna partita di scambio reale. Ma anche nella prospettiva di un iter il più condiviso possibile e quindi il più rapido possibile, l’accordo non verrà ratificato prima del 2017.

All’indomani della firma del titolare del Mef italiano e dell’omologo svizzero, il percorso, poi, proseguirà per circa due anni, visto che saranno i parlamenti nazionali a doverlo ratificare . Novità quindi di lungo periodo anche per i lavoratori transfrontalieri; con lo spitting fiscale, entrerebbe in vigore un meccanismo che prevede la tassazione suddivisa tra i due Paesi. In pratica, invece di tassare i frontalieri alla fonte e riversare il 38,8% degli introiti a Roma, in futuro dovrebbe entrare in vigore lo splitting in base al quale la Svizzera tasserebbe una parte e l’Italia un’altra della base imponibile. Per i lavoratori transfrontalieri stop quindi ai ristorni dalla Svizzera ai comuni italiani, a rimborsare le casse dei sindaci di confine sarà direttamente Roma. Come? Con un cambio di tassazione ancora tutto da scrivere ma che, nella sostanza, prevederà un prelievo elvetico del 60/70% e uno tutto made in Italy sulla parte restante del reddito del lavoratore. La Svizzera punta a far entrare nell’accordo anche l’apertura sugli intermediari, che dovrebbe permettere agli operatori finanziari elvetici di lavorare anche in Italia. Come detto, la partita principale (per l’Italia, i suoi contribuenti e i sonni tranquilli delle banche svizzere) si gioca sulla retroattività. Grazie all’intesa, i contribuenti italiani


con capitali non dichiarati e custoditi in conti in Svizzera, che volessero aderire alla regolarizzazione dei capitali varata con la nuova legge (voluntray disclosure), non saranno penalizzati rispetto ad altri che regolarizzano capitali detenuti in altri Paesi non inclusi nella black lisT, come è considerata oggi la federazione. La voluntary disclosure, infatti, prevede il raddoppio delle sanzioni e dei termini di accertamento per chi regolarizza capitali da Paesi in lista nera. A partire da quando verrà siglato il documento, il fisco italiano dovrebbe essere in grado di iniziare a visionare i conti nello stato confinante dei contribuenti italiani. Una precisazione è, però, d’obbligo: non vi sarà in ogni caso retroattività per gli accertamenti relativi agli anni antecedenti il 2015, mentre l’Agenzia delle Entrate avrà facoltà di chiedere le informazioni sui nostri connazionali alle autorità elvetiche molti mesi prima rispetto alla convalida degli accordi nei due stati ( Per partorire il topolino di un accordo fiscale che sembra porsi obiettivi solo di breve periodo ci sono voluti tre anni di trattative e spesso di non trattative fra Italia e Svizzera). Pomposamente, il protocollo d’intesa sull’accordo fiscale tra Italia e Svizzera è stato esaltato da molti media come la fine del segreto bancario e l’emersione dei capitali esteri. Due sono i documenti che disciplinano l’intesa tra Italia e Svizzera: Il primo è l’aggiornamento dell’accordo di doppia imposizione, con l’introduzione dello scambio automatico di informazioni secondo lo standard Ocse cui la Svizzera ha aderito lo scorso maggio. Il secondo testo invece è un documento politico, una sorta di road map che contiene le soluzioni raggiunte per tutti gli altri dossier. Il documento contiene già tutte le soluzioni chiave. Ora bisogna concretizzarle giuridicamente. L’accordo, ormai raggiunto – come precisato dai portavoce del governo svizzero -, sarà adesso “inviato in consultazione ai Cantoni, alle commissioni competenti, alle associazioni economiche, secondo la procedura normale. Ciò avviene dopo una prima consultazione presso gli uffici federali, che si è appena conclusa. Normalmente si comunica il risultato dei negoziati solo dopo che i Governi hanno apposto la loro firma, ma c’è una tensione talmente grande

su questo tema, in particolare nel Canton Ticino, che il governo di Berna ha deciso di anticipare l’informazione”. E questo la dice lunga sul timore del governo federale di vedersi rispedito al mittente un accordo che, dalla maggioranza degli svizzeri, specie in Ticino e Grigioni, è vissuto come una sconfitta su tutti i fronti. Ivi compreso quello relativo all’utilizzo di lavoratori transfrontalieri. La rivalutazione del franco sull’euro ha reso ancora più competitiva la manodopera frontaliera specie in Ticino, ridando fiato alle derive xenofobe (sono apparsi cartelli del tipo “noi diamo lavoro solo agli svizzeri”), a una voglia diffusa di andare con l’Italia a una resa dei conti complessiva con limitazione dei permessi di lavoro, contingentamento dei frontalieri, azioni efficaci sulle garanzie sociali. L’effetto della libera fluttazione del franco e quindi dell’abolizione del tetto, la voluntary disclosure, le norme antiriciclaggio che stanno spingendo le banche ad adottare un atteggiamento di totale resa e quindi rinuncia a una fetta consistente della

clientela, materializzano anticipatamente lo spettro di un incremento record dei tassi di disoccupazione e di una vera e propria moria di posti di lavoro nel mondo bancario e delle fiduciarie. Tutti rischi che da decenni la Svizzera non è più abituata ad affrontare, e che potrebbero generare forti fratture sociali e reazioni più dure del previsto ivi compresa una bocciatura dell’accordo con l’Italia. Intesa che prevede troppe fasi di avanzamento che richiedono, ciascuna, ulteriori meccanismi legislativi. Come detto, l’intesa bilaterale prevede per quanto riguarda il monitoraggio fiscale per la mancata dichiarazione dei fondi esteri - ovvero l’obbligo per i contribuenti di chiarire la loro situazione patrimoniale, dopo aver aderito alla procedura di emersione dei capitali evasi (voluntary disclosure) – che nel caso di capitali detenuti in Svizzera non verranno applicate le regole vigenti per i Paesi black list (dei quali la Svizzera faceva comunque parte), e i contribuenti che detenevano capitali in Svizzera, senza averli dichiarati

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viewpoint

MOUSE TRAP Cinque e non più cinque? Questa è la parola d’ordine per sostenere la voluntary disclosure che, grazie all’accordo Italia-Svizzera e all’uscita ancorché non definitiva delle banche elvetiche dalla black list, consentirebbe ai contribuenti infedeli di limitare a soli cinque anni la loro confessione relativa ai fondi detenuti e non dichiarati nelle casse svizzere. Ma c’è già chi pensa male, e sostiene che – come per altro accade regolarmente nei rapporti fra cittadino e pubblica amministrazione – l’Italia non è propriamente il Paese delle certezze, e potrebbe accadere l’esatto contrario. Ovvero un’autodenuncia, una voluntary disclosure per cinque anni di malefatte arretrate che in automatico spalanca la porta a ulteriori cinque anni di accertamenti, di tasse non pagate e di sanzioni. Come se la VD potesse trasformarsi in una nuova gigantesca trappola per topi. Primo interrogativo: cosa accade se una volta ricevuti tutti i documenti del contribuente pentito, i funzionari dell’Agenzia delle entrate ravvisano sospetti di reati non condonabili con la voluntary come ad esempio falsi in bilancio, false comunicazioni

al fisco, si vedranno riconosciute delle sanzioni «brevi», della tipologia di quelle riservate ai Paesi white list, dal momento che la Svizzera aveva esplicitamente richiesto, nell’ambito dell’accordo, di non subire discriminazioni fiscali dopo il suo passaggio ai Paesi white list. All’atto pratico, qualora il contribuente decida di aderire alla procedura di emersione per capitali illecitamente detenuti in Svizzera, dovrà chiarire la propria posizione tributaria per i precedenti 4 o 5 (casi di omissione e regolarizzazione) periodi di imposta (in luogo degli 8 o 10 previsti per i Paesi black list) in riferimento al quadro Rw della dichiarazione dei redditi. Tutto da discutere e verificare il tema del radicamento delle banche svizzere in Italia; anche se i rappresentanti italiani avrebbero voluto posticipare la definizione di questo aspetto dell’accordo a un momento

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sociali o truffa? La risposta potrebbe essere, e forse già è, un coinvolgimento della Procura competente, che di fronte a questo sospetto – e volutamente adottiamo una spiegazione non giuridica, ma termini facilmente comprensibili – autorizza l’Agenzia ad andare a frugare in un passato remoto, ovvero sia i cinque anni precedenti. E a quel punto, per chi ha presentato la voluntary, la trappola è ormai scattata e non esiste possibilità di tornare indietro. Secondo interrogativo: se l’Agenzia delle entrate ravvisa anche in questo caso reati diversi all’origine della costituzione di fondi non dichiarati, reati costituiti attraverso lo strumento di una società e una carica di amministratore? Risulta impensabile che la Procura immediatamente coinvolta non

successivo, si è deciso di mutuare una parte dell’accordo Rubik tra Svizzera e Germania (che però non è mai entrato in vigore in Germania) in base al quale Bankitalia e Consob dovranno individuare degli spazi di autonomia amministrativa degli Stati membri dove sarà reso più semplice l’accesso di operatori stranieri. Lo scambio di informazioni fiscali, che non è stato ancora reso del tutto automatico, non avrà un’efficacia retroattiva come era stato precedentemente ipotizzato, in base alla soglia comunemente adottata nei trattati Ocse e fissata a tre anni. Anche se esiste già un accordo di massima a proposito, saranno definiti in un momento successivo questioni quali: • la doppia imposizione dei redditi; • il trattamento fiscale dei lavoratori transfrontalieri; • lo status di enclave del comune di

indaghi sulla società in questione, con coinvolgimento del presentatore della VD nella sua veste di amministratore che ha commesso altri reati penalmente perseguibili, ma anche degli azionisti. Specie se si pensa che, per strana coincidenza temporale, anche nelle società di capitali, in particolare quelle a responsabilità limitata, questa limitazione di responsabilità risulterebbe tutt’altro che limitata e anzi solidale con l’amministratore. Stack. Ecco il rumore sordo della molla della mouse trap che scatta con l’apertura di fascicoli non solo amministrativi e fiscali, ma ad altissima componente penale. Alla faccia della moratoria penale che della VD dovrebbe essere il punto di forza.

Campione d’Italia; A siglare un accordo con la Svizzera ci avevano provato Tremonti, Grilli, Monti, Saccomanni. Quattro anni e mezzo e la consueta pletora di governi italiani per arrivare a partorire un topolino zoppo che serve all’Italia come sirena per invogliare, con un canto stonato, i suoi contribuenti ad autodenunciarsi. Quattro anni e mezzo che diventano franchi per i titolari dei conti all’estero. Solo dall’entrata in vigore dell’accordo il fisco italiano potrà accedere ai dati dal 2015 in poi, Dal 2020 potrà svolgere indagini sui cinque anni precedenti, esattamente come prevedono le regole italiane, rogatorie, referendum ed equilibri internazionali permettendo...



VD Ci siamo

I banchieri... di mary Poppins e Mr. Banks

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é entrata in vigore la voluntary disclosure, e nelle banche svizzere scoppia il finimondo. Fuggi fuggi di clienti, ma gli istituti di credito bloccano bonifici e contante. Dubbi teorici sulla costituzionalità della norma e pratici sulla sua applicabilità, senza correre il rischio di trasformare l’autodenuncia in un carcere certo


è

legge. La voluntary disclosure è legge. Ciò che era stato inseguito per anni è diventato, sotto la bacchetta magica del governo Renzi, realtà. Ora, in teoria, si tratta solo di attendere l’apertura del rubinetto che dovrebbe far sgorgare dai caveau delle banche svizzere un fiume di miliardi illegalmente detenuti negli istituti di credito elvetici, frutto proibito di evasione fiscale e in gran parte dei casi di triangolazioni e fatture non propriamente corrette. Che il rubinetto sia prossimo ad aprirsi ne sono convinte prime fra tutti le banche svizzere che, giorno dopo giorno, hanno stretto il cappio al collo dei clienti, prima limitando l’erogazione di contanti, quindi

impedendo il trasferimento del deposito verso altre banche specie di Paesi black listed o non ancora allineati con la normativa Ocse, all’interno della Svizzera stessa. Ma, prima di analizzare cos’è la voluntary disclosure (VD per gli amici), è il caso di mettere un po’ di pepe su questi comportamenti. La prima considerazione, ad onta dell’atteggiamento quasi gendarmeresco delle banche svizzere, à relativa al reale diritto delle banche stesse di condizionare il regolare utilizzo di fondi che fiduciariamente il cliente ha affidato loro, sulla base di un contratto di tipo privatistico. Deposito costituito in piena ottemperanza delle leggi vigenti nella

Confederazione, ben prima dell’adesione (futura) della Svizzera alle regole Ocse e dell’approvazione, nel dicembre scorso, della norma sul riciclaggio da parte del Parlamento svizzero. Voci ricorrenti parlano di metodi spicci per ottenere la riconsegna dei soldi di proprietà, ad esempio passando attraverso una denuncia in polizia e un’accusa di appropriazione indebita, formulata nei confronti dei dirigenti e dei referenti bancari. La seconda considerazione è relativa a una ipocrisia di fondo relativa a un presunto nuovo ordine fiscale in tema di lotta agli evasori fiscali e divieto di costituire conti bancari coperti dall’anonimato. Mentre la Svizzera subita la grande

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offensiva americana, nelle banche statunitensi i clienti, ad esempio europei, accompagnati da un avvocato, possono aprire tranquillamente un conto anonimo e depositare contanti. Quasi una pena del contrappasso per le banche svizzere che, proprio su queste pratiche, hanno ricevuto (con il Fatca) la scomunica americana e sanzioni miliardarie. Ma delle difficoltà di una Svizzera messa in angolo si giovano anche Paesi europei che hanno aderito agli impegni Ocse ma che, rispetto anche ai fondi in fuga dalla Svizzera, hanno assunto un atteggiamento a dir poco elastico, confermando come nel caso della Gran Bretagna o dell’Austria una vocazione quasi congenita alla gestione di capitali. Passiamo alle considerazioni da parte italiana. Cosa tutela la voluntary disclosure? Che cambiale in bianco firma il contribuente definito “infedele” quando accetta di autodenunciarsi? Mentre i tempi stringono, molti contribuenti scoprono che neanche volendo potrebbero aderire alla VD. VD che secondo molti presenterebbe anche profili di dubbia costituzionalità.

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L’esempio pratico sul quale si concentrano i dubbi e le paure di chi vorrebbe aderire alla voluntary disclosure è quello della persona fisica-amministratore di società, che aderisce (comme il faut) alla VD in quanto persona fisica. Sana pagando sanzioni e tasse arretrate la sua posizione personale, salda il suo conto con la giustizia, pagando per evitare sanzioni penali connesse con il suo comportamento illecito (costituzione di fondi all’estero, omessa dichiarazione degli stessi), ma non sana la sua posizione in quanto amministratore o anche solo revisore dei conti o consulente di una società attraverso la quale (spesso con fatture gonfiate o di comodo) questi fondi sono stati costituiti. Anzi la aggrava, visto che con una VD che – diversamente dallo scudo o da qualsiasi condono del passato – non è anonima, il contribuente infedele, chiamato a regolarizzare per sanare la sua posizione, rischia di trovarsi nella paradossale posizione di un soggetto che si autodenuncia, paga le sanzioni e rischia la galera. Considerando poi la forbice interpretativa e

applicativa che caratterizzerà questa norma, ulteriori interrogativi si appuntano sul destino dei soci o degli altri amministratori che operavano nella stessa società di chi si autodenuncia. Tutti soggetti giuridici e persone fisiche che, in una sorta di reazione a catena, rischiano di trovarsi nei guai malgré loro con il pericolo estremo di vedersi aprire le porte di una cella. Le considerazioni potrebbero essere molteplici, con il risultato di scoprire che nella VD i coni d’ombra giustificano più di un timore e che le aspettative circa un gettito abbondante destinato a scaturire dal rubinetto aperto in questi giorni potrebbero risultare a dir poco ottimistiche. Le stime indicano un possibile rientro in Italia pari al 30% dei capitali detenuti all’estero, vale a dire tra i 30 e i 60 miliardi di euro. Quanto alla tassazione, il rientro dei capitali è conveniente se i capitali si trovano in Svizzera da più di otto anni, quindi già prescritti. In questo caso il costo del rimpatrio si aggira tra il 12 e il 15%. Se invece si trovano all’estero da meno di otto anni, il costo può arrivare al 50%.


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Diritti dell’interessato

Consenso

Presso il titolare o i responsabili del trattamento, l’interessato (art. 7 del d.lgs. n. 196 del 2003) può accedere ai propri dati personali per verificarne l’utilizzo o, eventualmente, per correggerli, aggiornarli nei limiti previsti dalla legge, oppure per cancellarli od opporsi al loro trattamento, se trattati in violazione di legge. Tali diritti possono essere esercitati con richiesta rivolta a: Agenzia delle Entrate, via Cristoforo Colombo 426 c/d – 00145 Roma. L’Agenzia delle Entrate, in quanto soggetto pubblico, non deve acquisire il consenso degli interessati per trattare i loro dati personali. Gli intermediari non devono acquisire il consenso degli interessati per il trattamento dei dati in quanto il trattamento è previsto dalla legge.

La presente informativa viene data in generale per tutti i titolari del trattamento sopra indicati.


Ma bando alle ciance. L’Agenzia delle Entrate ha comunque sventolato la bandiera a scacchi con pubblicazione online del modulo definitivo di richiesta di adesione, corredato dalle istruzioni che illustrano le modalità per regolarizzare le attività finanziarie o patrimoniali detenute all’estero e non dichiarate al fisco. Il modulo andrà inviato entro il 30 settembre 2015. Dalla data di presentazione della richiesta i contribuenti interessati ad aderire alla procedura di collaborazione volontaria avranno 30 giorni di tempo per presentare la documentazione a supporto e, successivamente, verrà avviato il contraddittorio con gli uffici. Possono presentare richiesta di adesione alla voluntary disclosure tutti i contribuenti che detengono attività e beni all’estero e hanno omesso di dichiararli al fisco, per sanare le relative violazioni dichiarative, ivi

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incluse quelle inerenti i maggiori imponibili riferiti e non alle attività e ai beni anzidetti. La procedura deve riguardare tutti gli investimenti e tutte le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero. Possono inoltre presentare richiesta di adesione alla voluntary disclosure anche tutti gli altri contribuenti per sanare eventuali violazioni dichiarative. In entrambi i casi l’emersione può interessare solo le violazioni commesse prima del 30 settembre 2014, a patto che la richiesta non sia presentata dopo che l’autore della violazione abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, per violazione di norme tributarie, relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura. Una volta compilato, il modello deve

essere trasmesso all’Agenzia delle Entrate entro il 30 settembre 2015. L’invio può essere effettuato tramite i canali telematici Entrate o Fisconline, oppure tramite un intermediario abilitato. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge n. 186/2014 in materia di emersione e rientro dei capitali detenuti all’estero e autoriciclaggio, e con l’approvazione da parte dell’Agenzia delle Entrate del modello definitivo con le istruzioni per il rientro dei capitali, la voluntary disclosure è operativa a tutti gli effetti. La voluntary disclosure, in modo ben diverso rispetto allo scudo fiscale, ha un target patrimoniale più variegato e complesso, e non solo perché la sanatoria non può essere incompleta, dovendo riguardare tutti i beni non conosciuti al Fisco. Il grimaldello della VD è la norma


sull’autoriciclaggio. Come per lo scudo, il rimpatrio può essere anche giuridico. Non si potranno però più utilizzare, come in passato, schemi giuridici “importati” nel nostro ordinamento, perché i trust e gli altri simili strumenti giuridico/ finanziari, ivi incluse le polizze assicurative, sono stati “depotenziati” e comunque resi oggetto di particolare attenzione dalla normativa interna ed internazionale, con separata evidenza negli scambi di informazioni tra le Amministrazioni fiscali. Il risultato è che i cittadini italiani che detengono capitali all’estero in nero avranno poi tempo fino al 15 settembre prossimo per autodenunciarsi all’Agenzia delle entrate e godere di sanzioni e penalità ridotte sulle dichiarazioni fiscali infedeli presentate nel periodo 2004-2013. Diversamente dagli scudi fiscali precedenti, tuttavia, la volontary disclosure non

prevede l’anonimato sui capitali rimpatriati. La voluntary disclosure è attivata direttamente dal contribuente, mediante la presentazione di una richiesta spontanea all’Agenzia delle Entrate. L’istanza, che non può essere presentata più di una volta, anche indirettamente o per interposta persona, è ammessa non oltre il 30 settembre 2015. Alla procedura possono partecipare i soggetti obbligati alla presentazione del modulo RW secondo quanto previsto dell’articolo 4 del Dl 167/1990, ovvero le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici, nonché i soggetti a essi equiparati residenti in Italia. Il contribuente che aderirà alla voluntary disclosure dovrà indicare e documentare puntualmente tutti gli investimenti e le attività finanziarie costituite o detenute all’estero, anche indirettamente o

per interposta persona, fornendo le informazioni necessarie alla ricostruzione dei redditi che sono serviti per costituirli e acquistarli. Dovranno essere forniti anche i documenti e le informazioni relative ai guadagni derivanti dall’utilizzo o dalla dismissione delle attività finanziarie estere (ad esempio, in termini di interessi, dividendi e plusvalenze), relativamente a tutti i periodi d’imposta per i quali, alla data di presentazione dell’istanza, non sono scaduti i termini per l’accertamento o la contestazione degli obblighi inerenti la presentazione del modulo RW. Dimenticavamo. Qualcuno che della VD si avvantaggia c’è: eccome. Sono gli operatori della consulenza finanziaria dei quali il contribuente infedele dovrà servirsi per regolarizzare i suoi conti. L’Agenzia delle Entrate, rispondendo ai quesiti, ha recentemente fornito alcuni

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chiarimenti in merito alla procedura di collaborazione volontaria per il rientro dei capitali detenuti illecitamente all’estero. In relazione al raddoppio di accertamento in caso di reati tributari e di attività detenute in Paesi black list, l’Agenzia delle Entrate ne ha confermato l’applicabilità in relazione a tutti i periodi d’imposta i cui termini per l’accertamento ordinario (di cui all’art. 43, D.P.R. n. 600/1973; art. 57, D.P.R. n. 633/1972 in materia di IVA) non fossero scaduti al momento di entrata in vigore del D.L. n. 78/2009. Raddoppio dei termini anche per le violazioni in materia di monitoraggio fiscale. Ai fini della procedura di collaborazione volontaria, l’Agenzia hainoltre chiarito che laddove non ricorrano le condizioni previste dall’art. 5-quater del D.L. n. 167/1990 (che comportano la non applicabilità del raddoppio dei termini per le attività di accertamento) per le attività detenute in Paesi black list, continuerà ad applicarsi il raddoppio dei termini sia per le attività di accertamento che per la contestazione delle violazioni in materia di monitoraggio fiscale. I titolari effettivi possono accedere alla disclosure dal 2013.

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Per quanto concerne la quantificazione delle sanzioni ai fini delle imposte dirette, il raddoppio stabilito dall’ultimo periodo dell’art. 12, D.L. n. 78/2009, sarà operativo laddove ne ricorrano le condizioni previste dalla norma - per le violazioni commesse dopo l’entrata in vigore della norma, in virtù del principio di legalità di cui all’art. 3, D.Lgs. n. 472/1997. Sempre con riferimento agli obblighi di monitoraggio fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che le novità introdotte dalla

legge europea 97/2013 (concetto di “titolare effettivo”, effetto de-moltiplicativo, applicazione del principio “look through”) non possono trovare applicazione per le annualità oggetto di regolarizzazione anteriori al periodo d’imposta 2012. Tra i chiarimenti forniti, l’Agenzia ha poi precisato che i “soggetti collegati” da indicare nell’istanza di collaborazione sono i terzi rispetto alla procedura attivata dal singolo contribuente. È questo il caso, ad esempio, dei soci o associati qualora il richiedente sia una società di persone o altro soggetto trasparente (per natura o per opzione) che aderisce alla procedura di collaborazione. Infine, l’Agenzia si è espressa in merito alla possibilità di adesione alla voluntary disclosure anche nell’ipotesi di eventuali avvisi di accertamento relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura definiti prima della presentazione dell’istanza di collaborazione. Sul punto, tenuto conto che la definizione di eventuali avvisi di accertamento sana le violazioni in essi contestate, l’Agenzia ritiene che il contribuente potrà aderire se con la definizione si rimuove l’esistenza della causa ostativa.


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La guerra dei Roses Era durato quasi un secolo il rapporto di fiducia fra banche svizzere e clientela internazionale. Ora, specie in Ticino, quell’amore sta sfociando in un divorzio sanguinoso. “La differenza fondamentale con il passato?”. Per Paolo Bernasconi è evidente : “Oggi è la banca che ti getta fuori”.

e

siste una differenza sostanziale rispetto al passato. E non si tratta dell’opzione Estonia, o del trust made in Israel, o di un istituto di credito delle Seyichelles (dove puoi goderti il tuo patrimonio in spiaggia). La novità sostanziale – sottolinea l’avvocato Paolo Bernasconi, uno dei maggiori conoscitori delle tematiche relative ai conti non dichiarati e al rapporto banche-clienti in Svizzera – è che oggi a metterti fuori gioco sono le banche svizzere. Siì,; quelle stesse che per decenni hanno pesato le valigie piene di soldi, calcolando sul buon peso ricche provvigioniofferto società di comodo e conti in paradisi fiscali, quelle che anche in tempi recenti hanno proposto soluzioni miracolistiche di investimento sicuro come polizze assicurative vita. Ma qual ’è stato, al di là delle considerazioni giuridiche e quelle d diell’ opportunità anche politica, l’elemento chiave che ha trasformato minacce e avvertimenti (quelli

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che ormai da almeno due anni venivano lanciati alla clientela internazionale e in particolare italiana titolare di conti non dichiarati) in una realtà così cruda? QualCos ’è stato l’elemento scatenante per cui la maggioranza delle banche, specie sulla piazza ticinese, si rifiuta di consegnare contanti ai clienti che li hanno affidati alla loro banca di fiducia, non accetta di fare bonifici verso destinazioni lontane, si rifiuta di spostare il conto se non a un altro in Ppaesi europei UE o nella stessa sSvizzera, che abbia la caratteristica di essere immediatamente e inequivocabilmente riconducibile al nome del suo titolare? Secondo Paolo Bernasconi, a molti sono sfuggite le tappe di avvicinamento verso questo new deal nei rapporti fra cliente e banche, e specialmente è sfuggita l’importanza di una data: quella del 12 dicembre scorso, quando il Parlamento svizzero ha approvato una rRaccomandazione OCSE che sancisce la

punibilità in Svizzera dei reati fiscalidel riciclaggio del provento di infrazioni fiscali aggravate, con una norma che entrerà in vigore nel luglio prossimo e che riguarderà i reati fiscali compiuti prima del primo febbraio 2015anche all’estero. Per la prima volta, Berna ha vengono di fatto recepiteo le indicazioni e le raccomandazioni, mai vincolanti ma sempre più pressanti di FINMA (l’ente di controllo elvetico sulle banche), che da tempo suggerisce agli istituti elvetici di “tenere conto” della normativa dei Ppaesi esteri in materia di reati fiscali, e ha introdotto nella sua normativa nazionale il riciclaggio collegato ai cosiddetti serious tax crimes. In virtù di questa norma, “Sono considerati delitto fiscale qualificato i reati di cui all’articolo 186 della legge federale del 14 dicembre 1990 sull’imposta federale diretta e all’articolo 59 capoverso 1 primo comma della legge federale del 1990 sull’armonizzazione delle imposte, se


Prelievi in contanti: si può Due sentenze choc per le banche che non consegnano cash ai clienti ...non desiderare i soldi d’altri... e specialmente non tenerteli. Suonano pressapoco così due sentenze del Tribunale di appello di Lugano, che intimano alle banche svizzere di consegnare regolarmente i soldi ai clienti, anche italiani, che esigono il saldo in contante. Il giudice d’appello, riformando i provvedimenti della Pretura del Sottoceneri, ha infatti ingiunto agli istituti di autorizzare i prelievi in contanti dei correntisti; prelievi bloccati dalla paura di banche e funzionari di poter essere accusati di autoriciclaggio, o quantomeno di concorso nello stesso reato. Dopo che

decine di titolari di conto si erano rivolti ad avvocati o anche direttamente alla polizia, la svolta che rimette tutto in gioco in quella che in Svizzera, più che un corpus iuris, sembra essere diventato una lotteria normativa. Casualmente la sentenza si è abbattuta come un macigno proprio sull’intesa fra Italia e Svizzera, o presunta tale, che dovrebbe fare delle banche elvetiche compagni di merenda dell’Agenzia delle entrate. Dovrebbe... il condizionale è d’obbligo e non solo per le due sentenze, che probabilmente saranno impugnate presso un Tribunale Federale, ma anche perchè sullo sfondo dell’intesa

bilaterale si allunga l’ombra lunga di un “patto leonino”. L’Italia, si afferma nell’accordo, farà saltare tutto se la Svizzera darà seguito al referendum popolare (ovvero lo farà diventare legge) sul contingentamento dell’immigrazione e dei lavoratori esteri. Se Berna non brilla per coraggio, pare difficile che il popolo svizzero, una volta scoperta questo ultimatum, lo possa accettare. E in questo caso l’accordo tanto strombazzato come la pietra tombale sul segreto bancario, potrebbe diventare carta straccia. Intanto sulle sentenze dovrebbe esprimersi la Finma, istituto di controllo sulle banche.

viewpoint

Avv. PaoloBernasconi


le imposte sottratte per periodo fiscale ammontano a oltre 2300.000 franchi”. Il che, tradotto in parole semplici, significa che ogni banca, ogni funzionario o fiduciario, in anticipo rispetto all’1l primo febbraio 2015, si guarderà bene dall’essere flessibile e comprensivo con l’esigenze del suo cliente, ben sapendo che, pur con molti limiti, questa nuova norma svizzera sulla punibilità del riciclaggio del provento di infrazioni fiscali , schiuderà anche se certo non spalancherà le porte alle a nuove rogatorie internazionali. E se è vero e incontestabile che queste rogatorie non potranno riguardare azioni compiute prima del primo dell’1febbraio luglio 2015, la sostanza cambia poco. Quelli che sino a poche settimane addietro erano una delle principali fonti professionali di guadagno sono diventati ospiti non graditi. La moria serie di banche svizzere finite nei guai prima negli Stati Uniti, quindi in

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Germania, poi in Francia e ovviamente in Italia, il rischio di impresa e i fondi di accantonamento, diventati indispensabili per affrontare con un minimo di protezione l’offensiva internazionale contro il paradiso fiscale svizzero, hanno fatto il resto. Il vento non girerà più come prima. “Avvocato, dove vado?”: il titolo provocatorio dell’istant book che lo stesso avvocato Bernasconi ha aggiornato nella seconda edizione, destinata ad andare a ruba come la precedente, la dice lunga; e in questo nuovo clima, l’aaAccordo fra Italia e Svizzera, con tutti gli elementi di incertezza che presenta, appare solo la ciliegina su una torta già bella e pronta. Poco importa che per alcuni clienti anche lo strumento della voluntary disclosure sia impossibile oltre che improponibile e impercorribile. Alea iacta est. Il dado è tratto e i titolari di conti esteri, tanto corteggiati e tanto spremuti, diventano

oggi “rifugiati” e profughi della valuta per i quali si prospettano gli scenari peggiori, ivi compreso quello delle rogatorie di gruppo o di voluntary disclosure trasformate in roulette russe, ancorchéè caldeggiate e quasi imposte dalle controparti bancarie svizzere. Controparti che oggi obiettano: “da mesi e anni vi stiamo avvertendo”. Ma che sembrano oggi considerare il cliente sul quale è stato edificato, specie in aree come il Ticino, il sistema bancario locale, come una cellula anomala da espellere, facendo finta di ignorare i fattori di rischio connessi con una vVoluntary che sana solo metà del reato fiscale, quello personale, spalancando le portoe di aziende che hanno amministrato in maniera non cristallina alle irruzioni di Procure e della Guardia di Finanza, e mettendo nei guai soci e azionisti che con la voluntary del titolare non hanno nulla a che spartire.


Paolo Bernasconi

ove vado? Avvocato, dizz ero

Bernasconi

Segreto bancario sv vanno e globalizzazione: dove ed esteri, i contribuenti svizzeri merci i capitali, i servizi e le

Avvocato, dove vado?

vizzera, in Italia, Unione ltre. Il profano, investitore e o gli risponde. In modo meno nella Parte cartacea fiduciario, commercialista e carriere, ne vuole sapere . negli schemi sul sito www

me. o bancari, quelli a Lugano o, denza dall’Italia al Ticin banche svizzere verranno irà al Fisco estero? Mi serv o nama o Londra? Se il Fisc se, osto che l’IRS statuniten Che ome posso difendermi? e bato in una banca svizzera a stato arre di Lugano viene a un mio ordine di bonifico a ello di Chiasso una rimessa o il titolare italiano di un cont

Generali Prefazione di Claudio

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evo roritenuta? Oppure il preli bio bik? Arriveremo allo scam la nerà? Nell’incertezza, serve e lo sviluppo affra erencare svizz e bancheNon nchir anche la affra pas o, ma del FiscoNeester t frank , Singapore. Nich urgoieren emb ondra, Luss per il libro, come un sillabario ortsendung di facile Gesc ma antw iso,häfts e prec iale rispo pletosta com ponse

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i capitoli.

Bernasconi taio nello Studio legale strato del po una ventina come Magi esperienze sue alle e arbitrali, attinge Seminari per hé nonc città altre o ed e fiscale. settore bancario, finanziario ricerche e tà attivi sue le per oris causa le dell’Area di diritto nsabiSA o È respo de ran sag Vezia.

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Il tutto in un minuetto di voci, mezze verità e mezze falsità. Come quelle relative all’abolizione del segreto bancario svizzero: “La fine del segreto bancario non è ancora stata scritta né decisa dal Parlamento svizzero, ma e la prima grande vera eccezione in favore del fisco straniero rispetto al segreto bancario si deve stimare al 13 marzo del 2009, quando il Consiglio Ffederale svizzero dichiarò che il diritto svizzero sarebbe stato conformato agli standard minimi OCSE”. “Una svolta storica – sottolinea l’avvocato Bernasconi – perché per la prima volta la Svizzera accettava l’adeguamento a un testo dinamico, deciso a maggioranza all’interno dell’OCSE, dove la Svizzera poteva e può esprimere un solo voto”. Ma intanto la FINMA, l’ente di controllo sulle banche, in una delle ultime raccomandazioni (che – sia chiaro – non sono vincolanti per legge) ha suggerito alle

banche elvetiche di tenere costantemente conto, anzi, di osservare il diritto straniero e di adeguare il loro comportamento... al rischio di finire indagati, per .esempio per il reato di concorso nel reato di autoriciclaggio in vigore dal 1° gennaio di quest’anno nel Codice Ppenale italiano. Il che puópuò voler uol dire tutto e il contrario di tutto. Piùú che una dichiarazione o un suggerimento, la posizione di FINMA, é suonata per funzionari bancari e fiduciari come un avvertimento. E in nessun altro modo puópuò essere interpretata la reazione a catena che ha spinto, una dopo l’altra, tutte le banche ticinesi a contingentare, se non di fatto azzerare vietare, i prelievi in contante incorrendo in ricorsi legali (taluni vinti, altri persi) e in casi estremi in cui il cliente titolare di un conto si è presentato allo sportello con un funzionario di polizia, e con una denuncia bella e pronta per appropriazione indebita.

In questa atmosfera sempre piúpiù pesante, esiste una sola certezza: il rapporto di fiducia che legava la clientela con la banca svizzera di riferimento si è definitivamente frantumato, con un numero crescente di clienti offshore che stanno studiando soluzioni (alcune fantasiose, altre perfettamente percorribili) per mettere in salvo i loro fondi esteri; con una gran massa di piccoli “risparmiatori cifrati” che accettano di farsi accompagnare sul patibolo di uno studio legale per predisporre già in Svizzera tutta la documentazione richiesta per la presentazione della voluntary disclosure, altri ancora che proprio la vd non se la possono permettere o perché dovrebbero rinunciare a tutto il loro risparmio, o perché sono consci del rischio di innescare una reayzione a catena, fiscale, amministrativa e anche penale sui fronti (come l’azienda) che la voluntary disclosure non prende neppure in considerazione. “Poco importa – sottolinea Bernasconi – in che modo e con quali limiti si svolgerà lo il futuro scambio automatico di informazioni. Poco importa che le norme sukl riciclaggio del provento di reati fiscali non potranno essere applicate retroattivamente e saranno punibili non prima del primo febbraio luglio di quest’anno. Il giocattolo si è rotto”. I procedimenti aperti dagli USA contro 14 banche svizzere, le maxi sanzioni che hanno gravano sul bilancio delle altre 106 banche svizzere che si sono autodenunciate al Fisco USA rischiato e rischiano di far saltare bilanci (che pure hanno miracolosamente beneficiato della rivoluyzione valutaria) hanno lasciato il segno. Eccome . A causa della FINMA, ora, dalle centrali bancarie, si raccomanda caldamente di non consentire prelevamenti in contanti. Talunie lo hanno fissato iln 100.000, altrei 200.000 franchi all’anno, altrei ancora a risibili 5000 franchi al mese; di vietare bonifici a favore di banche in Paesi considerati non cooperativi; idem per società collocate in questi Paesi; in taluni casi a rifiutare bonifici a favore di conti intestati al cliente presso altre banche svizzere… La prudenza non è mai troppao, la fiducia idem. Infine, divieto tassativo a eseguire rimesse presso la banca el in territorio svizzero a debito di conti aperti presso filiali e succursali della stessa banca all’estero (Singapore, Bahamas, ecc.). In grande sintesi, il suggerimento di FINMA è sintetizzabile in una breve frase: non prendetevi (più) nessun rischio.

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di Giovanni Parisi e Serena Artusi

E SE MI RAVVEDO?

Voluntary disclosure o ravvedimento operoso. Lo slang anglofono è di moda....ma forse è meglio tornare a “sciacquare i panni in Arno”

v

oluntary disclosure e “Nuovo” ravvedimento operoso sono due strumenti introdotti (per la voluntary) e riformati (per il ravvedimento) per fornire al contribuente che intende regolarizzarsi con l’erario “l’ultima spiaggia” di emersione volontaria di attivita’ patrimoniali detenute all’estero e non dichiarate prima che nell’anno 2017 abbia completa e definitiva attuazione il “grande mutamento” dello scambio di informazioni; un vero e proprio nuovo ordine che viene implementato a partire da quest’anno e che vedrà epocali sottoscrizioni da parte di differenti paesi …incluso l’accordo fiscale dell’Italia con la Svizzera. Voluntary disclosure: sicuramente meglio reclamizzata e – a torto – considerata quale

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unico nuovo strumento di regolarizzazione (soprattutto dagli intermediari finanziari esteri), è una procedura di collaborazione volontaria attraverso la quale il contribuente dichiara all’amministrazione finanziaria le attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero in violazione degli obblighi imposti dal monitoraggio fiscale. Cosa significa? Significa che il contribuente di sua iniziativa attiva con l’amministrazione un procedimento di accertamento con adesione “plenario e complessivo” per regolarizzare la propria posizione fiscale. Quindi tale procedura confluisce in un vero e proprio avviso di accertamento in cui l’Agenzia determina gli importi dovuti all’erario (accertamento poi ovviamente aderibile od opponibile con ordinario ricorso in Commissione Tributaria). A sua volta la procedura originaria riferita esclusivamente a persone, società semplici ed equiparate ed enti non commerciali e definita come voluntary estera puo’ essere estesa ad altri soggetti non tenuti agli obblighi di monitoraggio fiscale (c.d. voluntary “domestica”). Ravvedimento operoso: strumento erariale di regolarizzazione già esistente attraverso il quale, a seguito dell’ampliamento applicativo introdotto dalla riforma della L. 190/2014, possono essere sanate le violazioni tributarie commesse dal

contribuente, ivi incluse quelle relative al monitoraggio fiscale. Cosa significa? Significa che il contribuente decide di sanare oltre i termini ordinari le irregolarità dichiarative ed i correlati versamenti di imposta determinando esso stesso in autoliquidazione gli importi da versare e le irregolarità da ravvedere non instaurando alcuna procedura amministrativa di confronto con l’amministrazione finanziaria. Quali sono le differenze tra i due strumenti? Cosa conviene al contribuente? Dipende! La voluntary disclosure si instaura a seguito di un’autodenuncia da parte del contribuente e richiede la completa trasparenza dello stesso nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Non si tratta di un condono in quanto le imposte omesse vanno interamente versate ma sicuramente trattasi uno strumento premiante la volontaria collaborazione del contribuente. Attraverso questa procedura il contribuente si autodenuncia al fisco e lo stesso deve comunicare, spontaneamente, tutti gli investimenti e tutte le attività di natura finanziaria e patrimoniale detenute all’estero, fornendo, attraverso prove documentali, la valorizzazione di tali investimenti e la ricostruzione dei redditi utilizzati per la costituzione di tali attività.


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A fronte dell’autodenuncia da parte del contribuente, lo stesso godrà della non punibilità dei reati penali eventualmente commessi e di uno “sconto” sull’importo delle sanzioni amministrative. La procedura di voluntary è nominativa, non è possibile avvalersi dell’anonimato, ed il contribuente deve porre attenzione al fatto che l’autodenuncia può far emergere violazioni riferibili anche ad altri soggetti a lui stesso fiscalmente collegati. L’autodenuncia può inoltre riguardare investimenti ed attività finanziarie detenute all’estero indirettamente o per interposta persona, inoltre, oltre ai dati del soggetto aderente, devono essere identificati nel modello i soggetti collegati. Oggetto della voluntary disclosure sono tutti i periodi di imposta i cui termini di accertamento non sono ancora scaduti. Occorre quindi verificare quali periodi di imposta risultano aperti, ricordando che, nel caso in cui la violazione tributaria integri un reato fiscale, i termini di accertamento sono raddoppiati. Nel caso in cui gli investimenti siano detenuti in territori a fiscalità privilegiata gli stessi si presumono costituiti, salvo prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione. Anche in questo caso i termini di accertamento sono raddoppiati. L’adesione alla procedura di collaborazione volontaria deve essere richiesta entro il 30 settembre 2015, mediante invio telematico del relativo modello ministeriale. Legato alla presentazione della suddetta istanza è previsto il reato, punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, per chi esibisca o trasmetta, nell’ambito della procedura, atti o documenti falsi in tutto io in parte, ovvero fornisca dati o notizie non rispondenti al vero. Come già indicato precedentemente, di tutti gli investimenti e di tutte le attività di natura finanziaria devono essere forniti all’amministrazione finanziaria i documenti necessari per la determinazione dei redditi che servirono per costituirli, nonché i redditi derivanti dalla dismissione o utilizzazione di tali attività. Quindi sarà necessario dichiarare tutti gli eventuali redditi evasi in Italia nei periodi di imposta ancora accertabili, ovunque originati. Una volta avviata la procedura, la stessa si perfezionerà con il versamento di quanto

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determinato nell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate. L’importo dovuto potrà essere pagato o in un’unica soluzione o in tre rate mensili di pari importo. Non è possibile avvalersi della compensazione ai sensi dell’art. 17 d.lgs. 241/97. In caso di mancato versamento delle somme la procedura di collaborazione non si perfezionerà, e non si produrranno gli effetti premiali sulle sanzioni e sulla non punibilità penale. Ma le violazioni oggetto della voluntary disclosure possono essere regolarizzate anche con il ravvedimento operoso, come riformato dalla L. 190/2014; il ravvadimento consente all’autore di omissioni o di irregolarità, commesse nell’applicazione di norme tributare, di rimediarvi spontaneamente. In particolare tale istituto, a seguito della riforma, non è più inibito dall’inizio di un controllo fiscale ma solo dalla notifica dell’atto impositivo. I limiti temporali entro i quali si può accedere al ravvedimento sono stati modificati, parallelamente sono stati modificati gli importi delle sanzioni cui il contribuente è soggetto. Le sanzioni oggetto di ravvedimento operoso possono essere oggetto di compensazione tramite il modello F24 e tale procedura può essere attivata per le annualità, i redditi e/o le attività non dichiarate all’amministrazione finanziaria a discrezione del contribuente. Nessuna documentazione deve essere contestualmente predisposta al momento dell’invio della dichiarazione integrativa, ne obbligatoriamente successivamente inviata. La documentazione può essere eventualmente richiesta dall’amministrazione finanziaria a seguito di normali controlli sulle dichiarazioni dei redditi. Si riepilogano le maggiori differenze delle due possibilita’ di regolarizzazione. La differenza più evidente riguarda la possibilità di scelta del contribuente. Mentre con la voluntary disclosure il contribuente, tramite un’autodenuncia, deve fornire all’amministrazione finanziaria tutte le informazioni necessarie per la ricostruzione degli imponibili occultati e delle attività costituite all’estero, con il ravvedimento operoso il contribuente decide quali e quante violazioni sanare.

La voluntary disclosure impone quindi al contribuente di sanare, oltre agli obblighi imposti dal monitoraggio fiscale, anche le eventuali violazioni dichiarative che hanno causato fenomeni evasivi. La voluntary disclosure è preclusa nel caso in cui siano iniziati controlli o sia iniziato un procedimento penale a carico del soggetto interessato o nei conforti di un coobbligato o concorrente al reato. Il ravvedimento operoso è invece precluso unicamente in caso ad avvenuta notifica dell’avviso di accertamento. La voluntary disclosure offre coperture penali tramite cause di non punibilità, il ravvedimento operoso comunque garantisce al contribuente delle attenuanti a suo favore. Oltre alle modalità operative occorre tenere presenti anche altri aspetti pratici: con la voluntary disclosure è possibile richiedere il pagamento rateale di quanto determinato dall’Agenzia delle Entrate nell’avviso di accertamento (massimo tre rate mensili). Con il ravvedimento operoso l’importo, determinato dal contribuente, è dovuto in un’unica soluzione ma con possibilità di compensazione con eventuali crediti di imposta (facoltà non riconosciuta dalla voluntary disclosure). L’importo delle sanzioni applicabili sono generalmente più favorevoli al contribuente in caso di adesione alla procedura di voluntary disclosure rispetto al ravvedimento operoso in quanto determinate in fisse in 1/6 del 75% dell’imposta (quindi la sanzione diviene pari al 12,5% dell’imposta non versata); ma non è detta la convenienza finanziaria in modo assoluto in quanto il ravvedimento prevede sanzioni progressive in base alla annualità di commissione della omissione: - 1/8 del minimo (quindi paritetico 12,5%) se la violazione e’ sanata entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui la violazione e’ commessa (30 settembre 2015 per unico 2014); - 1/7 del minimo (quindi 14,28%) se la violazione e’ sanata entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello in cui la vioalzione e’ commessa (30 settembre 2015 per unico 2013); - 1/6 del minimo (quindi 16,67%) se la violazione e’ sanata oltre il termine il termine per la presentazione della


dichiarazione relativa all’anno successivo a quello in cui la violazione e’ stata commessa (violazioni antecedenti unico 2013). Un ultimo aspetto, anche se non meno rilevante, sono la capacità e la possibilità del contribuente di documentare i redditi e le attività oggetto di disclosure. I documenti si riferiscono a molteplici annualità (anche fino a dieci anni antecedenti all’annualità corrente, ipoteticamente quindi sino al 2004), possono essere riferiti a posizioni non più esistenti e a soggetti estinti, possono necessitare di una traduzione in lingua

italiana e possono essere difficilmente recuperabili. Si precisa infine che il ravvedimento operoso è esperibile da parte del contribuente nel caso in cui lo stesso non abbia omesso di presentare le dichiarazioni. Non è possibile usufruire del ravvedimento operoso, per tutti o alcuni degli anni oggetto di voluntary disclosure, in caso di omessa dichiarazione, ossia in caso di trasmissione della dichiarazione oltre il termine di novanta giorni dalla scadenza ordinaria. Viste le molteplici sfaccettature e le specificità delle singole posizioni

personali, è impossibile a priori formulare osservazioni precise circa la convenienza assoluta di un istituto piuttosto che dell’altro. Ogni contribuente avrà le proprie possibilità di regolarizzazione ed i propri oneri (anche finanziari). Ultima considerazione; ma possono coesistere le due procedure? Ad oggi, in attesa della circolare esplicativa della Agenzia delle Entrate, sembrerebbe di si. Quindi alla domanda: voluntary disclosure o ravvedimento operoso? La risposta è: dipende!...ma perché non considerare a priori anche di “sciacquare i panni in Arno”?

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Franco…bello Sorprendente non tanto la scelta di abolire il tetto sul cambio con l’Euro, quanto la falsa comunicazione ai mercati da parte dei vertici della Banca nazionale svizzera ancora due giorni prima del “liberi tutti”. Le grandi banche elvetiche avevano capito tutto prima di tutti

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e comunicazioni pubbliche delle Banche centrali o le dichiarazioni pubbliche dei loro vertici hanno in tutto il mondo una caratteristica comune: sono un impegno ufficiale che la Banca centrale di un determinato paese si assume nei confronti dei mercati, della comunità finanziaria mondiale e degli altri paesi con i quali il paese che rappresenta finanziariamente intrattiene rapporti commerciali e finanziari. Non spetta a noi giudicarlo, ma certo la mossa del presidente della Banca nazionale svizzera, Thomas Jordan che aveva definito assolutamente centrale e irrinunciabile il tetto fisso di cambio euro-franco a 1,20, pochi giorni prima della decisione della stessa BNS di abbattere questa soglia e consentire alla valuta nazionale di apprezzarsi quasi il 20%? I piú severi critici di questa mossa, legittima nella sostanza, inquietante nella forma,

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hanno parlato di strategia sudamericana; altri hanno adombrato sospetti ad esempio sulle mosse valutarie preventive compiute dalle cinque maggiori banche svizzere in grado tutte e cinque contemporaneamente di avvertire che il vento sarebbe cambiato… Di certo è che a uscire fortemente indebolita da questa mossa è l’intera Confederazione che ha costruito anno dopo anno, certo, sul segreto bancario, ma anche e specialmente sulla sua affidabilità e serietà “calvinista” la sua fama di paese serio e quindi di piazza finanziaria sicura. Se poi si pensa che la scivolata, al di là delle motivazioni tutte legittime e tutte operativamente ineccepibili, si è compiuta in un momento di profonda debolezza strutturale del sistema bancario e finanziario rossocrociato, il comportamento non ineccepibile di una BNS che mente già sapendo di agire in senso diametralmente opposto non potrà non avere nel medio

periodo conseguenze pesantemente negative sul mercato internazionale dei capitali. “L’introduzione della soglia minima ha avuto luogo in un periodo di estrema sopravvalutazione del franco e di forte inquietudine sui mercati finanziari”, spiega la BNS in un comunicato. “Questa misura eccezionale e temporanea ha preservato l’economia svizzera da gravi danni. Il franco resta oggi a un livello elevato, ma dall’introduzione della soglia minima la sua sopravvalutazione si è nel complesso attenuata. L’economia ha potuto approfittare di questa fase per adattarsi alla nuova situazione.” “Le disparità tra le politiche monetarie condotte nelle principali zone monetarie sono fortemente aumentate in questi ultimi tempi e potrebbero ancora accentuarsi”, scrive ancora la BNS. “L’euro si è molto indebolito rispetto al dollaro americano,


ciò che ha condotto ugualmente a un deprezzamento del franco rispetto al dollaro. In questo contesto, la Banca nazionale è giunta alla conclusione che non è più giustificato mantenere la soglia minima.” “In modo che la soppressione della soglia non conduca a un inopportuno indurimento delle condizioni monetarie, la Banca nazionale abbassa considerevolmente i tassi d’interesse” si legge ancora nel comunicato. “In futuro, la BNS continuerà a prendere in considerazione la situazione sui mercati dei cambi per definire la sua politica monetaria. Inoltre interverrà secondo le necessità su questo mercato al fine di influenzare le condizioni monetarie.” Si ha l’impressione – affermava un grande trader internazionale – di trovarsi davanti a una profonda contraddizione. Da un lato l’attuazione di una misura valutaria che sarebbe potuta risultare devastante per le

grandi banche se queste non fossero state in condizione di mettersi con le spalle al sicuro in anticipo. Dall’altro la scelta di privilegiare gli interessi bancari facendoli prevalere su quelli produttivi del paese in un momento in cui tutto il sistema bancario è in fibrillazione, indebolito dagli attacchi da Stati Uniti ed Europa, ma anche e specialmente dall’incapacità della Svizzera di reagire coerentemente a tutela dei suoi interessi e della sua onorabilità. In un momento in cui la Svizzera anche per evitare la deriva di tassi di disoccupazione alti insopportabili da un sistema di garanzie sociali troppo alto, dovrebbe sostenere con forza quelle attività industriali di eccellenza che sono state invece puntualmente “sacrificate” sull’altare nei caveau. Basti pensare che l’abbandono della soglia minima di cambio euro/franco comporterà un calo dell’export elvetico di 5 miliardi di franchi: l’effetto diretto sarà di -0,7% sul

prodotto interno lordo con un indice dei prezzi al consumo che potrebbe invece contrarsi dello 0,9% su base mensile. E ora? Per la prima volta la Svizzera conoscerà il significato della parola recessione. Con un Pil che è cresciuto costantemente negli anni della crisi a fine di quest’anno la Confederazione dovrebbe sperimentare per la prima volta un segno meno con una ipotesi di calo dello 0,5% a fronte di una previsione di crescita dell1.9%. Ma gli economisti temono ancora di piú il 2016 per il quale si prevede una stagnazione. La disoccupazione, che attualmente si attestata intorno al 3,5 per cento, rischia di raggiungere il 4 per cento, che significa 75.000 disoccupati in piú nell’industria. Senza contare quanti perderanno il posto, indipendentemente dalla politica valutaria, nel settore bancario e finanziario a causa delle rese incondizionate accettate dalla

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Svizzera difronte alla pressione degli Usa e quindi dei principali paesi europeo. Il Ministro dell’Economia, Johann Schneider-Ammann, ha già annunciato l’introduzione della disoccupazione parziale per le ditte in difficoltà. Una sorta di cassa integrazione cui potranno attingere le imprese, per retribuire i dipendenti cui è stato ridotto, o cancellato del tutto, l’orario di lavoro. La decisione della BNS di rinunciare alla soglia minima franco-euro è “uno tsunami per tutta la Svizzera”, secondo il “patron” di Swatch Group Nick Hayek. E’ il caso di ricordare che la Svizzera ha svalutato una sola volta nei suoi 150 anni di storia, nel settembre del 1936; il franco è stato e forse potrebbe tornare ad essere considerato valuta rifugio. La Svizzera è l’unico Paese continentale europeo a non conoscere guerre da oltre 150 anni (solo la periferica Svezia ha fatto meglio, dal 1815) e, anche nella moneta, si vede. Il 16 gennaio scorso i mercati hanno chiuso

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con un apprezzamento del franco sull’euro del 22%. E con un apprezzamento sul dollaro del 20%. Ma per cercare le motivazioni bisogna ripercorrere la storia valutaria del franco svizzero e confutare anche le voci sull’eccesso di euro in pancia alla piccola Svizzera.Dal 1970 al 2008, dall’ultimo anno cioè del regime dei cambi quasi fissi di Bretton Woods ancorati al dollaro all’anno della Grande Recessione post crisi di Wall Street il franco svizzero si era apprezzato del 330% sul dollaro e del 57% su euro/ Dm, prendendo il marco tedesco come riferimento per il periodo pre 1999. A questi valori occorre ora aggiungere il deprezzamento dell’ultimo periodo. Per acquistare un euro/Dm servivano 1,8 franchi svizzeri all’inizio del 1990, ne occorrevano 1,5 circa per un euro dal 2000 al 2006, poi 1,38 nel 2010 e poi circa 1,20 quando nel 2011 la Baca Nazionale Svizzera annunciava che avrebbe difeso il cambio fisso, scelta fatta soprattutto per non far

apprezzare il franco e non penalizzare così le esportazioni che hanno nell’area euro di gran lunga il mercato più importante. Per acquistare un dollaro si passava dagli 1,5 franchi del gennaio 1990 a 1,2 grossomodo tra il 2004 e il 2007 a 1,08 tra 2008 e 2009 poi ben sotto la parità, da 0,8 a 0,9 tra il 2001 e il 2013. Un franco valeva poco più di un dollaro a metà dicembre, quasi alla parità. Oggi l’euro vale 1,15 dollari e per acquistare un franco servono 1,15 dollari. Bns ha già quintuplicato in pochi anni le proprie riserve passando dall’equivalente di circa 80 a oltre 400 miliardi di franchi, ma chi ha scritto che a Berna sono pieni di euro e per questo tremano e non ne vogliono più non dice il vero. La Bns aveva più euro in proporzione sul resto delle valute nel 2009 che non nel 2013, e nel terzo trimestre 2014 aveva circa il 30% in dollari a fronte del 45% in euro. C’è un eccesso di euro se si fa il confronto con le altre banche centrali, dove le riserve in dollari sono tra il 50 e il 60% e quelle in euro tra il 25 e il 30.


Per la totalità dei politici ticinesi la decisione della BNS di abolire la soglia minima, rischia di far collassare l’economia già fragile del Ticino

Coro unanime di critiche da parte dei politici ticinesi rispetto alla decisione della Banca nazionale. Eccpo in rapida successione alcune dichiarayioni e commenti pubblicati sulal stampa locale. Secondo il direttore del Dipartimento delle Istituzioni, Norman Gobbi “La BNS ha preso una decisione mortale per il Paese”. “Commercio annullato ed economia preda delle imprese e padroncini italiani. Borsa giù 11%!” “Quelli della BNS dovranno spiegarci per bene la decisione che rischia di costare molto al Ticino” afferma dal canto suo il municipale di Lugano responsabile delle finanze, Michele Foletti. Per la consigliera nazionale Roberta Pantani (Lega). “La Banca Nazionale che questa mattina - con la sua decisione sciagurata e inaspettata - ha fatto un regalo del tutto poco gradito al Ticino. Già la nostra economia soffre della concorrenza spietata e subdola di artigiani e industrie della vicina Penisola, pensiamo ora quali potrebbero essere le conseguenze... Inoltre ha fatto un regalo di inizio anno ai 60’000 frontalieri e oltre che si ritroveranno a fine mese una busta paga molto ma molto più pesante... Annullando di fatto la maggiore

imposizione dei loro salari approvata dal GC... Grazie Banca Nazionale (??), dal Ticino un sentito ringraziamento.” “BNS decisione shock” commenta il capogruppo leghista in Gran Consiglio, Daniele Caverzasio. “Pericolo dumping e disoccupazione. Posti di lavoro a rischio. Il Ticino ringrazia.” “La BNS ci sta condannando a morte!” per Giorgio Fonio, candidato PPD al Consiglio di Stato, mentre il suo partito nel pomeriggio ha chiesto che il Consiglio di Stato si attivi per esaminare eventuali interventi di ridefinizione delle condizioni quadro a sostegno del Ticino e dei suoi cittadini, istituendo se necessartio una tavola rotonda con i rappresentanti dell’economia, dei sindacati, della politica cantonale e la deputazione alle camere federali. Per Pierre Rusconi,deputato UDC in Consiglio nazionale, cambista di mestiere. “Da tempo ci trascinavamo una posizione aperta in franchi contro dollaro e siamo riusciti a liquidarla lunedì, con un guadagno di 1.800 franchi. Se l’avessimo fatta oggi avremmo guadagnato 480mila franchi”. “Voglio capire come la BNS spiegherà questa mossa. E’ strano. La Banca Nazionale ha investito 480 miliardi

per mantenere il cambio a 1.20. Oggi valgono 400 miliardi, con una perdita del 20% in poche ore. La BNS si sarà sicuramente tutelata con gli strumenti necessari, non sono degli sprovveduti”. Per Rocco Cattaneo, presidente del PLRT i rischi per l’economia svizzera e ticinese in particolare sono altissimi: “La nostra economia sta andando bene proprio grazie all’industria d’esportazione in zona euro. E questa decisione è un duro colpo. Le ripercussioni ci saranno sull’industria del turismo. Gli svizzeri faranno ancora più fatica a trovare una ragione per trascorrere le vacanze in patria e saranno più orientati a scegliere l’estero. Anche i nostri commerci, soprattutto in zona di frontiera, soffriranno e ci saranno ancora più ticinesi che andranno a fare gli acquisti in Italia”. Per quanto riguarda, invece, il mercato del lavoro, il presidente del PLRT prevede una maggiore pressione nei confronti del Ticino. “Avremo un aumento della richiesta di lavoro dall’Italia, sarà inevitabile e l’offerta di forza lavoro aumenterà. Saremo ancora più attrattivi”. Secondo Giorgio Fonio, candidato del PPD al Consiglio di Stato- “La BNS ci sta condannando a morte!”

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Massacro ticinese

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CS…a orologeria È solo all’inizio l’inchiesta sulle polizze vita suggerite da Credit Suisse ai suoi clienti. Nei guai 1000 italiani e, anche se la banca parla apertamente di una gola profonda, sulle origini dell’indagine guidata dal giudice Greco (fautore della voluntary disclosure) i dubbi superano le certezze

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ino a oggi è passato sotto traccia, salvo alcuni titoli iniziali sulla stampa italiana, ma il caso Credit Suisse-polizze assicurative-vita in Bermuda potrebbe trasformarsi in una vera e propria bomba a orologeria; non solo nel caveau del Credit, ma anche di altre banche svizzere che, secondo voci sempre più insistenti, avrebbero fatto uso di questo strumento per garantire ai clienti -specie italiani- un salvacondotto sui capitali detenuti in Svizzera e non dichiarati. La materia è scottante, a tal punto che ormai il caso Credit Suisse viene equiparato alla famosissima Lista Falciani, anche se in stretti termini legali le banche svizzere non avrebbero operato in modo scorretto, ma all’interno dei limiti imposti dalla legge elvetica. E qui casca l’asino. Perché ormai, fra interpretazioni e pareri della Finma (l’ente di vigilanza sul sistema bancario svizzero),

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tentennamenti più o meno evidenti del governo di Berna, scricchiolii sempre più sinistri sull’affidabilità e le riservatezza del sistema bancario scudo-crociato, il fatto di comportarsi come il faut e come la legge impone serve a poco o niente. Quasi mille accertamenti sono arrivati prima di Natale ad altrettanti clienti della banca svizzera da parte della Procura di Milano e in particolare, strana combinazione, dall’ufficio di quel procuratore Greco che è il principale artefice della voluntary disclosure. Accertamenti – si dice – tanto dettagliati da apparire sconcertanti per dovizia di particolari e dettaglio nella documentazione. “Grazie, ma grazie. Aveva ragione lei, per me non è cambiato nulla rispetto a prima, ma ora mi sento tranquillo”. Questo il tono delle mail in possesso agli inquirenti con prove schiaccianti sia circa il ruolo di chi ha consigliato la conversione dei conti bancari

in polizze assicurative vita, sia dei clienti che hanno tentato un’ultima fuga verso “isole fiscali” sicure. Ora sono però in molti a chiedersi come questo tesoro informativo sia finito direttamente sulle scrivanie della Procura di Milano. La tesi prevalente accreditata di verità è quella di una perquisizione mirata negli uffici di Milano del Credit Suisse, dove incautamente sarebbe stata mantenuta in bell’ordine, quasi pronta per l’uso, l’intera documentazione. E ovviamente – come già accaduto con UBS nel rapporto con gli americani – si parlerebbe di una “gola profonda”. Ipotesi sposata più o meno direttamente dallo stesso Credit Suisse che, in risposta alle indagini della procura di Milano di dicembre, avrebbe presentato una legal opinion sulla vicenda. Nel documento emergerebbe che i nomi dei clienti italiani, possessori di polizze vita, sarebbero stati sottratti o rubati da un qualche


dipendente della banca. Un’ammissione non di poco conto: se questa ipotesi fosse confermata e suffragata con prove e nomi, getterebbe una nuova luce sulla vicenda in merito soprattutto all’utilizzabilità da parte delle autorità italiane di documenti acquisiti in maniera illegale, frutto cioè di un reato. Il contenzioso sull’utilizzabilità della documentazione potrebbe poi risultare funzionale a far scattare i tempi di prescrizione su fatti che risalgono in gran parte a 5 anni addietro. L’indagine – come detto - riguarderebbe circa 1000 italiani accusati di evasione fiscale, per complessivi 8 miliardi di euro. Gli avvisi, notificati dall’Agenzia delle Entrate, fanno riferimento alle contestazioni sui contratti di assicurazioni sulla vita emessi da Crédit Suisse Bermuda, che per il fisco devono essere riqualificati in gestioni patrimoniali. Sono, questi, italiani accusati di aver

incassato gli interessi sui risparmi, grazie alle polizze assicurative stipulate all’estero, senza pagare le tasse. Polizze mantello, questo era in nome “in codice”: un prodotto assicurativo che permetterebbe di esportare in modo illecito valuta all’estero e di evadere il fisco sugli interessi maturati. Nella linea di difesa di Credit Suisse spunterebbero anche i formulari che la stessa banca faceva firmare ai clienti (su carta intestata sua e quindi con dubbio valore legale) ricordando loro di essere soggetti all’obbligo fiscale, e dunque di avvertire l’erario italiano della loro polizza stipulata all’estero. L’inchiesta è – come detto - ,guidata dal procuratore aggiunto Francesco Greco e dai sostituti del suo dipartimento «Criminalità economica» Antonio Pastore e Gaetano Ruta, ed è “ufficialmente” partita da un accertamento negli uffici milanesi

del «Credit Suisse life & pension», che è una branca dell’istituto di credito elvetico. Nel mirino sono finite le cosiddette «polizze mantello», un prodotto assicurativo in passato finito sotto inchiesta in Germania e negli Stati Uniti, dietro il quale, sospetta la magistratura, si celerebbero un’esportazione illecita di capitali e una megaevasione fiscale. Nel 2012, infatti, un’analoga indagine per un’evasione fiscale commessa tra il 2005 e il 2009 partì in Germania coinvolgendo circa cinquemila clienti del Credit Suisse che, come nel caso di Milano, avevano acquistato i prodotti assicurativi presso la controllata con sede nelle isole delle Bermuda del colosso bancario svizzero. Gli inquirenti tedeschi perquisirono anche molti dei clienti del Credit Suisse, accusati di aver incassato, grazie alle polizze, gli interessi sui risparmi senza però pagare le tasse. Il Wall Street Journal scrisse che un portavoce di Credit

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Suisse aveva emesso un comunicato affermando che, al momento della sottoscrizione, «la banca aveva detto ai clienti di contattare i propri commercialisti a seguito dell’acquisto delle polizze» e di aver ricordato che erano «responsabili del calcolo dei loro obblighi fiscali quando acquistarono i prodotti». I contenuti dell’inchiesta sono emersi pubblicamente nel testo del «Bilancio sociale» della Procura; le ipotesi di reato vanno dal riciclaggio all’abusivismo finanziario. Abbastanza – secondo fonti vicine alla Procura – per azzerare anche gli effetti dello scudo fiscale e porre la clientela italiana del CS in una sorta di lista di proscrizione, anche rispetto alla possibilità di utilizzo della voluntary disclosure. E sempre secondo l’ipotesi il reato si sarebbe consumato non al momento del riscatto della polizza, ma in ogni anno di durata

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del contratto. Secondo il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Milano, che ha indagato sotto la direzione della procura della Repubblica di Milano, i contratti di assicurazione sulla vita emessi da Credit Suisse Bermuda devono essere riqualificati in gestioni patrimoniali. E questo sulla base di specifiche procure rilasciate dalla compagnia assicurativa ai sottoscrittori delle polizze, per impartire istruzioni al gestore, e alla banca depositaria sulle singole operazioni di acquisto/ vendita dei titoli sottostanti alle posizioni assicurative in parola. L’art. 45, comma 4, del Tuir prevede che i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione costituiscono reddito per la parte corrispondente alla differenza tra l’ammontare percepito e quello dei premi pagati. Un contratto di assicurazione sulla vita o di

capitalizzazione non è produttivo di reddito sino alla decisione del sottoscrittore di procedere al riscatto, totale o parziale della posizione. In tal caso, costituisce reddito il differenziale tra quanto versato e quanto effettivamente percepito. Tale meccanismo di differimento d’imposta al riscatto assume la denominazione di Tax deferral. La Guardia di Finanza, nell’indagine Credit Suisse, contesta per la prima volta la tenuta di questo meccanismo. E questo in relazione all’influenza del sottoscrittore nelle scelte di gestione del sottostante delle posizioni assicurative. Secondo l’articolo 1882 del codice civile, l’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno a esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana. Il contratto


di assicurazione può essere stipulato sulla vita propria o su quella di un terzo. La designazione del beneficiario può essere fatta nel contratto di assicurazione o con successiva dichiarazione scritta comunicata all’assicuratore o per testamento. Per effetto della designazione, il terzo acquisirebbe un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione. Questa è la ragione dell’esclusione delle somme corrisposte a seguito del decesso dell’assicurato dall’asse ereditario. Credit Suisse, adottando una decisione (simile ad altre grandi banche svizzere) che potrebbe essere definita di compliance ritardata, adesso ha stretto i cordoni. La banca svizzera non rilascia contante ai propri clienti ma solo bonifici destinati a Paesi della cosiddetta white list, ovvero quelli che hanno un fisco in linea con le direttive Ocse in tema di capitali detenuti

all’estero, riciclaggio e lotta all’evasione fiscale. Credit Suisse avrebbe già dato alle proprie filiali direttive che vietano prelievi in contanti e anche bonifici bancari tranne che per i conti nominativo aperti presso il domicilio del cliente, come quelli aperti in Italia presso filiali della banca svizzera. Per altro la seconda banca svizzera non attraversa un periodo decisamente smart : Il 19 maggio 2014, il Credit Suisse (CS) ha accettato di pagare una multa di 2,8 miliardi di dollari e di fare un’ammissione di colpevolezza davanti a una Corte Federale della Virginia. Alla seconda più grande banca svizzera è stato imposto di versare 1,8 miliardi dollari al Dipartimento di Giustizia USA, 715 milioni di dollari all’autorità di vigilanza bancaria di New York, 196 milioni di dollari all’autorità di vigilanza dei mercati americana (la Securities and Exchange Commission, SEC)

e 100 milioni di dollari alla Federal Reserve statunitense (la Fed). È la multa più elevata finora inflitta a una banca svizzera ed è pari a tre volte e mezzo quella inflitta all’UBS nel 2009. Il CS ha anche fatto un’ammissione di colpa, ma non gli viene ritirata la licenza bancaria. Nel corso dei prossimi due anni dovrà presentare i libri contabili della sua gestione patrimoniale all’autorità di vigilanza bancaria di New York. In documenti presentati il 19 maggio a un tribunale statunitense, il Credit Suisse è stato anche accusato di distruzione di prove e di ostruzione alle indagini della DoJ. È pure finito nel mirino di una Commissione d’Inchiesta del Senato degli Stati Uniti. Essendo la seconda più grande banca svizzera, era un bersaglio ideale da colpire con una sanzione esemplare, quale segnale di avvertimento al resto del mondo.

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Super tassa niente ricchi

Hollande, dopo la tobin tax alla francese ufficializza il suo secondo grande flop fiscale: la tassa del 75% sui super ricchi sarà cancellata in anticipo rispetto alla scadenza. Introiti disastrosi e fuga all’estero dei contribuenti piú abbienti

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er recuperare consensi in un Paese che si è compattato dopo gli attentati a Charlie Hebdo, François Hollande fa finta da settimane che i problemi economici della Francia siano superati. Priorità assoluta e per altro condivisibile la lotta al terrorismo. Ma i problemi economici ci sono eccome. E c’è anche un enorme problema di credibilità del governo francese, che ha visto sciogliersi come neve al sole anche il suo provvedimento più importante e ad alto valore simbolico: la tassa sui super ricchi. Strombazzata come strumento di giustizia sociale, non ha fatto solo arrabbiare Depardieu e company. Si è anche rivelata un clamoroso flop, come puntualmente

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accaduto ovunque si sia percorsa questa strada del populismo da strada, anziché quella di una politica fiscale ragionata e basata sui numeri, presenti e attesi. L’aliquota fiscale pari al 75% sui redditi annui superiori a un milione di euro è vicinissima alla cancellazione. Le stime di Parigi prevedono un introito fiscale da questa tassa pari a 505,80 milioni di euro nel biennio 2013-2014. Due i motivi per cui era stata imposta: da un lato, tentare di ridurre la disuguaglianza nella distribuzione del reddito dei francesi; dall’altro, tentare di incidere sul deficit di bilancio. Ma il risultato è stato un disastro, come tutte le politiche, incluse quelle italiane, che mirano a colpire i ricchi e il lusso; 505,80 milioni di euro corrispondono a meno dello 0,5% del deficit di bilancio annuo medio francese. Un risultato è però stato raggiunto: i contribuenti da più di un milione di euro hanno abbandonato la Francia. La tassa era stata fissata fino al 31 gennaio 2015, ma il governo di Manuel Valls ha deciso di non rinnovarla, sostenendo pubblicamente che la ricchezza non va combattuta, ma è una condizione economica alla quale tutti i cittadini dovrebbero poter puntare. Un Paese che combatte la ricchezza sarà condannato a un futuro di povertà, e le elezioni politiche francesi del 2017 non sono poi così lontane.

Il Ministero delle Finanze ha stimato i proventi della tassa in 260 milioni di euro nel suo primo anno e 160 milioni nel secondo. L’imposta ha sollevato meno di un centesimo di un per cento del PIL nel gettito fiscale. Un segnale allarmante anche per Obama, che ha lanciato la sua crociata contro i super ricchi. Per François Hollande è una vera debaque. Il Consiglio Costituzionale aveva dato il via libera alla legge voluta dal governo socialista di Parigi e inserita nella finanziaria, che prevede una tassazione al 75% sugli stipendi superiori al milione di euro. La stangata fiscale era pensata per durare due anni, a partire dal 2014, e nelle intenzioni di Hollande avrebbe fatto dei ricchi lo strumento per contribuire al risanamento dei conti in tempi di crisi. Un anno fa, i giudici della Consulta francese avevano avvertito il presidente che una tassazione superiore al 66% sarebbe stata percepita come un esproprio. Il mese scorso, 60 senatori e 60 deputati si erano opposti alla norma ma, alla luce della sentenza del Consiglio Costituzionale, avevano perso. Si tratta del secondo flop, dopo quello della Tobin Tax alla francese, che Hollande ha introdotto a carico della Borsa di Parigi, come primo atto della sua presidenza, ma che non ha dato alcun esito positivo in termini di gettito e ha provocato un tonfo delle contrattazioni.



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Vecchi e nuovi Rispunta come un fungo l’inchiesta giornalistica sulla Lista Falciani. Vecchi dati spacciati per nuovi, comunque tutti a conoscenza delle autorità competenti in giro per il mondo. Ma è tempo di gogna mediatica per le banche svizzere che gestiscono pur sempre 4000 miliardi di private banking

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n’inchiesta «spettacolare e inedita», con «cifre che danno il capogiro»: così l’ha definita il quotidiano francese Le Monde, anticipando il contenuto della prima parte di un’indagine che i suoi specialisti hanno compiuto tra Parigi, Washington, Bruxelles e Ginevra, sulle tracce di un vasto sistema di evasione fiscale accettato e incoraggiato dalla banca britannica HSBC, secondo gruppo bancario mondiale, attraverso la sua filiale svizzera HSBC Private Bank. Tutto vero, con l’eccezione di due particolari

Hervè Falciani

non trascurabili. Il primo: tutte le autorità competenti dei Paesi interessati, dai governi alle amministrazioni fiscali sino alla Procure, sono in possesso da anni di questi dati, e nella stragrande maggioranza dei casi gli accertamenti che ne sono conseguiti sono già stati effettuati. Il secondo: circa il 70% dei presunti “reati” che sarebbero emersi dalla Lista Falciani non sono tali e sono stati derubricati. Nell’elenco, infatti, c’è tutto e il contrario di tutto, ivi compresi conti perfettamente

leciti e dichiarati. Questo non per sminuire la portata dell’inchiesta giornalistica, ma per tentare di fare un minimo di chiarezza e cercare di aprire un timido spiraglio sulle reali motivazioni per cui il sistema bancario elvetico è tenuto con pervicacia sotto crescente pressione. Le Monde, che indaga sullo scandalo HSBC fin dalle sue origini, afferma di esser venuto in possesso di dati bancari su scala mondiale relativi al biennio 2005-2007, che dimostrano una gigantesca frode su scala internazionale. Fra i vip interessati, Le

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Monde anticipa i nomi dell’attore francese Gad Elmaleh, compagno di Charlotte, figlia di Carolina di Monaco, del re del Marocco Mohamed VI, dell’attore americano John Malkovich. Vacillano - secondo il giornale francese che nell’ambito di un consorzio condivide l’inchiesta con una sessantina di media internazionali - i vertici bancari di mezzo mondo. Nella maxi-inchiesta su scala mondiale, spiega Le Monde, sono stati mobilitati 154 giornalisti di 47 Paesi, emissari di 55 media. HSBC Private Bank, e le autorità politiche e giudiziarie svizzere contestano fin dall’inizio della vicenda le cifre del fisco e della giustizia francese, oltre alla liceità dell’uso dei dati che, ricordano, provengono da un furto. Un’inchiesta a puntate che, ad esempio nel caso dei contribuenti italiani, cade con tempismo perfetto prima della firma di

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un possibile accordo fra Svizzera e Italia, e subito dopo la pubblicazione in gazzetta ufficiale della norma sulla voluntary disclosure. Ma è forse legittimo porsi un interrogativo. Perché le banche svizzere sono finite nel tritacarne internazionale e non riescono più a uscirne? Perché oggi, per una lista che risale a oltre sei anni fa e per conti di dieci anni addietro? Lungi da noi sposare le tesi dei complottisti, ma c’è da chiedersi - e forse insistentemente - se e quando le banche e i banchieri svizzeri abbiano pestato i piedi là dove non dovevano essere pestati. Diffidenti per natura rispetto alla vulgata dei dischetti magnetici trafugati o dei dipendenti infedeli, tornano inevitabilmente alla mente vecchie partite mai chiuse, relative ad esempio ai fondi rimasti nelle casseforti svizzere dopo il grande terremoto della

seconda guerra mondiale e della Shoah. I capitali – recita una legge economica – vanno dove pagano meno e dove sono più sicuri. E la Svizzera, negli anni, ha garantito sempre questi due requisiti fondamentali. Al di là dell’isterismo su piazze sensibili come quella ticinese, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Secondo un recente rapporto della Deloitte, gli istituti bancari elvetici avrebbero in pancia tutt’oggi qualcosa come 4000 miliardi di clientela internazionale. Con una differenza fondamentale rispetto al passato. Sempre secondo la ricerca di Deloitte, la quota interna dei patrimoni ha raggiunto il 49%. Ciò significa che un patrimonio su due fa capo a persone che fisicamente vivono in Svizzera. Ciò significa pur sempre che più di 2000 miliardi arrivano dall’estero e da paesi che sarebbero molto più concenti di gestirsi in casa questa massa di liquidità.


Le tre guerre monetarie

GIANNINO INTERVISTA GIANNINO

La decisione della BNS sul tasso di cambio del franco è solo la punta dell’iceberg di uno stato di malessere e di una crisi di ruolo delle banche centrali. Ma dietro alla scelta svizzera si celano forse anche la tempesta Fatca e la caccia all’appropriazione dei capitali non dichiarati

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Le tre guerre monetarie Fino a qualche tempo fa, prima che la grande crisi cambiasse molto di ciò che si considerava acquisito, le banche centrali avevano come obiettivo decisioni lente e prevedibili. Ma il maxi QE della Fed, della Bank of Japan e della Bank of England, protratto per anni e innestato su tassi d’interesse zero, insieme all’inflazione negativi, hanno mutato dalle fondamenta l’orizzonte delle politiche monetarie. La tendenza alla deflazione ha fatto il resto. Dagli anni in cui la Taylor Rule era regola condivisa – dichiarata o di fatto – dai banchieri centrali per consentire al mercato di scontare le proprie decisioni future, la panoplia degli interventi nonortodossi “below the zero line” ha modificato le modalità d’intervento dei banchieri centrali. Di fatto, viviamo dunque in un mondo nel quale sono in atto tre guerre monetarie. Quella che, nei Paesi avanzati, intende rafforzare la crescita inadeguata e ad alleviare il peso degli eccessivi debiti pubblici, operando acquisti massicci di titoli sui mercati secondari: nel 2015, per la prima volta

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nella storia, i QE sommati (pur essendo terminato il QE3 della FED) assorbono più delle emissioni sovrane di UE, Giappone e UK. Questa prima guerra ha anche come obiettivo concomitante, monetizzando il debito, di alzare l’inflazione, cioè la componente nominale della crescita.

La seconda guerra è quella che vede impegnati i Paesi emergenti ex Brics: una gara energica e concorrente a deprezzare le proprie monete, per alzare tassi di crescita diventati insufficienti (Russia in recessione, Brasile a crescita zero, India alle prese con la correzione di

pesanti squilibri, e via continuando fino a Venezuela e Argentina, di nuovo sulla soglia del default se non già oltre). La terza guerra è quella che investe Paesi avanzati che avevano fissato – formalmente o sostanzialmente – tassi di cambio fissi o semifissi, con le valute che oggi deprezzano. In questa terza categoria rientrano i Paesi nord europei come Svezia, Danimarca e Norvegia, e la Svizzera. Il deprezzamento rapido – in questo caso dell’euro sul dollaro, per via della decisione del QE deciso da BCE che inizia a marzo per 1,1 trilioni di euro ma che potrebbe continuare fino a un’inflazione vicina al 2% - delle valute di riferimento li spinge a decisioni improvvise e impreviste, come tassi negativi sui depositi fino a tre volte ritoccati in due settimane, come nel caso danese. Questo spiega perché il 15 gennaio, quando la Banca Nazionale Svizzera ha improvvisamente annunciato che non avrebbe più tenuto il franco svizzero a un tasso di cambio fisso di 1,2 con l’euro, si è scatenato il panico. Da allora,


l’apprezzamento del franco - che era arrivato a 1 euro per 0,85 franchi - si è raddrizzato, e il cambio è verso l’1,06. La decisione svizzera è stata assunta veramente in modo brutale, con una grave perdita di credibilità della banca centrale. Un certo numero di hedge fund in tutto il mondo ha realizzato grandi perdite. Il mercato azionario svizzero è crollato. La domanda a questo punto resta. È stata una decisione giusta o affrettata, visto che nel frattempo anche il deprezzamento dell’euro sul dollaro si è frenato, avendo scontato in anticipo i mercati gli effetti del QE europeo? La BNS ha introdotto il peg sull’euro nel 2011, mentre i mercati finanziari di tutto il mondo erano in subbuglio. Il franco svizzero è tradizionalmente un “porto sicuro” internazionale, insieme a titoli di stato americani: chi li compra lo fa pensando che quel denaro non sarà a rischio. Gli investitori scelgono il franco perché

pensano che il governo svizzero non faccia scherzi: gestisce un bilancio in pareggio. Ma un franco costoso fa male alla Svizzera, perché le esportazioni di beni e servizi elvetiche sono oltre il 70%

del PIL. Per 4 anni, al fine di abbattere il valore del franco, la BNS ha creato nuovi franchi e li ha usati per comprare euro. E in effetti, a furia di stampare franchi per comprare euro, a fine 2014 la BNS aveva accumulato circa 480 miliardi di riserve

in valuta estera, una somma pari a circa il 70% del PIL svizzero. Ora la domanda è: ha fatto bene o male, la BNS? Vediamo innanzitutto le critiche. Quella sulla modalità ha un fondamento, visto che il banchiere centrale aveva detto il contrario fino alla settimana prima: così facendo, ha determinato forti perdite e instabilità. Ed è vero che rimanendo legato all’euro il franco si era deprezzato nel 2014 verso le principali valute, a cominciare da un meno 12% sul dollaro e meno 10% sulla rupia, cosa che spingeva l’export verso quei due Paesi, che da solo è un quinto di quello nazionale. Tuttavia, è anche vero che la rimozione del peg porta a una rivalutazione da 1,2 a 1,06 sull’euro: ha ragione la BNS a sostenere che il gioco non valeva più la candela. Le immediate revisioni al ribasso della crescita elvetica, quando il franco sembrò rivalutarsi del 30% – per esempio UBS che ha tagliato la previsione 2015 del PIl da +1,8% a

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Le tre guerre monetarie +0,5%, sembrano già oggi enormemente pessimistiche. Altra critica: la Svizzera è in deflazione e così ci resterà; stampare fiumi di franchi per comprare euro aiutava a far salire i prezzi. Questa critica è quella più in linea coi tempi che sono tornati iper-keynesiani: la deflazione svizzera è una “buona” deflazione, visti i tassi di crescita e di occupazione con cui convive. La realtà è che la decisione di BNS riporta la Svizzera verso una linea aurea che ai keynesiani non piace per definizione: una “buona” crescita si fa con monete solide e forti, e senza manipolare né i cambi né la base monetaria, creando bolle finanziarie. Contrariamente a quel che si crede oggi, la storia dice che quando le banche centrali cercano di manipolare i tassi di cambio la cosa finisce quasi sempre in lacrime. Altra critica ancora, rivolta alla decisione di

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BNS, è che essa non doveva preoccuparsi di eventuali perdite sulle sue maxi riserve in euro. A settembre 2014 superavano i 174 miliardi di euro. Una rivalutazione massiccia del franco, sostengono i critici,

porta a una perdita corrispettiva del valore delle riserve e asset denominati in euro. Anche qui: l’assestamento della rivalutazione del franco rende del tutto inesistente la possibilità teorica di una BNS

che vada per questo a un equity negativo, e che sia chiamata a risponderne dai suoi azionisti, i Cantoni e la politica svizzera. Per inciso: viva la saggezza dei cittadini svizzeri, che al recente referendum popolare hanno respinto la proposta che BNS detenga almeno un quinto delle riserve in oro. È un altro segno dei tempi in cui viviamo, l’indifferenza generale verso il bilancio delle banche centrali: il pensiero mainstream, oggi, ritiene che l’eccesso di credibilità – cioè di forza e solidità – del patrimonio delle banche centrali sia un ostacolo al loro successo, cioè creare inflazione. Più una banca centrale “perde” – con tutti i limiti che ha questa espressione applicata a una banca centrale che stampa fiat money – più deve stampare moneta e ciò viene considerato un bene, per alleviare le mancate riforme di produttività e di riequilibrio dei bilanci pubblici da parte dei governi. È


un’impostazione fallace. È vero che la forza finanziaria di una banca centrale non è in definitiva la fonte della sua indipendenza operativa. Tuttavia, se una società non è nel suo complesso impegnata alla stabilità dei prezzi, la banca centrale fatica a raggiungere il suo obiettivo, non importa quanto sia forte il suo bilancio. Questa è l’amara verità, sia che si tratti di abbassare l’inflazione, sia di alzarla. La moneta da sola non fa miracoli, può solo comprare tempo che la politica deve utilizzare. Ma la politica, quando il banchiere centrale allontana nel tempo il rischio, tende ad approfittarne perché i bassi tassi le consentono di indebitarsi a basso costo. Nel frattempo, esattamente come avviene nel mondo d’oggi, una curva dei rendimenti a lungo termine insignificante e rendimenti a breve negativi impediscono ogni attesa fondata di crescita reale e di ritorno sugli investimenti: ecco perché si può avere un oceano di liquidità senza che gli investimenti ripartano davvero.

Se poi il peg sull’euro serviva davvero a rialzare l’inflazione, allora rinunciarvi non è un danno all’export, visto che più inflazione ne avrebbe eroso le basi di competitività. È invece fondato, a mio giudizio, pensare che tirandosi indietro con tanta inusitata forza del peg, la BNS

abbia “rinunciato” a un ruolo cooperativo di fine tuning comune dei mercati e di reflazione con la BCE. Ma tutti coloro che rimproverano il banchiere centrale elvetico perché, rivalutando, accelererà

nuovamente un surplus eccessivo di flussi addizionali di capitali verso le banche svizzere, dimentica una cosa essenziale. Viviamo nel pieno della tempesta FATCA, e ingenti flussi di capitali non in regola fiscalmente con la legislazione dei Paesi dei loro detentori hanno preso e stanno prendendo la direzione di altri Paesi, oggi più sicuri di quanto non sia più, di fatto, la Svizzera. Questa è forse una delle ragioni – non dichiarate – più forti tra quelle che hanno spinto la BNS a cambiare passo e punto di riferimento. In ogni caso, vedremo. A nessuno è possibile oggi avere certezze, in materia di politiche monetarie. Il mondo è entrato a piena velocità – abbracciando in massa politiche monetarie tanto eterodosse – in un oceano non mappato sulle carte nautiche attuali. Le tre guerre valutarie faranno vittime e romperanno argini, per gli ex emergenti esposti con debiti per trilioni di dollari l’apprezzamento del greenback è una campana a morto. Di sicuro, non è la Svizzera a doversi preoccupare.

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L’orso è russo Tornano a casa gli oligarchi e investono in grandi opere. Alla faccia dell’accerchiamento, Mosca sigla accordi con Argentina, Egitto, Turchia e ora si offre di aiutare la Grecia. La svalutazione del petrolio, più che le sanzioni, all’origine della crisi del rublo. Ma la grande madre nelle difficoltà si compatta



s

e Atene lo chiederà, la Russia “prenderà in considerazione” la possibilità di concedere “aiuti finanziari alla Grecia”. Lo ha detto il Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. È solo l’ultima mossa di Mosca, in ordine di tempo, nella direzione di rompere un accerchiamento e un isolamento che tali sono spesso solo per media allineati e coperti. La Russia isolata ha appena siglato un importante accordo con l’Egitto e già lo aveva fatto con la Turchia, dopo aver avviato la zona euroasiatica di libero scambio con Kazakhstan e Bielorussia. Un accordo di vastissima portata è stato poi siglato con l’Argentina. Chi confidava che le sanzioni occidentali, frettolosamente e forse improvvidamente imposte dall’amministrazione Obama e a ruota dall’Europa, producessero effetti devastanti sul tessuto sociale russo come la storia insegna deve ricredersi. Non valutare le caratteristiche e l’esperienza di un popolo, ma anche le caratteristiche intrinseche di una crisi (quella ucraina), di un’economia (quella di Mosca, piegata ma non distrutta) e di una cultura (quella degli oligarchi russi che hanno perso, si calcola, oltre 200 miliardi del loro patrimonio e

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hanno visto saltare come birilli importanti accordi internazionali, ma che sono ben lontani da rivoltarsi contro il leader), è sempre un errore fatale. Basterebbe leggere qualche libro di storia per comprendere che la Russia, la grande madre Russia, nelle difficoltà si compatta, talora si sublima, ritrovando coesione anche fra nemici, fra establishment e opposizione. Sta accadendo in queste settimane, in questi giorni: l’orso, ferito, diventa più pericoloso. Ed è così che Mosca, mentre da un lato riporta a casa i suoi oligarchi e li coinvolge in una crociata nell’interesse supremo del Paese, dall’altro non perde occasione per collocare cariche esplosive, economiche, in punti nevralgici degli imperi che pensavano di aver rapidamente la meglio sulla resistenza russa. Turchia e Egitto, a cavallo fra integralismo islamico e la nuova grande forza del mondo arabo laico; la Grecia, un vero e proprio tallone di Achille per l’Europa germano-centrica; quindi l’Argentina, ancora fragile economicamente e pronta a qualsiasi cosa pur di allentare la presa dell’aquila americana. E poi l’avvicinamento con la Corea del Nord e, primo fra tutti, quello con la Cina. Tutti coloro che, per ignoranza o ruffianeria,

hanno visto una Russia isolata, hanno davvero fatto male i conti. È vero: Mosca attraversa una delle crisi più gravi della sua storia, dal dopoguerra a oggi, ma la popolazione russa (e Putin che sta investendo sul ceto medio-basso lo sa bene) è abituata a soffrire. Ha una resistenza che in Europa non sarebbe neppure pensabile. Proprio nel momento in cui, nella logica occidentale, i russi dovrebbero scappare dal Paese e portarsi dietro beni e capitali, accade il contrario. Oligarchi simbolo tornano a casa, investono nella Russia e sulla Russia. Sono personaggi del calibro del banchiere, costruttore ed editore Arkadij Rotenberg, tornato a casa per costruire a tappe forzate un ponte che unisca la Russia alla Crimea, a fornire il segno di previsioni tutte sbagliate. Pressati a farlo? Forse. Ma a fronte di un flusso di capitali in fuga, restano comunque segnali non trascurabili di un Paese che non abbassa la guardia. I russi ricchi tornano a casa. La patria ha bisogno di loro, e loro sono pronti anche a investire nel debito greco se questo può spaccare il fronte del presunto accerchiamento. La paura di perdere tutto, nel caso si rifiutassero di collaborare per il


Il cambio euro-rublo nell'ultimo anno - Bce

Paese, gioca indubbiamente la sua parte, e non marginale, ma sarebbe sbagliato ricondurre tutto a un mero calcolo di opportunismo o al timore di una reazione durissima di Putin. I nuovi oligarchi sono un esercito fedele al leader, anche perché molti di loro si sono formati alla sua stessa scuola di vita. Non basta un rublo che, a fine anno, secondo gli economisti si assesterà su un rapporto di 60 sul dollaro; non basta un petrolio che difficilmente supererà i 65 dollari al barile, per fiaccare la resistenza del Paese. L’economia Russia ha chiuso il 2014 con un bilancio in attivo anche se di poco, dopo la pesante contrazione riportata nella seconda metà dell’anno, quando gli effetti delle sanzioni imposte dall’Occidente e del crollo del petrolio si sono fatti sentire. Stando all’ufficio statistico RosStat, il PIL è cresciuto nell’anno dello 0,6%, in linea con le più recenti previsioni formulate dal Cremlino. La crescita dell’economia russa, tuttavia, si conferma ai minimi dal 2009. Per l’anno in corso, il governo russo ha formulato una previsione molto negativa, anticipando una contrazione del PIL nell’ordine del 4%. Per ravvivare un’economia che rischia

di contrarsi di anche il -4,5% nel 2015, Mosca venderà parte delle riserve in valuta straniera per convertirle in rubli. Si parla di 88 miliardi di dollari di fondi di riserva messi in vendita, che verranno usati per comprare rubli, moneta che ha visto il suo valore dimezzato da metà giugno, periodo in cui è iniziata anche la fase ribassista del greggio. Petrolio a buon mercato, sanzioni occidentali, rublo fragile come il cristallo. Colpi che abbatterebbero qualsiasi economia. Ma non quella russa che, di fronte alle pressioni e alle minacce crescenti degli Usa e di un’Europa che certo non brilla per autorevolezza, potrebbe compiere scelte strategiche e di equilibrio geopolitico clamorosamente rivoluzionarie. Mosca soffia sul fuoco sacro del Paese: la maggioranza dei russi crede che non solo le sanzioni, ma anche il tracollo nel prezzo del petrolio - quel tracollo che ha messo fuori mercato gran parte della produzione russa - siano frutto di una strategia internazionale guidata dagli americani, in collaborazione con i tradizionali alleati del Medio Oriente, primo fra tutti l’Arabia Saudita. Il petrolio assicura i due terzi dell’export complessivo russo e rappresenta il 30% del Pil. Con

un’economia in rallentamento, il rublo collassa e sono in molti gli economisti a pensare che, più che sanzioni (negative in maggior misura per chi le ha applicate colpendo intere filiere economiche che esportavano in Russia), la crisi del Paese vada ricondotta all’offensiva congiunta su petrolio e rublo. Secondo Bloomberg, l’emorragia di capitali dovrebbe attestarsi quest’anno sui 125 miliardi di dollari: più di un quarto dell’intero flusso in uscita registrato nel periodo 20082013. Ma forse anche questo conteggio non tiene in debita considerazione gli spostamenti di capitale e di beni dei grandi gruppi che controllano il Paese, pronti a seminare oggi patriottismo per raccogliere domani frutti ancora più ricchi, ad esempio da nuovi equilibri strategici con la Cina, il sudest asiatico, l’America Latina. E poi, andando ad analizzare il valore degli scambi fra Russia e altri Paesi, c’è qualcosa che non torna. Gli scambi commerciali con gli USA per Mosca sono in crescita del 7%, le importazioni dagli Stati Uniti in tempo di sanzioni sono aumentate del 23%. Cala invece bruscamente l’interscambio con la Germania, con le importazioni letteralmente crollate.

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Interscambio Federazione Russa - Italia 2009-2014 mese di riferimento: aprile (in milioni di euro)

Fonte Rosstat 2014

Il grande risiko degli imperi (quello americano e quello russo) è forse molto differente dalla vulgata mediatica.  Il 2015 è anche l’anno in cui si prevede un aumento del potenziale di protesta nel Paese, proprio per la crisi economica. Il “paradosso russo”, come lo ha chiamato Nezavisimaja Gazeta, sta però nel fatto che questo trend è accompagnato da un consolidamento del consenso popolare intorno al presidente Putin, e non da un suo calo. Per gli analisti, i due fattori non sono in contraddizione. Se a inizio 2014, il rating del Capo di Stato era del 63%, a dicembre il dato è stato dell’85%. Come ha spiegato il centro indipendente Levada, che ha condotto la ricerca, il cosiddetto “consenso di Crimea” ha fatto di Putin il “centro del sistema politico”: la popolazione “non vede e non crede in alternative” e, dal successo del capo del Cremlino, agli occhi dell’elettorato dipendono tutte le istituzioni statali. A detta degli esperti del Levada, la televisione è stata elemento fondamentale per questo consolidamento. Sempre il Levada, allo stesso tempo, ha registrato un leggero aumento del

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sentimento di protesta nel Paese, che non corrisponde però a una caduta della fiducia nel governo. Il 24% dei russi ritiene che nella propria regione siano “possibili” proteste contro l’abbassamento del tenore di vita e per la tutela dei propri diritti. Tra agosto e settembre il dato era intorno al 17%. È calato, invece, il numero di chi ritiene possibili proteste di piazza di tipo politico: si è passati dal 23% di febbraio al 9% di dicembre. A dimostrazione, sostiene Dmitri Abzalov del Centro per le Comunicazioni Strategiche, che l’annessione della Crimea ha portato a un “generale consolidamento della società”. In passato, negli anni dell’ultima pesante crisi 2008-2009, e più indietro ancora nel 1998, la difficile situazione economica del Paese portava anche a un aumento dell’attività di protesta. Secondo Abzalov, possibili proteste sociali saranno legate alla reale situazione dell’economia e a fattori importanti come l’occupazione. Di questa “sorprendente unione” dei russi con Putin - scrive il sito di informazione Newsru - “sembrano non accorgersi gli osservatori stranieri quando speculano sulla minaccia alla tenuta di Putin

rappresentata dalla recessione economica e dalle sanzioni”. Dell’attuale situazione del Paese, la popolazione indica ancora come responsabili o il governo o “fattori esterni” come i nemici occidentali, ma mai il Presidente personalmente. Ma il fronte europeo comimncia a scricchiolare. Sono molti a chiedersi se valga la pena di spendersi e distruggere il commercio con la Russia in difesa di un Paese come l’Ucraina, che – piaccia o non piaccia – nella storia è stato talora più russo della Russia stessa. In Italia, intanto, si susseguono con un ritmo abbastanza incalzante le interrogazioni parlamentari, nelle quali i deputati chiedono al governo misure efficaci per reagire alla preoccupante situazione delle imprese italiane danneggiate dalle contromisure russe alle sanzioni UE. Il Cremlino ha infatti messo al bando alcuni prodotti alimentari. L’andamento economico dell’Eurozona, già alle prese con la recessione, conosce dunque un ulteriore fattore di instabilità. Tra le merci bandite dalla risoluzione che andava a implementare il decreto presidenziale del 6 agosto 2014, la


Federazione Russa ha adottato speciali misure restrittive limitatamente alla circolazione di alcuni prodotti del settore agroalimentare - principalmente frutta, vegetali, carni, pesce, latte e alcuni prodotti caseari - verso i Paesi che hanno imposto le sanzioni economiche (oltre all’UE, Canada, Australia, Stati Uniti e Norvegia). Il segmento agroalimentare dei beni di consumo Made In Italy, che da solo rappresenta il 10% del nostro mercato secondo le stime dell’Italian Trade Agency, è quello che rischia di subire maggiori danni. Il dato generale fornito dall’agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane illustra un calo del 25% del nostro export in Russia, con perdite di circa 100 milioni di euro per ogni settore. Nel 2013, l’export italiano verso la Russia è stato di 10 miliardi di euro e ad esso sono collegati, secondo il World input-output database, circa 221 mila posti di lavoro. Relativamente alle previsioni per il biennio 2014/2015, una ricerca di Sace rivela che, a seconda dell’evoluzione dello scenario, l’entità del danno per l’Italia si aggira tra i 938 milioni e i 2,4 miliardi di euro. Particolari

ricadute negative si prospettano per alcune regioni come il Veneto e la Lombardia, maggiormente attive nel commercio con Mosca. Due sono i prodotti di eccellenza del Made in Italy più apprezzati all’estero fortemente danneggiati dall’embargo: il Parmigiano Reggiano, il cui export verso la Russia genera un valore di 5 milioni di euro, e il prosciutto di Parma, la cui esportazione aveva registrato un trend molto positivo nel 2013, con un incremento del 51%. Un’altra industria colpita è quella conciaria, vittima della risoluzione del 1 settembre 2014, firmata dal premier russo Dmitry Medvedev, che ha decretato lo stop a calzature, capi di abbigliamento e pelletteria da USA e UE. Anche sul mercato interno le previsioni non sembrano affatto positive. La possibilità che le merci europee ed extraeuropee di qualità inferiore destinate alla Russia possano essere dirottate verso l’Italia a prezzi inferiori è tutt’altro che remota, con evidenti ripercussioni sui prezzi dei prodotti italiani. Inoltre, il fenomeno dell’italian sounding - l’utilizzo di denominazioni geografiche

o di marchi che evocano l’Italia per la commercializzare prodotti italiani - rischia di essere favorito dalla decisione di alcune aziende di delocalizzare la produzione in Paesi esclusi dal blocco, come la Serbia, servendosi delle materie prime locali. In questo modo, oltre alle conseguenze sull’occupazione, la qualità di tutti i quei prodotti a marchio Dop, Igp e Stg non sarà sottoposta a controlli e non potrà essere garantita. Solo in Emilia-Romagna le sanzioni antirusse sono responsabili della chiusura di oltre un migliaio di imprese. Ma fenomeni analoghi accadono anche in Gemania, dove quasi il 20% fra 200 aziende oggetto di un sondaggio ha annunciato il blocco totale di investimenti per la situazione in Russia. Il 58% delle imprese ha affermato di aver subito danni dalle sanzioni contro la Russia. Ma il peggio resta in Italia, dove le perdite relative alle mancate consegne nel biennio 2014-2015 potrebbero raggiungere i 2,4 miliardi di euro. Mentre comunque, sull’asse Mosca-Berlino, continuano gli scambi commerciali e non si è ancora discusso l’annullamento della partnership del gas del progetto Nord Stream.

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Marco Lupi, Un ambiente quasi familiare, 2010, tecnica mista su tela, cm 120 x 140

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Profumo di Russia Perché quasi in 2000 si sono trasferiti a Lugano. Perché ora la fascia più alta è attirata dalle sirene di Londra, che mette sul campo anche l’offerta di una cittadinanza e di un passaporto in tempi eccezionalmente brevi.

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n buon posto dove andare in vacanza, dove comprare una casa di lusso e non farsi notare troppo. Queste le motivazioni che fra il 2000 e il 2005 avevano caratterizzato il primo “fidanzamento” tra russi e Ticino. Ad affacciarsi nella parte in teoria meno glamour della Confederazione erano famiglie o anche single della fascia alta della nascente borghesia (o forse oligarchia) russa.

A questa prima fase ne era succeduta 5 o 6 anni fa una seconda, più consapevole: globalisti che cercavano una base operativa, e specialmente familiare, sicura; un posto dove mandare a scuola i figli e dove risiedere in modo pressoché permanente. Il driver sicurezza era (ed è) essenziale per una comunità russa cresciuta in particolare a Paradiso e in altre aree chic di Lugano, sino a raggiungere i 1500 e, forse, i 2000 residenti permanenti.

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La terza fase, quella attuale, è caratterizzata da una certa “stanchezza”: la Svizzera è risultata alla prova dei fatti meno attrattiva dal punto di vista fiscale e troppo poco modaiola, quasi provinciale. La fascia top level della comunità russa (a patto che possa chiamarsi tale, visto che la tendenza dei residenti provenienti dall’Est è quella di condurre una vita molto riservata) oggi si guarda in giro e cerca nuove soluzioni anche residenziali per la famiglia. Le sirene cantano in particolare Londra: lo “Citizenship Program” garantisce a chi apre un consistente conto in banca la residenza permanente in due anni e il passaporto in cinque. Tempi ancora più accelerati usufruendo delle numerose scorciatoie, come l’acquisto di un appartamento in un’isola caraibica come St. Kitts, dove la proprietà immobiliare coincide con il rilascio di un passaporto Commonwealth, e quindi con un ingresso preferenziale anche in UK. Molti della fascia più alta hanno già compiuto la scelta di partire. Non vendono le proprietà immobiliari, ma anche per i figli scelgono altrove le scuole con un effetto sradicamento che tende a diventare permanente. Secondo operatori finanziari che da anni assistono proprio i cittadini russi, la Svizzera di domani si specchia nelle loro scelte emergendo come un’area attrattiva per investimenti, ma molto meno per residenze permanenti, considerato che anche la leva fiscale non è poi così favorevole come attesa. Certo, si tratta di linee di tendenza, quando i numeri sembrano ancora confermare l’attrattiva internazionale del Ticino. Le autorità ticinesi sono le più generose, tra i Cantoni della Confederazione, nel concedere il permesso di residenza “B” agli stranieri che non hanno un passaporto di un Paese dell’Unione Europea. In tutta la Svizzera, dal 2008 al maggio del 2014, sono stati concessi 389 permessi “B” a ricchi stranieri extra-comunitari, di cui 172 (il 44%) in Ticino. Ginevra, con 65, e Zurigo, con 30, seguono a lontanissima distanza. I dati sono stati pubblicati recentemente dal Consiglio Federale. Nel documeto

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è sottolineato come, dal 2008, sia stato introdotto l’articolo 30 nella legge sugli stranieri che dà la possibilità ai Cantoni di concedere con procedura agevolata un permesso di residenza per ragioni che soddisfano il criterio di “importanza di pubblico interesse”. Per “importanza di pubblico interesse” si intende non soltanto la concessione di un permesso di residenza per questioni riguardanti ragioni di natura fiscale, ma anche culturale o legata a personalità politiche Stando all’Ufficio Federale della Migrazione, le concessioni sono in tutti i casi riconducibili a interessi di natura fiscale. Di questo articolo approfittano persone provenienti dai cosiddetti stati terzi, ossia tutti coloro che giungono da Paesi non dell’Unione Europea che difficilmente otterrebbero un permesso di lavoro se non avessero il borsellino pieno. In Svizzera questi ricchi stranieri provengono per la maggior parte dalla

Russia (107), dalla Turchia (34), dalla Serbia (16), dal Canada (15), dagli Stati Uniti (14) e fiscalmente risultano tra i globalisti. E i russi continuano a collocarsi nella fascia dei big spenders, un po’ meno nell’immobiliare, ma certo nei beni voluttuari e nel lusso, a partire dalla gioielleria, passando per l’arredamento e finendo nei viaggi. Numerosi in Ticino gli investimenti ormai consolidati in ristoranti e hotel, anche se negli ultimi anni gli investitori sono diventati più selettivi indirizzandosi verso il medicale o le piccole industrie high tech che si sono radicate nel Ticino. Ma in mesi recenti anche le sanzioni che hanno penalizzato la Russia sono cavalcate via Ticino. Molti prodotti UE, in particolare italiani, destinati al mass market, transitano attraverso il Ticino. Tir di mele, centinaia di forme di formaggio Parmigiano Reggiano, frutta fresca bloccata nei magazzini del nord Italia e destinata a non giungere mai a destinazione a causa dell’embargo sulla Russia hanno trovato, come tante volte accaduto in passato, la scorciatoia svizzera. Se parte dei camion pieni di merce arriva in Lituania e lì si cambiano le carte, “si rietichetta” (ossia si indica un’origine del prodotto diversa da quella europea) anche Lugano fa la sua parte, attraverso una società di intermediazione russa, con sede a San Pietroburgo, che si occupa di attirare investimenti in Russia e che studia metodi più o meno cristallini per fare arrivare i prodotti UE a Mosca. In sostanza, l’agenzia si occupa di tutte le procedure di sdoganamento della merce che permetterebbero di aggirare l’embargo. Il cliente, ossia il produttore italiano, non deve fare null’altro che pagare. Ma torniamo alla comunità russa. Lugano probabilmente non l’ha mai vissuta come tale. Non è un enclave, ma singoli cittadini del mondo approdati in Ticino essenzialmente alla ricerca di sicurezza personale. E per alcuni, ben selezionati, operatori fianziari e immobiliari, questa clientela vale eccome.


Quel ramo di… озеро

Sta per lago e il riferimento a quello manzoniano di Como, dove continuano a concentrarsi le attenzioni degli investitori immobiliari russi. Riaperta la caccia ai “pezzi” superpregiati …e la clientela russa sta ormai subentrando a quella americana

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vizzera? Troppo complessa. Meglio comprare in Italia. Anche negli ultimi difficili mesi di crisi internazionale gli investitori dall’ex Unione sovietica non hanno abbassato la guardia. Anzi, si potrebbe affermare che, mentre la fascia media di cittadini russi interessati a acquistare immobili all’estero è quantomeno in fase di attesa, i topo player, i grandi oligarchi con risorse di liquidità consistenti, sono tornati a guardare in alto, verso gli immobili di maggior pregio ed extra lusso. Come, più che Lugano, è in questo senso la cartina al tornasole . Su 10 possibili acquirenti internazionali interessati a ville “a lago” ovvero direttamente affacciate sulla sponda del lago di Como - Italia sottolinea Claudio Carotti, responsabile real estate

della impresa Nessi e Majocchi – 9 ormai sono provenienti dall’est europeo, in prevalenza russi, affiancati occasionalmente da qualche ucraino. La presenza americana che aveva “agitato” per anni le acque del lago anche grazie al vento soffiato dalla presenza di alcuni vip (come George Clooney) si è assottigliata. I potenziali investitori stelle a strisce sono oggi un’eccezione, a fronte di un massiccio flusso di richieste circostanziate di informazioni da parte di potenziali acquirenti russi. Le motivazioni sono sostanzialmente di tre tipi: c’è chi vuole investire in zona ad alto pregio per sfuggire anche alle tempeste valutarie e realizzare nel mondo alcuni capisaldi immobiliari sempre commerciabili; altri considerano Como una buona base anche per i figli, considerata

anche la vicinanza con il sistema scolastico svizzero; altri considerano il lago di Como alla stregue di buen retiro, una base per le vacanze anche logisticamente perfetta per la vicinanza ma al tempo stesso lontananza con Milano. “E a Como, o più generalmente in comprare casa, al contrario di quanto accada nella vicina Svizzera – prosegue Carotti - è facile. Non esistono vincoli particolari e paradossalmente in Italia per uno stranieri specie dell’est è più facile definire un contratto di acquisto immobiliare che quello di un’auto” Nel mirino sono immobili esclusivi in una località che ha fascino internazionale in un mercato mercato immobilare europeo e mondiale, che sta diventando sempre più selettivo.

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Secondo un recente sondaggio, svolto da una testata economica su più di 400 agenzie ed agenti immobiliari sparsi in 39 paesi, emergono dati interessante su questo processo di selezione e sul ruolo che comunque ha l’Italia. Nel 2010 l’Italia aveva conquistato il 3° posto tra i paesi preferiti dagli investitori russi, dopo la Bulgaria e la Spagna. Considerando solo gli immobili di lusso con valore oltre 3 milioni di euro, l’Italia si posizionava addirittura al 2° posto, subito dopo Londra. Nel 2009 la classifica vedeva per prima la Bulgaria, seguita da Spagna, Turchia, Stati Uniti e Stato d’Israele. L’Italia si era classificata solo al 6° posto con il 5,8%. Nella maggior parte dei casi, i russi erano alla ricerca di immobili di prestigio nelle zone più rinomate del nostro Bel Paese: Sardegna (in particolare Costa Smeralda), Liguria (Sanremo, Santa Margherita Ligure, Portofino), Toscana (Forte dei

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Marmi), Lombardia (lago di Como, Garda e Maggiore), ma non disdegnano la riviera romagnola, le Dolomiti, la zona di Napoli e la Calabria (soluzione low-cost). In generale amano il bel mare, che manca nel loro paese. La ricerca si orientava su grandi ville di lusso pieds dans l’eau, prestigiosi attici in villa, o immobili nuovi ben rifiniti e dotati di grande giardino per garantire una certa privacy. Gli investimenti sono oggi ancora più selettivi e gli acquirenti russi si collocano sempre e comunque nella fascia più alta Facendo riferimento alla tipologia di immobile richiesto dagli investitori di oltre confine, si è aperta cioè la forbice. Per investimenti low cost Bulgaria e Turchia, con le loro alte percentuali di compravendite in questa fascia, presentano un “mercato immobiliare di fascia alta” non ben sviluppato, ma

sono comunque in grado di offrire soluzioni residenziali di qualità accettabile principalmente orientate al turismo estivo e balneare. Soprattutto in Turchia vengono ricercati piccoli appartamenti (con 1-2 camere) in complessi residenziali di località “marine” con costi compresi tra 30 – 100.000 euro. Gruppo a parte è la Thailandia, dove la fascia a basso prezzo presenta valori importanti, ma è affiancata da un rilevante segmento di élite (acquisti oltre 1.000.000. euro), concentrato su zone come Karon Beach [isola di Phuket]. Nella fascia media si collocano gli appartamenti in Montenegro e Lettonia, il cui valore massimo si attesta rispettivamente intorno ai 100 mila euro e 150 mila euro. Berlino, Monaco di Baviera e Baden sono le città più popolari per la Germania per l’acquisto di immobili da parte dei russi.


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La Spagna, molto gettonata dalle popolazioni dell’est, presenta invece ampie variazioni di prezzo in base alle zone. Nella penisola iberica è possibile acquistare piccoli appartamenti con un investimento di 50mila – 70mila euro a Torrevieja (costa Blanca), oppure oltre i 200mila euro a Marbella (Costa del Sol) La categoria medio-alta vede in testa Cipro e Portogallo con fasce di prezzo simili: in entrambi i paesi, il prezzo per un metro quadrato nel centro delle grandi città è di circa 1.500 euro. Tuttavia gli immobili, lontano dalle città (soprattutto nelle zone di villeggiatura vicino al mare), sono notevolmente più costosi a Cipro. In Croazia, le richieste più frequenti sono per appartamenti in una fascia di prezzo compresa tra 150-500 mila euro; anche se non sono rare “occasioni di acquisto” comprese tra 120-250 mila euro. Al top si colloca Londra sempre più richiesta dagli acquirenti russi, anche se il trend dei prezzi degli immobili nella capitale è in costante crescita. La Francia attira principalmente acquirenti dall’est per l’offerta di immobili in fascia alta; per zone come la Costa Azzurra ed altre località rinomate, sono frequenti transazioni oltre il milione di euro. Gli investimenti immobiliari dalla Russia verso gli USA sono in aumento, spesso indotti da progetti di trasferimento (immediati o futuri) degli investitori stessi. Molto ricercati sono gli appartamenti a New York, nonostante i prezzi proibitivi, ed anche le case vacanze sulla costa della

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Florida (Miami). L’Italia occupa una posizione speciale in questa “classifica dei prezzi”. Il 50% delle agenzie/agenti intervistati, dichiarano come categoria maggiormente richiesta dai Russi quella fascia di immobili il cui valore oscilla tra 150 mila e 500 mila euro. A questa prima fascia fa subito seguito, come dichiarato da un restante 30% degli intervistati, la categoria che racchiude immobili di valore compreso tra 500.000 ed 1.000.000 di euro. Il mercato immobiliare italiano, come è noto, è molto variegato e può presentare ampie oscillazioni al mq di prezzo spostandosi da

regione a regione. L’interesse per gli immobili storici e di prestigio di regioni come la Lombardia, la Liguria, la Toscana o per località come il lago di Como è ormai a carattere internazionale. Parallelamente al mercato dei grandi immobili di lusso, si sta sviluppando un forte interesse per altre zone del sud Italia che possono offrire immobili di qualità a prezzi più contenuti. Il cittadino russo acquista immobili all’estero come seconda casa per il 40%, investimento per il 25%, motivi familiari per il 10%, ottenimento di un permesso di soggiorno per il 20%, altre cause per il 5%. Gli acquirenti russi sono per circa il 40% imprenditori, per il 40% top manager e dipendenti in posizioni di responsabilità. Facendo una stima dell’età, circa il 20% ha 30- 40 anni; per circa 35% 40-50 anni e per circa il 45% da 50 anni in poi. Si può affermare che esistono tre tipologie di investitors: quelli professionali per circa il 30%, quelli spontanei per circa il 50%, quelli “fuori controllo” per circa il 20% L’80% degli investitori provenienti dalla Russia considerano l’acquisto di imprese straniere come mezzo di diversificazione. Il 20% degli investitori ha in programma di trasferirsi all’estero in un prossimo futuro e sta acquistando un albergo all’estero o un immobile da immettere a profitto, che porteranno reddito stabile e che permetteranno di ottenere un permesso di soggiorno in un paese europeo.

Agenti/Agenzie Immobiliari che intrattengono stabilmente trattative commerciali con acquirenti Russi


di Laura Alberti

RUSSO MINIMALE A San Pietroburgo, Geometrium firma un appartamento fatto di materiali naturali e linee minimali


In questa pagina: la camera padronale culmina nell’originale terrazzo coperto, pensato come area per il make up. Nella pagina precedente: panoramica della zona giorno, con le sue differenti zone (soggiorno, zona pranzo, cucina). A fianco: i bagni, con il marmo di cui sono rivestiti, è un inno al lusso e all’eleganza, al contrario della stanza degli ospiti, minimale e discreta

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ettantasei metri quadrati nel centro di San Pietroburgo. Un design minimal, fatto di tinte delicate e materiali naturali. Sono le caratteristiche dell’appartamento che lo studio Geometrium (www.geometrium.com), guidato da Alexei Ivanov e Pavel Gerasimov, ha realizzato, accogliendo una sfida: accostare cucina, sala da pranzo e living room in una sola stanza; realizzare quanti più ripostigli possibile, ma con discrezione; inserire pregiati marmi, elementi grafici e il dualismo bianco/ nero in un ambiente minimalista, seppure confortevole. Il risultato è un’abitazione

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che si suddivide in un’area privata (camera da letto, stanza guardaroba, angolo makeup) e in una di socializzazione, quella composta dall’area giorno. Tra loro, i bagni e la stanza degli ospiti. Doghe verticali in legno schermano il corridoio, donandogli un senso di ampiezza. La pavimentazione in marmo lo impreziosisce, i fari al soffitto gli donano un’allure da showroom d’alta moda. Cuore dell’area living, la parete in MDF che accoglie nel suo cuore candele bianco ghiaccio. Da un lato, la televisione e, poco più in là, la zona divano e l’angolo lettura, con una comoda poltrona e una

libreria cubica. Dall’altro, il tavolo da pranzo, illuminato da tre sospensioni di design dalla forma conica e il color nero pece. Ovunque, angoli nascosti. Tra il corridoio e la cucina, un armadio cela vestiti e cappotti. Sempre in cucina, contenitori bianchi dal pavimento al soffitto nascondono strumenti e accessori. Al centro dello spazio, un pratico carrello dall’aspetto minimale fa da piano d’appoggio e da “vassoio”. Ogni cosa tende alla verticalità. In camera da letto, le porte, le tende, la testata e gli specchi paiono voler allontanare il soffitto. Una porta ricoperta di specchi conduce alla stanza guardaroba.


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In alto: la zona pranzo poggia sul pavimento in legno, in riuscito contrasto con il marmo della cucina. A illuminare il tavolo, tre sospensioni di forma conica. A destra: il corridoio è schermato dall’area living mediante doghe verticali lignee

Il terrazzo, coperto, ospita un inaspettato angolo per il make-up. Se la stanza degli ospiti è un inno alla semplicità, i bagni sono impreziositi dal marmo, lo stesso utilizzato negli altri ambienti della casa. L’aspetto è quello di un appartamento di impronta nordica, una dimostrazione di come il lusso non sia sinonimo di opulenza. Non sempre, almeno.

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ELEGANZA E RAZIONALISMO A Ossuccio, di fronte all’Isola Comacina, Villa Leoni è una location perfetta per ricevimenti, eventi, cene e meeting. La sua Junior Villa, che regala straordinari soggiorni vista lago, è molto apprezzata dalla clientela straniera, russi in primis

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ulla sponda occidentale del Lago di Como, di fronte all’Isola Comacina e a fianco del complesso romanico di Santa Maria Maddalena di Ospitaletto, Villa Leoni regala un panorama straordinario. La sua storia inizia nel 1938, quando Raffaele Leoni e sua moglie Diana Peduzzi la commissionano all’architetto Pietro Lingeri per la famiglia Leoni Malacrida, industriali del settore dolciario che scelsero il Lario come meta per le loro vacanze estive. Nel 1944 la villa viene completata. Ad Ossuccio, proprio di fronte all’Isola Comacina dove, in quegli stessi anni, vengono costruite

le case per artisti, da subito colpisce e conquista con la sua architettura, razionalista e mediterranea. L’architettura italiana tipica delle costruzioni a cavallo tra le due guerre, un po’ astrazione e un po’ natura. Quell’architettura che, nel 1941, porta Alberto Sartoris ad inserirla nella prima edizione della sua Encyclopédie de l’architecture nouvelle. Oggi, dopo un ultimo restauro, Villa Leoni è un monumento storico vincolato ai Beni Culturali. Una complessa e insieme semplice struttura geometrica, tornata allo splendore di un tempo e dolcemente inserita in un territorio

pieno d’anima. Un suggestivo esempio di architettura razionalista, che i turisti possono vivere come fosse la loro casa. Il piano terra, con la sua area living, e le cinque camere del piano superiore, regalano una vista mozzafiato sul lago grazie alle enormi vetrate; solo le stanze di servizio (tinello con office, cucina, studio, stanza degli ospiti, servizi e guardaroba) sono rivolte verso la montagna. Sembra che la natura entri in casa, con quel patio in parte verde in parte lastricato che compenetra il volume che si riapre al piano mansardato, a mo’ di loggia. I colori, delicati, riflettono i raggi di un sole

Nella pagina precedente: l’esterno di Villa Leoni, splendido esempio di architettura razionalista sul Lago di Como. In questa pagina, da destra in senso orario: cena con vista sul lago e sull’Isola Comacina; il patio di Villa Leoni e, a destra, il solarium panoramico; l’area sauna e idromassaggio e, sulla destra, il fronte di Villa Leoni; la Villa di notte



In alto: due viste del soggiorno Junior di Villa Leoni. In basso, la camera matrimoniale della villa Junior (a sinistra) e il salone d’ingresso al piano terra di Villa Leoni

che pare immergersi nell’acqua. La facciata principale è finita a stucco riquadrato color “guscio d’uovo”, i serramenti in abete sono tinti in verde oliva, le travi del patio in rosa salmone. La villa tutta è a disposizione per ospitare eventi d’arte, moda e design, per organizzare ricevimenti, meeting, cene di gala e buffet, per ambientare servizi televisivi, fotografici e cinematografici, e regala la possibilità di vivere soggiorni

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esclusivi per periodi più o meno brevi, così come la Junior Villa, immersa nello splendido parco secolare. La pietra di Moltrasio, a tratti intonacata, in altri tenuta a vista, è interrotta dalle ampie vetrate panoramiche. I suoi ottanta metri quadrati si sviluppano su due livelli, suddivisi tra la cucina con camino e il bagno del piano terra, e l’area living con angolo bar (che si trasforma all’occorrenza in camera doppia),

la camera matrimoniale e un secondo bagno del primo piano. Decori esclusivi e arredi pregiati risaltano nello scenario moderno e razionalista dell’architettura, e il maggiordomo e lo chef privato sanno coccolare gli ospiti come in un hotel sette stelle. www.villaleonilocation.it



IL DESIGN PARLA RUSSO

di L.A.

Complementi d’arredo per una casa made in Russia

DIMA LOGINOFF Realizzata per AXO Light, Fedora è una sospensione che pare una bambolina. Il diffusore si compone di una parte in metallo, disponibile nella variante bronzo e oro rosa, e di una in vetro trasparente www.dimaloginoff.com

GN Si chiama Nest, e ricorda infatti un nido, la sospensione formata da diverse palle luminose poste in un cestino. Dotate di batterie, le palle possono anche essere disposte singolarmente in più punti della stanza, così da creare suggestive atmosfere www.desi-gn.ru

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ANDREY DOKUCHAEV Aero Lamp racconta una storia sul volo e l’infanzia. Pensata come illuminazione secondaria per la scrivania, può illuminare anche un tavolo ampio grazie alla sua forma allungata. Emozionale e funzionale, ha uno spazio per l’inserimento di un libro, dello smartphone o di un piccolo notebook www.andrey-dokuchaev.com

MIKHAIL BELYAEV Si ispira a Black Square, opera dell’artista Kazimir Malevich, la Black Square Shelf, una rivoluzionaria idea di mensola. Il quadrato nero è racchiuso in una cornice bianca, in cui disporre gli oggetti come fossero opere d’arte www.mikhailbelyaev.com


TEMBOLAT GUGKAEV Una libreria, sì, ma a forma di punto di domanda. Una libreria che è anche lampada e contenitore. È la Wha Cabinet, tutta nera, con le sue luci colorate che accendono di tinte diverse i vari scomparti. Al buio, luci verdi, rosse, blu e gialle danno vita a un’atmosfera contemporanea www.tembolat.com

MATEO GLASS Scacchi, come il celebre gioco. È il nome di questa collezione di bicchieri in cristallo. I caratteri maschili sono rappresentati da grandi quadrati realizzati a mano con taglio a diamante, e i personaggi ci sono proprio tutti: il re, l’elefante, la torre e la pedina che vuole diventare una regina www.mateo-glass.com

MAXIM MAXIMOV Pointer Here aiuta a trovare gli oggetti che si perdono più facilmente: carta di identità, chiavi, cuffiette del telefono… Realizzato in acciaio in tre diverse forme e colori, con la sua freccia sembra urlare “Ehi, sono qui!” www.maxim-maximov.ru

CHUGI Tre palle, simbolo di completezza e di armonia, unione della presenza e dell’assenza di limiti. Insieme, dalla più piccola alla più grande, posizionate su una solida base, formano il Trinity Desk Set, originale, funzionale ed elegante set da scrivania realizzato per F.O.R. www.chugi.ru

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DALL’ITALIA ALLA RUSSIA

di L.A.

complementi d’arredo alla conquista del mercato russo

PORADA Wings, design S. Bigi, è un tavolino con base in massello di noce canaletta e piano in cristallo temperato www.porada.it

VIMERCATI Camera classica Luigi XVI in noce con intarsi. Protagonista è il letto king size; la sua testata imbottita con lavorazione capitonné è arricchita da lussuosi intagli con motivi floreali e avvolta in morbide volute che si raccolgono in una ricca cimasa www.vimercatimeda.it

VENETA CUCINE Lussuosa ed elegante, la cucina Mirabeau della collezione “E” è ricca di preziosi particolari. Disponibile in laccato lucido od opaco, nelle tinte bianco, nero e chantilly, è ancor più sontuosa nella versione con profilo oro o argento. Le lesene, oltre che elementi decorativi, diventano pratici contenitori con cestelli estraibili www.venetacucine.com

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EZIO BELLOTTI ARREDAMENTI La camera da letto in stile classico gioca sui dettagli in argento dei tessuti e degli intarsi a motivo floreale www.bellotti.it


aaido ma Si chiama Glooz il simpatico bicchiere da liquore che pare un cucciolo, pensato per costruire una relazione tra l’uomo e l’oggetto www.aaidoma.com

ELLEDUE ARREDAMENTI La boiseries Sophie in laccato bianco, con intagli in massello, fa da sfondo alla scrivania in massello intagliato a mano, con piano in velluto www.elleduearredamenti.com

OLYMPIA CERAMICA Dalla collaborazione con Rubinetteria Giulini, nasce la linea Impero Style. Le forme sinuose della vasca, con la loro classicità senza tempo, sono perfette per ambienti raffinati e preziosi www.olympiaceramica.it

CHIMENTO DESIGN Princess è un esempio di cucina d’autore che combina due differenti concetti; un prodotto innovativo che unisce lo stile moderno al classico, abbinando le tecnologie più avanzate con materiali tradizionali ed esperienza artigianale. Argento e laccature a contrasto ne fanno quasi un oggetto d’arte www.chimentodesign.com

KE-WORLD L’alzata in ceramica smaltata oro 14 ct è realizzata interamente in Italia grazie alla collaborazione con artigiani locali di vecchia tradizione della zona di Vicenza. Disponibile in finitura platino e rame www.ke-world.it

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un giorno a mosca Indirizzi esclusivi nella capitale russa

L’HOTEL

IL RISTORANTE

LO SHOPPING

Poco lontano dal Cremlino e dalla Piazza Rossa, lo Swissotel Krasnye Holmy regala un’impareggiabile vista sulla città. Le sue 234 stanze (di cui 28 suite) sono intimi mondi fatti di toni caldi, legno di castagno e marmo. Sul loro lusso e la loro eleganza si riflette l’architettura moscovita, insieme alla luce che entra dalle finestre terra-cielo. La soluzione più glamour, con i suoi 272 metri quadrati, è la Penthouse Suite: al 19° piano, ha uno splendido terrazzo affacciato sul Golden Ring. Una perfetta e scenografica soluzione per party estivi. Tra i plus della suite, cucina privata, cabina armadio, doccia panoramica e sauna. Ma lo Swissotel Krasnye Holmy è anche un gioiello della gastronomia. L’Acapella Restaurant & Lounge, al 2° piano, regala un’interpretazione contemporanea della cucina russa ed europea, con un’attenzione al bio e alla stagionalità degli ingredienti. Il City Space Bar, invece, dai suoi 140 metri di altezza, è un locale panoramico celebre in città per i suoi cocktail (classici e molecolari) e per la sua vista a 360° su Mosca.

All’interno del The Ritz-Carlton, il Cafe Russe è aperto ogni giorno dalle 7 alle 23. L’ambiente neoclassico, acceso da inediti tocchi rosa, avvolge con la sua atmosfera rilassante e super chic. É la degna cornice per un’esperienza gourmande a cinque stelle. Il menu rispecchia a pieno le tante, diverse e ricche tradizioni della cucina locali. I piatti tipici del Paese ci sono tutti, ma interpretati secondo originali ricette. Tra le imperdibili specialità, il “Borsch”, zuppa di barbabietole, e i “Pelmeni”, gnocchi della tradizione fatti in casa e serviti con panna acida e manzo alla Stroganoff. Specialità da degustare nei menu a degustazione, o da abbinare a una delle portate della cucina internazionale proposta à la carte. E poi i vini. Il Cafe Russe offre ai suoi clienti la possibilità di vivere un’autentica esperienza enogastronomica: quattro vini (due bianchi e due rossi) selezionati dal sommelier e proposti insieme a una selezione di piatti salati. Per chi è in cerca di privacy, un’elegante tenda separa la sala principale dallo spazio riservato alle cene private, con morbidi sofà e sedie che rendono omaggio a epoche diverse.

Il lato della Piazza Rossa che fronteggia il Cremlino è occupato dal GUM, 80 mila metri quadrati di gallerie coperte, immerse nell’atmosfera unica di una delle principali costruzioni della Russia del XIX secolo. Oggi, tempio della moda e della gastronomia, ospita le più note griffe della moda, tra cui molti brand italiani. Le sue stanze ospitano spesso eventi culturali e meeting dell’alta società; la sua facciata non finisce mai di stupire con lo straordinario progetto illuminotecnico, e i mosaici, le colonne e tutti quei dettagli da palazzo fastoso ne fanno un luogo artistico. Ma, soprattutto, il GUM è il tempio dello shopping per turisti e locali. Ci sono i grandi nomi della moda (Gucci, Dior, Louis Vuitton, Kenzo, Moschino, Emporio Armani, solo per citarne alcuni), e quelli della gioielleria (su tutti, Tiffany & Co, Omega, Cartier, Pomellato, Van Cleef & Arpels, Mont Blanc, Piaget). Ci sono negozi di souvenir e c’è Gastronome N°1, paradiso dei golosi e capolavoro architettonico.

Swissotel Krasnye Holmy – Kosmodamianskaya nab. 52 bld. 6 www.swissotel.com

Cafe Russe – Tverskaya Street 3 www.ritzcarlton.com

GUM - www.gum.ru

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Mosca


un giorno a san pietroburgo Art Noveau ed eleganza zarista per le vie della città

L’HOTEL

IL RISTORANTE

LO SHOPPING

Il primo hotel a cinque stelle della Russia è oggi un monumento storico e culturale. Un capolavoro architettonico che, allo stile barocco della facciata progettata dall’italiano Rossi, unisce l’Art Nouveau degli interni. Costruito nel 1824, l’edificio ha ospitato negli anni un orfanotrofio (durante la Rivoluzione Bolscevica) e un ospedale (durante l’assedio di Leningrado). Amato da celebrità come Elton Jhon e Bill Clinton, il Belmond Grand Hotel Europe ha oggi stanze che sono un inno al lusso. Dalle Unique Historic Suites - omaggio all’eleganza zarista d’inizio secolo, con i loro soffitti altissimi, i bagni in marmo italiano e il servizio maggiordomo alla Presidential Suite del Belmond che, con i suoi 350 metri quadrati, è la più grande suite della città. Due camere da letto, sala da pranzo per 8 persone, sala della musica con pianoforte e palestra privata per un soggiorno super esclusivo. C’è poi la cucina. In primis quella dell’Europe, ristorante in stile Art Nouveau dove gustare specialità francesi ed europee sotto lo splendido soffitto a vetrate colorate.

All’interno del Four Seasons Lion Palace St. Petersburg, Percorso è un elegantissimo ristorante con vista sulla Cattedrale di Sant’Isacco. La sua atmosfera d’altri tempi regala un viaggio nel meglio della gastronomia italiana. Un viaggio che gli ospiti possono scegliere di vivere decidendo dove accomodarsi tra quattro diversi ambienti, inclusa una sala privata in grado di ospitare fino a 12 persone. La cucina a vista e la miglior cantina di San Pietroburgo sono il plus di un ristorante tra i più apprezzati della città. Gli chef, italianissimi, hanno “brevettato” un menu che rende omaggio a tutte le regioni del Paese d’origine. Tra i piatti più apprezzati, gli Spaghetti di Gragnano con aglio, olio e peperoncino e il Branzino. Piatti semplici, ma preparati con cura e con la massima attenzione alle materie prime. Aperto ogni giorno dalle 13 a mezzanotte, Percorso offre una pregiata selezionate di affettati (dal Prosciutto di San Daniele al Culatello di Spigaroli) e formaggi (come il pecorino pepe nero e zafferano), ma anche gustose specialità come il risotto gamberi, zafferano e mandarino o l’Halibut in crosta.

Quando venne inaugurato, nel 1848, il Saint-Petersburg Passage era uno dei primi store di questo tipo in Russia. Un grande edificio a tre piani, con una passeggiata “vista cielo”: solo un vetro come tetto. Al suo interno, accanto ai negozi, vi erano banche, hotel, coffee shop, sale da biliardo, un museo anatomico e uno delle cere. Oggi, il Passage è un moderno centro commerciale, con una tradizione lunga secoli. È il posto giusto in cui conoscere i marchi russi (come Byzov per i cristalli e le porcellane, Dyukamen per i gioielli e Lady Helen per l’abbigliamento donna) ma anche brand internazionali di nicchia. Ogni giorno, i suoi corridoi sono calcati da 10.000 persone, che triplicano nel periodo estivo; clienti che qui sanno di trovare un servizio di altissimo livello. Il Passage è il più grande centro commerciale con bouti- que in cui un team di professionisti valuta ogni giorno la qualità dei brand.

www.belmond.com

Percorso – 1 Voznesensky Prospekt – www. fourseasons.com

Passage – Nevskii prosp. 48 – www.passage.spb.ru

San Pietroburgo

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Make-up from Russia Anche la bellezza si piega al Marsala, tinta 2015 secondo Pantone

BELLA OGGI Tinta “Wine” per il Gel Effect Keratin, smalto a effetto gel con cheratina. Per un risultato professionale anche senza l’uso della lampada UV. www.bellaoggi.com

DEBORAH MILANO Absolute Lasting LiquidLipstick: il rossetto liquido unisce le proprietà del gloss a quelle del lipstick, ed è disponibile in 8 tonalità. Euro 11,70 www.deborahmilano.com

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SHISEIDO Prodotto iconico del brand, Eudermine mantiene il livello di idratazione della pelle e supporta l’esfoliazione naturale grazie a un derivato della barbabietola. Euro 59 www.shiseido.com

beauty

REVIDOX+ Per contrastare i segni del tempo, dalle rughe e le macchie fino alla stanchezza e le défaillance di memoria, l’integratore alimentare con STILVID®, estratto di Vitis Vinifera ad alto contenuto di Resveratrolo. Euro 49.50 www.difacooper.com

NARS Dual-Intensity Eyeshadow, qui nella sua tinta Orchidée Noire, è un ombretto dal doppio effetto: se applicato asciutto, ha una finitura trasparente e scintillante, bagnato, diventa opaco, metallizzato e intenso it.narscosmetics.eu

SISLEY Phyto-Lip Twist, qui nella tonalità “Chestnut” castagna-nocciola, è una matita XXL con Fitosqualene (dall’olio di Oliva) ed estratto di resina Commifora, per labbra idratate, protette e levigate. www.sisley-paris.com


di Laura Alberti

EVENTI TAILOR-MADE Intervista a Mary Baesso, esperta di show business e titolare della MF-agency. Una realtà in grado di creare per turisti, russi in primis, attività su misura, dal giro in ebike per i paesini del lago alla cena super esclusiva a ritmo di musica lirica

Mary Baesso

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niziamo dal principio. Chi è Mary Baesso e quando nasce l’idea di MF-agency? “Dopo il diploma in ragioneria ho iniziato a lavorare in un’azienda di consulenza; qui ho imparato a gestire l’aspetto economico e gestionale del lavoro, ma il richiamo del mondo dello spettacolo era talmente forte da spingermi a lasciare il posto fisso. Con un’altra persona ho acquistato un negozio di abbigliamento a Milano, dove ho frequentato un corso da indossatrice e ho iniziato a dividermi tra lo store e le sfilate. Al mondo dell’organizzazione di eventi mi sono avvicinata più tardi, quando ho preso in gestione un outlet aziendale. Dopo un periodo trascorso a fare la mamma, ho cominciato a lavorare con una compagnia teatrale dialettale e a collaborare con diverse agenzie come modella e attrice. Sono stata ai Caraibi per la campagna stampa del catalogo Costa Crociere, ho prestato l’immagine a una prestigiosa casa automobilistica, ho partecipato a Love Bug’s con Emilio Solfrizzi e Giorgia Surina, e ho girato due video per i Soliti Idioti. Ma volevo di più, volevo realizzare un progetto che fosse solo mio. Così, nel 2013, ho deciso di mettere a frutto la mia ventennale esperienza nello show business dando vita a MF-agency, agenzia che si occupa di varie attività, dall’organizzazione di sfilate e concorsi di bellezza alla realizzazione di cataloghi moda, fino alla creazione di eventi ad hoc soprattutto per il mercato russo, molto presente in Ticino e sul Lago di Como”. Quali sono i servizi di punta dell’agenzia, quelli che ne fanno una realtà esclusiva? “Sicuramente l’attenzione al cliente. Cerchiamo di fornire sempre soluzioni mirate in base alle sue esigenze. Ogni singolo evento per noi è speciale, e prestiamo attenzione a ogni dettaglio nello sviluppo del singolo progetto”. Cosa chiedono gli stranieri che si rivolgono alla MF-agency? In particolare, quali sono le esigenze della clientela russa? “Chi si rivolge a noi cerca soluzioni diverse da quelle che il mercato offre, cerca qualcuno che gli permetta di vivere l’emozione del nostro

territorio. La clientela russa ama l’arte, la bellezza, l’eccellenza italiana. Essendo molto preparata, non si fa certo raggirare”. Ricordi qualche richiesta particolarmente originale che ti è stata fatta da un/una cliente? “Ricordo con piacere un giro in ebike, bicicletta a pedalata assistita, attraverso i paesini dell’alto lago. I clienti sono entrati in contatto con una realtà diversa dalla loro, vivendo una giornata impegnativa ma non faticosa, immersi nella semplicità di quelle piccole cose che troppo spesso dimentichiamo”. Cosa consiglieresti a un cliente straniero che ti chiedesse di organizzare una giornata alla scoperta dell’eccellenza italiana? “Il nostro Paese offre tantissimo in fatto di eccellenze e bellezze artistiche. Abbiamo ogni tipo di soluzione sotto gli occhi, ma troppo spesso abbiamo difficoltà a individuarle. Da noi ci sono atelier per abiti su misura, mobilieri, orafi che lavorano su commessa, designer stranieri che danno vita a opere straordinarie, come quell’imprenditore del Belin che, con il suo team, crea occhiali in pura cellulosa utilizzando tessuti e colori della sua terra. Insomma, bisogna cogliere l’interesse del cliente per guidarlo alla scoperta del nostro straordinario Paese…”. Quali attività l’agenzia è in grado di proporre, al di là della classica cena o del classico pomeriggio in spa? “Preferisco stare sul vago, onde evitare copie… In ogni caso, la cena e la spa con noi hanno sempre annesso qualcosa di diverso, che sia il massaggio particolare o l’intrattenimento lirico del tenore Jonathan Cilia Faro, di cui sono manager”. Per un uomo, o per una famiglia con bambini per la prima volta in Italia, cosa offre il territorio? “C’è un’ampia scelta: un percorso ad hoc sui campi da golf, un giro in pista a bordo di veri e propri bolidi, magnifiche passeggiate a cavallo, un volo panoramico con l’idrovolante o l’elicottero. Per i bambini mi sento di consigliare le feste a tema, oppure un corso particolare, come il corso di nuoto tenuto da un ex campione. Insomma, tra svago, cultura, shopping e relax, il nostro territorio non si fa mancare proprio niente!”.

intervista

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50 sfumature di fango Il porto di Napoli sta morendo. Ormai fanghi e detriti vengono a galla e le navi grandi non possono entrare. Da quasi cinquant’anni i fondali non sono dragati e il porto non solo non ha futuro. Non ha presente. Nelle prescrizioni del Ministero dell’Ambiente, tanti obblighi e adempimenti da rendere impossibile qualsiasi intervento in un sito di interesse nazionale, in cui o si bonifica tutto o non si bonifica niente


p

er il porto di Napoli, i tempi di un declino irreversibile sono scanditi dal silenzio delle draghe che dovrebbero scavare i fondali, e dal fruscio delle scartoffie e delle pratiche amministrative che rendono nei fatti impossibile qualsiasi intervento di bonifica di uno scalo marittimo che è ormai la patetica immagine allo specchio di un porto commerciale. Di fatto, dal dopoguerra a oggi nessun intervento serio di escavo dei fondali è stato effettuato, se non si considerano interventi seri i rari tentativi di appianare le dune di fango sollevate dalle sempre più vicine eliche delle navi in manovra e dai metri di detriti utilizzati per riempire le buche che le stesse eliche hanno generato. Quasi settant’anni di incuria, nel corso dei quali i due fiumi sotterranei che scorrono nelle viscere della città, il Sebeto e il Pollena, hanno trasportato giorno dopo

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Napoli

giorno pietre, fanghi e sabbia, spalmandoli sui fondali del porto nel quale sfociano. “Quanto ricco d’onor e povero d’onde”: il Sebeto, fiume importante nella storia della città, nel bene della fertilità dei terreni ricchi di ortaggi, nel male per le epidemie di malaria che spesso colpivano truppe di occupazione decimandole più di qualsiasi battaglia, è sprofondato nella terra e nell’oblio. Ma le sue acque limacciose hanno continuato nella loro opera letale di killeraggio silenzioso del porto, che della “sua” Napoli era sempre stato il cuore pulsante. Alla banchina 37, questa azione subdola è venuta a galla: i detriti e i sedimenti sono cresciuti tanto da spuntare fuori dal pelo dell’acqua. Ma problemi analoghi si sono manifestati anche alla banchina 56, anche e specialmente a quel terminal container del molo Bausan dal quale ogni tanto qualche nave deve fuggire per non incagliarsi, e dove altre riescono

ad accostare solo se dalla banchina si allungano i distanziatori che tengono le carene distanti dalla morsa del fango. Questa è Napoli oggi. Un porto che rischia in tempi brevissimi di trasformarsi in un campo minato, in una “terra” – mai termine risulta più azzeccato – di nessuno, vietata non solo alle grandi navi che ormai tendono a monopolizzare le rotte più importanti del mercato container, ma impraticabile per tutti. E per il porto delle secche, ovviamente anche i sogni sono vietati. La grande Darsena di Levante, il terminal container che avrebbe dovuto segnare l’inversione di rotta decretando il rilancio del porto e quindi dell’unica realtà economica in grado di rivitalizzare la città, è doppiamente in stallo. Lo è perché davanti a questa Darsena che non c’è, i fondali sono ogni giorno più impraticabili. Lo è perché il nuovo terminal container dovrebbe sorgere proprio su


quella gigantesca cassa di colmata, dove i fanghi e i detriti scavati via dai fondali del porto dovrebbero essere convogliati per trasformarsi virtuosamente nel riempimento di piazzali e banchine del nuovo porto. Ma sul fondo non si sono sedimentati solo sabbie e materiali. Si è sedimentata anche una burocrazia e una incuria che sono ben più complesse da rimuovere del più appiccicoso fango inquinato. Il porto di Napoli sconta (e in questo è in buona compagnia con gran parte dei porti italiani) anni e anni di gestione a dir poco paradossale della portualità e del problema specifico dei dragaggi. Equiparati alle discariche di terra, i porti, primo fra tutti quello partenopeo, sono stati inseriti nella lista nera dei SIN (Siti di Interesse Nazionale), estese aree ipoteticamente inquinate che il Paese si sarebbe dovuto impegnare a bonificare integralmente. La perimetrazione

di queste aree è stata effettuata negli scorsi anni dal Ministero dell’Ambiente e dalla sua Direzione Porti, con lo stesso criterio (e con risultati parimenti disastrosi) con cui in Medio Oriente, dopo i conflitti, venivano tracciati sulla carta i confini dei nuovi stati nazionali figli della disgregazione di imperi coloniali. Poco importava se queste linee, che burocrati con solerzia geografica tracciavano sulle mappe, tagliassero a metà città o villaggi, dividessero popolazioni omogenee, creassero insomma presupposti per conflitti. Era il metodo più pratico e più sicuro per i funzionari per non dover giustificare in anni successivi scelte frutto di analisi e di riflessione. Mutatis mutandis lo stesso è accaduto a Napoli e nei siti SIN. Perché faticare e andare a verificare zona per zona, specchio acqueo per specchio acqueo, dove effettivamente i fanghi e i detriti del fondale sono inquinati? Più facile e più sicuro mettere i confini della

zona SIN sul Vesuvio, e considerare tutto il porto di Napoli come area inquinata da bonificare. Che importa se i soldi per fare una bonifica di queste dimensioni non ci saranno mai? Che importa se, forse, sono solo 100 o 200mila i metri cubi effettivamente inquinati da trattare e poi inserire in una cassa di colmata? Per essere bonificato e quindi poter dragare i fondali, il porto di Napoli dovrebbe bonificare 2,5 milioni di metri cubi di sedimenti che forse non sono inquinati, ma poco importa. Ma anche per dragare il milione e 100mila metri cubi che dovrebbero finire nella cassa di colmata, ci hanno pensato al ministero dell’Ambiente a mettere in campo… 50 sfumature di fango. Il decreto, licenziato nell’ottobre dello scorso anno, fissa tanti e tali vincoli da rendere impraticabile e inattuabile l’operazione dragaggi nel porto di Napoli.

Napoli

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VOCE DEL VERBO DRAGARE Normative anacronistiche, perimetrazioni folli di siti da bonificare senza avere i soldi (dai 4 ai 5 miliardi) e i mezzi per farlo. Così il paese sta uccidendo una delle sue principali risorse e la porta attraverso le quali raggiungere i mercati internazionali.

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na normativa uniforme per tutti i porti italiani, una ridefinizione delle aree Sin (Siti di interesse nazionale) che con i vincoli che ciò comporta coprono oggi più del 60% degli spazi portuali italiani, l’adozione di misure e di programmi operativi semplificati in linea con i progressi scientifici che sono stati compiuti in questo campo anche nella definizione e catalogazione dei detriti inquinati o inquinanti. Stiamo parlando dei dragaggi, ovvero di quelle operazioni di scavo e rimozione dai fondali marini dei porti, delle sabbie, dei detriti e dei fanghi che negli anni tendono ad accumularsi esino a impedire la navigazione e a mettere le navi a rischio di incaglio. Semplicissimo? No. Ovvero era semplicissimo per gli imperatori romani che puntualmente facevano dragare il porto di Ostia o l’esagono di Fiumicino. Lo era per i Medici che avevano cura del

porto di Livorno. Era ed è semplice per la maggior parte degli scali marittimi del mondo nei quali l’attività di dragaggio è considerata una procedura di ordinaria amministrazione, come rifare l’asfalto sulle strade o verificare che i binari siano bene imbullonati alle traversine. Ma in Italia non è così. Scelte amministrative compiute in successione specie in seno al ministero dell’Ambiente, hanno trasformato i fondali dei porti in campi minati, in aree intoccabili dove anche il solo spostamento di un metro cubo di fango avrebbe potuto generare un disastro ambientale. Nella logica del “mi metto al sicuro da rischi giudiziari futuri e da contestazioni” le normative del ministero dell’Ambiente hanno prima trasformato il materiale da dragaggio in rifiuti, quindi da trattare con la stessa logica dei rifiuti pericolosi di terra (persino con una sorta di raccolta differenziata), quindi hanno trasformato il

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50% dei grandi porti italiani in aree marine protette, dove non si potevano e non si possono imuovere fanghi, detriti o sabbie, se non si effettua la bonifica dell’intera zona a rischio inquinamento. E il perimetro di queste aree presunte inquinate assorbe tutte le aree e gli specchi acquei di porti come Napoli o Taranto o Piombino”- Non solo: per bonificare questi siti sarebbero necessari dai 4 ai 5 miliardi che…non ci sono. Risultato: giorno dopo giorno i porti si interrano, sui fondali che salgono verso il pelo dell’acqua si accumulano fanghi, sabbie, detriti con una conclusione fatale: le navi non possono più entrare. E non solo le grandi navi che ormai

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rappresentano la maggioranza nelle flotte delle compagnie di trasporto container o in quelle che gestiscono i traffici di grandi rinfuse (carbone, cereali, minerali di ferro), ma anche le navi che sino a ieri accostavano regolarmente alle banchine e che ora rischiano di restare imprigionate delle secche. I fondali della maggior parte dei porti nel mondo tendono a interrarsi, alzarsi e impedire quindi l’ingresso delle navi la cui parte immersa risulta maggiore rispetto ai metri di acqua disponibili per il transito della nave stessa. In un mercato marittimo in cui tutti i grandi gruppi si sono orientati verso l’utilizzo di navi giganti, il problema diventa un aut aut:

o disponi dei fondali (pescaggi) necessari per fare entrare, accostare alla banchina e manovrare queste navi o sei fuori mercato. E in effetti la maggior parte dei porti italiani è già fuori mercato con la conseguente esclusione dalle linee più importanti e con danni incalcolabili per il tessuto produttivo del paese, costretto sempre di più a utilizzare porti (specie quelli in Nord Europa) distanti più di mille chilometri dalle fabbriche. Nella maggior parte dei casi sono bloccati sia i dragaggi di ordinaria manutenzione, sia quelli finalizzati a rendere le infrastrutture portuali italiane compatibili con la domanda del mercato e quindi l’uso di navi sempre più grandi, sia gli interventi nei siti


di bonifica ambientale. Norme disomogenee del ministero dell’ambiente, l’assenza di una norma unica di riferimento che fosse riconducibile al manuale Iccram ormai vecchio di oltre dieci anni, le interpretazioni soggettive delle norme da parte di Regioni e Province, e specialmente il mancato recepimento dei progressi in termini di conoscenze scientifiche relativi all’inquinamento delle sabbi o dei fanghi, stanno facendo ormai suonare da anni lugubri campane a morto su quelli che dovrebbero essere gli elementi vincenti della tanto strombazzata piattaforma logistica del Mediterraneo. La soluzione esiste (e un faccia a faccia operatori e ministero dell’Ambiente è la

conferma della gravità della partita in atto): una norma tecnica unificata del ministero dell’Ambiente che consenta anche lo sfruttamento di sabbie non compromesse da inquinamento per il rinascimento delle spiagge o per i lavori di riempimento di nuove opere portuali. Come detto, piu’ della metà dei grandi porti italiani operano in siti catalogati come SIN (Siti da bonificare), ma la perimetrazione di questi siti, delle aree realmente inquinate, di quelle da sottoporre effettivamente a bonifica ha posto questi porti in una situazione di stallo. Le bonifiche così come erano state pensate costerebbero quasi 4 miliardi con blocco prolungato dei porti. Risultato le bonifiche

non si fanno e non si sono fatte, ma anche i dragaggi sono vietati. è indispensabile e urgente riportare a dimensioni congrue i siti Sin concentrando lo sforzo di bonifica nelle aree davvero pericolose con nuovi criteri sarebbe la scelta giusta. Se invece la scelta sarà quella di non cambiare, lo scenario sarà da da day after. Nessun risanamento ambientale di porti che sono collocati nel cuore di grandi città; nessun dragaggio; nessuna nave in grado di raggiungere banchine prigioniere del fango, di detruiti e di sabbia che (come si sussurra) in molti casi è talmente prima di inquinanti da poter essere utilizzata per ricreare spiagge là dove l’erosione del mare le ha cancellate.

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DRAGAGGIO POSIZIONE COMUNE SU

DEI PORTI E AREE SIN

ente essenziale rno, sono una compon ve Considerato che: go l de i att ti en rec to anche in i porti, come riconosciu onomico italiano; i porti, circa la ità all’intero sistema ec tiv eti no della logistica e de per garantire comp pia l da a iat on tim tes cono ai porti zza nuova e operativi che impedis ici esiste una consapevole rat roc bu vi, ati rm no gli ostacoli, del mercato; necessità di rimuovere pestivo alla domanda tem e to ua za nazionale eg ad do mo ra e propria emergen ve di rispondere in a un ste esi a, rm indi da un ll’iter di rifo rittimi del paese e qu ma li indipendentemente da sca nti rta po im li; rramento di tà dei traffici mercanti rappresentata dall’inte ettamente sull’operativi dir re nei ide tra inc en e a ch li più da no fon i sco ione non rie raz innalzamento de ne ge a ltim ll’u de ti quelle gigan molte navi e non solo sione dei porti agliarsi e arenarsi; inc di io più penalizzante l’esclu porti per il risch pre sem do mo in no ma anche di già e saran iale con perdita di lavoro nd le conseguenze sono mo o tim rit ma o ffic rotte del tra italiani dalle principali dicati alla pesca to; che interessano scali de gettito per lo Sta to en am err int di i en itazione di tali o fenom , per la conseguente lim co analogo allarme suscitan uti na o ort dip al ed stica navale marittima, alla cantieri munità locali; e rilievo anche per le co nd gra attività, spesso di ta da: dragaggio sia to sopra è determina talora impediscono il e e che la causa di quan no ita lim e ch li co i indispensabili ficoltà e i vin ti straordinari, diventat en • l’impossibilità, le dif erv int r pe e ion rag a maggior nell’attività ordinaria, sia container; e operano nel mercato anica, basata su ch rti po i ad esempio per ggio incompleta e disorg ga dra da e ial ter ma l dei sedimenti; stione de ll’effettiva pericolosità • una normativa sulla ge da e nd sci pre e ch ivo le (SIN) e in te cautelat siti di interesse naziona me un approccio meramen co li na zio na rti po i ente inquinati; il 50% de rifiche dettagliate) altam • la definizione di oltre ve e e ch tifi en sci e rov mai attuata; (senza rip ostenibili e comunque quanto tali considerati ins sti co n co le ba glo i fondali del a bonifica dei materiali scavati da zzo • l’obbligo teorico di un tili riu il r pe nti ere co ative non • l’applicazione di norm porto; RNO ni INVITANO IL GOVE rà alla progressiva le scriventi associazio za nazionale che porte en erg ’em un a te ron siamo dif 1) A prendere atto che izionabile dalle italiani. rti po i ers tutti i porti e non cond r chiusura di div pe a lid va e rm ifo un normativa 2) Varare da subito una ali. gole amministrazioni loc sin i porti inseriti in lle de e ettuate sui fondali de scelte applicativ eff e ch rifi ve e i gg ora rivano alle aree di monit ica e i vincoli che ne de 3) Stabilire, sulla base nif bo di ori lav i re ive di circoscr aree Sin, criteri al fine io. . ate ti più urgenti di dragagg realmente inquin priorità per gli interven lle de a pp ma a un nto 4) Mettere a pu Assoporti Roma, 19 febbraio 2015

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Federazione del mare

Federagenti


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Accessori e capi moda dal mondo partenopeo

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MADDALENA PIGNATIELLO Icon, serie di illustrazioni stampate su tela, ispirate ai personaggi di celebri cartoni animati e film. www.jsign.info

design

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di Maria Giovanna Abagnale

Alla scoperta di Napoli

Museo Capodimonte

Romeo Hotel Napoli

La blogger Maria Giovanna Abagnale ci guida in un tour attraverso la “sua” città. Tra ristoranti imperdibili, mercatini dove scovare pezzi rari, suggestive vie che raccontano antiche storie e angoli di internazionalità, un viaggio nella Napoli che non immagini

apoli è una città dalle mille sfaccettature. Spesso vengono mostrati soltanto i suoi aspetti negativi, per questo motivo io voglio parlarvi della mia Napoli, quella vera, quella che si vive quotidianamente e che offre tanta bellezza divisa tra luoghi, attrazioni, shopping e gastronomia. La tradizionale giornata napoletana non può iniziare senza il caffè... E dove prenderlo, se non in uno dei bar più rinomati e conosciuti della città? Mi riferisco allo storico Gambrinus, situato a piazza Trieste e Trento, a pochi passi dal Teatro San Carlo e dalla Galleria Umberto I. L’antico caffè è posto in una posizione strategica. In pochi minuti si arriva in Via Toledo, una delle principali mete fashion della città, dove si trovano negozi come Zara e H&M, perfetti per lo shopping low cost. In direzione opposta, invece, c’è Via Chiaia che, assieme a Via dei Mille,

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Cafè Gambrinus

costituisce una zona di shopping d’élite, circondata da importanti monumenti, edifici e chiese. Ma Napoli non è solo questo. Numerosissimi sono i mercatini presenti nei vari “rioni” di città e provincia. Uno dei miei preferiti è quello di Resina, in provincia di Ercolano, dove si trovano capi vintage e pelletteria nuova e usata. Per quanto riguarda invece la gastronomia, a Napoli si possono scovare posticini caratteristici in ogni angolo della città. La pizza per eccellenza la si mangia ai Tribunali; io vi suggerisco di scegliere tra Sorbillo, Di Matteo e Michele. Se invece volete provare la cucina partenopea in modo alternativo e divertente, dovete assolutamente passare da Nennella, un’antica trattoria dove lo staff vi intratterrà facendovi ridere a crepapelle, tra una battuta e uno scherzo in dialetto napoletano, ma soltanto se non siete permalosi! Se il vostro è un


Maria Giovanna Abagnale, nata in provincia di Napoli nel 1989, è una studentessa all’Università degli Studi di Napoli Federico II, laureanda al corso di Culture Digitali e Comunicazione alla Facoltà di Sociologia. Fashion writer per diversi magazine e blog, nel gennaio

2012 apre myglamourattitude.com, blog di moda femminile, outfit, post editoriali, lifestyle e viaggi, sempre in classifica tra i 50 migliori blog italiani. Da allora ha partecipato a tutte le Fashion Week di Milano Moda Donna, assistendo a uno svariato

numero di sfilate di alta moda e specializzandosi sempre più in questo settore. Attualmente porta avanti il suo lavoro di marketing e advertising con l’aiuto del suo team, collaborando con aziende nazionali e internazionali di abbigliamento, accessori e cosmetica.

viewpoint

BIOGRAFIA

MAG - Men's Art Gallery

animo romantico, scegliete un ristorante sul lungomare che affaccia su Castel dell’Ovo, oppure a Mergellina, e infine, per chi ama i sapori orientali, l’Hotel Romeo, valutato da Conde Nast come uno dei nuovi migliori hotel del mondo con vista mozzafiato sul golfo, il Vesuvio, l’isola di Capri e la Costiera Sorrentina; qui trovate il miglior Sushi Bar e Restaurant della città! Altri posti carini e insoliti che potete trovare a Napoli sono: la Birdy’s Bakery, un vero e proprio angolo di New York, un ambiente confortevole e familiare dove assaggiare qualche dolcezza e trascorrere un po’ di tempo in totale relax, la Fonoteca, nata come negozio di dischi al Vomero e diventato uno dei luoghi più in voga della città dove ritrovarsi per bere un drink, assaggiare piatti unici e acquistare qualche vinile, e il MAG - men’s art gallery, un bar che offre la possibilità

di esporre opere di pittura, scultura, fotografie e tanto altro a giovani artisti in cerca di visibilità. Avete visto quanto offre Napoli? Quanti posti ci sono nel cuore di questa città? E ancora non vi ho elencato tutto, potrei stare qui a parlarvene per giorni… Dovrei dirvi di andare a visitare San Gregorio Armeno e i suoi presepi, di non perdervi i meravigliosi parchi del museo di Capodimonte, la Napoli sotterranea con i suoi cunicoli, e di ammirare il tramonto dalla famosa Terrazza Posillipo ma, nonostante tutto questo, non finisce qui. Napoli è tanto, tanto altro ancora. Napoli la si scopre giorno dopo giorno e piano piano la si inizia ad amare, così tanto da non poterne più fare a meno. D’altronde, come disse lo scrittore Goethe, “vedi Napoli e poi muori”. Perché, senza dubbio, è la città più bella al mondo. Dopo averla vista, non c’è bisogno che tu faccia altro…

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FAR WEST Dal nord ovest, pochi segnali positivi sullo stato di avanzamento delle infrastrutture strategiche. Fra le opere in corsa, ed è tutto detto, c’è il Terzo Valico. Bloccati i cantieri sulla Arcisate Stabio. In ritardo anche le tratte autostradali in costruzione e le nuove tangenziali di Milano e Torino

a

ssolombarda, Confindustria Genova e Unione Industriale di Torino hanno presentato, in occasione della Mobility Conference Exhibition, il rapporto dell’Osservatorio Territoriale delle Infrastrutture del Nord Ovest. Più ombre che luci sullo stato di avanzamento e sui cantieri delle nuove opere, che nella stragrande maggioranza dei casi segnano il tempo. Basti pensare (come verificabile nelle tabelle di sintesi) che il colore verde (opera che procede senza soverchi intoppi) è attribuito al Terzo valico: un secolo fa il primo progetto. Il Rapporto è da quest’anno arricchito proprio con le informazioni inerenti il monitoraggio e l’analisi dei progetti ricadenti in tre nuovi sistemi infrastrutturali: il sistema dei valichi, quello degli aeroporti e quello dei centri intermodali presenti nei territori delle tre regioni. Questi sistemi vanno a integrare quelli già oggetto di monitoraggio: il Corridoio Mediterraneo, il Corridoio Reno-Alpi, il sistema portuale ligure, il sistema pedemontano, i nodi metropolitani di Milano, Torino e Genova, il sistema di accessibilità a Expo 2015.

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infrastrutture

Il Rapporto 2014 sui tempi di attuazione delle opere pubbliche sottolinea, fra l’altro, come il tempo di attraversamento, cioè il lasso di tempo necessario per transitare da una fase procedurale alla successiva, rappresenti in media il 42% dei tempi di attuazione di un’opera pubblica; e il valore sale al 61%, se si considerano unicamente le fasi della progettazione (preliminare, definitiva, esecutiva) e l’affidamento lavori. Nel 2014 solo quattro sedute del CIPE hanno riguardato progetti infrastrutturali tra cui, rispetto a quelli di interesse per il Nord Ovest, si segnalano la Pedemontana Lombarda, la linea metropolitana 4 di Milano e la ferrovia Arcisate-Stabio. Sul fronte delle risorse, il fondo infrastrutture viene alimentato con 3,9 miliardi derivanti dalla revoca di finanziamenti di altri interventi e dal fondo di sviluppo e coesione. Tuttavia, solo il 12% del totale (455 milioni) è spendibile nel triennio 2014-2016, mentre il restante 88% sarà spendibile solo dal 2017 al 2020. Inoltre, viene confermato l’orientamento del Governo di individuare le priorità e i tempi di avvio dei cantieri, pena la revoca dei finanziamenti. Per quanto concerne le

opere prioritarie per il Nord sono finanziati: • per 25 milioni il completamento della copertura del passante ferroviario di Torino e per 30 milioni l’autostrada Venezia-Trieste, purchè cantierabili al 31 dicembre 2014; • per 90 milioni un lotto costruttivo della linea AV/AC Verona-Padova, per 15 milioni il completamento dell’asse viario LeccoBergamo, per 29 milioni la messa in sicurezza della ferrovia Cuneo-Ventimiglia, per 72 milioni il completamento dell’autostrada Torino-Milano e per 200 milioni il Terzo Valico dei Giovi sulla linea ferroviaria Milano-Genova, purchè appaltabili entro il 31 dicembre 2014 e cantierabili entro il 30 giugno 2015; • per 270 milioni il tunnel ferroviario del Brennero, per 100 milioni la metropolitana di Torino, per 80 milioni la Pedemontana Piemontese e per 210 milioni la strada statale Regina lungo la sponda occidentale del lago di Como, purchè appaltabili entro il 30 aprile 2015 e cantierabili entro il 31 agosto 2015. BREBEMI Nel corso del 2014 è stata inaugurata la Brebemi (autostrada Milano-Brescia),


La Brebemi nel sistema infrastrutturale lombardo

anche se permangono criticità rispetto ai collegamenti con il sistema autostradale esistente, completato il potenziamento della strada Rivoltana e di una prima tratta della strada Cassanese di adduzione della nuova autostrada a Milano. Proseguono i lavori, secondo le attese del Rapporto 2013, sulla tratta AV/AC TreviglioBrescia, sul Terzo Valico e sulla Torino-Lione (galleria geognostica della Maddalena); sono in corso i cantieri sulla tangenziale est esterna di Milano, sono ripresi i lavori di completamento del prolungamento a sud della linea 1 della metropolitana torinese e avviati i cantieri per il collegamento ferroviario tra il terminal 1 e il terminal 2 di Malpensa e per il completamento della tangenziale Nord di Milano (Rho-Monza). Presentano invece ritardi i lavori sulle autostrade Torino-Milano e Asti-Cuneo, sulla Pedemontana Lombarda, su alcune opere del nodo stradale e autostradale milanese (Paullese) e genovese (gronda di Ponente, nodo di San Benigno), sulle linee ferroviarie di raddoppio del Ponente Ligure e del nodo di Genova, nonché sull’avanzamento delle linee di metropolitana già avviate a Milano e Torino. Medesime criticità si sono

riscontrate nella realizzazione delle opere infrastrutturali del sistema portuale ligure. Bloccati i cantieri sulle ferrovie ArcisateStabio, completate dalla parte svizzera e bloccate per la “presunta presenza di veleni” dalla parte italiana... Rispetto alle progettazioni, sono state concluse quelle per la ferrovia Torino-Ceres, per la galleria geognostica di Saint Martin, per la parte relativa al tracciato del tunnel ferroviario Torino-Lione, per la strada Magenta-Tangenziale Ovest di Milano. Prosegue nel rispetto delle tempistiche quella della tratta AV/AC Brescia-Verona e sono stati conferiti gli incarichi per la linea 2 della metropolitana di Torino, per il tunnel viario di collegamento fra le autostrade Torino-Piacenza e TorinoMilano e per il lotto Masserano-Ghemme della Pedemontana Piemontese. Si registra invece uno slittamento nell’approvazione dei 12 progetti per la tratta transfrontaliera della nuova linea ferroviaria alta capacità Torino-Lione, e per la Gronda di Ponente sul nodo autostradale di Genova. Hanno assunto ormai un preoccupante arresto i numerosi progetti ferroviari già segnalati nel precedente rapporto: le

connessioni al tunnel del Gottardo (per cui si sta procedendo con adeguamenti e ammodernamenti tecnologici e delle sagome), il nodo di Novara, il collegamento da nord a Malpensa, il potenziamento Rho-Gallarate, la ferrovia Milano-Mortara. Analogamente, nessun progresso si evidenzia per la Variante alla strada statale del Sempione, per la quarta corsia della Tangenziale di Torino, per l’asse di Corso Marche di Torino e per le strade Vanzaghello-Samarate e Variante del Sempione di accessibilità a Malpensa. TORINO-LIONE Mentre per la linea Torino-Lione permangono i problemi di sempre, per la tratta Brescia-Verona della linea AV/ AC Milano-Verona si attende l’effettiva assegnazione da parte dello Stato delle risorse per l’avvio del primo lotto costruttivo per 768 milioni di euro e, a seguire, delle risorse per la realizzazione dei successivi lotti. Inoltre, a seguito della Conferenza dei Servizi di novembre, è necessaria l’approvazione del progetto definitivo da parte del CIPE e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della relativa delibera.

infrastrutture

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Porto di Genova

Il progetto per l’Alta Velocità tra Venezia e Trieste è molto costoso (7,4 miliardi di euro stimati) e non sembra poter essere messo tra le priorità fino a che non saranno completati i lavori tra Milano e Venezia. Questa linea sconta anche la mancanza di un bacino d’utenza paragonabile a quello esistente sulla linea tra Milano, Verona e Venezia. Critica anche la situazione per le autostrade: tra i motivi principali che finora hanno impedito ad Autovie Venete di chiudere un contratto di finanziamento con gli istituti bancari per il completamento della terza corsia della A4 c’è la scadenza della concessione fissata al 2017. La brevità, dunque, del periodo a disposizione. Per il 2015 sono attese – sottolinea il Rapporto – la creazione ufficiale del nuovo soggetto promotore italo-francese, che avrà la direzione strategica e operativa della Nuova Linea ferroviaria Torino Lione, l’approvazione del progetto definitivo di questa linea, il proseguimento dei lavori sulla tratta Treviglio-Brescia e l’avvio dei cantieri del primo lotto costruttivo della tratta Brescia-Verona della linea AV/AC Milano-Verona, e il completamento e la definizione del progetto esecutivo per la sezione tra Verona e Vicenza. I primi cantieri

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infrastrutture

dovrebbero riuscire ad iniziare i lavori entro la fine dell’anno. TERZO VALICO Per quanto riguarda il Terzo valico dei Giovi (nuova linea di valico tra Genova e Novi Ligure-Tortona), il progetto definitivo (per una tratta di 54 chilometri, 39 dei quali in galleria) è stato approvato dal CIPE il 29 marzo del 2006 per un importo complessivo pari a 5.060 milioni di euro. Il CIPE, nella seduta del 18 novembre 201,0 ha autorizzato l’avvio della realizzazione del primo lotto costruttivo dell’opera (su un totale di sei), il cui costo a vita intera è stato aggiornato a un importo complessivo di 6.200 milioni di euro. Gli interventi sono articolati su sei lotti costruttivi; al riguardo sono già operativi i primi due, per un valore di 1.360 milioni di euro. Al termine del 2014, è stata contrattualizzata una tranche del terzo lotto costruttivo per circa 200 milioni di euro, in funzione dei finanziamenti previsti dal Decreto “sblocca Italia” n. 133/2014 (circa il 15% rispetto al valore complessivo delle “opere strategiche”, ma solo il 3% rispetto al costo totale dell’opera), che saranno disponibili in tre tranche: 30 milioni nel 2015, 150 milioni nel 2017 e gli ultimi 20 milioni nel 2018, e comunque solo

dopo che saranno spesi i contributi per i primi due lotti costruttivi, peraltro in ritardo in base al cronoprogramma inizialmente indicato. Le criticità maggiori sono prevalentemente concentrate nella copertura dei costi relativi alla realizzazione del Terzo Valico dei Giovi, che risulta la tratta di competenza italiana più impegnativa e onerosa per la complessità degli interventi. Le delibere CIPE del 18 novembre 2010 e dell’11 novembre 2011 hanno consentito l’avvio dei lavori del primo lotto, cui seguirà quello del secondo lotto, già integralmente finanziato. A dicembre 2014 è stata contrattualizzata anche una tranche del terzo lotto costruttivo per 200 milioni di euro, tuttavia detti finanziamenti saranno disponibili in tre tranche di cui l’ultima nel 2018. Rimangono da coprire, nei successivi atti di determinazione degli investimenti pubblici in infrastrutture ferroviarie, i successivi lotti necessari per il completamento dell’opera. I progetti di potenziamento delle connessioni al nuovo traforo del Gottardo sono di fatto rallentati per la mancanza delle risorse necessarie alle attività progettuali e realizzative. Nel 2015 dovrebbe partire il secondo lotto.


FS Ponente ligure Meno confortanti le indicazioni sul raddoppio della linea ferroviaria nelle province di Imperia (tratte S. Lorenzo al mare–Andora, di circa 19 km, per un investimento complessivo di 670 milioni di euro e Andora–Finale Ligure, di 32 Km, per un investimento complessivo di 1,5 miliardi di euro); segmento fondamentale della direttrice mediterranea, unendo i porti di Barcellona Marsiglia e Genova, e presentando caratteristiche tecniche di potenzialità idonea a consentire un traffico ad alta capacità, la nuova linea soffre di incertezze sulla copertura finanziaria, specie per la tratta in provincia di Savona. PORTI Per quanto riguarda il sistema portuale, il 2015 dovrebbe vedere la prosecuzione dei lavori secondo cronoprogramma per la piattaforma multipurpose di Vado L., della Calata Bettolo e del riempimento tra i moli Ronco e Canepa, nonché l’avvio della gara per la realizzazione della nuova darsena di Calata Oli Minerali. Inoltre, a Genova dovrebbe essere predisposto il Piano Regolatore Portuale del porto di Genova, che sarà sottoposto all’attenzione

Pedemontana

del Comitato Portuale all’inizio del 2015, esperimento delle procedure di gara per la realizzazione della nuova diga di Sampierdarena e sviluppo iter approvativo del nuovo Piano Regolatore Portuale inclusivo della relativa V.A.S. PEDEMONTANA LOMBARDA Per la Pedemontana Piemontese, vista la rinuncia del partner privato, si prospettano nuove difficoltà sia sul piano della definizione del tracciato sia sul reperimento del finanziamento complessivo. Per la Pedemontana Lombarda vi è la necessità di avviare anche le tratte B2C-D: è in corso, su istanza della società concessionaria, la revisione del piano economico e finanziario finalizzata al riequilibrio dello stesso, anche grazie alle misure di defiscalizzazione già approvate dal CIPE. L’autostrada Asti Cuneo sconta un forte problema economico. Terzo valico

infrastrutture

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infrastrutture X

XX XX

Tangenziale est di Torino

Corso Marche di Torino

Strada provinciale Cassanese: potenziamento

Strada statale del Sempione: Variante Rho-Gallarate

Superstrada Magenta-Tangenziale Ovest

Viabilità a mare di Genova

Nodo autostradale di Genova: gronda di ponente

XX

Tangenziale di Torino (SATT): IV corsia

Tangenziale est esterna di Milano

Tangenziale Nord di Milano: potenziamento Rho-Monza

Nodi viari metropolitani

Ferrovia Arcisate-Stabio

Ferrovia alta capacità Genova-Milano-Novara (Terzo Valico appenninico) Ferrovia La Spezia-Parma (potenziamento della linea "Pontremolese") Ferrovia Genova-Ventimiglia (completamento del raddoppio della linea costiera)

Ferrovia alta capacità Torino-Lione: nuova linea LNTN

XX

XX

XX

X(lotti SegratePioltello e a rateSegrate) X (lotto Segrate-Pioltello)

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X (lotto a rateSegrate)

XX (s incoli i L : conclusi li 2014 Piol llo-M l o:

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XX (tratta Treviglio-Brescia)

XX (tratta BresciaVerona)

Ferrovia alta capacità Milano-Verona

XX

XX

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Ferrovia di connessione al Gottardo: gronda nordest (collegamento Seregno-Bergamo)

[X]

X

XX

tecnic e

XX

XX

X

politic e

CRITICITÀ

Ferrovia di connessione al Gottardo: gronda nordest (quadruplicamento Chiasso-Seregno)

Grandi assi ferroviari

Traforo di sicurezza del Frejus

Pedemontana Piemontese: A4 Santhià-Biella-Gattinara-A26 Romagnano Ghemme

XX

Pedemontana Lombarda

XX (conclusi luglio 2014)

lavori in corso

XX

X

FASE REALIZZATIVA progetto definitivo procedura di o esecutivo appalto in corso

Autostrada Torino-Milano (ammodernamento-adeguamento)

progetto preliminare

XX

proposta/ programmato

Autostrada Asti-Cuneo

Autostrada direttissima Brescia-Milano (Brebemi)

Grandi assi viari

DESCRIZIONE PROGETTO

STATO DI AVANZAMENTO DELLE PRIORITÀ INFRASTRUTTURALI DEL NORDOVEST: SCOSTAMENTI 2013-2014

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AVANZAMENTO SINTETICO

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XX

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Entro parentesi

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X

segnato lo stato di avan a ento al dice

re

( ) Il giudi o i di ri erisce all vaan a ento degli ulti i

In nero

Aggiorna ento al dice

Interporto di Torino (SITO spa): potenziamento

Interporto di Novara (CIM): potenziamento

re

Centro intermodale di Segrate: potenziamento viabilitĂ di accesso

Piattaforme logistiche intermodali

Porto di Savona

Porto di La Spezia

Porto di Genova

Porti

Linea 2 metropolitana di Torino

in rosso al dice

XX

avan a ento avan a ento in eriore alle attese sostan a i le stallo nell avan a ento

X

XX

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X

metropolitana di Torino

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metropolitana di Milano

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X (lavori di siste a ione in super icie)

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XX (su Tu igoC s no: conclusi ic 2014)

XX

metropolitana di Milano: prolungamento

X

XX (tratte Parona-Mortara e ur ana ilanese)

X (lotto a rateSegrate)

XX (s incoli i L : conclusi li 2014 Piol llo-M l o: conclusi ic 2014) XX (conclusi luglio 2014) XX (Dovera-Spino d Adda)

Linea 4 metropolitana di Milano

Linea

Metropolitane

Nodo ferroviario di Genova

X

Passante ferroviario di Torino-completamento

X

XX (tratta SP Spino d Adda)

X(lotti SegratePioltello e a rateSegrate) X (lotto Segrate-Pioltello)

XX

XX (tratta Ver e o Parona)

XX (su tratta variante di Galliate)

XX

Ferrovia Milano-Varese/Luino/Domodossola: potenziamento tratta Rho-Gallarate e raccordo per Malpensa

Ferrovia Milano-Mortara: potenziamento

Collegamento ferroviario Terminal -Terminal 2 Malpensa

Ferrovia Novara-Malpensa-Seregno: potenziamento tratta Novara-Malpensa

Nodi ferroviari metropolitani

Strada provinciale Paullese: potenziamento

Strada provinciale Rivoltana: potenziamento

Strada provinciale Cassanese: potenziamento

Strada statale del Sempione: Variante Rho-Gallarate

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AUTORIZZAZIONE AL DECOLLO

Quello che è oggi non sarà domani… Sulle piste degli aeroporti italiani soffia il vento delle privatizzazioni. In arrivo francesi (Sea), emiratini (Adr) e cinesi (Parma). Dopo il polo del nord est, che continua a sollecitare Bergamo, è ufficiale la nascita del polo toscano (Pisa-Firenze). Bologna verso la Ipo e gli aeroporti sicilaini in corsa con offerte da mezzo mondo

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La torre di controllo di Firenze

n

el 2014 il traffico aereo torna a crescere nel nostro Paese, dopo due anni di contrazione. Il sistema aeroportuale italiano ha infatti registrato, rispetto allo scorso anno, un incremento del traffico passeggeri pari al 4,5% e un aumento dei volumi di merce trasportata pari al 5%. Condizioni ottimali per dare vita al tante volte annunciato piano nazionale degli aeroporti? Forse. Peccato che, nel frattempo, la selezione degli scali aeroportuali italiani e la definizione del loro ruolo sulle rotte internazionali e nazionali le abbia già dettate il mercato, generando un quadro di settore sostanzialmente differente se non decisamente irriconoscibile rispetto a quello di un anno addietro. Sì perchè, mai come in questo momento, dal dopoguerra a oggi la filiera aeroportuale italiana, travolta da un’ondata di privatizzazioni e da processi di integrazione

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infrastrutture

sistemica fra scali vicini, sta subendo una metamorfosi epocale, lungi oggi dall’essere definitiva. Le incertezze e recentemente le novità francesi circa il futuro assetto della Sea e del suo azionariato (specie quello pubblico che oggi fa capo al Comune di Milano), e le voci ormai ricorrenti di un ingresso di azionisti arabi (Abu Dhabi e Kuwait) in Adr Fiumicino, condizionano qualsiasi previsione sul panorama complessivo di un sistema che comunque, naturalmente, tende a polarizzarsi. Nel 2014, i passeggeri transitati nei 35 scali aeroportuali italiani monitorati da Assaeroporti sono stati 150.505.471, corrispondenti a 6,4 milioni di passeggeri in più rispetto al 2013. L’incremento del numero dei passeggeri ha interessato la quasi totalità degli scali italiani, attestando una capacità di crescita del traffico aereo in tutte le aree del Paese. E se sono veri i dati contenuti in uno studio di Aci Europe, secondo cui gli aeroporti in Europa generano nel complesso un “fatturato” di 675 miliardi di euro l’anno, pari al 4,1% del Pil europeo, la partita che oggi si sta giocando sulle piste di mezza Italia meriterebbe forse maggiore attenzione anche da parte del governo. Ecco in grande sintesi cosa sta accadendo e in parte è già accaduto. Se il fatto nuovo, che approfondiamo in seguito, è rappresentato dal via libera definitivo alla fusione fra Pisa e Firenze, e quindi alla creazione di una importante concentrazione sotto la guida di un investitore argentino, il vento della privatizzazione soffia ormai da oltre due anni sulle runaway degli scali italiani, e potrebbe diventare tempesta se nel mirino finissero anche i due poli aeroportuali storicamente più importanti, ovvero sia gli aeroporti di Milano (Sea) e quelli di Roma (ADR). SEA Il gruppo F2i ha giocato per tempo le sue carte: ha infatti scelto Ardian e C.Agricole Assurance per cedere il 49% di F2i Aeroporti, la holding che detiene le partecipazioni del Primo Fondo F2i nel settore aeroportuale, e in particolare: il 35,7% di Sea (aeroporti di Milano Malpensa e Linate), il 70% di Gesac (aeroporto di Napoli) e il 54,5% di Sagat (aeroporto di Torino). Indirettamente, queste società detengono a loro volta partecipazioni in Sacbo (aeroporto di Bergamo) e in Sab (aeroporto di Bologna). Inoltre, il Secondo

Fondo F2i detiene un ulteriore 8,6% di Sea. La cordata composta da Ardian (60%) e Credit Agricole Assurances (40%) entra con forze in un sistema, quello partecipato da F2i Aeroporti, che nel 2014 ha gestito circa 37 milioni di passeggeri (+ 4,7% rispetto all’anno precedente), corrispondente al 25% circa del traffico nazionale. Il volume d’affari aggregato di circa 900 milioni di euro. L’operazione – sottolinea una nota ufficiale - segna l’avvio di una solida alleanza strategica volta a proseguire la politica di investimento e sviluppo di F2i Aeroporti nel settore. Ardian e Credit Agricole Assurances apportano significative esperienze nel settore infrastrutturale, e aeroportuale in particolare, tramite gli investimenti realizzati, rispettivamente, nell’aeroporto di London-Luton e negli Aeroports de Paris. Il closing dell’operazione, subordinato all’autorizzazione dell’Autorità Antitrust, è atteso entro i prossimi 2-3 mesi. E in questi due o tre mesi dovrebbe anche sciogliersi il nodo relativo alla quota che il Comune di Milano detiene in Sea, anche in vista di Expo, nonchè delle scelte che saranno compiute da Ethiad Alitalia anche su Malpensa. ADR Periodo cruciale anche per ADR Fiumicino, con una certezza di fondo: il gruppo Benetton ha intenzione di cedere una quota significativa della sua partecipazione azionaria, oggi di maggioranza, a investitori internazionali. La procedura è seguita dall’advisor Lazard e prevede (da subito, poi si vedrà) la vendita di una minoranza del 30%, che sarà probabilmente suddivisa in due quote del 15 per cento. Il primo 15% pare ormai certo vada ad Adia, il fondo di Abu Dhabi presente già nell’operazione Alitalia-Etihad Airways. Fiumicino viene infatti considerato uno scalo strategico e una porta d’ingresso all’Europa sul Mediterraneo. Sul restante 15% soffiano ancora venti del deserto: il fondo del Kuwait, Wren House, braccio nel settore infrastrutture di Kia assistito da Mediobanca e Barclays, deve vedersela con l’interessamento dell’australiana Ifm. Nonostante il gruppo Benetton abbia già ceduto il 30% di Atlantia, che controlla al 95 per cento Aeroporti di Roma, la maggioranza non dovrebbe essere per ora in discussione. Anzi, fonti Adr hanno


In alto a sinistra lìaeroporto di Bergamo,, sotto quello di Palermo. A destra in alto Expo per Malpensa, sotto Etihad a Roma

ribadito che l’immissione di capitale fresco nella società servirà anche per acquistare quote di aeroporti in Italia e all’estero. Le risorse ottenute dall’investimento saranno utilizzate per acquistare quote di minoranza di altri scali non soltanto in Italia, ma anche all’estero, in una logica di sistemi che sembra ormai essere considerata coralmente quella vincente. TOSCANA E un sistema è già decollato. È quello degli aeroporti toscani, frutto della fusione fra il Galilei di Pisa e il Vespucci di Firenze, ufficializzata sia dai Consigli di amministrazione sia dai Consigli comunali delle due città. Il tutto sotto il segno del il gruppo argentino Corporacion America. Dopo aver chiuso il 2014 con i rispettivi record di traffico passeggeri (4,7 milioni di persone in transito al Galilei e 2,2 milioni al Vespucci), gli aeroporti di Pisa e Firenze

confermano il trend positivo anche a gennaio. A Peretola infatti si è registrata una crescita del 13,6% rispetto a dicembre, ma soprattutto un incremento del 18% rispetto a un anno fa. Merito del traffico internazionale: l’82% dei passeggeri che è partito o atterrato nel capoluogo toscano proveniva o era diretto al di fuori dei confini dell’Italia. E anche il load factor, ovvero la percentuale di riempimento di ogni singolo volo, è stata molto positiva a gennaio, con un incremento del 3% rispetto all’anno scorso. Stesso discorso vale per il Galilei, la cui crescita è ancor più marcata. Nel mese di gennaio sono infatti transitati dallo scalo pisano 253.588 passeggeri, il 14,1% rispetto allo stesso mese del 2014, record storico per l’aeroporto costiero. In deciso aumento anche il traffico cargo, che nel mese di gennaio registra un totale di 605.534 Kg di merce e posta trasportati (+ 261,5% rispetto

allo stesso mese del 2014). L’obiettivo è di salire dai 7 milioni di passeggeri annui attuali agli 11 nel 2029. I consigli di amministrazione delle società di gestione degli aeroporti di Pisa e Firenze, Sat e Adf, hanno dato il via libera al progetto di fusione. Attraverso un aumento di capitale, da 16 a 30 milioni di euro, Sat emetterà un pacchetto di nuove azioni ordinarie da offrire ai soci di Adf, in cambio delle loro quote della società di gestione dell’aeroporto pisano. In questo modo, di fatto, Sat assorbirà Adf, ma la sede legale della neonata società sarà a Firenze. Socio di maggioranza, con il 51,132% delle quote, sarà ovviamente il gruppo argentino Corporacion America, mentre il resto del capitale azionario sarà diviso tra l’Ente cassa di risparmio di Firenze, la Regione, la Provincia, il Comune e la Fondazione di Pisa, le Camere di Commercio di Firenze, Pisa e Prato, i Comuni di Livorno e Firenze.

infrastrutture

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L’aeroporto di Venezia

Gli obiettivi di questa fusione sono quelli sottolineati da tempo dai diversi attori in campo: costituire un sistema aeroportuale regionale “best in class” che, nel 2029, dovrebbe garantire un traffico complessivo di 11,5 milioni di passeggeri l’anno. Di questi, 7 milioni transiteranno dall’aeroporto Galilei di Pisa, mentre gli altri 4,5 milioni dal Vespucci di Firenze. A maggio del 2015 la fusione dovrebbe perfezionarsi definitivamente. Come detto, la fusione ha ottenuto anche la benedizione dei due Comuni. NORD EST Ma un sistema ancora più impattante sugli equilibri aeroportuali italiani, e con possibilità e volontà di ulteriore espansione, è quello a cui ha dato vita la Save di Venezia guidata da Enrico Marchi. Nonostante alcune incertezze che permangono sul futuro assetto azionario della stessa Save (il Fondo Amber potrebbe davvero uscire?), il sogno di un grande sistema aeroportuale del nordest è già realtà, e non è detto che anche Bergamo (frenato dalla partecipazione di Sea) decida di farne parte. Il nordest del miracolo produttivo

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infrastrutture

non funziona? Il nordest ci riprova con il miracolo aeroportuale e logistico. Ormai da quasi un anno è formalizzato l’accordo tra Save (che gestisce gli aeroporti di Venezia e Treviso), Catullo (la società di gestione degli scali di Verona e Brescia) e Camera di Commercio, Provincia e Comune di Verona (soci della Catullo spa). Save detiene il 35% di Catullo e non fa mistero della sua volontà di espandere ulteriormente questo sistema puntando su Sacbo (Orio al Serio-Bergamo). Proprio di recente, a sorpresa, Sea, società che gestisce gli aeroporti di Malpensa e Linate, ha ritirato la richiesta di sospensiva presentata al Tar del Veneto nell’ambito del processo di privatizzazione che ha visto l’ingresso di Save nel capitale di Catullo. Sulla sospensiva avrebbe dovuto deliberare a breve il tribunale amministrativo, esprimendo un parere sulla liceità dell’acquisizione del 35% di Catullo da parte di Save, senza una gara pubblica. In particolare, il gestore degli scali milanesi aveva contestato la vendita a Save della quota di Catullo detenuta dal Comune di Villafranca per la concessione aeroportuale sullo scalo bresciano di Montichiari. Il

che potrebbe anche far pensare a un appianamento dei conflitti Save-Sea su Bergamo. BERGAMO Lo scalo lombardo, per non saper né leggere né scrivere, ha intanto giocato l’asso: il rinnovo del contratto sino al 2020 con Ryanair. Contratto che significa 10 milioni di passeggeri, anche alla faccia del tanto sbandierato mini-accordo SeaRyanair per portare qualche volo irlandese su Malpensa durante l’Expo. Una partita difficile di per sé, visto che il maggior cliente di Malpensa, quell’easyJet che occupa l’intero Terminal2, ha già fatto sapere di non gradire l’arrivo dell’altra grande low cost nella brughiera del Parco Ticino. Con una guerra all’orizzonte fra low cost, tornando a Save, la prima battaglia potrebbe essere con la nuova Alitalia. Save vuole continuare a crescere “nonostante Alitalia”. È quanto afferma Enrico Marchi, presidente della società di gestione dello scalo veneziano, che non ha gradito il mancato inserimento del Marco Polo tra gli hub italiani considerati dalla compagnia di


Un 2014 in inversione di tendenza per gli aeroporti europei, che crescono del 5,4%. E in Italia si torna a parlare del Piano Nazionale… Quando i buoi sono già scappati

Anno positivo, il 2014, per gli aeroporti europei, che hanno registrato un traffico passeggeri in crescita del 5,4%. Negli scali dell’Unione Europea l’incremento è stato del 4,9%, con Paesi come Grecia, Lussemburgo, Lituania, Portogallo, Belgio, Romania e Irlanda che hanno avuto significative performance sopra la media. Ancora più sostenuta la crescita negli aeroporti non UE, con un progresso del 7,3%. Il traffico merci ha invece registrato un aumento del 3,6%, mentre i movimenti di aeromobili sono cresciuti del 2,6%. È quanto emerge dai dati diffusi da Aci Europe e dall’Airports Council International, che parla di un “buon anno” per gli scali europei. Tra i principali aeroporti, quelli del gruppo 1 con un traffico passeggeri superiore ai 25 milioni, è lo scalo di Istanbul - ormai quarto aeroporto europeo dopo Londra Heathrow, Parigi Charles De Gaulle e Francoforte - a registrare le migliori performance: +10,6%; e, anche nel gruppo 2 (passeggeri tra 10 e 25 milioni di passeggeri), è il secondo aeroporto della metropoli turca ad avere il più alto tasso di crescita: +25,4%. Nella classifica degli aeroporti con il maggior incremento di traffico, l’unico scalo italiano è quello di Napoli che, con una crescita del 9,5%, si aggiudica il terzo posto del gruppo 3 con traffico tra 5 e 10 milioni di passeggeri, dopo Basilea (+11,1%) e Lanzarote (+10,3%). Nel gruppo 4 (sotto i 5 milioni di

passeggeri), al primo posto c’è Chisinau (+34,8%), seguita da Santorini (+31,3%). Nello scorso dicembre, invece, Roma Fiumicino si piazza al terzo posto del gruppo 1 con un incremento del 9,6%, dietro Istanbul (+13%) e Madrid (+9,8%). E si torna a parlare del Piano Nazionale degli aeroporti. che prevede undici aeroporti strategici (tra cui Fiumicino, Malpensa e Venezia) e ulteriori 26 scali di interesse nazionale. Per individuare gli scali strategici, il territorio nazionale è stato ripartito in 10 bacini di traffico e per ciascuno è stato identificato un aeroporto strategico, con l’eccezione

del Centro-Nord, dove ce ne sono due. Nel bacino del Nord-Ovest l’aeroporto strategico è MilanoMalpensa, mentre sono di interesse nazionale Milano Linate, Torino, Bergamo, Genova, Brescia e Cuneo. Nel bacino NordEst è strategico l’aeroporto di Venezia, mentre sono di interesse nazionale Verona,Treviso e Trieste. Nel Centro-Nord strategici sono Bologna e Pisa-Firenze (a condizione che le toscane realizzino una gestione unica), mentre di interesse nazionale sono Rimini, Parma e Ancona. Nel Centro Italia strategico è Roma Fiumicino, mentre sono di interesse nazionale Roma Ciampino, Perugia e Pescara. Per la Campania stretegico è Napoli, mentre di interesse nazionale è Salerno. Nel bacino di traffico Mediterraneo/Adriatico è strategico Bari, e sono di interesse nazionale Brindisi e Taranto. Nel bacino Calabria è strategico lo scalo Lamezia, e sono di interesse nazionale Reggio Calabria e Crotone. Nella Sicilia Orientale è Catania di interesse strategico, mentre Comiso è di interesse nazionale. Nella Sicilia Occidentale è Palermo di interesse strategico, mentre Trapani, Pantelleria e Lampedusa sono di interesse nazionale. In Sardegna è strategico lo scalo di Cagliari, e sono di interesse nazionale quelli di Olbia e Alghero. Si parla anche di un sistema piemontese gestito da Sagat, nel quale coinvolgere anche Levaldigi.

infrastrutture

viewpoint

IN CABRATA

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bandiera. “Leggo che il nuovo ad di Alitalia, Silvano Cassano, ha dichiarato che gli hub naturali in Italia sono Fiumicino e Malpensa per il lungo raggio e Linate – spiega Marchi -. Ricordo al neo ad che in Italia ci sono 3 aeroporti intercontinentali, come stabilito dal Piano Nazionale degli aeroporti, e che da 15 anni Venezia ha avviato con successo un network di voli intercontinentali. Faccio tra l’altro notare che nel 2000 il traffico complessivo di Malpensa e Linate era 6 volte e mezzo quello di Venezia, oggi solo poco più di 3. Se quindi Alitalia vuole continuare a trascurare Venezia, noi continueremo a crescere facendo cogliere le grandi opportunità del nostro aeroporto con sempre nuove compagnie internazionali, asiatiche, statunitensi. Continueremo a crescere nonostante Alitalia, come abbiamo sempre fatto. Però, come dice il proverbio, errare humanum est, perseverare diabolicum”. Per intanto, l’aeroporto della Laguna continua a crescere: i lavori del Moving Walkway, il percorso pedonale assistito che collegherà la darsena dell’aeroporto Marco Polo di Venezia con il parcheggio multipiano e il terminal passeggeri, sono stati completati nella prima fase. L`investimento, sottolinea una nota di SAVE, la società che gestisce lo scalo, è stato di oltre 23 milioni di euro per il Water Terminal, che accoglierà i passeggeri provenienti via acqua e la galleria sopraelevata di 365 metri, con tappeti mobili che consentiranno di percorrere la distanza fino all’aeroporto in 4 minuti. Il lavori del Moving Walkway, il percorso pedonale assistito che collegherà la darsena dell’aeroporto Marco Polo di Venezia con il parcheggio multipiano e il

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infrastrutture

terminal passeggeri. L’intervento fa parte del primo blocco di opere previste nel Master Plan dell’aeroporto al 2021, che comprende altri importanti interventi quali l’ampliamento del terminal (Lotto 1), la realizzazione della centrale di trigenerazione e il potenziamento di piste e piazzali. La nuova stagione progettuale e di sviluppo del Marco Polo si apre quindi con l’avvio dei cantieri di un’opera particolarmente rilevante, grazie alla quale l’aeroporto farà un ulteriore salto di qualità in termini di adeguamento urbanistico e architettonico e di servizi ai passeggeri, che nel loro transito allo scalo potranno vivere un’omogenea e gradevole esperienza di viaggio, dalla darsena fino al gate d’imbarco, in un insieme all’altezza dei più qualificati aeroporti internazionali. Ma non è solo sui grandi sistemi che soffia il vento della privatizzazione. Ci sono anche Bologna, Catania, Palermo, Bari. BOLOGNA Il Cda di Sab, società che gestisce l’aeroporto di Bologna, sta per dare il via libera allo sbarco a Piazza Affari, con debutto tra aprile e maggio. Il flottante con cui la società aeroportuale si quoterà, spiega ancora la fonte, sarà pari a circa il 46%; mentre sotto il profilo azionario, dopo la quotazione, la Provincia di Bologna (attualmente socio con il 10%) e la Regione Emilia Romagna (azionista con l’8,8%) dovrebbero azzerare completamente la loro partecipazione. La Camera di Commercio dovrebbe ridurre la quota dall’attuale 50,55% al 35%, mentre il Comune di Bologna dovrebbe scendere all’8% (attualmente al 16,75%). B.Imi, spiega ancora la fonte, è Global Coordinator e Joint Bookrunner dell’operazione; Intermonte è Joint Bookrunner e sponsor;

Lazard è l’advisor finanziario e Lexjus Sinacta è l’advisor legale. PALERMO Autorizzazione alla privatizzazione anche per la Gesap di Palermo. La stima del valore di mercato dell’azienda GESAP dovrebbe attestarsi intorno a 190 milioni di euro. Soci di maggioranza della Gesap sono il Comune di Palermo, con una quota pari al 31,54%, la Camera di Commercio al 22,77%, la Provincia al 41,33% e il Comune di Cinisi al 3,5%. Dopo 7 anni di bilanci in perdita, il bilancio è stato chiuso con un avanzo di gestione di 1,3 milioni di euro. CATANIA Vento di tempesta per una possibile Ipo della Sac, società di gestione di Catania Fontanarossa. La convenzione di affidamento della gestione totale, stipulata tra l’Enac e la società Sac Spa il 22 maggio 2007, prevede espressamente, tra gli adempimenti della concessionaria sui quali l’Ente è tenuto a vigilare, l’obbligo di comunicare, ai fini di preventiva valutazione di compatibilità con la normativa afferente le gestioni aeroportuali, le modifiche dell’assetto organizzativo della società. Ne discende pertanto che qualunque mutamento che intervenga nella compagine sociale e/o nella natura pubblica o privata degli azionisti della società di gestione aeroportuale, deve essere tempestivamente comunicato all’Ente di Vigilanza, ai fini della verifica della compatibilità di tali mutamenti con il complesso di obblighi derivanti dal rapporto concessorio. Il quadro normativo in materia di assetto societario dei gestori aeroportuali, sottolinea l’Enac, “sembra orientarsi,


viewpoint

LE PISTE DELLA PAURA Quali sono gli aeroporti dove raccomandarsi al Signore prima di atterrare

Non ci sono aeroporti definiti “pericolosi” per l’aviazione civile, altrimenti verrebbero chiusi. E la gran parte degli incidenti sono correlati a errori umani, guasti tecnici o alle cattive condizioni meteo. Ma ci sono alcuni aeroporti definiti “mozzafiato”, con le piste che si snodano tra le scogliere o s incastonate tra i picchi alpini. Ecco l’elenco stilato dal britannico Telegraph. MADEIRA (PORTOGALLO) La sua pista, molto corta, si estende a due passi dalla scogliera stretta da un picco montagnoso. Venne estesa negli Anni ‘80, dopo l’incidente a un Boeing 727 che finì fuori pista, precipitando nelle acque e causando la morte di 131 persone. Ulteriormente ammodernata nel 2000, ora la pista è sostenuta da oltre 150 pilastri. ISOLA DI BARRA (SCOZIA) La “pista” sulla sabbia scompare ogni sera. Più che di atterraggio si parla di un vero e proprio “ammaraggio”. Gli orari dei voli sono dettati dall’alta marea.

GIBILTERRA (GRAN BRETAGNA) Anche in questo caso, la pista è delimitata dal mare. I piloti sono costretti a brusche frenate per non finire in acqua. TONCONTIN (HONDURAS) La pista di questo scalo è segnata da una collina che sovrasta la parte finale. Dal 2008 i grandi aerei non possono atterrare: quell’anno un Airbus in atterraggio è finito su una strada adiacente la pista, uccidendo 5 persone. COURCHEVEL (ALPI FRANCESI) È certamente una delle piste più affascinanti del mondo: corta, ripida e inclinata di diversi gradi, si staglia tra i massicci alpini. La pista è progettata per far rallentare gli aerei in atterraggio. PARO (BHUTAN) Al pari del cugino francese, lo scalo di Paro è letteralmente sovrastato dai picchi himalayani. Fino a poco tempo fa, solo 8 piloti in tutto il mondo avevano l’autorizzazione per l’atterraggio, che

richiede un vero e proprio slalom tra le vette prima di arrivare in vista dello scalo. QUITO (ECUADOR) Lo scalo sorge nel centro della popolosa capitale, a quasi 3.000 metri di altezza.É circondato da montagne, vulcani attivi e una valle nebbiosa. La pista è poi accidentata. ST MAARTEN (CARAIBI) La spiaggia di Maho è divenuta una delle maggiori attrazioni dell’isola. Gli aerei in arrivo allo scalo Princess Juliana sorvolano le acque cristalline prima di atterrare sulla pista, sfrecciando a una decina di metri dai turisti con la testa all’insù. KAI TAK (HONG KONG) Entrato nella leggenda per i numerosi sorvoli sulle aree residenziali prima di arrivare alla pista e per la curva a 90° prima di estrarre il carrello, il Kai Tak di Hong Kong ha scatenato la furia dei residenti per anni. Dopo alcuni incidenti, è stato chiuso nel 1998.

infrastrutture

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nell’attuale fase storica, affinché le amministrazioni favoriscano e agevolino la privatizzazione delle società di gestione consentendo un utilizzo delle limitate risorse pubbliche nei settori indispensabili alle esigenze della collettività. A riprova del favore del legislatore verso la privatizzazione delle società occorre segnalare che il Piano Nazionale degli aeroporti, in corso di approvazione, prevede che la sua adozione è finalizzata, tra l’altro, all’individuazione delle priorità infrastrutturali su cui concentrare gli investimenti ai fini di una maggiore allocazione delle risorse disponibili attivando altresì capitali privati”. Sac ha competenza anche sull’aeroporto di Comiso. Aeroporti di Puglia a privatizzazione lenta. Per ora fa notizia il raddoppio dell’aeroporto di Bari. GENOVA Se Forlì, Rimini e altri piccoli navigano a vista, una never ending story è quella di Genova. L’Avvocatura dello Stato ha dato il via libera un anno fa alla vendita ai

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privati dell’80% dell’aeroporto Cristoforo Colombo di Genova. Ma non è detto che ciò acceleri l’iter della privatizzazione di cui si parla da anni. Attualmente la società di gestione è controllata al 60% dall’Autorità portuale e partecipata al 25% dalla Camera di Commercio e al 15% da Aeroporti di Roma. Authority, ente camerale e Adr avevano chiesto parere all’Avvocatura per una vendita congiunta dell’80% che mantenesse in mano pubblica la società aeroportuale. La privatizzazione era già stata tentata 3 anni fa, ma il bando andò deserto. Questa volta le condizioni sono diverse. Come già annunciato dal presidente dell’autorità portuale, Luigi Merlo, il bando non conterrà più le clausole pubbliche che avevano “gravato” la prima procedura, dissuadendo i privati. Quando fu messo in vendita il 60% dell’Authority, infatti, ci furono 5 manifestazioni di interesse (il fondo F2i di Gamberale, gli argentini di Corporation America, i francesi di Vinci, i turchi di Limak Yatirim), ma nessuno presentò un’offerta vincolante proprio per

la presenza di quelle clausole. E poi i botti a sorpresa. PARMA Tra i 17 accordi, per un valore complessivo di 8 miliardi, che sono stati siglati tra Italia e Cina - in occasione della visita del primo ministro Li Keqiang - figura anche quello per l’aeroporto Verdi di Parma. Lo scalo nel 2013 ha contato solo 196mila passeggeri, e da anni è in forte crisi. Ancora a metà settembre la liquidazione sembrava la soluzione più probabile. Se non si fosse presentato alcun investitore, l’assemblea degli azionisti il 14 ottobre avrebbe decretato la chiusura. Ma il 14 ottobre a palazzo Barberini a Roma, in presenza del premier cinese Li Keqiang e del presidente del Consiglio Matteo Renzi, è stato firmato un importante accordo tra la società cinese Izp Technologies e la Meinel Bank, che prevede l’acquisizione del pacchetto di maggioranza della società di gestione dell’aeroporto di Parma, lo sviluppo dell’infrastruttura aeroportuale e la creazione di un grande polo logistico.


moda in sella Accessori fashion e pratici per cavalcare in sicurezza

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fashion

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Jump, jump

m

igliaia di praticanti, centinaia di camion (pardon, van) che ogni weekend raggiungono i luoghi dei concorsi: il “circo” dello show jumping, pur mutilato dalla crisi, continua a registrare in Italia una crescita contrappuntata anche dallo sviluppo e dal miglioramento qualitativo di centri ippici . Ed è in questo quadro che si colloca lo “sbarco” di Fieracavalli a Milano, in una piazza non facile anche se baricentrica rispetto ai circoli ippici e a gran parte delle sedi dei principali cavalieri. Piazza nella quale, con successi discutibili, Fiera Milano aveva tentato anni addietro di sferrare un attacco concorrenziale proprio a Fieracavalli, oggi unico appuntamento fieristico di rilievo internazionale del settore equino, che si svolge ogni anno in autunno a Verona. Dalla collaborazione tra Fiercavalli e il gruppo Morali & C è nata la prima edizione di “Milano Winter Show”, concorso internazionale di salto ostacoli ospitato per l’edizione 2015 dal centro sportivo di Vermezzo, a due passi da Milano. Culminata con il Grand Prix “Porsche”, la prima edizione di Milano Winter Show, concorso indoor targato Morali & C. e Fieracavalli, ha registrato la supremazia assoluta del cavaliere belga Wilm Vermeir, tallonato da una delle più sicure promesse dell’equitazione italiana, il giovanissimo Roberto Previtali. Ma a vincere è stato anche il Pala Show Jumpers di Vermezzo, sul quale il gruppo Morali ha investito come forse non era mai

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sport

Con Milano Winter Show, la prima volta di Fieracavalli lontano da Verona, in joint con il gruppo Morali. Nel mondo dei cavalli da salto si fanno spazio i fondi investimento… E con cavalli milionari ben gestiti la redditività può raggiungere anche livelli record del 300%

accaduto in nessuna altra struttura di concorsi in Italia, non casualmente convincendo Fieracavalli, alla sua prima sortita fuori dalle mura amiche del quartiere fieristico scaligero. Da oltre un secolo, Fieracavalli è la vetrina dei migliori brand del settore, nonché suggestivo palcoscenico di spettacoli di arte equestre e teatro di importanti concorsi internazionali. Da 14 anni, infatti, la quattro giorni veronese ospita l’unica tappa italiana della Longines FEI World CupTM. Ma quello dei cavalli da salto è anche un grande mercato. Secondo un recente rapporto di Credit Suisse, un mercato in piena espansione. Oltre all’Europa e al Nord America, lo sport con questi quadrupedi calamita sempre più l’interesse anche di

Asia, Russia e Sudamerica. Al tempo stesso diminuiscono però gli accoppiamenti, per cui si ha un’offerta ridotta a fronte di una domanda contestualmente in crescita. I cavalli saltatori di gran pregio possono fruttare non di rado rendimenti superiori al 10 per cento, ma ci sono aspetti a cui prestare particolare attenzione nell’investire in cavalli da salto. Un investimento ad alto rischio, perché compiuto su un essere vivente, ma un investimento che può procurare rendimenti fra il 10 e il 300%. Finora il fondo internazionale d’investimento in cavalli da salto Equi Future Champions (EFC), di cui Holger Hetzel è gestore, è riuscito a superare ampiamente il suo obiettivo di un rendimento annuo del 10 per cento. Negli ultimi 24 mesi mi sono noti numerosi investimenti in cavalli saltatori di gran pregio, con i quali sono stati realizzati rendimenti che oscillano tra il 10 per cento e, in casi eccezionali, il 300 per cento. Naturalmente vi sono anche esempi di investimenti sbagliati davvero eclatanti. Secondo la banca svizzera, prima di assumere una decisione è quindi tanto più importante come investitore ricorrere ai servizi di uno specialista qualificato. “Bisogna rivolgersi a persone competenti e affidabili e occorre anche riflettere se investire in un solo cavallo da salto o in più saltatori, acquistando ad esempio partecipazioni e frazionando così il rischio”. Un esempio di questo modello è il già menzionato EFC, gestito da BBDL Baumann &


La giovane promessa dell'equitazione italiana, Roberto Previtali, classificatosi secondo al Gran Prix del Milano Winter Show

Partner di Lussemburgo, costituito due anni fa. Oggi il fondo ha in portafoglio numerosi cavalli prestigiosi. I suoi promotori hanno identificato per tempo l’andamento del mercato, e si sono affacciati in un momento ottimale sul comparto realizzando con le vendite un ottimo rendimento. Le ingenti somme che oggi vengono pagate per cavalli da salto di primissima qualità sono riconducibili non da ultimo alle invitanti opportunità di guadagno in occasione dei grandi concorsi ippici che si tengono fine settimana dopo fine settimana, con montepremi oscillanti tra 350.000 e 1,2 milioni di franchi. “Per poter partecipare a queste competizioni occorrono senz’altro cavalli di prima categoria, che sono oggetto di una ricerca frenetica”, sottolinea Holger Hetzel all’interno del rapporto di CS. Gli animali che si possono utilizzare subito a

questo livello costano in genere tra 600.000 e 6 milioni di franchi. Insider ritengono che Wallach Palloubet d’Halong, venduto in autunno dallo svizzero Georg Kähny per l’astronomica cifra di 13,5 milioni di franchi all’olandese Jan Tops, non rimarrà a lungo il solo cavallo da salto a spuntare un importo milionario a due cifre. “Dieci anni or sono la vendita di un cavallo per un milione era una notizia da prima pagina. Oggi è un evento che passa del tutto inosservato”, fa presente Hetzel. Per i potenziali acquirenti, i cavalli da salto in assoluto più interessanti hanno un’età compresa tra i quattro e gli otto anni. “Un cavallo giovane ha costi ancora abbordabili e dai quattro anni in poi può essere addestrato intensivamente, aumentandone il valore, senza trascurare che in un animale di questa età si possono già identificare molti dei fattori che ne determineranno la quotazione,

mentre non è ancora così con un puledro o un cavallo di uno-tre anni”. Naturalmente, a dispetto della situazione di mercato favorevole, il valore di un cavallo saltatore non aumenta da solo. A monte del rendimento c’è il duro lavoro di allenatori, cavalieri e varie altre persone, ciò che spiega il notevole costo per mantenere un cavallo da salto. “Bisogna calcolare tra i 18.000 e i 24.000 franchi all’anno”, afferma Holger Hetzel. Ma è un investimento che premia. Nonostante gli elevati costi di acquisto e mantenimento, gli investimenti in cavalli da salto non sono un’opzione riservata soltanto a una clientela ricca. “Anche i lavoratori a reddito medio possono investire così il loro denaro, partecipando ad esempio a un fondo o a un singolo cavallo saltatore di pregio”, spiega lo specialista Hetzel. È un modello che trova impiego anche nel gioco del calcio.

sport

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CORPO O MENTE?

In sport molto particolari, la ricerca dell’equilibrio Fitness calistenico

Contro la gravità

La chiave è lo sfruttamento del peso del corpo e della forza di gravità. Questo tipo di allenamento permette al corpo di acquisire forza e vigore, nonché di guadagnare miglioramenti sia estetici che della performance fitness. Questo workout determina un lavoro molto intenso a livello cardiocircolatorio e respiratorio, efficace per mantenere una buona forma fisica, dimagrire e creare armonia muscolare. Si chiama fitness calistenico, da Kalos (bello) e Sthenos (forza). Per praticare questo allenamento si può fare tranquillamente a meno dei numerosi e sofisticati macchinari esistenti nelle sale pesi, in quanto si tratta dell’esaltazione del movimento, dal più semplice al più complesso, tramite un unico strumento: il corpo. Nel calisthenics non si può sviluppare forza senza contemporaneamente incrementare coordinazione e tecnica, non esiste possibilità di sviluppare resistenza senza avere prima migliorato i livelli di forza. Il training. L’allenamento calistenico è una forma di lavoro molto impegnativa, ma ha il vantaggio di poter ssere calibrato sulla base delle caratteristiche e delle preparazioni atletiche individuali. Una volta acquisite le qualità motorie, si combinano gli esercizi tra loro, realizzando così delle sequenze che interessano i vari distretti anatomici. Superata anche questa fase, si possono introdurre movimenti di tipo esplosivo, ottenuto con carichi minimi ed esecuzioni molto rapide. La regola imprescindibile resta sempre quella di allenarsi in maniera intelligente e progressiva.

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sport

Krav fit

Da Israele con furore

Il Krav Fit , una nuova tecnica di allenamenti per modellare il corpo, deriva dal Krav Maga, la micidiale arte marziale di origine israeliana. E in effetti la versione fit, dell’originaria tecnica di autodifesa e di auto offesa, continua a conservare i tratti fondamentali, come quello di poter essere applicata in casi di emergenza predisponendo corpo e mente a reagire nel modo corretto allo stress, provocato ad esempio da un attacco o da un’aggressione. Krav Fit ha combina Krav Maga e allenamento fitness e ha formato polizia e militari, insieme a una varietà di gruppi civili e organizzazioni. Il centro di formazione Krav Fit ha più programmi per soddisfare le esigenze di formazione dei suoi membri, continuando a fornire a civili, bambini, forze dell’ordine, militari e organizzazioni gli strumenti necessari per proteggere se stessi e le loro famiglie, il tutto migliorando i livelli di salute e fitness in generale. Krav fit si presenta come un allenamento piuttosto semplice da imparare, con coreografie che sembrano di danza ma che sono mirate a migliorare la tonicità e la reattività di talune fasce muscolari. Non si ha la percezione di utilizzare tecniche di autodifesa, né di essere impegnati in tecniche di arti marziali. Eppure i movimenti, man mano che si sviluppa il controllo, diventano esplosivi. Dal punto di vista fitness, questa tecnica consente di dimenticare lo sforzo, diverte e migliora in modo decisivo equilibrio e coordinazione.


Parkour

La via più breve Il parkour, abbreviato in PK, è una disciplina metropolitana nata in Francia agli inizi degli anni ‘90. Consiste nell’eseguire un percorso, superando qualsiasi genere di ostacolo vi sia presente, con la maggior efficienza di movimento possibile, adattando il proprio corpo all’ambiente circostante, naturale o urbano, attraverso volteggi, salti, equilibrio, scalate, arrampicate ecc. Spesso questa disciplina è confusa con il free running, che si discosta invece dal parkour in quanto l’efficienza viene messa in secondo piano a favore dell’estetica. I primi termini utilizzati per descrivere questa forma di allenamento furono “arte dello spostamento” (art du déplacement) e “percorso” (parcours). Il termine parkour deriva da parcours du combattant (percorso del combattente), ovvero sia il percorso di guerra utilizzato nell’addestramento militare. I praticanti di parkour sono chiamati tracciatori (traceurs), o tracciatrici (traceuses) al femminile. La diffusione del parkour avvenne in primo luogo tramite passaparola, ricevendo in seguito l’attenzione di internet: da diversi anni, infatti, il principale mezzo di diffusione del parkour è stata la rete, grazie ai numerosi video caricati su YouTube e siti affini, che contribuiscono all’ulteriore diffusione e conoscenza di questa pratica. Lo scopo del parkour, quindi, è spostarsi nel modo più efficiente possibile, da un punto A di partenza a un punto B di arrivo. Per efficiente si intende: semplice, veloce e sicuro, differentemente dal Free running, che mette in risalto la spettacolarità. Per distinguere che cos’è il parkour da che cosa non è, basta pensare a cosa sarebbe utile in una determinata situazione d’emergenza

o fuga. Il parkour non è utile solo in situazioni di emergenza, ma anche in qualsiasi momento della giornata. Infatti, recenti studi hanno approvato che il parkour riduce in maniera drastica i tempi di spostamento, naturalmente solo dopo aver consolidato la propria tecnica. È l’ambiente circostante (naturale o urbano) a insegnare tutto quello di cui si ha bisogno per muoversi in esso e per rispettare il proprio corpo: il tracciatore virtuoso persegue un “ascolto” dei segnali del proprio corpo, finalizzato a un suo miglioramento lento ma molto più efficace. Il raggiungimento di questa coscienza di sé, del sapere interpretare le proprie “sensazioni” e dei propri limiti, richiede tempo, visto che si basa sull’esperienza diretta. La formazione del necessario bagaglio di conoscenza richiede di vivere in prima persona numerose e diverse esperienze, spesso spiacevoli se affrontate con frustrazione (insicurezza, paura, senso di incapacità, lentezza nel progresso). L’allenamento si divide in due fasi: il potenziamento fisico e la pratica sui percorsi (o tracciati). La prima non è strettamente connessa al parkour, e può far uso di qualsiasi movimento che aiuti a migliorare il controllo del corpo e aumentare i propri parametri di forza, velocità, equilibrio ecc. La seconda invece prevede la scelta di un punto di partenza e uno di arrivo, e l’analisi critica di tutti gli ostacoli tra i due. Il tracciatore esperto è in grado di trovare le combinazioni giuste di tecniche e movimenti per percorrere il tracciato nel modo più fluido possibile. Molti traceur hanno dei tracciati prediletti che continuano a perfezionare negli anni. Il parkour è proposto sia come disciplina sia come stile di vita.

sport

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FUTUROGGI Dal CES di Las Vegas le indicazioni choc sull’elettronica di consumo. Televisori che “entrano nella realtà”, smartwatch come centrali di controllo, automobili senza guidatore sino ai droni low cost

t

elefonini che si flettono e si arrotolano, televisori che mandano prematuramente in pensione i TV HD, automobili teleguidate, occhiali a realtà aumentata… Chi più ne ha più ne metta. Ha da poco chiuso i battenti il CES di Las Vegas, il più grande appuntamento fieristico per l’elettronica di consumo, con una convinzione e una certezza: quello che abbiamo visto è già superato. Il Consume Elecronic Show (CES) si è confermato comunque la vetrina più prestigiosa, e al tempo stesso il tempio dei desideri (in prevalenza maschili), anche per aggeggi e innovazioni che poi all’atto pratico utilità ne avranno davvero poca. Non stiamo certo parlando delle stampanti 3D che hanno fatto prepotentemente irruzione in laboratori e in sala operatoria, quanto di una tecnologia talmente sofisticata da celare in sé i semi per idee e applicazioni future. É il caso delle ultime tecnologie indossabili, come i braccialetti che captano le nostre condizioni fisiche (pressione, battito cardiaco, calorie consumate), e dei segnalatori Bluetooth della californiana Estimote, che promettono di guidarci nei nostri acquisti. O, ancora, le automobili intelligenti che si guidano da sole (il parcheggio automatico è

già diffuso su molti modelli della top class). Ma ecco in sintesi le più interessanti tendenze che hanno contrassegnato l’edizione 2015 del Consumer Electronics Show di Las Vegas (35.000 espositori sparsi su 200.000 mq di esposizione, con oltre 150.000 professionisti che hanno animato la fiera). TV ad altissima definizione I televisori ad altissima definizione saranno tra i protagonisti con non meno di 100 nuovi modelli in tecnologia 4K, sottilissimi e quasi tutti collegati a sistemi audio altrettanto all’avanguardia. E tutti destinati a surclassare gli HD, assumendo non casualmente il nome di Super-HD. La rivoluzione risponde a diversi nomi: UHD, OLED e streaming TV. L’UHD, o se preferite il 4K, sta ad indicare i modelli capaci di riprodurre immagini ad altissima definizione, ben 4 volte i valori del Full HD. In attesa che arrivino le relative trasmissioni satellitari, e i Blu-Ray 4K sui quali però non ci sono annunci, a Las Vegas i grandi costruttori hanno fatto a gara nel mostrare TV di forme e dimensioni assortite. La maggior forza d’urto è stata al solito quella di Samsung, le cui novità sono concentrate nel modello top di gamma JS9500, un UHD con retroilluminazione a LED che vuole migliorare la resa cromatica grazie al processore a 10 bit

tecnologia

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Lo smart watch di LG

e al nuovo circuito HDR, acronimo di High Dynamic Range. Si tratta, come molti altri, di un televisore curvo, anche se al riguardo la novità più ingegnosa l’ha mostrata LG con il suo modello 77EG9900 “Flexible”: in questo caso, l’utente può decidere dal telecomando se tenere la TV curva o farla diventare Flat, grazie a un meccanismo motorizzato capace letteralmente di stirare il pannello. La stessa LG continua a puntare forte sulla tecnologia OLED, con i suoi neri inarrivabili per gli apparecchi a LED, anche perché il calo dei costi produttivi consente ora di proporli (in versione 4K e Full HD) a prezzi più concorrenziali a fronte di una migliore qualità visiva. C’è poi Sony, che batte altre strade tecnologiche. Al CES ha catturato l’attenzione il modello X900C con risoluzione Ultra HD, definito come il più sottile TV LED mai realizzato con i suoi 5 mm (!) di spessore. Altra caratteristica è l’adozione del protocollo Google Cast ed il fatto che tutta la nuova gamma 4K di Sony è completamente basata su Android TV, con tutto ciò che ne consegue in termini di usabilità Web. Al riguardo, Internet TV significa sempre più visione in streaming di immagini ad alta qualità, laddove, purtroppo non in Italia, la velocità della rete è adeguata.

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tecnologia

Smart Watches Nuove radio, serrature smart, lampadine, termostati, letti e molti altri oggetti, quasi sempre controllati da un App tramite smartphone. Il mercato della tecnologia indossabile - dispositivi elettronici concepiti per essere portati sempre con sé, migliorando e facilitando la quotidianità di ognuno - è in piena espansione; e la passerella del Consumer Electronics Show, dove piccole e grandi aziende tecnologiche hanno presentato gadget high tech di varie forme, colori e dimensioni, ne è una dimostrazione. Il primo posto se l’è aggiudicato Garmin, brand noto per la produzione di navigatori satellitari, che ha presentato tre nuovi smartwatch dedicati agli amanti delle attività outdoor e dello sport. Il primo, Fenix 3, è un orologio intelligente con modulo GPS integrato, studiato per gli sportivi che praticano dal triathlon allo scialpinismo e dal ciclismo al nuoto, grazie a una bussola a tre assi, sensori come altimetro e barometro, e una batteria in grado di fornire un’autonomia fino a 6 settimane, anche se con GPS disattivato. Tutti i dati raccolti da Fenix - come distanza, velocità, pendenza, dislivello, numero di bracciate, valori di VO2 max (abbinato a

una fascia cardio), numero di passi, calorie bruciate - ma anche la qualità del sonno e l’accesso alle funzionalità di navigazione outdoor potranno essere gestiti dall’utente attraverso lo schermo antiriflesso a colori da 1.2 pollici di diagonale, protetto nelle varianti Silver e Grey da un vetro minerale e da un cristallo in zaffiro per quella Sapphire in zaffiro antigraffio. Il secondo è Epix, definito dall’azienda “il primo sportwatch cartografico a colori con pulsantiera e schermo touch”. All’interno di una scocca dal design che fonde angoli e linee rette per una robustezza senza precedenti, trova posto uno schermo touchscreen a colori da 1.4 pollici e una risoluzione massima non rivelata, sul quale visualizzare una mappa europea topografica 1:100.000 con un abbonamento gratuito per un anno a BirdsEye, archiviata dai tecnici dell’azienda all’interno della memoria interna di oltre 8 GB. Il dispositivo, pensato per gli amanti della montagna e per gli escursionisti evoluti, non può che integrare anche un chip GPS per trovare la posizione di ogni luogo, ma anche una bussola, un altimetro e un barometro. L’ultimo è il Garmin Vivoactive, uno smartwatch dal design più convenzionale che unisce la tecnologia di una fitness band a funzioni dedicate a diverse quanto specifiche attività sportive: corsa, ciclismo, nuoto e golf. I primi potranno utilizzarlo per visualizzare distanza e velocità percorse, anche quando il GPS è disattivato, sfruttando l’accelerometro integrato; chi pratica nuoto potrà utilizzarlo per calcolare l’indice SWOLF, mentre gli appassionati di golf potranno visualizzare le mappe di 38.000 campi in tutto il mondo. Alle spalle di Garmin si colloca Alcatel, che ha annunciato di aver acquistato Palm, il marchio della storica azienda di HP, grazie al quale ha realizzato il suo primo smartwatch. OneTouch Watch, questo il suo nome, ha un design che si ispira a quello dei comuni orologi dal polso, una soluzione estetica portata avanti da altri brand blasonati come Motorola (con il proprio Moto 360), ma a differenza di quest’ultimi è perfettamente compatibile con i dispositivi iOS e Android grazie a un sistema operativo proprietario. La piattaforma, basata sulla più nota WebOS di Palm, offre la possibilità di visualizzare le notifiche delle chiamate e dei messaggi, gli aggiornamenti di stato dei social network e la possibilità di attivare i controlli remoti per la gestione delle funzioni multimediali, come la riproduzione di musica e l’acquisizione di


immagini. Funzioni per le quali è necessario uno smartphone da collegare all’orologio dallo schermo circolare touch da 1.22 pollici. Proiettata più avanti nel tempo è la coreana LG, che in sordina ha mostrato al CES 2015 di Las Vegas il suo primo dispositivo con WebOS. Lo smartwatch, di cui non si conosce il nome e che solo i colleghi della redazione di Android Central hanno potuto toccare con mano (gli stessi che hanno realizzato il video hands-on qui sopra), potrebbe essere presentato solo alla fine di quest’anno o all’inizio del nuovo. La dotazione hardware, rivelata in parte dal menu delle impostazioni, includerebbe un processore Quad Core Qualcomm Snapdragon 400 MSM8626 da 1.6 Ghz supportato dalla GPU ADreno 305. La memoria RAM del dispositivo dovrebbe essere di tipo LPDDR2 / LPDDR3 SDRAM, quella interna non superiore a 4 GB mentre è certa la presenza del supporto alle connessioni WiFi, Bluetooh, NFC, GPS e, nel caso di specifico alloggiamento per schede SIM, anche quello HSPA+. Il tutto, probabilmente, assieme a un microfono e anche ad un altoparlante, considerato che i colleghi di Android Central hanno trovato alcune opzioni e applicazioni dedicate ai memo vocali, allo scatto remoto e impostazioni dedicate al suono, racchiuse all’interno di un’elegante cassa in acciaio inossidabile. Il display - sul quale visualizzare le informazioni e interagire attraverso i menu di navigazione che consentono di accedere a un elenco di applicazioni come musica, calendario, email, “LG Salte” e a un software in collaborazione con Audi per il controllo di alcune funzioni del veicolo tramite chip NFC - è circolare, luminoso e protetto dagli urti e i graffi da un cristallo in zaffiro. Anche se non ci sono conferme, l’orologio inteliggente, che nelle info riporta il nome in codice LG-W120, dovrebbe essere anche resistente all’acqua per un utilizzo a 360 gradi da parte di sportivi, studenti e uomini d’affari. Automobili “intelligenti” Da due anni le case automobilistiche sono presenti al CES, quest’anno in dieci, tra cui grossi marchi come Audi, BMW, Toyota, Chrysler, General Motors, Ford e Mercedes-Benz. Las Vegas è la sede ideale per presentare meraviglie come l’auto che si parcheggia da sola della Bmw o quelle regolate o comandate da dispositivi come

i Google Glass o gli smartwatch. Fra le marche più “avanti”, BMW è stata la prima azienda a presentare l’auto antistress, che consentirà al guidatore di parcheggiare la macchina fuori dall’auto attraverso il proprio smartwatch, proprio come se ci fosse un autista invisibile. BMW, oltre ad aver già annunciato una BMW i3 a guida autonoma che parcheggia da sola senza il conducente e senza la necessità di predisporre il parcheggio stesso, al CES 2015 ha stupito con altre due novità tecnologiche. Si tratta di nuovi sistemi di illuminazione, a partire dalle luci laser. Già presentate da BMW tempo fa sulla i8 (la prima di produzione con questa tecnologia), le “laser light” diventano ora intelligenti in maniera, probabilmente, simile alle luci LED adattive. Nonostante non siano stati confermati i dettagli,si può infatti ipotizzare che il sistema prevedrà luci in grado di rilevare i veicoli riducendo automaticamente la potenza del fascio luminoso. In attesa di scoprire quali saranno le funzioni di questi nuovi proiettori, BMW annuncia anche le luci OLED per i fanali di coda che permettono, rispetto ai LED, di generare una luce uniforme (i LED sono invece “puntiformi”) in elementi dallo spessore di 1.4 millimetri. In questo modo i designer avranno una maggior libertà nel disegnare le luci posteriori, potendo utilizzare una tecnologia che permette di dare maggior sfogo alla fantasia. Dopo la Google Car, anche importanti costruttori hanno deciso di investire in questo nuovo settore. L’ha fatto Mercedes-Benz, che proprio a Las Vegas ha svelato il suo F 015 “Luxury in

Motion”, un nuovo prototipo di auto che si guida da sola e che dovrebbe sfilare anche al salone dell’auto di Detroit a breve. Si tratta di una vera e propria lounge ad altissima tecnologia. Le sue sedute girevoli consentiranno di stare faccia a faccia con i passeggeri della fila posteriore, mentre l’intelligenza artificiale guida la vettura, nel traffico

o in autostrada, elaborando le informazioni provenienti dai suoi sensori e trasformandole in comandi di guida. Secondo uno studio della Consumer Electronics Association, il business auto potrà raggiungere già quest’anno un valore di 11 miliardi dollari, soltanto tenendo conto degli equipaggiamenti e dei dispositivi montati direttamente in fabbrica. Al CES sono poi state presentate le nuove frontiere dell’innovazione e dell’infotainment a bordo. E lo dimostra il fatto che anche i grandi produttori di componentistica IT abbiano dedicato quest’anno sforzi e progetti importanti al mondo dell’automotive. A partire a Nvidia, che ha presentato il suo Tegra X1, il processore per veicoli autonomi, e Qualcomm, che ha mostrato due prototipi, insieme a Maserati e Cadillac, in cui il ruolo dei microprocessori diventa cruciale per garantire a bordo servizi elevati di sicurezza, connettività e infotainment. Nell’attesa che il mercato diventi maturo, Bosch promette di lanciare da quest’anno su strada veicoli in grado di guidare da soli in mezzo al traffico. Il laser è il futuro sulle quattro ruote, soprattutto se associato a sensori e telecamere per rendere l’illuminazione ancora più intelligente, selettiva e in grado di adattarsi alle condizioni di guida. Protagoniste indiscusse di Las Vegas, la M4 Concept Iconic Lights di BMW e la tecnologia Audi Matrix a bordo della Prologue piloted driving. L’infotainment gestuale è “universale”. Il 2015 sarà l’anno

dell’evoluzione verso i comandi gestuali e della definitiva consacrazione delle virtual cockpit. Audi ha presentato la plancia della nuova Q7, pronta per il debutto di Detroit, mentre BMW ha puntato sulla seconda vita di iDrive, utilizzabile con i movimenti della mano e delle dita. Il drone Parrot

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catturare immagini e video in alta definizione. La cosa che più stupisce di questi piccoli ritrovati della tecnologia è che anche quando sono professionali sono estremamente facili da utilizzare e dunque alla portata di tutti. Da segnalare anche alcuni prodotti creati da aziende cinesi che iniziano a interessarsi seriamente a tale settore; ciò porta gli addetti ai lavori a ritenere che presto ne vedremo delle belle anche da parte loro. Infine, non si dimentichino le iniziative partite mediante una raccolta fondi che ha portato a ottimi risultati complessivi. Come ad esempio il drone della Zano, che ha ricevuto un finanziamento per 3 milioni di dollari. Si

tratta, in pratica, di un drone nano dalle dimensioni irrisorie. Stampanti 3D È forse il mercato più promettente. Si calcola che, nel 2014, la spesa mondiale per stampanti 3D abbia raggiunto i 76 milioni di dollari e che entro il 2015 salirà a 175 milioni. A Las Vegas si sono viste stampanti a tre dimensioni sotto i 1500 dollari. Le stampanti a tre dimensioni oramai sono quasi diventate un oggetto normale da vedere e utilizzare. Anche se non sono molto diffuse nelle case, i prezzi sono sempre più bassi e le disponibilità di modelli sempre maggiori.

Lo smart watch Garmin Vivoactive

Altra novità sono i sistemi “universali”, compatibili sia con CarPlay che con Android Auto: li propongono sia Parrot (RNB 6) che Harman (Smart Infotainment Essentials Platform). La smart mobility. Secondo Ford è davvero il futuro. Car sharing, ride sharing, big data, smart parking, assicurazioni: la tecnologia al potere per semplificare la vita, ridurre i costi e fornire un sacco di alternative. Nel 2015 Detroit partirà con 25 sperimentazioni in tutto il mondo, una sfida che potrebbe cambiare il concetto di automobile. L’idrogeno open source. Protagonista poco “vocal” del CES, ma in grado di far parlare sempre di sé, l’idrogeno si conferma come una trincea molto interessante, anche solo per vedere come andrà a finire: convinta che le rivoluzioni non si possano lanciare in solitaria (e non potrebbe essere altrimenti, in questo caso), Toyota ha aperto gli scrigni dei 5.680 brevetti della Mirai, messi a disposizione degli altri costruttori per cinque anni. Insomma, qui ci si gioca tutto. Comunque vada, una frontiera da seguire con molta attenzione. Robot e droni A Las Vegas quest’anno sono stati presentati oltre 50 modelli di droni per tutte le tipologie e i prezzi. Segno che il prodotto in questione comincia a diffondersi sul mercato. Mano mano che aumenta il numero di questi prodotti, il loro prezzo inizierà a scendere. Ad esempio, la GoPro entro fine anno lancerà un nuovo modello assai professionale a un prezzo inferiore agli 800 euro. Il drone di Parrot, che costa 499 euro, è in grado di Stampanti 3d al Ces e il nuovo televisore Samsung JS9500

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focus high-tech Nokia 215: il cellulare che “sta sveglio” un mese

la batteria

il prezzo

CONNETTIVITÁ

plus

29 giorni di durata in stand-by per il modello con una scheda SIM e 21 giorni per il modello dual SIM ne fanno un cellulare affidabile e “longevo”. Venti le ore di conversazione garantite, 50 le ore di riproduzione musicale ininterrotta.

Solo 29 dollari (meno di 25 euro) per il Nokia 215, cellulare entry-level Internet-ready lanciato a inizio anno da Microsoft. Si tratta del cellulare pensato per connettersi al web più conveniente mai realizzato dall’azienda; il suo prezzo democratico lo rende perfetto come secondo telefono e per gli utenti al loro primo cellulare.

Sebbene non abbia una funzionalità 3G, il Nokia 215 permette di utilizzare Facebook e Twitter (preinstallati) e di navigare in Internet, operazione facilitata da Opera Mini Browser e da Bing Search.

Pratico ed economico, il Nokia 215 nasconde applicazioni utilissime come l’App meteo MSN Weather, la torcia incorporata, il lettore mp3 e la radio FM incorporati. La tecnologia SLAM di cui è dotato permette di inviare e ricevere file semplicemente avvicinando due dispositivi SLAM abilitati.

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Cell maniac La dipendenza da smartphone e da social è ormai un contagio epidemico. Potrebbe essere definito un mal de vivre per le cause e le conseguenze di questo rapporto malato. Abbattute le barriere fra presenza e assenza, resta solo la solitudine. E ora si fa largo la nomofobia, la paura compulsiva di perdere il telefono

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uanto tempo al giorno un adulto dedica al suo smartphone? Quanto tempo un adolescente? Probabilmente, sommando e incrociando questi dati, detraendo questo tempo su base mensile e annuale, sommando per gli anni di vita, si scoprirebbe che la conquista di incrementare sempre di più l’aspettativa di vita della popolazione, specie nei Paesi industrializzati, è stata letteralmente polverizzata dalla quota di “waste time”, o meglio, di “junk time”. Il tempo trascorso ogni ora a verificare messaggi, Facebook, WhatsApp, più normali mail, Linkedin e twitter, tende a dilatarsi anche in quella fascia adulta che teoricamente dovrebbe essere più refrattaria, e che invece annienta rapporti interpersonali sull’altare di uno screen che spesso viene tenuto con il braccio allungato a distanza dal corpo per combattere la miopia. La Mobile Addiction, che si configura come una necessità costante nel tempo di mantenersi connessi attraverso il proprio smartphone, piaccia o non piaccia (e a chi controlla il gigantesco business smart non piace certo parlarne) è diventata a tutti gli effetti una malattia sociale. Verbi come

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“condividere” diventano banali affiancati da un orribile “taggare”. I ministri, ora, si esprimono a selfie e tweet. Una patologia che si manifesta con due tipologie di comportamenti: il controllo visivo, in maniera continuata ed eccessiva, del proprio cellulare, in termini di messaggi ricevuti, chiamate perse, notifiche, o semplicemente di qualità del segnale


o di carica della batteria; inoltre, uno stato di ansia e di preoccupazione nel momento in cui, per varie ragioni, non si possa essere raggiungibili tramite il proprio apparecchio portatile. La sindrome del ritorno a casa per recuperare il telefonino è ormai epidemica. Si registra quindi un mutamento rivoluzionario nelle abitudini relazionali degli individui: si potrebbe dire, come si lamentavano i vecchi contadini, che non esistono più le stagioni. Lo smartphone ha azzerato il concetto di presenza e assenza, sostituendolo con uno di generale disponibilità. E l’indisponibilità, anche temporanea (assenza di campo, problemi personali, altre telefonate in linea), diventa in automatico violazione di questo nuovo ordine di presenza virtuale continuativa. Cosa te ne fai del telefonino se non rispondi? Quante volte crisi familiari anche gravi sono decollate da questa pista iniziale? Secondo studi di illustri psicologi si innescano due sindromi. Quella della presenza continua, che è anche stress e che trasforma lo strumento in un

collettore di astio. Quella della assenza negata, del momento in cui riflettere, di stare con

se stessi, perché no, di fare il vecchio e dimenticato esame di coscienza. Lo stato di “assenza” – sottolinea uno studio - è un momento di “recupero energetico”, di “costruzione del benessere”, spesso necessario in periodi di forte stress lavorativo o relazionale. Il telefono cellulare, e ancora più lo smartphone, operando con una tempistica immediata in uno spazio senza confini, erode progressivamente questo spazio di “assenza”, non permettendo ai nostri pensieri di recuperare la propria forza. Nei casi più gravi, la Mobile Addiction diventa un sistema compulsivo per coprire le pause abbandoni. Secondo i dati scaturiti dalla ricerca “Net Children Go Mobile: Risks and opportunities”, realizzata in sette Paesi europei, si crea una pericolosa “relazione affettiva” tra i giovani e lo smartphone. Smartphone che diventa un transfer tra le persone lontane e il mezzo che consente di raggiungerle, evidenziando che l’86% dei ragazzi italiani, connettendosi, si sentirebbe affettivamente “più vicino” agli amici e alla famiglia. Il 52% dei ragazzi afferma di sentire spesso una pressante necessità di controllare il cellulare e il 43% prova uno stato di disagio quando non può usare il telefono se non c’è campo o se la batteria è scarica. Infine, quasi l’80% dei giovani che fanno uso di smartphone afferma di sentirsi in “dovere” di essere sempre raggiungibile dagli amici e dalla famiglia. La mobile-dipendenza si vede dal mattino. Un italiano su tre controlla smartphone e tablet entro cinque minuti dal risveglio e, nel corso della giornata, l’occhio finisce sul telefono almeno 50 volte. E nessuno quanto noi usa il tablet quando è fuori di casa. Il ritratto dell’italiano digitale nel 2014, insomma, è quello di un cittadino sempre più mobile, sempre connesso, dipendente da wi-fi e messaggi istantanei. Secondo il Global Mobile Survey di Deloitte, il 35% che guarda il cellulare entro cinque minuti dalla sveglia diventa il 55% se si considerano invece il primo quarto d’ora da svegli. Tra queste, uguale importanza viene data al controllo di SMS, messaggi istantanei (WhatsApp e dintorni), e-mail, social network, news e l’immancabile meteo. Anche il resto della giornata è dedicato in gran parte a scrutare gli schermi di telefoni e tablet: il 64% degli italiani guarda lo smartphone più di 10 volte al giorno, percentuale che scende a un comunque rispettabile 18% per tutti quelli

che lo fanno tra le 25 e le 50 volte; siamo anche più affezionati ai tablet rispetto al resto del mondo: il 35% degli italiani lo usa anche fuori casa, contro il 19% degli Stati Uniti. Il dato più importante della ricerca, comunque, è la digitalizzazione aggressiva ed esplosiva del nostro Paese, una nozione in contrasto con il luogo comune che ci vuole tecnofobi e arretrati. Sono 25 milioni gli italiani online: nel 2009 erano 20 milioni, e la crescita (pari al 17%) non ha pari nel resto del mondo. Gli italiani sono un popolo social, molto di più di quanto lo siano gli altri abitanti d’Europa – persino dei tecnologicamente avanzatissimi inglesi e tedeschi. Lo afferma il report European Digital Landscape: Social, Digital & Mobile in Europa 2014, stilato dalla «conversation agency, con uffici a Milano, New York, Londra, Parigi, Monaco di Baviera, Singapore, Sydney e San Paolo» (citiamo dal loro sito). Ecco alcuni dati: in media, un italiano passa sui social network due ore al giorno, più della media europea, e quando parliamo di italiani, intendiamo i 35,5 milioni di cittadini che navigano regolarmente su Internet. Di questi, 26 milioni accedono a un social network quando navigano (il 42% lo fa «con regolarità») e 20 milioni lo fanno da mobile (il 27% di quest’ultima percentuale naviga via tablet, il resto via smartphone). Sono dati in crescita, se si considera per esempio che, nel 2009, solo il 46% degli italiani navigava regolarmente, cifra salita al 54% nel 2011 e, appunto, al 58% nel 2014. Infine, interessanti le distribuzioni di età e sesso: il 55% dei “naviganti” è maschio, e l’età media si assesta tra i 25 e i 34 anni. Solo il 16% degli over 55, invece, utilizza Internet: segno che Internet non è (più? Ancora?) un Paese per vecchi. E per questa popolazione di assatanati da smartphone è arrivata anche una nuova malattia: la nomofobia. È la paura di perdere il cellulare che colpisce il 66 per cento dei mille intervistati, nonostante il 41 per cento sia rassicurato dal possesso di ben due apparecchi. Mentre un analogo sondaggio, quattro anni fa, aveva fissato la quota dei nomofobici al 53 per cento. Di nomofobia soffrono più le donne che gli uomini (70 per cento contro il 61 per cento), ma i maschi più spesso delle signore ne possiedono due (47 per cento contro il 36 per cento), il che lascia pensare a una paura alla radice forse ancora più angosciante (tanto da aver duplicato l’amato device).

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IL LOUVRE DEL DESERTO Ormai imminente l’inaugurazione in Abu Dhabi, in collaborazione con la Francia, di uno dei più prestigiosi e grandi musei del mondo. E anche un Leonardo è pronto a partire per gli Emirati

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entre l’Isis distrugge le mura pagane di Ninive, storica capitale dell’impero assiro, e sta ormai per scomparire anche la memoria del Buddah di Babiyam, abbattuto e sfigurato dalle orde talebane, l’Islam ricco, quello degli Emirati, scopre l’arte occidentale. È recente l’acquisto, pare da parte dell’Emiro del Qatar, della Nafea Faa Ipoipo di Paul Gauguin, venduta, a quanto si dice, per 300 milioni di dollari. È specialmente imminente l’apertura del museo Louvre Abu Dhabi prossimo all’inaugurazione con una vasta quantità di opere in esposizione permanente e circa altre 300 in prestito dalle più importanti istituzioni partner francesi, in occasione

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del primo anno di apertura del museo emiratino. Dietro a questo rinnovato impulso e vocazione del mondo arabo rispetto al mondo dell’arte, si cela anche la conferma dell’interesse degli Emirati a diversificare gli investimenti e a costituire le precondizioni per asset economici anche nella prospettiva di un futuro meno oil-dependent. Museo Louvre Abu Dhabi è il nome che il museo più visitato del mondo ha deciso di dare al nuovo centro espositivo, candidato a diventare uno dei più importanti del Medioriente e del mondo. Il museo Louvre Abu Dhabi, progettato da Jean Nouvel, è frutto di un’intesa tra Abu Dhabi e Francia siglata nel 2007: dopo ripetuti


rinvii, è ora certo che il 2015 sarà l’anno dell’inaugurazione. Il Louvre Abu Dhabi mira a diventare il primo museo universale del mondo arabo in cui viene esaltato lo spirito di comunione e dialogo tra culture diverse. La collezione permanente di opere del museo emiratino comprende pezzi d’arte, manoscritti e oggetti di significato storico, culturale e sociale dalle età antiche a quelle contemporanee. Emblema, simbolo ed elemento di riconoscimento del museo è la gigantesca cupola che lo sovrasta, quasi un’astronave sospesa fra deserto, mare e cielo: 180 metri di diametro e un intreccio molto particolare che diffonderà all’interno del museo Louvre Abu Dhabi una luce e un’atmosfera uniche. Il museo occupa un’area di 64.000 mq ed è concepito come un susseguirsi di padiglioni, piazze e canali, evocando l’immagine di una città fluttuante sul mare. Louvre Abu Dhabi ha reso noto che, oltre alla sua collezione permanente, per il primo

anno riceverà in prestito circa 300 opere provenienti dalle istituzioni francesi. Tra le opere provenienti dalla Francia, che saranno in esposizione al museo Louvre Abu Dhabi, risaltano Ritratto di donna sconosciuta di Leonardo da Vinci (circa 1495), noto anche come La Belle Ferronnière, in prestito dal Musée du Louvre; Il Pifferaio di Edouard Manet (1866); La stazione Saint-Lazaredi Claude Monet (1877) dal Musée d’Orsay et de l’Orangerie, Still Life with Magnolia di Henri Matisse (1941) dal Centre Pompidou. La selezione delle opere è stata supervisionata da Abu Dhabi Tourism & Culture Authority (TCA Abu Dhabi), Agence France-Muséums (AFM) e dai musei stessi in linea con la direzione scientifica e il programma culturale del Louvre Abu Dhabi. Le istituzioni francesi che hanno concesso i prestiti sono tra le più importanti d’Europa: Musée du Louvre, Musée d’Orsay et de l’Orangerie, Centre Pompidou, Musée du quai Branly, Musée national des arts

asiatiques Guimet, Château de Versailles, Musée Rodin, Bibliothèque nationale de France, Musée de Cluny - musée national du Moyen Âge, Cité de la Céramique Sèvres, Musée des Arts décoratifs, Musée d’archéologie nationale de St Germain en Laye e Château de Fontainebleau. Saadiyat Cultural District su Saadiyat Island, ad Abu Dhabi, è un’area totalmente dedicata alla grande cultura internazionale; un progetto ambizioso, che accoglierà visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Su questa area sorgono il Zayed National Museum, il Louvre Abu Dhabi e il Guggenheim Abu Dhabi. Agence France-Muséums, presieduto da Marc Ladreit de Lacharrière, è un’organizzazione creata per la realizzazione del Louvre Abu Dhabi in partnership con le Istituzioni francesi. Ad AFM è stato affidato il compito di portare avanti gli impegni della Francia verso il progetto del museo universale del Louvre Abu Dhabi e di coordinare le competenze delle istituzioni culturali francesi coinvolte. L’organizzazione fornisce servizi di consulenza alle autorità degli Emirati Arabi Uniti nelle aree di definizione scientifica e culturale del progetto, assistenza nella gestione dei progetti, coordinamento dei beni in prestito dalle collezioni francesi e organizzazione di mostre temporanee, oltre alla creazione della collezione permanente, all’assistenza museografica e al supporto per la definizione delle policy per i visitatori.

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eco idee notizie dal mondo dell’ecologia e del riuso DESIGN… DI STRADA!

www.laboratorioadhoc.it

Laboratorio Ad Hoc è Alessandro Ugo. Alessandro Ugo è un giovane ragazzo fatto di passioni e di intuizioni. Nato a Milano nel 1985, cresce circondato dall’artigianato dei suoi nonni. Studia carpenteria nautica a Genova, e fa esperienza nella lavorazione del ferro e del legno. Nel 2011 apre il suo laboratorio. Una fucina creativa da cui nascono oggetti come quelli della linea ReWood, in legno e metallo di recupero, o come il SignTable (nella foto), un tavolino che prende materiali urbani – segnali stradali, nello specifico – e li decontestualizza, portandoli a nuova vita.

idee di legno

www.c-cubo.it

Sono tutti ragazzi under 30, nati a Napoli, e cresciuti a Napoli. Alla partenza, il legno. E un’idea. Non nata a tavolino, ma DA un tavolino. C-Cubo è un po’ design, un po’ falegnameria, un po’ lavoro pratico, e un po’ progettazione. Una la mission: recuperare materiali inutilizzati di vario genere per trasformarli in oggetti d’arredo. Come i vecchi pallet, il cui legno viene pulito, tagliato, levigato e lavorato minuziosamente per trasformarsi in qualcosa di nuovo e personalizzato. Nella foto, la penisola per cucina realizzabile su misura.

il bello di pagare

www.differnp.it

Chi l’ha detto che pagare non può essere divertente? I portafogli differenp dimostrano il contrario! Già fin dalla premessa: “Siamo persone che difficilmente vogliono la cosa che hanno tutti. Differenti non per distinguerci da qualcuno, ma per essere uguali a noi”, dicono i fondatori del brand. I loro portafogli sono realizzati in Tyvek, simil-carta resistente allo strappo e all’acqua, 100% riciclabile. Nella foto, il modello All-In (euro 18) di Valerio Cicco dimostra che “la vittoria non è mai certa, ma non rischiare tutto in determinati casi è un disonore”.

NON CHIAMATELO CESTINO!

www.realizzatoridiidee.it

Ha un nome dolce, Pooly, l’ultimo nato in casa Realizzatori di Idee, al secolo Davide e Daniele Barbieri. Un cestino, ma chiamarlo “cestino” è sminuente, realizzato con fogli di polipropilene 100% riciclabile. Un lampo di genio per gli amanti delle due ruote. Per chi, con la bicicletta, quasi ci vive. Una volta ripiegato, Pooly ha l’ingombro di un foglio A3. In questo modo è possibile riporlo in valigia, nello zaino, in borsa. Con le sue tonalità (full color o trasparente) vivaci, regala alla propria bici un vezzo super chic.

AL POLSO, IL LEGNO

www.we-wood.com

Essere fashion sì, ma con un occhio alla natura. Gli orologi WeWOOD sono realizzati in 100% legno di 6 diversi tipi, biodegradabili, privi di sostanze chimiche e leggeri. È come portare al polso un pezzo di natura, con una buona azione. Per ogni WeWOOD acquistato, viene piantato un albero, grazie alla collaborazione con America Forests e Trees for the Future. È la massima espressione di eco-luxury. È il puro rispetto per l’ambiente e per la propria pelle. Nella foto, il modello Alpha, racchiuso in un packaging anch’esso ecologico.

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ecologia


la stanza del lusso

di Laura Alberti

Eleganti seduzioni per mente, corpo e casa

Tra scatti rubati a 50 Shades of Grey, Swarovski sui collant e make up per moderne celebrity, il lusso si veste di inedito

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Teuco

Benessere su misura

Abbandonarsi al relax, senza lasciare i confini della propria casa. Con la minipiscina Seaside 640 di Teuco è possibile farlo, ogni giorno dell’anno. A firmarla è Giovanna Talocci. Studiata per essere collocata in giardino o su una terrazza, è un microcosmo di benessere dalle dimensioni contenute (258x225 cm), con sistema di filtrazione e idromassaggio Hydrosilence, che permette di sentire il solo suono dell’acqua in movimento. Nella foto, modello in laminato moka con guscio color crystal grey.

www.teuco.com

Delightfull

Sisley

A CASA DI MISTER GREY

Eccellenza beauty

Il set del film più atteso (e discusso) dell’anno, è un tripudio di lusso e stravaganza. Soprattutto la sua “alcova”, l’appartamento del milionario Christian Grey. Per arredarlo sono scesi in campo COVET Lounge e i suoi brand partner: Boca do Lobo, Delightfull, Brabbu e Koket. Il risultato è uno straordinario mix tra il vintage di complementi come la lampada Turner, ispirata alle sensuali movenze di Tina Tuner, arredi “rubati alla natura” come il tavolino Sequoia, che pare la porzione di un robusto tronco, e dettagli minimal.

Cos’hanno in comune le riaperture dell’Hotel du Cap-Eden-Roc di Cap d’Antibes (il 17 aprile) e dello Château Saint-Martin & Spa di Vence (il 24 aprile)? Una nuovissima Spa firmata Sisley. Fiore all’occhiello della Spa Saint-Martin Sisley – 400 mq e 5 sale trattamenti tra cui la cabina doppia Sweet Crystal Spa – sarà l’”Exceptional Ritual for Face and Body”, 150 minuti di trattamento ad azione ringiovanente. Quattro sale trattamenti e una cabina doppia con parete di sale e cromoterapia per la Spa Eden-Roc Sisley.

www.oetkercollection.com www.covetlounge.com

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Miachael Marcus

Ermenegildo Zegna

Make up da star

LO STILE DEL TEMPO

HSE24, il canale di shopping, informazione e intrattenimento (37 del digitale terrestre e di TivùSat, 870 di Sky), dà il benvenuto alla linea di make-up e skin care firmata Michael Marcus, celebre truccatore delle star. Da 15 anni, la Michael Marcus Cosmetics realizza prodotti di altissima qualità, con formulazioni tecnologiche all’avanguardia e ingredienti vegetali, progettati per contrastare i segni del tempo. Il loro effetto anti-age, immediato e insieme duraturo, è esaltato da un packaging raffinato

Un orologio in edizione limitata, celebrazione della tradizione e dell’eccellenza. È l’Ermenegildo Zegna Monterubello Power Reserve, frutto della collaborazione con la Maison svizzera dell’alta orologeria Girard Perregaux. Prodotto in soli 50 esemplari, si distingue per l‘abbinamento tra il color seme di cacao del quadrante e l’oro rosa di cassa, lancette a gladio e numeri. La sobrietà, quella della cassa 38 mm, incontra l’eleganza dei numeri Breguet e del cinturino in alligatore del Mississippi

www.hse24.it www.zegna.com

Walford

Diamanti da indossare

Se è vero che i diamanti sono i migliori amici delle donne, perché non indossarli… tutto il giorno? La collezione Wolford per l’estate 2015 è un tripudio di elementi Swarovski e applicazioni metalliche. Ci sono gli Abby Tights, collant trasparenti con cristalli ad adornare le caviglie, e i Precious Tights, con la loro linea filigranata di lamine metalliche. Perfetti con accessori super chic come il Precious Collar. Preziose applicazioni decorano anche i corpetti di sensuali abiti e di body senza maniche.

www.wolford.com

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books letture che aprono la mente turismo

Euro 18,90 - n. pagine 377

NAPOLI INSOLITA E SEGRETA

Valerio Ceva Grimaldi e Maria Franchini JonGlez È una Napoli inedita e ricca di segreti quella che Valerio Ceva Grimaldi e Maria Franchini raccontano. Un viaggio attraverso quelle sorprese e quegli angoli sconosciuti anche agli stessi napoletani. Ci sono antiche biblioteche, e i resti di una vecchia casa chiusa. C’è il foro che pare guarire l’emicrania, c’è quello che un tempo era un bunker e ora accoglie una galleria d’arte. C’è l’atmosfera preziosa di collezioni rare e private, e ci sono le curiosità delle piccole cose: la lucertola pietrificata in una chiesa, un misterioso simbolo fallico nelle catacombe di San Gennaro. E, ancora, l’orologio che misura l’equazione del tempo, gli enormi impianti idraulici di una fontana tra le più grandi d’Europa, le barre di un cancello che, nella cattedrale, suonano come uno xilofono. Un viaggio alla scoperta di itinerari insoliti, lontani dai cliché e dalle tradizionali mete turistiche. Alla scoperta di tutto quanto suscita meraviglia. Fotografie di Fernardo Pisacane

romanzo

Euro 16,00 - n. pagine 336

ECCOVI MOSCA

Dmitrij Prigov – Voland Dietro Eccovi Mosca c’è Dmitrij Prigov, russo classe 1940 che fu un artista eclettico, nel campo della letteratura e dell’arte figurativa. Con le sue performance musicali e sonore, le sue esposizioni in patria e all’estero, e i suoi testi d’avanguardia, fu una delle maggiori personalità russe contemporanee fin al giorno della sua morte, nel 2007. Con questo volume ci regala un viaggio onirico in una Mosca fantasmagorica e catastrofica, appassionata e appassionante. Umorismo, sarcasmo, immagini che si susseguono l’un l’altra: discorsi di strada, film americani, fumetti, leggende metropolitane. È un linguaggio incandescente a cui il lettore non può non abbandonarsi. Un linguaggio che ti attrae fin dalla sua premessa: “Già. Erano ancora tempi antidiluviani, impensabili. Tempi precedenti all’invenzione dei collant e di altre meraviglie dell’inesauribile genio umano, tipo il televisore, il frigorifero, le scarpe da ginnastica, i tessuti sintetici, gli sneakers e via discorrendo. Per non parlare di mostruosità quali il computer e compagnia bella, frutto delle esoteriche attività dei nostri contemporanei…”.

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libri


economia

Euro 25,31 - n. pagine 304

L’economia delle esperienze: Oltre il servizio

Pine Joseph B. - Gilmore James H. - Rizzoli Etas Perché si è disposti a pagare dieci volte tanto il suo normale prezzo una tazza di caffè al Caffè Florian di Venezia? Che cosa viene considerato di reale valore dai clienti? Perché si è disposti a pagare lo stesso bene o servizio a prezzi notevolmente diversi, quando è consumato in una diversa cornice? Perché, infine, come affermano gli autori, “il lavoro è teatro e ogni business è un palcoscenico”? A tali quesiti rispondono Pine e Gilmore, sostenendo che nella Nuova Economia la semplice produzione di beni e servizi non è più sufficiente: sono invece le “esperienze” offerte al cliente a costituire il fondamento della creazione di valore. L’esperienza cui si riferiscono gli autori è un qualsiasi evento memorabile che impegni sul piano personale il consumatore nell’atto stesso del consumo.

economia

Euro 13,60 - n. pagine 256

Quel pollo di Icaro: Come volare alto senza bruciarsi le ali

Seth Godin – Sperling & Kupfer

Abbandonare abitudini consuete è pericoloso ed è molto meglio avere una serie di regole sicure da seguire. In altre parole, il rischio di bruciarsi le ali è per tutti i novelli Icaro. E ciò a maggior ragione oggi? No, al contrario:nei tempi della connection economy bisogna volare più in alto che mai. Nel suo libro più coraggioso e provocatorio, Seth Godin ci mostra come avere successo in un’economia che premia la creatività, non l’ubbidienza, e spiega perché i veri innovatori cercano la fiducia, l’originalità, la leadership, le storie virali, affermando con passione che dovremmo iniziare a vedere il nostro lavoro come un’opera d’arte. Lavorare come un artista significa investire in risorse che fanno la differenza: creatività, lavoro emotivo e grinta. Non è un cammino per deboli di cuore e Godin vi spiegherà perché è la vostra unica occasione per farvi notare. Questo è il momento di scoprire nuovi territori e nuovi lavori senza la certezza di una mappa. Allora, che cosa decidete di fare?

libri

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GT3-R: 300 volte esclusiva

Solo 300 esemplari per la Bentley GT3-R. Una coupè due posti leggera e dinamica, che nasce dal mondo delle gare per abbracciare l’eleganza della casa inglese

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uattrocentottanta centimetri di lunghezza, 194 di larghezza, 139 di altezza e un bagagliaio da 385 litri. Sono i numeri della GT3-R, coupé a due porte sportiva e insieme elegante, come in puro stile Bentley. Punto di partenza, la

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on the road

Bentley GT3. Punto di arrivo, una vettura rara. Esclusiva. Un’automobile pensata per la strada, ma con il cuore veloce e sportivo, frutto di 95 anni di esperienza nel mondo delle gare. Fibra di carbonio, scarico in titanio, sedile posteriore eliminato: la GT3-R è di cento chili più leggera rispetto alla già leggerissima Continental V8. Senza contare l’accelerazione: da 0 a 100 km/h in soli 3,8 secondi. E i cavalli: 580 per il motore V8 a doppio turbocompressore, 50 in più della V8 S e solamente 20 in meno della versione da corsa. Della Continental V8 S, la GT3-R eredita il carattere sportivo delle sospensioni pneumatiche e degli ammortizzatori. Cui si aggiungono la trazione integrale, e la distribuzione variabile della forza motrice. Le oltre due tonnellate della vettura acquisiscono così una dinamica stabilità, soprattutto in curva, grazie alle modifiche all’ESP e alle sospensioni, e grazie alla distribuzione mirata della coppia alle due ruote

posteriori. C’è anche il lato estetico, quel tratto immediatamente riconoscibile che fa di una Bentley una Bentley. Sedili in carbonio, alcantara e pelle. Alettone posteriore in carbonio. Splitter sul davanti, due prese d’aria sul cofano. La sua esclusività (solamente 300 gli esemplari prodotti), le sue straordinarie caratteristiche, la bellezza e la tecnologia di ogni dettaglio, hanno portato il team del magazine Wired ad eleggere la GT3-R come la miglior auto dell’anno, inserendola nel Gear of the Year che, ogni anno, illustra i migliori prodotti recensiti durante l’anno in diverse categorie. “Abbiamo scelto la GT3-R perché riteniamo che sia un superbo e innovativo capolavoro dell’ingegneria. Ha saputo unire il mondo delle corse a dettagli esclusivi, alla più pregiata manifattura, alla tecnologia più all’avanguardia. Il risultato è un’auto superlativa”. Motiva così la scelta Jeremy White, product editor di Gear of the Year.



d1amo 1 num3r1 40mila

+ 32%

Secondo un recente rapporto del WWF, di media, il rigetto di pesce catturato con reti a strascico, si attesti su ben il 40% del pescato, con uno spreco, un impoverimento dei mari e un danno all’ambiente enormi e incalcolabili. Ogni anno, ben 40.000 tartarughe marine e migliaia di delfini muoiono a causa delle reti da pesca e del degrado delle coste, che influisce sulla capacità di nidificazione delle tartarughe. Per salvaguardare queste specie in via d’estinzione, il WWF ha rilanciato il suo programma di adozioni e fra le 17 specie proposte figurano anche le tartarughe marine e i delfini.

Dopo un 2013 caratterizzato da notevoli incrementi dei volumi di merce movimentata: con +30% per i container, +35% per le auto nuove e trailer e +15% per le merci varie; ai quali si somma il +10% per il traffico passeggeri il porto di Salerno ha chiuso anche il 2014 in ulteriore crescita con un incremento del 32% nel traffico container. Ora il porto punta sul nuovo Polo crocieristico che sarà in grado di offrire ai passeggeri tutti i servizi e i comfort necessari: il nuovo terminal passeggeri, con l’ormeggio dedicato al Molo Manfredi lungo complessivamente 500 metri e con la Stazione Marittima, progettata dall’archistar Zaha Hadid, già dalla stagione crocieristica 2015, potrà accogliere le nuove navi da crociera e soddisfare le numerose richieste di approdo delle più importanti compagnie di navigazione di livello internazionale. La previsione è quella di superare in pochi anni il milione di passeggeri solo per il settore crocieristico. Gli interventi infrastrutturali, che valgono oltre 350 milioni di euro, riguardano anche il prolungamento del Molo Manfredi, che sono in fase di collaudo, e il consolidamento e adeguamento funzionale dei cigli banchina della testata del Molo 3 Gennaio. In atto anche i lavori per il nuovo accosto dedicato ai traghetti Ro-Ro al Molo di Ponente.

146 mld euro La spesa annuale per lo sviluppo delle infrastrutture in Africa sub-sahariana crescerà dai circa 57 miliardi di euro del 2013 fino a oltre 146 miliardi di euro all’anno stimati nel 2025.Secondo un rapporto diffuso dalla società britannica Pricewaterhouse Coopers (Pwc la spesa per le infrastrutture in Africa sub-sahariana rappresenti soltanto una porzione del 2 per cento sulle spese previste a livello mondiale nello stesso periodo. Nigeria e Sudafrica coprono la quota maggiore di spese nella regione, con una percentuale complessiva del 68 per cento condivisa in modo sostanzialmente equo. Il Kenya è terzo con una quota del 10 per cento sul totale delle spese per le infrastrutture. Il Ghana copre una quota dell’8 per cento, l’Etiopia il 6 per cento, la Tanzania il 5 per cento e il Mozambico il 3 per cento. Il rapporto di PwC mette poi anche in evidenza la crescita del mercato dell’energia: produzione e distribuzione rappresenteranno nel 2025 un mercato del valore pari a 45 miliardi di euro, rispetto ai circa 12 del 2012.

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699 Il 2014 passerà alla storia come l’anno nero dell’aviazione civile in Malesia con un bilancio di 699 vittime in tre incidenti. Ecco le date: 8 marzo: scomparso il volo MH370 della Malaysia Airlines rimane a tutto’oggi un mistero. Decollato da Kuala Lumpur non è mai arrivato a Pechino, la destinazione prevista, e non si sa nulla delle sorti delle 239 persone a bordo. 17 luglio: abbattuto il volo MH17 in Ucraina, un altro Boeing 777 decollato da Kuala Lumpur e per Amsterdam con 298 persone, tra loro anche alcuni ricercatori e volontari olandesi diretti a Melbourne, in Australia, per partecipare alla ventesima conferenza internazionale sull’Aids. Sono tutti morti dopo che l’aereo viene abbattuto nei cieli dell’Ucraina, dove è in corso la guerra civile tra le forze di Kiev e i filorussi. 28 dicembre: i radar perdono il volo QZ8501 tra Surabaya, in Indonesia, e Singapore si sono perse le tracce dell’airbus QZ8501 della compagnia low cost della Malesia, Air Asia: 162 le persone a bordo di cui 155 passeggeri. Tutti morti. Nell’Oceano affiorano i resti e anche il troncone di coda dell’aereo.

n.1 La Giamaica è la migliore e piú gettonata destinazione per le lune di miele. è quanto emerge dall’ultima edizione degli World Travel Awards, secondo cui l’isola caraibica è stata anche la migliore destinazione crocieristica dell’anno appena trascorso. L’isola dei Caraibi ha infatti battuto la concorrenza di Dubai, Las Vegas, St. Lucia e Bahamas nella categoria delle destinazioni romantiche degli World Travel Adwards 2014, considerati gli Oscar del turismo. Nella stessa rassegna la Giamaica è stata eletta migliore destinazione da crociera del 2014, davanti a Copenaghen, Dubai, Lisbona e Maldive.

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2 Potrebbero esserci due pianeti nascosti oltre Nettuno. Il che significa che il Sistema Solare potrebbe essere un po’ più grande del previsto. è un’ipotesi che fa discutere gli astronomi da anni, ma che ora sembra essere confermata da una nuova simulazione al computer, realizzata in collaborazione fra l’università Complutense di Madrid e quella britannica di Cambridge. Il risultato è stato pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society Letters. Se confermata, l’ipotesi potrebbe rivoluzionare i modelli finora usati del nostro Sistema solare. Secondo i calcoli dei ricercatori, ci sarebbero non uno, ma ben due pianeti in più che potrebbero spiegare il comportamento delle orbite degli oggetti celesti oltre Nettuno.

Piú di 120 fornitori sono usciti dal mercato dell’eolico fra il 2012 e il 2014. A dirlo sono i dati di FTI Consulting che, nell’edizione 2015 del Global Wind Supply Chain Update, fa il punto della situazione sull’intera filiera. Secondo gli esperti di FTI Consulting, sono 88 gli operatori asiatici che hanno dovuto chiudere, 23 gli europei e 18 quelli provenienti dal mercato del Nord America: il report ha analizzato la situazione della supply chain per 12 componenti chiave, a cui fanno capo 350 fornitori, e tre materiali principali, prodotti invece da 150 operatori, che rappresentano insieme oltre il 95% del costo totale di una turbina eolica. Inoltre, gli analisti hanno preso in esame la situazione degli impianti off-shore, i migliori 15 produttori di apparecchiature originali (OEMs – original equipment manufacturers), per tracciare i trend della domanda di energia eolica fino al 2018.

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NORD OVEST

San Francisco Dopo anni di progetti e di scontri anche nelle aule dei Tribunali, la California è pronta a sparare il suo treno-proiettile da 68 miliardi di dollari, che ridurrà della metà (sei ore in auto) il tempo di percorrenza tra il nord e il sud della California. Il collegamento tra la baia di San Francisco e Los Angeles dovrebbe essere pronto entro il 2020. I lavori partiranno nella Central Valley, anche se la partita legale e quella relativa agli espropri è ancora da giocare. A metà dicembre risultavano acquistati solo 101 dei 525 appezzamenti di terreni richiesti per il primo segmento da Fresno. E, secondo gli oppositori del progetto, la nuova linea ferroviaria ad alta velocità ha un prezzo devastante anche per la necessità di demolire molti edifici e strade in Chinatown.

Roma L’Italia (per ora a parole e con pochi fatti) punta a diventare l’hub del gas per tutta Europa, quale “ponte dell’energia” tra la sponda Sud e quella Nord del Mediterraneo. Per questo l’obiettivo, sfruttando anche gli investimenti del Piano Juncker sin dai primi mesi del 2015, è completare le interconnessioni intra-europee in modo da poter scambiare gas sul mercato interno dei 28, e avanzare con il reverse flow anche sul fronte ucraino che non può più (a differenza di quanto intendeva fare South Stream) essere bypassato. Considerando che in passato l’Italia ha bocciato uno dopo l’altro tutti i progetti di rigassificatori nei suoi porti principali, bisogna davvero procedere con i piedi di piombo.

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Oslo Gli investimenti petroliferi in Norvegia dovrebbero calare del 22% fra il 2014 e il 2017, ancora di più se il prezzo del petrolio rimarrà ai livelli attuali. Lo rivela la Direzione Norvegese del Petrolio, organismo pubblico delegato alle questioni petrolifere, stimando che gli investimenti dovrebbero passare da 172 miliardi di corone (19,3 miliardi di euro) del 2014 a 135 miliardi di corone nel 2017, con il livello più basso (-15%) che riguarda quest’anno. Le stime sono supportate dalla congiuntura dello scorso autunno, quando i corsi del barile non avevano smesso di flettere. E la mannaia potrebbe ora colpire anche giacimenti in funzione, in considerazione degli ulteriori cali nel prezzo.

Buenos Aires Il secondo default dell’Argentina in 12 anni potrebbe finalmente trovare una soluzione. Alla fine di giugno del 2014, il governo di Buenos Aires non ha potuto onorare una scadenza di pagamento del bond 2034, a causa del divieto posto dal giudice americano Thomas Griesa, il quale ha riconosciuto ai fondi dissenzienti il diritto di essere indennizzati al 100%. Ma, con l’arrivo del 2015, c’è una buona notizia. La clausola RUFO è scaduta il 31 dicembre dell’anno appena trascorso. Ciò significa che se Buenos Aires decidesse “improvvisamente”

di accordarsi con i creditori dissenzienti, ovvero i fondi usciti vincitori dalla pluriennale battaglia legale contro lo stato sudamericano, gli obbligazionisti ristrutturati non potrebbero più accampare pretese. Il tutto a condizione che la situazione economica e specialmente il quadro politico del Paese (travolto anche dalle indagini sull’omicidio del magistrato che indagava sulla Presidenza della Repubblica) non subisca ulteriori e drammatici deterioramenti.

Brasilia Giurando per il suo secondo mandato da “presidenta” del Brasile, Dilma Rousseff ha individuato nella lotta alla corruzione il caposaldo della nuova politica economica del Brasile. E prima a finire nel mirino della nuova politica di moralizzazione dovrebbe esser Petrobras. La deflagrazione degli scandali, che hanno sfiorato senza colpirli prima Lula e poi Dilma, ha mostrato il lato grigio del partito di sinistra: la rieletta “presidenta” ha tenuto a sottolineare nel suo discorso come per la prima volta nella storia del Brasile “una generazione di cittadini

non ha vissuto la tragedia della fame”. La fine della miseria “è solo l’inizio – ha detto Dilma, Abbiamo riscattato 36 milioni di persone dalla povertà estrema, mai tanti brasiliani erano saliti alla classe media, mai i salari erano cresciuti in così breve tempo e con tanta forza”. Il progetto “Fame zero” voluto da Lula è stato proseguito, ora ci vuole un rilancio e un controllo ferreo della spesa pubblica “per permettere all’economia di crescere di nuovo”. Ma su questo più di un economista esprime seri dubbi.

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sud eST

Pechino Nel 2014 (dati al 30 ottobre), i cantieri navali cinesi hanno registrato un incremento del 15,7% rispetto al 2013 nelle ordinazioni relative a nuove costruzioni. Le commesse ricevute da armatori esteri sono state le più numerose, con una crescita del 16,9%. I dati sono forniti dalla Cansi (China Association of the National Shipbuilding Industry). L’indagine ha preso in considerazione gli 87 principali cantieri del Paese che, nonostante abbiano mostrato cifre in aumento per quanto attiene le attività di costruzione, non sono ancora riusciti a convertirle in profitti più alti a causa dei bassi margini e dei costi elevati. Fra i cantieri monitorati, la Cansi ne ha esaminati ulteriormente 54, quelli in cui è stata concentrata la maggior parte dei lavori. Nei primi 10 mesi del 2014, questi stabilimenti più importanti hanno iscritto nuove ordinazioni per un tonnellaggio combinato di 50,23 milioni.

Hong Kong È stato ultimata la galleria di 6.236 metri che sarà parte integrante della linea ad alta velocità e che collegherà la capitale cinese, Pechino, all’ex colonia britannica di Hong Kong. L’ampiezza è di 15 metri, l’altezza, invece, di 12 metri. La nuova linea ferroviaria ad alta velocità dimezzerà il tempo di percorrenza tra la capitale cinese e l’ex colonia britannica. Il progetto rappresenta uno degli ultimi tasselli del piano complessivo di high speed nel quale si è impegnato il governo di Pechino a partire dagli Anni ‘90. La linea fra Pechino e Hong Kong è considerata la linea “business” strategicamente più importante.

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Manila L’ultimo pericolo proveniente dalla rete si chiama “sextortion” e ha già colpito qualche migliaio di persone in tutto il mondo. La sextortion altro non è che una truffa a base di sesso e relativa estorsione, orchestrata per lo più da bande criminali filippine. Le vittime sono soprattutto uomini, spesso giovani o facilmente lusingati dall’interesse di una giovane e bellissima donna sul web. Ma poi, quando arriva il ricatto, si tace e si paga. O peggio. Le principali centrali operative della sextortion sarebbero nell’area di Manila.

Mosca La Cina e la Russia hanno firmato un protocollo per il progetto di un treno ad alta velocità che collega le loro capitali, una linea destinata a sostituire la Transiberiana “tagliando” il tempo di percorrenza da sei a due giorni. La ferrovia sarebbe lunga oltre 7mila chilometri e passerà per Kazan, la capitale della repubblica del Tatarstan, 800 chilometri a est di Mosca, secondo la televisione di stato CCTV. La Cina, fiera della tecnologia dei suoi treni ad alta velocità, s’è lanciata in una competizione globale in un mercato dove dovrà vedersela con multinazionali

come la francese Alstom, la tedesca Siemens e la canadese Bombardier. Molto dipenderà da chi effettivamente definirà la gara per la fornitura, sia del materiale relativo alla linea sia, a maggior ragione, per i convogli e le motrici. Uno scontro non da poco, anche per il grande valore simbolico e promozionale che la nuova linea ad alta velocità avrà. Considerando che non esistono ancora progetti esecutivi, è difficile ipotizzare un’entrata in servizio del nuovo collegamento high speed prima di 8/10 anni, superando anche i problemi territoriali con altri Stati.

Nairobi Grazie al lavoro di Amref Africa, la comunità Masai di Entasopia, nel sud del Kenya, ha deciso di finirla con la pratica delle Mgf, ovvero le mutilazioni genitali femminili. Al posto del classico “taglio” è prevista una sorta di cerimonia di passaggio nell’età adulta priva di riti cruenti. Amref ci ha messo otto anni a convincere la comunità Masai ad abbandonare le mutilazioni genitali femminili. I famigliari, gli anziani saggi, i guerrieri moran e persino le “tagliatrici” sono stati pian piano persuasi che la pratica era dannosa e pericolosa. Fortissime le resistenze nei villaggi, proprio da parte delle donne incaricate di eseguire queste

pratiche di mutilazione. Secondo i medici di Amref, l’intesa raggiunta nel villaggio Masai riveste un’enorme importanza strategica nel programma di sensibilizzazione delle popolazioni africane che ancora praticano questo tipo di mutilazioni. Si tratta infatti di un precedente, per altro realizzato presso una delle tribù africane più stabilmente legate alle tradizioni familiari e religiose. Sempre secondo i medici di Amref, i risultati in termini di prevenzione delle malattie e delle infezioni dovrebbero fare il resto, innescando una positiva reazione a catena, attraverso il passaparola, presso altri villaggi Masai e quindi in seno ad altre tribù del Continente.

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italia gli appuntamenti da non perdere 1

MERCANTEINFIERA 28 FEBBR-8MARZO PARMA

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TASTE 7-9MARZO FIRENZE

Pitti Immagine presenta È una vera e propria la decima edizione di città, nella quale più di TASTE, il salone dedicato mille espositori, da tutte alle eccellenze del gusto, le piazze antiquarie dell’Italian lifestyle e del europee, esibiscono design della tavola. Un le proprie scoperte a appuntamento ancora decine di migliaia di più speciale nell’anno visitatori professionali, dell’Expo, in cui saranno collezionisti e cultori sotto i riflettori mondiali della memoria. È un l’alimentazione e il cibo evento unico, uno di qualità. Nato dalla tra i più importanti collaborazione di Pitti appuntamenti del Immagine col gastronauta settore su scala europea: Davide Paolini, Pitti Taste più di mille operatori presenterà i prodotti e le presentano le proprie novità di circa 320 aziende. opere di modernariato, www.pittimmagine.com antichità e collezionismo scovate durante i loro viaggi. Mercanteinfiera: una vera e propria città antiquaria. www.mercanteinfiera.it

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FIERA DEL FORMAGGIO 3-7 MARZO MARINA DI CARRARA La prima edizione della fiera del formaggio, la rassegna più importante del centro Italia dedicata alle eccellenze del settore, avrà luogo presso il complesso fieristico di Marina di Carrara. La fiera è aperta al pubblico e a un ricercato gruppo di operatori del settore. Al vino verrà dedicata un’intera area della fiera, in cui saranno presenti tante cantine provenienti da tutta Italia.

Appuntamento annuale per chi ricerca tutte le possibili soluzioni tecniche e operative per l’allevamento e la cura delle api, la produzione, la trasformazione e il confezionamento dei prodotti dell’alveare. Essenziale punto di incontro per aggiornarsi sul settore, grazie a un qualificato programma convegni organizzato in collaborazione con le più importanti associazioni del mondo apistico. www.apimell.it

www.fieradelformaggio.it

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five appuntamenti

Vinitaly è la principale manifestazione di riferimento del settore vinicolo, con otre 4 mila espositori e 155 mila visitatori, dei quali 56.000 esteri provenienti da 120 Paesi. Quattro giorni di grandi eventi, rassegne, degustazioni e workshop mirati all’incontro delle cantine espositrici con gli operatori del comparto, assieme a un ricco programma convegnistico che affronta e approfondisce i temi legati a domanda e offerta in Italia, Europa e nel resto del mondo.

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VINITALY 22-25 MARZO VERONA

www.vinitaly.com

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APIMEL 6-8 MARZO PIACENZA


Corri Forrest, corri...

Lupo senza branco

Ma insomma, io corro… Loro corrono… É normale che io parli di loro, eh sì: dei lupi. La mia mamma mi diceva sempre cose giuste e sagge… Ma mi sa che questa volta non ci ha azzeccato proprio niente… Magari è meglio se corro e sto zitto. Volete un cioccolatino????? Ma insomma la mamma mi diceva che i lupi vanno tutti insieme… Com’era? In branchio? Qualcosa così, che vuol dire che sono forti se sono tanti insieme e si aiutano… Proprio come noi runners. Poi la mamma mi diceva che loro trovano sempre la strada… Nel bosco. Se no si perdeva il lupo e non Cappuccetto Rosso… Anche il mio amico Buba la capiva una cosa così semplice… C’è scritto nella favola. Mica sulla porta della nonna c’era scritto Comune di Milano! Ma torniamo al lupo… Cioccolatino????? Scopro che c’è un lupo importante che si volta dietro e scopre che il branco non c’è... O forse non c’era mai? Guarda avanti e non sa dove andare… Dice che là dove c’è l’acqua del mare e ci sono le navi vanno fatte tante cose… Ma appena ne dice una giusta e dice… “Ecco a voi il mio branco”… Scopre che non ha

neanche un cioccolatino. Il lupo di un posto vicino ce l’ha sì il branco… Controlla i soldi. E allora tutti vanno in branco… Ma lui no, e non trova neppure la casa della nonna a Milano. Che lupo strano... Non sta in branco. Ulula piano e quando ulula… C’è uno che corre più forte e ulula più di lui… Alla luna e controvento. Il suo “branchetto” devo dire il vero... Ce l’ha messa tutta… Hanno corso insieme per la prima volta… Che bello! Quasi quasi ci vado anch’io… Intanto di porti e di quella cosa strana che si chiama logistica molti li supero di sicuro al primo giro. Ma insomma sembravano tutti amici… Ma

poi c’è sempre qualcuno che esce dal branco o arriva da un altro branco dice no, non si fa, e allora il lupacchiotto inaugura mostre. Mamma, mamma… Chi lupo è lupo fa… Non era proprio così, ma i lupi a me facevano paura… Che denti… Che ringhiate. È proprio vero… Il mondo va alla rovescia... Avrà avuto mica ragione quello là che l’agnello diventa lupo e il lupo sazio diventa pecora? Ma????? Io non ci capisco niente. Se fai il lupo, fai il lupo… Se corri, corri… Se mangi cioccolatini, mangi cioccolatini… Se vuoi fare qualcos’altro vallo a fare…

Forrest

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app mondo gli appuntamenti da non perdere 1

FESTA DI SAN PATRIZIO 17-20 MARZO dublino

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GRAPHISPAG 24-27MARZO barcellona

Salone Internazionale dell’Industria e Come tutti gli anni, la Comunicazione Grafica Festa di San Patrizio, dal accorpa mostre su 17al 20 marzo 2011, è Materiale per la stampa: l’evento più importante carta ed inchiostri; Prein Irlanda. Quattro giorni stampa ; Macchinari per di eventi, concerti e la stampa; Attrezzature sfilate che animano per Stampa Digitale; Dublino e tutta la Serigrafia / Tampografia ; nazione. Macchinari per rifinitura Quest’anno poi Italia e e trasformazione; Servizi Irlanda sono uniti nella affini. Sono attesi più di celebrazione della Festa 20.000 visitatori per una di San Patrizio e dei 150 fiera che è diventata uno anni dell’Unità d’Italia. dei punti di riferimento del Da non perdere per un settore grafico. fine settimana da vero www.graphispag.com irlandese, un giro tra gli Irish Pub di Dublino, alla scoperta dei migliori locali della città e nella Guinness Storehouse, la fabbrica di birra. www.nch.ie

eclissi solare 4 20 MARZO

mee 2-4 MARZO dubai

isole faroer

Avverrà qualcosa di spettacolare: tra le 09.41 La MEE 2015 (Middle East e le 09.43 del mattino, a Electricity) rappresenta seconda della posizione il più importante evento fieristico dedicato al settore dell’osservatore, per un massimo di 2 minuti e dell’energia elettrica. La stagione 2015 darà spazio 47 secondi, ci si ritroverà ai settori dell’illuminazione, spettatori dell’eclissi solare totale, uno dei più rari e elettricità, energia fantastici fenomeni naturali rinnovabile ed energia nucleare. La fiera raccoglierà che si possano ammirare, in ogni regione, una volta ogni da 120 paesi oltre 1.300 espositori su una superficie 375 anni. Una delle aree migliori dove posizionarsi di oltre 58.000m2. www.middleeastelectricity.com per l’avvistamento è Tórshavn, la più piccola capitale del mondo.

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Giardina è la più grande manifestazione svizzera indoor che celebra la cultura del giardino. Su una superficie espositiva di ben 30 000 m2 i principali operatori del settore presenteranno nuovi prodotti, soluzioni creative e le nuove tendenze per l’allestimento del giardino. Giardini e terrazze si sono senz’altro affermati come spazi esterni da vivere, progettati in maniera complessa e variegata, ma il desiderio di sensualità e d’incontro con la natura è tornato nuovamente e fortemente alla ribalta. Anche la provenienza e il radicamento locale hanno acquistato una nuova importanza nello spazio esterno privato. Sempre più spesso vengono scelte volutamente piante autoctone, la pietra naturale e il legno di produzione regionale sono molto richiesti.

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Sulla scia della luce La sua insegnante di scuola, nel villaggio di Dehradun, nel nord dell’India, un giorno gli aveva detto: “Ricordati, la luce viaggia sempre su una linea retta”: Quella frase era destinata a diventare un mantra per il giovane Narinder Kapany, lo scienziato sikh, trapiantato in Gran Bretagna e quindi negli States, che esattamente 60 anni fa, nel 1955, realizzo una delle scoperte piú rivoluzionarie: le fibre ottiche. Primo a concepire un sistema per guidare la luce, grazie a filamenti di vetro, Narinder Kapany dedicó una vita alla luce Laureato in fisica all’Università di Agra, fu ammesso proprio per i suoi studi sulla luce nell’ Imperial College of Science in London. Nel 1954 la rivista Nature pubblicó un suo studio relativo agli edperimenti di trasmissione delle immagini attraverso

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fasci di fibre ottiche. L’anno successivo si trasferí negli Stati Uniti alla University of Rochester dove ottenne il suo primo dottorato. Quindi si trasferí a Palo Alto, California dove fondó Optics Technology Quindi Kaptron Inc. and K2 Optronics. Tenne corsi alle università UC Berkeley, UC Santa Cruz, and Stanford University. Kapany fu anche fondatore e presidente della Sikh Foundation. Poco noto al di fuori degli esperti del settore, Narinder Kapany ha posto le basi per la piú clamorosa rivoluzione nella trasmissione di dati e immagini. La sua invenzione risale al 1955: un sistema che si basa sulla proprietà della luce di propagarsi da un capo all’altro di un filamento di vetro, anche se annodato, perché lo percorre rimbalzando sulle pareti

interne e senza disperdersi all’esterno. La scoperta ha trovato applicazioni nelle comunicazioni televisive, in quelle telefoniche e nella trasmissione di dati per computer. È infatti sufficiente trasformare un impulso elettrico in impulso luminoso e immetterlo in una fibra ottica: all’altro capo del “filo”, l’impulso luminoso viene nuovamente trasformato in impulso elettrico. I vantaggi di questo sistema, rispetto ai tradizionali fili di rame, sono enormi. Le fibre ottiche hanno infatti dimensioni minori e possono trasmettere un segnale a distanze maggiori dei normali cavi elettrici, prima che sia necessaria la sua amplificazione. Infine, poiché non è conduttrice di elettricità, una fibra ottica non subisce interferenze elettriche e il segnale non risulta disturbato.



l’eleganza del gusto BISTROT MILANO COLLABORA CON: Gerardo Giudice - Chef

è una delle figure più promettenti nel mondo dell’alta ristorazione. Esperienza professionale in Francia, con Beltramelli della scuola di Alain Ducasse e Piero Nagari, poi con Gualtiero Marchesi. Oggi lavora al Ristorante Bistro Milano. La cucina di Gerardo Giudice è profondamente orgogliosa della tradizione gastronomica italiana, da cui anche la grande cucina francese trae ispirazione.

RISTORANTE BISTRO MILANO Via Amoretti 94 Milano Tel. +39 331 136 8207 www.bistromilano.it


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