aiasmag n. 30 - 18 settembre 2024

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SICUREZZA, SAlUtE, AMBIENtE e molto altro

Federico luppi

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la responsabilità penale del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP)

Safety e cybersecurity: verso un nuovo diritto dell’innovazione e della tecnologia

la digitalizzazione nella gestione dei rifiuti: un fattore di sicurezza, sostenibilità e responsabilità etica

Il registro dei trattamenti dei dati secondo il GDPR: il ruolo del titolare e del responsabile

Svelare il cuore della supply chain per promuovere la trasparenza e la responsabilità

Federico luppi

Whitecollar criminal defense lawyer, Diodà Studio Legale, Socio AIAS

Roberto Sammarchi

Parma & Sammarchi Studio Legale Associato, componente della Rete Giuridica AIAS, Coordinatore GTS Mare e 5.0 di AIAS, Socio AIAS

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Governance della sostenibilità e gestione del cambiamento

Katerina Marozava

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Requisiti dell’installatore di “linee vita”

Piano nazionale

per il radon: quali effetti per i luoghi di lavoro?

Il rischio chimico nella cucina del secolo scorso: insegnamenti dal passato

Marco Bergamaschi

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Federico luppi

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la responsabilità penale del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP)

I compiti e gli obblighi del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) sono determinanti perché questa figura professionale ha una stretta relazione con il datore di lavoro. Questi, in base al dettato della legge, ha un ruolo fondamentale e primario nella gestione della sicurezza e per ciò si avvale sia di soggetti (dirigenti e preposti) con funzioni di gestione e controllo, sia di responsabili come il RSPP.

Funzione, ruoli e compiti del RSPP

Il verificarsi di un infortunio sul lavoro ha, da sempre, creato notevole dibattito (anche in giurisprudenza) in merito alla corretta individuazione dei soggetti nei confronti dei quali è possibile muovere il rimprovero penale.

Ai fini della presente analisi, partendo dalla definizione normativa prevista dal T.U.S.L., si definiranno compiti e obblighi del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, tenendo presente la stretta relazione sussistente tra tale figura e quella del datore di lavoro. Nell’esercizio dell’attività di impresa il datore di lavoro assume un ruolo assolutamente fondamentale e primario nell’ambito della gestione della sicurezza, avvalendosi sia di soggetti (dirigenti e preposti) con funzioni di gestione e controllo, sia di soggetti di supporto (RSPP), che collaborano e coadiuvano il datore stesso.

Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è definito, dall’art. 2, comma 1, lett. f ) T.U.S.L. come la

“persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi ”.

È indubbio che trattasi di un consulente qualificato avente una funzione di mera consulenza, privo di alcun potere decisionale e di spesa (pertanto privo della capacità d’intervento autonomo nella gestione del rischio-infortunio), della quale il datore di lavoro si avvale per meglio ottemperare agli obblighi a cui il predetto è esclusivo destinatario per legge, non essendo il RSPP

“titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa antinfortunistica e che opera, piuttosto, quale ‘consulente’ in tale materia del datore di lavoro, il quale è e rimane direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio”1

Ciò detto, l’importanza e la rilevanza di tale funzione emerge dalla volontà del legislatore, da un lato, di riservare esclusivamente al datore di lavoro (art. 17 T.U.S.L.) l’obbligo non delegabile di nominare il responsabile del servizio che, come noto, è dotato di competenze tecniche scientifiche rilevanti ai fini della gestione del “rischio infortunio”; dall’altro, dalla specifica indicazione secondo cui il D.V.R. debba essere redatto dal datore di lavoro in cooperazione-collaborazione con il responsabile del servizio (in aggiunta con il medico responsabile).

I compiti tipici del RSPP sono specificamente individuati e definiti dall’art. 33 T.U.S.L. Essi sono articolati come segue:

 individuare i fattori di rischio, la valutazione dei rischi, definire le misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, anche sulla base delle caratteristiche specifiche della realtà e dell’organizzazione aziendale;

 elaborare le misure preventive e protettive anche ai fini della redazione del documento sulla sicurezza di cui all’art. 28 T.U.S.L.;

 proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;

 partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro e alla riunione periodica di cui all’art. 35 T.U.S.L. (quest’ultima norma specificatamente prevista per le aziende e

le unità produttive che occupano più di 15 lavoratori);

 fornire ai lavoratori le dovute informazioni ai sensi dell’art. 36 T.U.S.L.

La Suprema Corte ha chiarito che il

“RSPP ha una funzione di ausilio diretta a supportare, e non a sostituire, il datore di lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti”2

Dunque,

“non ci troviamo di fronte a una ‘duplicazione’ di posizioni di garanzia, bensì a due figure distinte e titolari di altrettanti doveri (ontologicamente e qualitativamente) differenti, pur se riferiti a un medesimo ambito operativo: il datore di lavoro è gravato dall’obbligo di adempiervi, mentre il responsabile e gli addetti al SPP sono tenuti a coadiuvarlo, nei limiti dell’attività di consulenza che non consente loro di sostituirsi al primo”3 .

Come è facilmente intuibile è il contenuto dell’obbligo giuridico facente capo al RSPP l’alveo nel quale, in caso di violazione colposa, si fonda la relativa responsabilità penale.

la responsabilità penale colposa: brevi cenni

Prima di affrontare nello specifico l’individuazione dei presupposti per i quali un RSPP possa rispondere penalmente a titolo di colpa di un infortunio derivante dalla violazione della normativa antinfortunistica, appare opportuno, seppure brevemente, soffermarsi sulla clausola contenuta nell’art. 43 cod. pen. secondo cui: “l’evento si verifica a causa di”, ossia la c.d. causalità della colpa (che, peraltro, non rileva ai fini della ricostruzione causale dell’evento).

Il primo dato che si ricava dalla formulazione normativa sopra riportata è il seguente: il nostro ordinamento giuridico non punisce un “crimen culpae”, bensì un “crimen culposum”4 .

In altri termini, le caratteristiche della colpa devono accedere alla condotta in quanto essa stessa sia causativa dell’evento.5

Da ciò deriva che il mero comportamento negligente, imprudente o imperito (ossia quello costitutivo della colpa generica, in quanto inosservante di una regola generale di prudenza),6 non è suscettibile di incriminazione di per sé, salvo che abbia effettivamente causato (o concorso a causare) il verificarsi dell’evento.

Ove così non fosse, la responsabilità colposa si ridurrebbe a mera responsabilità oggettiva.

Così, sul punto, si è espressa la Suprema Corte:

“come è noto, infatti, nei reati colposi, l’indagine sull’esistenza del nesso di condizionamento deve affrontare un problema d’importanza focale: è infatti necessario accertare se la violazione della regola cautelare riscontrata abbia o meno cagionato l’evento. L’intera struttura del reato colposo si fonda su questo specifico rapporto tra inosservanza della regola cautelare di condotta ed evento, che viene designato con l’espressione ‘causalità della colpa’. Questo concetto, come è noto, si fonda normativamente sul dettato dell’art. 43 cod. pen., a tenore del quale è necessario che l’evento si verifichi ‘a causa’ di negligenza, imprudenza, imperizia ovvero ‘per’ inosservanza di leggi,

regolamenti, ordini o discipline. […] La causa dell’evento è sempre la condotta materiale, la quale però, nei reati colposi, deve essere caratterizzata dalla violazione del dovere di diligenza. Questo quindi il significato da attribuirsi alla norma in esame: nel richiedere che l’evento si verifichi ‘a causa’ di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi e via dicendo, essa esige, ai fini del rimprovero a titolo di colpa, la materializzazione del profilo di colpa nell’evento concretamente verificatosi”7

È altresì noto che

“la colpa ha non solo un versante oggettivo […] ma anche un versante soggettivo, connesso alla possibilità dell’agente di osservare la regola cautelare. Il profilo soggettivo e personale della colpa è ravvisabile nella possibilità soggettiva dell’agente di rispettare la regola cautelare, ossia nell’‘esigibilità’ del comportamento dovuto”8

L’adempimento dell’obbligo giuridico (dunque del comportamento dovuto) trova, comunque, un limite nella ragionevolezza e nella esigibilità della prestazione. Sul punto, proprio per evitare derive che potrebbero condurre a forme surrettizie di responsabilità oggettiva (o di mera posizione), la Suprema Corte ha

“ricordato il principio secondo il quale ‘ad impossibilia nemo tenetur’ […]. Pertanto, tale obbligo va inteso nel senso che i soggetti tenuti debbono assicurare, più che la presenza fisica che non è in sé necessariamente idonea a garantire la sicurezza dei lavoratori, la ‘gestione’ oculata dei luoghi di lavoro, mediante la predisposizione di tutte le misure imposte normativamente”9 .

Sotto questa prospettiva, assume particolare rilievo il c.d. principio di esigibilità e, dunque, il profilo soggettivo della colpa, collegato alla possibilità dell’agente di osservare la regola cautelare.

Come sottolineato dalla Suprema Corte:

“si tratta di un profilo della responsabilità colposa cui la riflessione giuridica più recente ha dedicato molta attenzione, nel tentativo di personalizzare il rimprovero dell’agente attraverso l’introduzione di una doppia misura del dovere di vigilanza, che tenga conto non solo dell’oggettiva violazione di norme cautelari ma anche della concreta possibilità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali e la situazione di fatto in cui ha operato”10

la responsabilità penale del RSPP

La Suprema Corte riconoscendo, da tempo, che il

“RSPP non può incidere in via diretta sulla struttura aziendale ma ha solo una funzione di ausilio finalizzata a supportare (e non a sostituire) il datore di lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione”11

ha precisato che il predetto

“non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa antinfortunistica”12 .

Tuttavia, la mancanza di poteri autonomi (decisionali e di spesa) nella gestione del rischio-infortunio, che non consenta al RSPP di intervenire direttamente per rimuovere le situazioni di rischio, non esclude a priori la possibilità di configurare una responsabilità penale del predetto, in caso di violazione degli obblighi imposti dalla legge, allorquando detta violazione (obbligo di segnalazione del rischio) sia eziologicamente riconducibile all’evento lesivo.

A corollario di tale conclusione si può affermare che la responsabilità penale (colposa) del RSPP di un infortunio sul lavoro non discende direttamente dalla mera contestazione di non aver impedito l’evento (lesivo o mortale); al contrario essa trova fondamento nella violazione dell’obbligo giuridico facente capo allo stesso.

Non deve sfuggire, infatti, che i compiti gravanti sullo stesso, come sopra specificati consistono, da un lato, nell’individuazione e nella valutazione dei rischi della attività lavorativa, dall’altro, nella proposizione di misure di prevenzione/protezione.

È dunque evidente che tale figura svolge un ruolo assai prezioso e delicato in fase di segnalazione dei rischi con i relativi riverberi nella redazione del D.V.R., tenendo peraltro conto che lo stesso deve essere costantemente aggiornato sia in relazione all’evolversi della normativa, sia in relazione al progresso e alle eventuali novità rispetto agli specifici ambiti e settori di attività economiche.

Dalla disamina della casistica giurisprudenziale emerge che la responsabilità penale del RSPP è stata affermata ogniqualvolta lo stesso non abbia adempiuto diligentemente all’incarico affidatogli, ossia quello di collaborare con il datore di lavoro, al fine di individuare i rischi connessi all’attività lavorativa, fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli. Il punto cardine di detta elaborazione è rappresentato dalla sentenza a Sezioni Unite relative al caso ThyssenKrupp del 24 aprile 2014 (n. 38343), secondo la quale:

“in tema di infortuni sul lavoro, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all’occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può esse-

re chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri”13

In tal caso, la Corte aveva ritenuto penalmente responsabile il RSPP in quanto aveva redatto il D.V.R. fornendo indicazioni di misure organizzative inappropriate e inadeguate, nonché sottovalutando il pericolo di incendio, omettendo di indicare ai lavoratori le opportune istruzioni per la salvaguardia della propria incolumità.

È pertanto fondamentale una corretta perimetrazione della colpa identificabile a carico del RSPP in caso di infortunio sul lavoro, così come l’individuazione dei parametri di giudizio applicabile a tale figura prevenzionistica.

Ebbene, la condotta cautelare richiesta dal legislatore al RSPP si fonda (esaurendo il proprio contenuto) in un processo di natura intellettiva (i.e. individuazione/ valutazione dei rischi) che si colloca, da un punto di vista cronologico, in un momento precedente a tutte le fasi decisionali, operative e di controllo dell’attività lavorativa che, invece, competono e appartengono ad altre figure prevenzionistiche (tipicamente al datore di lavoro, al dirigente e al preposto).

NOTE

1. Cfr. Cass. Sez. Fer., 12 agosto 2010, n. 32357.

2. Cfr. Cass. Sez. IV, 10 gennaio 2018, n. 4941.

3. Cfr. L. Miani, F. Toffoletto, I reati sul Lavoro, Giappichelli Editore, 2019, pag. 75; sul punto si rimanda a Cass. Sez. IV, 18 gennaio 2017, n. 2406, che ha escluso la possibilità di equiparare la nomina di addetto o di responsabile del servizio quale delega di funzioni sulle materie di competenza di quest’ultimo.

4. In altri termini, l’evento deve apparire come una concretizzazione del rischio che la norma di condotta violata tendeva a prevenire. Cfr. Corte App. Milano, 28 gennaio 1980, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, pag.1559.

5. Cfr. G. Marinucci, La colpa. Studi, 2013, pag. 109: “l’evento… si deve trovare in un rapporto specifico con l’azione delittuosa, e in un rapporto così stretto, che il fatto che l’evento si sia verificato a seguito della violazione della diligenza deve essere appurato in modo certo, o con una verosimiglianza che confini con la certezza, altrimenti bisogna assolvere.”

6. Cfr. V. Castronuovo, Riv. it. dir. proc. pen., 2013, pag. 1729: “la violazione obiettiva di una cautela non è ancora colpa”. M. Donini, L’elemento soggettivo della colpa. Garanzie e sistematica, in Reato colposo e modelli di responsabilità. Le forme attuali di un paradigma classico, a cura di M. Donini, R. Orlandi, Bononia University Press, 2013.

Come già evidenziato, essendo il RSPP un mero ausiliario del datore di lavoro, peraltro privo di autonomi poteri decisionali, la sua prestazione è squisitamente consultiva.

Conseguentemente, sarebbe illegittimo un giudizio di responsabilità del RSPP fondato sulla mera presa d’atto del verificarsi dell’evento-infortunio, con deduzione ex post dell’inadeguatezza del processo di valutazione del rischio e dell’inidoneità delle fasi decisionali/operative dell’attività di lavoro. In sintesi, è inammissibile un assunto per il quale se le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa sono inidonee e l’infortunio si è realizzato, allora la valutazione dei rischi, effettuata dal RSPP, è negligente. Come ormai costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità “è pacifico, insomma, che il RSPP non è destinatario di poteri decisionali, né operativi, né di doveri di vigilanza sulla corretta applicazione delle modalità di lavoro”14. Ne discende che in ambito di infortuni sul lavoro, il RSPP risponde penalmente, a titolo di colpa professionale,15 ogniqualvolta l’infortunio sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa che il predetto avrebbe dovuto conoscere e, conseguentemente, avrebbe avuto l’obbligo di segnalare al

datore di lavoro, a seguito di errore tecnico nel processo di valutazione dei rischi, oppure in relazione a erronei suggerimenti o alla mancata segnalazione di situazioni di rischio colposamente non prese in considerazione.16

È evidente che la responsabilità penale del RSPP non trova origine da un omesso intervento in fase esecutiva che, chiaramente, è al di fuori dalle sue competenze, bensì dalla conoscibilità di una situazione oggettivamente pericolosa e dal relativo dovere di segnalazione del connesso rischio al datore di lavoro, che si colloca in una fase antecedente alla materiale esecuzione dell’attività lavorativa

La violazione di tali obblighi deve essere necessariamente valutata con riferimento alla situazione esistente al momento dell’evento che si è verificato, rispetto al quale deve essere accertato il collegamento causale con la mancata (o erronea) indicazione del rischio specifico (omessa segnalazione).

Sulla base di quanto sopra è stata, conseguentemente, esclusa la responsabilità penale in capo al RSPP nel caso in cui lo stesso abbia diligentemente valutato e segnalato, tramite un D.V.R. completo e idoneo, i fattori di rischio di un’azienda, così adempiendo al relativo obbligo.17

7. Cfr. Cass. Sez. IV, 22 luglio 2019, n. 32507.

8. Cfr. Cass. Sez. IV, 8 ottobre 2020, n. 1096; ex multis Cass. Sez. IV, 16 aprile 2019, n. 32507; Cass. Sez. IV, 3 novembre 2016, n. 12175; Cass. Sez. IV, 19 novembre 2015, n. 12478.

9. Cfr. Cass. n. 31303/2004.

10. Cfr. Cass. Sez. IV, 22 luglio 2019, n. 32507; ex multis Cass. Sez. IV, 8 ottobre 2020, n. 1096: “il profilo soggettivo e personale della colpa è ravvisabile nella possibilità soggettiva dell’agente di rispettare la regola cautelare, ossia nell’‘esigibilità’ del comportamento dovuto.”; Cass. Sez. IV, 3 novembre 2016, n. 12175: “concreta possibilità di pretendere l’osservanza della regola stessa: in poche parole, nell’esigibilità del comportamento dovuto.”; Cass. Sez. IV, 19 novembre 2015, n. 12478.

11. Cfr. Cass. Sez. IV, 5 aprile 2013, n. 50605.

12. Cfr. Cass. Sez. IV, 19 maggio 2017, n. 24958; Cass. Sez. IV, 18 gennaio 2017, n. 2406.

13. Ex multis Cass. Sez. IV, 20 ottobre 2020, n. 11650: “Per quanto il RSPP sia un consulente e non un soggetto con funzioni gestionali, su di egli grava l’obbligo di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro […]. Ove l’inadempimento di tali obblighi provochi un evento tra quelli presidiati penalmente ne può derivare una responsabilità penale”; Cass. Sez. IV, 5 giugno 2023, n. 23986.

14. Cfr. Cass. Sez. IV, 26 aprile 2017, n. 24958; Cass. Sez. IV, 17 ottobre 2019, n. 49761; Cass. Sez. III, 15 luglio 2021, n. 37383.

15. Cfr. Cass. Sez. IV, 21 dicembre 2010, n. 2814.

16. Cfr. Cass. Sez. IV, 10 marzo 2021, n. 24822 (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del RSPP per non aver segnalato nell’ultimo D.V.R. il rischio di caduta nel vuoto per il cattivo stato di manutenzione dei parapetti di un balcone, in concorso con quella iscritta al datore di lavoro per non avere sollecitato la società proprietaria dell’immobile a eseguire i necessari lavori di manutenzione, ritenendo irrilevanti, ai fini dell’esclusione della responsabilità del primo, la circostanza che il rischio non segnalato fosse noto al datore di lavoro); Cass. Sez. IV, 22 luglio 2021, n. 28468 (fattispecie in cui i giudici di merito hanno correttamente accertato che il RSPP sottoscrisse un piano di sicurezza non rispettoso dei contenuti minimi previsti dall’art. 96, comma 1, lett. g) T.U.S.L. e, comunque, carente e generico. È stato appurato, inoltre, che la segnaletica utilizzata nel cantiere era inadeguata, perché non consentiva la percezione dei rischi reali e i lavoratori non erano stati resi edotti della estrema pericolosità di quel piano e del concreto rischio di precipitazione.); Cass. Sez. IV, 9 dicembre 2019, n. 49761. 17. Cfr. Cass. Sez. IV, 24 maggio 2022, n. 34943; Cass. Sez. IV, 10 maggio 2017, n. 27516.

tutte le novità e i temi della 34a edizione di Ambiente lavoro. Salone della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro

Bologna, 23 luglio 2024 – Dal 19 al 21 novembre, a Bologna Fiere, è in programma la 34a edizione di Ambiente lavoro. Salone della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Garantire la salute e la sicurezza sul lavoro significa sviluppare e accrescere le tutele e la consapevolezza circa gli infortuni e le malattie professionali sui luoghi di lavoro.

A questo aspetto fondamentale, Ambiente lavoro dedica da sempre un’attenzione del tutto particolare: sono state 800 le ore di formazione rivolte ad addetti ai lavori e circa 1000 i relatori coinvolti nell’edizione dello scorso anno.

lo sforzo è stato quello di dimostrare che l’impiego delle soluzioni che la tecnologia mette a disposizione, unite al rispetto delle norme a tutela della vita e della salute delle lavoratrici e dei lavoratori, anche dinnanzi alle trasformazioni del lavoro e alle giuste istanze ambientali, è non solo compatibile con la produttività aziendale, ma la favorisce e la sostiene.

Analogo impegno sarà assunto per la prossima edizione che si occuperà dei temi di maggior interesse come la sostenibilità globale, sia ambientale, sia intesa come investimento per il benessere sui luoghi di lavoro, nella sua più ampia accezione.

Tra le novità dell’edizione 2024 l’iniziativa speciale Sicur Labor, interamente dedicata ai dispositivi di protezione individuale. L’iniziativa è concepita sia come area espositiva sia come luogo in cui si svolgeranno workshop su temi quali i dispositivi respiratori, le calzature di sicurezza e il ruolo che rivestono nella prevenzione, i dispositivi contro i rischi biologici principalmente utilizzati nei laboratori di analisi, in sanità e nell’ambito del settore alimentare.

“Prodotti, competenze, sensibilità. Sono questi gli aspetti su cui si concentrerà l’edizione 2024 di Ambiente Lavoro” commenta Marilena Pavarelli, project manager della manifestazione. “Presenteremo le soluzioni più innovative per contrastare incidenti e malattie professionali. Offriremo un ricchissimo programma di iniziative formative. Cercheremo con ogni mezzo di stimolare una riflessione profonda sul valore del lavoro in sicurezza.”

 Non mancheranno poi approfondimenti dedicati all’accordo Stato-Regioni per la formazione in materia di salute e sicurezza del lavoro che prevede alcune novità importanti, come la formazione dei datori di lavoro e dei dirigenti

 Si affronterà poi il tema dell’introduzione della Patente a punti adottata da INAIL e del ruolo svolto dalle nuove tecnologie in materia di sicurezza sul lavoro.

 In agenda anche temi classici come normativa antincendio, rischio chimico e rischio fisico, normativa macchine

 Oltre al modello tradizionale della formazione frontale, come sempre ad Ambiente Lavoro saranno ospitati esempi di formazione con un approccio meno convenzionale quali pièces teatrali e improvvisazioni, capaci di coinvolgere il pubblico e di simulare situazioni di emergenza e relative soluzioni.

Roberto Sammarchi

Parma & Sammarchi Studio Legale Associato, componente della Rete Giuridica AIAS, Coordinatore GTS Mare e 5.0 di AIAS, Socio AIAS

Safety e cybersecurity: verso un nuovo diritto dell’innovazione e della tecnologia

In un sistema complesso, nel quale la sicurezza non si limita più alla sola protezione dei dati e dei sistemi, la normativa proposta dalle istituzioni europee deve assumere un ruolo centrale nella gestione della cybersicurezza aziendale. Gli attacchi informatici, come per esempio l’interruzione di servizi essenziali, possono avere conseguenze tangibili sulla vita reale.

Compliance e innovazione

La compliance, nel contesto della progettazione e produzione industriale, si riferisce all’adempimento sistematico e documentato di normative, leggi, standard e regole di buona pratica applicabili al processo di progettazione, sviluppo, produzione e distribuzione di componenti, macchinari e sistemi meccanici. Include il rispetto delle normative tecniche, di sicurezza, ambientali, di qualità e di tutela dei dati, nonché l’osservanza degli standard specifici del settore in riferimento ai requisiti imposti dai clienti. Un approccio integrato alla compliance coinvolge tutte le fasi del ciclo di vita del prodotto, dalla concezione alla messa in servizio e manutenzione, fino allo smaltimento. È richiesto un costante aggiornamento delle risorse coinvolte, l’implementazione di sistemi di gestione della qualità e della sicurezza, la realizzazione di audit per verificare la conformità ai requisiti applicabili.

La compliance non è solo una necessità legale ma un investimento strategico per la riduzione dei rischi, il miglioramento della qualità, l’accesso a nuovi merca-

ti, la fiducia degli stakeholder e la sostenibilità. Integrare la compliance fin dalle fasi iniziali di progettazione e sviluppo dei prodotti è una scelta strategica orientata al successo e alla crescita a lungo termine. Oggi gli adempimenti in materia di compliance sono soggetti a profonde trasformazioni a causa dei mutamenti nel quadro normativo, che stanno portando a un sistema giuridico, integrato in modo ancora ampiamente imperfetto, in materia di innovazione e di tecnologia digitale.

Nel mondo permeato dalla tecnologia digitale, la sicurezza informatica non si limita più alla protezione di dati e sistemi online. La crescente interconnessione tra mondo digitale e fisico rende la sicurezza cibernetica un fattore centrale per la tutela della sicurezza fisica delle persone. Le minacce informatiche possono avere conseguenze tangibili sulla vita reale, come incidenti stradali causati da attacchi a sistemi di guida autonoma, o interruzioni di servizi essenziali come la fornitura di energia elettrica.

La sicurezza dei dati personali è strettamente legata alla protezione della privacy e alla prevenzione di re-

ati come il furto d’identità. Un’infrastruttura digitale sicura che comprende i sistemi di produzione e raggiunge i prodotti finali e i loro utilizzatori è alla base di una società digitale resiliente e prospera. Il diritto comunitario sta evolvendo per raggiungere questo obiettivo.

EVOlUZIONE

I

l primo problema da affrontare in questa complessa materia è la presenza di diversi “corpi normativi” ciascuno dei quali si concentra su una tematica specifica. Si tratta di norme “egoiste”, nel senso che, pur affrontando materie con molti punti in comune, in generale non considerano il quadro d’insieme e costituiscono un approfondimento verticale del tutto privo di visione sistemica. Si sente sempre più l’esigenza di un Codice europeo dell’innovazione digitale, che purtroppo non sembra ancora all’orizzonte. In ogni caso, e dal punto di vista pratico, sembra utile richiamare alcune delle principali norme utili per comprendere il processo evolutivo in corso. Tenteremo in seguito di sviluppare possibili nessi operativi fra le norme richiamate.

 1.

Regolamento sull’intelligenza artificiale – Regolamento (UE) 2024/1689 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2024, che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale e modifica i regolamenti (CE) n. 300/2008, (UE) n. 167/2013, (UE) n. 168/2013, (UE) 2018/858, (UE) 2018/1139 e (UE) 2019/2144 e le direttive 2014/90/UE, (UE) 2016/797 e (UE) 2020/1828 (regolamento sull’intelligenza artificiale) – testo rilevante ai fini del SEE.

L’obiettivo è garantire che l’uso dell’IA sia sicuro, rispetti i diritti fondamentali e supporti l’innovazione e la competitività nell’UE. Il regolamento mira a bilanciare il potenziale di sviluppo tecnologico con i rischi associa-

ti, imponendo obblighi di conformità particolarmente stringenti per i sistemi di IA ad alto rischio, mentre sistemi meno rischiosi avranno regole più flessibili.

temi principali

 Sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali nell’uso dell’IA.

 Supporto all’innovazione e alla competitività.

 Regolamentazione basata sul livello di rischio.

 Obblighi di conformità per i sistemi di IA ad alto rischio.

 2.a.

Proposta di Regolamento sulla cybersicurezza prodotti – 2022/0272 (COD)

Sintesi

Mira a implementare misure orizzontali di cybersicurezza per i prodotti con elementi digitali. Vuole garantire che i prodotti digitali siano sicuri e affidabili, prevedendo la possibilità per gli Stati membri di designare autorità di vigilanza del mercato e stabilire un sistema robusto di certificazione della cybersicurezza.

temi principali

 Cybersicurezza dei prodotti con elementi digitali.

 Autorità di vigilanza del mercato.

 Sistema di certificazione della cybersicurezza.

 Collaborazione tra operatori economici e autorità.

 2.b.

Proposta di Direttiva sui prodotti difettosi –2022/0302 (COD)

Sintesi

Proposta di direttiva per la responsabilità per danno da prodotti difettosi, estesa ai sistemi di intelligenza artificiale. L’obiettivo è garantire la protezione dei consumatori e la certezza legale per le imprese, assicurando che i danni causati da prodotti basati sull’IA siano trattati con equità sotto il profilo della responsabilità.

temi principali

 Estensione della responsabilità per prodotti difettosi ai sistemi di IA.

 Protezione dei consumatori.

 Certezza legale per le imprese.

 Equità nella gestione dei danni causati dall’IA.

 3.

Direttiva NIS2 – 2022/2555 (UE)

Sintesi

Aggiorna e sostituisce la Direttiva NIS, stabilendo misure per un alto livello di cybersicurezza in tutta l’UE. La direttiva estende i requisiti di sicurezza e le obbligazioni di notifica degli incidenti a più tipi di entità, rafforzando la cooperazione tra gli Stati membri per una maggiore resilienza cibernetica.

temi principali

 Miglioramento della cybersicurezza nell’UE.

 Estensione dei requisiti di sicurezza e notifica.

 Cooperazione tra gli Stati membri.

 Rafforzamento della cyberresilienza.

B.

RIlEVANZA DEl QUADRO NORMAtIVO

PER I PROFESSIONIStI

DEllA SICUREZZA

Nella prospettiva dei professionisti della sicurezza, la sicurezza fisica dei lavoratori e degli utilizzatori finali dei prodotti è di importanza centrale. I testi considerati offrono una panoramica delle normative europee che impattano direttamente su questi aspetti.

Ciascuno dei testi richiamati si collega alla sicurezza fisica delle persone in base ai punti seguenti:

 1.

Regolamento sull’intelligenza artificiale

Impatto sulla sicurezza fisica

 Il testo stabilisce requisiti stringenti per i sistemi di intelligenza artificiale (IA), particolarmente per quelli classificati come ad alto rischio, che possono includere macchinari e impianti industriali. La sicu-

rezza fisica delle persone viene assicurata attraverso la definizione di standard elevati per la trasparenza, l’accuratezza e la robustezza dell’IA, limitando così i rischi di malfunzionamenti o comportamenti imprevisti che potrebbero causare infortuni.

 2.a.

Proposta di Regolamento sulla cybersicurezza prodotti

Impatto sulla sicurezza fisica

 Concentrandosi sulla cybersicurezza dei prodotti che incorporano elementi digitali, la norma tende a garantire che le infrastrutture critiche, come gli impianti industriali, siano protette da attacchi informatici che potrebbero compromettere la sicurezza fisica dei lavoratori. Ad esempio, un attacco informatico potrebbe causare il malfunzionamento di una macchina, risultando in pericoli diretti per gli operatori.

 2.b.

Proposta di Direttiva sui prodotti difettosi

Impatto sulla sicurezza fisica

 La direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi riguarda direttamente la sicurezza degli utilizzatori finali. Assicura che eventuali prodotti difettosi, inclusi quelli fabbricati tramite l’utilizzo di macchinari progettati e impianti, siano coperti da

norme che facilitano il risarcimento per danni, stimolando così i progettisti e i produttori a mantenere alti standard di sicurezza.

 Potrebbe essere descritta una modalità di gestione ai fini assicurativi della responsabilità collegata ai progetti, separando e dichiarando in una logica di progettazione della filiera i diversi ambiti di responsabilità.

 3.

Direttiva NIS2

Impatto sulla sicurezza fisica

 Estende e rafforza i requisiti della precedente direttiva NIS, includendo più settori e aziende che sono considerati di importanza vitale per la resilienza cibernetica. La connessione con la sicurezza fisica è evidente, poiché un aumento della sicurezza informatica in macchinari e impianti riduce il rischio di interruzioni e incidenti che potrebbero altrimenti mettere a rischio la sicurezza fisica di lavoratori e utenti.

Collegamento tra i tre corpi normativi presi in esame e la sicurezza delle persone (safety):

Regolamentazione Integrata

La combinazione dei testi mostra un approccio integrato dell’UE verso la sicurezza fisica, coprendo sia la sicurezza dei dispositivi controllati digitalmente (intelligenza artificiale e cybersicurezza), sia la responsabilità per prodotti difettosi. Insieme, promuovono un ambiente di lavoro e di utilizzo sicuro.

Sicurezza e Responsabilità

Mentre il Regolamento sull’IA e la Direttiva NIS2 si concentrano sulla prevenzione di incidenti attraverso standard rigorosi e misure di protezione, la Direttiva sui prodotti difettosi correlata a quella sulla resilienza digitale assicura che ci siano efficaci rimedi legali disponibili in caso di incidenti, incentivando la sicurezza nel design e nelle operazioni.

I tre corpi normativi si collegano al testo Unico italiano in materia di sicurezza sul lavoro (D.lgs. 81/2008) e alla Direttiva Macchine (2006/42/CE), recepita in Italia con il D.lgs. 17/2010. Da ricordare che la Direttiva Macchine sarà sostituita dal Regolamento Macchine (2023/1230) a partire da gennaio 2027.

 1.

Regolamento sull’intelligenza artificiale

Collegamenti con il testo Unico e la Direttiva Macchine:

testo Unico

La sicurezza dei sistemi di intelligenza artificiale impiegati sul lavoro, come robot autonomi o sistemi di automazione, deve rispettare le norme di sicurezza previste dal Testo Unico, che richiede la valutazione dei rischi e l’adozione di misure di protezione per i lavoratori.

Direttiva Macchine

Questo Regolamento complementa la Direttiva Macchine assicurando che i sistemi di IA integrati nelle macchine siano sicuri e affidabili, evitando rischi aggiuntivi per gli operatori.

 2.a.

Proposta di Regolamento sulla cybersicurezza prodotti

Collegamenti con il testo Unico e la Direttiva Macchine:

testo Unico

Le norme di cybersicurezza per proteggere i sistemi informativi aziendali sono in linea con l’obbligo del Testo Unico di garantire un ambiente di lavoro sicuro, compresa la protezione dai rischi derivanti da attacchi informatici.

Direttiva Macchine

Il Regolamento supporta la Direttiva Macchine assicurando che le componenti digitali delle macchine non siano vulnerabili a minacce informatiche, garantendo così la sicurezza operativa delle macchine stesse.

 2.b.

Proposta di Direttiva sui prodotti difettosi

Collegamenti con il testo Unico e la Direttiva Macchine:

testo Unico

Garantisce che i prodotti, compresi gli strumenti e le macchine usati nei luoghi di lavoro, siano sicuri e non causino danni ai lavoratori, in linea con gli obblighi di sicurezza del datore di lavoro previsti dal Testo Unico.

Direttiva Macchine

La Proposta integra la Direttiva Macchine fornendo un quadro legale per la responsabilità in caso di danni causati da macchine difettose, incentivando i produttori a rispettare alti standard di sicurezza.

 3.

Direttiva NIS2

Collegamenti con il testo Unico e la Direttiva Macchine:

testo Unico

Supporta gli obiettivi del Testo Unico migliorando la sicurezza delle infrastrutture informatiche utilizzate in contesti lavorativi, riducendo così i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori.

Direttiva Macchine

Promuove la sicurezza delle macchine connesse e intelligenti attraverso migliori pratiche di sicurezza informatica, in linea con gli obiettivi di sicurezza meccanica ed elettronica della Direttiva Macchine.

Conclusioni

Gestire l’interazione tra le normative UE approvate o in corso di approvazione e la legislazione italiana specifica, come il Testo Unico Sicurezza e la Direttiva Macchine, è fondamentale in vista di un ambiente di lavoro sicuro e per garantire che le macchine e gli impianti utilizzati, nonché i prodotti finali, rispettino adeguati standard per la tutela della sicurezza fisica delle persone.

Rivoluzione Amesphere la potenza dei dati per una sicurezza e sostenibilità sociale sul lavoro

AME trasforma i dati oggettivi, raccolti sul campo grazie ai sensori installati sulle fonti di rischio, in informazioni cruciali per i responsabili del Plant, promuovendo un ambiente operativo più sicuro, sostenibile ed efficiente.

Iniziamo presentando brevemente AME e la vostra mission aziendale.

AME è un’azienda leader nelle soluzioni innovative per la sicurezza sul lavoro; ci dedichiamo a sviluppare tecnologie avanzate che proteggono i lavoratori e migliorano l’efficienza delle aziende.

Quest’anno celebriamo un traguardo significativo: il nostro 25° anniversario. In questi anni, abbiamo costantemente spinto i confini dell’innovazione, introducendo soluzioni all’avanguardia che integrano sensori sofisticati e analisi dei dati per prevenire incidenti e salvare vite umane.

La missione di AME è chiara e ambiziosa: creare tecnologia innovativa per proteggere la tua serenità. Crediamo fermamente che, attraverso l’uso intelligente della tecnologia, possiamo non solo proteggere i lavoratori, ma anche rendere le aziende più competitive e sostenibili.

Claudio Salvador Presidente di AME
Filippo Bonifacio CEO di AME

Recentemente avete lanciato la linea di prodotti Amesphere. Potreste spiegarci di cosa si tratta e quali sono le sue caratteristiche principali?

Tutte le soluzioni AME sono il risultato di anni di ricerca e sviluppo create e realizzate dal nostro team interno. E possiamo dire che Amesphere è un ecosistema digitale in grado di elevare gli standard di

protezione e prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, in cui non esiste più una separazione fra hardware (Device) e software (Data cloud), ma un sistema totalmente integrato.

Amesphere sta trasformando il panorama della sicurezza sul lavoro con un innovativo approccio di “Safety as a Service”. Offriamo ai clienti una serie di servizi avanzati, tra cui:

 Anticollisione Attiva

Sistemi sempre connessi e aggiornati che integrano la tecnologia LPS (Local Positioning System) e l’intelligenza artificiale per prevenire collisioni tra veicoli e pedoni e tra veicoli.

 Gestione Sicura dei Dati

Raccolta, memorizzazione e archiviazione sicura dei dati operativi, garantendo protezione e integrità delle informazioni.

 Analisi Avanzata dei Dati

Software cloud con AI e machine learning per analizzare i dati oggettivi e fornire insights tempestivi e utili.

 Notifiche Utili

Trasformazione dei dati in notifiche dirette per gli stakeholder, migliorando la tempestività e la precisione delle informazioni.

 Compliance e Ottimizzazione

Strumenti per conformarsi alle normative UNI ISO 45001, ottimizzare i flussi logistici e promuovere la sostenibilità sociale.

In sintesi, Amesphere non solo migliora la sicurezza sul lavoro, ma contribuisce anche a rendere le operazioni più efficienti e sostenibili.

È evidente che Amesphere segna un avanzamento notevole nella tecnologia per la sicurezza sul lavoro. Potreste esplorare più in dettaglio perché l’oggettività dei dati è così fondamentale in questo ambito?

L’oggettività dei dati è essenziale per la sicurezza sul lavoro. Tradizionalmente, la sicurezza si basa spesso su dati soggettivi, dove i mancati incidenti vengono segnalati dagli operatori in base alla loro percezione personale del rischio. Questo approccio può essere impreciso e non sempre riflette la reale situazione sul campo. Grazie alle nostre tecnologie avanzate, AME sposta l’attenzione dalla semplice rilevazione del pericolo all’analisi approfondita dei dati. Utilizzando la tecnologia LPS di Amesphere, siamo in grado di fornire dati precisi e affidabili sulla posizione di veicoli e pedoni, eliminando qualsiasi ambiguità. Questo ci consente di monitorare e analizzare le situazioni di rischio in tempo con una misurazione del livello del rischio, offrendo una visione chiara e imparziale degli eventi. Lo step ulteriore che abbiamo fatto è stato quello di trasformare questa quantità enorme di dati oggettivi e complessi in informazioni fruibili e utili per diversi stakeholder. Attraverso una dashboard molto semplice e intuitiva e l’invio di notifiche dirette ai diversi responsabili, è possibile fare un’analisi predittiva del rischio di incidente, sulla base della quale intervenire con azioni correttive o migliorative in ambito logistico e di sicurezza. In un ambiente di lavoro, dove la sicurezza è una priorità assoluta, l’og-

gettività dei dati può fare la differenza tra un incidente evitato e un infortunio grave.

Che tipologia di notifiche offre Amesphere al cliente e come queste portano un valore aggiunto alla sicurezza?

Amesphere fornisce una serie di notifiche in tempo reale che offrono un valore aggiunto significativo alla sicurezza. La prima notifica in tempo reale è che il sistema emette avvisi immediati riguardo alla presenza e alla posizione di veicoli e pedoni in situazione pericolosa, e può attivare azioni correttive come rallentamenti o altre misure di intervento per prevenire incidenti. Inoltre, raccoglie e analizza tutti i dati relativi a queste rilevazioni per fornire una panoramica completa e utile. Le informazioni elaborate dal sistema si traducono in tre tipi principali di notifiche, ognuna delle quali contribuisce in modo unico alla sicurezza e all’efficienza:

 Notifiche Periodiche

Viene inviato un report via email con dati macro che offre una panoramica dettagliata del plant attraverso grafici e numeri chiave. Un esempio è

l’ESI (Efficiency and Safety Index), che riassume in un solo numero il livello di rischio e l’efficienza del plant, permettendo una visione chiara e immediata dello stato del plant stesso.

 Notifiche Puntuali

Sono inviate notifiche sul telefono o via email per segnalare eventi importanti come interazioni ad alto rischio, urti o altre situazioni critiche. Queste notifiche tempestive consentono agli operatori di agire rapidamente per mitigare i rischi e garantire la sicurezza in tempo reale.

 Notifiche Tendenziali

Forniscono analisi sui cambiamenti di tendenza a medio e lungo termine. Queste notifiche aiutano a monitorare lo stato del plant e anche a identificare se le modifiche implementate hanno avuto effetti positivi o negativi, facilitando un miglioramento continuo delle pratiche di sicurezza.

Con queste notifiche, Amesphere non solo migliora la capacità di risposta immediata ai rischi, ma offre anche strumenti analitici per una gestione proattiva e informata della sicurezza sul lavoro

Sembra che Amesphere possa davvero rivoluzionare la sicurezza sul lavoro. Quali sono i piani futuri di AME?

In AME siamo determinati a continuare a investire nella ricerca e nello sviluppo per perfezionare ulteriormente la precisione e l’affidabilità delle nostre soluzioni. Stiamo esplorando l’integrazione di tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale e lo IoT per creare soluzioni sempre più innovative e all’avanguardia. La nostra espansione globale mira a portare i benefici di soluzioni come Amesphere a un numero crescente di aziende in tutto il mondo.

Ma il nostro impegno va oltre l’innovazione tecnologica. Speriamo che il futuro veda un cambiamento fondamentale nel modo in cui vengono fatti gli investimenti delle aziende, spostando l’attenzione dalle sole strategie orientate al business a quelle che realmente salvaguardano le vite umane. Perché, alla fine, non stiamo solo cercando di ottimizzare i processi aziendali, ma di proteggere e garantire la sicurezza dei lavoratori. Con Amesphere, ci impegniamo a mettere la sicurezza al centro delle priorità aziendali, assicurando che ogni ambiente di lavoro sia non solo efficiente, ma soprattutto sicuro e protetto. Advanced Microwave Engineering S.r.l.

Via Lucca 44, 50142 Firenze, Italy

Tel. +39 055 73921 | Cell. +39 393 9704198

https://www.youtube.com/user/EGOproSafety

la digitalizzazione nella gestione

dei

rifiuti: un fattore di sicurezza, sostenibilità e responsabilità etica

I rifiuti industriali rappresentano un problema di non facile soluzione e costituiscono la gran parte del totale dei rifiuti prodotti. Una gestione efficace, sostenibile e digitalizzata dei rifiuti industriali è una responsabilità etica e normativa. Grazie a sofisticate applicazioni software per il waste management è possibile trovare soluzioni pratiche e convenienti.

Nell’attuale scenario italiano, dove i rifiuti industriali rappresentano l’80% del volume totale dei rifiuti prodotti, una gestione efficace, sostenibile e digitalizzata non è solo un obbligo normativo, ma anche una responsabilità etica nell’ottica del Green Deal europeo e dei princìpi dell’economia circolare. Una gestione ottimale dei rifiuti offre vantaggi in ter-

mini di efficienza, tracciabilità e conformità normativa e contribuisce alla sicurezza e alla salute pubblica. In questo articolo esploreremo le tipologie di rifiuti industriali e la normativa annessa, cosa implica la digitalizzazione nella loro gestione e una panoramica sul nuovo Registro Elettronico Nazionale per la Tracciabilità dei Rifiuti (R.E.N.T.Ri).

Maria Chiara Graziano Journalist, Communication & PR Manager at Omnisyst, Socio AIAS

 Normativa: attenzione all’ambiente e alla salute

Il perimetro legato allo smaltimento dei rifiuti è regolato dal D.Lgs. 152/2006, o Testo Unico Ambientale, e successive modifiche, che ha come obiettivo principale la tutela di ambiente e salute. Le finalità individuate dalla norma all’art. 178 indicano, infatti, le seguenti voci:

 La gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse.

 Il recupero e lo smaltimento devono avvenire senza pericolo per la salute umana e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente.

 Assicurare una elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci.*

Va da sé che gli scarti delle industrie, se non correttamente raccolti, gestiti, trattati e/o smaltiti, possono avere un notevole impatto ambientale a causa del pos-

*Articoli 178, commi 1 e 2 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante “norme in materia ambientale”, in vigore dal 29 aprile 2006 (Supplemento ordinario n. 96 alla Gazzetta Ufficiale del 14 aprile 2006 n. 88).

sibile rilascio di sostanze inquinanti e materiali pericolosi, potenzialmente dannosi per l’ambiente e per la salute delle persone.

 Classificazione dei rifiuti industriali

I rifiuti sono definiti sulla base della loro provenienza. Ai rifiuti “urbani”, quelli domestici provenienti da abitazioni private ed edifici civili, si contrappongono quelli “speciali”, legati a esercizi commerciali e attività produttive di industrie e aziende. I rifiuti industriali appartengono ai rifiuti speciali e possono essere categorizzati come “pericolosi” e “non pericolosi” in base a caratteristiche dovute alla concentrazione di sostanze inquinanti e/o tossiche. Classificare i rifiuti è il primo passaggio fondamentale per procedere al loro corretto recupero o smaltimento, da cui derivano non solo le procedure di gestione, ma anche gli adempimenti amministrativi, burocratici e contabili.

 Digitalizzazione dei rifiuti industriali: i software per il waste management

Un passaggio ulteriore nella gestione ottimale dei rifiuti industriali è connesso al tracciamento digitale.

La digitalizzazione ha raggiunto anche il comparto dei rifiuti speciali ed è un’ottima notizia perché significa maggiore trasparenza nella gestione della filiera e quindi minore impatto ambientale e minori rischi per la salute. L’adozione di un sistema digitale per monitorare l’iter di uno scarto assicura, infatti, di seguire la normativa e tutelare l’ecosistema nel migliore dei modi.

Per le attività industriali di qualunque tipo, dal comparto produttivo a quello agricolo o dei servizi, il corretto trattamento dei rifiuti è fondamentale, poiché in quanto produttori ne sono anche i soggetti legalmente responsabili.

Il trattamento dei rifiuti, però, può essere visto non solo come un problema da risolvere, ma anche come un’opportunità per un’azienda di riconoscersi in un modello di sviluppo e crescita sostenibili che promuova un’economia circolare. In questo scenario, il ricorso a strumenti digitali permette di sveltire, condividere e migliorare la gestione dei rifiuti speciali.

 Quali sono i vantaggi di tali strumenti digitali?

Piattaforme e strumenti digitali dedicati alla governance degli scarti assicurano un monitoraggio puntuale e un maggior controllo sulle attività legate alla gestione dei rifiuti.

Ecco alcuni vantaggi:

 Efficientamento delle operazioni

La digitalizzazione mira all’efficientamento, riducendo e ottimizzando tempo e risorse.

 Garanzia di conformità normativa

Un software deve garantire conformità alle normative, che nel settore dei rifiuti sono complesse e in costante evoluzione, basandosi su leggi comunitarie e nazionali.

 Gestione avanzata

Un software avanzato semplifica le operazioni, riduce gli errori e facilita il trasporto, assicurando il rispetto delle leggi.

 Archivio e gestione documentale

Digitalizzare la gestione dei rifiuti significa automatizzare operazioni come la tenuta dei registri, la compilazione dei formulari e l’organiz-

zazione del trasporto, con un archivio digitale sempre accessibile.

 trasparenza e tracciabilità

La digitalizzazione garantisce trasparenza e tracciabilità, rendendo ispezioni e controlli più efficaci, rafforzando la fiducia degli stakeholder.

 Accesso a dati avanzati

Un sistema digitale fornisce dati preziosi per monitorare l’impatto ambientale e le emissioni di CO2, permettendo decisioni più informate e strategie di compensazione.

 Comunicazione efficace con gli stakeholder

Disporre di report avanzati facilita una comunicazione trasparente e aggiornata con gli stakeholder, dimostrando impegno nelle politiche ambientali, nel rispetto della salute e nella circolarità dell’economia.

 Quando digitalizzare diventa un obbligo previsto dalla legge: il R.E.N.t.Ri

Il nuovo Regolamento sul sistema di tracciabilità dei rifiuti, disciplinato dal decreto legislativo n. 152 del

2006, all’articolo 188 bis, introduce il R.E.N.T.Ri come nuovo strumento di gestione operativa digitale. La sua strutturazione, la modalità d’iscrizione e l’effettivo funzionamento sono aspetti demandati ad appositi decreti attuativi, tra cui il n. 59 del 2023.

La norma indica le tipologie di soggetti obbligati all’iscrizione al registro e le tempistiche previste per l’adozione dello stesso che sono influenzate sia dalla tipologia di attività svolta che dalla dimensione dell’azienda obbligata.

Di concerto con l’introduzione del R.E.N.T.Ri, inoltre, sono stati apportati importanti cambiamenti in merito alla gestione del registro di carico e scarico e del formulario. Non solo sono stati modificati i modelli vigenti dal 1998, ma è prevista, per i soggetti obbligati al R.E.N.T.Ri, la progressiva tenuta digitale di tutta la documentazione.

Il R.E.N.T.Ri assicura, quindi, per i soggetti obbligati alla sua compilazione, e per chi sceglie di adottarlo, che ogni fase del processo di gestione dei rifiuti industriali sia documentata digitalmente. In questo modo, si garantisce la possibilità di individuare un rifiuto industriale in ogni momento, di risalire a chi l’ha prodotto (e in che modo) e di identificare immediatamente il trattamento a cui verrà sottoposto negli impianti di recupero e smaltimento.

Conclusioni

La digitalizzazione nella gestione dei rifiuti industriali rappresenta un passo fondamentale verso un futuro più sostenibile, sicuro e responsabile. Adottare strumenti digitali non solo ottimizza i processi e assicura conformità normativa, ma rafforza anche la tutela ambientale e la salute pubblica, guidando il cambiamento positivo nella gestione dei rifiuti, promuovendo un’economia circolare e responsabile.

Marianna Panico

Responsabile Sistemi di Gestione in Gori S.p.A., componente del GTS privacy di AIAS, Socio AIAS

Il registro dei trattamenti dei dati secondo il GDPR: il ruolo del titolare e del responsabile

la predisposizione e la corretta tenuta del registro dei trattamenti rappresenta l’attuazione del principio di accountability, cioè della responsabilizzazione del titolare del trattamento dei dati. Perché il registro sia correttamente implementato, è necessario aver censito e mappato tutti i dati e le attività di trattamento, dalla raccolta dei dati personali alla loro cancellazione.

1Cosa dice il GDPR sul registro dei trattamenti?

Uno dei più importanti adempimenti introdotti dal GDPR (Regolamento UE/679/2016) è il registro dei trattamenti (detto anche registro delle attività di trattamento) previsto dall’art. 30.

Il registro dei trattamenti può essere di due tipi:

 registro delle attività di trattamento del titolare del trattamento (art. 30, par. 1);

 registro delle attività di trattamento del responsabile del trattamento (art. 30, par. 2).

Dal confronto tra i due punti il contenuto del registro del titolare è più ampio di quello del responsabile. Ricordiamo che il responsabile del trattamento è colui che tratta i dati personali per conto del titolare del trattamento.

Il titolare del trattamento deve tracciare attraverso questo fondamentale documento tutte le operazioni

di trattamento dei dati effettuate all’interno della propria organizzazione, sia per dati per proprie finalità (art. 30, par. 1, comma 1) sia quando svolte per conto terzi (art. 30, par. 1, comma 2) nell’ambito di contratti di servizio (ad esempio l’attività esternalizzata di fatturazione utenze, il recupero crediti, il controllo degli accessi ecc.).

La tenuta dei registri delle attività di trattamento è obbligatoria dal 25 maggio 2018, data di applicazione del Regolamento europeo in tutti gli Stati membri. Rientrano nella categoria delle “organizzazioni” di cui all’art. 30, par. 5, anche le associazioni, le fondazioni e i comitati, anche quelli informali.

Il contenuto del registro del titolare dei trattamenti è indicato dall’art. 30, par. 1 del GDPR:

a. il nome e i dati di contatto del titolare del trattamento e, ove applicabile, del contitolare del trattamento, del rappresentante del titolare del trattamento e del responsabile della protezione dei dati;

b. le finalità del trattamento;

c. una descrizione delle categorie di interessati e delle categorie di dati personali;

d. le categorie di destinatari a cui i dati personali sono stati o saranno comunicati, compresi i destinatari di paesi terzi od organizzazioni internazionali;

e. ove applicabile, i trasferimenti di dati personali verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale, compresa l’identificazione del paese terzo o dell’organizzazione internazionale e, per i trasferimenti di cui al secondo comma dell’articolo 49, la documentazione delle garanzie adeguate;

f. ove possibile, i termini ultimi previsti per la cancellazione delle diverse categorie di dati;

g. ove possibile, una descrizione generale delle misure di sicurezza tecniche e organizzative di cui all’articolo 32, paragrafo 1.

Quanto precede costituisce il contenuto minimo del registro del titolare dei trattamenti; tuttavia, possono essere inserite ulteriori informazioni ritenute necessarie per una completa mappatura dei trattamenti come, ad esempio, la modalità di raccolta del consenso, i sistemi informatici utilizzati, le misure tecniche e organizzative di sicurezza adottate, l’indicazione di eventuali “referenti interni” individuati dal titolare in merito ad alcune tipologie di trattamento, e tutte le evidenze documentali a supporto della compliance normativa richiesta dall’attuazione del regolamento europeo.

Il contenuto minimo del registro del responsabile dei trattamenti è indicato dall’art. 30, par. 2 del GDPR:

a. il nome e i dati di contatto del responsabile o dei responsabili del trattamento, di ogni titolare del trattamento per conto del quale agisce il responsabile del trattamento, del rappresentante del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento e, ove applicabile, del responsabile della protezione dei dati;

b. le categorie dei trattamenti effettuati per conto di ogni titolare del trattamento;

c. ove applicabile, i trasferimenti di dati personali verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale, compresa l’identificazione del paese terzo o dell’organizzazione internazionale e, per i trasferimenti di cui al secondo comma dell’articolo 49, la documentazione delle garanzie adeguate;

d. ove possibile, una descrizione generale delle misure di sicurezza tecniche e organizzative di cui all’articolo 32, paragrafo 1.

Sul sito del Garante sono presenti due facsimili di registro (quello del titolare e quello del responsabile) che volendo si possono scaricare e utilizzare.

Il link al sito del Garante: https://www.garanteprivacy.it/home/faq/registrodelle-attivita-di-trattamento

2 Corretta tenuta del registro dei trattamenti

Il registro dei trattamenti può essere cartaceo o elettronico, deve avere obbligatoriamente una data di emissione, il numero di revisione e una data di ultimo aggiornamento (quest’ultima dimostra, appunto, che esso è tenuto costantemente aggiornato). Potrebbe essere opportuno fornire una data certa

dell’aggiornamento del registro dei trattamenti tramite l’invio PEC a se stessi del documento a ogni aggiornamento, o con altre modalità ritenute idonee a tracciare le modifiche del registro nel tempo. In caso di ispezione della Guardia di Finanza, delegata dal Garante per lo svolgimento delle verifiche ispettive, il registro dei trattamenti è uno dei primi documenti che viene richiesto.

Nella predisposizione e in occasione di ogni aggiornamento è opportuno consultare preliminarmente le FAQ del Garante relative al registro dei trattamenti e reperibili al link https://www.garanteprivacy.it/home/faq/registrodelle-attivita-di-trattamento

3 Importanza del registro dei trattamenti

La predisposizione e la corretta tenuta del registro dei trattamenti rappresenta l’attuazione del principio di accountability, cioè della responsabilizzazione del titolare del trattamento dati.

È un documento fondamentale per capire come l’organizzazione tratta i dati personali perché, affinché sia correttamente implementato, è necessario aver preliminarmente censito e mappato tutti i dati e le attività di trattamento, dalla raccolta dei dati personali alla loro cancellazione.

Dal registro dei trattamenti, inoltre, si evince quale approccio adotta l’organizzazione per garantire sicurezza dei dati personali e diritti degli interessati.

4 Obbligatorietà della tenuta del registro dei trattamenti

Secondo il comma 5 dell’art. 30 del GDPR imprese o organizzazioni con meno di 250 dipendenti non sono obbligate alla tenuta del registro dei trattamenti, ma l’obbligo di tenuta del registro sussiste anche per queste organizzazioni se dalla valutazione del contesto si desume che i trattamenti comportino un rischio, a prescindere dalla sua entità (anche bassa),

per i diritti e le libertà dell’interessato, e se il trattamento dati personali non è occasionale o include dati particolari (ex art. 9, par. 1, ex dati sensibili) e/o dati relativi a condanne penali e reati (ex art. 10 GDPR). È prassi comunque consigliare la tenuta del registro a qualunque organizzazione effettui trattamento di dati personali come espressamente raccomandato dal Garante nelle sopracitate FAQ:

“Al di fuori dei casi di tenuta obbligatoria del registro, anche alla luce del considerando 82 del GDPR, il Garante ne raccomanda la redazione a tutti i titolari e responsabili del trattamento, in quanto strumento che, fornendo piena contezza del tipo di trattamenti svolti, contribuisce a meglio attuare, con modalità semplici e accessibili a tutti, il principio di accountability e, al contempo, ad agevolare in maniera dialogante e collaborativa l’attività di controllo del Garante stesso”.

Per la Pubblica Amministrazione è sempre obbligatorio

Conclusioni

Tutti i trattamenti di dati personali sono esposti a pericoli di violazioni (data breach): tuttavia la corretta tenuta del registro dei trattamenti è un elemento fondamentale che concorre, unitamente agli altri adempimenti previsti dal GDPR, al rispetto dei principi da applicare ai trattamenti di dati personali da quest’ultimo imposti per il raggiungimento della piena compliance alla normativa europea e nazionale sulla protezione dei dati personali.

Safeland: al centro di tutte le attività relative alla sicurezza sul lavoro

Safeland è molto più di un “semplice” polo scientifico-tecnologico per la formazione e le prove pratiche sulla sicurezza sul lavoro; rappresenta infatti un punto di incontro e aggregazione tra imprese, mondo della ricerca e università, per migliorare il know-how e sviluppare innovazione in tutto quello che riguarda il mondo della sicurezza sul lavoro.

Safeland è “Powered by SILAQ”, azienda attiva dal 1986 nei campi della Consulenza (sicurezza sul lavoro, ambiente, qualità, HACCP, privacy), della Formazione e della Medicina del Lavoro; si tratta di una struttura di oltre 1800 m2 nata nel 2022 a Peschiera Borromeo, alle porte di Milano, dove vengono promossi progetti di formazione, informazione e orientamento per le imprese, progetti di ricerca in ambito nazionale ed europeo, insieme ad attività di trasferimento tecnologico e di divulgazione anche mediante pubblicazioni scientifiche.

«Safeland ha origine dall’idea di un team composto da esperti nel campo della sicurezza sul lavoro, tra cui consulenti, medici e progettisti con oltre quarant’anni di esperienza nel settore»,

ha dichiarato Fabiano Rinaldi, Presidente di RSC Company (gruppo di cui fa parte anche Silaq).

«Il nostro intento è amalgamare la cultura della sicurezza sul lavoro con la ricerca, la tecnologia e la competenza nella certificazio-

ne delle attività formative, anticipando il futuro mediante la progettazione di soluzioni e innovazioni in grado di garantire protezione sui luoghi di lavoro, nell’ambiente domestico e durante i relativi spostamenti. Unendo le nostre forze, perseguiamo l’obiettivo comune di assicurare un ambiente lavorativo sicuro e sostenibile per tutti».

Safeland offre un’esperienza formativa all’avanguardia e i partecipanti ai corsi possono cimentarsi in scenari realistici ricostruiti in loco, riproducendo fedelmente ambienti di lavoro tipici dei diversi settori. Attraverso prove pratiche e simulazioni di emergenza, i lavoratori acquisiscono competenze concrete e sviluppano la capacità di reagire prontamente di fronte a situazioni di pericolo.

La tecnologia rimane sempre al centro dell’approccio formativo di Safeland, anche attraverso l’utilizzo degli ultimi ritrovati della realtà virtuale (VR), per creare scenari di apprendimento immersivi e coinvolgenti, per sperimentare in prima persona situazioni di lavoro realistiche che si possono verificare in svariati contesti, acquisendo competenze concrete e sviluppando la capacità di reagire prontamente e con efficacia di fronte a potenziali pericoli. Attraverso i dispositivi presenti nell’area dedicata Digiland, questa tipologia di formazione offre numerosi vantaggi rispetto ai metodi tradizionali, offrendo la possibilità di intera-

gire con oggetti e persone virtuali e sperimentando le potenziali conseguenze di comportamenti non sicuri. Safeland utilizza le più moderne tecnologie digitali, dai simulatori di piattaforma elevabile a quelli di ultima generazione dedicati alla guida, dai sistemi antincendio VR FLAIM fino agli esoscheletri robotici, tra le prossime novità in programma: un’esperienza immersiva e interattiva che garantisce un elevato coinvolgimento da parte dei partecipanti, un apprendimento più rapido e una maggiore sicurezza, attraverso esperienze pratiche in un ambiente sicuro, controllato e senza rischi.

GIORNAtA DEllA SICUREZZA AIAS

L

o scorso 21 giugno, gli spazi di Safeland hanno ospitato la Giornata della Sicurezza di AIAS. I partecipanti si sono cimentati in una “challenge” di abilità in diversi settori: antincendio, linee vita, camera fumo, spazi confinati, arrampicata e molto altro, con l’opportunità di provare i sistemi di realtà virtuale applicati al mondo della sicurezza (antincendio, PLE e altre novità), ma anche di poter conoscere le soluzioni create ad hoc dal team di ANT-X che progetta e realizza droni speciali per attività di ispezione ad alto rischio.

È stata anche un’ottima occasione per “fare squadra” e per rinsaldare la partnership tra AIAS e il Gruppo Silaq, che condividono con passione la missione di diffondere la cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Alcune attività all’interno degli spazi di Safeland e una foto di gruppo con istruttori e partecipanti della giornata della sicurezza AIAS (21 giugno 2024).

Svelare il cuore della supply chain per promuovere la trasparenza e la responsabilità

Nel contesto della globalizzazione e della crescente interconnessione economica, le catene di approvvigionamento sono diventate il fulcro delle operazioni commerciali, coinvolgendo una rete complessa di fornitori, produttori e distributori. tuttavia, l’apparente fluidità di queste reti nasconde una complessità intrinseca e, talvolta, pratiche opache che sono sempre più sotto scrutinio pubblico e privato.

la due diligence come strumento aziendale di conformità per l’Europa e oltre

Le aziende che dimostrano un impegno verso la trasparenza accolgono il favore di consumatori e investitori, favorendo un’immagine reputazionale positiva e profitti sostenibili.

Con l’entrata in vigore della Corporate Sustainability

Due Diligence Directive (CSDDD), nell’Unione Europea, però, non si tratta più solo di una questione d’immagine. Ora si rischiano provvedimenti legali. Questa normativa mira a promuovere la trasparenza e la responsabilità nelle supply chain imponendo l’integrazione di processi di due diligence nelle politiche aziendali. Sono interessate tutte le società madri e le imprese dell’Unione Europea con più di 1000 dipendenti e un fatturato globale superiore a 450 milioni di euro, oltre ai franchising con un fatturato superiore a 80 milioni di euro, di cui almeno 22,5 milioni

derivanti da diritti di licenza. La normativa si applica anche a società madri, imprese e franchising di paesi terzi che raggiungono le stesse soglie di fatturato nell’UE.

L’entrata in vigore della direttiva avverrà in tre fasi:

 nel 2027 per le imprese con oltre 5000 dipendenti e un fatturato superiore a 1500 milioni di euro;

 nel 2028 per le imprese con oltre 3000 dipendenti e un fatturato superiore a 900 milioni di euro;

 nel 2029 per tutte le altre imprese che soddisfano i criteri della direttiva.

Nel dettaglio, la due diligence riferita alla supply chain valuta e individua i rischi associati alle attività aziendali della catena di approvvigionamento. Questo può includere la verifica dei dati di fornitori e

partner commerciali, l’analisi dei regolamenti e delle normative locali e internazionali, nonché la valutazione dell’impatto sociale e ambientale delle loro operazioni. In questo modo, le aziende obbligate possono identificare e mitigare i rischi potenziali, garantendo la conformità a leggi e regolamenti e promuovendo comportamenti responsabili. Tuttavia, lo scambio cartaceo non sarà più sufficiente, in quanto le aziende dovranno accertare la compliance dei loro fornitori su molti fronti, come ad esempio le condizioni di lavoro sicure e salubri, gli impatti ambientali, il rispetto dei diritti umani.

Le imprese interessate dovranno quindi adottare misure appropriate (n.d.r. “obbligo di mezzi”), alla luce della gravità e della probabilità di diversi impatti, delle misure disponibili per l’impresa nelle circostanze specifiche e della necessità di stabilire priorità. Le autorità amministrative nazionali designate dagli Stati membri saranno responsabili della supervisione di queste nuove regole e potranno infliggere sanzioni in caso di mancato rispetto. Inoltre, le vittime avran-

no l’opportunità di intraprendere azioni legali per danni che avrebbero potuto essere evitati con adeguate misure di due diligence

Ma come fare in pratica?

In molti casi, come abbiamo visto, lo scambio cartaceo non è più sufficiente. In questo contesto, le investigazioni giocano un ruolo cruciale. Attraverso indagini approfondite, le aziende possono ottenere una visione dettagliata delle pratiche dei loro fornitori e subfornitori, identificando potenziali violazioni e aree di rischio. Queste investigazioni includono l’analisi dei processi di produzione, la verifica delle condizioni di lavoro, l’audit ambientale e il monitoraggio continuo delle operazioni. Implementando queste pratiche investigative, le aziende non solo si conformano alle normative della CSDD, ma migliorano anche la trasparenza e la sostenibilità delle loro catene di approvvigionamento, contribuendo a una responsabilità sociale d’impresa più solida e credibile.

Fonti:

https://commission.europa.eu/business-economy-euro/doing-business-eu/sustainability-due-diligence-responsible-business/corporate-sustainability-due-diligence_en#what-are-the-next-steps

https://www.osservatorioeconomiacircolare.it/cs3d-i-nuovi-obblighi-di-due-diligence-in-materia-di-diritti-umani-e-ambiente-altis/

Governance della sostenibilità e gestione del cambiamento

la governance della sostenibilità è una componente fondamentale nel guidare un cambiamento significativo verso un futuro più sostenibile. Una gestione efficace del cambiamento facilita la transizione di successo verso pratiche sostenibili attraverso la pianificazione strategica, il coinvolgimento delle parti interessate e il miglioramento continuo.

La necessità di un’efficace governance della sostenibilità è alla base del successo della trasformazione sostenibile della nostra economia. Con la governance ci si riferisce al quadro generale e ai processi decisionali che guidano e modellano la transizione verso un futuro più sostenibile dal punto di vista sia ambientale sia sociale.

Al centro della governance della sostenibilità si trova il principio della gestione del cambiamento: l’approccio con il quale si affronta una trasformazione organizzativa, tipicamente riguardante gli obiettivi aziendali, i valori, le procedure o le tecnologie. Nel contesto della sostenibilità, la corretta gestione del cambiamento è essenziale per garantire che la transizione verso un modello più sostenibile sia non solo tecnicamente fattibile ma anche realmente accettata dall’organizzazione.

Il successo dell’implementazione della governance della sostenibilità richiede una solida strategia di gestione del cambiamento. Ciò comporta l’identificazione delle trasformazioni necessarie, la valutazione delle potenziali barriere e della resistenza al

cambiamento e lo sviluppo di approcci su misura per comunicare, coinvolgere e responsabilizzare le parti interessate durante tutto il processo.

Una gestione efficace del cambiamento può aiutare a superare l’inerzia delle pratiche consolidate, promuovere un senso di scopo condiviso e sviluppare le capacità e le competenze necessarie per guidare l’innovazione sostenibile.

Un approccio a tale processo potrebbe essere l’utilizzo del Six Box Model (modello a sei scatole) di Weisbord. È stato sviluppato da Marvin Weisbord negli anni ’70 ed è un quadro ampiamente riconosciuto per la diagnosi e lo sviluppo organizzativo. Il modello fornisce un approccio strutturato per comprendere le dinamiche complesse e gli elementi interconnessi all’interno di un’organizzazione, consentendo in definitiva interventi e trasformazioni efficaci.

Al centro del Six Box Model di Weisbord ci sono sei elementi chiave:

1 † scopo

2 † struttura

3 † relazioni

4 † ricompense

5 † meccanismi utili

6 † leadership

Questi elementi, se analizzati e affrontati in modo olistico, offrono informazioni preziose sulla salute generale, sulle prestazioni e sul potenziale di crescita di un’organizzazione.

Decliniamo ciascuno di questi elementi nell’ottica del processo della transizione sostenibile facendoci per ciascuna area delle domande di controllo.

1† Lo scopo, il primo elemento, approfondisce la ragione fondamentale dell’esistenza dell’organizzazione, la sua missione, la visione e gli obiettivi strategici. Questo elemento funge da forza guida che allinea l’intera organizzazione e fornisce una direzione chiara per le sue operazioni e i processi decisionali.

Le domande di controllo che ci possiamo fare sono: “Quanto sono chiari per i membri dell’organizzazione i motivi e lo scopo della trasformazione sostenibile? Quanto il personale dell’azienda crede nella necessità di questa trasformazione e quanto la sostiene?”

2

†L’elemento struttura esamina la gerarchia organizzativa formale e informale, la distribuzione di autorità e responsabilità e i processi decisionali che modellano il flusso di informazioni e il processo decisionale all’interno dell’organizzazione. Questo elemento è cruciale per comprendere come l’organizzazione sia progettata per funzionare e adattarsi alle mutevoli circostanze.

Le domande che ci possiamo fare sono: “Quanto è adatta l’attuale struttura interna al raggiungimento degli obiettivi stabiliti della trasformazione sostenibile? E qualora non fosse adatta, quali modifiche è necessario apportare per renderla efficace?”

3

† Le relazioni: questo elemento si concentra sulla qualità e sulla natura delle dinamiche interpersonali all’interno dell’organizzazione, compre-

si i modelli di comunicazione, la collaborazione e i meccanismi di risoluzione dei conflitti.

Questo elemento fa luce sulla cultura organizzativa, sul livello di fiducia e cooperazione, sull’impegno e sul morale generale dei dipendenti.

Le domande che ci possiamo fare sono: “Nel nuovo assetto organizzativo sono già state ben definite e sono chiare le relazioni tra le singole funzioni e i gruppi di lavoro? Sono chiari i flussi di comunicazione tra di loro? Ci sono adeguati modelli per gestire eventuali conflitti, qualora dovessero emergere?”

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† Le ricompense: questo elemento premiante comprende i diversi sistemi di incentivi, sia finanziari che non finanziari, che vengono utilizzati dall’organizzazione per motivare e fidelizzare i propri dipendenti.

Questo elemento è cruciale per comprendere come l’organizzazione allinea le sue ricompense ai risultati desiderati e ai comportamenti dei dipendenti.

Le domande che ci possiamo fare sono: “Esistono i meccanismi incentivanti o, al contrario, disincentivanti per i membri dell’organizzazione coinvolti nella trasformazione sostenibile? Il percorso della trasformazione sostenibile gli porta più vicino o al contrario li allontana dal raggiungimento degli obiettivi della loro funzione aziendale?”

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† L’elemento dei meccanismi utili esplora i vari processi, sistemi e risorse che supportano le operazioni dell’organizzazione, come canali di comunicazione, tecnologia dell’informazione e meccanismi di risoluzione dei problemi. Questo elemento aiuta a identificare le aree in cui l’organizzazione può sfruttare i propri punti di forza e affrontare eventuali inefficienze.

Le domande che ci possiamo fare sono: “Gli attuali processi e procedure (ad esempio, le modalità e l’agevolezza della gestione richieste stakeholder interni ed esterni, tra cui i principali clienti e for-

nitori, i processi della raccolta dati e la reportistica ESG ecc.) supportano la trasformazione sostenibile oppure la ostacolano?”

6† Infine, la leadership esamina il ruolo dei principali decisori dell’organizzazione, i loro stili di leadership e la loro capacità di promuovere un ambiente di lavoro positivo e produttivo.

Questo elemento è determinante per comprendere la capacità dell’organizzazione di affrontare le sfide, ispirare i dipendenti e guidare la trasformazione organizzativa.

Le domande che ci possiamo fare sono: “Quanto è incentivata la leadership a portare avanti i progetti della transizione sostenibile? Quanto riconosce il proprio ruolo centrale nella gestione dei ‘segnali’ in ognuna delle altre 5 aree del ‘radar’ di controllo? Quanto si assicura che ci sia un allineato con la strategia complessiva? ”

Conclusioni

La sfida della governance della sostenibilità è multiforme e complessa. Essa necessita di essere sostenuta da un processo ben gestito di trasformazione organizzativa.

Il Six Box Model di Weisbord è un quadro completo che può essere utilizzato per questo processo. Esaminando metodicamente gli elementi correlati di scopo, struttura, relazioni, ricompense, leadership e meccanismi utili, come anche le interconnessioni e le interdipendenze tra questi sei elementi, le organizzazioni possono acquisire una comprensione più profonda del loro stato attuale, identificare aree di miglioramento e implementare strategie efficaci per la crescita e la trasformazione sostenibile.

Economia circolare e innovazione

nella

gestione dei residui industriali: nuove prospettive per il settore

Nell’era della sostenibilità e dell’economia circolare, Omnisyst sta trasformando il panorama della gestione dei residui industriali con soluzioni innovative e digitali. Grazie a progetti pionieristici e case study di successo, l'azienda non solo migliora la gestione dei rifiuti, ma crea anche un valore significativo per i suoi clienti. Ne abbiamo parlato con Antonino Rapisardi, Commercial, Strategy & Development Director di Omnisyst.

Omnisyst: dai residui industriali al valore circolare. Cosa significa? Può spiegarci quali sono i principali servizi e attività offerti dalla vostra azienda?

Dal 1995 lavoriamo insieme alle aziende per conservare il valore delle risorse impiegate nei processi produttivi. Generiamo opportunità di valorizzazione dei residui di produzione nel rispetto dell’ambiente e del quadro normativo grazie a una piattaforma web proprietaria. Gestiamo l’intero percorso, selezionando le migliori soluzioni disponibili.

Quali tipologie di rifiuti tratta Omnisyst?

Omnisyst offre soluzioni per la governance di tutti i tipi di residui di produzione, compresi quelli pericolosi che necessitano di trattamenti specifici. Gestire i residui industriali in modo efficace e sostenibile è un obbligo normativo e una responsabilità etica, che può portare a un risparmio economico significativo e alla creazione di valore, sia sociale che ambientale, e di reputazione dell’azienda.

Antonino Rapisardi

Commercial, Strategy & Development Director di Omnisyst

Potrebbe entrare più nel dettaglio di cosa fa Omnisyst?

Certamente. Tecnicamente siamo classificati come intermediario, ma più per un tema normativo che di tipologia di servizio offerto; a differenza delle aziende tipicamente attive in questo settore, il nostro obiet-

tivo infatti è di offrire un servizio di outsourcing per la gestione dei residui industriali sui siti produttivi a 360°, che va dall’advisory fino alle operations: audit ambientali, una piattaforma web-based per la disponibilità dei dati in tempo reale, area manager dedicati h24 che supportano nella realizzazione di progetti ambientali attraverso un approccio di miglioramento continuo. Ogni anno, gestiamo oltre 130.000 tonnellate di rifiuti.

Come si differenzia il processo di gestione dei residui di produzione con Omnisyst rispetto a una gestione tradizionale?

Senza Omnisyst le aziende devono gestire l’intera organizzazione logistica, la burocrazia e la conformità normativa, con potenziali ricadute penali e reputazionali. Omnisyst riduce il rischio di conseguenze penali attraverso audit periodici della catena di fornitura, automatizza i processi burocratici e amministrativi (ad esempio formulari, registri di carico e scarico ecc. precompilati) e migliora il recupero/riciclo dei residui, riducendo le emissioni di CO₂.

Quali progetti di sostenibilità sviluppa Omnisyst?

Lavoriamo su vari fronti, come la simbiosi industriale per il riutilizzo dei residui di produzione, dove lo

scarto di un’azienda diventa risorsa per un’altra; o l’algoritmo di monitoraggio delle emissioni di CO₂ proprietario e certificato da CertQuality. Collaboriamo con altre importanti realtà per offrire servizi per l’economia circolare, come il Circularity Check Up con Deloitte e servizi per il monitoraggio e la conservazione della biodiversità.

Potrebbe parlarci del ruolo della digitalizzazione nei processi di Omnisyst?

La nostra piattaforma digitale abilita la digital transformation nella gestione dei residui industriali. Sviluppata internamente, la piattaforma è interoperabile con sistemi terzi, inclusi i nuovi standard

R.E.N.T.Ri del Ministero dell’Ambiente. Offre automazioni come la precompilazione automatica di formulari e registri, la gestione logistica digitale e la generazione di etichette per i rifiuti. In sostanza, l’obiettivo è avere tutto il processo sotto controllo con un clic. Inoltre, stiamo mettendo in campo soluzioni di intelligenza artificiale che permettono di monitorare in tempo reale il livello di riempimento dei cassoni per automatizzare le operations, oltre che fornire indicatori rispetto al livello di differenziazione degli scarti, così da correggere eventuali errori e ridurre i costi.

Quali soluzioni offre Omnisyst ai suoi clienti?

Lo stabilimento.

Offriamo tre soluzioni principali:

 Total Relax: gestione completa per tutti i residui industriali, è il nostro servizio completo per chi ha obiettivi ambiziosi a livello ambientale.

 Personal Menù: servizi su misura, adattati alle necessità operative specifiche, con trasporti e trattamenti specializzati per specifici tipi di rifiuti.

 Special Service: consulenze e interventi mirati per esigenze specialistiche, perfetti per interventi straordinari come distruzioni fiscali e bonifiche.

Potrebbe raccontarci di alcuni successi ottenuti dai vostri clienti?

Una gestione ottimale dei residui industriali è possibile in tutti i settori, come dimostrano alcuni dei progetti realizzati in collaborazione con i nostri clienti. Proprio recentemente, siamo usciti sulla stampa nazionale con un case study significativo nel settore dell’oil & gas: Man Oil & Marine, che ha superato il 97% di rifiuti avviati a impianti di recupero e ha neutralizzato le emissioni di CO₂ dello stabilimento di Ascoli Piceno, grazie all’efficientamento complessivo nella gestione dei residui di produzione e all’implementazione di un avanzato sistema digitale di reporting e monitoraggio.

Un altro esempio significativo riguarda il settore chimico-farmaceutico. Il nostro cliente è uno storico gruppo internazionale del settore, presente nel mondo con 10 centri di ricerca e 3500 dipendenti. Grazie a un approccio data-driven, abbiamo aiutato l’azienda a individuare nuove opportunità di miglioramento riguardo alla gestione dei rifiuti. In particolare, abbiamo identificato l’opportunità di ridurre la quantità di fanghi di scarto prodotti dall’impianto di depurazione di uno degli stabilimenti. Questi rifiuti, raccolti in vasche e smaltiti secondo procedure precise, presentavano un duplice problema: la produzione elevata aumentava il quantitativo di rifiuti da gestire e la loro presenza comportava un ingombro significativo sia in termini di peso che di volume. Abbiamo, così, proposto una soluzione efficace: l’installazione di un essiccatore. Il progetto ha permesso di ridurre di oltre il 50% la produzione di rifiuti nello stabilimento interessato.

Omnisyst Spa

Piazza Caduti di Nassiriya 22 26866 Sant'Angelo lodigiano (lO)

Contatti e sedi Omnisyst https://www.omnisyst.it/dove-siamo/ www.omnisyst.it

Man Oil & Marine.

Marco Bergamaschi

Responsabile formazione e ispezione DPI presso Gamesystem Italia S.r.L., Socio AIAS

Requisiti dell’installatore di “linee vita”

la normativa prevede precise figure professionali per la gestione delle “linee vita”. Installatore base, installatore intermedio e installatore avanzato devono alternarsi per seguire le fasi di montaggio, smontaggio nonché le ispezioni dei sistemi di ancoraggio, sia periodiche sia straordinarie, richieste in caso di eventi non consueti come incidenti o altre casualità.

Da febbraio 2023 la norma tecnica UNI 11900 stabilisce quali sono i requisiti per le figure professionali che installano e ispezionano ancoraggi permanenti in copertura, come linee vita, binari anticaduta e anelli di ancoraggio. La disposizione di una norma tecnica dedicata si è resa necessaria per permettere al cliente finale e all’utilizzatore che opera in quota di essere certi delle competenze e capacità di chi ha installato e ispezionato l’ancoraggio; l’obiettivo è garantire che l’ancoraggio anticaduta sia stato montato secondo quanto previsto dalla documentazione fornita dal produttore e dalla documentazione progettuale e sia stato successivamente ispezionato con competenza a intervalli periodici.

La UNI 11900 prevede tre livelli professionali per le figure che operano nel settore dell’installazione e ispezione di ancoraggi permanenti, ovvero

 installatore base

 installatore intermedio

 installatore avanzato

Secondo la norma l’installatore di sistemi di ancoraggio è la figura professionale che effettua montaggio, smontaggio e ispezioni del sistema di ancoraggio. In merito alle ispezioni la norma si sofferma sull’ispezione al montaggio del sistema di ancoraggio che verrà condotta dal tecnico installatore, sull’ispezione periodica che deve essere svolta a intervalli indicati dal produttore del sistema di ancoraggio o dal tecnico progettista, sull’ispezione straordinaria che deve essere svolta in caso di eventi non consueti che coinvolgono il sistema di ancoraggio, come la caduta di un utilizzatore con conseguente sospensione all’ancoraggio.

 In merito ai compiti delle figure professionali previste dalla norma, tra le attività dell’installatore base sono previste l’effettuazione di un sopralluogo per la valutazione della coerenza del progetto con lo stato dei luoghi, la loro cantierabilità e la possibilità di fornire eventuali indicazioni utili alla redazione del POS, la verifica che vi siano le condizioni per poter effettuare il montaggio in sicurezza, l’analisi della struttura di supporto, il controllo della congruenza tra le indicazioni progettuali e le effettive condizio-

ni di posa, l’installazione del sistema di ancoraggio e il controllo della documentazione del sistema stesso prima e dopo il montaggio.

 Tra le attività dell’installatore intermedio, oltre a quelle previste per l’installatore base, vi è invece quanto è inerente l’ispezione periodica del sistema di ancoraggio: controllare la completezza della documentazione, e che l’ancoraggio, gli ancoranti e la struttura di supporto siano in buono stato così da garantire nel tempo l’effettiva sicurezza degli utilizzatori.

 Tra le attività dell’installatore avanzato, oltre a quelle previste per l’installatore intermedio, vi è sia l’ispezione straordinaria del sistema di ancoraggio, sia l’eventuale sostituzione o ripristino del sistema stesso.

Data la precedente assenza di indicazioni specifiche sulla formazione necessaria per chi installava e ispezionava ancoraggi anticaduta, la UNI 11900 definisce il monte ore e gli argomenti da trattare nel percorso di formazione e addestramento. Al termine del percorso è previsto un esame, erogato da specifico organismo, al fine di valutare la conoscenza degli argomenti e le capacità delle diverse figure professionali.

 L’installatore base, che dovrà aver installato almeno 15 dispositivi di ancoraggio permanenti, deve svolgere un corso di 32 ore (o 40 ore in caso di mancanza di licenza media) delle quali metà trascorse in aula e metà in campo prove a installare sistemi di ancoraggio simulando realtà operative.

 L’installatore intermedio, che dovrà aver svolto almeno 5 ispezioni periodiche su dispositivi di

ancoraggio permanenti, deve partecipare a un corso teorico e pratico di 6 ore; deve inoltre essere in possesso dei requisiti di qualificazione dell’installatore base.

 L’installatore avanzato, che dovrà aver svolto almeno 5 ispezioni straordinarie su dispositivi di ancoraggio permanenti, deve partecipare a un corso di 16 ore (che scendono a 12 se in possesso di diploma tecnico e a 4 se in possesso di laurea triennale).

La norma prevede inoltre specifiche condizioni sia per il mantenimento (biennale) che per il rinnovo (quadriennale) della certificazione.

Per avere invece maggior chiarezza sul contesto normativo nel quale è approdata la UNI 11900, le norme UNI più strettamente collegate a essa sono:

UNI 11560 – Sistemi di ancoraggio permanenti in copertura – Guida per l’individuazione, la configurazione, l’installazione, l’uso e la manutenzione.

Nel suo aggiornamento di giugno 2022 tale norma aveva già introdotto i tre livelli professionali (installatore base, intermedio e avanzato); la norma non aveva però indicato quali fossero i requisiti per i tre livelli individuati, che sono stati esplicitati dalla UNI 11900.

UNI 11578 – Dispositivi di ancoraggio destinati all’installazione permanente.

Tale norma definisce quali sono i requisiti, la marcatura, i metodi di prova e le istruzioni per l’uso e il montaggio per gli ancoraggi anticaduta non removibili dalla struttura di supporto e per la cui installazione sono previsti i requisiti descritti nella UNI 11900.

Tra i diversi percorsi di formazione e addestramento dedicati a chi svolge la sua attività in quota o in ambienti confinati, e in qualità di produttore di ancoraggi anticaduta, Gamesystem Italia propone anche le tipologie di corsi indicati nella UNI 11900 con l’obiettivo di mettere a disposizione la propria esperienza per permettere ai partecipanti di acquisire le conoscenze e le capacità per installare e ispezionare ancoraggi anticaduta con competenza.

Sir Ken Robinson “ ”

Impegnarci attivamente nel presente è l’unico modo per prepararci ad un imprevedibile futuro

DAl 1975, Al FIANCO DEI PROFESSIONIStI DEllA SAlUtE E SICUREZZA

luca Paolini

Responsabile Settore Igiene del lavoro di Galileo Ingegneria S.p.A., Socio AIAS

Piano nazionale per il radon: quali effetti per i luoghi di lavoro?

A gennaio è stato emanato il Piano nazionale d’azione per il radon 20232032 (DPCM 11/01/2024) pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 43 il 21/02/2024. Il Documento è redatto in attuazione dell’art. 10 del D.lgs. 101/2020 (testo unico in materia di protezione dalle radiazioni ionizzanti).

CHE COS’È Il RADON?

Il radon è un elemento chimico (gas nobile) naturalmente radioattivo, che a temperatura e pressione standard si presenta inodore e incolore.

La principale fonte di questo gas risulta essere il terreno, dal quale fuoriesce e si disperde nell’ambiente, accumulandosi ad esempio in locali chiusi con scarsa aerazione. Altre fonti di inquinamento possono essere, in misura minore, i materiali da costruzione (specialmente se di origine vulcanica come il tufo o i graniti).

In quanto gas radioattivo, se inalato, è te cancerogeno la cui esposizione nei luoghi chiusi aumenta il rischio di contrarre un tu more polmonare. Una volta inalato infatti le particelle α emesse per decadimento possono andare a danneggiare il nostro

DNA, causando nel tempo il cancro al polmone. Si stima che il radon sia la seconda causa di tumore al polmone nell’uomo, naturalmente dopo il fumo di sigaretta; alcuni studi inoltre evidenziano sinergie nei casi di esposizione a entrambi gli agenti.

Come sempre accade, più alta è la concentrazione nell’ambiente, più alto è il rischio: un metodo immediato per proteggersi dall’accumulo del gas è infatti l’aerazione degli ambienti chiusi, ad esempio nei casi in cui questi siano interrati o a contatto diretto col terreno ove il radon si può accumulare*.

* La radioattività del radon si misura in Becquerel (Bq), dove un Becquerel corrisponde alla trasformazione di un nucleo atomico al secondo. La concentrazione nell’aria si esprime in Bq/m3, indicando così il numero di trasformazioni al secondo che avvengono in un metro cubo d’aria.

Il tEStO UNICO DI PROtEZIONE DAllE RADIAZIONI IONIZZANtI (D.lGS. 101/2020)

Il Decreto, redatto in attuazione della Direttiva 2013/59/Euratom, stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, che si applicano alle attività che espongono la popolazione ai rischi derivanti da tali radiazioni. L’art. 10 del D.Lgs. 101/2020, come anticipato, cita:

“Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali e delle infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sentito l’ISIN e l’Istituto superiore di sanità (ISS), è adottato il Piano nazionale d’azione per il radon, concernente i rischi di lungo termine dovuti all’esposizione al radon.”

L’art. 12 invece fissa i livelli massimi di riferimento per le abitazioni e i luoghi di lavoro, espressi in termini di valore medio annuo della concentrazione di attività di radon in aria, di seguito indicati:

a. 300 Bq/m3 in termini di concentrazione media annua di attività di radon in aria per le abitazioni esistenti;

b. 200 Bq/m3 in termini di concentrazione media annua di attività di radon in aria per abitazioni costruite dopo il 31 dicembre 2024;

c. 300 Bq/m3 in termini di concentrazione media annua di attività di radon in aria per i luoghi di lavoro;

d. il livello di cui all’articolo 17, comma 4, è fissato in 6 mSv in termini di dose efficace annua o del corrispondente valore di esposizione integrata annua riportato nell’Allegato II, sez. I, punto 1.

Come il radon entra in casa

E per quanto riguarda i luoghi di lavoro?

La sezione II del D.Lgs. 101/2020 indica l’obbligo di svolgere il monitoraggio della concentrazione del radon negli ambienti definiti dall’art. 16, ovvero:

a. luoghi di lavoro sotterranei;

b. luoghi di lavoro in locali semi-sotterranei o situati al piano terra, localizzati nelle aree di cui all’articolo 11;

c. specifiche tipologie di luoghi di lavoro identificate nel Piano nazionale d’azione per il radon di cui all’articolo 10;

d. stabilimenti termali.

Il dosimetro è un dispositivo utilizzato per rilevare la concentrazione del radon nei luoghi di lavoro.

Il PIANO NAZIONAlE D’AZIONE PER Il RADON 2023-2032 (DPCM 11/01/2024)

Il Documento contiene gli obiettivi per affrontare i rischi a lungo termine dell’esposizione al radon nei luoghi di lavoro e nelle abitazioni, descrive la linea d’azione nazionale e fornisce agli esperti e ai cittadini interessati informazioni sulla strategia italiana per ridurre l’esposizione della popolazione al radon.

Gli obiettivi specifici del Piano, finalizzati alla riduzione dell’esposizione al radon e da raggiungere nei prossimi 10 anni sono:

a. la riduzione della concentrazione di radon nei luoghi di lavoro con concentrazioni superiori ai 300 Bq/m3, nel rispetto delle previsioni normative;

b. la riduzione della concentrazione di radon almeno del 50% nelle abitazioni, ricadenti nelle aree prioritarie nelle quali sia stata riscontrata una concentrazione di radon superiore ai 200 Bq/m3, dando priorità a quelle con concentrazioni superiori ai 300 Bq/m3;

c. la riduzione della concentrazione di radon almeno del 50% nelle abitazioni del patrimonio di edilizia residenziale e pubblica, ricadenti nelle aree prioritarie, con concentrazione di radon superiore ai 200 Bq/m3, dando priorità a quelle con concentrazioni superiori ai 300 Bq/m3;

d. la verifica che il livello di concentrazione di radon sia inferiore ai 200 Bq/m3 nelle abitazioni costruite dopo il 31/12/2024.

Si stima, sulla base delle indagini condotte sino ad oggi, che le abitazioni con una concentrazione di radon superiore ai 200 Bq/m3 siano il 4% circa delle abitazioni italiane, mentre l’1% circa sarebbero quelle con concentrazione superiore a 300 Bq/m3.

Il Piano agisce su tre macroaree strategiche, definite come di seguito:

ASSE 1 – Misurare: individuazione delle situazioni di maggiore esposizione

L’asse 1 del piano fa riferimento alla misurazione della concentrazione di radon indoor, come fattore determinante per la valutazione della situazione territoriale e per considerare lo stato di fatto sul quale intervenire.

Lo scopo è quello di individuare le aree proprietarie attraverso la caratterizzazione omogenea dell’intero territorio nazionale, individuando le attività lavorative e gli edifici esposti a maggior rischio. Le modalità verranno sviluppate e integrate affinché possano ottenere dati coerenti e affidabili su tutto il territorio nazionale.

ASSE 2 – Intervenire: strumenti per la prevenzione e riduzione della concentrazione di radon indoor

L’asse 2 raggruppa le azioni per ridurre il rischio di esposizione al radon con lo scopo di promuovere i sistemi di prevenzione e la riduzione negli edifici esistenti e nei nuovi edifici con indicazioni precise sulla loro progettazione e sui materiali da costruzione. Inoltre l’asse 2 fornisce le indicazioni per ridurre le emissioni inquinanti e per prevenire e contrastare le concentrazioni più elevate di radon indoor. Lo scopo è garantire un sistema in grado di ridurre i rischi sanitari collegati all’esposizione al radon e di fronteggiare le situazioni di esposizione, definendo con interventi appropriati un abbassamento dei valori di esposizione. Non è possibile eliminare del tutto il radon dagli edifici, è però possibile intervenire riducendo la sua concentrazione nell’aria degli ambienti interni, abbassando così anche il rischio connesso alla sua esposizione.

ASSE 3 – Coinvolgere: informazione, educazione, formazione e divulgazione

Tale asse è finalizzato a incentivare la diffusione della conoscenza del fenomeno radon, attraverso strategie comunicative che prevedono lo sviluppo di piani di formazione rivolti ai lavoratori, ai professionisti della Pubblica Amministrazione, agli studenti, e azioni diffuse per la riduzione dell’esposizione del radon nelle abitazioni.

Oltre a fare il punto sui monitoraggi svolti sino a oggi, il Documento evidenzia “specifiche tipologie di luoghi di lavoro” alle quali si applica quanto già previsto dal D.Lgs. 31 luglio 2020, artt. 17 e 18 (obbligo di misurazione e obbligo di comunicazione agli enti in caso di superamento del livello di riferimento):

1. locali chiusi con impianti di trattamento per la potabilizzazione dell’acqua in vasca aperta;

2. impianti di imbottigliamento delle acque minerali (naturali e di sorgente);

3. centrali idroelettriche.

Riguardo ai criteri di misura vengono tuttavia esplicitati i luoghi di lavoro esentati dalla misurazione, in riferimento all’art. 16 del D.Lgs. 31 luglio 2020 (campo di applicazione):

1. locali di servizio, bagni, vani tecnici, sottoscala, corridoi;

2. locali a basso fattore di occupazione (meno di 100 ore/anno).

Quest’ultimo punto fa luce sulla definizione del suddetto art. 16, che individuava genericamente i “luoghi di lavoro sotterranei”, escludendo e definendo chiaramente i luoghi a basso fattore di occupazione.

Il rischio chimico nella cucina del secolo scorso: insegnamenti dal passato

Il trascorrere del tempo non è rappresentato solo dal fluire degli anni, dei decenni, dei secoli, ma è anche scandito dall’introduzione di nuove molecole e di nuovi materiali. Uno sviluppo tecnologico non sempre allineato all’effettiva consapevolezza dei possibili fattori di rischio associati alle sostanze che hanno contrassegnato il progresso di un’epoca e contribuito alla modernità attuale.

Amianto

Innumerevoli sono stati gli utilizzi dell’amianto nell’ambito industriale ed edile; meno note sono invece le applicazioni in ambito domestico, in manufatti e oggetti di uso comune.

Ma facciamo un passo indietro: che cos’è l’amianto? Secondo l’attuale quadro normativo, con il termine amianto non si definisce un unico tipo di materiale, ma sei diversi silicati fibrosi che differiscono fra loro per specifica composizione e struttura mineralogica e, di conseguenza, anche per proprietà fisiche e prestazionali.

L’estrema versatilità dell’amianto lo ha reso protagonista delle applicazioni più diversificate. Veniva infatti comunemente impiegato come coibente nei sistemi di riscaldamento domestico, ma anche in articoli per la pulizia e la lucidatura delle superfici. La gamma di articoli si è estesa anche ai tessili, ad esempio con copritavoli antigraffio, paralumi, sup-

porti per ferro da stiro. Addirittura, erano disponibili carte da forno costituite da fibre di amianto, così resistenti da rimanere quasi inalterate anche dopo diversi utilizzi.

L’amianto è uno degli esempi più forti e di impatto di come è mutata la visione e la consapevolezza di un materiale nel corso dell’ultimo secolo. Ciò che pensavamo ieri è obsoleto oggi e, forse, ciò che pensiamo oggi potrebbe essere obsoleto domani.

“[…] The making of a fireless cooker will interest the children of the family. They may be allowed to help or, perhaps, to make the cooker themselves […]”

L’amianto non era visto come un pericolo; era ritenuto talmente sicuro da poter essere maneggiato anche dai bambini per apprendere le prime tecniche di lavoro manuale.

A fianco, copertina e pagina tratte da Asbestos Descriptive Price List, H.M. Johns Manufacturing Co., 1900.

In basso, copertina e pagina tratte da Fireless and steam-pressure cookers, Cornell University, 1920. Risulta visibile il passaggio in cui si riporta l’invito a coinvolgere i bambini nella realizzazione della struttura, che li avrebbe portati a maneggiare direttamente fibre di amianto.

50 RISCHIO CHIMICO

Vernici e pigmenti a base di piombo

Resistenti, coprenti e durevoli, erano queste le caratteristiche delle pitture e vernici al piombo, largamente utilizzate, soprattutto fino agli anni ’60-’70, per gli ambienti interni ed esterni delle abitazioni e per numerosi oggetti d’uso quotidiano, fra cui anche giocattoli.

Per le tonalità chiare veniva sfruttato il bianco di piombo, pigmento costituito prevalentemente da carbonato di piombo, talvolta in miscela con ossido di zinco.

Per rossi vivi e intensi si sfruttava il minio, minerale a base piombo (II) e (IV) e comunemente chiamato anche rosso di saturno, rosso di piombo e rosso di Parigi.

A partire da questi sali era poi possibile ottenere un’ampia gamma di tonalità cromatiche, in grado di soddisfare le sempre più sofisticate esigenze estetiche. Numerosi e di sicuro impatto sono gli effetti avversi correlabili al piombo, e i bambini possono risultare maggiormente esposti nel caso di vernici al piombo sia per una maggiore vulnerabilità che per i loro comportamenti tipici.

La tendenza infantile al portarsi le mani alla bocca aumenta infatti la possibilità di ingoiare frammenti o polveri di vernice e, come riportato da ISS, i bambini assorbono circa il 50% del piombo ingerito (percentuale anche maggiore in caso di diete carenti di ferro e di calcio), mentre negli adulti ne viene assorbito circa il 15-20%.

Pagine tratte da Painting with white-lead, 1929.

PCB – Policlorobifenili

Con l’acronimo PCB si indica una miscela di idrocarburi clorurati usata a partire dagli anni ’30 per diversi scopi industriali, fra cui negli adesivi, nei fluidi idraulici, in inchiostri e carta copiativa, come plastificanti e ritardanti di fiamma.

La produzione industriale di queste sostanze è stata interrotta o drasticamente ridotta fra gli anni ’70 e gli anni ’90 a livello mondiale e ne è stata vietata la produzione e l’importazione nei paesi della Comuni tà Europea.

Ciò nonostante, come indicato dall’Istituto Superio re di Sanità, ni di contaminazione e l’attuale quadro normativo nazionale pone, fra gli altri, un limite proprio al contenuto di PCB in carta e cartone destinati al contatto con gli alimenti.

Consumo di PCB nel periodo 1930-2000; immagine tratta da “Persistent Problem: Global Challenges to Managing PCBs” di Lisa Melymuk, Jonathan Blumenthal, Ondřej Sáňka, Adriana Shu-Yin, Veena Singla, Kateřina Šebková, Kristi Pullen Fedinick, Miriam L. Diamond, 2022 56 (12), 9029-9040.

State of Montana’s position report, The 1979 polyclorinated biphenyl contamination incident at Billings, Montana, copertina e porzione di testo.

Il documento prende in rassegna i diversi aspetti correlati ad un incidente in cui, per la rottura accidentale di un trasformatore, circa 750 litri di fluidi di raffreddamento contenenti PCB vennero dispersi con conseguente contaminazione di oltre 800 tonnellate di prodotti destinati all’alimentazione animale. Questo comportò la necessità di distruzione di ingenti quantitativi di uova, mangimi, farine porzioni animali destinate all’alimentazione umana.

la radioattività nei beni d’uso comune

Diversi erano i manufatti e gli alimenti che venivano arricchiti di specie radioattive per migliorarne le caratteristiche o per impartire proprietà curative o terapeutiche. In passato, infatti, i termini “radioattivo” e “nucleare” erano visti come sinonimi di innovazione e tecnologia e non come fattori di rischio. Ad esempio, alla fine del secolo scorso si utilizzavano radionuclidi nei parafulmini, soprattutto bismuto 214, radio 226 e americio 241. E, come indicato da ARPA Lombardia, i parafulmini sono proprio fra le tipologie di sorgenti radioattive che più frequentemente, se non correttamente smaltite, finiscono tra i rottami metallici destinati al recupero.

Ma numerosi erano anche gli oggetti e i prodotti di vero e proprio uso quotidiano che venivano arricchiti con radioisotopi. Saponi, creme idratanti con sali di radio e torio e dentifrici decantati come in grado di rafforzare le difese dei denti e delle gengive. Sali da bagno, caramelle “con la forza del ferro e l’energia del radio”, ma anche acqua, pane, burro e altri alimenti reclamizzati proprio per la loro radioattività.

Non mancano esempi ancora più curiosi. Venivano infatti commercializzati preservativi descritti come al radio; nonostante alcune fonti indichino che non vi fosse una reale radioattività dei dispositivi, la specifica dicitura ha sicuramente favorito le vendite.

Ancor più curioso era il “dispositivo per il vigore maschile” Radiendocrinator, da posizionare, con un apposito adattatore, sullo scroto e da mantenere in tale posizione per tutta la notte. Prodotto farmaceutico con effetto analogo al Radiendocrinator era costituito dalle supposte al radio “vita radium suppositories”. Le indicazioni mediche fornite a supporto riportavano che il radio veniva assorbito dalle pareti del colon e successivamente distribuito agli organi necessitanti una maggiore vitalità grazie al circolo sanguigno.

Dall'alto al basso:

Parafulmini radioattivi, immagini ARPA Lombardia.

Preservativi al radio, ORAU Museum of Radiation and Radioactivity, anni ’40.

Dispositivo per il vigore maschile, Museo della radioattività, anni ’20.

Supposte “vita radium suppositories”, Museo della radioattività.

Bisfenolo A

Il BPA è forse una delle molecole più discusse degli ultimi mesi, altro caso eclatante di come può evolversi la consapevolezza del rischio associato a una sostanza. Sintetizzato per la prima volta nel 1891, ha cominciato ad avere una significativa applicazione industriale soprattutto a partire dagli anni ’50, con una sempre maggiore diversificazione di utilizzi, anche nella creazione di contenitori e rivestimenti destinati all’industria alimentare. Verso la fine del secolo scorso cominciò a diventare sempre più intensa la discussione sulle caratteristiche del BPA, con una crescente preoccupazione per quella che poteva essere la soglia di rischio legata alla possibile esposizione

 2006 : EFSA (autorità europea per la sicurezza alimentare) pubblica la sua prima valutazione del rischio relativa al BPA: soglia a 50 µg/kg peso corporeo/giorno.

 2015: EFSA pubblica una nuova valutazione dell’esposizione al BPA e alla sua tossicità. La soglia giornaliera tollerabile viene fissata a 4 µg/kg peso corporeo/giorno.

 2023: EFSA pubblica un parere scientifico sulla valutazione ex novo dei rischi per la salute pubblica relativi alla presenza di BPA negli alimenti, con una soglia giornaliera tollerabile a 0,2 µg/kg peso corporeo/giorno.

Al netto dello specifico significato tecnico e tossicologico dei dati riportati, appare evidente come vi sia stato un netto abbassamento della soglia giornaliera tollerabile. E la soglia definita nel 2023 risulta 20.000 volte più bassa di quella stabilita nel 2015. Ed è proprio a seguito di queste evidenze che si sta evolvendo il quadro normativo specifico legato a BPA e, potenzialmente, ad altri bisfenoli e bisfenolo derivati

Quanti altri esempi possiamo trovare?

Per quanto possa sembrare impossibile, sono ancora innumerevoli gli esempi che potrebbero essere citati. Se pensiamo al mondo cosmetico, la bellezza, seppur con diversi canoni, è stata ricercata dall’uomo fin dall’antichità, con connessioni al simbolismo e all’espressione dello status sociale. Nel secolo scorso erano ancora diffusi prodotti a base di arsenico, sia a uso topico che orale, indicati per levigare, uniformare e rendere più luminosa la cute.

Passando invece a un esempio nell’industria automobilistica, ben noto era l’utilizzo di piombo tetraetile come antidetonante nella benzina, progressivamente eliminato proprio per la nota pericolosità del piombo. E come non pensare ai termometri al mercurio? Per quanto estremamente simili ai precedenti, i dispositivi a dilatazione termica attualmente usano leghe ritenute sicure a base di gallio.

Molti saranno gli esempi che potranno essere citati in futuro; numerose sono le discussioni in essere, ad esempio su MOSH e MOAH, micro e nanoplastiche, sostanze organiche e specie che possono poten-

zialmente esercitare un’azione avversa per peculiarità morfologiche. Un percorso di conoscenza in continua evoluzione e che potrebbe, in futuro, anche attenzionare sostanze che al giorno d’oggi riteniamo sicure.

Locandina con riferimento al piombo tetraetile, Ethyl Gasoline
Ad, Daniel D. Teoli Jr. Archivial Collection, 1936.

AIAS ACADEMY

Accademia di formazione di AIAS, l’Associazione Italiana Ambiente e Sicurezza

la prevenzione incendi nel mondo ferroviario

la prevenzione incendi è una disciplina che si occupa trasversalmente di tutte le attività umane, da quelle civili a quelle industriali, commerciali, ricreative ecc. tutte queste attività presentano un profilo di rischio incendio: alcune maggiormente di altre, ma nessuna può dirsi a rischio di incendio zero. Di conseguenza, anche nel mondo ferroviario ci possono essere situazioni che presentano un certo rischio di incendio.

Come è noto, il DPR 1° agosto 2011 n. 151 contiene un elenco delle attività soggette al controllo dei Vigili del Fuoco: si tratta di 80 attività a cui probabilmente presto se ne aggiungeranno un paio. Secondo tale decreto le attività soggette al controllo dei VV.F. devono svolgere una serie di procedimenti burocratici (esame progetto, eventuale deroga, SCIA, ecc.) allo scopo di consentire all’organo di controllo, in questo caso il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, di verificare preventivamente e periodicamente la conformità delle attività alla normativa antincendio applicabile.

Solo disponendo dei permessi previsti dal DPR 151, e in particolare la SCIA antincendio (da non confondersi con l’omonimo procedimento edilizio), le attività soggette al controllo dei VV.F. possono esercitare in condizioni di legittimità dal punto di vista della sicurezza antincendio.

Molte di queste attività riguardano il settore industriale o civile, ma alcune attività riguardano o possono riguardare il mondo ferroviario.

In particolare:

l’attività 52 è relativa agli stabilimenti per la costruzione di materiale rotabile con oltre 5 addetti;

 l’attività 53 comprende le officine per la riparazione di materiale rotabile ferroviario, tramviario e di aeromobili con superficie coperta superiore a 1000 m2;

 l’attività 78, introdotta proprio nel 2011 dal DPR 151, assoggetta al controllo dei VV.F. le stazioni ferroviarie con superficie coperta accessibile al pubblico superiore a 5000 m2;

 l’attività 80, anche questa introdotta per la prima volta dal DPR 151, assoggetta al controllo dei VV.F. le gallerie ferroviarie di lunghezza superiore a 2000 m;

 recentemente in molte stazioni ferroviarie, soprattutto in quelle di maggiori dimensioni, sono state realizzate attività commerciali. Nel caso in cui esse superino i 400 m2 di superficie lorda, viene a configurarsi l’att. 69;

 nel caso di uffici con oltre 500 addetti si configurerebbe l’att. 71;

 è inoltre possibile che alcune stazioni ferroviarie siano sottoposte a tutela in quanto edifici pregevoli per arte o storia, e quindi in questo caso viene anche a configurarsi l’att. 72;

 nel caso di edifici e/o complessi edilizi a uso terziario e/o industriale caratterizzati da promiscuità strutturale e/o dei sistemi delle vie di esodo e/o impiantistica con presenza di persone superiore a 300 unità, ovvero di superficie complessiva superiore a 5000 m2, indipendentemente dal numero di attività costituenti e dalla relativa diversa titolarità, verrebbe a costituirsi anche l’att. 73.

E naturalmente anche altre, tra le 80 attività elencate dal DPR 151/2011, possono essere presenti: ad esempio nel caso di deposito di gasolio a servizio dei locomotori diesel, depositi di materiali combustibili, gruppi elettrogeni ecc.

Per prima cosa è dunque necessario verificare, in ogni sito, la presenza o meno di una o più attività soggette al controllo dei VV.F.

In caso positivo, occorre rivolgersi a un professionista antincendio iscritto negli elenchi del Ministero dell’Interno di cui al D.Lgs. 139/2006 e al DM 05.08.2011 e attivare i procedimenti burocratici prescritti dalla legge.

Considerato l’elenco delle attività soggette al controllo dei VV.F., è probabile che debbano attivare questi

procedimenti i siti dove si produce materiale ferroviario, i siti dove lo si sottopone a manutenzione e naturalmente le stazioni, almeno le più grandi.

 Gallerie ferroviarie

La rete ferroviaria normalmente non è soggetta al controllo dei VV.F., con l’eccezione delle gallerie ferroviarie con lunghezza superiore a 2000 m che costituiscono attività 78. Occorre porre comunque attenzione al fatto che, secondo un chiarimento Prot. 12015 del 10.10.2014 emanato dalla Direzione Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica dei VV.F., sono soggette al controllo dei VV.F. esclusivamente le gallerie connesse alla rete ferroviaria, mentre le gallerie isolate non facenti parte di infrastrutture ferroviarie, come per esempio gallerie isolate a scartamento ridotto a uso del personale tecnico o di imprese autorizzate, non sono da considerare ricomprese tra le attività soggette anche qualora superassero i 2000 m di lunghezza. Il DM 28.10.2005 “Sicurezza delle gallerie ferroviarie” contiene le norme di sicurezza, incluse le norme di sicurezza antincendio, delle gallerie ferroviarie con lunghezza superiore a 1000 m. Attenzione dunque che anche nel caso delle gallerie ferroviarie esiste la fattispecie delle “attività sottosoglia”, cioè attività che, pur non essendo soggette al controllo dei VV.F., hanno comun-

Fossitermi (La Spezia), 2022. Fonte: Corpo Nazionale VV.F.

que una norma tecnica che è obbligatorio applicare: nel nostro caso, le attività sottosoglia sono le gallerie ferroviarie tra i 1000 e i 2000 m di lunghezza.

Essendo il DM 28.10.2005 stato emanato prima del DPR 151/2011, non sempre la lettura congiunta dei due decreti è priva di dubbi interpretativi. Va comunque notato che questo decreto non si applica alle metropolitane e neppure alle stazioni ferroviarie in sotterraneo, come ad esempio la stazione ferroviaria di Sanremo. A seguito dell’emanazione del DM 28.10.2005, in data 23 maggio 2012 la Direzione Centrale per l’emergenza e il soccorso tecnico dei

VV.F. ha emanato la Circolare prot. EM 2587/4101 contenente le procedure per la pianificazione dell’emergenza e del soccorso in caso di evento incidentale all’interno di una galleria ferroviaria.

Occorre infine precisare che il DM 28.10.2005 è stato oggetto negli anni di diverse modifiche, integrazioni e proroghe dei termini.

 Stazioni

Per quanto riguarda le stazioni, come già visto sono soggette al controllo dei VV.F. se superano i 5000 m2 di superficie coperta accessibile al pubblico.

Attualmente per le stazioni non è disponibile alcuna normativa specifica in materia di prevenzione incendi. Non essendoci norma specifica, si potrebbe pensare che si debba applicare il “Codice” di prevenzione incendi, cioè il DM 03.08.2014 e successive modifiche e integrazioni. Tuttavia, il DM 12.04.2019, il decreto che spesso si dice che abbia esteso l’applicazione del Codice a tutte le attività precedentemente non normate, in realtà non cita l’att. 78. Quindi in realtà, a voler essere precisi, il DM 12.04.2019 ha esteso l’applicazione del Codice a molte, ma non a tutte le attività precedentemente non normate.

Qualche anno fa era circolata tra gli addetti ai lavori una bozza di RTV sulle stazioni ferroviarie, che conteneva alcune prescrizioni problematiche, in particolare (come spesso succede) per quanto riguarda le comunicazioni tra le stazioni e le altre attività. Il calcolo delle vie di esodo risultava particolarmente complicato, ma d’altra parte anche la normativa statunitense NFPA 130 al proposito non è certo semplice. Questa bozza di RTV non ha mai visto la luce e quindi occorre concludere che attualmente c’è un buco normativo e non esiste alcuna norma tecnica da applicare alle stazioni ferroviarie oltre i 5000 m2.

Viareggio 2009. Fonte: Corpo Nazionale VV.F.
Viareggio 2009. Fonte: Polizia di Stato

Rete ferroviaria

Per quanto riguarda la rete ferroviaria, come detto, normalmente non è soggetta al controllo dei VV.F. Tuttavia, tutti ricordiamo alcuni incidenti avvenuti negli anni passati, con conseguenze tragiche anche per la popolazione civile: su tutti il disastro di Viareggio del 29 giugno 2009.

Il trasporto di merci pericolose su carri ferroviari è in via generale da considerare meno pericoloso rispetto al trasporto su gomma, ma non è indenne da incidenti. Tuttavia, occorre precisare che tutta la regolamentazione del trasporto ferroviario di merci pericolose, il cosiddetto traffico RID, esula dalle specifiche normative di prevenzione incendi, sebbene la bozza di RTV sulle stazioni ferroviarie ne menzionasse alcuni aspetti. È infine da notare che alcune tecnologie di recente diffusione potrebbero costituire un potenziale fattore di rischio di incendio per i treni, e in particolare i dispositivi per la mobilità dotati di batterie agli ioni di litio: biciclette elettriche, monopattini elettrici ecc. Non si hanno notizie di incidenti sui treni, ma diversi incendi sono già avvenuti sulle metropolitane in varie parti del mondo.

In un mondo non ben definito da normative specifiche di prevenzione incendi, non resta che consigliare agli addetti ai lavori un processo formativo quantomeno di tipo generale sulla sicurezza antincendio.

Uno dei corsi attualmente disponibili in Italia e più approfonditi in materia di prevenzione incendi, sebbene di argomentazione generale non specificatamente concentrato sul mondo ferroviario, è il Diploma Europeo di Esperto in prevenzione incendi1 , rilasciato dalla Confederation of Fire Protection Associations Europe (CFPA-Europe)2 di cui il membro italiano è AIAS, l’Associazione Italiana Ambiente e Sicurezza3, di cui chi vi scrive è socio da molti anni, nonché Consigliere nazionale. Il corso dura ben 100 ore ed è attualmente uno dei corsi maggiormente professionalizzanti in Italia in materia

1. Per informazioni sul Diploma Europeo CFPA-Europe, vedasi https://www.aiasacademy.it/corso/diploma-europeo-cfpa-di-esperto-nella-prevenzione-incendi/ 2. Per maggiori informazioni, si rimanda al sito www.cfpa-e.eu 3. Per maggiori informazioni, si rimanda al sito www.aias-sicurezza.it

di sicurezza antincendio e, in caso di superamento dell’esame finale, consente di disporre di un diploma europeo riconosciuto tra tutti i 26 paesi (europei e non: ci sono anche la Repubblica Sudafricana e la Corea del Sud) che a vario titolo fanno parte della CFPA-Europe.

Guido Zaccarelli

Consiglio Direttivo AIAS, CFPA Europe rappresentante per AIAS, STZ S.r.l., F.S.E. Italia S.r.l. Docente Qualificato Aias Academy

CORSI SPECIAlIStICI PER ESPERtI ANtINCENDIO

Guido Zaccarelli è da anni un docente qualificato di AIAS AcAdemy per l’area prevenzione incendi.

AIAS Academy è l’ente di formazione di AIAS, Associazione Italiana Ambiente e Sicurezza che opera da trent’anni nel settore dello sviluppo del capitale umano, della formazione e dell’addestramento sui temi dell’ambiente e della sicurezza. da tempo ha avviato una partnership con cIFI, condividendone i valori.

Ecco una selezione di corsi di formazione in modalità videoconferenza sincrona organizzati da AIAS Academy:

 Corso Diploma Europeo CEPA di Esperto nella Prevenzione Incendi - AIAS Academy

 Corso Fire Safety at Work - prevenzione incendi art. 46 del D.lgs. 81/08AIAS Academy

 Corso Explosion – Direttiva AtEX (D.lgs. 81/08 e S.M.I. titolo XI) - AIAS Academy

 Corso la manutenzione antincendio nelle aziende: il quadro aggiornato al D.M. 1 settembre 2021 - AIAS Academy

Webinar gratuiti Network AIAS

Segnaliamo anche che AIAS Academy e AIAS Associazione organizzano durante l’anno webinar gratuiti su specifiche tematiche di salute e sicurezza.

Clicca qui per visualizzare gli eventi in programma

Eventi gratuiti - AIAS Academy

Eventi e webinar - AIAS Ambiente e Sicurezza (aias-sicurezza.it)

Andrea Casa

Amministratore Delegato Alisea S.r.l., Docente qualificato AIAS Academy, Socio AIAS

l’efficientamento energetico degli impianti di trattamento aria

Ci troviamo in un periodo storico in cui i costi legati all’energia (elettricità, riscaldamento ecc.) stanno subendo un’impennata che fa barcollare tutte le attività: quelle con minore stabilità economica sono a rischio; quelle con fondamenta più solide vedono comunque il raddoppiare (o quasi) dei costi, che porta, spesso, a tagli indesiderati delle spese interne. In questo contesto, gli impianti di trattamento aria giocano un ruolo rilevante, tanto più che, con le temperature molto alte dell’estate appena trascorsa, tenere spenta l’aria condizionata è stato impossibile. La questione, però, va ben oltre questo aspetto. Gli impianti aeraulici, infatti, sono spesso responsabili di sprechi energetici ingenti e che, nel lungo periodo, comportano spese elevatissime, che potrebbero essere ridotte drasticamente con i giusti accorgimenti, dando un po’ di respiro alle aziende, che devono mantenere per legge le giuste condizioni ambientali in uffici e siti produttivi. Va tenuta ben presente anche la questione della sostenibilità, perché il risparmio energetico è diventato una priorità, la chiave per affrontare la crisi climatica in corso. Di fatto, esiste una relazione ben precisa tra efficientamento energetico e manutenzione degli impianti di trattamento aria. In particolare, le inefficienze a essi legate sono di due tipi:

1† da un lato, c’è l’accumulo di particolato all’interno degli apparati (gestione igienica insufficiente o inesistente);

2† dall’altro, ci sono le perdite d’aria.

1Prendiamo

in esame il primo caso. Durante il ciclo operativo degli impianti aeraulici, gli agenti inquinanti presenti nell’aria trasportata si depositano sulle componenti del sistema, andando ad aumentare la resistenza opposta al flusso dell’aria. Una gestione igienica inadeguata porta a inevitabili malfunzionamenti: mantenere la corretta portata d’aria, erogata con la temperatura e la velocità stabilite, richiede un maggiore dispendio energetico, con un conseguente aumento dei costi.

Gli inquinanti causano problemi a tutte le componenti dell’impianto.

L’esempio più immediato è dato dai filtri: se non vengono correttamente sostituiti rappresentano una sorta di tappo per l’aria e di conseguenza si avrà un incremento di consumi del ventilatore per movimentare l’aria attraverso il filtro stesso. Un altro esempio può riguardare le batterie di scambio termico: il particolato, le polveri e tutti gli agenti contaminanti che vi si depositano producono un duplice effetto negativo: in

primo luogo, esattamente come per i filtri, rendono la batteria come un tappo al passaggio dell’aria, in secondo luogo formano uno strato isolante che peggiora notevolmente lo scambio termico. Quindi aumentano sia i consumi elettrici del ventilatore che quelli termici/frigoriferi della batteria. Vanno considerate anche le prese d’aria esterna: griglie e reti hanno lo scopo di bloccare l’ingresso di detriti, animali e foglie; se i detriti non vengono rimossi per tempo, rischiano di incollarsi alle superfici, causando danni e sprechi.

L’ispezione degli impianti può essere attuata da tecnici specializzati o in maniera automatica, attraverso i sistemi di ultima generazione basati su intelligenza artificiale e machine learning; effettuarla regolarmente è comunque fondamentale sia per garantire il buon funzionamento degli impianti aeraulici sia per la sicurezza e il benessere degli occupanti dell’edificio interessato, che altrimenti respirerebbero aria contaminata, rischiando di contrarre malattie preoccupanti, dallo sviluppo di asma e allergie, per arrivare a condizioni gravissime, come i tumori e alcune patologie cardiache o respiratorie. Solo con la bonifica delle parti contaminate si può avere la certezza che l’impianto prosegua a lavorare in condizioni ottimali, proteggendo le persone che respirano l’aria erogata.

Per fare un esempio concreto, vorrei citare un intervento svolto presso la filiale di una banca. L’impianto, dotato di inverter, aveva una potenza nominale del ventilatore di mandata pari a 4,5 kW. In fase di collaudo era stato appurato che la portata d’aria indicata nel progetto si otteneva attraverso una posizione dell’inverter equivalente a un consumo di 3,9 kW/h. Ai fini del confronto, tutti questi dati sono stati verificati sia prima che dopo l’intervento di pulizia. Dopo aver riposizionato l’inverter, l’assorbimento elettrico ha restituito un valore di 3,3 kW/h. Il cliente ha così ottenuto un risparmio diretto di 0,6 kW/h (circa del 15%). Le nostre misurazioni di temperatura e umidità relativa, svolte sia in ingresso che in uscita dell’aria, dopo l’intervento di bonifica hanno rilevato un miglioramento dell’efficienza di scambio termico pari a circa il 38%. Questi miglioramenti si possono ottenere con una semplice attività di manutenzione, ma c’è di più.

2Prendiamo in esame il secondo caso, quello delle perdite d’aria. Le condotte, seppur conformi alle classi di tenuta A, B, C o D, previste dalle norme UNI EN 12237 e UNI EN 1507, non risultano sempre correttamente sigillate e sufficientemente ermetiche. Si stima che più della metà presenti perdite e fessurazioni: una problematica sottovalutata, che interessa sia gli impianti vecchi sia quelli di nuova costruzione. Un impianto che presenta delle perdite richiede una maggiore portata per far circolare l’aria e distribuirla in tutto l’edificio. Una condotta che presenta fessurazioni provoca poi una dispersione dell’aria climatizzata, richiedendo l’immissione di una maggiore quantità, in modo che i parametri di portata dell’aria stabiliti in fase progettuale siano rispettati. È possibile verificare i propri impianti con un test di tenuta. Individuate le perdite, esiste un sistema di sigillatura rapido e poco invasivo che consiste nell’erogazione all’interno dell’impianto di aerosol atossico che si deposita sulle perdite, sigillandole e riducendole, in media, di circa il 90%. Evitare assolutamente i metodi “fai da te”, come la sigillatura con nastro adesivo!

Conclusioni

Spero, in questo articolo, di aver reso ben chiara la necessità per le aziende di efficientare i propri impianti di trattamento aria. I benefici sono molteplici. Da un lato, ci sono vantaggi economici ingenti per qualunque tipo di azienda; dall’altro, ci si rende attivi nei processi di transizione sostenibile e di riqualificazione energetica, oggi più necessari che mai per fare del bene alla nostra Terra. Con il Green Deal europeo, anche conosciuto come “patto verde”, l’Europa si propone di diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. A questo si collega il recente obbligo di redazione del bilancio di sostenibilità per la maggior parte delle aziende europee. Insomma, da qualche parte bisogna pur cominciare questa transizione e gli impianti aeraulici sono decisamente un ottimo start!

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