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PRIMO PREMIO GIOVANNI BELLOCCHIO … PERCHÉ E A CHI.

Èstato un onore per me consegnare, durante il Convegno dell’AICH di dicembre, il premio Giovanni Bellocchio. Si tratta di un premio, come ho spiegato durante l’evento, che apparentemente non ha nulla a che vedere con la ricerca scientifica e la medicina, che sono il mio “pane quotidiano”, ma che forse riguarda aspetti che dovrebbero essere fondamentali nella professione medica e nella ricerca scientifica in generale.

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Per chi non lo sapesse, e credo siano davvero pochi, Giovanni era il marito di Wanda ed era da sempre una presenza costante e silenziosa nell’associazione, pronto ad aiutare chiunque ne avesse bisogno, rispettoso del pensare altrui ma pronto ad esprimere con convinzione le proprie idee su salute, malattia e senso della vita e non da dottore o professore ma come chi ognuno di questi aspetti lo ho vis- suto sulla propria pelle, reinterpretato e messo a servizio degli altri. E allora il significato di questo premio è legato a una serie di parole e concetti che sono ispirazione di questa associazione: presenza, supporto, ascolto, aiuto, salute, comprensione e benessere. La scelta del vincitore si è basata sulla segnalazione diretta da parte delle famiglie e dei pazienti di persone che, ispirate da questi concetti, hanno “fatto la differenza” nella gestione della malattia. E così si è rapidamente delineata la figura di un medico di base che si è preso cura di un paziente con Malattia di Huntington. È una storia “normale” ma straordinaria perché la normalità nella gestione delle malattie croniche è diventata una rarità, avendo perso negli anni, per i motivi più diversi, molti aspetti legati all’empatia e alla relazione. Ha vinto il premio qualcuno consapevole che la professione medica implica il curare in un senso globale perché il benessere non è la mera assenza di malattia. Qualcuno che in piena pandemia e lock-down, periodo in cui il lavoro “forzato” a casa e la gestione quotidiana della persona con la Malattia di Huntington ha portato lo stress a livelli altissimi, si è preso cura di Floriana la moglie di un paziente, l’ha ascoltata e consigliata. E poi si è preso cura di Toto che aveva iniziato ad avere problemi di deglutizione tali da causare una polmonite ad ingestis; è riuscito a gestire la situazione a domicilio senza necessità di ospedalizzazione e, lavorando in equipe con il neurologo e lo psicologo dell’associazione, ha evitato il passaggio alla nutrizione artificiale. Sono state settimane difficili durante le quali Toto ha osservato un regime alimentare con cibo semisolido ma poi piano piano ha ripreso a mangiare quasi normalmente. Toto ha ritrovato uno stato di benessere tornando a godere della compagnia degli amici durante una cena al ristorante e riprendendo una delle passioni che aveva abbandonato da tempo: la pittura. Floriana ha scritto che Toto ha avuto una ripresa sia sul piano cognitivo che sul piano fisico ma cosa più bella ha ripreso a ridere con i suoi amici.

Il dott. Carlo Fulgenzi non ha guarito la Malattia di Huntington ma ha curato Toto e nello svolgere il suo lavoro con passione e dedizione ha fatto la scelta giusta per il suo paziente, permettendogli di continuare a vivere e di ricominciare a ridere.

Non è difficile capire perché sia stato un onore premiare il Dott. Carlo Fulgenzi.

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