2020 Odissea nella Grafica_un viaggio all'infinito

2020 ODISSEA NELLA GRAFICA Un viaggio all’infinito

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2020 ODISSEA NELLA GRAFICA Un viaggio all’infinito

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“2020 Odissea nella grafica, un viaggio all’infinito” è un testo che si presenta come un viaggio attraverso le epoche e gli stili della grafica attraverso le sue evoluzioni pratiche e concettuali, attraverso il design, l’arte e l’innovazione, dalla nascita della stampa fino agli anni 2000. Abbiamo scritto questo libro per tutti gli aspiranti grafici, per i non grafici, e per chiunque sia affascinato da questa disciplina, per chi non la conosce affatto, o per chi timidamente si

PREFAZIONE

incuriosisce e ne vuole sapere qualcosa di più. Il titolo si ispira al film di Kubrick, “2001 Odissea nello spazio”, ma non preoccupatevi, non saremo così criptiche e nemmeno malvagie come Hal 9000. Pensato, progettato, scritto e impaginato da 7 cervelli e 14 mani diverse, si divide in 7 capitoli titolati con verbi all’infinito che si propongono di catturare i concetti chiave e i significati di ogni corrente e movimento artisti-

co raccontato al loro interno. Abbiamo anche realizzato delle rielaborazioni di rebranding di alcune opere e poster famosi sostituendo al marchio originale uno attuale. Le troverete alla fine di ogni movimento artistico, sono dei divertenti esercizi di stile!

Come i verbi declinati ll’infinito, infinito è il processo di creazione ed evoluzione artistica e così il viaggio che si compie attraverso di esso. Una linea continua tra passato e presente, come appare nella copertina, ci conduce in questo percorso alla scoperta di nuovi e vecchi mondi creativi. Con questo viaggio negli spazi infiniti, vuoti e pieni del design e della grafica speriamo di farvi incontrare quella cosa chiamata “bellezza” che ti solleva l’anima da tante preoccupazioni e ti dice a gran voce: “Con me il mondo è un posto meraviglioso, guardalo con i tuoi nuovi occhi”.

Grafica e design non sono solo questo ma anche strumenti pratici per comunicare, risolvere problemi e migliorare la vita e la percezione che abbiamo di essa e del mondo.

PER LA REALIZZAZIONE DI QUESTO LIBRO NON É STATO MALTRATTATO NESSUN GRAFICO...

...FORSE

SOMMARIO

Tra le due Guerre............176 Costruttivismo...............178 Suprematismo................192 Art Decò.........................202 De Stijl............................220

Modernismo Americano.......298 Design Psichedelico..............312 DDB.......................................334 Push Pin Studios....................340

.06 TRASGREDIRE

.04 COSTRUIRE Introduzione..................54 Età Vittoriana.................56 Art and Crafts ................66 Art Nouveau..................78

.02 DECORARE

.01 RIVOLUZIONARE Nascita della stampa......................10 Rivoluzione Industriale...................14 La fotografia....................................30 Cromolitografia...........................36

.03 DISSACRARE Avanguardie visionarie.....118 Modernismo ....................120 Futurismo........................130 Dadaismo..........................142 Plakatstil............................152 La propaganda..................162

.05 RIORGANIZZARE Il Bauhaus........................................232 La Gestalt........................................252 Lo stile ITS.......................................258 Isotype...........................................284

.07 DECOSTRUIRE Postmodernismo..................356 Punk Bomb..............................358 80’s frenzy...............................374 Grunge e oltre........................394

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Dalla nascita della stampa a quella della fotografia, la rivoluzione industriale e le type foundries

Una delle prime rivoluzioni nella storia della grafica di cui parleremo, è la nascita della stampa a caratteri mobili, che, sebbene ci siano delle testimonianze che ne attribuiscono all’Asia l’invenzione, è stata in realtà introdotta in Europa da Johannes Gensfleisch zum Gutenberg, tedesco di Magonza, verso la metà del XV secolo.

Il periodo in cui è inserita è parallelo al Rinascimento italiano, nel quale la creazione dei libri è ancora affidata agli

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NASCITA DELLA STAMPA amanuensi, monaci che dedicano la loro vita alla preghiera e alla scrittura, copiando i manoscritti manualmente.

Siccome questo procedimento può durare mesi prima di completare un singolo libro, l’accesso alla conoscenza e alla cultura è perciò limitato alle classi più abbienti come la Chiesa e l’aristocrazia, ma si sviluppa il desiderio di estendere questo diritto a più persone e questo

è reso possibile grazie all’invenzione di Gutenberg. Difatti mentre nascono le prime accademie, gli studiosi del Rinascimento riscoprono antichi manoscritti di Platone e sebbene la lettura non sia per tutti, la domanda di libri cresce.

Questo anche perché la cultura inizia a non essere più soltanto appannaggio della Chiesa, ma sempre più laici (nobili e borghesia urbana) si interessano alla lettura. All’epoca si leggono soprattutto testi di devozione, ma anche romanzi e persino manuali professionali; inoltre possedere libri è per un ricco laico del

La macchina ideata da Gutenber per la stampa, si ispirò al torchio del vino per la creare la pressa, 1450.

13 Quattrocento un segno di potere, perchè la conoscenza è sempre stata considerata come una forma di libertà e un modo per costruire un pensiero critico, quindi è anche la possibilità di esercitare un potere su chi invece non la possiede.

GUTENBERG 14

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La stampa a caratteri mobili di Gutenberg è una tecnica basata sul metallo: i libri si realizzano nelle officine, un ambiente totalmente diverso rispetto agli scriptoria del passato, nei quali lavoravano gli amanuensi.

La sua invenzione deriva dalla sua abilità come orafo, dal momento che nelle zone della Renania e dell’Alsazia nel quale vive la lavorazione del ferro, e dell’acciaio, è ben conosciuta e non gli è difficile apprenderne i procedimenti.

Infatti il fulcro della stampa a caratteri

mobili, l’oggetto attorno al quale ruotava tutto il procedimento, è il punzone, un sottile parallelepipedo sulla cui testa è inciso in rilievo e a rovescio un segno tipografico; è fatto dell’elemento più duro conosciuto ai tempi di Gutenberg: l’acciaio. Il punzone, martellato a caldo, crea la matrice, dentro la quale vengono fusi i caratteri in piombo. Per ciascun segno grafico (lettere, numeri, segni d’interpunzione, ecc.) vi è una matrice, così da poterne creare più copie uguali con una sola. Dopo essere stati disposti i caratteri, ovvero messi in fila a comporre le parole su un telaio in legno, ed essere stati inchiostrati, vengono messi a contatto (attraverso una pesante pressa) con la carta, imprimendola d’inchiostro. È la prima pressa per la stampa mai ideata e per crearla si ispira ad un torchio per l’uva.

All’inizio e alla fine del procedimento di stampa vi sono quindi due azioni fondamentali: la prima è la creazione del tipo di carattere, la quale è in assoluto la parte più complessa del lavoro nonché quella che richiede il maggiore investi-

Gutenberg e i suoi collaboratori che sperimentano la stampa, 1450.

“La stampa è per eccellenza lo strumento democratico della libertà.”

Alexis de Tocqueville

ropa, che si sviluppano utilizzando la tecnica dei caratteri mobili, portando poi alla nascita della necessità di creare caratteri differenti, più funzionali, così con lo sviluppo dei compositori tipografici, nasce anche la figura dell’inventore di font.

Per la prima volta, è possibile riprodurre libri in modo veramente veloce ed economico. La diffusione dei libri, delle notizie, e della cultura inizia a farsi più veloce.

15 mento economico. Per ogni segno tipografico si realizza una matrice. Esistono una cinquantina tra lettere, numeri e segni di punteggiatura. Il numero iniziale viene moltiplicato per tre: maiuscolo, minuscolo e maiuscoletto. Poi, i primi due devono avere sia il tondo che il corsivo. Il risultato finale va moltiplicato per tanti corpi, dalla dimensione più grande (per fare il titolo del libro) alla dimensione più piccola (per le note).

La seconda azione fondamentale è l’impressione dell’inchiostro sul foglio. Perciò Gutenberg realizza degli inchiostri a

base oleosa, come una specie di vernice; poichè constata che hanno un effetto più duraturo rispetto agli inchiostri a base acquosa utilizzati precedentemente.

Dopo un anno di sperimentazioni, stampa il primo libro. Ancora oggi è la sua opera più famosa: la Bibbia di Gutenberg. La lavorazione viene ultimata il 23 febbraio 1455 con una tiratura di 180 copie, data che sancisce idealmente la nascita della stampa.

Questo avvenimento pone le basi per la fondazione delle prime tipografie in Eu-

La Rivoluzione Industriale si sviluppa tra il 1760 e 1840, partendo dall’Inghilterra per svilupparsi in tutta Europa, è un processo di evoluzione economica e industrializzazione della società, che da un sistema agricolo e artigianale diviene un sistema industriale caratterizzato dall’uso di macchine azionate da energia meccanica e dall’utilizzo di nuove fonti energetiche, come ad esempio i combustibili fossili (l’esempio più importante, considerato il simbolo della

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The Progress of Steam, carri a vapore in Regent Park, 1831.

RIVOLUZIONE INDUSTRIALE rivoluzione, è il battello a vapore). Questo è stato favorito da una forte componente di innovazione tecnologica e ne scaturiscono fenomeni di crescita, sviluppo economico e profonde modificazioni socio-culturali e politiche.

La rivoluzione industriale comporta un generale stravolgimento delle strut-

ture sociali dell’epoca, attraverso una impressionante accelerazione di mutamenti che porta nel giro di pochi decenni alla trasformazione radicale delle abitudini di vita, dei rapporti fra le classi sociali, e anche dell’aspetto delle città, soprattutto le più grandi. È infatti prevalentemente nei centri urbani, specie se industriali, che si avvertono mag-

giormente i mutamenti sociali, con la repentina crescita di grandi sobborghi a ridosso delle città, nei quali si ammassava il sottoproletariato che dalle campagne cerca lavoro nelle fabbriche cittadine. Si tratta per lo più di quartieri malsani e malfamati, in cui le condizioni di vita per decenni rimangono spesso al limite della vivibilità. In Inghilterra sorgono interi quartieri di “case popolari” o slums che ospitano più di una famiglia in condizioni igienico-sanitarie generalmente precarie; basti pensare che una persona su due muore per intossicazione da materiali di costruzione.

Il battello a vapore, simbolo della Rivoluzione Industriale, 1835.

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LA PUBBLICITÀ Le città sono drasticamente trasformate e diventano centri industriali.

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Questo periodo storico lo possiamo considerare quasi come uno “strappo” che ha cambiato radicalmente il modo di vivere delle persone, distinguendo l’esistenza tra prima e dopo l’avvento delle macchine, le quali l’hanno profondamente influenzata.

Infatti è un processo che permette di passare da un sistema produttivo artigianale basato su strumenti manuali ad un sistema industriale basato sulla macchina. L’invenzione di nuove tecniche, di nuovi macchinari e l’applicazione di nuove fonti energetiche, sono quindi centrali per la rivoluzione industriale.

Anche i rapporti fra le classi sociali come già accennato vengono profondamente modificati: l’aristocrazia, già messa in crisi dalla rivoluzione francese, perde definitivamente, con la rivoluzione industriale, il suo primato, a favore della borghesia produttiva. Parallelamente si forma per la prima volta una vasta classe, che sarà definita da Karl Marx “classe operaia” che solo a distanza di decenni, lentamente e faticosamente, riuscirà a conquistare un suo peso sociale e politico nella vita dei paesi industrializzati.

traduce nei primi manifesti pubblicitari, di cui la Kodak ne è un esempio con il famoso manifesto della Kodak Girl, il quale ritrae una giovane donna aristocratica ed elegante che utilizza la macchina fotografica. È uno dei primi esempi su come questo genere di immagini susciti interesse nel consumatore, soprattutto se ci si può impersonare nel soggetto..

L’invenzione di nuove macchine, l’utilizzo di nuove merci e la crescita della produttività, permette di abbassare i costi di produzione dei beni. Un numero sempre maggiore di persone può comprare prodotti.

Con questo aumento della produzione, della varietà dei prodotti e della concorrenza fra imprenditori nasce la necessità di una maggiore informazione nei riguardi del consumatore. Questo si

Manifesto Kodak Girl, 1879.

Manifesto contro i binari della Locomotiva a New York,1839.

Nel periodo della rivoluzione, una delle caratteristiche principali di manifesti affissi nelle città è quella di inserire scritte in vari font (conosciuti in italiano anche con il nome di caratteri), alcuni anche stravaganti, che in questo modo attirano l’attenzione.

Questo nuovo ambito e porta alla nascita delle cosiddette Type Foundries, che possiamo definire ufficiosamente come delle fabbriche di font, le quali sono in realtà aziende che si occupano della creazione e la distribuzione di caratteri, in questo periodo sono principalmente delle fonderie, dal momento che, come abbiamo già accennato, i font vengono creati con la fusione di leghe mettalliche come il piombo.

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Colui che crea a tutti gli effetti l’arte della tipografia è stato sicuramente Johannes Gutemberg, come abbiamo già visto prima, che ha consentito la riproduzione di copie tutte uguali di un sin-

TYPE FOUNDRIES

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golo modello. In seguito, nel XIV e XV secolo, Nicolas Jenson è uno dei primi stampatori a incidere e usare caratteri basati sulla scrittura romana anzichè su quella gotica dell’Europa settentrionale e William Caxton introduce in Inghilterra l’arte della stampa a caratteri mobili, stampa uno dei primi annunci pubblicitari, un manifesto che decanta i prodotti e i servizi della sua bottega.

Nello stesso periodo, il grande stampatore e fonditore italiano Aldo Manuzio commissiona al disegnatore Francesco Griffo diversi caratteri, il più importante dei quali rivive oggi con il nome di

Garamond

A BC DE FGH I JK L M NOPQRST U W X Y Z abcdef i gh ijk l m nopqr st uw x y z Bembo. Maurizio e Griffo sono generalmente considerati gli inventori del carattere corsivo. Un secolo dopo Claude Garamond è il disegnatore di caratteri più illustre del suo tempo, da un forte contributo all’adozione dei caratteri romani in Francia. Con l’avvento di nuovi disegni e stili, il lavoro di Garamond diviene meno popolare, ma all’inizo del XX secolo nuove versioni del suo omonimo font cominciano ad apparire nuovamente in tipografia.

Intorno al XVII e XVIII secolo William Caslon I (1692-1766), armaiolo inglese

Esempi dei fonts Garamond, Caslon e Baskerville.

Caslon

A BCDEF GH I J K L M NOPQR S T U W X YZ abcdef igh ijk l mnopqr st uw x y z divenuto disegnatore di caratteri, fonda la Caslon Type Foundry. Il punto di forza di Caslon come disegnatore di caratteri non risiede nella sua capacità di creare tipi senza difetti, ma piuttosto nel produrre un carattere che, all’interno di un blocco di testo, appaia perfetto nonostante le stravaganze e le peculiarità di ciascuna lettera.

Invece, John Baskerville (1706-1775), si rende conto che la tecnologia dell’epoca non gli permette di stampare come desidera, quindi sperimenta e appor-

Baskerville

ta varie modifiche per perfezionare il processo di stampa: realizza il proprio torchio, una versione ampiamente migliorata rispetto ai concorrenti; sviluppa il proprio inchiostro, la cui nerezza e intensità sono ancora oggi difficili da eguagliare; infine, inventa il procedimento di pressatura a caldo per ottenere una carta più liscia.

Nel 1734 appaiono per la prima volta i caratteri di Caslon che definiscono i criteri per tutti quelli che seguono. Si dice che proprio come Shakespeare diede

A BC DE FGH I J K L M NOP QRST U W X Y Z abcdef i gh ijk l m nopqr st uw x y z

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all’Inghilterra un teatro nazionale, Caslon offrì al paese un carattere nazionale.

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L’attività di Bodoni prende avvio solo dopo l’introduzione dei caratteri di Caslon. La tipografia e i disegni di caratteri creati da Bodoni sono tuttora considerati tra i più raffinati ed eleganti mai prodotti. È pur vero, tuttavia, che egli dispone di risorse pressochè illimitate in termini di tempo e denaro, e dunque poteva concedersi il lusso di dedicarsi totalmente alle proprie opere. Bodoni, infatti, lavora per il duca di Parma e, all’infuori

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Bodoni

delle occasionali commissioni dall’alto, si occupa solo di progetti scelti da lui.

Il carattere Bodoni è il risultato di una lunga evoluzione. I primi disegni di cui si serve sono creazioni old style acquistate da Fournier, e proprio sul carattere di quest’ultimo Bodoni si basa fortemente per produrre le sue prime creazioni. È uno dei più prolifici creatori di caratteri della storia. È un tipografo esigente e rigoroso e pretende sempre di usare caratteri con corpo e proporzioni che soddisfino al meglio i suoi bisogni.

Nel 1760, quando Bodoni ha solo

A BCDE FGH I J K L M NOPQRST U W X Y Z a bc def i g h ijk l m nopq r s t uw x y z

vent’anni, prende avvio la Rivoluzione industriale. È in questo periodo che si creano i presupposti per l’evoluzione della progettazione grafica e in seguito nel 1816, William Caslon IV, pronipote di William Caslon, crea il primo carattere senza grazie.

Da lì in poi nasce una distinzione tra i font serif e sans serif, i primi hanno le cosiddette “grazie” mentre i secondi ne sono privi.

Per “grazie” si intendono quegli allungamenti alle estremità del carattere che rendono le lettere più eleganti,

più “aggraziate”. Questa caratteristica nasce nell’antica Roma per risolvere un’esigenza tecnica: la difficoltà degli scalpellini nell’incidere le lettere con terminazione ad angolo retto. In seguito le grazie sono adottate nella scrittura a mano per renderla più fluida e aiutare chi scrive ad avere il controllo La prima stampa sans serif, “Two Lines English Egyptian” di William Calson IV, nel “Blake, Garnett & Co. typesperimen”,1819

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za grazie, detti sans serif, vengono chiamati “Grotesque”, dal francese grottesco, in maniera quasi dispregiativa, per il loro aspetto nudo e incivile, sono privi della pretenziosità medievale, eco della morale ecclesiastica, e sono anche simili ai sistemi di scrittura tecnici, come quello degli architetti e costruttori navali, dove l’utilizzo dei sanserif risulta più chiaro e versatile nell’associazione tra numeri e testi. Questi font sono ben presto utilizzati per scopi pubblicitari.

Aa Aa Aa Serif

Sans serif

Slab serif

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La differenza tra un carattere serif, sans serif e slab serif, in questo caso tra Garamond, Futura, Typewriter.

Clarendon

A BCDE FGH I J K L M NOPQ R ST U WXYZ abcdefighijklm nopqrstuwxyz

dell’azione, aumentando e diminuendo la pressione per ottenere linee spesse e sottili, curve che permettono all’occhio di danzare da una lettera all’altra grazie a morbidi inviti grafici. Più tardi, ai tempi di Gutenberg, per quanto paradossale possa sembrare, le matrici delle lettere da stampare sono realizzate con il design della scrittura a mano, poichè la stampa è vista come qualcosa di sinistro e si spera così di mitigare la diffidenza nei suoi confronti, inserendo un elemento rassicurante e consuetudinario.

Quando poi appaiono i primi fonts sen-

Nel periodo seguente la Rivoluzione Industriale arrivano anche i font Slab Serif o Egiziani, la cui definizione deriva dal fatto che all’epoca in cui inizialmente appaiono (i primi decenni dell’800) l’antico Egitto è parecchio di moda e i tipografi decidono quindi di utilizzare un termine che all’epoca è sulla bocca di tutti. Uno dei più famosi arrivati a noi è il Clarendon, il nome di un carattere tipografico serbo che è stato rilasciato

nel 1845 da Thorowgood and Co. di Londra, una fonderia di lettere spesso conosciuta come Fann Street Foundry.

La pubblicità è stato il fattore determinante per la crescita di questa tipologia di font: si diffondono infatti grazie alle crescenti necessità creative dell’advertising, il quale si sta sviluppando proprio in quegli anni. Difatti questi font si distinguono per un utilizzo estremo del contrasto e per’utilizzo di grazie perpendicolari e molto sottili, ovvero caratteristiche volte solamente a catturare l’attenzione e non a garantire leggibilità.

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RIELABORAZIONE

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Cole and Walter Circus’ Poster, Rivoluzione Industriale, XIX secolo.

Ray-Ban Rivoluzionari, Sara Bianchi, 2020.

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Poster pubblicità Dr. Roby’s, Rivoluzione Industriale, XIX secolo.

La Rivoluzione della Nikon, Manuela Agus, 2020.

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Take a Kodak with you, John Hasall, 1910.

The Barbie Girl, Giulia Corona, 2020.

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LOUIS DAGUERRE

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Il 18 novembre 1787 nasce a Cormeilles-en-Parisis, un piccolo paese nella regione dell’Île-de-France, Louis-Jacques-Mandé Daguerre, l’uomo che viene ricordato dal mondo come l’inventore della fotografia.

Muove i primi passi nel mondo dell’arte come allievo di Pierre Prévost, conosciuto come il primo pittore francese di panorami, che insegna al giovane

LA FOTOGRAFIA

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apprendista le tecniche per allestire le scenografie teatrali dell’Opéra national de Paris.

A metà degli anni Venti dell’Ottocento Daguerre inizia a sperimentare le tecniche di fissaggio dell’immagini ottenute attraverso una camera oscura. In quel momento comincia la collaborazione con Joseph Nicéphore Niépce, inventore con vent’anni in più di esperienza che si occupa tra le altre cose anche dei

processi di impressione. Niepce muore nel 1833, lasciando a Daguerre le sue preziose conoscenze, mantenute fino a quel momento segrete, e la missione di trovare un procedimento semplificato per poter così proporre la tecniche dell’eliografia anche al grande pubblico.

Così nel 1839 Daguerre mette a punto il procedimento fotografico per lo sviluppo di immagini a cui entrambi hanno lavorato e che prese il nome di dagherrotipia.

In termini pratici, il processo messo a punto da Daguerre consiste nell’esporre ad una fonte luminosa una lastra di rame, sulla quale viene precedente-

Sitting for a Daguerreotype, J. W. Bradley, 1850

mente applicato uno strato d’argento, reso sensibile attraverso vapori di iodio. Questo strato viene poi sviluppato attraverso vapori di mercurio a circa sessanta gradi. Una soluzione di sodio tiosolfato elimina infine gli ultimi residui. La fotografia ottenuta non è riproducibile, come lo sono quelle ottenute dall’impressione di pellicole ed è inoltre piuttosto sensibile agli agenti esterni.

Nonostante le difficoltà del procedimento, il successo del dagherrotipo è immediato e clamoroso. Grazie ai ricavi del brevetto, Daguerre riesce ad acquistare una elegante proprietà a Bry-surMarne, dove si ritira e muore, coperto di onori e gloria, il 10 luglio 1851.

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La pittura antica è il tentativo degli artisti di imitare la realtà e la storia dell’arte occidentale si fa convenzionalmente iniziare quando Giotto trasforma la super-

Dagherrotipo di donna con pappagallo, fotografo anonimo.

FOTOGRAFIA E PITTURA

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ficie piana (di un muro o di una tavola di legno) in uno spazio tridimensionale. Da lì in poi tutta la pittura è stata un tentativo di creare uno spazio il più possibile realistico. Tutto questo dura per circa

Three men smoking, fotografo americano anonimo, ca 1840.

Anche quei pittori che hanno messo in dubbio il suo valore come opera d’arte, non esitano a servirsene per il proprio lavoro, invece di avere davanti a sè una cinquecento anni. Nel 1827, Joseph Nicéphore Niépce riesce ad ottenere la prima immagine disegnata dalla luce.

Dieci anni dopo, come abbiammo visto, Louis Daguerre inventa il processo fotografico chiamato dagherrotipo e in seguito William Fox Talbot scopre inoltre un processo di riproduzione delle immagini con il metodo negativo-positivo.

Woman Daguerreotypist with Camera and Sitter, ca.

Mathew Brady, 1855

concorrenza e si scaglia contro di essa criticandone la meccanicità del gesto creativo che esclude il tocco e la sensibilità dell’artista, mentre ci sono invece artisti che accettano il dato di fatto e si confrontano con essa su piani differenti.

Inevitabilmente la fotografia cambia e influenza il modo di fare arte sia per gli uni che per gli altri.

Ben presto ci si rende conto che il monopolio dell’immagine non è più solo in mano alla pittura e c’è chi guarda la fotografia come una minacciosa forma di

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“Chi avrebbe creduto pochi mesi fa che la luce, essere penetrabile, intangibile, imponderabile,[...], avrebbe assunto l’incarico del pittore disegnando propriamente di per sé stessa, [...]? Eppure questo miracolo si è compiutamente operato fra le mani del nostro Dagherre.” fisico Macedonio Melloni

persona in carne ed ossa per eseguirne il ritratto, basta possederne una fotografia, in questo modo si risparmia anche sui tempi di posa dei modelli.

Da un lato quindi ci sono quegli artisti che sfruttano la fotografia come mezzo per semplificare la pittura, da un lato invece ci sono altri che utilizzano essa stessa come mera forma d’ arte.

Questo permette con il tempo di liberare la pittura dal compito di raffigurare la realtà il più fedelmente possibile, poichè viene già fatto in modo efficace

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dalla fotografia, e la porta dalla rappresentazione del reale e dell’esterno ad indagare altri campi, più introspettivi, più astratti, del mondo e dell’animo umano. Basti pensare agli impressionisti e al loro uso del colore, che non è affatto realistico, ma più una ricerca, uno studio del mondo esterno, focalizzandosi sulla luce, sull’uso del colore e delle pennellate, invece che sulle forme.

Mentre per quanto riguarda i cubisti che arrivano in seguito la ricerca si concentra sulla forma astratta delle cose,

Lastra fotografica con Giulia Bianchi in posa per “Mia madre in giardino”

Ritratto fotografico di Vincent Van Gogh

fino ad arrivare alle forme più primarie e primitive con gli astrattisti.

Ci sono poi anche coloro che provano a disegnare i sogni, i surrealisti, che invece indagano le immagini profonde e bizzarre celate nella nostra mente.

Insomma, senza la scoperta della fotografia, la pittura non sarebbe liberata dalla raffigurazione del reale e non avremmo al giorno d’oggi un’arte così varia e così profondamente portata alla sperimentazione.

Mia madre in giardino, Pompeo Mariani, 1892

Autoritratto di Vincent Van Gogh

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La cromolitografia è un’arte per mezzo della quale si stampano i disegni a colori, imitando i colori a tempera. Il termine deriva dal greco chroma (colore), lithos (pietra) e graphia (da graphein, disegnare). Si tratta di un metodo che si sviluppa nel 1837 a partire dalla litografia (quest’ultima sperimentata dal tedesco Aloys Senefelder nel 1796).

Consiste nel disegnare figure con una particolare matita grassa su una matri-

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CROMOLITOGRAFIA

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ce di pietra. Dopo aver trattato la superficie della lastra litografica con una soluzione acida, si procede inumidendo la matrice dopo di che si inchiostra, utilizzando un rullo in pelle o in caucciù.

L’inchiostro, a base oleosa, aderisce solo sui tratti disegnati con la matita grassa, mentre viene respinto dalla superficie umida della pietra. Nella successiva fase di stampa solo l’inchiostro che ha

Prima cromolitografia in triade di colori, Louis Prang & Co., 1893

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aderito al disegno viene impresso sul foglio di carta. Per ogni differente colore è necessaria una differente matrice. Grazie alla cromolitografia è quindi possibile utilizzare tanti colori, più velocemente, con maggiori sfumature e toni molto più brillanti.

Nei primi tempi le cromolitografie erano senza scritte ed erano utilizzate come decorazione di oggetti (mobili, scatole, ventagli e contenitori di vari prodotti).

A partire dalla seconda metà dell’Ot-

Lithographer, Louis Prang

Prima cromolitografia in triade di colori, Louis Prang & Co., 1893

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41 tocento iniziano a comparire immagini cromolitografiche stampate su fogli o cartoncini che pubblicizzano, con varie scritte, il prodotto da vendere.

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Agli inizi del Novecento questa tecnica venne messa in disparte con la diffusio-

ne della fotografia. Non avvenne però così bruscamente.

Addirittura sino agli inizi degli anni sessanta, sopravvissero nelle periferie italiane piccole stamperie litografiche artigianali che si servivano degli ultimi incisori o comunque disegnatori litografi.

LOUIS PRANG

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Louis Prang è un tipografo, litografo e editore americano. Inoltre è noto come il “padre della cartolina di Natale americana”, difatti è il primo a stampare questo genere di immagini. Il motivo per cui Prang decide di cimentarsi nella sfida delle cromolitografie è perché sente che l’arte di qualità non deve essere limitata alla élite, ma estesa ad un pubblico più vasto, così grazie a questa tecnica riuscì ad abbassare i costi dell’arte.

Prang nasce in Prussia nel 1824, suo padre Jonas Louis Prang è un produttore tessile e di origine ugonotta francese ; sua madre, Rosina Silverman, è invece

tedesca. A causa di problemi di salute da ragazzo, Prang non è in grado di ricevere un’istruzione scolastica standard e diviene apprendista di suo padre, imparando l’incisione e la tintura e la stampa di calicò.

Viaggia per la Boemia lavorando nella stampa e nel tessile. Tuttavia, dopo alcuni viaggi in Europa, rimane coinvolto in attività rivoluzionarie e, inseguito dal governo prussiano, si reca in Svizzera ed emigra nel 1850 negli Stati Uniti sta-

Cartoline Natalizie, Louis Prang & Co, ca 1870.

bilendosi a Boston, Massachusetts. Nel 1860 crea la ” L. Prang and Company” e inizia a lavorare sulla stampa a colori di pubblicità e altre forme di materiali aziendali. Nel 1864, Prang va in Europa per conoscere la litografia tedesca allora all’avanguardia, tornando l’anno successivo inizia a creare riproduzioni di alta qualità delle principali opere d’arte.

Muore di pleuropolmonite il 15 giugno 1909, al Glendale Sanitarium di Los Angeles. È sepolto nel Forest Hills Cemetery nel Massachusetts.

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Cartoline per festività , Louis Prang & Co, ca 1870

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Boston Prize Card, Louis Prang & Co, 1882.

Paradise Flycatcher, Louis Prang & Co, 1885.

RIELABORAZIONE

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Prang’s Valentine Cards, Louis Prang & Co, ca 1883.

Ray-Ban di cuori, Sara Bianchi, 2020.

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RIELABORAZIONE

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Apollo und Daphne, Liebig Sammler Karte 1932.

Save your Wiill to play!, Lisa Bramandi, 2020.

RIELABORAZIONE

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Cartolina di Natale, Louis Prang & Co., 1888.

Christmas with Nikon, Manuela Agus, 2020.

RIVOLUZIONATO a cura di Manuela Agus

.02 DECORARE

Verso un mondo dove l’artigianato si scontra contro la produzione industriale

INTRODUZIONE .02 | DECORARE

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La prima epoca in cui ci inoltriamo è l’età Vittoriana, prima epoca sulla “cultura di massa.” Il ruolo della nobiltà come promotrice di cultura e committenza è finito e, complice l’avvento della stampa a basso costo, negli anni Trenta e Quaranta del 19° secolo assistiamo ad un nuovo impulso di diffusione di una cultura comune. Drammatici eventi passati diventano il soggetto dei quadri della Royal Academy e delle illustrazioni di libri e riviste.

Il secondo periodo che attraversiamo è costituito dal movimento dell’ Arts And Crafts, che nasce a fine ‘800 e si espande rapidamente in tutte le così dette “arti applicate”.

Esso considera l’artigianato come espressione del lavoro dell’uomo e dei suoi bisogni, ma soprattutto come valore durevole nel tempo e tende a disprezzare i pessimi prodotti, la bassa qualità dei materiali e il miscuglio confuso di stili distribuiti dalla produzione industriale.

Infine parleremo dell’Art Nouveau, Movimento artistico che, con declinazioni

diverse, si diffonde in Europa e negli Stati Uniti tra il 1890 e il 1910 e che interessa in particolare le arti applicate e l’architettura e il design di interni.

Si inserisce nella più ampia corrente del modernismo per gli obiettivi che si pone nell’elaborazione di uno stile nuovo: superamento dell’eclettismo storico e della gerarchia delle arti; progettazione unitaria capace di riscattare lo scadimento e la degenerazione del gusto causati dal diffondersi dei processi produttivi industriali; diffusione di valori estetici in ogni tipo di prodotto, dalla carta da parati al gioiello, dall’illustrazione al mobilio.

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Per età vittoriana si intende comunemente il periodo della storia inglese compreso nel lungo regno della regina Vittoria del Regno Unito, cioè dal 20 giugno 1837 fino alla sua morte, avvenuta il 22 gennaio 1901. Quest’epoca segue l’era georgiana e precede l’età edoardiana e la sua seconda metà coin-

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classico. L’arte inoltre si spinge verso un recupero dell’immaginario medievale e dialoga con la nuova produzione industriale tra rifiuti e necessità.

La comparsa della fotografia, dimostrata per la prima volta alla Grande esposizione Universale del 1851 a Londra, dà la via a importanti cambiamenti nell’arte.

ETÀ VITTORIANA cide con la prima parte dell’era della Belle Époque dell’Europa continentale.

Ideologicamente, l’epoca vittoriana è testimone della resistenza al razionalismo ed è caratterizzata da un crescente interesse verso il romanticismo, il misticismo, verso i valori sociali e le arti.

Il fascino che le novità esercitano sull’età Vittoriana sfocia in un profondo interesse per i rapporti tra modernità e continuità culturale. L’architettura del Rinnovamento gotico (Gothic Revival) diviene durante questo periodo sempre più importante, fino alla cosiddetta Battaglia degli stili tra gli ideali del gotico e del

Dolce far niente, Auguste Toulmouche, 1846

Nel 1848 alcuni giovani artisti e letterati inglesi fondano una società a cui danno il nome di Confraternita dei Preraffaelliti. Il termine dichiara chiaramente le inclinazioni artistiche del gruppo, orientate verso la rinascita di uno stile basato sulla pittura italiana del Quattrocento, dunque sul gusto precedente l’avvento di Raffaello. La loro pittura è caratterizzata dal rifiuto di quel gusto classico e seicentesco, che ancora domina nella produzione artistica inglese della metà dell’Ottocento.

L’ anti-classicismo della Confraternita, il suo entusiasmo per ciò che è naturale, per il primitivo, spunta da un terreno preparato da John Ruskin che nei suoi volumi “Pittori moderni” (1846) critica gli artefici, le stilizzazioni ed i manierismi dell’arte europea dal Rinascimento in poi e cita come modello da seguire l’arte del contemporaneo William Turner.

Il pittore Ford Madox Brown, durante un viaggio in Italia, conosce i Nazareni, pittori anti-classicisti, che riaffermano il valore della linea e dell’uso dei colori crudi e distesi in modo uniforme.

59 Ford Madox Brown

Decide di seguire un approccio diretto alla realtà, senza schemi o modelli compositivi precostituiti, studiando soprattutto i giochi di luce e ombra. Come gli Impressionisti in Francia, Madox Brown dipinge “En Plein Air” scene di vita piccolo borghese e paesaggi naturali

(“Pomeriggio autunnale inglese”), ma si dedica anche a tematiche sociali quali il rapporto tra le diverse classi sociali, l’ immigrazioni, le differenze tra lavoro manuale e intellettuale.

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Ofelia, John Everett Millais, 1851

Uno dei suoi primi lavori è “L’adolescenza della Vergine Maria” (1849), un soggetto sacro ricco di elementi simbolici e ovviamente dipinto in stile quattrocentesco, ma con alcuni elementi gotici.

Questo quadro va visto insieme all’altra sua opera, “Ecce Ancilla domini” (1850).

John Everett Millais esordisce anch’esso con quadri a tema sacro, ma con minore fortuna.

Il dipinto “Cristo nella casa dei genitori”, giudicato dal Times come “disgustoso” viene però sostenuto da Ruskin, che in lui vede l’erede naturale del pittore paesaggista Turner e questo gli permette di affermarsi sulla scena artistica inglese grazie soprattutto ad opere di derivazione letteraria.

Cristo nella casa dei genitori, John Everett Millais, 1849

Il suo dipinto più famoso è senza dubbio “Ofelia”, opera in cui il tema shakespeariano si fonde in modo esemplare

con l’accurato studio naturalistico della vegetazione che fa da elogio funebre alla sfortunata amante di Amleto.

“Le nostre coste inglesi” (1852), di William H. Hunt, mostra un paesaggio tipicamente inglese ma dotato di un’estrema luminosità derivata dal fondo bianco umido che rende quasi trasparenti tutti gli altri colori. Questa innovazione tecnica conferisce la stessa importanza a tutti gli elementi presenti nel quadro.

Ciò è un fattore innovativo di chiara implicazione sociale che annulla la gerarchia artificiale cui devono sottostare i vari elementi adottata nell’arte.

Questa fedeltà alla natura, espressa tramite uno stile arcaico che ricorre a dettagli simbolici è tipica della prima fase dell’arte preraffaellita, denominata periodo gotico.

Quadro simbolo di questa tendenza è “La regina Ginevra” (1858) di William Morris. Tutto ciò che è rappresentato nella ricca stanza di Ginevra (tessuti, tappeti, oggetti d’arredamento) rimanda al gusto tipico delle Arts and Crafts, società fondata proprio da Morris e che unifica, appunto, le arti ed i mestieri.

La regina Ginevra William Morris,1834

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L’uomo e la sua arte devono essere profondamente radicati nella natura e nell’etica.

John Ruskin

OWEN JONES

Owen Jones nasce a Londra, il 15 febbraio 1809 e muore a Londra, il 19 aprile 1874. È architetto, disegnatore e scrittore inglese. Figlio di un noto antiquario e pellicciaio gallese, studia architettura alla Royal Academy, e agli esordi della sua carriera collabora con l’archittetto Lewis Vulliamy, prima di trasferirsi, nel 1832, in Europa (Francia, Italia, Grecia, Spagna), in Egitto e nel Medio Oriente.

In Grecia Jones incontra l’architetto

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tura è da citare, il suo progetto per il St James’s Hall. Egli si distingue con i suoi lavori a Parigi, al Museo di Sèvres e in Egitto (Il Cairo).

Crystal Palace, 1851

Alhambra di Granada, 1845

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Royal Academy

tedesco Gottfried Semper, noto per i suoi studi sulla policromia dell’architettura greca antica. Invece in Spagna, nel 1834, assieme all’architetto francese Jules Goury, approfondisce le sue conoscenze dell’architettura islamica, dopo aver effettuato studi decennali (1836-1845) sul complesso palaziale andaluso dedica il libro Plans, Elevations, Sections and Details of the Alhambra, all’Alhambra di Granada.

Successivamente riceve l’incarico di supervisore dei lavori per l’Esposizione Universale di Londra del 1851. In questo evento, come per tutta la sua carriera, Jones si distingue soprattutto per i disegni e le decorazioni, come evidenziano i suoi lavori sia al Crystal Palace sia per gli spazi espositivi.

L’architetto applica le sue teorie decorative anche nel settore tessile e nella produzione di tappeti. Come architet-

Nel libro “Grammar on Ornament” del 1856 Jones descrive gli elementi peculiari del suo stile, caratterizzati da una sintesi tra la cultura occidentale e quella araba, dal comune denominatore della geometria, dalla speranza dell’introduzione delle macchine nella produzione, dal superamento dell’eclettismo e del revivalismo, dall’astrazione nell’ornamento, dalla modellistica piana, dalla teoria del colore moderno e della cromolitografia.

Nel libro è presente anche una storia della decorazione nelle varie epoche e civiltà, da quella egizia a quella elisabettiana, da quella cinese a quella italiana.

I suoi lavori riscuotano un buon successo presso i suoi contemporanei. Collabora con numerose riviste, tra le quali il “Journal of Design and Manufacture” e con numerosi musei, tra i quali il South Kensington Museum.

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HENRI DE TOULOUSE-LAUTREC

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locali notturni (tra cui il Moulin Rouge) hanno contribuito a creare l’immaginario della Parigi fin de siècle.

e cammina con difficoltà. Segue irregolarmente gli studi che in buona parte fa in casa, ama molto i cavalli, ma non può cavalcare e le uniche cose che lo divertono sono il disegno e la pittura. Henri Lautrec ha solo diciannove anni quando apre il suo studio a Parigi, nel quartiere di Montmartre, noto per i bohémien e per la vivace vita notturna. Quasi tutte le sue opere sono ispirate a questo mondo e le sue scene nei caffè, nei bordelli e nei

Nonostante le sue opere suggeriscano spesso un senso di fresca spontaneità, sono frutto di una disciplinata applicazione al disegno.

Toulouse-Lautrec conduce una vita notoriamente dissoluta, ma è pur sempre un professionista dedito al lavoro che per lui è una questione di orgoglio e conserva i propri guadagni in un conto separato da quello su cui gli veniva versata la rendita familiare.

Mare, Toulouse-Lautrec, 1891 Il letto Toulouse-Lautrec, 1893 Ballerine, Toulouse-Lautrec, 1891

Henri Marie Raymond de Toulouse-Lautrec nasce il 24 novembre del 1864 ad Albi, nel palazzo medioevale della famiglia, le cui origini nobili risalgono fino a Carlo Magno. Molto cagionevole di salute, Henri soffre di picnodisostosi, una malattia ossea di natura ereditaria e subisce un arresto della crescita ossea. È alto circa 152 cm con la testa sproporzionatamente grande rispetto al corpo

La Goulue al Moulin Rouge, Toulouse-Lautrec, 1891

Edgar Degas è il suo pittore preferito e Toulouse-Lautrec attinge da lui, da Cézanne, Renoir, Manet e dalle stampe giapponesi, per creare le sue personali composizioni oblique, in cui la scena viene colta vividamente come da una rapida occhiata di traverso.

Tecnicamente anticonvenzionale, dipinge persino su cartone con pittura a olio molto leggera e spesso mischia tecniche abitualmente usate separatamente, come olio e pastelli.

Nel 1893 realizza la sua prima grande mostra individuale che ha giudizi positivi da parte della critica. Il pittore alloggia a volte per intere settimane nei bordelli, dipingendo le prostitute che si rivelano modelle ideali per lui, nella disinvoltura con cui vanno in giro nude o seminude. Rappresenta la loro vita senza alcun tentativo di edulcorarla, di fare della morale o del sentimentalismo.

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I suoi quadri sono pieni di calore e la sua opera è ricca di simpatia umana, persino di umorismo, anche se affiorano sentimenti di malinconia, disillusione e tenue disperazione.

Molti dei personaggi del cabaret, tra cui La Goulue, Yvette Guilbert, la ballerina Jane Avril, il proprietario di cabaret Aristide Bruant, Valentin le Désossé, sono resi immortali grazie ai quadri e ai suoi manifesti.

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Ballerine, Toulouse-Lautrec, 1891

Nei vent’anni di attività, con più di 600 dipinti, 350 litografie, 31 manifesti e 9 incisioni, Toulouse-Lautrec è universalmente riconosciuto come uno dei più geniali grafici della storia dell’arte, soprattutto nella litografia a colori.

Prostrato dall’alcolismo e dalla sifilide, si ammala gravemente nel 1899 e muore due anni dopo, all’età di trentasei anni.

Nel 1922 sua madre dona un’ampia raccolta delle sue opere al museo della sua città natale, Albi, che è rinominato Musée Toulouse-Lautrec.

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Prostitute francesi, Toulouse-Lautrec, 1891

Au Salon de la Rue des Moulins, Toulouse-Lautrec, 1895

L’Arts and Crafts nasce in Gran Bretagna a fine Ottocento, grazie a William Morris e si espande rapidamente in tutti i campi dell’arte applicata. Tale corrente

ARTS AND CRAFTS

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considera l’artigianato come espressione del lavoro dell’uomo e dei suoi bisogni, ma soprattutto come valore durevole nel tempo e tende a disprezzare i pessimi prodotti, la bassa qualità dei materiali e il miscuglio confuso di stili rappresentati dalla produzione industriale. Le radici di pensiero di questo movimento si sviluppano dalle considerazioni di Augustus Pugin sull’enfatizzazione dello stile gotico, quale unico stile che contiene i principi della cristianità e, di conseguenza, della purezza e dell’onestà, incapace di nascondere la struttura.

Seguace di Pugin fu John Ruskin, il quale afferma che il nuovo stile deve nascere sulle orme del lavoro medievale, caratterizzato dalla semplicità del lavoro dell’uomo e pertanto concettualmen-

William Morris

te in contrapposizione alla freddezza dell’industria. È proprio Ruskin a contagiare William Morris con questa idea, mentre quest’ultimo segue le lezioni di Ruskin ad Oxford nel 1851. Qui entra in contatto con John Bourne, il quale presenta a Morris, Dante Gabriel Rossetti, esponente dei Preraffaelliti. Morris segue così prima la lezione di Ruskin, poi si fa contagiare dai Preraffaelliti ed in seguito ne fa una sintesi.

Il lavoro che Morris propone si basa sulle orme delle antiche corporazioni medievali.

Il Medioevo viene visto come un periodo positivo, con una società più coesa e quindi modello anti- industriale.

La sua produzione di tappeti, tessuti, mobili, metalli, quindi, nasce come anti-industriale, e con una forte componente collaborativa (Morris disegna e ri-progetta mobili, li dipinge, lo stesso Morris crea decorazioni geometriche bidimensionali che hanno la caratteristica di essere riprodotte serialmente in quanto sono standardizzate e codificate); tuttavia pone le basi dei principi del design moderno, perché è una

John Ruskin

69 Tappezzeria, William Morris, 1851 Sedia, William Morris, 1851

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produzione eclettica, ariosa, molto più moderna dell’industria del tempo; nonostante questo, è destinata a fallire per i suoi costi elevati e per l’impossibilità di distribuire i suoi prodotti ai vari strati sociali. Morris crea una società nel 1861 denominata Morris, Marshall & Co. che nasce dalla passata collaborazione iniziata per arredare la Red House, casa che William Morris si fa costruire da Philip Webb. Questa azienda usa le “macchine” industriali ma predomina la concezione iniziale, ovvero: non è l’uomo al

dal produttore, causato dalla struttura socio-economica. Il più importante esempio di questo stile fuori dal territorio britannico è Casa Cuseni a Taormina considerata dal Victoria and Albert Museum di Londra come uno dei massimi capolavori al pari della madrepatria.

Non è l’uomo al servizio della macchina, ma la macchina che deve essere al servizio dell’uomo.

Arts And Crafts

Red House, 1859

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Tappezzeria, William Morris, 1852

servizio della macchina, ma la macchina che deve essere al servizio dell’uomo; e così i prodotti dovranno essere progettati per essere altamente qualitativi per l’uomo, non per essere semplicemente più facilmente realizzabili da una macchina. Morris condivide con Ruskin, i principi fondamentali dell’analisi sulla degenerazione dei gusti, ed entrambi lo imputano al forte condizionamento subìto dal consumatore, dall’artista e

Casa Cuseni, 1900

WILLIAM MORRIS

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William Morris nasce nel marzo 1834 a Elm House, Walthamstow, nei dintorni di Londra in una famiglia benestante. A suo malgrado, può essere considerato il padre del Disegno Industriale. Sebbene fortemente ostile al lavoro in serie, è tra i primi a disegnare motivi decorativi per artigiani e professionisti. Tra i lavori più noti, c’è la decorazione della Oxford Union Library tramite pannelli, tappezzerie ed affreschi a soggetto medioevale.

dall’infanzia un attaccamento romantico ai boschi e ai giardini, ai fiori e agli uccelli che insieme al suo interesse per il medievalismo, ricorrono spesso in seguito nella sua arte e nella sua poetica per il resto della sua vita.

Frequenta il Marlborough College e l’Università di Oxford, dove conosce il pensiero di John Ruskin e dove incontra Dante Gabriel Rossetti, Edward Burne-Jones, Ford Madox Brown e Philip Webb.

Oxford Union Library, 1856

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Foresta di Epping

Morris ha un’infanzia felice. Dalla tenera età, come molti giovani signori del tempo, nutre una grande passione per tutto ciò che è medievale dedicandosi alle letture del genere sin da piccolo. Ricevuti in dono dal padre un pony e un’armatura in miniatura, nel personaggio di un piccolo cavaliere errante, parte per lunghe ricerche nelle profondità della foresta di Epping. Bambino solitario, vicino solo a sua sorella Emma, nutre

Nel 1859 sposa Jane Burden scoperta da Dante Gabriel Rossetti che colpito dalla sua bellezza le chiede di posare per alcuni dipinti, diventando nota come la modella preferita dai preraffaelliti, confraternita fondata da Morris con gli amici dell’università.

Della generale dottrina estetica, Morris abbraccia soprattutto il rifiuto dell’ingerenza industriale nella decorazione e nell’architettura, caldeggiando il ritorno dell’artigianato e del lavoro manuale per ri- conferire agli artigiani il rango di artisti. Secondo la sua filosofia, l’arte deve essere accessibile a tutti, elaborata a mano e non deve trovare classificazioni

Strawberry Thief, William Morris, 1883

Jane Burden

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Nel 1861, Morris fonda l’azienda Morris, Marshall, Faulkner & Co. con Rossetti, Burne-Jones, Madox Brown e Webb.

Per tutta la vita lavora ai progetti di questa azienda, che cambia nome con l’avvicendarsi dei soci. Incoraggia la rinascita dell’artigianato nelle sue forme più tradizionali come la pittura su vetro e su carta da parati. I motivi da lui creati sono tuttora un marchio concesso, su licenza, alla Sanderson and Sons and Liberty di Londra.

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Al contrario della produzione in serie e della rivoluzione industriale, Morris promuove l’utilizzo di particolari tecniche, sperimentate personalmente. Per le sue stoffe usa tinte naturali e procedimenti scoperti in un libro del 16° secolo.

Tra le sue più belle carte da parati, spicca “Margherite”, realizzata nel 1864 e tratta principalmente da motivi rinvenuti in erbari medievali. Unisce così l’amo-

re per il passato e l’amore per la natura, entrambi in netta contrapposizione con la rivoluzione industriale.

Tappezzeria Greenery, William Morris 1881

ARTHUR MACKMURDO

di merito. In altre parole, l’arte applicata deve godere della stessa dignità di cui godono pittura e scultura.

Arthur Heygate Mackmurdo nasce a Londra, il 12 dicembre 1851 e muore a Wickham Bishops, il 15 marzo 1942. Architetto e designer inglese, precursore del Movimento Moderno è importante per il primo Art Nouveau inglese.

Studia alla Ruskin School of Drawing and Fine Art di Oxford per poi fare un viaggia con John Ruskin in Italia, dopo di che inizia la sua carriera nello studio dell’architetto James Brooks.

Sin da giovane partecipa alle conferenze di John Ruskin, scrittore e teorico dell’arte, il cui incontro si rivela fondamentale.

Ruskin, in base alla sua teoria generale, afferma che l’uomo e la sua arte devono essere profondamente radicati nella natura e nell’etica, inoltre apprezza soprattutto il carattere corale della produzione artistica ed architettonica gotica, nella quale l’operaio ha un ampio margine di creatività, consentito dall’irregolarità dell’opera complessiva, definendola come il migliore ordine architettonico.

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Inoltre per Ruskin, ogni motivo ornamentale deve essere ispirato dalla natura, una natura fortemente stilizzata.

Infine reputa importante la funzione sociale dell’arte e sostiene la necessità di creare, come nel Medioevo, corporazioni di artisti. In questo modo, Mackmurdo, sempre più convinto della validità di queste teorie e forte dei consigli di William Morris, considerato da molti il padre del Movimento Moderno, fonda nel 1882 il ‘Century Guild’, un’associazione di pittori, scultori, smaltisti e artigiani del metallo, che espongono i loro prodotti a Liverpool nel 1886.

Ancora giovane Mackmurdo si dedica attivamente al disegno per stoffe, arazzi, lavori in metallo e mobili ispirandosi al linguaggio preraffaellita, ma aderente al clima delle Arts and Crafts di Morris, caratterizzate per l’eleganza della decorazione floreale dal ritmo fluido e ondulato. Risale al 1883 il disegno della copertina di un libro sulle chiese londinesi di Wren, ritenuto un anticipatore essenziale della formazione dell’Art Nouveau. Dall’anno seguente fonda

Morris. Gli oggetti creati, si caratterizzarono per un approccio innovativo, per la semplicità delle forme, le linee addolcite grazie agli elementi naturali o organici, il design rigoroso ed essenziale. Mackmurdo si dimostra molto influente sia in Inghilterra sia nell’Europa continentale.

Wren’s City Churches, Arthur Mackmurdo, 1883

77 Sedia, Arthur Mackmurdo, 1906

e cura la rivista “The Hobby Horse”.

Dopo il 1904 si dedica prevalentemente a studi socioeconomici.

Come architetto si distingue per i numerosi progetti interessanti, anche se non tutti sono stati realizzati. Le più caratteristiche sono le case a West Kensington e ad Enfield. Le sue architetture per le case private, anticipano per la struttura, l’eleganza e la semplicità, gli studi e i progetti di Charles Francis Annesley Voysey, anche lui seguace delle idee del

Decorazione, Arthur Mackmurdo, 1904

RIELABORAZIONE

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Kelmscott press, William Morris, 1895

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Nuove Prospettive, Sara Bianchi, 2020

L’Art Nouveau è un movimento artistico-filosofico che si esprime prevalentemente tra la fine dell’Ottocento ed il primo Novecento. L’espressione «Art nouveau» è utilizzata per la prima volta da Edmond Picard nel 1894, nella rivista belga “L’Art Moderne” per qualificare la produzione artistica di Henry van de Velde. In Italia è noto anche come stile floreale o stile Liberty.

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ART NOUVEAU

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Il nome “Stile Liberty”, deriva dai magazzini londinesi di Arthur Liberty, che espongono oggetti d’arte e tessuti disegnati in stile Art Nouveau.

Nato in polemica reazione all’accademismo e all’eclettismo ottocenteschi, il movimento respinge ogni ricorso agli stili del passato per ispirarsi direttamente alla natura: da ciò derivano l’accentuato linearismo, il carattere metamorfico, l’eleganza decorativa che lo caratterizza. In architettura, il vetro, il legno, il mosaico e il ferro battuto si fon-

Stuhl, Henri Van de Velde, 1900

dono per creare delle sinuosità morbide e seducenti, stilizzando elementi delle correnti artistiche precedenti e ampliando il repertorio dei soggetti riprodotti.

Questo stile è una vera e propria rivoluzione estetica, rinnova le forme dell’architettura, della comunicazione grafica e pubblicitaria, della produzione di mobili ed oggetti per la vita quotidiana, e della pittura. Colore invasivo, adorato dagli artisti dell’Art Nouveau è l’oro.

Nel corso dell’Ottocento, con la produzione e crescita degli oggetti di consumo, conseguente alla diffusione della produzione industriale, il manifesto è usato per finalità informative-commerciali.

Ha originariamente lo scopo di divulgare le notizie nel più breve tempo possibile. Trova ampio uso nel corso della rivoluzione francese, e lo si può considerare una evoluzione della “scritta sui muri” sempre presente nella storia dell’umanità.

Alla fine del 19° secolo, il manifesto passa da ampie descrizioni testuali alle immagini, le quali assumono sempre più

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Architettura Art Nouveau, 1900

un ruolo determinante. L’attuale uso del manifesto pubblicitario si fonda prevalentemente e quasi esclusivamente sulle immagini, riservando al testo un ruolo secondario utile a definire e comunicare in poche frasi, una singola frase, poche parole o una singola parola.

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L’arte deve essere accessibile a tutti, elaborata a mano e non deve trovare classificazioni di merito.

William Morris

La fase innovativa del manifesto, avviene proprio in questo periodo, dove l’arte grafica illustra con gusto il prodotto commerciale, creando un legame tra bellezza e vendita, tra arte e pubblicità, con i vantaggi e gli svantaggi del caso. Il manifesto viene portato dal movimento Liberty al rango di arte.

Salon Des Cent, Alfons Mucha, 1897

83 Job Cigarettes, Alfons Mucha, 1896

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Zodiac, Alfons Mucha, 1897 Monaco Monte Carlo, Alfons Mucha, 1897

JULES CHÉRET

Jules Chéret Nasce a Parigi nel 1836 in una famiglia di artigiani. Non può permettersi di pagare la scuola e la sua istruzione si conclude a soli tredici anni.

Suo padre, tipografo, decide di mandare il figlio a fare un apprendistato con un litografo per tre anni.

Nel 1853 si iscrive all’École National de Dessin, dove apprende l’arte di disegnare a memoria e approfondisce lo studio delle figure in movimento.

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Loie Fuller, Jules Chèret 1908

Pantomimes Lumineuses, Jules Chèret, 1888

Acquisisce inoltre l’abitudine a disegnare sempre e comunque. Nel 1854 decide di lasciare Parigi per andare a Londra nella speranza di trovare un modo più redditizio per dare avvio concreto alla sua carriera di artista.

Dopo un breve periodo di tempo, in cui lavora per il Maple Furniture Company, Chéret, frustrato, torna a Parigi senza più soldi. Questo non gli impedisce di andare avanti ed è proprio questa convinzione che lo porta a conoscere il celebre profumiere francese Eugène Rimmel. Grazie a Rimmel realizza molte delle etichette dei prodotti della House of Rimmel e, al suo seguito, viaggia in molti paesi: Tunisia, Malta e soprattutto Italia.

Grazie a questo lavoro, una volta di ritorno a Parigi apre finalmente la sua stamperia. Così facendo contribuisce a trasformare con la sua immensa produzione di manifesti a colori il paesaggio urbano, facendo scendere l’arte nella strada e nella piazza.

In tutta la sua carriera Jules Chéret realizza più di 1000 manifesti guadagnandosi inevitabilmente il titolo di “Padre

Quinquina Dubonnet, Jules Chèret, 1854

del poster” e rivoluzionando il settore della pubblicità nel design e nelle tecniche di stampa. É tra i primi a comprendere l’importanza dell’immagine a scapito del testo. Un medium come il manifesto, che deve essere appeso in luoghi di passaggio, ha di solito pochissimo tempo a disposizione per essere letto e deve quindi

catturare lo sguardo con un’immagine.

L’artista riesce a portare la tecnica della litografia da un livello artigianale ad uno artistico, in particolare è tra i primi a puntare sulla cromolitografia, e quindi sul colore, come tecnica per realizzare i propri lavori.

I protagonisti dei suoi manifesti sono le figure femminili, le cosiddette Chérettes (proprio perché caratteristiche di Cherét), che possono essere considerate le antenate delle attuali modelle della pubblicità. Ormai sessantenne, abbandona poco a poco la pubblicità per dedicarsi alla pittura e al disegno, intraprendendo l’attività di decoratore.

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EUGÈNE SAMUEL GRASSET

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da questo periodo in avanti i suoi sforzi si rivolgono particolarmente alla grafica, realizzando cartelloni (come per le rappresentazioni dell’attrice Sarah Bernhardt) e illustrazioni per libri.

La raccolta di racconti “Le Petit Nab” (1882), le “Histoire des quatre fils Aymon” (1883 - sotto), “Balthasar” (1909) di Anatole France da lui illustrati rivelano l’influenza dell’arte celtica, insieme all’ascendenza da Viollet-le-Duc, il faGirl in the garden, E. Grasset, 1909

Eugène Samuel Grasset è uno dei primi esponenti di rilievo della stagione Art Nouveau, in qualità di pittore, architetto, decoratore e teorico.

Nato a Losanna, il 25 maggio 1845, si forma presso la scuola media della città natale; dopo un periodo di lavoro con il padre (1857), prosegue i propri studi di architettura al Politecnico di Zurigo, dove è allievo di Gottfried Semper.

Nel 1871, il giovane da una svolta alla propria carriera, trasferendosi a Parigi:

scino dell’Oriente e la sua produzione artistica (giapponismo, assai diffuso all’epoca), l’amore per Gustave Doré, i pre-raffaeliti e le illustrazioni medievali; ma esibiscono anche una spiccata curiosità scientifica ed il gusto per il dettaglio; il successo ottenuto con le prove parigine porta l’artista ad occuparsi di tutto: tappezzerie, cartoni per vetrate, ceramiche, mosaici, gioielli per la Maison dei fratelli Henri e Paul Vever, partiture musicali per Jules Massenet, l’insegna in ferro del cabaret Chat-Noir.

Fra i committenti, le Edizioni Larousse (per le quali realizza il famoso emblema “La Semeuse”), le poste francesi e svizzere (disegnandone i francobolli), i grandi magazzini La Belle Jardinière e Au Bon Marché (cataloghi e calendari), riviste francesi, come “L’Estampe et l’affiche” e “Art et Décoration”, e americane come “Harper’s”.

Nel 1894 La Plume sponsorizza un’esibizione dei suoi lavori al “Salon des Cent” e, nel 1906, egli si esibisce ancora al “Salon des Artistes Décorateurs”.

Il contributo all’illustrazione e alla deco-

Le Petit Nab, 1909

D’ Histoire De France a Imprimer, E. Grasset, 1909

87 razione del libro da a Grasset un ruolo simile a quello che ebbe William Crane in Inghilterra, quanto ad innovazione ed anticipazione dei tempi. Una sintesi delle sue teorie sul disegno è espressa in raccolte di modelli, pubblicati con i titoli “La Plante et ses applications ornementales” (1896) e “Méthode de composition ornementale” (1905).

Nel 1898, Grasset progetta per la fonderia Deberny & Peignot anche un proprio carattere tipografico di tipo cal-

ALFONS MUCHA

ligrafico, che ancora oggi porta il suo nome (il “Grasset”, appunto).

L’ascendenza che esercita sugli artisti della stagione Art Nouveau, come Alphons Mucha, ne fa uno dei precursori e primi esponenti riconosciuti dalla storia dell’arte.

dove lavora per un’importante compagnia di design teatrale, accrescendo le sue conoscenze tecniche e artistiche.

Quando un incendio distrugge le sue possibilità di lavoro, nel 1881, ritorna in Moravia, dove svolge in proprio l’attività di decoratore e di ritrattista. È allora che il conte Karl Khuen Belasi di Mikulov si interessa al suo lavoro e lo assume per decorare con degli affreschi i suoi castelli di Emmahof (in Moravia) e di Gandegg (ad Appiano nel Tirolo). Il

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Caratteri decorati, E. Grasset

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Calendar, E. Grasset, 1896

Alfons Maria Mucha nasce a Ivančice, in Moravia (una regione dell’odierna Repubblica Ceca, allora facente parte dell’Impero austro-ungarico). Il suo talento come architetto, designer e hair stylist gli permette di mantenersi gli studi fino al liceo, che frequenta a Brno (allora capitale della Moravia), anche se il primo interesse a manifestarsi fin dall’infanzia è quello per il disegno.

In Moravia lavora come pittore decorativo principalmente per scenografie teatrali; nel 1879 si trasferisce a Vienna,

Frutta, Alfons Mucha, 1897

conte è talmente impressionato dal lavoro di Mucha che decide di sostenerlo economicamente e grazie a questo sussidio Mucha si iscrive all’Accademia delle belle arti di Monaco di Baviera.

Dopo un periodo di autodidatta, nel 1887, si trasferisce a Parigi, dove continua i suoi studi presso l’Académie Julian e presso l’Academie Colarossi, divenen-

Volto femminile, Alfons Mucha,1897

Le Quattro Stagioni, Alfons Mucha, 1897

nelli decorativi, cartelloni pubblicitari, manifesti teatrali, copertine per riviste, calendari, illustrazioni librarie e così via.

I suoi lavori spesso raffigurano giovani donne in abiti dal taglio neoclassico, circondate da motivi floreali che formano cornici geometriche attorno alla figura.

Il suo stile viene subito imitato, nell’arte e nella pubblicità, con esiti raramente all’altezza dell’originale.

Mucha vive negli Stati Uniti d’America dal 1906 al 1910, successivamente ritor-

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Stelle, Alfons Mucha, 1902

do uno dei più accreditati pittori dell’Art Nouveau, della quale sviluppa la caratteristica fondamentale, rendendo valido sul piano estetico anche ciò che appartiene all’uso giornaliero. Nel 1894 viene incaricato di realizzare un poster per pubblicizzare “Gismonda”, un’opera teatrale di Victor Sardou con protagonista Sarah Bernhardt, La finezza del disegno convince Sarah Bernhardt a proporre a Mucha un contratto della durata di 6 anni. La produzione di Mucha comprende moltissime opere. Fanno parte della sua copiosa produzione pan-

Lottery of National Unity, Alfons Mucha, 1912

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L’Epopea Slava viene completata e presentata a Praga nel 1928. Alfons Mucha muore a Praga, il 14 luglio 1939, viene sepolto nel cimitero di Vysehrad.

Quando la Cecoslovacchia, dopo la Prima guerra mondiale, ottiene l’indipendenza, Mucha disegna francobolli, banconote e altri documenti governativi per la neonata nazione.

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Mucha si unisce alla Massoneria nel 1898 a Parigi; l’influenza del simbolismo massonico si percepisce in molte sue opere ed in particolar modo nel volume illustrato “Pater”. Dopo la nascita della Cecoslovacchia nel 1918, Mucha ha un ruolo decisivo nella fondazione della prima Loggia ceca, la Komensky di Praga, e diventa anche Gran Maestro della Gran Loggia della Cecoslovacchia.

Crea molti disegni a tema strettamente massonico, comprese patenti, carte intestate e medaglie. Per molti anni si dedica al completamento di quello che è considerato il suo capolavoro, l’Epopea slava, una serie di grandi dipinti che descrivono la storia del popolo slavo.

Au Quartier Latin, Alfons Mucha 1897

WILLIAM BRADLEY

na in Europa e si stabilisce a Praga. Cura le decorazioni del Teatro delle Belle Arti e di altri importanti palazzi praghesi.

gan, luogo in cui si trasferisce con sua madre per stare con la famiglia, dopo la morte del padre. A 17 anni va a Chicago, dove ottiene un paio di brevi lavori come incisore di legno e tipografo, prima di dedicarsi alla vita da freelance graphic designer. Si trasferisce di nuovo in Massachusetts e fonda il Wayside Press, dove lavora come illustratore, editore, tipografo, designer, e manager per un periodico chiamato “Bradley: il suo libro”. Il periodico contiene raccolVictor Bicycles, William Bradley, 1893

William Henry Bradley è un americano in stile Liberty, illustratore e artista. Soprannominato il “Dean of American Designers” di “Il Sabato Evening Post”, è l’artista americano più pagato del 20esimo secolo. Nato il 10 luglio 1868 a Boston, Massachusetts, all’età di 12 anni ottiene un lavoro come apprendista per un giornale settimanale, “l’agitatore di ferro”, più tardi conosciuta come “il minerale di ferro”, a Ishpeming, in Michi-

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tore per Weekly di Collier.

Lavora brevemente per la creazione di libri per bambini, poi per la divisione cinematografica William Randolph Hearst ‘s, come art director supervisore e assistente alla regia dei film in serie dei fratelli Wharton “Beatrice Fairfax” ( 1916 ) e “Patria” ( 1917 ). Dopo quest’ultimo, fonda la sua casa di produzione, Dramafilms, e continua a scrivere, produrre e dirigere i suoi film, tra cui “Frutto amaro “( 1920 ), “Moongold” ( 1920 ) e “The Tame Cat” ( 1921 ).

Chap-Book, William Bradley, 1890

The Echo, William Bradley, 1895

Nel 1954, The Typophiles pubblica un libro di memorie sulla vita di Bradley chiamato “Will Bradley: His Chap Book”. Lo stesso anno, vince la medaglia AIGA , il più alto onore per i grafici.

Vive come prolifico artista e designer fino alla morte a 94 anni.

HENRY VAN DE VELDE

te di poesie, racconti e schizzi, e il suo lavoro ha ricevuto una calda accoglienza. Raggiunge il successo finanziario, ma lo stress di gestire tanti progetti in una sola volta danneggia la sua salute, e crolla all’età di 28 anni. Recupera in fretta, ma è costretto ad abbandonare il Wayside Press.

In seguito lavora come consulente per l’ American Type Founders e come redat-

Henry van de Velde è un architetto, pittore e progettista di mobili belga, esponente del movimento Art Nouveau. Una delle figure di maggiore spicco che influenza in modo determinante l’architettura e il design dell’Europa del 20° secolo.

Inizialmente studia pittura, ma la sua ammirazione per John Ruskin e William Morris, orientano la sua specializzazione nel mondo dell’architettura, diventando infatti un importante architetto e desi-

95 Scrivania, H. van de Velde

gner d’interni, considerato insieme a Victor Horta, uno dei fondatori dell’Art Nouveau, nonché uno degli esponenti principali del movimento.

Ispirandosi al già noto movimento inglese Arts and Crafts di William Morris, si oppone fortemente allo stile dominante del revival vittoriano ed al design industriale, è tra i protagonisti della ricerca di uno stile “moderno”, conforme alla mentalità e alla sensibilità del tempo. La costruzione della propria casa, Bloemenwerf, a Uccle vicino a Bruxel-

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Precursore e teorico del modernismo e funzionalismo, Henry van de Velde, elabora uno stile personale ma allo

Casa Schulenburg Gera, H. van de Velde, 1915

Architettura H. van de Velde, 1915

Victor Horta è architetto e decoratore belga nato a Gand nel 1861 e morto a Bruxelles nel 1947. Inizia gli studi all’Accademia di Gand, giovanissimo a Parigi completa successivamente gli studi all’Accademia di Bruxelles. Allievo e collaboratore dell’architetto A. Balat, risente del suo influsso nelle prime realizzazioni, asciutte varianti del tradizionale stile neo-rinascimentale. Rilevato lo studio alla morte di Balat, lo stile di Horta appare totalmente nuovo e comCasa Tassel, Victor Horta,1892

Sedia, H. van de Velde

Peter Behren’s House, 1901

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VICTOR HORTA

les (1895) segna l’inizio della sua nuova carriera, egli ne disegna infatti anche i mobili e tutti i particolari dell’arredo interno e della decorazione. Trasferitosi in Germania, nel 1902 viene chiamato a Weimar, per dirigere una Scuola d’arte e mestieri dal 1906 al 1914 che in seguito diventa il famoso Bauhaus, il centro del Movimento Moderno in Germania.

Orologio in bronzo, Victor Horta, 1893

stesso tempo contemporaneo all’interno delle sue opere. É conosciuto come il primo esponente dell’Art Nouveau a lavorare in uno stile astratto e che ha sviluppato il concetto di unione di forma e funzione.

piutamente originale nella casa Tassel a Bruxelles (1892-93), il primo coerente capolavoro di un’architettura capace di enunciare tutti i principali temi dell’art nouveau: piena libertà di articolazione spaziale e planimetrica, organica rispondenza tra interno ed esterno, coerenza assoluta nel rapporto tra elementi strutturali e decorativi, legati a uno stesso dominante ritmo lineare, accordo perfetto dei diversi materiali (ferro, vetro,

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mosaico, legno) nella struttura e nell’arredo. Nelle opere successive, sempre a Bruxelles (casa Eetvelde, 1895-96; casa e atelier Horta in rue Américaine, 18981900), Horta da vita, con inesauribile fantasia, alla versione più libera, dinamica e vibrante dell’architettura art nouveau, mantenendo sempre un prodigioso equilibrio tra lo slancio decorativo e la necessità strutturale (esemplare in tal senso l’uso delle strutture in ferro a vista nelle facciate volutamente asimmetriche). Il punto più alto di questa tendenza resta la casa Solvay (Bruxelles, 1895-1900), anche per la globalità di progettazione, comprendente decorazioni, arredi, mobili. I mobili di Horta (come quelli per la villa Carpentier a Renaix, ora a Bruxelles, Museo Horta), sono fatti di materiali di pregio ma non sono lussuosi, in linea originale ma senza ostentazione, assumono un valore di simbolo dell’agiatezza della classe borghese cui sono destinati.

Gli interessi di Horta sono più vasti, orientati verso la ricerca di una sintesi sempre più logica dei problemi strut-

turali, sintesi che si attua nella Maison du Peuple (1896-99, ora demolita), per il Sindacato dei lavoratori socialisti: in essa, all’estro decorativo dei palazzi privati si contrappone un’estrema castigatezza formale, che sottolinea l’audacia strutturale del vasto prospetto ondulato con strutture in ferro a vista e grandi aperture vetrate, e delle soluzioni spaziali interne, con la geniale soluzione della sala per conferenze, dove le scattanti strutture in ferro riassumono, nella loro stessa funzione portante, il valore di eleganti elementi decorativi.

Casa Eetvelde, Victor Horta, 1896

In altre opere (grandi magazzini “à l’Innovation”, Bruxelles, 1901; magazzini Waucquez, Bruxelles, 1903-05) la tendenza funzionalista della Maison du Peuple si accentua ulteriormente, con una progressiva semplificazione linguistica, testimoniante il graduale distacco di Horta dai principi dell’art nouveau. Questo processo appare già sostanzialmente compiuto nel palazzo progettato nel 1906 per P. Wolfers: la forza creativa dell’artista si è ormai esaurita, parallelamente al rapido declino dell’art nouveau in Europa.

Maison du Peuple, Victor Horta, 1896

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RIELABORAZIONE

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Theophile Roederer e Co., Alfons Mucha, 1864

Champ - Nikon, Manuela Agus 2020

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RIELABORAZIONE

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Salon des Cent, Eugene Grasset, 1894

Salon iPhone, Samanta Sediek, 2020

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RIELABORAZIONE

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The Trappistine, Alfons Mucha, 1897

The Nintenstine, Lisa Bramandi, 2020

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RIELABORAZIONE

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Moon and Stars, Alfons Mucha, 1902

Nintendo Stars, Lisa Bramandi, 2020

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RIELABORAZIONE

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Chap - Book, William Bradley, 1895

Chap - Nikon, Manuela Agus, 2020

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RIELABORAZIONE

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Lance Parfum Rodo, Alfons Mucha, 1897

Stylo à bille Bic, Virginia Monteverdi, 2020

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RIELABORAZIONE

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Encre L.Marquet, Eugène Grasset, 1892

Bic Stylo, là mellieure de toutes les stylos, Virginia Monteverdi, 2020

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RIELABORAZIONE

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Pubblicità chocolat ideal, Alfons Mucha, 1902

Barbie Tinello, Giulia Corona, 2020

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DECORATO a cura di Lisa Bramandi

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Dal Modernismo e Futurismo alla propaganda, passando per Dadaismo e Plakatstil

AVANGUARDIE VISIONARIE

Dissacrare, azzardare e stupire: è rompendo gli schemi e guardando verso il futuro che si sviluppano le avanguardie del primo novecento.

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Forze di paesaggio, cocomero.

Giacomo Balla, 1917

Il termine avanguardia ha le sue origini nel mondo militare e indica quel nucleo di soldati spericolati e arditi che in battaglia va più avanti del resto dell’esercito. In campo letterario e artistico assume la valenza di sperimentazione. La rottura con il vecchio modo di vedere l’arte è la pietra miliare su cui si fonda questa filosofia. Ed è così che le avanguardie si oppongono al concetto di arte come rappresentazione della real-

tà, tipica del naturalismo, proponendo una nuova visione dell’arte intesa come emanazione dell’inconscio. La creazione artistica inizia ad essere vista non più solo come creazione fine a sé stessa ma anche e soprattutto come strumento politico di rivolta e affermazione rivoluzionaria. Le correnti avanguardiste intrecciano ogni forma d’arte, dalla pittura alla letteratura, al cinema, addirittura anche la cucina, creando così un nuovo linguaggio che crea e distrugge le vecchie convinzioni, con lo sguardo rivolto al progresso.

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MODERNISMO

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Il modernismo è un movimento che nasce tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. É un’epoca di grandi cambiamenti culturali e tecnologici in cui si vede crescere la convinzione che i vecchi metodi di intendere arte, architettura, letteratura, filosofia e scienze stiano diventando obsoleti e incapaci a rimanere al passo con il cambiamento. É proprio a causa di questa lentezza di adattamento che la filosofia modernista vede il bisogno di cambiare, di rinnovare.

“Make it new!” diceva Ezra Pound. E proprio nel “nuovo” basa le sue fondamenta il modernismo. Si sviluppano nuovi modi di approcciare l’arte, in tutte le sue forme, attraverso la revisione, la riscrittura e la parodia del passato. Viene rigettata completamente l’ideologia del realismo, ponendo l’arte su un piano più introspettivo iniziando a indagare l’interno dell’uomo e non più l’esterno.

In linea con le crescenti convinzioni, nello stesso periodo vediamo anche la nascita della psicanalisi.

Astrattismo e cubismo si propongono di rappresentare non più il reale, ma l’arte come indagine interna a sé stessa e alle sue regole.

Film und Foto, Poster per esibizione organizzata da Deutsche Werkbund, Willi Ruge, 1929

Il quartiere del Weissenhof, costruito a Stoccarda nel 1927 in occasione della seconda esposizione internazionale del Deutscher Werkbund Die Wohnung

Un altro aspetto importante della filosofia modernista è il pensiero progressista, che si propone di affermare il potere degli esseri umani di creare, migliorare e rimodellare il loro ambiente, grazie alla sperimentazione e alle rinnovate conoscenze scientifiche e tecnologiche. Il modernismo incoraggia la rielaborazione di ogni aspetto dell’esistenza in tutte le sue coniugazioni, dal commercio alla filosofia, eliminando tutto ciò che possa essere d’intralcio al progresso.

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DEUTSCHER WERKBUND

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Manifesto per l’esposizione di Colonia Deutesche Werkbund, 1914

La nascita del modernismo in Germania deve le sue origini all’istituzione del Deutscher Werkbund nel 1907, che in italiano significa letteralmente “La lega tedesca artigiani”.

Francobollo commemorativo per il centenario dell’esposizione tenutasi a Stoccarda nel 1924

La Werkbund rappresenta una tappa importante nello sviluppo dell’architettura moderna e del disegno industriale fino alla successiva fondazione del Bauhaus. Fondata dall’imprenditore Karl Schmidt e dal pastore protestante e politico liberale Friedrich Naumann, questa associazione si pone l’obiettivo di riportare la Germania al passo coi tempi sul campo dello sviluppo industriale, per essere competitiva con gli stati più avanzati, anche attraverso lo sviluppo urbano. “Vom Sofakissen zum Städtebau” è il motto dell’associazione: “dai cuscini per il sofà alla costruzione della città”.

dustriale e una nuova gestione per cui si cerca di coniugare le politiche aziendali con la qualità artigianale, la modalità e i tempi di produzione.

A differenza dell’Arts and Crafts, però, non punta esclusivamente alla produzione artigianale ma è favorevole anche al lavoro in serie.

Oltre ai temi architettonici, obiettivo fondamentale dell’associazione è anche il ripristino della comunicazione tra industria e artigianato. Viene proposta infatti una nuova cultura del lavoro in-

Il movimento rimane attivo fino al 1934, anno in cui viene soppresso dal regime nazista. Nel 1950 viene ricostituito, perdendo però gran parte dell’influenza e l’importanza di un tempo.

Poster per l’esibizione di Ausstellung Deutscher Werkbund, 1911

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PETER BEHRENS

Peter Behrens, nato ad Amburgo il 14 aprile 1868, è un artista, architetto, designer e grafico tedesco. Nella prima fase della sua carriera si colloca tra gli artisti radicali dell’epoca.

Si dedica a design, disegno di copertine per riviste, per poi successivamente interessarsi anche a grafica e tipografia, creando una nuova serie di caratteri tipografici conosciuti anche come “Scrittura Beherens”, come il Behrens Mediäval o il Behrens Antiqua.

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Poster for Allgemeine Elektricitäts Gesellschaft (AEG) Peter Behrens, 1912

Nel 1901 inizia la sua carriera di Architetto e realizza la sua prima casa, conosciuta come “casa Behrens Mediäval” creandone non solo la struttura ma anche ogni elemento di arredo.

Casa Behrens Peter Behrens, 1901

Più tardi nel 1907, inizia il suo lavoro per l’AEG (Allgemeine Elektricitäts Gesellschaft), azienda per cui l’anno seguente diventerà architetto e consulente artistico curandone gli aspetti più disparati: dal design della carta da lettere alla progettazione architettonica. Per questa azienda disegna il primo logotipo societario. Beherens inventa un nuovo approccio al design pubblicitario, in cui si delinea una identità visiva d’azienda e tutto il materiale pubblicitario e grafico ha una coerenza d’insieme: nasce così il concetto di “corporate identity”, di cui Behrens é senza dubbio il pioniere.

Poster for Allgemeine Elektricitäts Gesellschaft (AEG) Peter Behrens, 1910 Serie di poster realizzati per A.E.G. da Peter Behrens

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Nel corso della sua carriera, ed in particolare durante il passaggio dalla pittura al design e all’architettura, Behrens abbandona gradualmente il linguaggio classico per virare verso all’Espressionismo e, infine al Razionalismo con la sua ultima produzione.

RIELABORAZIONE

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Manifesto pubblicitario General Electric Company A.E.G,1910

Manifesto pubblicitario Rayban Sara Bianchi,2020

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Manifesto Pubblicitario A.E.G. Peter behrens,1910

Manifesto pubblicitario Valentino Lisa Gasparini,2020

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FUTURISMO

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Il futurismo si sviluppa in Italia nei primi del ‘900. Fondato da Tommaso Marinetti nel 1909, il movimento si organizza attraverso una serie di manifesti teorici che ne delineano le basi e interessano ogni campo, dalla politica alle arti. Il primo manifesto del Futurismo viene pubblicato da Marinetti nel 1909 sul giornale francese Le Figarò.

Gli elementi distintivi del movimento si possono riassumere in: • L’esaltazione della tecnica, della città industriale e delle rivoluzioni urbane.

• La celebrazione della forza giovanile, degli istinti, dell’amore per la guerra e l’aggressività, inspirandosi al furore critico negativo di Nietzsche.

• L’adozione di uno stile fatto di frasi brevi e concetti martellanti.

• La celebrazione della velocità e di tutto ciò che è considerato progresso tecnologico ed evoluzione.

Dinamismo di un cane al guinzaglio.

Giacomo Balla, 1912

“Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità.”

Il dinamismo di un ciclista.

Umberto Boccioni, 1913

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Filippo Tommaso Marinetti

Nella prima fase della storia del movimento la parola d’ordine è il verso libero. Il movimento si dirama in tutte le forme d’arte e si fa conoscere tramite le “serate futuriste”, spettacoli appositamente provocatori e irriverenti in cui si propaganda l’idea futurista e nel contempo e si punta apertamente a provocare il pubblico ottenendo spesso (volutamente) reazioni violente.

Manifesto della cucina Futurista.

Marietti e Fillia, 1931

Successivamente durante la vita del movimento verranno pubblicati altri documenti futuristi, come “Il Manifesto tecnico della letteratura futurista” (1912) e “Distruzione della sintassi. Immaginazione senza fili. Parole in libertà” (1913).

Volendo approdare in ogni campo dell’arte e la creazione il futurismo si avventura anche nella redazione di un manifesto di cucina futurista, firmato da Marinetti e Fillia nel 1931, in cui si incoraggia l’abbandono di coltello e forchetta e condimenti tradizionali, in favore della ricerca di nuovi sapori e accostamenti più azzardati.

Con l’avvicinarsi della guerra il movimento si dedica sempre di più alle tematiche politiche, assumendo e propagandando una posizione interventista, sostenendo che la guerra possa essere uno strumento positivo per l’esplosione di nuove energie primordiali e l’invenzione di nuove macchine, oltre che per il rafforzamento dei popoli.

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“Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano”

Filippo Tommaso Marinetti, da Manifesto del Futurismo

FILIPPO TOMMASO MARINETTI

Manifesto futurista pubblicato su Le figarò.

Tommaso Marinetti, 1909

Filippo Tommaso Marinetti, nato ad Alessandria d’Egitto il 22 dicembre 1876, poeta, scrittore e drammaturgo italiano, è il fondatore del movimento futurista. Amante della velocità, nel 1908 Marinetti cade in fossato fuori milano in seguito ad un incidente. Come racconta nel manifesto futurista, a seguito di questo episodio si sente un

uomo nuovo, deciso a disfarsi degli orpelli decadentisti, e sente il bisogno di mettere per iscritto i dettami di un programma fortemente rivoluzionario, che si promette di chiudere i ponti col passato, distruggere musei e biblioteche, glorificare la guerra come sola igiene del mondo insieme a militarismo e patriottismo, magnificare le “belle idee per cui si muore” e superare l’idea della donna “sottomessa e timorata”. Così a fine gennaio 1909 Marinetti pubblica il suo manifesto futurista sulla prima pagina del più prestigioso quotidiano francese, Le Figaro, conferendo al progetto una risonanza europea.

Nel 1912 introduce uno stile letterario del tutto nuovo: le parole in libertà, in cui viene distrutta la sintassi, abolita la punteggiatura e utilizzati artifici verbo-visivi. Molti futuristi della prima ora, come Aldo Palazzeschi e Corrado Govoni, disorientati dalle proposte di Marinetti abbandoneranno il movimento, ma verranno presto rimpiazzati da nomi meno celebri; è infatti in questo periodo

che il futurismo conosce il momento di massima espansione. Sempre nel 1912 Marinetti compone un reportage della guerra bulgaro-turca redatto in parole e libertà: Zang Tumb Tumb.

Nel 1915, quando l’Italia entra in guerra, Marinetti si arruola volontario.

Terminata la guerra Marinetti è sempre più convinto che sia giunto il momento di fare la rivoluzione, e fonda il Partito Politico Futurista, che si propone il passaggio dalla monarchia alla repubblica, oltre alla lotta all’analfabetismo e il suffragio universale. Nonostante la sua vicinanza al fascismo, tiene a ribadire la differenza tra questo e il futurismo.

Negli anni successivi tende ad allontanarsene sempre di più, finchè nel 1920 non se ne distaccherà.

Esaurita l’esperienza politica Marinetti tornerà alla letteratura con opere meno sperimentali delle precedenti, ma non è più visto nell’ambiente artistico come la “caffeina d’europa”, adesso che si sta affacciando sulla scena europea una nuova avanguardia: il dadaismo.

Zang Tumb Tumb.

Filippo Marinetti, 1912

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GIACOMO BALLA

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tura estetica, trasforma anche la propria abitazione in un tripudio di forme e colori smaglianti.

Nato a Torino il 18 Luglio 1817, pittore, scultore e scenografo italiano, è un esponente di spicco del Futurismo Italiano, firmatario insieme agli altri futuristi dei manifesti che ne sanciscono gli aspetti teorici. Nei primi anni ‘10 la sua attività creativa è molto intensa e ispirata dallo stile divisionista, ma a partire dal 1911 esprime nuovi interessi stilistici e di ricerca pittorica improntata a rappresentare il dinamismo. Negli anni della prima guerra mondiale è protagonista indiscusso del Futurismo, vende tutte le prime opere della sua prima carriera artistica e inizia a firmare le successive con lo pseudomino di FuturBalla.

Acceso sostenitore delle teorie futuriste, nel 1914 firma il manifesto futurista “Le vêtement masculin futuriste”, in cui invita ad adottare l’estetica futurista anche nell’abbigliamento, sostituendo il cupo vestiario maschile con uno più dinamico e variopinto che rompa la tradizione. Sempre in questa ottica di rot-

Nel 1915 firma con Depero il manifesto “Ricostruzione futurista dell’Universo” in cui si espongono i concetti di dinamismo pittorico e dinamismo plastico che si collegano perfettamente al concetto di parole in libertà e all’arte dei rumori.

Inizia a impostare i suoi lavori sull’onomatopea, a comporre tavole parolibere e a progettare scenografie, collegando il fattore estetico con la dimensione fonetica-rumorista. Nel 1917 progetta le scene per il balletto “Feu d’artifice”, e nello stesso periodo crea arredi e mobili per il film “Vita Futurista” del 1916.

Nel 1918 pubblica il “Manifesto del colore”, in cui si analizza l’utilizzo del colore nell’estetica avanguardista e la sua dominanza, tratto incisivo che definisce una rottura con gli stili del passato.

Porta per casa Balla.

Giacomo Balla, 1928

Espansione dinamica + velocità.

Giacomo Balla, 1913

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“Noi futuristi, Balla e Depero, vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente”

Giacomo Balla da Ricostruzione futurista dell’universo

FORTUNATO DE PERO

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Fortunato Depero nasce il 30 marzo 1892 a Fondo in Val di Non. Respinto all’esame di ammissione all’Accademia di Belle Arti di Vienna, inizia a lavorare per un marmista. Nel 1913 si trasferisce a Roma dove nonostante il clima decadentista si stanno facendo spazio nella scena artistica le avanguardie futuriste. Qui conosce vari esponenti della corrente futurista tra cui Sprovieri, Balla e Marinetti, e partecipa all’esposizione “Libera Futurista Internazionale”.

Nel 1915 partecipa alla pubblicazione del manifesto “Ricostruzione Futurista dell’universo” insieme a Balla.

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Con l’entrata in guerra dell’Italia anche Depero si arruola volontario, ma verrà esonerato poco più tardi per motivi di salute. Dopo la guerra partecipa a varie mostre futuriste, inclusa a quella di Milano in cui Martinetti si propone rilanciare i Futuristi del dopo guerra.

Il motociclista Fortunato Depero, 1923

Nel 1925 a Parigi rappresenta l’Italia all’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative insieme a Balla.

Nel 1927 esce il libro imbullonato “Depero-Dinamo Azari”, che viene considerato una perfetta sintesi del pensiero futurista trasmettendo la fascinazione per le macchine e per la modernità tipiche di questo movimento. Oltre a numerose tavole parolibere, il libro contiene un campionario di sperimentazioni tipografiche e un intero capitolo incentrato sulla collaborazione tra Depero e Campari, azienda per cui realizzerà molti manifesti entrati nella storia della grafica del periodo.

In generale la pubblicità è vista di buon occhio dai Futuristi e considerata “arte nuova del mondo moderno”. Depero in particolare è un fervente sostenitore di questa tesi fino a diventare il più autorevole cartellonista pubblicitario tra i Futuristi, ed infatti nel 1932 pubblica il “Manifesto dell’arte pubblicitaria”.

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Manifesto pubblicitario per Campari Fortunato Depero, 1926

RIELABORAZIONE

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Pubblicità per Campari Fortunato de Pero, 1928

Barbie Futurista Giulia Corona, 2020

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RIELABORAZIONE

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Pubblicità per Liquore Strega Fortunato de Pero, 1928

Nikon Depero Manuela Agus, 2020

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I dadaisti scardinano e stravolgono le convenzioni dell’epoca: dall’estetica cinematografica o artistica fino alle ideologie politiche. Il rifiuto della ragione e della logica, messaggio veicolato a gran voce dalla logica dada, enfatizza la stravaganza e al contempo la derisione degli standard. Gli artisti dada sono volutamente irrispettosi, non solo disdegnano le usanze del passato, ma se ne prendono anche gioco.

ABCD. Raoul Hausmann, 1923

DADAISMO

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Il Dadaismo o semplicemente Dada è un movimento culturale nato a Zurigo nel 1916, nel contesto neutrale della Svizzera al tempo della prima guerra mondiale. Sviluppatosi tra il 1916 e il 1920 ha interessato diversi campi artistici quali le arti visive, la letteratura e poesia, il teatro e la grafica. Ha proposto e sviluppato la sua visione politica antibellica mediante un rifiuto degli standard artistici dell’epoca, producendo opere d’arte che si professano contro l’arte stessa, attraverso un linguaggio spesso ironico e dissacrante.

Il movimento dadaista vede ufficialmente l’alba il 5 febbraio 1916, data in cui viene inaugurato a Zurigo il Cabaret Voltaire, fondato dal registra teatrale Hugo Ball. Uno dei maggiori padri del dadaismo è Tristan Tzara, autore del “Manifesto Dada”, pubblicato nel 1918.

Rivista Der Dada no. 2 Raoul Hausmann

Le serate al Cabaret Voltaire hanno molto in comune serate organizzate dai futuristi: in entrambe vi è l’intento di stupire e provocare con manifestazioni inusuali e disorientanti. Il Dadaismo e il Futurismo, nonostante siano in antitesi da un punto di vista dell’approccio alla politica, hanno diversi punti comuni, come e soprattutto la vena dissacrante e provocatoria.

Innanzitutto la parola Dada, che identifica il movimento, non significa assolutamente nulla. Già il nome stesso è un simbolo delle tematiche del movimento: il rifiuto di ogni atteggiamento e pensiero razionali e logici.

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“Dio e il mio spazzolino sono Dada, e anche i new yorkesi possono essere Dada, se non lo sono già.”

Tristan Tzara

Dada nasce come protesta contro le barbarie della Prima guerra mondiale, ma in seguito il movimento prende una strada più improntata su una sorta di nichilismo artistico, che disprezza e condanna la rigidità e il manierismo nei vari campi dell’arte.

Primo manifesto Dada.

Hugo Ball, 1916

stetica dadaista, uno degli strumenti di maggior dissacrazione dei concetti tradizionali d’arte. Soprattutto quando Duchamp, nel 1917, propone uno dei suoi più noti “ready-made”: fontana. Con i “ready-made” s’incrina il concetto per cui l’arte è il prodotto di un’attività manuale coltivata e finalizzata.

L’ opera d’arte può essere qualsiasi cosa, e naturale conseguenza di ciò è che nulla è arte.

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146 Un notevole contributo alla nuova estetica dadaista è dato dai “ready-made”, termine che sta a indicare opere realizzate con oggetti reali, prodotti senza finalità estetiche ma presentati come opere d’arte. Si può dire che i ”ready-made” siano un’invenzione di Marcel Duchamp, il quale inventa anche il termine per definirli che in italiano si traduce con “già fatti”, “già pronti”. Il primo “ready-made”, la ruota di bicicletta, viene infatti prodotto da Duchamp nel 1913. Essi diventano, nell’ambito dell’e-

Kleine Dada Soirée.

Theo van Doesburg, 1922

HUGO BALL Hugo Ball, nato a Pirmasens il 22 febbraio 1886, è uno scrittore, poeta e regista teatrale tedesco.

Cresciuto in una famiglia cattolica, dopo gli studi di sociologia e filosofia si trasferisce a Berlino, dove diventa attore, nonchè uno dei protagonisti indiscussi del movimento Dada, abbracciando le tematiche espresse nel Manifesto Dada.

Nello stesso anno dell’uscita del manifesto, 1916, Ball scrive la poesia Karawane, una composizione di parole senza senso. Il significato di questa opera, infatti, risiede nell’assurdità che l’assenza di senso produce, racchiudendo uno dei principi cardine del Dadaismo. Coofondatore del Cabaret Voltaire e guida del movimento Dada, si ipotizza che sia stato proprio lui a sceglierne il nome.

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Hugo Ball mentre recita la poesia “Karawane”, Cabaret Voltaire, 1916

Marcel Duchamp, nato a Blainville-Crevon il 28 luglio 1887, pittore, scultore e scacchista francese, è considerato fra i più importanti e influenti artisti del ventesimo secolo. Durante la sua vita artistica si occupa di pittura (attraversando le correnti del fauvismo e del cubismo),

Ruota di bicicletta, Marchel Duchamp, 1913

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ed è uno dei maggiori esponenti del dadaismo e del surrealismo, nonchè l’ideatore di ready-made e assemblaggio. Dopo una giovinezza influenzata dall’impressionismo, nel 1912, realizza alcuni celebri dipinti come “Nudo che scende le scale n. 2” o “Il passaggio dalla vergine alla sposa” che segnano una tappa importantissima nella storia del cubismo e del futurismo per lo studio del movimento, e al contempo segnano la fine dell’esperienza di Duchamp con la comune accezione di pittura.

mente tra gli oggetti più famosi dell’arte del ventesimo secolo. Una curiosità sull’opera che ritrae la Gioconda con i baffi: le iniziali del titolo formano un gioco di parole, difatti le lettere L.H.O.O.Q. pronunciate in francese danno origine alla frase “Elle a chaud au cul”. L’opera può essere letta come un manifesto contro il conformismo. Dissacrando uno

Il grande vetro Marchel Duchamp, 1915

Nudo che scende le scale Marchel Duchamp, 1912

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MARCHEL DUCHAMP A partire dal 1915, Duchamp lavora a “Il grande vetro”. Questa opera, lasciata volutamente incompiuta, è formata da due enormi lastre di vetro che racchiudono lamine di metallo dipinto, polvere, e fili di piombo. Il Vetro contiene e sviluppa tutta l’attività passata e futura di Duchamp, ed è ritenuta una delle opere

più complesse e affascinanti di tutta la storia dell’arte occidentale.

A partire da “ruota di bicicletta”, nel 1912, Duchamp realizza alcuni dei suoi più famosi “ready-made”. Nel 1917 è il turno dell’orinatoio “Fontana” e nel 1919 della Monna Lisa con baffi e pizzetto “L.H.O.O.Q.”, i quali sono certa-

L.H.O.I.Q. Marchel Duchamp, 1917

dei miti artistici più consolidati, Duchamp non intende ridicolizzare l’arte di Leonardo, anzi, ne sta onorando i meriti, a suo modo, prendendosi gioco degli estimatori superficiali e ignoranti che apprezzano la Gioconda solo per conformismo, aderendo ciecamente al gusto della maggioranza delle persone, senza apprezzarla veramente.

HEARTFIELD & GROSZ

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I pilastri della società George Grosz, 1926

Verso la fine degli anni ‘10 Berlino é uno dei centri di diffusione del Dadaismo in Europa, e “Dada-Berlin” ne è il momento principale. Questo movimento è fortemente impegnato sul piano politi-

co, e concepisce il dadaismo come strumento di agitazione politica e non più semplicemente come una reazione a determinate forme d’arte. La loro critica si rivolge principalmente alla repubblica di Weimar e al mondo piccolo borghese, responsabili di ingiustizie e sfruttamenti nonchè accesi sostenitori della guerra. Questa critica sociale é spesso incanalata in satira corrosiva e si traduce in collage, assemblaggi, quadri e cartelli. Si tratta di una sorta di anti-arte, in cui la trasmissione di valori sociali e politici diventa più importante dell’estetica.

Tutto ciò si ritrova nelle opere di Georg Grosz. Nato a Berlino il 26 luglio 1893, dopo la sua formazione accademica avverte presto la necessità di usare l’arte come strumento di denuncia e satira incisiva. I soggetti dell sue opere diventano tipi umani estremi rappresentati con voluta sgradevolezza: sono reduci scheletrici, capitalisti ingordi o vogliosi, ufficiali e preti rigidi come marionette dentro alle loro divise. Il grottesco e il satirico diventano una costante della sua vita artistica. Solo nei tardi anni

venti si dedica alla pittura a olio, mantenendo comunque la stessa efficacia espressionistica dei disegni. Nell’opera “I pilastri della società” Grosz prende di mira i nemici, dando una connotazione sarcastica ai “pilastri” del titolo. Questa opera vuole rappresentare i vertici del capitalismo che sottomettono il popolo con tre strumenti: una spada, un giornale e una bandiera. Come copricapo rivelano quello che hanno dentro la testa: violenza e schifezza, rappresentati da un orinale, una statuetta puntuta, e un mucchio di sterco fumante.

Il detenuto George Grosz, 1920

Copertina del libro “Deutschland, Deutchland Über Alles” John Heartfield, 1923

Altro esponente importante del dadaismo berlinere è John Heartfield.

Hertfield nasce a Berlino il 19 giugno 1891. Nel 1917 conosce Grosz e nasce un’intensa collaborazione tra i due artisti, che lavoreranno insieme a molti fotomontaggi. Le produzioni di questo periodo sono riconoscibili dalla firma “Grosz-Heartfield mont”. La sillaba “mont” non si riferisce come si potrebbe pensare alla tecnica del fotomontaggio,

ma allo stesso Heartfield, che acquisisce da Grosz e altri amici il soprannome di monteur (“meccanico”), grazie alla sua abitudine di indossare spesso una tuta blu da lavoratore. Il suo nome originario è Helmut Herzfeld, ma in questi anni l’artista decide di anglicizzare il suo nome, in pieno spirito anti-nazionalista ed in segno di risposta alla campagna patriottica anti-britannica del periodo.

Successivamente Heartfield assume il ruolo di artista militante nel partito comunista, denunciando l’incalzante minaccia nazista, in particolare per la rivista “AIZ”, ruolo che durerà finchè l’opposizione manterrà diritto di critica. Nel 1929 cura l’aspetto grafico del libro “Deutschland, Deutschland, über alles” di Kurt Tucholsky. L’opera è una denuncia contro la violenza, l’indifferenza e le brutalità della Weimar pre-nazista. Nella sua carriera Heartfield realizza fotomontaggi degni di stare alla pari con le opere dei grandi artisti di matrice espressionista. I suoi fotomontaggi documentano il particolare periodo storico, sono critiche dissacranti. Famosi ad

esempio quelli in in cui fa il parallelo tra la croce uncinata e una ruota di tortura medievale, o la radiografia di Hitler con la colonna vertebrale costituita da una pila di soldi, in cui si critica il sostegno che riceve dal capitalismo.

Adolf der Übermensch John Heartfield, 1932

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RIELABORAZIONE

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Barbie Mutt Giulia Corona, 2020

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Fontana Marcel Duchamp, 1926

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PLAKATSTIL

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Il movimento Plakatstil nasce in germania all’inizio del 900. Noto anche come Sachplakat, è traducibile in italiano con “stile poster”.

Questo movimento ha origine da Lucian Bernhard nel 1905. Durante un concorso per la realizzazione di un poster sponsorizzato dall’azienda di fiammiferi Preister, Lucian Bernhard decide di adottare un nuovo approccio al disegno, realizzando due grandi fiammiferi e apponendovi il marchio sopra con lettere pulite ed in grassetto.

Le caratteristiche di questo stile grafico sono appunto le lettere pulite e la scelta di colori piatti. Le forme e gli oggetti risultano semplificati al massimo e la composizione lascia grande spazio ad un oggetto centrale, che ne diventa l’unico protagonista. Con la sua riduzione ai minimi termini del naturalismo e l’enfasi su colori e forme piatte, il nuovo stile è un altro passo verso la creazione di un linguaggio visivo astratto.

La forte semplicità del design gli vale la vittoria sugli altri concorrenti e segna una svolta dallo stile elaborato e decorativo dell’Art Nouveau, che inzia ormai a perdere la sua vitalità.

Maxim Bar. Hans Rudi Erdt, 1907

Manifesto pubblicitario Bosch Lucian Bernhard, 1914

Successivamente lo stile di Bernhard si diffonde in tutta la Germania e diventa la base per una rivoluzione nella pubblicità commerciale nella Berlino prebellica. Il plakatstil è una delle varianti più importanti del modernismo dall’inizio del ventesimo secolo ed è considerato un ponte tra Art Nouveau e Art Deco.

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LUCIAN BERNHARD

Manifesto pubblicitario scarpe Stiller.

Lucian Bernhard, 1912

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Lucian Bernhard, pseudonimo di Emil Kahn, nasce a Bad Cannstatt il 15 marzo 1883. Noto per il suo stile caratterizzato da un’estrema semplicità comunicativa, si annovera tra i più importanti grafici tedeschi del ‘900, e viene considerato il padre del plakatstil.

La sua fortuna nasce con il concorso pubblicitario dei fiammiferi Priester, in cui si distingue per la sua grafica innovativa ed esteticamente pulita e semplificata. In questo momento nasce la sua carriera di pubblicitario.

Nel 1920 inizia l’insegnamento presso la Königlichen Akademie di Berlino, e nello stesso periodo è tra i fondatori della rivista grafica Das Plakat. Nel 1923 inizia a tenere una serie di conferenze negli Stati Uniti, luogo in cui successivamente si trasferirà per passare il resto della propria vita.

Tra i suoi lavori più celebri, oltre ai manifesti di propaganda e al poster per i fiammiferi Priester, vi è il poster pubblicitario per le scarpe Stiller del 1912.

Manifesto di propaganda della Grande Guerra che invita la popolazione ad usare con parsimonia alcuni beni di prima necessità quali il sapone e l’olio.

Lucian Bernhard, 1915

É inoltre l’inventore di molti caratteri tipografici, quali tra i più importanti il Lucian nel 1928, il Fashion nel 1929 e il Tango nel 1933.

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Pubblicità fiammiferi Priester Lucian Bernhard, 1905

Hans Rudi Erdt, nato a Benediktbeuern il 31 marzo 1883, graphic designer, litografo e artista commerciale tedesco, è noto principalmente per il suo contributo al movimento Plakatstil.

Si forma come litografo, e successivamente nel 1908 si unisce a Hollerbaum, entrando a far parte della prestigiosa “scuola di Berlino”, periodo in cui crea quello che si può considerare uno degli esempi più duraturi dello stile Plakatstil: un poster per la nascente casa automobilistica Opel.

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HANS RUDI ERDT

U-boat propaganda.

Hans Rudi Erdt, 1917

Il suo lavoro presso la prestigiosa società di stampa d’arte Hollerbaum lo rende uno dei più importanti rappresentanti della cartellonistica pubblicitaria tedesca nel primo ventennio del secolo. A Herdt è riconosciuto anche un innovativo modo dell’uso della tipografia nei manifesti.

Durante la Prima guerra mondiale è autore anche di manifesti di propaganda e poster promozionali per il German Film Committee, alcuni dei quali diventano abbastanza famosi all’epoca, come ad esempio il manifesto “U Boote Heraus!”.

Poster per casa automobilistica Opel.

Hans Rudi Erdt, 1911

159 Manifesto pubblicitario per Nivea.

Hans Rudi Erdt, 1913

Durante la sua carriera si occupa di lavori disparati, come le pubblicità o i lavori per i settimanali illustrati o gli eventi turistici. Molto famose sono le sue campagne pubblicitarie per Nivea e Manoli.

RIELABORAZIONE

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Manifesto Bellaria air cooler, Hans Rudi Erdt, 1910

Bic Kugel-Schreiber Virginia Monteverdi, 2020

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RIELABORAZIONE

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Manifesto Manoli Sigareffen Hans Rudi Erdt, 1906

Nintendo Wiiffen Lisa Bramandi, 2020

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LA PROPAGANDA

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Und du? poster di reclutamento Ludwig Hohlwein, 1929

Se da un lato ci sono le avanguardie, sempre pronte a stupire e azzardare, che decostruiscono la figura umana e la realtà per ottenere opere sempre più astratte e concettuali abbandonando quasi completamente il lato figurativo, dall’altro lato abbiamo la propaganda.

In questa particolare epoca di grandi conflitti, durante e dopo la prima guerra mondiale, i governi stanno spendendo grandissime risorse umane e finanziarie per sostenere gli sforzi bellici: hanno bisogno di parlare al popolo, di portarlo dalla propria parte. E per parlare al popolo c’è bisogno di immagini semplici, descrittive, gloriose.

É così che ci troviamo a vedere un’involuzione rispetto all’arte avanguardista del tempo, ci troviamo a veder reinserita la figura umana come protagonista, con una realtà non più rappresentata come percezione dell’artista ma come mezzo di esaltazione della forza e della grandezza dei governi, e successivamente dei regimi totalitari. Spesso le immagini sono dense di retorica e stereotipi, passando dalla raffigurazione di soldati eroici intenti a salvare la propria patria alla raffigurazione di contadini laboriosi intenti a supportare lo sforzo bellico, alla creazione di vere e proprie figure iconiche che si rivolgono direttamente al popolo, come il celeberrimo personaggio dello “Zio Sam”.

L’arte pubblicitaria ai tempi della propaganda diventa il punto di contatto comunicativo tra i governi ed il popolo.

165 First in the Fight poster di reclutamento James Montgomery Flagg, 1918

JAMES MONTGOMERY FLAGGS

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James Montgomery Flagg nasce il 18 giugno 1877 a Pelham Manor nello stato di New York. Inizia a lavorare alla pubblicazione di disegni per riviste già in età scolare, collaborando anche con riviste come Life e Judge. Dopo gli studi all’Art Students League di New York e successivamente gli studi pittorici in europa, nel 1900 pubblica il suo primo libro: Yankee Girls Abroad.

Sow the Seeds of Victory!

Posters per la Food Administration durante la prima guerra mondiale James Montgomery Flagg, 1918

Durante la prima guerra mondiale viene ingaggiato dallo stato americano per la realizzazione di propaganda bellica, e nel 1917 crea quella che diventerà un simbolo iconico americano: la litografia dello Zio Sam. Questo è il periodo di massimo splendore nella carriera di Flagg, che diventa l’artista “ufficiale” della nazione americana.

Lo Zio Sam non è la prima figura umana ad incarnare gli Stati Uniti, ha dei predecessori come ad esempio Brother Jonathan, comparso per la prima volta nella rivista satirica Punch. Una teoria dell’origine del nome “Uncle Sam” è che esso nasca al tempo della guerra di secessione dalle iniziali U.S. marchiate sui barili di carne in arrivo ai soldati in servizio a New york. Queste iniziali vengono collegate ironicamente al nome

del fornitore della carne, Samuel Wilson da Troy, diventando così per tutti lo Zio Sam. Vi sono però dei dubbi su questa origine, anche se ormai entrata ufficialmente nell’immaginario dal grande pubblico americano. Il personaggio Zio Sam compare per la prima volta in letteratura in un libro allegorico del 1816, “The Adventures of Uncle Sam in Search After His Lost Honor”.

La presenza del termine Zio Sam si ritrova anche nei giornali pacifisti dell’epoca, in cui l’appellativo è utilizzato in modo dispregiativo verso il governo americano, personalizzando in questa figura il dispezzo dei critici verso il potere.

Nonostante il suo lavoro ufficiale per la nazione improntato alla propaganda per lo sforzo bellico, Flagg acquista la fama di artista bohémien. Nel 1906 fonda insieme ad altri il Dutch Treat Club, una società di illustratori, scrittori e interpreti nonchè personalità letterarie e umoristi di spicco, società di cui nel 1913 diventerà presidente. Nel 1980 entra a far parte della Society of Illustrators Hall of Fame.

Manifesto di propaganda USA rappresentante lo Zio Sam James Montgomery Flagg, 1917

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LUDWIG HOHLWEIN

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Poster di propaganda Ludwig Hohlwein, 1935

Ludwig Hohlwein nasce Wiesbaden il 27 luglio 1874. Manifestando un precoce talento artistico, inizia a studiare architettura alla Technischen Hochschule di München. Nel 1895 esegue il suo primo disegno per il giornale dell’associazione accademica degli architetti, e al termine della sua formazione universitaria inizia la professione di architetto, ma intanto affina anche il suo talento grafico con la decorazione di case, libri, negozi e biglietti d’inviti. Il suo primo manifesto, nel 1906, è dedicato ad una manifestazione sulla caccia. Tra il 1906 al 1914 la sua produzione artistica e pubblicitaria raggiunge il punto più alto, unanimamente riconosciuta come moderna, originale e innovativa, fino a meritare l’appellativo di “capostipite e maestro della grafica” da parte del periodico “Kunst und Dekoration” di Darmstadt.

Molti giovani autori tra cui anche Lucian Bernhard si ispirano al suo stile, che nel frattempo acquista anche la definizione di “Hohlweinstil”.

Con lo scoppio della prima Guerra mondiale la produzione di Hohlwein si orienta verso la causa patriottica tedesca. Nel 1924 Hohlwein ha già disegnato oltre 3000 manifesti ed è un artista pubblicitario ricercato da ditte come Audi, Bahlsen, BMW, e molte altre.

Ormai iscritto al partito nazionalsocialista, a partire dagli anni trenta produce una serie di famosissimi manifesti per le SA, le SS, l’Hitlerjugend, il BDM, e il Winterhilfswerk. Inoltre nel 1936 è autore del manifesto per le Olimpiadi invernali di Berchtesgaden.

Manifesto pubblicitario per Audi Automobil, Ludwig Hohlwein, 1912

Manifesto per olimpiadi Ludwig Hohlwein, 1936

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Nel dopoguerra a Ludwig Hohlwein viene imposto il processo di denazificazione il divieto di lavorare a causa delle sue scelte politiche. Continua la produzione di ancora pochi manifesti pubblicitari, circondato però dall’ostracismo dei suoi detrattori e oppositori.

RIELABORAZIONE

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Poster di propaganda per Hitler-Jugend Ludwig Hohlwein, 1934

Barbie-Jugend Giulia Corona, 2020

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RIELABORAZIONE

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pubblicità per Koblenz, Ludwig Hohlwein, 1935

At the heart of the image Manuela Agus, 2020

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DISSACRATO a cura di Giulia Corona

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Avanguardie che parlano al popolo e design delle geometrie

L’ARTE TRA LE GUERRE

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Questa sezione tratta quattro diversi movimenti accomunati però da un elemento; la geometricità delle forme.

Stiamo parlando delle due avanguardie russe, Costruttivismo e Suprematismo, di Art Déco e De Stijl.

Tutte si sviluppano nella prima metà del ‘900, nel periodo tra le due guerre, quando il mondo è pervaso dall’euforia per la fine della Prima Guerra Mondiale e ignaro di ciò che lo aspetta a distanza di pochi decenni.

All’interno di questi movimenti l’arte assume valori diversi; parlando di Costruttivismo l’arte viene creata per scopi sociali, per parlare al popolo, mentre nel Suprematismo l’arte è tale solo se fine a se stessa. Nell’Art Déco si parla di un’arte puramente decorativa mentre nel De Stijl l’arte è la ricerca di forme essenziali.

Questi movimenti hanno origine in aree geografiche differenti. Costruttivismo e Suprematismo nascono in Russia, l’Art Déco in Francia e il De Stijl in Olanda.

Essi si sviluppano in ogni ambito artistico, dall’architettura, alla pittura e al design.

In questa sezione sono quindi descritti i quattro movimenti in questione per poter essere conosciuti e apprezzati.

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COSTRUTTIVISMO

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Il costruttivismo è un movimento culturale nato in Russia nel 1913. La sua caratteristica fondamentale è il rifiuto dell’arte autonoma, considerata invece una pratica per scopi sociali.

Esso rappresenta l’evoluzione del Futurismo russo. Il suo principale esponente è Vladimir Tatlin le cui opere, sculture fatte di fogli di alluminio, di legno e di cavi, esprimono l’essenza della modernità che avanza grandiosa e inesorabile.

Gli spunti offerti da Tatlin sono ripresi e sviluppati da Aleksandr Rodčenko il quale guarda alla nascita di un mondo nuovo, oltre un regime basato sull’asservimento.

La modernità porta con sè le promesse di una società migliore dove la tecnologia è l’alleata fondamentale per la costruzione della nuova realtà. L’industria viene celebrata tramite i suoi elementi base, come simbolo del lavoro delle masse che lottano per i loro ideali politici. L’arte tradizionale viene surclassata e le opere realizzate con i materiali da costruzione di Tatlin diventano simbolo dell’arte nascente, rivoluzionaria, proletaria e bolscevica.

Il Costruttivismo si diffonde velocemente in Europa grazie anche all’opera di promozione di El Lissitskij, che organizza nel 1922 la “Prima esposizione di arte russa” alla galleria Van Diemen di Berlino.

“...noi edifichiamo la nostra opera come l’universo conforma la propria, come l’ingegnere costruisce i ponti, come il matematico elabora le formule delle orbite. E’ per questo che nella creazione degli oggetti noi togliamo loro l’etichetta del proprietario, del tutto accidentale e posticcia, e lasciamo solo la realtà del ritmo costante delle forze insite in essi”

Per quanto riguarda gli artisti del movimento essi indagano il rapporto tra spazio e tempo per arrivare a soluzioni che aspirano all’universalità di tutte le arti, radunate sotto i denominatori comuni della riconciliazione con la materia, dopo la ventata di spiritualismo di fine secolo.

Gli artisti si ritengono degli “ingegneri” della società futura: non solo progettano opere d’arte plastica ed architettonica ma si impegnano in altri campi, dalla comunicazione alla fotografia, dalla cartellonistica alla scenografia.

N. Gabo

Proun, Es. Lissitzky, 1922

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VLADIMIR E. TATLIN

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Vladimir Tatlin (1885-1953) è considerato un artista completo, un visionario.

Persegue un grande obiettivo, quello di edificare il bene dell’umanità e per farlo vuole contribuire con ogni disciplina e tecnica. A soli 13 anni, abbandona la famiglia e si imbarca come mozzo su una nave. Conclusa l’esperienza s’iscrive all’università dove comincia a dipingere e a sperimentare ma viene espulso per mancanza di talento, dopo essere stato accusato di avere tendenze sovversive.

Il suo maestro lo introduce all’ambiente dell’avangardia russa cosmopolita e internazionalista e gli presenta collezionisti come Sergey Shchukin; presso di loro scopre Monet, Gauguin, Cezanne e Matisse. Nel 1914 intraprende un viaggio a Parigi. L’incontro con Picasso è decisivo.

Precorrendo ciò che sta per avvenire in Russia, Tatlin, da artista d’avanguardia, si trasforma in artista rivoluzionario. Comincia a realizzare i “contro-rilievi”, assemblaggi che hanno lo scopo di libera-

“La tela è troppo limitata per contenere ciò che è tridimensionale”.

Controrilievo, V. E. Tatlin, 1915

V. Tatlin

Controrilievo, V. E. Tatlin, 1914

re l’arte dalla funzione rappresentativa.

Nel 1919 Tatlin intraprende un progetto che diventa leggenda: quello per il Monumento per la Terza Internazionale Comunista, o Tatlin Tower. Il progetto è la sintesi tra architettura, scultura e pittura, tra i principi di tempo e di spazio che Tatlin ha già sviluppato nei “contro-rilievi”. L’edificio si sarebbe dovuto innalzare per 400 metri, parallelo all’asse terrestre, e avrebbe dovuto comprendere una struttura esterna e 4 corpi interni ruotanti a velocità diverse, in accordo con i ritmi e le leggi del cosmo. Non viene costruito per diversi motivi, tra i quali il fatto che la politica governativa è avversa all’arte astratta. Viene realizzato soltanto un modello alto cinque metri, simbolo della modernità, oltre che massima espressione del costruttivismo.

Nel 1920 Tatlin intraprende un’altra impresa mitica: quella di dare all’uomo moderno, e a quello del futuro, ali per volare. Convinto che il genere umano discenda dagli uccelli, e che in principio sapesse volare, cercò di riappropriar-

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si di quest’abilità creando Letatlin, una sorta di grande organismo vertebrato idealmente destinato a decollare; leggero, elastico, armonioso, fatto di ossa di balena e ricoperto di seta, Letatlin – un neologismo che coniuga letat, volare, e il nome dell’autore – sintetizza in sé arte, tecnologia e utopia e costituisce un’estensione delle sperimentazioni di Tatlin sulle proprietà dei materiali e sui limiti della scultura. Naturalmente non vola mai, almeno non in senso letterale.

Ma rappresenta ancora oggi un inno al sogno, al desiderio, alla libertà.

Seppur attratto dai grandi ideali, Tatlin non dimentica mai la realtà di ogni giorno. Convinto che una nuova vita richieda nuovi oggetti, si dedica sempre con la stessa energia al macro e al micro; nessun dettaglio gli pare troppo piccolo per essere preso in considerazione. Intanto in Urss l’atmosfera cambia e subentra un atteggiamento di sospetto.

La vita e l’attività di Tatlin esemplificano bene le vicissitudini del tempo. Se nel 1931 riceve un riconoscimento ufficiale

Monumento alla Terza Internazionale, V. E. Tatlin, 1919

“Il sogno [di volare] è vecchio come Icaro... Anch’io voglio restituire all’uomo la sensazione del volo. Questo ci è stato rubato dal volo meccanico dell’aereo. Non possiamo sentire il movimento del nostro corpo nell’aria”.

V. Tatlin

come «lavoratore dell’arte», nel 1933, nel l’ambito della mostra ufficiale degli Artisti di Russia, il suo lavoro viene relegato nella sezione degli “eccessi di formalismo”.

Così, mentre la libertà e lo spirito sperimentale diventano un crimine intellettuale, Tatlin si ritira dalla vita pubblica, fino a morire, nel 1953, povero e isolato.

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Letalin, V. E. Tatlin, 1920

ALEKSANDR M. RODCHENKO

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Rodčenko (1891-1956) è un pittore, fotografo e grafico russo che collabora alla costituzione del Costruttivismo. È da attribuire a lui il primo manifesto costruttivista. Gli viene commissionato dalla casa editrice moscovita Gosizdat.

In esso una ragazza, la compagna di Vladimir Majakovskij, Lilya Brick, grida “Libri!”. È in questo manifesto che ha l’intuizione di unire linguaggi diversi: la fotografia e la grafica.

In un paese come la Russia, in cui vi è un alto tasso di analfabetismo, il fotomontaggio si rivela un innovativo ed efficace mezzo di comunicazione e si inserisce nella poetica costruttivista, nemica di uno stile individuale ed esclusivo.

Comincia con una camera Leica, fotografando balconi, scale, finestre e muri, dando all’oggetto ordinario e quotidiano una nuova interpretazione, grazie a tagli obliqui e punti di vista inconsueti.

La libertà è la parola d’ordine nelle sue fotografie dove trasmette la poetica del

Costruttivismo. Egli tratta per la prima volta questa forma d’arte come un linguaggio, al pari della pittura, e non esclusivamente come mezzo tecnico di riproduzione della realtà.

Torre Shukov, A. M. Rodchenko, 1929

“Se si desidera insegnare all’occhio umano a vedere in una nuova maniera, è necessario mostrargli gli oggetti quotidiani e familiari da prospettive ed angolazioni totalmente inaspettati e in situazioni inaspettate; gli oggetti nuovi dovrebbero essere fotografati da angolazioni differenti per offrire una rappresentazione completa dell’oggetto”.

A. M. Rodchenko

Scale, A. M. Rodchenko, 1930

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RIELABORAZIONE

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Manifesto costruttivista, A. M. Rodchenko, 1924

БАРБИ!, Giulia Corona, 2020

RIELABORAZIONE

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Manifesto Dobrolet Airline, A. M. Rodchenko, 1923

Valentino costruttivista, Lisa Gasparini, 2020

RIELABORAZIONE

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Poster propaganda sovietica, A. M. Rodchenko, 1924

La penna del popolo, Virginia Monteverdi, 2020

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SUPREMATISMO

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Il Suprematismo, fondato nel 1914 dal pittore russo Kazimir Malevich (18781935), viene presentato nell’Ultima Mostra Futurista 0.10, a Pietrogrado nel 1915. Qui l’artista esibisce la sua prima opera, Quadrato nero, raffigurante un quadrato nero su fondo bianco.

L’artista elabora la poetica del Suprematismo attraverso una ricerca teorica, iniziata con il Manifesto suprematista, redatto in collaborazione con il poeta Vladimir Majkovskij, e proseguita fino agli anni venti del Novecento.

Il movimento sancisce la libertà dell’artista dal vincolo della rappresentazione della realtà, per poter raggiungere un’espressione essenziale attraverso un’estrema semplificazione geometrica, che diventa, così, la premessa fondamentale per una nuova arte astratta.

Malevic scopre l’astrazione dopo aver sperimentato la pittura impressionista e stupisce il mondo dopo secoli in cui l’arte si era posta l’obbiettivo di rappresentare oggettivamente il reale. Staccandosi da Futurismo e Costruttivismo,

Quadrato nero, K. Malevich, 1915

“L’arte non si preoccupa di servire lo Stato e la religione, non desidera più illustrare la storia dei costumi, non si vuole avere più nulla a che fare con l’oggetto, in quanto tale, e credere che possa esistere, in sé e per sé”.

K. Malevich

il Suprematismo dà avvio ad una nuova civiltà pittorica, basata sull’affermazione del non-oggettivismo e sulla concezione di uno “spazio fluido, all’interno del quale agiscono forze magnetiche di trazione ascensionale”.

Tra gli esponenti del movimento suprematista, ricordiamo El Lissitskij.

Dopo il 1927, il cambiamento della politica culturale sovietica determina la crisi del movimento, che tuttavia trasmette le sue innovazioni al Bauhaus, celebre scuola e movimento di architettura.

Per Malevich è sulle fondamenta della non-assoluta oggettività che sarà costruito il futuro dell’universo - un futuro in cui le apparenze, gli oggetti, la comodità e la convenienza, non possono più dominare.

Composizione suprematista, K. Malevich

Composizione non oggettiva, K. Malevich,

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KAZIMIR MALEVICH

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Kazimir Severinovich Malevich è un pittore russo di origini polacche. Pioniere dell’astrattismo geometrico e delle avanguardie russe. Studia all’Accademia privata di Rerberg a Mosca.

Nel 1913 fonda l’avanguardia artistica chiamata Suprematismo.

Il termine deriva da “supremazia”, nel senso che Kazimir Malevich, nel fondare il Suprematismo, punta alla supremazia assoluta della sensibilità.

Malevich lo spiega chiaramente: “Per suprematismo intendo la supremazia della sensibilità pura nell’arte. Dal punto di vista dei suprematisti le apparenze esteriori della natura non offrono alcun interesse; solo la sensibilità è essenziale.

L’oggetto in sé non significa nulla. L’arte perviene col suprematismo all’espressione pura senza rappresentazione”.

La ricerca di combinazioni di forme geometriche pure e l’eliminazione di qualsiasi richiamo alla realtà lo portano alla

semplificazione assoluta del “Quadrato nero su fondo bianco” (1915) e qualche anno dopo al “Quadrato bianco su fondo bianco” (1918). Sono i quadri più essenziali che si possano immaginare.

Nessuno aveva mai pensato che un solo quadrato potesse diventare l’unico soggetto di un dipinto.

Pochi anni dopo Malevich comincia a trasformare questi concetti pittorici in forme architettoniche. Immagina palazzi formati da accumuli di parallelepipedi, come se fossero dei quadri tridimensionali.

Verso il 1928 Malevich torna alla pittura figurativa dipingendo personaggi in forme geometriche, facendo una sintesi di tutta la sua esperienza e applicando la semplificazione geometrica del Suprematismo alle figure umane delle sue opere giovanili. Un esempio di questo periodo è il quadro “Sportivi“.

Ma il cambiamento più repentino avviene nel 1930, dopo l’arresto di Malevich a causa dei suoi stretti rapporti con gli artisti tedeschi. Tante sue opere, sgradite al regime sovietico, vengono distrut-

Quadrato bianco, K. Malevich, 1916

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“L’oggettivo in se stesso è senza significato per il suprematista e le rappresentazioni della coscienza non hanno valore per lui. Decisiva è invece la sensibilità, ed è per suo tramite che l’arte arriva alla rappresentazione senza oggetti, al suprematismo. Arriva a un deserto dove nulla è riconoscibile, eccetto la sensibilità”.

K. Malevich

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te e gli viene imposta un’arte realista e tradizionale. E così Malevich deve dipingere quadri che sono l’esatto contrario del Suprematismo: riproduzioni fedeli della realtà, con qualche richiamo persino al Rinascimento.

Non è ciò che vorrebbe dipingere, ma queste tele possono comunque aiutare a capire meglio il suo lavoro: se a un certo punto del suo percorso artistico decide di raffigurare solo quadrati e rettangoli non è perché non sa dipingere ma perché il suo obiettivo è “purificare” l’arte. Insomma, occorre conoscere le regole per poterle infrangere.

Suprematismo dinamico, K. Malevich, 1916

“Nell’anno 1913, nel mio disperato tentativo di liberare l’arte dalla zavorra dell’obiettività, mi rifugiai nelle forme quadrate ed esposi un quadro che consisteva in nient’altro che un quadrato nero su sfondo bianco. I critici e insieme a loro il pubblico, sospirarono: “Tutto ciò che abbiamo amato è stato perso. Siamo in un deserto... Davanti a noi non c’è altro che un quadrato nero su sfondo bianco!”.

K. Malevich

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Suprematismo, K. Malevich, 1916 Sportivi, K. Malevich, 1916

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VLADIMIR V. LEBEDEV

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Vladimir Vasilyevich Lebedev (18911967) è un pittore e grafico sovietico.

Diviene famoso per le sue illustrazioni delle poesie di Samuil Marshak.

La sua carriera artistica ha inizio quando, da ragazzo, inizia a dipingere cartoline da vendere in un negozio di San Pietroburgo. All’età di 19 anni tiene la sua prima mostra all’Accademia di Belle Arti. Nel 1913 inizia a lavorare come disegnatore di fumetti per diverse riviste satiriche. A quel tempo è già un illustratore di riviste per bambini e lavora per l’Agenzia del telegrafo russo (ROSTA) e per il Dipartimento di Agitazione” (Agitprop) disegnando manifesti di propaganda. Negli anni Venti, Lebedev ha rapporti di amicizia con molti personaggi illustri del suo tempo, come Tatlin, Kazimir Malevich, Vladimir Mayakovsky e il critico letterario Nikolay Punin. Nel 1915 sposa la scultrice Sarra Lebedeva.

Placard, V. Lebedev, 1923 Illustrazione per Marshak, V. Lebedev

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Placard, V. Lebedev, 1917

RIELABORAZIONE

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Yesterday and Today, V. Lebedev, 1925

Ieri ed oggi, la fotografia, Manuela Agus, 2020

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ART DÉCO

L’Art Déco è lo stile dei “figli della Prima Guerra Mondiale”, di una borghesia che vuole lasciarsi alle spalle gli orrori del recente passato per ubriacarsi di vita. Sono gli anni in cui si affermano i mercati di Wall Street e i ricchi annoiati organizzano feste per celebrare in modo chiassoso, opulento, frenetico e aggressivo il loro successo. Sono anni che finiscono tragicamente, aprendo la strada ai totalitarismi.

Per Art Déco si intende uno stile e un modello di gusto estetico che si diffonde in Europa e negli Stati Uniti tra i “ruggenti anni Venti” e gli anni Trenta.

Il nome Déco deriva dalla dicitura “Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes” (Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne) tenutasi a Parigi nel 1925, che dà il via a questo nuovo fenomeno che coinvolge arti decorative, arti visive, architettura e moda.

Per via delle sue origini l’Art Déco è chiamata anche “Stile 1925”.

L’Art Déco è caratterizzata essenzialmen-

te da forme classiche e simmetriche, geometrie nette e plasticità nelle figure. Da questo punto di vista, il Déco visivamente si contrappone allo stile Liberty, caratterizzato invece da forme flessuose che riprendono la natura e la sua dolcezza.

La contrapposizione è netta anche nella filosofia che sottende i due movimenti: tanto è romantico, dolce e sognante lo stile Liberty quanto è energico, compatto e mondano lo stile Déco.

Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes, Parigi Locandina “The Jazz Singer”, 1927

La parola d’ordine dello stile Déco è “modernità”. Automobili, aerei, grattacieli, transatlantici, dirigibili e luci elettriche sono i nuovi miti di una società che guarda con disprezzo a tutto ciò che è considerato “vecchio”.

Non a caso, le trame dell’Art Déco, improvvise, spezzate ma al contempo ordinate e armoniche riprendono il ritmo della musica Jazz, che si afferma in quegli anni nei night club di Parigi, Chicago e New York.

Le fonti di ispirazione dell’Art Dèco sono molteplici: dall’arte extraeuropea, come quella delle antiche civiltà egiziana, ci-

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nese o precolombiana fino al Cubismo e al Futurismo, affermatisi negli anni antecedenti il primo conflitto mondiale.

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Lo stile Déco, soprattutto nella sua fase iniziale, trova ampio spazio nel campo delle arti decorative, riuscendo a ridare nuovo slancio al settore del design di oggetti ed arredi.

Gli arredi Déco sono di foggia elegante e curata, preziosi anche nella scelta dei materiali: lacca, legno intarsiato, pelle di squalo o di zebra, acciaio inossidabile, alluminio, vetro colorato.

Nella pittura si afferma la pittrice polacca Tamara de Lempicka, che con le sue donne bellissime, fredde e mondane incarna l’anima dello stile Déco.

L’Art Déco si esprime in gran parte attraverso l’architettura: sale cinematografiche, stazioni ferroviarie, palazzi pubblici, transatlantici, residenze borghesi costruite negli anni Venti recano spesso inconfondibili tracce di questo stile. Tra gli esempi più famosi ci sono l’Empire State Building, il Chrysler Building e gli interni del Radio City Music

Hall, tutti nella città di New York.

Lo stile Déco comincia a passare di moda quando diventa “di massa”.

Quando cioè, grazie alla produzione industriale, gli oggetti di design e di arredamento di gusto Déco possono entrare in tutte le case, facendogli perdere quell’aurea di esclusività che ne aveva contraddistinto l’ascesa.

Coppa Sirena e luna, Guido Balsamo Stella, 1925-1928, vetro inciso

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Autoritratto nella Bugatti verde, Tamara de Lempicka, 1932 Chrysler Building, New York, William van Alen, 1930

Chrysler Building, porta dell’ascensore

RAYMOND LOEWY

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Raymond Loewy (1893-1986) è un designer francese, attivo soprattutto negli Stati Uniti, che ha trasformato il disegno industriale da arte a disciplina di grande interesse economico.

Nasce e studia a Parigi e comincia presto a lavorare nel campo della progettazione, creando un aeromodello che vince la James Gordon Bennett Cup nel 1908; il modello entra poi in commercio col nome di Ayrel.

Loewy serve nell’esercito francese nella Prima Guerra mondiale, per poi trasferirsi negli Stati Uniti alla conclusione del conflitto nel 1919.

Si ferma a New York, dove lavora come vetrinista per alcuni grandi magazzini tra cui il famoso Macy’s. Contemporaneamente collabora con giornali e riviste, realizzando illustrazioni per Vogue e Harper’s Bazaar.

Nel 1929, ottiene la prima vera commissione di un lavoro di disegno industriale: modernizzare un ciclostile della Gestetner. In seguito lavora anche per la Westinghouse, disegna la carrozzeria per la Hupmobile della Hupp e il frigori-

fero Coldspot della Sears-Roebuck.

Visto il successo ottenuto, apre uno studio a Londra a metà degli anni trenta.

Raymond Loewy è considerato “il padre del design industriale” ed è sicuramente uno dei designer più influenti del XX secolo; con il suo lavoro ha lasciato un segno nella vita di tutti i giorni creando elettrodomestici, mezzi di trasporto, e marchi grafici di successo come il logo della Shell, il bus della Greyhound, la locomotiva S-1, il pacchetto di sigarette Lucky Strike, il frigorifero della Coldspot e l’automobile Studebaker Avanti.

Logo Shell, Raymond Loewy, 1971

Logo Lucky Strike, Raymond Loewy, 1942

Loewy è uno dei primi a scoprire il legame tra design e business e spiega questo rapporto affermando: “Tra due prodotti identici in termini di prezzo, funzionalità e qualità, tanto più bello sarà il best-seller”. l pensiero di Raymond Loewy continua a ispirare il mondo del design ed è ancora oggi in sintonia con le esigenze della produzione industriale.

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A. M. CASSANDRE

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Cassandre (1901-1968), pseudonimo di Adolphe Jean Marie Mouron è un pubblicitario, grafico, litografo, tipografo, decoratore e pittore francese, nato in Ucraina da genitori francesi.

Trascorre gli anni della sua infanzia vagando tra la Russia e la Francia, prima di trasferirsi finalmente a Parigi con i suoi genitori nel 1915. Nel 1918 si iscrive alla prestigiosa Ecole des Beaux-Arts per iniziare i suoi studi nel campo delle arti.

Per mantenersi, scopre e approfitta della popolarità dei manifesti pubblicitari, di gran moda all’epoca. Ha l’opportunità di lavorare per una tipografia di Parigi dove iniziò a firmare le sue opere con il nome di “Cassandre”.

Il suo stile iniziale utilizza una combinazione di curve stilizzate e figure geometriche dell’Art Nouveau con un tocco di eleganza e raffinatezza.

Si guadagna un’indiscutibile reputazione e ha tanto successo da fondare negli anni ‘30 la sua agenzia pubblicitaria, l’Alliance Graphique. È lui a creare il concetto del Serial Poster - un gruppo di manifesti che trasmette

Monogramma di Yves Saint Laurent, A. M. Cassandre,

un’idea tramite una rapida successione.

Le creazioni di Cassandre influenzano non solo l’Art Déco, ma in generale la pubblicità. Illustra inoltre manifesti pubblicitari per l’azienda vinicola Dubonnet.

Cassandre lavora su nuovi stili e tecniche, al di là delle arti cartellonistiche e si addentra nella tipografia.

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Dubonnet, A. M. Cassandre, 1932

Con la sua azienda, crea diversi caratteri tipografici. Il modo unico che aveva di combinare tipografia e manifesti grafici diventa il suo marchio di fabbrica.

Una delle azioni che segnano la sua vita è arruolarsi per combattere nella Seconda Guerra Mondiale. Al termine del servizio militare il suo studio d’arte e il suo modo di vivere sono ormai lontani, eppure sopravvive facendo lo scenografo. È allora che disegna il logo di Yves Saint Laurent.

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“Progettare un manifesto significa risolvere un problema tecnico e commerciale in un linguaggio comprensibile all’uomo comune”.

Cassandre Nord Express, A. M. Cassandre, Pacific Cigarettes, A. M. Cassandre, 1930

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Tornato a Parigi, soffre di depressione e dopo aver commesso un primo tentativo di suicidio nel 1967, Cassandre si toglie la vita nel suo appartamento di Parigi il 17 giugno 1968.

Le sue opere d’arte sensazionali vivono ancora oggi e continuano a ispirare tutti gli artisti e i designer delle generazioni che lo hanno succeduto.

Grand Sport, A. M. Cassandre

LEONETTO CAPPIELLO

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Leonetto Cappiello (1875-1942) è una figura di grande rilievo e influenza nell’ambito della grafica pubblicitaria in Europa. Pittore, disegnatore, caricaturista, cartellonista, scultore nel 1898 si reca a Parigi, città che lo adotta per il resto della sua vita. Nel 1904 inizia la sua intensa attività come cartellonista, divenendo uno dei più famosi d’Europa. I suoi circa 3.000 manifesti sono rimarchevoli per l’eleganza e la freschezza del disegno oltre che per i misurati accordi cromatici. È il primo a rinnovare l’arte della cartellonistica dopo Chéret; per questo è anche considerato creatore del manifesto moderno.

A Parigi raggiunge un notevole successo grazie alle caricature di personaggi che gravitavano nel mondo dello spettacolo e dello sport. Già alla fine dell’Ottoceno inizia a disegnare manifesti pubblicitari, per numerosissimi marchi commerciali e che lo rendono famoso in tutta Europa, in Francia in particolare.

Lo stile di Cappiello è importantissimo per le successive generazioni di cartellonisti. L’efficacia e la semplicità del suo

Poster per Campari, Leonetto Cappiello

tratto, con in primo piano una figura prorompente e colorata, che contrasta duramente con lo sfondo quasi sempre nero o scuro, servono da riferimento per tutti coloro che si sono dedicati al manifesto.

A ciò si deve aggiungere che l’elemento distintivo caricatural-umoristico non è mai ripudiato totalmente da Cappiello, che ha la grande sensibilità di farne un uso limitato, a tutto vantaggio della riuscita decorativa dei propri disegni.

Autore, nello stesso tempo scanzonato ed elegante nelle sue esecuzioni, connota la pubblicità italiana, da Campari a Venchi, influenzando profondamente quel mondo. La sua produzione, riversata in ogni campo pubblicitario, dalla cartolina alla locandina, dal dépliant al gadget a cui applicava il suo disegno, è vastissima ed affascina il pubblico ancora oggi. Disegnò anche copertine per libri e scenografie teatrali.

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RIELABORAZIONE

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Normandie, A. M. Cassandre, 1935

RayBan Déco, Sara Bianchi, 2020

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Cigarettes Golden Club, A. M. Cassandre, 1926

Golden Iphone, Samanta Sediek, 2020

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Bitter Campari, L. Cappiello, 1921

Bitterwii, Lisa Bramandi, 2020

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DE STIJL

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Il Neoplasticismo, o De Stijl, è un movimento artistico nato nel 1917 con la pubblicazione dell’omonima rivista, fondata da Theo Van Doesburg. Il nome, dall’olandese, significa semplicemente “Lo Stile”. Esso si basa su linee rette e forme geometriche basilari e raccoglie in sè gli elementi fondamentali delle avanguardie dell’epoca, in cui le forme rappresentate venivano semplificate, i volumi ridotti a pari e la visione prospettica abbandonata.

Altro concetto di base è il superamento della tradizionale distinzione tra le varie discipline artistiche.

“Nella poetica neo-plastica è estetico il puro atto costruttivo: combinare una verticale ed una orizzontale oppure due colori elementari è già costruzione. È il principio in cui credono ugualmente un pittore come Mondrian, uno scultore come Vantongerloo, architetti come G. T. Rietveld, J. J. Oud, C. van Eesteren”.

Giulio Carlo Argan

“Cosa voglio esprimere con la mia opera?

Niente di diverso da quello che ogni artista cerca: raggiungere l’armonia tramite l’equilibrio dei rapporti fra linee, colori e superfici. Solo in modo più nitido e più forte”.

Piet Mondrian

Grande composizione A con nero, rosso, grigio, giallo e blu, P. Mondrian, 1919-1920 Sedia Red and Blue, Gerrit Thomas Rietveld, 1918

Nella pittura, i neoplastici mirano all’astrattismo geometrico tramite l’utilizzo degli elementi base della geometria, cioè la linea e l’angolo retto. Sul piano cromatico e compositivo prevale l’utilizzo dei colori primari insieme al nero, bianco e grigio. Angoli retti e colori sono usati per formare figure geometriche semplici – tipicamente rettangoli e blocchi cromatici ripetuti, come nei famosi dipinti di Mondrian.

La nuova teoria trova poi applicazione anche nell’architettura, dove le zone di non colore corrispondono al vuoto e quelle colorate al pieno.

Questa ricerca di armonia, ordine e semplicità è dettata dal tentativo di creare un mondo ideale dopo le devastazioni dovute alla prima guerra mondiale.

L’impossibilità di poter realizzare questa visione utopica, dopo aver duramente lavorato per essa, porta poi alla definitiva scomparsa del gruppo. Di conseguenza, i lavori duraturi del De Stijl sono quelli di Piet Mondrian, il membro più rinomato del movimento.

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Il De Stijl subisce una prima battuta d’arresto quando il rapporto tra Mondrian e Van Doesburg entra in crisi.

Successivamente Van Doesburg si trasferisce in Germania e un anno più tardi tiene un corso sul De Stjil presso la scuola di Weimar. Il movimento olandese comincia così ad influenzare la scuola di Gropius.

Questa esperienza pluriennale con il Bauhaus tuttavia non lo soddisfa appieno, e così iniza a lavorare alla progettazione di un nuovo movimento d’avanguardia che però non verrà mai concretizzato a causa della sua morte, avvenuta nel 1931, che decreta anche la fine del Neoplasticismo.

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PIET MONDRIAN Pieter Cornelis Mondriaan (1872-1944), in arte Piet Mondrian, nasce in Olanda ed è uno degli artisti più importanti della prima metà nel ‘900, fondatore (insieme a Theo van Doesburg) del De Stijl.

Noto per le sue opere geometriche dai colori netti, Mondrian cerca nell’astra-

Composizione, Piet Mondrian, 1916

View of Winterswijk, Piet Mondrian, 1899

“La prima cosa che mutò nella mia pittura fu il colore. Ero giunto a sentire che i colori della natura non possono essere riprodotti sulla tela”.

Piet Mondrian

zione il reale: i suoi non sono semplici quadrilateri, sono il racconto della realtà secondo l’artista.

Dimostra da subito la propria inclinazione artistica: dopo gli studi diviene un apprezzato maestro di disegno, entrando nel 1892 a far parte dell’Accademia di Belle Arti di Amsterdam. Nelle sue prime opere si sente tutto l’influsso di un altro grande artista olandese, ovvero Vincent Van Gogh, e di quei maestri impressionisti tanto lontani dai dogmi accademici. Predilige infatti la pittura en plein air, dove può osservare il reale: la natura e il paesaggio sono protagonisti indiscussi delle sue rappresentazioni. Anche quando i suoi quadri iniziano a virare verso l’astrattismo, tra il 1905 e il 1908, sono ancora forti le radici nella natura.

L’abbandono definitivo del naturalismo, avviene a Parigi. In questi anni le diagonali e le linee curve scompaiono e diventano gradualmente monocromatiche.

Dopo essere rientrato in Olanda per problemi di salute del padre, torna a Parigi nel 1919 e qui crea il Neoplasti-

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cismo, lo stile pittorico che lo rende famoso in tutto il mondo.

Con i quadri “a griglia” dominati dai colori primari e da linee orizzontali e verticali, Mondrian vuole rappresentare la realtà immutabile delle cose cogliendone il necessario al di là delle apparenze, bandire ogni sentimento ed emozione a favore di un’arte universale oltre la contingenza e raggiungere così l’essenza della vita stessa. È un approccio completamente nuovo che coniuga la sua visione della vita e i suoi ideali artistici.

Victory Boogie Woogie, Piet Mondrian, 1944

Broadway Boogie Woogie, Piet Mondrian, 1942

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“L’aspetto delle forme naturali si modifica, mentre la realtà rimane costante. Per creare plasticamente la realtà pura è necessario ricondurre le forme naturali agli elementi costanti della forma, e i colori naturali ai colori primari”.

Piet Mondrian

Composizione No. 9, Piet Mondrian, 1914

La città in cui passa gli ultimi anni della sua vita è New York, dove si rifugia all’alba del secondo conflitto mondiale e che segna una fase completamente nuova nella sua produzione artistica: adeguandosi all’atmosfera vivace della Grande Mela i dipinti diventano più luminosi e il ritmo della musica jazz a cui si ispira entra nelle sue tele, da cui scompare il nero a favore di linee rosse, gialle e blu, frazionate in piccoli rettangoli. È a New York che muore a 72 anni, colpito da una polmonite fulminante.

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RIELABORAZIONE

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Composizione in rosso, blu e giallo, P. Mondrian, 1929

Composizione RayBan, Sara Bianchi, 2020

COSTRUITO a cura di Sara Bianchi

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Dal nuovo stile del Bauhaus alla psicologia della Gestalt, fino ad una lingua universale

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Nuovi linguaggi legati alla produzione industriale e nuovi canoni estetici nascono nella scuola di architettura e d’arte applicata del Bauhaus. Nell’aprile del 1919 fa la sua prima comunicazione ufficiale con la pubblicazione del Manifesto e programma del Bauhaus statale di Weimar curato da Walter Gropius, il quale ne diventa il direttore. Fondata nel cuore della Germania, questo nuovo modello di scuola d’arte denominato Bauhaus, che significa “casa del costruire” si differenzia da quelle tradizionali basandosi sulla collaborazione tra ma-

IL BAUHAUS estri e allievi, con un’ idea di sintesi tra arte, artigianato e industria, con la realizzazione di prodotti funzionali ma allo stesso tempo di elevato valore estetico per la società di massa, sfruttando discipline di ogni tipo. Alla fine del corso l’allievo è dotato di una preparazione sia teorica che pratica ed è in grado di controllare la creazione di un oggetto dalle prime fasi ideative al prodotto finale.

“Una nuova comunità di artefici, senza le distinzioni di classe che provocano un’arrogante barriera tra artigiano e arte.”

Walter Gropius, 1919

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Nel 1926, dopo una disputa sui finanziamenti, il Bauhaus si trasferisce a Dessau, in un nuovo edificio progettato dallo stesso Gropius e dove la direzione passa a Hannes Meyer. L’edificio ha un’importanza fondamentale per lo sviluppo dell’architettura razionalista, cioè di una concezione del costruire basata su criteri essenziali, attenti principalmente alla funzione. L’edificio si sviluppa asimmetricamente in tre volumi edilizi, differenziati a seconda delle funzioni che devono ospitare (alloggi, aule, laboratori) e collegati da corpi di fabbrica nei quali si trovano i servizi comuni e gli uffici.

Ogni parte è geometricamente definita da volumi regolari, con tetti piani, finestre in lunghezza e ampie superfici vetrate nella zona dedicata ai laboratori, nei quali si arriva al massimo della produzione di oggetti e opere, infatti solo nel 1927 nasce una sezione di architettura nella scuola, aprendo di fatto una nuova fase nella storia del Bauhaus.

Quest’ultima fase della scuola vede una maggiore attenzione ai valori sociali della produzione che non a quelli estetici.

Esterno della Bauhaus di Dessau, 1926

Nel 1932, a causa delle pressioni politiche locali e nazionali il Bauhaus di Dessau viene chiuso. Per nove mesi Ludwig Mies van der Rohe ne dirige una versione in forma privata a Berlino, dove focalizza l’insegnamento della scuola sull’architettura e regola severamente le attività politiche degli studenti. L’anno successivo, non potendo continuare il proprio lavoro a causa dell’ostilità del regime nazista salito ormai al potere, viene definitivamente chiusa.

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Interno della Bauhaus di Dessau, 1926

JOHANNES ITTEN

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Pittore, designer e scrittore di origine svizzera, Johannes Itten è una delle figure più importanti del Bauhaus. Nato a Zurigo nel 1888, studia matematica e scienze naturali all’università, ma nel 1912 decide di dedicarsi alla pittura iscrivendosi all’Accademia di belle arti di Stoccarda dove è allievo del pittore astratto Adolf Hölzel. Quest’ultimo conduce ricerche sulle relazioni tra colore e suono e Itten ne eredita la passione per il colore e una propensione per metodi d’insegnamento poco convenzionali.

Helge Lindberg, Johannes Itten, 1915

Nel 1919 è chiamato da Walter Gropius a insegnare al Bauhaus, affidandogli il corso preliminare della scuola che consiste nello studio dei diversi materiali (carta, gesso, legno, vetro, ecc.) per sviluppare le capacità tattili e visive degli allievi e applicarle alla creazione artistica. Il metodo spirituale del suo insegnamento, nettamente in contrasto con l’impostazione razionalista di Gropius, porta al suo allontanamento dal Bauhaus nel 1923, continuando la sua attività didattica prima a Berlino e Zurigo.

Johannes Itten dedica tutta la sua vita da artista allo studio dei colori e secondo la sua visione, determinati rapporti tra i colori creano armonia dando equilibrio e simmetria alla composizione.

Nel 1961 pubblica il suo libro intitolato “Kunst der Farbe” (arte del colore) nel quale parla di come il colore sia un elemento d’impatto e di come in modo sottile trasmette sensazioni e informazioni. La classificazione dei colori viene fatta in base al loro aspetto estetico e comunicativo suddividendoli in primari, secondari e terziari.

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Ruota dei Colori, Johannes Itten, 1961

HERBERT BAYER

Riconosciuto come l’ultimo membro vivente della scuola del Bauhaus, Herbert Bayer sostiene l’integrazione di tutte le arti nel corso della sua carriera. Nato in Austria nel 1900, dopo i suoi studi in architettura a Darmstadt inizia a nutrire interesse per il Bauhaus diventando dal

Nel 1925 Walter Gropius gli commissiona la progettazione di un carattere tipografico da utilizzare per tutte le comunicazioni ufficiali della scuola. Seguendo l’approccio funzionalista, Bayer disegna il carattere denominato Carattere Universale, un sans-serif geometrico. Secondo lui, non solo non era necessario l’apporto delle grazie, ma neanche l’esistenza di lettere maiuscole.

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Bauhaus Dessau, Herbert Bayer, 1926

1921 al 1923 uno degli studenti. Entra in contatto con importanti figure del panorama artistico mondiale tra i quali Kandinskij e Itten, sviluppando uno stile visuale brusco ed essenziale nell’ottica di un minimalismo riduttivo, meglio conosciuto come basic design bidimensionale. Completati gli studi, con lo spostamento del Bauhaus nella piccola città di provincia di Dessau, Bayer viene nominato responsabile del laboratorio di tipografia e progettazione grafica.

Nel 1928 lascia la scuola del Bauhaus per diventare direttore artistico dell’ufficio berlinese della rivista Vogue. Dieci anni dopo, si stabilisce a New York dove si distingue per lungo tempo in quasi tutte le manifestazioni delle arti grafiche.

Nel 1938 inizia a dedicarsi alla fotografia, diventando il suo mezzo espressivo preferito e nelle sue opere fotografiche l’artista risente non soltanto dell’influenza del Bauhaus, ma anche di quello del surrealismo. Nel 1959 disegna il fonetik alfabet, un alfabeto fonetico per l’inglese dove le parole che terminano in -ed, -ory, -ing, e -ion hanno simboli speciali e le doppie consonanti sono indicate con una sottolineatura.

The Universal Typeface, Herbert Bayer, 1926

Fonetik Alfabet, Herbert Bayer, 1959

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JAN TSCHICHOLD

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Tra i principali teorici della tipografia e della progettazione del libro del Novecento, Jan Tsschichold nasce a Lipsia, in Germania, nel 1902. In questi anni Lipsia è una dei centri più importanti del paese per l’editoria, la stampa e il design di caratteri tipografici e in tale contesto Jan scopre ed impara a conoscere la tipografia classica. Dopo aver compiuto gli studi all’Accademia per le Arti Grafiche e la Produzione di Libri inizia a lavorare come freelance, e dal 1921 al 1923 lavora come assistente insegnando calligrafia in un corso serale presso l’Accademia di Lipsia.

Die Hose at Phoebus Palast, Jan Tschichold, 1927

Nel 1923 si reca a Weimar a visitare la prima mostra del Bauhaus, la quale risulta una rivelazione per la sua carriera.

In seguito comincia ad incorporare nel suo lavoro il funzionalismo del Bauhaus, le teorie del De Stijl e il Costruttivismo russo. Applica i nuovi approcci della scuola di Weimar usando caratteri san serif con layout semplificati, sviluppando nuovi principi della tipografia. Nel 1928 pubblica il saggio ‘Die neue Typo-

graphie’ con il quale diffonde i principi della Nuova Tipografia: si inizia a impaginare con criteri moderni dando prevalenza all’uso della fotografia, all’impaginazione asimmetrica e si sostituiscono i caratteri gotici e graziati con quelli a bastoni. A partire dal 1930 comincia a staccarsi dalla pubblicità e a orientarsi al design editoriale pubblicando nel 1935 uno dei suoi libri più diffusi: ‘Typographische Gestaltung’ (Design tipogra-

fico). Nel tempo inizia a rivedere le sue convinzioni in merito all’uso dei caratteri san-serif, arrivando alla conclusione che per i testi lunghi è meglio usare un carattere graziato. Nel 1967 sviluppa il carattere tipografico Sabon basandosi su una versione del font Garamond disegnata da Jakob Sabon e Conrad Berner precedentemente. Classico, elegante ed estremamente leggibile, il Sabon è una delle varianti Garamond più belle.

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Concept originale Sabon, Jan Tschichold, 1965

ERIC GILL

Artista poliedrico, Eric Gill nasce a Brighton, in Inghilterra, il 22 febbraio 1882.

Inizia i suoi studi dapprima presso la Chichester Technical and Art School quando la famiglia si trasferisce a Chichester, ma tre anni dopo si sposta a Londra dove ottiene la formazione come architetto e dove frequenta le lezioni serali al Westminster Technical Institute e alla Central School of Arts and Crafts dove studia calligrafia.

Eve in the Garden ex libris, Eric Gill, 1935

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Personaggio eccentrico e con un profondo senso religioso, tutte le sue opere riflettono le sue convinzioni politiche e religiose, difatti pubblica numerosi saggi sul rapporto tra arte e religione e diventa famoso anche per la produzione xilografica di pregevoli ex libris.

Nel 1928 progetta il carattere tipografico Gill Sans. Le prime lettere vengono disegnate a mano, in maiuscolo, per l’insegna di una libreria di Bristol e successivamente gli viene commissionata la produzione dell’intero alfabeto dalla fonderia Monotype. Viene scelto successivamente come corporate identity della London Underground.

Basato sull’ “Underground Alphabet” di Edward Johnston del 1916, il Gill Sans è un carattere moderno e senza grazie, ispirato alle lettere classiche romanee e per tale motivo viene definito come carattere umanistico. Pur essendo un carattere lineare e bilanciato, mantiene quel calore che altri caratteri dello stesso periodo, di derivazione puramente geometrica, non possiedono. Ha un’ottima leggibilità data dalle diverse dimensioni delle lettere (la c è molto larga, la a più contenuta e la e più piccola) e il suo corsivo è stato uno dei più rivoluzionari della sua epoca. A questo va aggiunto l’enorme set di pesi sviluppati dalla Monotype, che rendono il carattere estremamente versatile.

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PAUL RENNER

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Paul Renner rappresenta un punto di riferimento del graphic design moderno, un ponte tra la tradizione del 19 ° secolo e il moderno del 20 ° secolo. Sebbene non sia mai stato direttamente affiliato al movimento del Bauhaus, sostiene fortemente i suoi principi e obiettivi. Nato il 9 agosto 1878 in Germania, dopo gli studi di pittura a Berlino, Monaco e Karlsruhe, dal 1925 al 1926 insegna grafica pubblicitaria e tipografia presso la scuola di arte di Francoforte.

L’anno successivo insegna alla scuola di formazione professionale di grafica a Monaco dove nel 1927 ne diventa il direttore. Renner è membro di spicco del Deutscher Werkbund (Federazione tedesca del lavoro), e partecipa agli accesi dibattiti ideologici e artistici di quel tempo, e prende posizione contro il movimento nazista rendendo la sua posizione molto chiara con la pubblicazione del suo scandaloso opuscolo nel 1932 intitolato Kulturbolschewismus (Bolscevismo culturale).

Dopo che i nazisti prendono il potere nel 1933, Paul viene arrestato e licenziato dal suo incarico a Monaco ed emigra in Svizzera. Tra il 1927 e il 1931 progetta il carattere tipografico Futura su commissione della fonderia Bauer Type che poi viene utilizzato all’interno del progetto di costruzione di case popolari Neus Frankfurt. Creato a partire da un carattere disegnato da un suo allievo della Graphische Berufschule di Francoforte, il carattere tipografico è senza grazie e si basa su forme geometriche come il triangolo, il quadrato e il cerchio.

Plaque Apollo 11, 1969

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Futura, Paul Renner

La prima versione del carattere utilizza una geometria troppo rigorosa che ne impedisce la leggibilità immediata delle lettere, così Renner nella versione definitiva applica delle correzioni ottiche per migliorarne la percezione assottigliando alcuni tratti delle lettere. Nel maiuscolo le lettere triangolari e tonde superano leggermente l’allineamento.

Il font entra nella storia anche perché la targa lasciata sulla luna nel luglio del 1969 dopo il primo allunaggio è incisa proprio con questo carattere.

RIELABORAZIONE

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Bauhaus Exhibition poster, 1923

iPhone Exhibition Samanta Sediek, 2020

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RIELABORAZIONE

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Manifesto pubblicitario Noreen Herbert Bayer, 1923

Super color Barbie, Giulia Corona, 2020

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RIELABORAZIONE

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Tube map, Harry Beck, 1931

RayBan map, Sara Bianchi, 2020

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La psicologia della Gestalt, parola che in tedesco significa “forma”, è una corrente psicologica che si sviluppa in Germania nel 1923 quando Max Wertheimer insieme ad altri psicologi danno vita all’omonima teoria incentrata sui temi della percezione visiva e della forma. Il concetto alla base della Gestalt è molto semplice: il tutto è diverso dalla somma delle singole parti. Questa frase significa che noi esseri umani percepiamo gli elementi in modo diverso a seconda dell’insieme di cui fanno parte..

In sostanza, da ogni esperienza percet-

LA GESTALT tiva si ottiene un’ immagine totale a cui la mente attribuisce un significato, derivante da singoli dettagli che fungono da sfondo della figura. La capacità di cogliere il tutto nella sua interezza è una dote innata in ognuno di noi e ci consente di dare un senso a ogni percezione. Quindi, l’oggetto è da noi percepito nella sua totalità prima che nelle singole parti da cui è composto.

“Il tutto è diverso dalla somma delle singole parti.”

Kurt Koffka

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Una serie di principi sono quelli che cercano di comprendere i diversi criteri secondo i quali la nostra mente raggruppa determinati elementi visivi. Si parte dal principio di prossimità il quale ci indica che gli elementi vicini tra loro vengono percepiti come un gruppo unico. Nell’illustrazione di fianco a destra di fatti tendiamo a cogliere in gruppo le righe rispetto alle colonne.

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Il principio della buona forma si basa sulla naturale tendenza della mente umana al chiudere o completare figure aperte. L’ esempio di fianco è uno dei più famosi e raffigura il triangolo di Kanizsa, un’illusione ottica ideata nel 1955 dallo psicologo italiano Gaetano Kanizsa. In questa figura vengono percepiti due triangoli equilateri anche se nessuno dei due è definito completamente.

I PRINCIPI FONDAMENTALI

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Il principio della somiglianza tende invece a farci percepire maggiormente coesi tra loro gli elementi che presentano caratteristiche comuni come forma, dimensione o colore rispetto agli altri presenti. Nell’esempio di fianco ho utilizzato volutamente la stessa composizione del caso precedente, ad eccezione del colore e di conseguenza la nostra percezione di gruppo è cambiata.

a

x

b

y

Il principio di buona continuità si basa sulla nostra mente che ricerca sempre una continuità visiva lungo una direzione, anche se le figure che osserviamo sono distaccate. Nell’ esempio di lato si nota come l’occhio prediliga i percorsi più armoniosi. I gruppi AB e XY infatti sono facili da individuare rispetto ad altre combinazioni legate da percorsi più tortuosi.

Il principio del destino comune ci indica che gruppi di elementi con lo stesso destino (ad esempio segmenti paralleli) vengono coesi tra loro, rispetto ad elementi con destino differente (linea trasversale, nel caso dell’illustrazione sottostante). Quindi, tutti gli elementi che generano un movimento verso una direzione comune all’interno di una composizione vengono percepiti come un unico gruppo.

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Il principio di figura-sfondo spiega come in un’immagine, determinati elementi assumono un ruolo di primo piano come soggetto mentre altri passano in secondo piano come sfondo. Di fianco è un’altra famosissima illusione ottica: il vaso di Rubin. Focalizzando la nostra attenzione sullo sfondo o sull’elemento in primo piano possiamo distinguere figure diverse: due volti speculari oppure un vaso.

Il principio dell’esperienza ci permette di comprendere il fatto che la memoria dell’uomo regola automaticamente linee mancanti tipiche di figure già conosciute, ad esempio le lettere che compongono l’alfabeto come nell’esempio di fianco. L’ultimo principio invece è quello della pregnanza o buona forma. L’essere umano è in grado di regolare automaticamente con la sua percezione gli elementi che non è abituato a vedere in un determinato modo. Ad esempio, tutti noi siamo abituati a pensare che un quadrato poggi su un lato e non su un vertice, di conseguenza il primo quadrato dell’esempio tendiamo a regolarlo mentalmente, ottendendo il secondo rappresentato accanto.

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Lo stile tipografico internazionale (International Typographic Style) è uno stile grafico che si sviluppa in Svizzera negli anni cinquanta e che ha una profonda influenza sul graphic design come parte del movimento modernista. Caratteristiche ricorrenti di questo stile sono l’utilizzo di caratteri a bastoni come l’Akzidenz Grotesk (carattere prodotto dalla fonderia di caratteri tedesca H. Berthold AG nel 1896), l’uso di griglie compositive, layout asimmetrici con una particolare attenzione agli spazi bianchi ed una preferenza per la fotografia

Copertina della rivista Neue Grafik, Carlo Vivarelli, 1958

LO STILE ITS anzichè per le illustrazioni. Questo stile nasce dal desiderio di rappresentare le informazioni in modo oggettivo, privo di significato associato, trasmettendo messaggi in modo chiaro e universalmente semplice, senza alcun accenno al decorativismo. La tipografia è usata come elemento di design primario oltre al suo uso nel testo. Da qui difatti deriva il nome della corrente.

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RICHARD PAUL LOHSE

Partendo da esperienze post-cubiste, matura nel tempo uno stile caratterizzato da composizioni che fanno riferimento a griglie ortogonali e basato su moduli geometrici semplici e accostamenti graduali di colori. Le sue opere nascono dalla concezione di un’arte in cui colore, spazio e movimento costituiscono gli elementi oggettivi di una rappresentazione seriale, calcolata, puntualmente controllata: bande verticali e orizzontali, su un rigoroso tracciato geometrico di colori puri, propongono un mondo di assoluta razionalità, autonomo rispetto al reale.

Nato a Zurigo nel 1902, Paul Richard Lohse è uno dei principali esponenti della Scuola svizzera. Inizia i propri studi alla Kunstgewerbschule di Zurigo, ed a partire dal 1918 intraprende sia l’attività di grafico che quella di pittore: viene assunto dall’agenzia pubblicitaria Max Dalang e al contempo inizia a dipingere da autodidatta.

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Membro dell’ associazione svizzera Allianz, un’associazione di artisti moderni svizzeri fondata assieme a Leo Luppi nel 1937, Paul è considerato tra i più importanti esponenti dell’arte concreta.

Nel 1958 fonda assieme a Josef Müller-Brockmann, Hans Neuburg e Carlo Vivarelli la rivista Neue Grafik. Le pubblicazioni andranno avanti per 18 numeri, dal settembre del 1958 fino al febbraio del 1965. Obiettivi principali della rivista saranno quelli di divulgare la nuova grafica moderna svizzera, commentare opere influenti, e costituire un tavolo di discussione per i principi spirituali e artistici della grafica contemporanea.

Fifteen Systematic Color Rows with Vertical Condensations, Richard Paul Lohse, 1950-68

Allianz Helmhaus Zürich, Richard Paul Lohse, 1954

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JOSEF MÜLLER-BROCKMAN

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Designer e grafico svizzero, Josef Müller Brockman è un altro importante esponente della Scuola Svizzera. Inizia gli studi in architettura, design e storia dell’arte all’Università di Zurigo compiendo poi il proprio apprendistato artistico. Nel 1936 apre uno studio che si occupa di arte commerciale, allestimenti e fotografia curando in particolare gli allestimenti per la Swiss National Exhibition e disegna le scenografie per i teatri di Zurigo, Monaco e Copenaghen.

5. Frühjahrskonzert der Tonhalle-Gesellschaft, Josef Müller-Brockmann, 1953

Nel 1958 fonda assieme a Richard Paul Lohse la rivista Neue Grafik. Negli anni realizza numerosi poster per eventi sociali, politici e culturali come quello sulla sicurezza stradale promossa dall’Automobil Club svizzero nel 1954 e “Weniger lärm”, campagna contro l’inquinamento acustico nel 1960. L’anno successivo pubblica uno dei suoi volumi più importanti: “Gestaltungsprobleme des Grafikers”, nel quale analizza le basi della progettazione grafica ed espone varie metodologie di perfezionamento.

Nel 1966 è nominato consulente di design per IBM Europa.

Riconosciuto per il suo design semplice, l’uso pulito della tipografia, delle forme e dei colori, Müller-Brockmann ritiene che i migliori valori di un progetto grafico siano la semplicità e la chiarezza.

Come altri esponenti della scuola svizzera, compone i propri manifesti pubblicitari a partire da griglie modulari ortogonali ma a differenza loro introduce elementi diagonali in grado di conferire all’opera un effetto dinamico.

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Das Freundliche Handzeichen Josef Müller-Brockmann, 1954

MAX BILL .05 | RIORGANIZZARE

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Artista poliedrico, Max bill è tra i principali teorici dell’arte concreta, ovvero un movimento che si oppone alla figurazione e al realismo. Nato a Winterthur nel 1908, la sua formazione inizia nella scuola di arti applicate di Zurigo, ma nel 1927 è allievo del Bauhaus nella sede di Dessau. In questo ambito ha la possibilità di incontrare artisti tra cui Vasily Kandinsky, Paul Klee e Walter Gropius.

Dal 1932 al 1936 è membro del gruppo parigino denominato Abstraction-Création i quali promuovono la diffusione dell’arte astratta e con cui Bill espone per la prima volta nel 1933.

Come Richard Paul Lohse, aderisce nel 1937 all’ Allianz e nella sua carriera ha continui contatti con i maggiori artisti ed architetti del suo secolo come Le Corbusier, Piet Mondrian e Max Ernst.

Dal 1948 Max Bill è anche impegnato nella didattica tenendo alcuni corsi all’Istituto Tecnico Superiore a Darmstadt e nel 1951 è cofondatore dell’Istituto Superiore per la progettazione “Hochschule für Gestaltung” a Ulma (HfG Ulm), con Inge Scholl, Otl Aicher, e

Hans Werner Richter diventando in seguito il direttore delle sezioni architettura e forma-prodotto. Questo istituto, che segue i principi del Bauhaus, è il più innovativo di quegli anni ed ha un’ enorme influenza nel campo dell’Industrial Design, tanto da creare una tendenza nota come scuola di Ulm. Nel 1957 Bill abbandona la scuola perché non ne condivide più le linee guida. Dal 1967 al 1974 è insegnante di progettazione ambientale all’Istituto superiore delle arti figurative di Amburgo.

USA Baut, Max Bill, 1945

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Poster, Max Bill

Nel corso della sua carriera Bill ha elaborato con rigorosa coerenza un linguaggio la cui struttura geometrica ha una matrice logica di forme semplificate fino all’elementare. La creazione artistica è per lui è visualizzazione di idee astratte, liberamente immaginate, in forme otticamente percepibili attraverso i colori, lo spazio, la luce, il movimento.

MAX HUBER .05 | RIORGANIZZARE

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Grafico e designer svizzero svolge la sua professione prevalentemente in Italia.

Inizia i suoi studi come incisore alla Kunstgewebeschule di Zurigo ma ben presto si indirizza verso una cultura visiva di stampo contemporaneo, influenzata dai movimenti d’avanguardia dell’epoca tra cui il futurismo russo. Nel 1940 si stabilisce a Milano dove collabora con la realtà grafica più importante dell’epoca, lo studio Boggeri, studiando contemporaneamente all’Accademia di Brera ed entrando in contatto con designer quali Bruno Munari e Albe Steiner.

Dopo una parentesi in Svizzera dove lavora dal 1941 al 1945 per la rivista Du e prende parte all’Allianz (artisti d’arte astratta), torna in Italia e inizia la collaborazione con la casa editrice Einaudi e Borsalino, per i quali rinnova tutta la grafica. Nel 1948 studia la grafica della nuova testata economico-finanziaria 24 Ore, nel 1950 su richiesta dell’architetto Pagani, inizia una collaborazione grafica all’interno dell’ufficio pubblicitario del grande magazzino Rinascente per il quale realizza il marchio e logotipo.

La sua attività lo porta a distinguersi anche nel campo editoriale lavorando con importanti aziende quali Olivetti, Esselunga, Feltrinelli, Istituto Geografico De Agostini. Con Achille Castiglioni e Erberto Carboni progetta importanti allestimenti per la RAI ed ENI. Nella sua carriera è attivo anche nel campo dell’insegnamento, presso l’Umanitaria di Milano dal 1959 al 1962, alla Scuola Politecnica di Design e successivamente alla CSIA di Lugano.

Marcel Breuer, Max Huber, 1957

La Rinascente, Max Huber, 1951

Supermarket Esselunga, Max Huber, 1957

Il jazz, passione che Huber coltiva fin da giovane, ha un ruolo molto importante nelle sue opere. L’influenza del jazz deriva da i suoi incontri con Louis Armstrong e dalla sua amicizia con il musicologo Roberto Leydi, storico critico musicale. Max disegna diversi progetti di comunicazione per attività connesse con l’ambiente musicale: riviste, poster, copertine per dischi, scenografie e interni. Da qui il suo lavoro si concentra sulle sperimentazioni fotografiche combinato con l’uso di forme audaci e colori primari che vengono stampati direttamente l’uno sull’altro (sovrastampa).

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BRUNO MUNARI

Questo movimento nasce con il fine di dare impulso all’arte non figurativa, in particolare ad un tipo di astrattismo libero da ogni imitazione e riferimento con il mondo esterno, con un orientamento prevalentemente geometrico.

Munari diventa consulente aziendale, lavora come art director, disegna e produce libri per l’infanzia e nel 1967 tiene presso la Harvard University un ciclo di cinquanta lezioni sui temi della comunicazione visiva.

Designer, scultore e scrittore italiano, Bruno Munari è considerato uno dei massimi protagonisti dell’arte, del design e della grafica del 20° secolo. Ha sempre mantenuto inalterata la sua estrosa creatività a sostegno dell’indagine costruttiva della forma attraverso sperimentazioni visive e tattili con una grande capacità di comunicarla attraverso parole, oggetti e giocattoli.

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Macchina Inutile, Bruno Munari, 1935-1994

Nato a Milano nel 1907, appena diciottenne entra in contatto con gli ambienti futuristi di seconda generazione influenzati dalla lezione di Filippo Tommaso Marinetti, esponendo alle Biennali di Venezia del 1932,1934 e 1936. È tra i primi ad occuparsi di strutture mobili in filo di ferro e sculture cinetiche che chiama Macchine Inutili, per poi proseguire nel mondo della grafica collaborando con numerose riviste dove si occupa di illustrazione. Nel 1948, a Milano fonda il MAC (Movimento Arte Concreta) assieme a Gillo Dorfles, Gianni Monnet e Atanasio Soldati.

Fautore di un’arte organica in continua trasformazione, propone opere come risultato estremamente moderno di più discipline. Nel 1949 presenta per la prima volta le sue teorie nel Manifesto del meccanismo, seguito da altri manifesti.

A partire dagli anni Settanta approfondisce i suoi interessi in ambito didattico e contribuisce al rinnovamento teorico e pratico dell’insegnamento artistico creando la prima struttura abitabile trasformabile, L’Abitacolo. Gli sono state conferite molte onorificenze in onore della sua attività vastissima e in tutto il mondo si fanno mostre a lui dedicate.

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Curva di Peano, Bruno Munari, 1996

ALBE STEINER .05 | RIORGANIZZARE

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Nato a Milano nel 1913, Albe Steiner cresce con la cultura visiva del Bauhaus e sostenitore del collegamento tra attività artistica e impegno politico e sociale, ha dato un fondamentale contributo attraverso la ricerca di un linguaggio visivo privo di formalismi allo sviluppo della grafica italiana degli anni Cinquanta e Sessanta. Dopo gli studi contabili, inizia a lavorare come graphic designer collaborando con lo Studio Boggeri e partecipando alla mostra Triennale.

Dopo un viaggio negli Stati Uniti, si unisce alla Resistenza e progetta una serie di opuscoli clandestini e periodici. Nel 1945 disegna The Reconstruction Exhibition e la rivista comunista Il Politecnico. Dopo la guerra trascorre due anni in Messico e una volta tornato a Milano viene nominato direttore artistico di La Rinascente. Allo stesso tempo lavora per Olivetti, Piccolo Teatro, Pirelli e altre grandi aziende. Lavora molto anche nel campo dell’editoria, progettando molte copertine e serie di libri per Editori Riuniti, Feltrinelli e molti altri, scrivendone lui stesso alcuni.

Successivamente tiene corsi all’Università di Venezia, all’ISIA di Urbino e negli istituti d’arte di Parma, Roma e Firenze.

Nel 1963 apre a Reggio Emilia il primo “magazzino a libero servizio” e disegna quello che diventa il marchio della Coop. Inoltre, collabora con enti e istituzioni culturali come la Rai, il Piccolo Teatro, la Triennale di Milano, il Teatro popolare italiano, Italia ‘61 e la Biennale di Venezia. È socio fondatore dell’Associazione per il Disegno Industriale, membro dell’AGI Alliance Graphique Internationale e dell’International Center of Typographic Arts.

Contenitori Pirelli, Albe Steiner, 1959

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BOB NOORDA .05 | RIORGANIZZARE

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Nato ad Amsterdan nel 1927, Bob Noorda si diploma nel 1950 all’IVKNO (istituto per l’educazione alle arti industriali) dove riceve una educazione razionalista ispirata ai principi del Bauhaus che saranno presenti durante la sua carriera di designer. Noorda lavora come freelance nella capitale olandese fino al 1954, anno in cui prende la decisione di trasferirsi a Milano, dove inizia a operare in tutti i settori del visual design.

Linea 1, Bob Noorda, 1963

Tra la metà del 1950 e i primi anni del 1960 si occupa delle campagne pubblicitarie della Pirelli e allo stesso tempo collabora con La Rinascente e la Olivetti. In particolare, l’esperienza in Pirelli gli dà modo di entrare in contatto con molti designer come Max Huber, Bruno Munari, Albe Steiner e Antonio Boggeri. Durante questi anni collabora assieme agli architetti Franco Albini e Franca Helg alla progettazione grafica della metropolitana milanese inaugurata nel novembre del 1964. Noorda, in particolare, venne affidato l’incarico di occuparsi dell’identità visiva e della segnaletica del nuovo sistema di trasporti.

Nel 1965, insieme al designer milanese Massimo Vignelli, fonda l’agenzia grafica Unimark International, dove Noorda dirige gli uffici milanesi mentre Vignelli si occupa della sede di New York. Unimark ha sede in cinque paesi e si contraddistingue per un approccio moderno al design per clienti internazionali come Knoll, IBM e American Airlines.

Nel 1967 riceve insieme a Vignelli l’incarico di progettare la comunicazione visiva della metropolitana di New York, e successivamente anche quella di San Paolo, in Brasile.

The New York City Transit Authority, 1970

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Logo Coop, Bob Noorda, 1985

Dopo la chiusura dello studio nel 2000, Noorda e la moglie fondano il Noorda Design e accanto a quest’attività si dedica all’insegnamento. Bob durante la sua carriera progetta le identità aziendali di molte grandi aziende e istituzioni, tra cui Agip, Arnoldo Mondadori, Regione Lombardia, Total e la Biennale di Venezia. Disegna anche molte serie di libri e copertine per Feltrinelli, Sansoni e Vallecchi. Nel 1985 ridisegna il logo della Coop, rendendo più spesse le lettere rispetto alla versione precedentemente sviluppata da Albe Stainer del 1973.

HERMAN ZAPF Nato nel 1918 a Norimberga, in Germania, Herman Zapf entra a far parte come apprendista della tipografa Karl Ulrich and Company. Nel 1935, Zapf partecipa a una mostra a Norimberga in onore del tipografo Rudolf Koch e gli dà modo di scoprire il suo interesse per le lettere.

Acquista due libri e li usa per insegnare a se stesso la calligrafia.

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Zapf è tra i pionieri della tipografia computerizzata, conduce un seminario di progettazione presso il Rochester Institute of Technology, dove collabora con scienziati informatici. Inventa un programma di composizione chiamato programma Hz, che in seguito ha informato la progettazione del software di desktop publishing Adobe InDesign.

Nel 1977 crea più di mille semplici simboli, un sottoinsieme dei quali è stato selezionato per il carattere Zapf Dingbats, (i Dingbats sono un tipo di carattere in cui i simboli sono rappresentati da lettere e numeri).

Nello stesso anno è nominato professore di programmazione informatica tipografica presso il Rochester Institute of Technology di New York. Dal suo primo carattere di testo progettato quando aveva solo 20 anni (Gilgengart), passando per più di 200 altri fino ai giorni nostri, il lavoro di Zapf ha raggiunto un successo popolare senza pari, pur mantenendo un livello estetico. Molti dei suoi font più popolari come il Palatino e l’ Optima, sono presenti sulla maggior parte dei computer di casa. Il font Optima è selezionato per i nomi incisi sul Vietnam War Memorial.

Concept Optima, Herman Zapf, 1970

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Vietnam War Memorial, 1973

MAX MIEDINGER

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Nato a Zurigo il 24 dicembre 1910, Max Miedinger ha 16 anni quando viene spinto dal padre a iniziare la sua carriera nel visual design come apprendista tipografo in un ufficio di stampa di libri.

Dal 1930 al 1936 si forma come tipografo e frequenta corsi serali presso la Scuola di Arti e Mestieri di Zurigo. Diversi anni dopo entra a far parte dello studio pubblicitario del grande magazzino Globus come tipografo.

Dopo aver lavorato lì per 10 anni, diventa consulente clienti e rappresentante di vendita per fonderia Haas’sche Schriftgießerei di Münchenstein fino al 1956, anno in cui inizia l’attività di artista grafico freelance. Nel 1954 crea il suo primo tipo di carattere: Pro Arte, un serif condensato. Nel 1957 gli viene chiesto di progettare un nuovo carattere tipografico sans serif per la pubblicità rappresentativa della fonderia Haas: crea così il carattere tipografico più utilizzato del XX secolo, il Neue Haas Grotesk, che noi conosciamo come Helvetica.

Dapprima denominato Neue Haas Grotesk, il nome è successivamente cambiato in Helvetica (derivato da Helvetia, il nome latino per la Svizzera), quando le società tedesche Stempel e la Linotype introdussero sul mercato la serie completa di caratteri nel 1961. La popolarità del carattere svizzero è immediata e viene usato molto nelle agenzie di pubblicità, nei marchi aziendali, nel signage per i sistemi di trasporto, nelle stampe d’arte ed in altri innumerevoli campi della comunicazione d’impresa.

Helvetica, New York subway signage

277 Nel dicembre 1989, grazie all’intervento di Massimo Vignelli, l’Helvetica diventa il carattere tipografico ufficiale per l’intera segnaletica della città di New York, dalla metropolitana ai treni, dai cartelli stradali alle mappe della città e nel 1984, viene incluso nei caratteri di sistema Macintosh. Con la sua personalità asettica ed essenziale, Helvetica evoca la classe degli anni ’60 e il linguaggio della pubblicità di quel periodo. Il suo successo nasce dalle sue cinque caratteristiche principali: è neutrale, pulito, leggibile e versatile.

RIELABORAZIONE

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Borsalino, Max Huber, 1951

Nintendino Wii, Lisa Bramandi, 2020

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RIELABORAZIONE

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Le forchette parlanti, Bruno Munari, 1958

Le bic parlanti, Virginia Monteverdi, 2020

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RIELABORAZIONE

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La Rinascente, Max Huber, 1954

Rinascente Nikon, Manuela Agus, 2020

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Isotype (acronimo di International System of Typographic Picture Education) è un sistema basato su pittogrammi, progettato dall’insegnante e filosofo austriaco Otto Neurath e dall’illustratore Gerd Arntz per comunicare le informazioni in modo semplice e visuale, senza l’utilizzo (o con un uso limitato) della lingua scritta e parlata così da sviluppare “una lingua mondiale senza parole”, ispirata ai geroglifici. Questo sistema ha il compito di diffondere informazioni quantitative con obiettivi sociali. Le caratteristiche di ogni segno del

ISOTYPE sistema sono semplicità, riconoscibilità, immediatezza: i segni non devono essere troppo dettagliati, ma devono essere comprensibili senza l’aiuto di parole.

La tavolozza cromatica viene limitata, suggerendo l’uso di solo 7 colori sufficientemente differenti tra loro da essere sempre identificati dall’osservatore: bianco, blu, verde, giallo, rosso, marrone e nero.

140.Auktion, Gerd Arntz,1978

“Un’immagine che fa un buon uso del sistema deve trasmettere tutte le informazioni importanti riguardo all’elemento che rappresenta. Al primo sguardo si vedono gli elementi più importanti, al secondo i meno importanti, al terzo i dettagli. Al quarto, non dovrebbe cogliersi più nulla”.

Otto Neurath

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GERD ARNTZ

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Nato l’11 dicembre 1900 a Remscheid (Germania), Gerd Arntz inizia i suoi studi in un’accademia privata a Düsseldorf per poi frequentare successivamente la scuola di arti applicate a Barmen. Nella sua vita viaggia molto per l’Europa ed è un membro chiave del gruppo artistico Progressive di Colonia, un gruppo che si occupa non solo di questioni sociali e politiche, ma anche della capacità del pubblico di comprendere questi concetti, infatti Arntz cerca di usare la sua arte come metodo per fornire informazioni cruciali alle masse.

Dal 1926 collabora con Otto Neurath nella progettazione di pittogrammi per il Metodo di statistica pittorica di Vienna (Wiener Methode der Bildstatistik) in seguito ribattezzato Isotype. Progettato con circa 4.000 pittogrammi che vengono intagliati nel legno rendendoli replicabili, questo nuovo metodo ha l’obbiettivo di comunicare informazioni quantitative sulla società, l’economia e la politica attraverso immagini semplici.

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Bespiegelung II, Gerd Arntz,1932

OTL AICHER 288

Graphic designer e tipografo tedesco, Otl Aicher nasce il 13 maggio 1922 a Ulm, ma essendo un oppositore tenace del nazismo, viene arrestato nel 1937 per essersi ribellato ad Hitler. Arruolatosi nell’esercito tedesco, nel 1946 dopo la conclusione della guerra, Aicher si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Monaco per studiare scultura e nel 1953, in collaborazione con sua moglie e Max Bill, fonda la Ulm School of Design. In breve tempo diventa un istituto d’arte di successo e si trasforma in uno dei centri scolastici primari della Germania per l’insegnamento del design fino alla sua chiusura nel 1968.

Inoltre Aicher, avendo un vivo interesse per il marchio aziendale, nel 1969 accetta di progettare il nuovo logo per la compagnia aerea tedesca Lufthansa.

Nel 1972 invece, viene incaricato di curare gli aspetti della comunicazione visiva per i Giochi Olimpici a Monaco di Baviera. Le istruzioni ricevute dagli organizzatori includono che il design deve integrare l’architettura dello stadio di nuova costruzione, così Aicher crea una serie di pittogrammi che rappresentano gli sport di tale edizione.

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Ulm School of Design, 1953

Questi pittogrammi hanno l’intenzione di sviluppare un’interpretazione visiva dello sport presentato dallo stadio. L’ attenta creazione di pittogrammi aiuta di fatti atleti e visitatori ad orientarsi nel villaggio olimpico e nello stadio. Usa il carattere tipografico Univers. È autore inoltre del logo, un sole attraversato da una spirale. Nel 1888, Aicher sviluppa la famiglia di caratteri Rotis. Il logo dell’aeroporto di Monaco con la lettera M in un semplice carattere sans-serif è un’ altra delle sue creazioni più belle.

Logo Lufthansa, Otl Aicher, 1969

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RIELABORAZIONE

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Arbeitslose, Gerd Arntz, 1930

Rayban in history, Sara Bianchi, 2020

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RIELABORAZIONE

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Volkshochule Ulm, Otl Aicher, 1947

iPhone Xr, Samanta Sediek, 2020

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RIORGANIZZATO a cura di Samanta Sediek

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Dal Modernismo Americano al Push Pin Studio, passando per il design psichedelico

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Il modernismo americano, molto simile al movimento del modernismo in generale, è una tendenza del pensiero filosofico derivante dai cambiamenti diffusi nella cultura e nella società nell’età della modernità. Il modernismo americano è un movimento artistico e culturale negli Stati Uniti a partire dall’inizio del XX secolo, con un periodo centrale tra la prima e la seconda guerra mondiale. Come il suo omologo europeo, il modernismo americano deriva dal rifiuto del pensiero illuminista, cercando di rappresentare meglio la realtà in

essere affrontata solo nelle accademie, nei teatri o nelle sale da concerto, ma è inclusa nella vita quotidiana e accessibile a tutti. Inoltre, le istituzioni culturali concentrate sull’arte e gli studiosi prestano poca attenzione agli stili rivoluzionari del modernismo. I progressi economici e tecnologici negli Stati Uniti durante i ruggenti anni Venti danno vita a un utopismo diffuso, che influenza alcuni artisti modernisti, mentre altri sono scettici sull’abbraccio della tecnologia.

La vittoria nella prima guerra mondiale conferma lo status degli Stati Uni-

un nuovo mondo più industrializzato.

Tipicamente, l’arte modernista ha una tendenza all’astrazione, è innovativa, estetica, futuristica e autoreferenziale.

Include arte visiva, letteratura, musica, film, design, architettura e stili di vita.

Reagisce contro lo storicismo, le convenzioni artistiche e contro l’istituzionalizzazione dell’arte. L’arte non deve

ti come attore internazionale e dà alla gente sicurezza e fiducia. In questo contesto, il modernismo americano ha segnato l’inizio dell’arte americana come distinta e autonoma dal gusto europeo, rompendo le convenzioni artistiche che sono modellate secondo le tradizioni europee fino ad allora.

Il movimento modernista durante gli

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MODERNISMO AMERICANO Westvaco Inspirations 216, war between the States, Brandbury Thompson, 1961

anni formativi diventa popolare anche a New York City nel 1913 presso la famosa galleria di studio di Manhattan di Wilhelmina Weber Furlong (1878-1962) e attraverso il lavoro del Whitney Studio Cub nel 1918. Secondo Davidson, l’inizio della pittura modernista americana può essere datata agli anni ’10.

La prima parte del periodo dura 25 anni e si conclude verso il 1935, quando

l’arte moderna viene definita come, quella che Clement Greenberg chiama l’avanguardia.

L’inizio del XX secolo è caratterizzato dall’esplorazione di diverse tecniche e modi di espressività artistica.

Lo spostamento della messa a fuoco e la molteplicità dei soggetti nelle arti visive è anche un segno distintivo dell’arte modernista americana.

Expand yourself Learn, Paul Rand, 1975

Love, Bradbury Thompson, 1984

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PAUL RAND

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Magnet, Paul Rand, 1960

Logo IBM, Paul Rand,1956

Paul Rand è una leggenda del design grafico. Durante la sua lunga carriera di 60 anni, cambia l’opinione americana sulla comunicazione visiva. Con i suoi progetti editoriali, pubblicità e opere di identità visiva, Rand porta negli Stati Uniti idee europee d’avanguardia, mescolando arti visive e design commerciale. Le sue combinazioni colorate, l’approccio alla tipografia e l’uso dei media

traducono il suo desiderio di “diffamare l’ordinario”. Di conseguenza, il suo stile ha ancora oggi un forte impatto sul design grafico.

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Rand lascia il segno negli anni ‘30 con uno stile audace e modernista, progettando riviste e copertine di libri pochi anni dopo. Porta venti di cambiamento in Madison Avenue creando pubblicità ispirate alla famosa scuola tedesca Bauhaus o movimenti come De Stijl o il costruttivismo russo. Rand è convinto che la forza del design grafico risieda nella sua capacità di essere un linguaggio universale, attraverso la semplicità e la geometria delle sue forme. Dopo la guerra, dal 1955 in poi, si distingue per identità grafiche progressiste al servizio degli interessi delle aziende.

Come direttore artistico, contribuisce a trasformare l’industria pubblicitaria sottolineando l’importanza della grafica rispetto alla scrittura. Ha prodotto loghi per grandi aziende come IBM, ABC, UPS o NeXT di Steve Jobs, ancora leggendari e quasi invariati fino ad oggi.

“Ci si rende presto conto che la semplicità e la geometria sono il linguaggio di atemporalità e universalità” Paul Rand

SAUL BASS Saul Bass è un progettista grafico statunitense che realizza famosissimi loghi e immagini coordinate per numerose celebri aziende, ma soprattutto viene ricordato come l’uomo che ha fatto diventare le sequenze introduttive dei film una forma d’arte.

Durante il corso della sua carriera straordinariamente produttiva, Bass occupa numerosi ruoli: art director, designer, fotografo, illustratore e regista.

Bass è famoso per l’ uso di semplici

Locandina per The shining, Saul Bass,1980

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Poster per l’Internetional design conference ad Aspens, Paul Rand, 1982

Anatomy of a Murder, Saul Bass, 1959

forme geometriche dotate di una forte simbologia.

Nella sua grafica una sola immagine dominante fornisce un potente messaggio.

Queste forme, nonché la scelta tipografica, sono spesso tratte dalla sua mano per creare un aspetto casuale, che rivela sempre un messaggio.

La sua capacità di creare un potente messaggio, con forme di base rende il suo lavoro ancora più impressionante.

BRADBURY THOMPSON Bradbury Thompson (1911–1995) è uno dei giganti del design grafico del 20° secolo ed è riconosciuto per i suoi successi da tutte le principali organizzazioni di design americane: National Society of Art Directors (1950), AIGA Gold Medal (1975) e Art Directors Hall of Fame (1977).

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La sua carriera è segnata da molti trionfi, ma tre spiccano in modo evidente come esemplari della sua versatilità.

Come progettista di oltre 60 numeri (1939–1962) di Westvaco Inspirations, una rivista promozionale pubblicata dalla Westvaco Paper Corporation, raggiunge migliaia di tipografi, acquirenti di stampe e studenti. Ha una straordinaria capacità di fondere l’organizzazione tipografica modernista con caratteri tipografici classici e illustrazioni storiche, il tutto condito da un sentimento affettuoso e un gusto impeccabile.

Un altro trionfo è la pubblicazione di The Washburn College Bible, la rivalutazio-

Pagine di Westvaco Inspirations, Bradbury Thompson, 1939-1962

ne più monumentale e innovativa della tipografia biblica da quando la stessa edizione di Gutenberg appare nel 1455.

Dopo circa dieci anni, il WCB presenta il testo in frasi cadenzate, in modo che il suo significato sia per il lettore che per l’ascoltatore venga trasmesso attraverso la tipografia. Ambientato col carattere tipicamente rinascimentale di Jan Tschichold, il Sabon, e caratterizzato da aperture di capitoli con splendide riproduzioni di dipinti basati su storie bibliche, il WCB rispetta la lunga e stimolante storia di questo sacro testo cristiano

“Credo che un avido interesse per la tipografia includa necessariamente un gusto per la vita di tutti i giorni” Bradbury Thompson

anche quando apre nuove strade.

Una terza area di interesse è il design contemporaneo del francobollo. Sebbene accreditato ufficialmente con oltre 90 francobolli propri, Thompson consulta il servizio postale degli Stati Uniti per guidare la progettazione di molti altri.

Molti dei suoi progetti diventano iconici nella storia e nella cultura americana, tra cui il famoso timbro “L’apprendimento non finisce mai” del 1980 con il suo pittoresco dipinto di Josef Albers e il timbro “Amore” del 1984.

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CHERMAYEFF & GEISMAR

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Chermayeff & Geismar è una società di progettazione grafica di New York.

Si tratta di uno degli studi di grafica più famosi al mondo.

Produce, a partire dal 1957, alcuni dei loghi più belli e riconoscibili nel panorama della comunicazione visiva. Dall’ottagono della Chase Bank al pavone della Nbc, fino allo studio d’identità per i prodotti del marchio National PanAm, PBS, Merck, Mobil The Museum of Modern Art, Xerox, Smithsonian Institution, NBC, Cornell University, National Geographic, e molti altri.

A Ivan Chermayeff e Thomas Geismar viene assegnata la Medaglia AIGA nel 1979.

Chermayeff & Geismar dimostrano di avere molto chiari i principi di essenzialità e di efficacia utili per definire l’identità grafica di una società.

La semplicità di lettura dei loro lavori, la scelta di comunicare un messaggio semplice, immediato e facile da memorizzare, sono elementi che raccontano molto della storia della comunicazione visiva e dovrebbero servire da esempio a chi si occupa di immagine coordinata.

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Il loro approccio ai problemi di progettazione grafica è rinomato per la quantità ed è caratterizzato dal coinvolgimento del cliente nel processo di ideazione.

Nei primi anni di attività è presente anche Robert Brownjohn, il quale però si separa dopo pochi anni.

Logo National Geographic, Chermayeff & Geismar 1997

American Graphics, Chermayeff & Geismar, 1964

RIELABORAZIONE

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Rock and Roll, Bradbury Thompson, 1975

Rock and Valentino, Lisa Gasparini, 2020

RIELABORAZIONE

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Westvaco Inspirations 216, war between the States, Brandbury Thompson, 1961

Boom Nikon, Manuela Agus, 2020

Il movimento psichedelico inizia a metà degli anni ‘60 e ha un effetto non solo sulla musica, ma anche su molti aspetti della cultura popolare. Questo include lo stile di abbigliamento, la lingua, il modo in cui le persone parlano, l’arte, la letteratura, la filosofia e la musica.

Il nome “psichedelico” si riferisce a droghe che sono popolari con la cultura giovanile dell’epoca, e i manifesti per concerti rock cercano di esprimere vi-

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DESIGN PSICHEDELICO sivamente questa sensazione di euforia.

I motivi visivi dell’arte psichedelica includono forme curvilinee ispirate all’Art Nouveau, scritte disegnate a mano illeggibili e intense vibrazioni di colore ottiche ispirate al movimento pop art.

La fine della seconda guerra mondiale nel 1945 provoca un boom economico postbellico negli Stati Uniti e provoca anche un enorme aumento del tasso di natalità, noto come “baby boom”. Tra il 1945 e il 1957 nascono quasi 76 mi-

Zap Comix, Victor Moscoso, 1960

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lioni di bambini in America. A metà degli anni ‘60, la maggior parte di questi bambini sono giovani adulti.

Questi “baby boomer” mettono in discussione il materialismo americano e le norme culturali e politiche conservatrici. Durante gli anni ‘60 emerge un movimento giovanile, che cerca di creare una società egualitaria nonchè libera da discriminazioni.

caratteristica di spicco del panorama degli anni ‘60 e musicisti come Jimi Hendrix, The Grateful Dead, The Who, Janis Joplin sono le super star del giorno. È difficile dire se sia la musica psichedelica a influenzare la controcultura o viceversa. Ma una forma d’arte unica trova espressione nei poster della band e nelle copertine degli album.

Copertina per il libro “Passing Time”, Robert Brownjohn, 1956

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Joint show, Wes Wilson, 1967

Il movimento femminista e il movimento per i diritti dei neri sono il risultato diretto di questa evoluzione: gli americani negli anni ‘60 e ‘70 affrontano molte questioni controverse: dai diritti civili, alla guerra del Vietnam, alla proliferazione nucleare e all’ambiente fino al consumo di droghe, alla libertà sessuale e alla non conformità.

Molti giovani cercano esperienze spirituali attraverso il misticismo orientale, indiano e le droghe psichedeliche.

Festival e concerti musicali sono una

Grateful dead Aoxomoxoa, Rick Griffin, 1969

ROBERT BROWNJOHN

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Robert Brownjohn (8 agosto 1925 - 1 agosto 1970) è un graphic designer americano conosciuto per avere abbinato i concetti di progettazione grafica formali e cultura pop degli anni ‘60 con arguzia.

Nella sua breve ma intensa vita lavorativa, Brownjohn ha contribuisce a ridefinire il design grafico, spostandolo da un’arte formale a un’arte concettuale. I suoi progetti esemplificano ogni aspetto della sua relazione con il design, inclusa la sua enfasi sul contenuto sulla forma e le sue preferenze con immagini ordinarie e personali. Il suo spirito di invenzione e design per vivere nell’era della macchina sono bilanciati con riferimenti ai modelli estetici ammirati anche da Moholy-Nagy del Bauhaus.

Brownjohn inizia la sua carriera come freelance, per poi andare a insegnare nella sua vecchia scuola e, da lì, trasferirsi a New York, lavorando per diverse agenzie e “reinvestendo” i guadagni in

eroina, partite a poker con Steve McQueen e lunghe nottate nei club di jazz della 52ª strada, dove conosce e diventa amico di musicisti come Charlie Parker, Stan Getz e, soprattutto, Miles Davis.

Nel 1957 Brownjohn apre Chermayeff + Geismar (con Ivan Chermayeff e Tom Geismar) a New York City. L’anno seguente progetta il display “Streetscape” per il padiglione americano alla

Barbara Allison Ruth Norman Steven Emiel Christmas Card, Robert Brownjohn, 1950

1. Copertina per il disco “Si Si No No”, di Machito & His Orchestra, 1957 2. Grafica per l’American Craftsmen Annual Conference, New York, anni ’50 3. pubblicità per McCann-Erickson, Londra, 1962

World Exhibition di Bruxelles.

Nel 1960 Brownjohn lascia Chermayeff + Geismar per diventare direttore del design per McCann-Erickson Ltd. a Londra. In questo periodo disegna le sequenze del titolo di numerosi film, tra cui i film di James Bond “Goldfinger” e “From Russia with Love”. Brownjohn in seguito torna a New York per insegnare al Pratt Institute e alla Cooper Union.

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ALEXEY BRODOVITCH

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Alexey Brodovitch (1º maggio 1896 – 15 aprile 1971) è oggi ricordato come direttore artistico di Harper’s Bazaar per quasi un quarto di secolo. Ma la volatile influenza dell’emigrato russo è molto più ampia e complessa di quanto può suggerire il suo lungo mandato in una rivista di moda.

Questo artista gioca un ruolo cruciale nell’introdurre negli Stati Uniti uno stile di progettazione grafica radicalmente semplificato, “moderno”, forgiato in Europa negli anni ‘20 da una fusione di movimenti all’avanguardia nell’arte e nel design.

Attraverso il suo insegnamento, crea una generazione di designer in sintonia con la sua convinzione nel primato della freschezza e dell’immediatezza visiva.

Affascinato dalla fotografia, ne fa la spina dorsale del design moderno di una rivista e favorisce lo sviluppo di uno stile espressionistico, quasi primordiale, che diventa lo stile dominante della pratica fotografica negli anni ‘50.

Inoltre, Brodovitch è praticamente il modello per il direttore artistico della

rivista moderna. Non ha solo il ruolo di gestire fotografie, illustrazioni e caratteri sulla pagina, ma ha un ruolo attivo nel concepire e commissionare tutte le forme di arte grafica e si specializza nella scoperta e nella presentazione di talenti giovani e sconosciuti.

Il suo primo assistente a New York è un giovanissimo Irving Penn.

Leslie Gill, Richard Avedon e Hiro sono

tra gli altri fotografi il cui lavoro Alexey coltiva durante la sua carriera.

Se vedete qualcosa che avete visto prima, non scattate.

Alexey Brodovitch

Il suo impatto sull’immagine editoriale di Harper’s Bazaar è così grande che ottiene lo status di celebrità; nel film “Funny Face”, ad esempio, interpretato da Fred Astaire nel ruolo di un fotografo molto simile ad Avedon, il personaggio dell’art director viene chiamato “Dovitch”.

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Copertine di Harper’s Bazaar, Alexey Brodovitch, 1934-1958

HERB LUBALIN

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Herb Lubalin (Marzo 17, 1918 – Maggio 24, 1981) è un celebre graphic designer americano del ventesimo secolo. È riconosciuto per la sua collaborazione con Ralph Ginzburg su tre delle sue riviste.

Le riviste mettono in mostra le sue capacità artistiche mentre Lubain mette in evidenza la bellezza visiva creativa di queste pubblicazioni. Il carattere tipografico ITC Avant Garde è una delle sue creazioni ed è noto soprattutto per essere una revisione delle forme art déco.

Lubalin al college apprende i fondamenti della tipografia ed rimane sbalordito dall’impatto che un carattere tipografico può avere se scambiato con un altro e da come influisce sull’interpretazione dell’intero testo. Dopo aver conseguito la laurea nel 1939, trova lavoro presso Reiss Advertising e alla fine ottiene un lavoro presso Sudler & Hennessey. Alla S&H diventa un praticante di una vasta gamma di abilità. In effetti, è proprio lui ad attrarre talenti dalla multidisciplina,

come design, tipografia e fotografia, presso l’azienda. Durante il suo lavoro lì collabora con George Lois, John Pistilli e Art Kane. Rimane con Sudler & Hennessey per due decenni prima di decidere di fondare il suo studio di progettazione, Herb Lubalin, Inc nel 1964. Con la fondazione del suo studio privato, si gode la libertà di intraprendere una varietà di progetti artistici.

Eccelle in numerosi progetti tra cui la progettazione di poster, la progettazione di riviste e soluzioni di packaging e identità visiva. Il talento di Lubalin si manifesta meglio quando progetta la successione di riviste di Ralph Ginzburg; Eros, Fact e Avant Garde.

Ginzburg lancia per la prima volta Eros, magazine dedicato alla bellezza e all’emergente senso di sessualità nella fiorente controcultura.

Il magazine ha un grande formato, simile a un libro normale piuttosto che a una rivista trimestrale, senza pubblicità.

Il design editoriale di Lubalin per la ri-

Beards, Herb Lubalin, 1949

The Sound Of Music, Herb Lubalin, 1965

vista è considerato uno dei più brillanti nel suo genere. Tuttavia, a seguito di una denuncia di oscenità presentata dal servizio postale degli Stati Uniti contro la rivista, chiude immediatamente. In risposta al trattamento ricevuto da Eros, Ginzburg e Lubalin lanciano una seconda rivista, Fact. Lubalin applica un design elegante alla rivista con una tavolozza minimalista, basata su una tipografia dinamica serif e con illustrazioni squisite. Ma, nonostante il fatto che la rivista riceva ottime recensioni, segue l’esempio del suo predecessore e chiude.

Tuttavia, Lubalin e Ginzburg non si fanno sconvolgere dalla scomparsa di una rivista mentre e ne pubblicano un’altra con il nome di Avant Garde. Lubalin crea il carattere tipografico ITC Avant Garde per la rivista. Le sue opere più illustri includono la sua rivista tipografica U & lc e la fondazione dell’International Typographic Corporation.

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WILLIAM GOLDEN

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William Golden (Marzo 31, 1911 – Ottobre 23, 1959) durante la sua carriera applica nuove idee, forme e metodi al mondo della pubblicità e della grafica promozionale. Il corpo del suo lavoro rimane una pietra miliare nella storia della progettazione grafica.

Fornisce una mappa di un territorio inesplorato, il programma di pubblicità promozionale Golden e il design dell’identità per CBS sono innovativi e stabiliscono uno standard di eccellenza che resiste nel corso degli anni. Fa parte di un distinto gruppo di pionieri nell’era post-Seconda Guerra Mondiale che dà forma al campo emergente della progettazione grafica.

La responsabilità principale del progettista è la comunicazione del messaggio del cliente. Golden capisce questo obiettivo e ne fa la sua prima priorità.

Golden descrive il designer pubblicitario come “in parte piccolo imprenditore e in parte artista”. In un’altra occasione, afferma che l’artista e il designer siano “due cose diverse”.

“Penso che tutti i problemi in questo

campo derivino dal presupposto che qualcuno sia, forse, la stessa persona.

Penso che il bravo artista faccia una dichiarazione personale sul suo mondo e sulle sue reazioni al suo mondo. Lo fa per un pubblico limitato o per un grande pubblico, ma è tutto suo. Il designer pubblicitario ha una funzione completamente diversa. Potrebbe essere qualcuno che pensava di voler diventare un pittore, ma non lo era. Se (il designer) è abbastanza onesto, diventa un professionista che può fare qualcosa che non è suo. Penso che il problema arrivi quando cerca di trasformarlo in un’opera d’arte. Penso che molti designer di talento e intelligenti non lo trovino molto soddisfacente. Ma non lo troveranno più soddisfacente fingendo che sia qualcosa che non lo è. ”

CBS Eye Logo, William Golden, 1951

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VICTOR MOSCOSO

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Victor Moscoso, nato il 28 luglio 1936, è riconosciuto per aver originato uno stile grafico duraturo strumentale nel definire sia i comix underground che i poster rock psichedelici degli anni ‘60, e per il loro impatto indelebile sulla cultura americana.

L’artista è famoso negli anni ‘60, definisce il decennio con i suoi colori vibranti, le sue forme liquide e il suo stile di disegno unico nel suo genere. I suoi poster e i fumetti sotterranei sembrano sfidare le pagine 2-D in cui vivono, esplorando a fondo la messa in scena, lo spazio, il movimento e il tempo in modi che aprono la strada ad una nuova era visiva.

Dopo aver studiato arte alla Cooper Union di New York City e alla Yale University, nel 1959 si trasferisce a San Francisco per frequentare il San Francisco Art Institute, diventando poi insegnante. La formazione accademica di Moscoso come designer contribuisce a dare credibilità artistica a un mezzo fiorente di arte commerciale come il poster rock o il volantino.

I suoi progetti, che includono diversi pezzi per l’Avalon Ballroom e il Fillmore Auditorium (le principali sale da concerto di San Francisco negli anni ‘60), presentano una gamma vorticosa di colori vivaci, immagini fitte e lettere quasi illeggibili disegnate a mano piuttosto che composte.

Questa caratteristica dell’arte psichedelica - che ha rischiesto tempo ed energia per essere decifrata - diventa il marchio del movimento, un modo per evocare l’instabilità sociale e politica dell’epoca e contrassegnare la scena sotterranea con una singolare identità visiva lontana dalla cultura tradizionale.

Moscoso è anche colpito dall’uso di immagini storiche da parte di Alton Kelly e inzia ad incorporare fotografie e collage nelle sue composizioni. Scatta ritratti in bianco e nero di nativi americani e nudi da cartolina francesi e li rivitalizza per una nuova era, ristampandoli in colori sgargianti, abbandonando del tutto i neri. Questa strategia di uso del colore ha causato un caos visivo intenzionale, offuscando la linea divisoria tra primo piano e sfondo.

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The Chambers Brothers, Victor Moscoso,1967

Uno dei suoi usi più riusciti di questo approccio è il suo poster del 1967 per il Blues Project. Prende un nudo da un’antica cartolina francese e la ingrandisce per riempire l’altezza del poster. Quindi fa scorrere la scritta attorno alla forma nuda come se una tenda che avvolge la sagoma. È il suo primo vero tentativo di trattare un testo completo come un’unica massa. Le sue insolite scelte di colore

WES WILSON

Blue Project, Victor Moscoso, 1967

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The San Fransisco Poster, Victor Moscoso 1968

Big Brother and the Holding Company, Victor Moscoso, 1967

- un verde di uguale valore per lo sfondo blu - servono a enfatizzare gli spazi negativi della forma delle lettere. Il verde è così luminoso che si fonde con la scritta stessa. Figura, sfondo e scritta si fondono insieme creando un’espansione di questa illusione. L’arancione brillante della figura dà l’impressione che si muova e che stia fluttuando a qualche centimetro davanti al poster.

The Young Rascals, Wes Wilson, 1967

Wes Wilson, (July 1937 – January 2020) è il padre del poster del concerto rock degli anni ‘60. Da bambino i suoi interessi si snodano tra attività artistiche e un intenso amore per il mondo naturale. I suoi studi post-secondari riflettono questi interessi; si concentra per un periodo sulla silvicoltura e sull’orticoltura prima di arrivare alla filosofia.

Nella seconda metà degli anni ‘60 Wes trova molta ispirazione nei quartieri all’avanguardia di San Francisco e presto si ritrova a creare opere d’arte per le masse.

Il suo stile, ispirato ai maestri dell’Art Nouveau, prende ciò che è compreso nell’arte promozionale e lo capovolge.

Lettere quasi criptiche riempiono ogni spazio disponibile, linee fuse tra loro e colori contrastanti.

Nasce così il poster psichedelico.

L’amore per l’arte e la natura alla fine porta Wes sulle splendide colline di Ozarks, dove continua a creare arte fino alla sua morte nel 2020.

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Buffalo Springfield, Wes Wilson, 1967

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RICK GRIFFIN

Rick Griffin (giugno 1944 – agosto 1991) è un grafico nel campo della progettazione e della realizzazione di poster psichedelici negli anni sessanta.

Dopo aver frequentato la High School, lavora nello staff del Surfer Magazine, dove crea la propria striscia di fumetti sul surf e inventa Murphy, il personaggio buffo e divertente che troviamo sulle migliaia di copie del magazine sparpagliate sulle spiagge degli USA. Murphy spopola tra i giovani, e diventa già quasi un cult nel 1964: Rick ha appena vent’anni.

Dopo aver visto i poster del rock psichedelico prodotti da Stanley Mouse e da Alton Kelly, Griffin nell’autunno del 1966 decide di trasferirsi a San Francisco, dove disegna poster nel salotto della propria casa.

La sua prima esposizione d’arte viene vista e apprezzata dagli organizzatori dello Human Be-In, che gli chiedono di realizzare un poster per il loro evento del gennaio 1967. Anche Chet Helms viene colpito molto favorevolmente dall’opera di Griffin e gli chiede di crea-

re dei poster per le feste all’Avalon Ballroom: questo evento porta Rick Griffin a creare il poster per un concerto dei The Charlatans.

Alla fine di queste fortunate vicende, Griffin viene contattato e assunto dalla Berkeley Bonapart, una delle più famose agenzie di creazione e distribuzione di poster del tempo, dove incontra e si confronta con i più grandi artisti del poster psichedelico degli anni sessanta, e diventa parte integrante della squadra.

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Il 18 agosto 1991 Griffin muore in un incidente motociclistico in Petaluma, California. Viene ricordato per le copertine di album delle band più famose dell’acid rock, come i Quicksilver Messenger Service e i Grateful Dead.

BG-136-1968, Rick Griffin,1968

Can-a-blis, Rick Griffin, 1967

Tutte le migliori opere d’arte sono accidentali. Succede quando l’artista lavora attraverso il suo autocontrollo e va oltre, nel regno dell’imprevisto e dell’ignoto. È allora che succedono le cose fantastiche.

Rick Griffin

FDD-12-1967, Rick Griffin, 1967

RIELABORAZIONE

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New year bash, Wes Wilson, 1966-67

Iphone psychedelic, Samanta Sediek, 2020

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Avant Garde, Herb Lubalin, 1968

Avant Barbie, Giulia Corona, 2020

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DDB

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La DDB è una tra le agenzie pubblicitarie più importanti del mondo.

La DDB nasce ad opera di Bill Bernbach e Ned Doyle, già colleghi presso l’agenzia pubblicitaria Grey fin dalla seconda metà degli anni quaranta. A loro si aggiunge Mac Dane.

La Doyle Dane Bernbach apre i battenti il 1º giugno del 1949. Doyle si occupa della parte finanziaria e del marketing.

Dane si occupa della parte organizzativa e dell’amministrazione. Bernbach si occupa della direzione artistica e dell’effettiva produzione.

Elemento filosofico alla base del lavoro della nuova ditta, e che poi diverrà vero e proprio marchio di fabbrica, è la creatività. L’elemento della creatività viene portato avanti con particolare convinzione da Bill Bernbach, tanto che egli è ritenuto uno dei principali artefici della cosiddetta “Seconda rivoluzione creativa”, che si compie appunto in quell’epoca. La “Prima rivoluzione creativa” nel mondo della pubblicità si verifica invece negli anni trenta e ha tra i suoi principali promulgatori Raymond Rubicam.

La principale differenza tra l’approccio di Rubicam e quello di Bernbach è data dal fatto che, mentre Rubicam sostiene che la creatività si deve appoggiare su solide basi scientifiche, Bernbach ritiene che la ricerca scientifica è deleteria perché tende a insterilire la creatività.

Per usare le parole dello stesso Bernbach: «Uno degli svantaggi del fare ogni cosa in modo matematico, secondo la ricerca, è che dopo un po’ tutti lo fanno allo stesso modo... Se avete l’atteggiamento per cui una volta che avete scoperto cosa dire il vostro lavoro è finito, in realtà la state dicendo allo stesso modo di chiunque altro, e avete perso completamente il vostro impatto». O in maniera ancora più lapidaria: «Le regole sono ciò che gli artisti infrangono.

La memorabilità non emerge mai da una formula».

Intelligenza, però, che non è intesa meramente come modo assennato di fare réclame, ma piuttosto come complicità, rispetto nei confronti del destinatario.

Le pubblicità di Bernbach giocano, infatti, sul piano dell’intesa, trattano il consumatore mettendolo sullo stesso piano del pubblicitario (e questo non è affatto scontato in un’epoca in cui ancora, soventemente, si tende a trattare l’auditorio come una massa informe).

Tratti distintivi del modo di far pubblicità di Bernbach sono quindi: il primato della creatività sul copy testing e sui piani di marketing; l’esasperazione della semplicità, dell’originalità, della memorabilità e l’impiego dell’intelligenza.

“La pubblicità non è una scienza. È persuasione. E la persuasione è un’arte.”

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Bill Bernbach

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tavia doveroso precisare che la pubblicità di Bernbach non vuole procurare risate e ilarità, quanto piuttosto generare un sorriso di complicità. Vuole stupire, ma senza esagerare. Vuole essere più che altro convincente, e non pretende di essere persuasiva. Alla base vi è la consapevolezza che la gente solitamente non ama la pubblicità, perché non ne sopporta l’intrusività, e cerca conseguentemente di evitarla. Secondo Bernbach una buona pubblicità è, quindi, una pubblicità in grado di compensaPubblicità Ohrbach’s, DDB, 1949

Le pubblicitià di Bernbach fanno un consistente uso della retorica (evitando, tuttavia, iperboli e cliché dozzinali).

In particolare fanno leva sull’umorismo, elemento quest’ultimo che si rivela con ogni probabilità una delle carte più vincenti, e che non solo contribuisce a trasformare Bernbach ne “il più grande pubblicitario di tutti i tempi”, ma permette anche di confutare e di ribaltare totalmente uno dei dogmi del padre della réclame, Claude C. Hopkins («La gente non compra dai pagliacci»). È tut-

Pubblicità Polaroid Series 300 Business Cameras, DDB, 1974

re il destinatario per la sua attenzione e per la sua pazienza, regalandogli un sorriso per il tempo concesso.

Occorre essere consapevoli, sempre, che la pubblicità non è la benvenuta, ed è quindi necessario comportarsi con la massima educazione.

Headline intriganti e ad effetto sono, perciò, in grado di stimolare la lettura di lunghe body-copy di descrizione del prodotto, prodotto che in ogni caso deve rimanere l’elemento centrale.

Primo cliente della neonata DDB è il

magazzino Ohrbach’s, che commercia «alta moda ad un basso prezzo».

L’annuncio, raffigurante un gatto con un vistoso cappello da signora e una sigaretta con bocchino, viene dato alle stampe nel luglio del 1949.

Durante gli anni cinquanta la DDB riesce progressivamente a farsi un nome grazie al suo innovativo approccio alla pubblicità, e cresce da un punto di vista aziendale. Nel 1954 è nella condizione di espandersi sul versante occidentale degli Stati Uniti e acquista l’agenzia pubblicitaria di Los Angeles Factor-Breyer.

A partire da quest’ultima è in grado di sviluppare, successivamente, una vera e propria divisione dell’agenzia madre (la DDB/West).

Tra le pubblicità più importanti dell’epoca è possibile citare: gli annunci per la Polaroid, che impiega testimonial famosi come ad esempio Louis Armstrong (1955) e l’annuncio per la compa-

gnia aerea El Al (1958).

Alla finire degli anni cinquanta la DDB realizza una pubblicità che farà storia e che segna l’inizio di un sodalizio con un’azienda europea che dura tutt’oggi: nel 1959 esce «Think small» per reclamizzare il Maggiolino della Volkswagen negli Stati Uniti. La pagina pubblicitaria è costituita da un foglio bianco, con la piccola foto di un’automobile da una parte, quasi messa a caso. In calce slogan, body-copy e marchio. Per rilanciare l’utilitaria della Volkswagen sul territorio statunitense la DDB pensa, infatti, di far leva su uno degli aspetti che più prepotentemente saltano all’occhio: le dimensioni. Se il Maggiolino della Volkswagen da un lato si presenta come un’auto di tutto rispetto quando si trova in giro per le strade europee, non lo è più messa a confronto con le enormi macchine americane. Nasce da qui allora l’invito a «Pensare piccolo».

Pubblicità Volkswagen “Think small”, DDB, 1959

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RIELABORAZIONE

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Pubblicità Volkswagen “Think small”, DDB, 1959

Think pink, Giulia Corona, 2020

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Negli anni ’50 ha origine lo Swiss Style, che può essere considerato il più importante stile di progettazione grafica del XX secolo e si diffonde velocemente in tutto il mondo.

Ma negli anni ’60 alcuni giovani artisti iniziano a percepire quello stile come noioso e prevedibile, troppo rigido nelle sue griglie di impaginazione e avviano un rinnovamento stilistico.

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Questa pubblicazione, nata a scopo promozionale, tratta anche tematiche sociali e politiche e permette allo studio di presentare i propri lavori di ricerca e di sperimentare, in libertà, tecniche e stili nuovi.

Sebbene lo studio sia caratterizzato dalla presenza di diversi professionisti, ciascuno con il proprio stile, la grafica del Push Pin presenta elementi ricorrenti.

Come già accennato essi scelgono di

PUSH PIN STUDIO

A New York Milton Glaser, Seymour Chwast, Reynold Ruffins e Edward Sorel, neolaureati alla Cooper Union, fondano nel 1954 il Push Pin Studio, un consorzio di grafici e illustratori; per le loro realizzazioni s’ispirano all’arte commerciale e alla pop-art.

Per promuovere la loro attività realizzano e spediscono a tutte le agenzie un Almanac, con oroscopi e consigli quotidiani che tre anni dopo, si trasforma nel Push Pin Monthly Graphic.

staccarsi dal razionalismo dello Swiss Style e di ispirarsi alle correnti artistiche dell’epoca, ma reintroducendo anche elementi del passato: del manierismo vittoriano, dell’Art Noveau e dell’Art Decò, dando vita a uno stile innovativo.

I progettisti vanno oltre la semplice illustrazione, spingendosi verso una grafica figurativa dove il testo si integra con l’immagine fino a diventare immagine stessa e che fa spesso leva sull’ironia.

Le loro opere grafiche ottengono im-

mediatamente un grande successo in fatto di distribuzione e ricezione visuale ma, a differenza dello Swiss Style, il movimento rimane comunque limitato e non si diffonde a livello internazionale, probabilmente per l’impossibilità di applicarlo a tutte le tipologie di prodotti grafici.

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Il movimento riscuote, però, molto successo nel settore editoriale, in modo particolare nelle copertine dei dischi e dei manifesti.

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Un esempio molto famoso è il poster di Bob Dylan realizzato da Milton Glaser nel 1966 che viene diffuso in oltre 6 milioni di copie.

Il Push Pin Studio realizza anche il prestigioso marchio “I Love NY”, creato nel 1976 e commissionato dal Department of Commerce di New York per promuovere il turismo, che è oggi riprodotto su un’infinità di poster, gadget e capi d’abbigliamento e che rappresenta uno dei simboli della città di New York.

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I Love NY, Milton Glaser, 1976 Poster per Bob Dylan, Milton Glaser, 1966

End Bad Breath, Seymour Chwast 1967

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MILTON GLASER

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Milton Glaser, nato il 26 giugno 1929, è l’incarnazione della grafica americana nella seconda metà di questo secolo.

La sua presenza e il suo impatto sulla professione a livello internazionale è formidabile. Immensamente creativo e articolato, è un moderno uomo del Rinascimento, una rara razza di designer-illustratori intellettuali che porta al suo lavoro ,altamente inventivo e individualista, una profondità di comprensione e pensiero concettuale, combinata con una ricchezza di linguaggio visivo.

Nasce come artista classico e le sue radici storiche nel design sono come co-fondatore del Push Pin Studio di New York nel 1954, con Seymour Chwast, Edward Sorel e Reynold Ruffins.

Nel Push Pin, Glaser è l’avanguardia di un movimento che reagisce contro il rigoroso autoritarismo e l’austerità tipiche del modernismo.

Immediatamente riconoscibile, il lavoro di Push Pin Studio si è evoluto fino a diventare una forza internazionale nella progettazione grafica negli anni ‘60 e ‘70. Glaser alla fine lascia il Push Pin

mostre in tutto il mondo, tra cui le personali al Centre Georges Pompidou di Parigi e al Museum of Modern Art di New York e sono presenti nelle collezioni permanenti di molti musei: MoMA Museum of Modern Art di New York, Museo di Israele a Gerusalemme, Smithsonian Institute di Washington D.C. e Cooper Hewitt National Design Museum di New York.

nel 1976 per dedicarsi ad altri lavori di progettazione, e attraverso la sua stessa società, Milton Glaser, Inc., si concentra sull’espansione del coinvolgimento come designer multidisciplinare, e intraprende progetti di progettazione di mostre, interni, prodotti, supermercati e ristoranti.

Nell’ambito della grafica stampata, lo studio produce programmi di identità visiva per scopi di marketing aziendali e istituzionali tra cui loghi, articoli di cancelleria, brochure, calendari, segnaletica e relazioni annuali.

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Glaser è anche personalmente responsabile della progettazione e dell’illustrazione di oltre 300 manifesti per clienti nei settori dell’editoria, della musica, del teatro, del cinema, delle imprese istituzionali e civiche, nonché di quelli per prodotti e servizi commerciali.

Lo studio continua ad essere un luogo dinamico e vivace dove lavorare e creare. Nel corso della sua carriera, Glaser è un prolifico creatore di marchi, poster e stampe. I suoi lavori sono esposti in

Locandina per Mad Men, Milton Glaser, 2014

Napoleon, Milton Glaser, 1969

Poppy Gives Thanks, Milton Glaser, 1969

SEYMOUR CHWAST

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È difficile immaginare il graphic design e l’illustrazione contemporanea americana ed europea senza la presenza di Seymour Chwast.

Attorno al 1954 Chwast è già noto per il suo stile unico di illustrazione.

La sua giocosità, la tipologia di approccio espressivo e il layout sono il punto di partenza di una nuova ondata di progettazione basata sul revivalismo, una radicale alternativa al formalismo della “grafica Svizzera” allora dominante.

Le sue opere sono sopratutto poster, libri, riviste e pubblicità.

La sua forza non è solo nel rendering, ma anche nel concetto e nel progetto; un senso dell’umorismo sottende le sue illustrazioni, e una spiccata comprensione per il design tradizionale governa il suo metodo.

Come illustratore collabora con numerosi giornali tra cui “Vanity Fair”, “The New York Times”, “The New Yorker” e

“The Wall Street Journal”. La sua opera è nelle collezioni del Museum of Modern Art e del Metropolitan Museum of Art, ed è raccolta nei libri The Left-Handed Designer e Seymour: The Obsessive Images of Seymour Chwast.

Seymour Chwast e gli altri componenti del Push Pin Studios, contribuiscono a formulare un nuovo lessico grafico basato sulla conoscenza, l’apprezzamento e la riapplicazione di stili e forme del passato, che avrà effetti a lungo termine sul design grafico.

Albert Einstein, Seymour Chwast, 1997

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La divina commedia, Seymour Chwast, 2010

No Evil, Seymour Chwast, 2003

RIELABORAZIONE

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“Ceci n’est pas la pipe de Vincent”, Milton Glaser, 1989

“Ce ne sont pas des raybans”, Sara Bianchi, 2020

RIELABORAZIONE

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Take a Trip to Lotus Land, Milton Glaser, 1960

Take a Trip to Nikon Land, Manuela Agus, 2020

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TRASGREDITO

a cura di Lisa Gasparini

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Il postmodernismo: dal punk, fino alla fine della stampa.

Tra grafica, musica, controculture e sperimentazioni

POSTMODERNISMO

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Il postmodernismo è un ampio movimento ideale che si è sviluppato tra la metà e la fine del XX secolo attraversando la filosofia, le arti, l’architettura, la musica, la letteratura e la critica.

Pur comprendendo un’ampia varietà di approcci e discipline, il postmodernismo è generalmente caratterizzato da scetticismo, decostruzione, ironia o rifiuto delle grandi narrazioni e ideologie del modernismo, spesso mettendo in discussione vari presupposti della razionalità proclamati dall’illuminismo.

Viene a mancare la visione unitaria di un mondo dove invece sono compresenti le più diverse interpretazioni della realtà e la conoscenza e i valori vengono concepiti come prodotti di particolari discorsi e gerarchie politiche, storiche o culturali.

Il pensiero postmoderno è ampiamente caratterizzato da tendenze all’autoreferenzialità, all’eclettismo, al relativismo epistemologico e morale, al pluralismo, e da un atteggiamento d’irriverenza, rifiuto e di decostruzione.

La postmodernità ammette di riutilizza-

re delle forme preesistenti, comprese le più familiari, per creare un collage di elementi eterogenei senza preoccupazione per l’armonia. Cerca il contrasto tra i diversi elementi, si perde in citazioni del passato e nel decorativismo.

Cerca l’effetto di distanziamento tra opera e osservatore, si propone di cancellare la gerarchia tra cultura d’élite e cultura popolare e di rompere i tradizionali steccati tra le discipline, passando per il kitsch, il brutto e il criptico.

In questo movimento si assiste anche ad una fusione totale tra le arti: musica, moda, grafica, letteratura e arti visive parlano tutte lo stesso linguaggio e si scambiano i metodi e i processi creativi.

Il postmodernismo è la lingua della società di massa dominata dai media e dalla singolarità dell’individuo, affogata in un immaginario eclettico e stratificato. Postmoderno vuol dire avere un rapporto controverso e confusionario con la cultura dominante: la si tiene lontana e la si critica, ma se ne ha anche uno strano bisogno e dipendenza.

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Punk è un termine inglese (che come aggettivo significa di scarsa qualità, da due soldi, sporco e trasandato) nato per identificare una subcultura giovanile emersa a metà degli anni settanta nel Regno Unito nella East Coast degli Stati Uniti, a New York e a Detroit dal garage rock, hard rock e glam rock.

Il termine deriva dalla musica punk rock, una musica rozza, rumorosa, poco complessa, ribelle e diretta, nata con gruppi come The Stooges, Ramones, Sex Pistols, The Damned, Television, Velvet

Sid Vicious e Johnny Rotten dei Sex Pistols. Foto di Bob Gruen, 1977.

mai presente, come nel caso dei Sex Pistols che danno al punk l’immagine di un genere impegnato e attento alla società del tempo sebbene non fossero così politicizzati ma solamente provocatori, arrabbiati e nichilisti (famoso è il loro slogan “NO FUTURE”). Il movimento punk influenza numerose forme

PUNK BOMB

Underground e Clash. Tra i primi a essere definiti in tal modo sono i Ramones, nati nel 1974. Durante la prima ondata, il punk non ha tendenze politiche e atteggiamenti univoci; vi sono gruppi che sfoggiano un abbigliamento glam rock, altri vicini al movimento mod e altri che si basano puramente sulla provocazione. Non è una filosofia specifica, ma un’attitudine, e la politica non è quasi

“Fummo costretti a diventare il terrore della città, del tipo che quando passavamo la gente cambiava marciapiede”.

Dome La Muerte

Il gruppo punk hardcore GBH

d’arte e aspetti culturali in genere, dalla musica alla letteratura, dalle arti visive alla moda. Si tratta di un movimento di totale rottura artistica, che nasce dal basso e dalla working class, portando una frattura ideologica e politica che assume varie sfumature, mantenedo sempre alla base la necessità di provocare, scioccare, disgustare e schifare l’uomo normale, il borghese delle vecchie generazioni conservatrici.

L’ideologia di base del movimento punk è sostanzialmente agita e anarchica: rifiuta qualsiasi forma di controllo, tra cui il controllo sociale esercitato dai mass-media e dalle organizzazioni

religiose e politiche. Essere punk vuol dire che nessuno può dirti come pensare, vuol dire essere scioccanti e fastidiosi, realizzare tutto con i propri mezzi (etica del Do It Yourself), non preoccuparsi dei codici di comportamento sociali imposti e nemmeno di saper suonare davvero uno strumento o di saper padroneggiare una professionalità creativa. Nel punk tutti possono fare tutto, e per esprimersi aristicamente e culturalmente non servono la scuola, le istituzioni, o il lavoro: ognuno può essere autodidatta e dire e fare quello che vuole, poichè l’unica autorità esistente siamo noi stessi. L’importanza dell’iden-

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tità, l’unicità dell’individuo e la sua personale costruzione sociale sono uno dei maggiori lasciti di questo movimento, insieme alla decostruzione delle regole passate per sperimentare stridenti e incavolate novità creative.

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Dopo l’ondata del ‘77, il punk si ridimensiona nel Regno Unito e inizia a diffondersi in altri paesi. Assistiamo così allo sviluppo parallelo della cultura visuale underground e dell’hardcore punk, ovvero un genere che perde le influenze più sbarazzine e rock & roll del primo punk, per lasciare spazio a sonorità e a visuals ancora più duri, crudi e diretti, e nella maggior parte dei casi con visioni influenzate dalla politica e dall’attivismo anarchico radicale.

Il punk smette di essere mainstream e diventa e più combattivo, anche se la moda che ha generato con il primo fenomeno inglese resta popolare nell’immaginario collettivo.

“Flipside” e “Slash”. In Inghilterra invece la prima fanzine pubblicata è “Sniffin ‘Glue” (1976), edita da Mark Perry.

La punkzine è un mezzo di comunicazione che viene dal basso e segue l’etica del “fai da te”, il “do it yourself” (DIY), dove non ci sono ruoli codificati in nessun tipo di progetto ma tutto viene fatto in maniera collettiva da poche persone, o addirittura da una sola persona che si occupa di scrivere gli articoli, fotografare le band, disegnare, stampare e fotocopiare la rivista, assemblare le copie, distribuirle e venderle.

“There’s no authority but yourself”.

Steve Ignorant dei Crass

PUNKZINES, DO IT YOURSELF! Una fanzine (in italiano rivista amatoriale o fanzina) è una pubblicazione non professionale e non ufficiale, prodotta da entusiasti di un particolare fenomeno culturale (quale un genere letterario o musicale, o un particolare fandom) per il piacere di condividere i propri interessi con altri. Il termine deriva dalla contrazione delle parole fan (da fanatic, appassionato) e magazine (rivista).

La musica punk ha le sue fanzine che vengono conosciute come punkzine.

Nascono nella metà degli anni ’70 e

parlano di musica, società, cultura e politica riferiti all’ambiente controculturale, mutuando la loro impostazione dalle riviste di protesta sociale diffuse in America alla fine degli anni 60 e dalle fanzine rock dei primi anni ‘70, ispirate a quelle americane nate nelle comunità dei fan della fantascienza.

Una delle prime punkzine è “Punk”, fondata a New York da John Holmstrom, Ged Dunn e Legs McNeil nel 1976 che sostiene la prima scena musicale un-

Un numero della fanzine americana Slash, 1977

derground della città e contribuisce ad associare la parola “punk” a molte delle band del periodo (Patti Smith, Velvet Underground, Television, Iggy Pop and The Stooges). Altre punkzine dagli Stati Uniti sono “Search & Destroy”,

Il fare da sé è la base di tutti i movimenti controculturali e la filosofia che genera lo stile grafico del punk: non si paga un professionista per fare qualcosa ma ci si arrangia con i propri mezzi, per esprimersi in totale libertà, fuori da ogni regola imposta, che sia di design o di marketing. Si tratta di trasmissioni visuali rauche e piene di vitalità di un universo grafico turbolento totalmente diverso nell’intenzione e nell’effetto dall’universo parallelo, pulito e ordinato del design professionale.

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Numero 1 di Punk, fanzine americana, 1976

Le punkzine sono prima di tutto un grido di protesta e anche una necessità di una cultura giovanile di dimostrare la propria esistenza e indipendenza, rifiutando le grandi narrazioni e la mentalità della generazione precedente.

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L’aspetto stilistico delle punkzine inglesi prende in larga parte spunto dalla grafica dei Sex Pistols, ideata da Jemie Reid.

Troviamo l’uso del collage e del ritaglio, gli interventi grafici infantili, l’assenza delle griglie, la sovrapposizione di immagini fotocopiate e ciclostilate di bassa qualità, i testi spesso scritti a mano, le pagine soffocanti e riempite di testo, disegni stilizzati e grezzi vicini al fumetto underground, fotografie non professionali, compresenza di registri stilistici in contrasto tra loro, caratteri disegnati a mano o distorti etc.

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I precursori e le influenze di questo tipo di grafica includono il collage dadaista, l’Internazionale situazionista, il movimento della mail art, la grafica e la stampa clandestina degli anni ‘60.

Gli articoli spaziano dalla musica, interviste a gruppi musicali punk, fino ai problemi pratici che deve affrontare un giovane che si avvicina al punk: come “assemblare” un vero e proprio vestito punk senza spendere molto, come formare una band, come essere unico. Le

punkzine sono anche uno spazio per esprimere autonomamente pareri che escano dal mainstream della critica musicale blasonata.

La maggior parte delle punkzine anni 70 sono in binaco e nero e scritte a mano o a macchina e stampate usando sistemi di riproduzione primitivi, quali ad esempio la stampa a spirito o il poligrafo.

Di questo tipo di pubblicazione viene prodotto un numero di copie molto ridotto e di conseguenza la loro circolazione è estremamente limitata.

Un numero della fanzine inglese Sniffin’ Glue, 1976

La fanzine “Anarchy in the UK” dei Sex Pistols, 1976

Interno di un numero di Sniffin’ Glue, 1977

In Italia la spinta punk arriva nel 1977: in quell’anno esce in 1000 copie “DUDU”, foglio di agitazione dadaista, che diventerà “POGO”, il famoso ballo punk.

Escono poi “Porka merda” di Firenze, “Fanghiglia cristiana” di Ferrara, “Fuoco punkzine” di Milano, “T.V.O.R. Chaoszine” di Como e molte altre. Tutte queste punkzine sono il primo esempio di riviste con uno stile radicalmente nuovo: la grafica è rude, violenta, aguzza ed estrema, fatta di ritagli e sovrapposizioni (come nel caso inglese) e presenta disegni grotteschi e spesso osceni,

Da sinistra: le punkzine italiane hardcore TVOR e Fuoco punkzine dei primi anni 80

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Da sinistra: le punkzine italiane hardcore POGO e Fanghiglia cristiana dei primi anni 80

Durante i primi anni 80 si evolve la tecnica di stampa delle punkzine: si comincia ad usare spesso anche la carta colorata, rosa, gialla o azzurra, poichè permette risultati più vari mantenendo i costi molto bassi. Grazie all’utilizzo prima del ciclostile e poi della fotocopiatrice, diventa possibile produrre economicamente molte copie.

L’uso del ciclostile in particolare è quello che è riesce a conferire alle immagini delle punkzine quel tratto sporco e ruvido che le contraddistingue.

Come accade nel metal e nell’heavy metal anche nel punk iniziano a diffondersi loghi personalizzati delle band.

I loghi punk hanno la caratteristica di essere facili da riprodurre o disegnare sui tessuti, sulla pietra, su spillette, sulla plastica o su qualsiasi superficie si voglia, come degli stencil, toppe o adesivi fatti apposta per l’attacchinaggio e la sticker guerrilla.

Punkzine americana Warning, 1985

Devono trasmettere il messaggio in modo aggressivo e diretto, sono il biglietto da visita della band e ne rappresentano una specie di “stemma araldi co-politico”. Spesso sono provocatori e ironici: memorabile è il logo della band CCCP ispirato al logo della Fiat e poi rielaborato in modo da ricordare quello della Coca Cola per sbeffeggiare le multinazionali e la loro identità visiva.

Punkzine italiana Disforia, 1983 Punkzine italiana Nuova Farenheit, 1982

Secondo la filosofia DIY molti dei loghi punk non nascono dalle mani di un designer professionista e talvolta nemmeno da un artista o da una persona con particolari doti pittoriche e progettuali. Sono infatti spesso le band stesse a

Loghi della band punk italiana CCCP ispirati al logo Fiat e Coca Cola

LOGHI E ARTISTI PUNK

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è provocatoria e situazionista, caotica e ruvida. Si tratta di un linguaggio visivo che traspone le sonorità del punk hardcore e la rabbia politica del movimento come un grido collettivo, privato ormai di ogni vezzo rock and roll.

Gli argomenti trattati in queste punkzine sono politicizzati e radicali (anarchismo militante, pacifismo, vegetarianesimo animalismo, femminismo, problematiche di razzismo, omossessualità) e sono influenzati dal movimento dei centri sociali e dai circoli giovanili, punti di aggregazione per la controcultura punk.

progettarli (e ciò accade nell’anarco punk in particolare), oppure è un amico o un parente di un membro della band che sviluppa l’idea (come nel caso del logo dei Rudimentary Peni disegnato dal cantante Nick Blinko o in quello degli Adicts disegnato dal chitarrista Pete Dee Davison).

Molti loghi punk infatti, come quelli delle band minori, non hanno le caratteristiche di leggibilità e immediatezza di un logo professionale e non sono nemmeno così esteticamente “belli” e armoniosi. Sono stemmi fatti per necessità, come marchi a fuoco o tatuag-

Il logo della band punk The Adicts

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Il logo della band anarco punk Rudimentary Peni

RAYMOND PETTIBON

Il logo della band horror-punk Misfits

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gi e spesso risultano grezzi, illeggibili, caotici e sporchi. Ma è proprio questo il loro fascino, il fatto di essere un segno straripante di energia che comunica un’attitudine, un’emotività prima che una competenza professionale.

Nel punk non tutti i loghi hanno questo stile. Esistono eccezioni quando si parla di band di una certa fama, band che si possono permettere un “dipartimento artistico” da consultare e a cui affidare anche una specie di immagine coordinata, non sempre consapevolmente creata ma spesso semplicemente agita e carica di significati socio-politici.

Uno dei loghi più famosi della scena punk hardcore è il logo a barre della band americana Black Flag (1976-1986).

Progettato da Raymond Pettibon (16 giugno 1957), fumettista e disegnatore fratello del chitarrista Greg Ginn (fondatore del gruppo), rappresenta una bandiera nera al vento, emblema dell’anarchia. Tutti gli artisti della band decidono di tatuarsi il logo, così come una moltitudine di fan seguono il loro esempio usandolo come simbolo di unione.

Il pittogramma e il carattere utilizzato nel logo comunica che con i Black Flag non si scherza, e che la loro musica è rude, pesante, aggressiva (il cantante Henry Rollins incarna perfettamente questa immagine) politicamente orientata, ambigua ed estremista.

Pettibon stesso, che non è un artista di formazione (ha studiato economia) si rivela un dotato autodidatta in grado di realizzare moltissimi poster per i concerti della band, fumetti, litografie e anche copertine di dischi per la SST records. È

Cover del singolo Jealous Again dei Black Flag, Raymond Pettibon, 1980 Cover dell’album Nervous Breakdown dei Black Flag, Raymond Pettibon, 1978

uno di quei personaggi interdisciplinari della scena underground che in questo periodo sono numerosissimi: suona, disegna, s’intende di jazz e scrive, senza ambizioni di professionismo, ma spinto da un’esigenza di denuncia sociale e di energia creativa.

Il logo dei Black Flag, Raymond Pettibon

Litografia per i Black Flag, Raymond Pettibon, 1979

Il suo tratto, rude, sproporzionato e aggressivo, insieme ai disegni in bianco e nero e ai contenuti di stampo anticlericale, antiautoritario e anarchico, creano un’impronta indimenticabile e tagliente nella storia dell’arte underground.

Pettibon lavora anche con le band Minutemen, e Dead Kennedys.

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Poster per un live dei Black Flag, Raymond Pettibon, 1980

WINSTON SMITH

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Winston Smith (27 maggio 1952), di formazione artistica, è conosciuto come il disegnatore del logo della band californiana Dead Kennedys e di molte copertine dei loro album. Giunge in Italia nel 1969, per studiare arte all’Accademia di Belle Arti di Firenze, focalizzandosi sull’ arte classica rinascimentale. Vince anche una borsa di studio per studiare cinema all’Università Internazionale di Arte (Firenze e Roma). Smith è particolarmente noto per le sue collaborazioni

In God We Trust Inc. dei Dead Kennedys, Winston Smith, 1981

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con Jello Biafra (ex frontman dei Dead Kennedys) e con l’etichetta punk Alternative Tentacles, per i quali ha realizzato numerose copertine, pubblicità e loghi.

Il logo dei Dead Kennedys, Winston Smith

Personaggio eclettico e sopra le righe come Pettibon si dà lo pseudonimo Winston Smith (lo stesso nome del protagonista del romanzo di George Orwell “1984”) quando rientra in America nel 1976, colpito dai profondi cambiamenti sociali in negativo verificatisi durante la sua assenza. Il suo vero nome invece rimane tutt’ora segreto.

con i Dead Kennedys si ha con “IDOL o Cross of Money”, opera di Smith tra scultura e fotografia creata nel 1977 nello studio Fairfax di Fallout, come commento sull’ipocrisia religiosa e sull’adorazione del denaro. Vista da un membro della band ad una mostra, i musicisti decidono di contattare l’esecutore: Smith decide così di utilizzarla per il primo EP dei Dead Kennedys, “In God We Trust, Inc”. In linea con tutta la filosofia di Smith anche il logo dei Dead Kennedys veicola un messaggio che, come il loro

L’artista utilizza principalmente il collage in stile dadaista, inserendo ritagli di riviste provenienti dall’immaginario di magazines e pubblicità anni 40-50, mischiati con immagini e composizioni della storia dell’arte classica, rinascimentale e dell’arte sacra tradizionale.

Si serve di questo linguaggio per veicolare messaggi distopici, provocatori e critici contro il consumismo e l’oligarchia del maschio bianco dell’america conservatrice e repubblicana.

L’inizio della collaborazione di Smith

Libretto di Plastic Surgery Disasters dei Dead Kennedys, Winston Smith, 1982

nome, vuole denunciare violentemente la fine del cosiddetto “sogno americano”. È progettato in modo da essere un simbolo semplice ma impattante e facilmente replicabile anche con le bombolette spray e in stile stencil, come molti altri loghi punk.

DAVE KING

No More War, Winston Smith, 1979

369 Un altro logo che segna la storia, i codici comunicativi e l’immaginario del punk è quello del collettivo anarchico, band ed in seguito fondatori di un’etichetta gli inglesi Crass. Disegnato dall’artista, musicista e grafico inglese Dave King, insieme al carattere coordinato in stile sencil, è un simbolo provocatore e dai molteplici significati imitato e riproposto in numerosi lavori e loghi punk.

Dave King (1948 - 20 ottobre 2019) incontra l’attivista Jerry Ratter (aka Penny Rimbaud) e Gee Vaucher dei Crass nel 1964 mentre frequenta la scuola d’arte.

Il logo del collettivo anarchico CRASS, Dave King

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LP The Feeding of the 5000, Crass, Gee Vaucher 1978.

Nel 1967, in pieno periodo di agitazione politica Rimbaud scrive un pamphlet anti-religioso e anti-autoritario e chiede a King di progettare un logo per la copertina per rappresentare il fascismo dello stato, della chiesa e della famiglia.

Rimbaud, che in quel periodo lavora nel design, ne contesta la modalità di insegnamento in cui si pensa spesso in termini di marketing e in cui la comunicazione visiva veicola un’immagine e un messaggio che devono essere immediatamente riconoscibili.

Dave King accoglie la richiesta e inizia a pensare al logo. Si ispira agli stemmi delle famiglie giapponesi e alle croci celtiche che sono un elemento urbano molto diffuso nell’Essex. Mescola elementi provenienti da simboli esistenti che rappresentano l’oppressione, il potere e il dominio per riproporli in un’icona che ne inverte il significato.

Si ispira alla croce cristiana e alla svastica (simbolo usato con intento provocatorio come facevano i Sex Pistols) e aggiunge riferimenti alla bandiera della Union Jack. Inserisce inoltre una versio-

ne stilizzata del serpente mitico a due teste che si divora la coda (Uroboros): come il serpente si auto-divora, il potere oppressivo alla fine si sarebbe consumato da solo.

Il più noto lavoro di Reid è la copertina dell’album “Never Mind the Bollocks” (1977) dei Sex Pistols insieme al logo della band. Si ispira al dadaismo, al linguaggio situazionista e utilizza il rea-

JAMIE REID

Copertina per il singlo God Save The Queen dei Sex Pistols e sotto un poster, Jamie Reid, 1977

Jamie Reid (16 gennaio 1947) è un artista, grafico e anarchico britannico, conosciuto principalmente per aver curato l’immagine della band punk Sex Pistols.

Frequenta il Croydon Art College dove conosce Malcolm McLaren, futuro manager della band. Nel 1970 fonda il giornale politico Suburban Press, realizzato in una tipografia autogestita a Croydon.

dy-made e l’assemblage, nonché il cutup, un procedimento che consiste nel sottoporre fonti testuali di diversa provenienza a tecniche di frammentazione e composizione aleatoria, il cui risultato finale è un collage di lettere. Questa scelta tipografica deriva da una necessità pratica e ideologica: in un’epoca precedente ai software di editing, il ritaglio rappresenta un’economica alternativa e si adatta all’atteggiamento anti-commerciale e rivoluzionario del movimento punk, donando alle opere l’aspetto di ransom notes, ossia le lettere di riscatto anonime utilizzate dai rapitori.

Le grafiche di Reid, rifiutando la tipografia tradizionale, sono dotate di un intento provocatorio reso tramite un linguaggio grezzo, colori semplici e diretti, strappi, sovrastampe e serigrafie

Never Mind The Bollocks dei Sex Pistols, Jamie Reid, 1977

decostruite. In perfetto stile postmoderno il medium, cioè la tecnica usata, rappresenta il messaggio che si vuole comunicare, ovvero parodia e distruzione dell’autorità (come nel collage con la Regina Elisabetta II, copertina per il singolo “God Save The Queen”).

Il logo dei Sex Pistols, Jamie Reid, 1977

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RIELABORAZIONE

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Copertina della fanzine Sniffin’Glue, Dr. Michael Bill, novembre 1976

Copertina della fanzine Sniffin’ Inks, Virginia Monteverdi, 2020

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L’anarchia di Dada e i suoi collage, il futurismo, l’astrazione del suprematismo e del costruttivismo, l’armonia funzionale di De Stijl, il Bauhaus, Mondrian, El Lissitsky, Malevich, il surrealismo l’arte giapponese e il rifiuto del rigore del modernismo, sono gli elementi da cui si sviluppa il graphic design degli anni 80. L’unione tra musica, moda e immagine, come già accade nel punk, diven-

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Cover dell’album Rio dei Duran Duran, Malcom Garrett e Patrick Nagel, 1982

ta un modello definitivo e legittimato per il design di questo periodo. Tutto ciò si riflette in particolare nelle riviste di musica e moda e nelle copertine dei dischi progettate come vere e proprie

80’S FRENZY

Cover dell’album Construction Time Again dei Depeche Mode, Ian Wright, 1982

opere d’arte: dove va la musica va anche l’immagine e la filosofia delle band.

Esplodono nuovi generi musicali come il post punk, la dark wave, la no-wave, la new wave, il rap e la techno, e le band collaborano con i grafici per costruire un’identità fortissima, portandosi dietro l’eredità caotica del punk e raggiungendo picchi di eclettismo e sperimentazioni intellettualoidi. Con le grafiche post punk e new wave si rifiutano i principi del modernismo e del rigore svizzero.

Si diffonde il design retrò ispirato alle pubblicità di riviste divulgative come

National Geographic o Life visibile nelle copertine meccaniche degli album dei Devo o in quelli dei B 52’s, realizzate dai designers con l’intento di confondere lo spettatore in modo che scambi un disco per un oggetto di design; esplode presso il locale Blitz di Londra la malinconica e fashionista cultura New Romantic guidata da Bowie e dai primi Duran Duran che si ispira al neoclassicismo, e al romaticismo ottocentesco, rifiutando il punk ma inglobandolo silenziosamente nell’estetica.

Le forme geometriche aguzze dominano la cultura visuale insieme ai colori piatti e ad abiti e make up esuberanti.

Insieme al minimalismo avanguardista del post punk coesiste una grafica più tradizionale che sbeffeggia l’arte della propaganda copiandola nei dettagli e facendone una seria e sentita parodia (come nei dischi dei Depeche Mode, degli ABC, Style Council, etc).

Si esplorano nuove tecniche di stampa, la distorsione fotografica, la manipolazione fotostatica, e nella seconda metà degli anni 80 si diffondono i pri-

Le prime icone Mac Apple, Susan Kare, 1984

mi programmi di editing digitale con la diffusione dei Mac (con Mac Paint) che ampliano il campo della sperimentazione per la tipografia. Il gruppo Emigre è uno dei primi che si occupa di design digitale, insieme alle sperimentazioni di April Greiman, creando una fonderia di tipi digitali che produce nuovi caratteri disponibili globalmente. La poetica artistica del periodo ricerca l’imperfezione, glorifica l’errore e il caos progettato, lo straniamento dell’ossevatore, desidera il minimalismo e un’eleganza hip & cool.

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PETER SAVILLE

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Peter Saville nasce a Manchester nel 1955, nel Lancashire, ed frequenta il St. Ambrose College, per poi studiare arte grafica al Manchester Polytechnic dal 1975 al 1978.

Entra in contatto con la scena musicale della città grazie a Tony Wilson, giornalista e conduttore radiofonico, e riceve la sua prima commissione nel 1979: la realizzazione del primo poster della Factory (FAC 1), neonata etichetta discografica da cui usciranno Joy Division, New Order e molti altri artisti della scena post punk. Saville entra a far parte dell’etichetta insieme ad altri amici di

Il logo della Factory Records disegnato da Peter Saville nel 1980

Wilson, il produttore Martin Hannett, Rob Gretton e Alan Erasmus, e ne disegna l’iconico logo nel 1980.

L’etichetta (il cui nome derivava dalla Factory di Andy Warhol) è concepita come una fabbrica che crea prodotti in serie ma unici nel processo creativo, creando così una dissonanza tra unicità della creazione e produzione anonima dell’industria. Ogni oggetto/evento/locale/disco etc. che esce dal collettivo ha un suo numero di riconoscimento progressivo così definito “FAC n°”, ma una sua unica identità.

In questo contesto Saville realizza molti dei suoi lavori facendosi influenzare da questo approccio tra il punk e l’intellettualismo artisitco, giocando sulle contraddizioni tipiche del postmoderno.

Alla Factory può lavorare con la stessa libertà creativa che gli artisti esercitano per la loro musica: slegati dai limiti di budget e di scadenze che vengono invece imposti ai creativi nella maggior

parte degli studi e delle etichette.

Saville realizza moltissime copertine con la Factory (per gli Ultravox, gli OMD, i Cabaret Voltarie) ma il suo lavoro più famoso è la copertina di “Unknown Pleasures”: l’album di debutto dei Joy Division, pubblicato nel 1979.

La copertina si presenta come un disegno astratto con delle linee bianche su fondo nero: si tratta di un grafico delle frequenze del segnale proveniente dalla stella di neutroni CP 1919, scelto all’interno di una raccolta di materiali selezionati dalla band appartenenti alla Cambridge Encyclopedia of Astronomy.

Saville decide di utilizzare l’immagine in negativo (l’originale ha le linee nere e il fondo bianco), trasponendone e semplificandone l’illustrazione, e massimizzandone il potenziale: nella sua schietta linearità l’immagine diventa enigmatica scarna e misteriosa come sound dell’album. Saville stesso afferma essere “un’immagine tecnica e sensuale, tesa come la batteria di Stephen Morris ma anche fluida, e che potrebbe rappresentare il battito del cuore”.

Cover dell’album Unknown Pleasures dei Joy Division, Peter Saville, 1979

Label per l’Hacienda, il locale della Factory Records, Peter Saville, 1980

Cover dell’album Rage in Eden degli Ultravox, Peter Saville, 1981.

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Fondamentali per la sua crescita artistica sono i lavori di Herbert Bayer e Jan Tschichold. L’estetica elegante e ordinata del Bauhaus gli risulta più intrigante e d’impatto dell’anarchia caotica offerta dalle grafiche punk. Saville si sofferma anche sullo studio delle avanguardie del primo 900, da cui riprende l’impostazione di alcuni lavori come “Rage in Eden” degli Ultravox, o come “Movement” dei New Order che è la trasposizione di un manifesto realizzato da Fortunato Depero nel 1932 per un’esposizione futurista tenutasi nel Trentino.

Anche le pratiche di decontestualizzazione tipiche del Dadaismo rivivono in Saville con un’eleganza straniante: come la musica per cui produce l’identità grafica assembla sonorità e influenze diverse, Saville procede per associazioni visive inusuali. Nei suoi lavori esiste sempre una forte carica sinestesica e l’immagine si genera direttamente dalla musica: desolata come il disco dei Joy Division o tagliente come per gli Ultravox e i New Order.

Il processo creativo per la realizzazio-

Cover dell’album Technique dei New Order, Peter Saville, 1989

Cover dell’album Movement dei New Order, Peter Saville, 1981

ne di molte sue copertine prevede la de-contestualizzazione di elementi, artistici e non, appartenenti ad ambiti e periodi storici differenti, per farli rivivere in uno scenario nuovo.

I soggetti vengono traslati in universi a cui originariamente non appartengono, acquisendo significati nuovi ed ambigui.

Questo processo si riscontra sì in “Unknown Pleasures” ma anche in “Power Corruption and Lies” dei New Order dove un dipinto realista del pittore Fan-

tin-Latour si combina con un alfabeto fatto solo del codice colore; e anche in “Technique”, sempre dei New Order, la cui copertina raffigura la statua di un cherubino in un’insolita combinazione di tonalità e colori che risultano saturi, violenti e innaturali. Un lavoro ironico e tagliente che critica la società materialista e libertina di quegli anni, fatta di colori fluorescenti ed eccessivi. In molte copertine di Saville inoltre non è prevista la presenza del testo: l’immagine è protagonista e si rende anche giocosa come nel caso del disco “OMD“ degli Orchestral Manoeuvres in the Dark (per la Dindisc) in cui la copertina è realizzata con una gabbia di plastica forata da cui emerge il fondo giallo.

Nel 1979 Saville si trasferisce da Manchester a Londra e diventa art director all’interno dell’etichetta discografica Dindisc. Successivamente crea un corpus di lavori in cui mostra la sua raffinata interpretazione del Modernismo, producendo opere per artisti come Wham! e Peter Gabriel. Durante questo periodo disegna l’elegante cover dell’al-

Cover dell’album Power Corruption and Lies dei New Order, Peter Saville, 1983

bum “Metro Music” di Martha and the Muffins e si approccia all’uso dei primi editor digitali. Nel 1982 fonda il suo studio con il designer e musicista Brett Wickens, il Peter Saville Associates.

Cover dell’album Metro Music di Martha and the Muffins, Peter Saville, 1980

Cover dell’album OMD degli OMD, Peter Saville, 1980

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NEVILLE BRODY

FF Dirty Four un carattere progettato da Brody negli anni 80

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380 Neville Brody (23 aprile 1957) nasce a Southgate, Londra. Frequenta la Minchenden Grammar School con indirizzo artistico. Nel 1975 Brody segue un corso di Belle Arti all’Hornsey College of Art e nell’autunno 1976, inizia un triennio di grafica presso il London College of Printing. Sceglie di studiare design piuttosto che le belle arti perché non è d’accordo con il mondo artefatto delle gallerie, ritenendolo solo un luogo di atterraggio finanziario con poca efficacia sociale. Brody vuole raggiungere le

persone, si sente moralmente contrario al potere manipolatorio della pubblicità, e sceglie il design proprio per capire come funziona quel modulo per usarlo contro lo stesso. Desidera che le persone inizino a farsi domande su come funziona quel meccanismo di persuasione e su come il design possa effettivamente migliorare la società.

Il suo lavoro è influenzato dall’emergere del punk rock, dall’etica Do It Yourself e dalla nuova scena musicale no wave

e post punk. Durante il college disegna poster per concerti studenteschi, in particolare quelli per la band punk sperimentale Pere Ubu, e si dedica allo studio di Dadaismo e Pop Art (scrivendo una tesi che confronta i linguaggi dei due movimenti). Si fa influenzare dal Costruttivismo, dalla street art e dal mondo dei graffiti. Disenga i carattere a mano prendendo spunto dagli alfabeti cirillici e dalle avanguardie russe.

La sperimentazione di Brody con la sua tipografia sans-serif autoprodotta, insieme all’ influenza di Pop Art e Dadaismo, attira l’attenzione di case discografiche come la Fetish Records e la Stiff che lo contattano una volta finito il college.

Le copertine dei dischi prodotte da Brody per la Fetish Records dal 1980 al 1982 sono ottimi esempi di stile post punk che mostrano il suo approccio al design particolarmente individuale. Prima dell’arrivo della tecnologia per la progettazione al computer, tutto deve

essere incollato insieme con ritagli di carta, sovrapposizioni di film o stampe PMT [trasferimento foto-meccanico]: sono lavori complessi che necessitano l’ausilio di un tipografo professionista.

Questo è l’approccio che Brody usa, una costruzione artigianale con dipinti, stampe, ed elementi scolpiti creando collage di sapore cubista per poi fotografarli e usarli come artwork per le copertine come nel caso delle sculture in legno o le mani in gesso utilizzate per

Cover dell’album Seven Songs dei 23 Skidoo, Neville Brody, 1982.

Cover del singolo Just can’t get enough dei Depeche Mode, Neville Brody, 1980

Cover per una compilation, Neville Brody, 1985

la copertina dell’album “Seven songs” dei 23 Skidoo. La sua copertina di “Just Can’t Get Enough” dei Depeche Mode (1981) è un buon esempio di stile svizzero-internazionale con il carattere Helvetica esteso e racchiuso in tre bande dal lato superiore destro della copertina, ma mischiato con la grafica punk in stile fotocopia in negativo. Infine la compilation “Go Go - The Sound Of Washington DC” (1985) è una personale interpretazione delle opere di El Lissitzky in

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Cover dell’album Microphonies dei Cabaret Voltaire, 1984 e Thirst dei Clock DVA, 1981, Neville Brody

cui dominano i tre colori del Costruttivismo (bianco, rosso e nero).

Funk, hip hop, rap, acid house, industrial, e musica sperimentale influenzano Brody nella crazione di molte copertine con lo stesso metodo con cui Saville ha creato le sue. Per i Clock DVA, i Cabaret Voltaire (con cui lavora per 20 anni realizzando molte copertine) e la band industrial noise Throbbing Gristle utilizza uno stile grezzo e scuro con fotografie, sovrapposizioni grafiche,

gole di base e strutturali della cultura britannica editoriale trasformandone l’estetica per un risultato vibrante. Il layout progettato per questa rivista invita il lettore a soffermarsi su una pagina per decifrarla e osservarla come una foto invece di girarla come si farebbe con qualsiasi altra lettura.

In questi lavori è fondamentale che il contenuto coincida con lo stile utilizzato e per questo Brody usa anche caratteri e calligrafie da lui appositamente realizzate, al fine di enfatizzare e definire

brandelli di colore in stile espressionista astratto e molto gestuale, adatte al loro tipo di musica e ispirate da iconografie codificate e riconosciute in quelle scene musicali: design post-industriale e hi-tech; layout duri e geometrici, simboli di segneletica stradale, graffiti etc.

Brody inoltre è molto popolare grazie al suo lavoro come art director per la rivista di moda e cultura giovanile “The Face”. In questo contesto cambia le re-

Cover dell’album Five Albums dei Throbbing Gristle, Neville Brody, 1981

Copertina della rivista The Face, Neville Brody, 1984

questa necessità percettiva.

Brody in questi anni lavora anche con riviste come “City Limits”, “Lei”, “Per Lui”, “Actuel” e “Arena”, progettando un nuovo look radicale per due importanti quotidiani britannici “The Guardian” e “The Observer”.

Nel 1986, Brody è contattato per rinnovare il design del settimanale socialista del Partito laburista “New Socialist”: usa stili costruttivisti poichè il suo scopo, è quello di informare invece di intrattenere come in “The Face”.

Negli anni 90 progetta molti caratteri tra cui uno dei più conosciuti, FF Blur.

Fonda nel 1990 con Jon Wozencroft “FUSE” una rivista interattiva dedicata alla tipografia, alla tecnologia e a tematiche attuali, portando avanti lo studio dei caratteri e di come essi dialogano con le immagini all’inizio dell’era digitale.

383 Iinterno della rivista The Face con i Kraftwerk, Neville Brody, 1983

Interno della rivista The Face con gli Smiths, Neville Brody, 1985.

MALCOLM GARRETT Malcolm Garrett nasce a Northwich nel 1956 in Inghilterra, e frequenta il St Ambrose College. Studia tipografia presso l’Università di Reading dal 1974 al 1975 e graphic design al Politecnico di Manchester dal 1975 al 1978 ed è compagno di studi di Peter Saville. Diventa famoso tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80 con il suo lavoro per band e musicisti come Buzzcocks, Magazi-

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Cover del singolo Orgasm Addict dei Buzzcoks, Malcolm Garrett, 1977

Cover del singolo dei Buzzcocks Love you more, Malcolm Garret, 1978

ne, Duran Duran, Simple Minds e Peter Gabriel. Si converte presto all’esplorazione del design con tecnologia digitale e il suo studio londinese è tra i primi ad essere totalmente digitale nel 1990.

proto-corporate identity per i gruppi.

Come per i Buzzcocks anche il suo lavoro per Simple Minds non solo stabilisce un’identità visiva per la band (attraverso le copertine ispirate a De Stijl) ma la sviluppa a seconda delle nuove influenze e crescita della band. Da qui la fusione di motivi religiosi sassoni e celtici nella calligrafia e nella blasonatura delle loro opere successive come “Glittering Prize” del 1982. Allo stesso modo si comporta con i Duran Duran.

Le loro prime immagini (come nel singolo “Planet Earth” del 1982) evocano un costruttivismo hi-tech, insieme a rimandi alla fantascienza. Con la maturazione della band la grafica cambia: è il caso di “Rio” album del 1982 realizzato da Garrett e con le illustrazioni sensuali di Patrick Nagel.

Il suo primo lavoro degno di nota è la creazione dell’identità visiva fortemente erotica e dal sapore dadaista e surrealista per il gruppo punk rock Buzzcocks, inclusa l’iconica cover del loro singolo del 1977 “Orgasm Addict“. Garrett è famoso per creare vere e proprie

Lo stile di Garrett, influenzato anche dall’arte psichedelica di Barney Bubbles come accade per molti grafici degli anni 80, è uno degli esempi di stile post punk. Prevede stravolgimento dell’orientamento convenzionale di testo e immagine che si disperdono lungo dia-

Cover dell’album Glittering Prize dei Simple Minds, Malcolm Garrett, 1982

Il singolo Planet Earth dei Duran Duran, Malcolm Garret 1980

gonali, si spezzettano generando una forza centrifuga della cornice pittorica con una degerarchizzazione degli elementi (qualsiasi bordo può essere sostituito con qualsiasi altro bordo, così anche con i testi e le immagini). Garrett vuole comunicare un senso di “non finito” nelle sue opere e si diverte a confondere l’immagine con il suo sfondo con complesse sovrapposizioni e cornici, colori vivaci e caratteri diversi, unendo cornici e sfondi molto contrastanti per creare disorinetamento e decontestualizzazione (album “Colour by numbers” dei Culture Club e “Love Resurrection” di Alison Moyet).

Cover dell’album Love Resurrection di Alison Moyet, Malcolm Garrett 1984

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Cover dell’album Colour by numbers dei Culture Club, Malcolm Garrett, 1983

APRIL GREIMAN

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April Greiman (nata il 22 marzo 1948) è una designer americana ampiamente riconosciuta come una delle prime ad abbracciare la tecnologia informatica come strumento di progettazione. Greiman è anche famosa per aver contribuito a importare lo stile di design della new wave europea negli Stati Uniti alla fine degli anni 70 e all’inizio degli anni 80. È una sostenitrice della nuova tipo-

Cover della rivista Wet, April Greiman e Jamye Odgers, 1979

Poster per la Warner Records, April Greiman, 1982

grafia computerizzata della Apple Macintosh e la sua arte unisce lo stile della scuola svizzera con la grafica della West Coast postmoderna, insieme al Memphis Style (movimento nato nell’ambito dell’architettura d’interni e fondato dall’italiano Ettore Sottass che influen-

zerà gran parte dell’estetica new wave ed esploderà nel mainstream delle grafiche pop degli anni 90).

Terminati i suoi studi presso il Kansas City Art Institute, Greiman lavora come designer freelance e presso il Museum of Modern Art (MOMA) di New York

City. Negli anni 70 respinge la convinzione di molti designer contemporanei che computer e digitalizzazione avrebbero compromesso lo stile tipografico internazionale e si avvicina all’uso del digitale con la pixelizzazione e altri “errori” visuali concependoli come parti integranti dell’arte digitale.

A fine anni 70 a Los Angeles, conosce il fotografo-artista Jayme Odgers. Insieme disegnano un famoso poster per il California Institute of Arts nel 1978 che diventa un’icona grafica dello stile new wave californiano, largamente imitato.

Realizzano intolre molte copertine per la rivista “Wet” magazine di cultura giovanile, musica e moda che contribuisce a diffondere la cultura punk e la new wave in America. Qui il linguaggio di

Greiman è fatto di elementi provenienti dal surrealismo, dal collage dada, dal rigore dell’ITS svizzero che viene però frammentato e reso giocoso, insieme a colori piatti e sgragianti, con l’uso di pattern geometrici, richiami all’arte metafisica di De Chirico e figure di sapore Art Déco. Molte delle influenze di questo periodo derivano anche dai lavori del designer tedesco Wolfgang Weingart (suo ex docente) accreditato come “il padre” della tipografia New Wave o Swiss Punk.

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Iris Light, April Greiman, 1984

Poster per CalArt, April Greiman e Jamye Odgers, 1978

Poster per le olimpiadi di Los Angeles, April Greiman, 1984

Nel 1984 April compra il suo primo computer Macintosh e nello stesso anno contribuisce alla progettazione dei poster pubblicitari per le Olimpiadi di Los Angeles in collaborazione con Jayme Odgers. Questo stile essenziale, estivo, rarefatto, timidamente surrealista e scultoreo si ritroverà riproposto in molti cover designs di metà anni 80 per band come Talk Talk, Chameleons, Duran Duran, Depeche Mode, The Cars,

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Does it make sense?, April Greiman, 1986

Visage etc. Sulla stessa linea d’onda è il poster “Iris Light” per il designer di interni Ron Rezek che rappresenta una svolta nel lavoro di Greiman: è il primo pezzo ibrido che incorpora la tecnologia digitale insieme all’utilizzo di fotogrammi video e foto.

Famosissimo e rivoluzionario è il poster che Greiman realizza per il numero 133 della rivista Design Quarterly nel 1986 dal titolo “Does it make sense?” su commissione dell’editore Mildred Friedman.

Il poster di circa due metri per uno contiene un’immagine a grandezza naturale del volto della designer e del suo corpo

nudo insieme ad un collage di vari elementi come foto, graffiti e disegni con carica simbolica (Greiman è influenzata anche dalla psicologia Junghiana e dallo studio della fisica). Greiman ptogetta questo lavoro in modo totalmente digitale su un Macintosh 128K, il primo computer Apple con uno schermo di 9 pollici. Utilizza una fotocamera Sony Beta con MacVision (un dispositivo che digitalizza immagini) per fotografare il proprio corpo e caricare gli altri elementi fotografici. Il layout viene composto con MacDraw e la stampa delle immagini viene fatta in singole pagine per poi essere unite insieme in tipografia.

L’opera è un vero e proprio gesto provocatorio, che contrasta con enfasi le tendenze oggettive, razionali e maschili del design modernista e si oppone al suo tradizionalismo. Il titolo è ironico e tipicamente postmoderno: Greiman ci chiede se questo lavoro ha senso ma in realtà (dice la designer) “il senso c’è se noi glielo attribuiamo”.

Il lavoro di Greiman è eclettico e multidisciplinare. Unisce cultura alta, stile

svizzero, cultura pop americana e cultura popolare, e cerca sempre di realizzare opere che siano ibridi oggetti di sperimentazione (come “Pacific Wave” o il poster per Sci-arc), crea poster con illusioni ottiche 3D, elementi di schermi digitali e tipografie insolite. Realizza anche alcune copertine per la rivista di

389 Poster Pacific wave, April Greiman, 1987

Poster Sci-Arc changing concepts of space in architecture and art, April Greiman, 1986

moda ID. Greiman può essere definita a tutti gli effetti un’artista transmediale e così è anche il suo studio Made in Space, che dalla fine degli anni 70 lavora su diversi progetti puntando alla sperimetazione con diversi medium.

EMIGRE: ZUZANA LICKO E RUDY VANDERLANS

Numero 9 di Emigre, Zuzana Licko e Rudy Vanderlans, 1988

Numero 1 di Emigre, Zuzana Licko e Rudy Vanderlans, 1984

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390 Zuzana Licko nasce a Bratislava nel 1961 e durante l’infanzia si sposta negli Stati Uniti insieme alla sua famiglia. Il padre è un biomatematico che insegna a San Francisco, e con lui comincia a utilizzare i primi computer aiutandolo nel lavoro di elaborazione dei dati. Questi primi esperimenti sono fondamentali per l’approccio innovativo che Licko ha in seguito con il design dei caratteri ed è proprio in questo periodo che disegna il primo font in stile alfabeto greco apposta per il padre.

All’Università di Berkeley inizia a studiare architettura, fotografia e programmazione informatica e dopo aver cambiato percorso di studi si laurea in comunicazione grafica. Licko segue anche un corso di calligrafia che la guida in seguito nei primi lavori di progettazione tipografica che realizza sul computer.

Rudy VanderLans nasce nel 1955, a Voorburg in Olanda. Studia alla Royal Academy of Art nel dell’Aia e successivamente si trasferisce in California per un dottorato in fotografia all’Università di Berkeley. Nel 1982 conosce Licko che diviene sua moglie l’anno successivo.

Nel 1984 acquistano il primo Macintosh e iniziano a dedicarsi alla progettazione dei caratteri in digitale. il Mac si rivela uno strumento innovativo: costringe i designer a mettere in discussione tutto

Numero di Emigre con il Template Gothic, Barry Deck, 1991

Il carattere tipografico Lo Res, Zuzanna Licko, 1985

ciò che hanno imparato sulla grafica e li spinge a oltrepassare i limiti della tradizionale progettazione.

Su questa linea sperimentale fondano la rivista Emigre nel 1984, concepita come una vetrina per artisti e designer provenienti da tutto il mondo. Emigre significa “migrante/emigrato” (come molti dei suoi collaboratori), ed è una pubblicazione underground e DIY che parla di tipografia, arte, cultura, filosofia, critica e sul design contemporaneo e sui nuovi medium creativi. A partire dal 1985 Emigre viene realizzata esclusivamente con

l’utilizzo di Mac Paint e Mac Write.

Per la rivista Licko crea caratteri appositi utilizzando i bitmap del computer (tra questi i font Lo Res e Oakland) ottendendo un risultato grezzo e spigoloso che conferisce ai due designer con l’appellativo di New Primitives. Con la rivista nasce l’omonima fonderia indipendente che sfrutta il computer per progettare i caratteri senza il bisogno di una produzione tradizionale. Nascono il Triplex Italic, il Matrix, il Modula e negli anni 90 i graziati Filosofia (il Bodoni di Emigre) e Mrs Eaves di Zuzanna Licko, caratteriz-

zati dalle forme morbide e floreali e anche il famoso Template Gothic di Barry Deck che anticipa la tipografia grunge.

In quegli anni Emigre è oggetto di critiche poichè rifiuta le regole di progettazione standard e viene vista come una minaccia agli ideali modernisti.

Vignelli addirittura la definisce come “una fabbrica di immondizia e un degrado della cultura”.

Secondo Vanderlans e Licko questa affermazione vacilla poichè ciò che è ritenuto leggibile lo è solo a causa della prevalenza di un determinato carattere e si tratta solo di abituare visivamente l’osservatore a conoscrne di nuovi. Questa visione avrà un ruolo centrale negli anni 90 e aprirà le porte alle problematiche di leggibilità/comunicazione.

Il carattere tipografico Filosofia, Zuzanna Licko, 1996

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RIELABORAZIONE

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Poster per il primo live festival della Factory Records, FAC1, Peter Saville, 1981

Shake ink before use, Virginia Monteverdi, 2020

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Con l’esplosione della grafica digitale e la diffusione dei computer già iniziata a metà anni 80 gli strumenti di composizione grafica sono tutti nelle mani dei singoli designer. Ciò favorisce un periodo di sperimentazione, maggiore libertà e facilità nella progettazione di caratteri tipografici e layout di pagina innovativi. Tipografia e immagini iniziano a diventare stratificati, frammentati

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e smembrati; le colonne di testo si sovrappongono e cambiano allineamenti e dimensioni, pesi e caratteri tipografici si modificano all’interno di singoli titoli e pagine, testo e immagini si confondono. La grafica editoriale si trasforma definitivamente con il lavoro del designer David Carson che cattura l’immaginazione di un pubblico giovane adottando un approccio sperimentale. Da queste

GRUNGE E OLTRE

Cover dell’album Nevermind dei Nirvana, Robert Fisher 1990

novità nasce la tipografia grunge, uno stile graffiato, sporco, ruvido e caotico che caratterizza tutto il decennio.

Le aziende multinazionali sviluppano un’identità globale, e i consumatori diventano consapevoli del potere del brand come manifestazione di una forma grafica sempre più personalizzata.

Il crescente possesso dei computer diffonde la consapevolezza della progettazione grafica nel più ampio pubblico, portando alla persone la possibilità di selezionare tipi di carattere e progettare nella propria casa, dissolvendo così

i confini fra professionisti e amatori.

Alcuni designer si dimostrano sprezzanti nei confronti delle opportunità che i computer danno alla tipografia e alla progettazione grafica. Nonostante questo c’è chi si approccia alle nuove tecnologie e le guarda con ottimismo seguendo l’esempio del gruppo Emigre fondato nel 1982.

I computer permettono che i confini tra la stampa, il cinema e la televisione, vengano esplorati e spezzati. La massiccia diffusione di internet incoraggia la pubblicazione online e i graphic designer vengono spesso coinvolti nella progettazione web (web design). Si parla di questo periodo come “fine della stampa” ma non perchè la stampa sia effettivamente morta ma perchè si è all’interno di una prima rivoluzione digitale che mette da parte le regole della tipografia tradizionale che dominavano da 500 anni. Il design diventa più autoreferenziale, intellettuale e personalizCopertina di un numero di Ray Gun, David Carson 1994

Cover dell’album Superunknown dei Soundgarden, Kevin Westenberg, 1994

zato, si avvicina al mondo dell’arte e fa ricerca dentro le sue regole di applicazione: si allarga il vecchio dibattito arte-design, e i grafici arrivano ad essere vere e proprie rockstar lavorando allo stesso modo degli artisti più famosi. In questo senso è memorabile il lavoro di Stefan Seigmeister che può essere paragonato ad un Maurizio Cattelan o a un Jeff Koons. Grunge e Rave sono le ultime controculture che influenzano lo stile visuale del decennio lasciando una forte impronta.

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CENTRAL STATION DESIGN

Cover di Bummed degli Happy Mondays, Central Station Design, 1989

Cover dell’album Yes Please degli Happy Mondays, Central Station Design, 1990

Cover dell’album Pill ‘n Thrills and bellyaches degli Happy Mondays, Central station Design, 1990

Ritratto di una star della TV Britannica, Central Station Design, 1990

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Cover di Rave on, Ep degli Happy Mondays, Central Station Design, 1990

Il Central Station Design è una società di design e illustrazione mancuniana fondata da Pat Carroll, Karen Jackson e Matt Carroll. Associata alla Factory Records e la scena di Madchester dei primi anni ‘90, crera copertine di dischi e poster per artisti della Factory tra cui Happy Mondays, Black Grape e James insieme a numerosi ritratti di artisti e attori contraddistinti da un particolare stile naif, giocoso e pischedelico. La società è ricordata per il design dell’Ep “Madchester Rave On” degli Happy

Mondays del 1989 che diventa il logo iconico per un nuovo movimento musicale acid house e club che si svilupperà proprio all’inizio degli anni 90 nella città a partire dall’Haçienda, il locale storico della Factory Records.

Nel 1990, si tiene la loro prima mostra, intitolata Hello Playmates, alla Manchester City Art Gallery. La mostra presenta una collezione di ritratti di volti famosi della televisione britannica.

“La seconda parte della storia della Factory Records è meglio riassunta dall’eccentricità pittorica della Central Station”.

Tony Wilson

Ironici, divertenti e demenziali con un piglio alla Monty Python, i lavori del Central Station si ispirano alle grafiche degli anni 60 di Victor Moscoso, Milton Glaser, alle illustrazioni più irriverenti del Push Pin Studio, alla Pop Art e all’Art Brut, un movimento artistico con cui si indicano opere di artisti senza educazione formale oppure affetti da patologie psichiatriche o da altre condizioni invalidanti. Si tratta di lavori sporchi, provocatori e borderline tra professionismo e deliri pittorici punk (come la copertina

di “Bummed” che ritrae il cantante degli Happy Mondays, cugino di Carroll, noto per il suo abituale uso di droghe psichedeliche o come quella di “Yes Please” sempre degli Happy Mondays con iconografia sacra disegnata in stile infantile e sproporzionato dalla sorella di Carroll affetta da sindrome di Down).

Non c’è ricerca di precisione ma si vuole comunicare l’energia di una sottocultura nascente con un linguaggio infantile spontaneo e kitsch che cerca il brutto e se ne compiace senza mezzi termini.

RAVE CULTURE & VISUALS

Poster per il Rave Adrenalin!, Londra, 1992

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come campi, cave e foreste, con durata variabile da una notte fino a più di una settimana. L’esperienza di queste manifestazioni risponde all’esigenza di affermare la presenza di luoghi diversi dalle dinamiche imposte dalla cultura dominante che regolano la quotidianità dello spazio “pubblico” e di chi lo attraversa (le Zone temporaneamente autonome di teorizzate dal filosofo Hakim Bey).

Le grafiche per gli eventi rave esprimono sentimenti di libertà, visioni utopisti-

Poster per il Sound System Spiral Tribe, 1992

I free party, comunemente chiamati anche rave party o rave, sono manifestazioni musicali autogestite (illegali in diversi paesi). Nascono verso la fine degli anni ottanta in Inghilterra come critica alla politica conservatrice della Tatcher e si diffondono ampiamente negli anni 90, con musica principalmente tekno, techno, goa, acid house, jungle, drum

& bass o psy-trance, caratterizzate dagli stravaganti ambienti allestiti, dalla diffusione di droghe psichedeliche, dalle performance di artisti e giocolieri, dai giochi di luce e dall’accesso completamente libero e gratuito per chiunque. Si tengono solitamente in spazi isolati, per esempio all’interno di aree industriali abbandonate o in grandi spazi aperti,

Poster per un Rave londinese del 1993

che, hippie e lisergiche e una creatività sfrenata. La cultura rave produce così un linguaggio grafico quasi universale che influenzerà la grafica della club culture più all’avanguardia, fino ai giorni nostri.

I manifesti degli anni 90 dimostrano un gioioso disprezzo per le convenzioni, continuando la cultura grafica del punk.

La tipografia è sfacciata e distorta, dominano i colori al neon e i contrasti cromatici derivati dalla lezione psichedelica degli anni 60. L’immaginario rave è fuori da ogni classificazione prestabilita e si configura come un codice mutante. Coesistono immagini di sapore post atomico e cyberpunk, derive surrealiste, optical art, arte azteca e maya, graffiti provenienti dal mondo dell’hip hop, ri-

Cover del singolo Beat Dis, Bomb the Bass, 1988

ta nel 1963 in un programma televisivo americano per bambini. Diventa icona dei rave solo nel 1988, quando il dj Bomb the Bass lo inserisce sulla copertina del singolo “Beat Dis” per poi essere riprodotto in un’infinità di poster.

Questa cultura comunica una sorta di utopia totale lontana dal mondo occidentale: nella musica, moda, nei manifesti, si ha la sensazione che nulla sia visivamente vietato.

Poster per Fantazia, Michel Tcherevkoff, 1991.

ferimenti all’arte induista (come esempi di altra dimensione oltre la coscienza e la razionalità) e grafiche retro wave. Il tutto viene riproposto in uno stile acido, psichedelico, eclettico e caotico.

Si tratta di visual fortemente edonistici e ribelli come questa controcultura dedita al ballo e alla ritualità dei festival.

Simbolo di questa cultura è lo smiley giallo. Nato negli anni 60 (sebbene la sua origine sia molto contestata), si narra che sia stato visto per la prima vol-

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Poster per un Rave londinese dei primi anni 90

PAULA SCHER Pagine di Great Beginnings, Paula Scher e Terry Koppel, 1984

Be culturally literate, because if you don’t have any understanding of the world you live in you’re not going to express anything to anybody else.

Poster pubblicitario per la Swatch, Paula Scher, 1984

Paula Scher Cover dell’album Rock and Roll Over dei Kiss, Paula Scher, 1976

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Cover dell’album White, Hot & Bluedi Johnny Winter, Paula Scher, 1978

Paula Scher (Washington, 6 ottobre 1948) è un’illustratrice, pittrice, insegnante e grafica statunitense. Laureata presso la Tyler School of Art di Philadelphia nel 1970, subito dopo si sposta a New York e grazie al professor Stanislaw Zagorski entra in contatto con alcuni importanti art director newyorkchesi come Milton Glaser e Seymour Chwast.

A New York inizia a lavorare per la divisione libri per bambini della casa editrice Random House. Nel 1972, viene assunta dalla CBS Records al dipartimento di pubblicità e promozioni.

Dopo due anni, lascia la CBS Records per lavorare in un’etichetta concorrente, la Atlantic Records, dove divene art director, disegnando le sue prime copertine di album.

Torna alla CBS un anno dopo come art director per il dipartimento delle copertine. Durante gli anni passati alla CBS progetta ben 150 copertine di album all’anno, alcuni dei quali iconici nella storia della musica: “Rock and Roll Over” dei Kiss del 1976, “Darkness on the edge town” di Bruce Sprigsteen del

1979, “Unstant Replay” di Dan Harthan del 1978 e altri per formazioni jazz, classiche e per la disco music, insieme a poster per concerti.

Nel 1982 lascia la Atlantic Records per lavorare da freelance e in questi anni matura il suo stile ispirandosi alle soluzioni tipografiche del Futurismo, dell’Art Déco e del Costruttivismo russo di El Lissitzky. Scher non sopporta l’Helvetica, molto di moda in quegli anni, e pur di evitarlo preferisce mischiare caratteri tipografici spesso fuori moda (come la

tipografia vittoriana), utilizzando sproporzioni e dinamismo molto accentuati come nella tipografia delle avanguardie (un esempio è il libretto “Great Beginnings” realizzato insieme a Terry Koppel che raccioglie alcuni racconti di autori dell’ 800 e 900). Nel 1984 co-fonda il Koppel & Scher studio insieme al designer editoriale Terry Koppel. Insieme collaboratno per sette anni producendo packaging, copertine di libri e pubblicità, incluso il famoso poster per la Swatch, contestato dai puristi del modernismo ed ispirato ad un lavoro del grafico

svizzero Herbert Matter che vedeva l’utilizzo di ftomontaggi, sovrapposizione di più negativi fotografici e l’uso delle proporzioni fuori scala. Nel 1987 disegna la copertina dell’album “Bad” di Miachel Jackson per la CBS. Nel 1998 inizia a dedicarsi alla pittura: In un periodo di demoralizzazione e

Dettaglio di una mappa, Paula Scher, 1998

lo scopo di descrivere la geografia dello stato prescelto; l’artista sceglie di enfatizzare la natura di ogni territorio nella sua dinamicità, cercando di sintetizzare l’identità di una data regione geografica con la tipografia, dipinta a mano con pennelli piccolissimi e in tempi molto lunghi vicini alla meditazione. Paula continuerà a dipingere mappe per tutta la sua carriera.

Nel 1991, dopo che Koppel diviene art director presso la rivista Esquire, la

designer inizia un lavoro di consulenza presso lo studio Pentagram come partner nell’ufficio di New York. Sviluppa in quel periodo identità aziendali e branding, materiali promozionali, grafica ambientale, packaging e progetti di pubblicazione per una vasta gamma di clienti: Bloomberg, Microsoft, Coca-Cola, Shake Shack, Museum of Modern Art, the Sundance Institute, High Line, Jazz at Lincoln Center, Metropolitan Opera, New York City Ballet, New

Poster per Bring in da Noise, Bring in da Funk, Paula Scher, 1996

illustrazioni dinamiche di sapore urbano e giovanile. Si ispira anche agli American Wood Tipi di Rob Ray Kelly e ai poster del teatro vittoriano creando così una cacofonia di caratteri tipografici disparati. Il maggior successo lo ottiene con i poster per il musical rap “Bring in da Noise, bring in da Funk” del 1996.

Ridisegna anche il logo del teatro giocando sulla diversa dimensione delle lettere dandogli così movimento.

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402 sconforto, causato da un lungo e monotono processo di creazione del nuovo logo per City Bank, Paula disegna la sua prima mappa, influenzata dal padre cartografo, riproducendo a memoria la cartina degli Stati Uniti, tanto da dimenticarsi alcuni stati. Comincia così a dipingere altre mappe, alcune delle quali raffigurano il mondo intero, altre ancora riportano i nomi delle città in punti consapevolmente errati. La creazione delle mappe rimane per la designer un momento di evasione dai lavori commissionati. Le mappe grafiche non hanno solo

Poster per il Public Theatre, The Diva is dismissed, Paula Scher, 1994

Poster per il Public Theatre, Dancing on her knees, Paula Scher, 1995

York Philharmonic etc. Nel 1992 diventa insegnante di arte e design, alla School of Visual Arts di New York.

Nel 1994 Paula Scher è chiamata per realizzare un nuovo sistema di identità promozionale per il Public Theatre, un lavoro che influenzerà gran parte del design grafico creato per la promozione teatrale e per le istituzioni culturali.

Al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica, cercando di attirare un pubblico

più giovane e diversificato, Scher crea un linguaggio grafico che richiama la tipografia di strada e la giustapposizione delle immagini simile a quella presente nei graffiti, basandosi anche sui dipinti di Paul Daavis che erano parte della vecchia immagine del teatro. In questi poster la designer disegna i caratteri a mano, distorce quelli già progettati in modo da renderli come delle immagini dal forte impatto. Usa colori sgargianti e complementari, foto, composizioni e

Paula Scher è la prima donna a essere art director in uno studio, abbattendo così molti pregiudizi sul femminile nel graphic design. Negli anni continua a lavorare alle sue mappe e all’identità del Public Theatre innovandola costantemente per evitare pedisseque imitazioni. Si approccia allo studio degli alfabeti cirillici, espandendo il suo amore per la tipografia anche in altre lingue e visioni grafiche. Nel 2012 disegna il nuovo logo per Billboard e Windows 8.

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STEFAN SAGMEISTER

“Set the Twilight Reeling”. Dalla plastica blu semitrasparente del CD si intravede il primo piano del cantante, e una volta estratto il libretto si scopre che il volto emana raggi da un occhio e la copertina è gialla e verde. La copertina ritrae il volto del cantante ricoperto di scritte fatte a mano che percorrono la sua fisionomia, prive di griglie come se fossero tatuate. Il risultato è una grafica mossa e soffocante come nelle impostazioni delle punkzine. La tipografia subisce un

Cover e interni dell’album Set the Twilight Reeling di Lou Reed, Stefan Sagmeister, 1996

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Stefan Sagmeister nasce in Austria, in una cittadina sulle rive del Lago di Costanza, nel 1962. Terminate le scuole superiori si iscrive al corso d’ingegneria presso il college di Dorbin.

Qui si appassiona alla grafica lavorando alle illustrazioni e ai layout della rivista di sinistra “Alphorn”. Il suo primo lavoro da creativo, consiste in un manifesto per pubblicizzare un numero di questa rivista: convince i suoi compagni a formare coi loro corpi una “A” di anarchia, per poi fotografarli dal tetto della scuola.

Nel 1987, dopo alcune esperienze uni-

versitarie, ottiene un master al Pratt Institute di New York. È in questo periodo che emerge l’umorismo che caratterizzerà molti dei suoi lavori successivi.

Il suo primo lavoro consiste nel curare la propria immagine. Nasce così il marchio della Sagmeister Inc., una “S” cerchiata contenuta in una custodia di acrilico: esternamente è possibile vedere solo il marchio, mentre quando si estrae il biglietto è possibile leggere le generalità.

L’idea dei livelli correlati tra loro è stata poi ripresa da Sagmeister in molti dei suoi lavori successivi.

Tra i suoi più celebri lavori troviamo la grafica per l’album “Mountains of Madness” di H. P. Zinker, dove attraverso la plastica rossa del CD è possibile intravedere il volto tranquillo di un signore, ma una volta estratto il libretto si scopre che la copertina interna non è quella che sembra e lo stesso signore è ritratto mentre grida. Segue una collaborazione con David Byrne dei Talking Heads per la copertina di “Feelings” dove il cantante è ritratto come una bambola in vari stati emotivi, ma è soprattutto il lavoro con Lou Reed uno dei più interessanti, con il quale realizza la copertina dell’album

Cover dell’album Mountains of Madness di H.P. Zinker, Stefan Sagmeister, 1996

Fresh Dialogue, poster per un talk dell’AIGA, Stefan Seigmeister, 1996

Cover e interni dell’album Feelings di David Byrne, Stefan Sagmeister, 1996

altro colpo che l’allontana dalle regole tradizionali considerate noiose.

Sagmeister si rivela ben presto un creativo dall’animo punk, una vera rock star del graphic design con uno stile unico.

Nel 1996 comincia a lavorare per l’American Institute of Graphic Arts creando una serie di manifesti che scatenano subito dubbi, critiche e perplessità.

Uno dei più famosi è “Fresh Dialogue” che ritrae due lingue di mucca l’una di fronte all’altra, secondo il designer il miglior modo per pubblicizzare un talk.

Con le lingue di forma vagamente fallica, l’ambiguità dell’opera sarà motivo di aspre polemiche. Nel secondo poster

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pubblicitario per AIGA “But, Hurry!” del 1997, sono invece raffigurati dei polli decapitati che corrono nella prateria all’imbrunire.

Un altro interessante lavoro di Seigmeister è “Move our money” del 1999: un progetto promosso e curato da Sagmeister per sensibilizzare l’opinione pubblica statunitense sulla quantità di risorse spese nelle campagne di guerra con svariati mezzi di design (tra cui gli enormi grafici gonfiabili, magliette, penne e tazze “parlanti” in stile gadget aziendali). Il proposito dell’opera è quello di convincere il governo a destinare il 15% dei soldi spesi in armi nel campo dell’educazione pubblica.

Il lavoro più celebre, però, divenuto icona della grafica del decennio, lo realizza sul suo corpo nel 1999.

Il manifesto nasce per pubblicizzare un ciclo di conferenze al campus universitario di Cranbrook nei pressi di Detroit.

Seigmeister qui posa nudo con delle scritte incise sulla pelle con un coltello che non sono altro che l’headline e il bodycopy che promuovono l’even-

to. Quest’opera è riconducibile ad un’ estetica punk e ricorda l’autolesionismo esibizionista di Sid Vicious e gli esperimenti di performance fisica di Marina Abramovich, ma è anche molto ironica poichè nella mano sinistra Seigmeister porta una scatola di cerotti. Ad incidere il corpo dei designer è un collaboratore del suo studio: Seigmester ha dovuto

Style = Fart, poster per design talks, Stefan Sagmeister, 1999

Questa provocazione è perfettamente contestualizzata nel dibattito “Big Idea vs Style” particolarmente diffuso e acceso durante gli anni ’90.

Gadget parlante di Move our money, Stefan Seigmeister, 1999

posare fermo per ore, col rischio di svenire per il dolore provocato dalle incisioni. Il manifesto deve simboleggiare infatti la sofferenza che si deve patire prima di poter partorire un progetto valido. In mezzo alle scritte del body copy sul petto è possibile scorgere una frase che dice ”Style=Fart”, ovvero “Lo stile è Gonfiabili di Move our money, Stefan Seigmeister, 1999

una scorreggia”.

Questa irriverente affermazione rappresenta il pensiero grafico di Sagmeister: da un lato è orientato a privilegiare i contenuti a scapito della forma; dall’altro, nonostante sia sicuro che un concetto può essere espresso in varie forme, sceglierà sempre quella meno eufemistica e più fastidiosa.

La produzione successiva è guidata da un pensiero unico, quello di “Toccare con il design il cuore di qualcuno”. In questo senso decide di limitare il suo operato a determinate aree come design per cause sociali, design per artisti, design per la musica e corporate design e a tentativi di risolvere in maniera creativa progetti a basso costo.

Nel 2003, riprende la pratica del gigantismo maturata dalla Pop Art e realizza per Adobe un manifesto per i Design Achievement Awards componendo con duemilacinquecento coppette di carta per il caffè un mosaico raffigurante un’enorme coppa e fotografando il tutto da dieci metri d’altezza.

Nel 2007 realizza il logo e l’identità visi-

va per la concert hall portoghese Casa da Mùsica: insieme ad un collega creano un software capace di generare loghi modulari sempre diversi nelle forme e nei colori a seconda del visual che viene inserito e basati sulla struttura architettonica dell’edificio.

Seigmeister negli anni continua a utilizzare il corpo (suo e degli altri) per veicolare i propri messaggi creativi. Lo dipinge, lo ricopre di scritte lo rende un manifesto e lo espone senza pudore (come nell’invito per il rinnovamento del suo studio a New York in cui posano nudi lui e la sua compagna).

Varianti del logo di Casa da Mùsica, Stefan Sagmeister, 2007

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DAVID CARSON: THE END OF PRINT

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“Don’t confuse legibility with communication. Just because something is legible doesn’t mean it communicates the right thing”.

David Carson

Interno di un numero di Ray Gun del 1995

David Carson, nasce nel 1955, è un graphic designer americano, art director e surfista. È noto soprattutto per il suo design editoriale innovativo e l’uso della tipografia sperimentale utilizzato nella rivista di moda, musica e cultura giovanile “Ray Gun” nata nel 1992 di cui è stato art director per molti anni.

Carson frequenta la Cocoa Beach High School, e successivamente la San Diego State University, laureandosi in sociologia. Il primo contatto che ha con la progettazione grafica è nel 1980 all’Università dell’Arizona durante un corso di grafica tenuto da Jackson Boelts.

Dal 1982 al 1987, Carson lavora come insegnante presso la Torrey Pines High e nel 1983 inizia a sperimentare la progettazione grafica all’interno della cultura artistica e bohémien della California meridionale. Frequenta l’Oregon College of Commercial Art, per un paio di mesi per poi accettare uno stage presso la rivista “Action Now”. Quell’anno si reca in Svizzera per partecipare a un seminario in graphic design. L’insegnante, Hans-Rudolf Lutz, diviene la sua prima grande influenza artistica.

Carson assume il ruolo di direttore artistico della rivista “Skateboarding Transworld” nel 1984 e vi rimane fino al 1988. In seguito approda alla redazione di “Beach Culture”, contribuendo a dare alle riviste un aspetto particolare, nuovo e sperimentale.

Proprio in questo periodo il designer sviluppara il suo stile. L’approcio al design di Carson infatti si contraddistingue come un linguaggio innovativo, una vera e propria lingua, fatto di sovrapposizioni tipografiche, caratteri differenti e texture mescolati insieme, destrutturazione grafica che spesso rende i testi quasi completamente illeggibili, e tecniche fotografiche non tradizionali maturate dalla lezione del punk. “Don’t mistake legibility for communication”, è l’assunto che può riassumere tutto il suo lavoro e la sua visione del design.

Il suo è uno stile a sé, libero da regole e griglie. Nei suoi lavori le interlinee si sovrappongono, le crenature sono irregolari, nella stessa parola le lettere hanno un corpo diverso dall’altro. È una grafica

Copertine della rivista Beach Culture progettate da David Carson

sporca, anarchica, a volte illeggibile di primo impatto perché per Carson non è importante che il messaggio sia letto, ma conta che sia profondamente comunicativo. La massima espressione di questo stile matura quando Carson diventa art director della rivista “Ray Gun” nel 1992. Il suo modo di concepire il design editoriale viene esaltato e legittimato anche dal periodo storico in questione, caratterizzato dalla convinzione generalizzata che la sperimentazione fosse un approccio cool, condiviso soprattutto negli ambienti più underground, artistici e multidisciplinari. Anche l’avvento delle prime tecnologie digitali permette

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Il primo numero di Ray Gun, David Carson, 1992

Cover del libro The End of Print, David Carson, 1995

a Carson questa infinita sperimentazione, portandolo a tracciare uno spartiacque nell’editoria mondiale.

La caratteristica principale di “Ray Gun” sta nella capacità di manipolare il testo a tal punto da farlo diventare un’immagine in grado suscitare emozioni nello stesso modo in cui può fare una fotografia artistica: memorabile in questo

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Intervista a Bryan Ferry, David Carson, 1993

senso è l’intervista a Bryan Ferry in un numero della rivista, in cui Carson usò i Dingbat (un carattere contenente solo simboli) al posto del testo, poichè la considerava una conversazione noiosa.

In “Ray Gun” si assiste ad un netto stravolgimento delle gerarchie editoriali tradizionali: i titoli, ad esempio, spesso vengono scritti in formato ridotto e i testi con un corpo più grande. A volte, invece, il carattere risulta quasi illeggibile, rendendo il contenuto del tutto opzionale, ma pur sempre interessante da un punto di vista puramente visivo. Anche la testata, che in genere è il vero e proprio marchio di fabbrica dell’azienda, perde la sua caratteristica principale: non è più identica su tutte le copertine, essendo riprodotta con colori, caratteri, foto e forme differenti.

Contrariamente a quanto sostengono le regole del marketing questa impostazione inizia a funzionare davvero: la sua estetica viene ampiamente imitata durante tutti gli anni 90, e dà vita alla cosiddetta “tipografia grunge”, uno stile grezzo e caotico che trasforma in imma-

gine l’omonimo genere musicale fatto di suoni ruvidi, sporchi e vocalità rauche e gridate. Questo stile affaccia in molte cover di album delle band degli anni 90: Nirvana, Smashing Pumpkins, Alice in chains, Soundgarden etc.

Nel 1995, Carson lascia “Ray Gun” per fondare un suo studio, il David Carson Design, a New York. Inizia a lavorare con molti clienti per pubblicità e per rinnovare le company identity di grandi aziende. In questo anno esce la sua monografia redatta da Lewis Blackwell, “The End Of Print”, bestseller sulla grafica in cui il designer racconta del suo lavoro e di come il mondo digitale abbia messo da parte le tradizionali tecniche del graphic design. La fine della stampa indica la fine della tipografia tradizionale come la abbiamo sempre conosciuta per lasciare campo al digitale e a nuove regole e impostazioni.

Tra il 1995 e il 1998 collabora con, Pepsi Cola, Ray Ban, Microsoft (di cui ha rivoluzionato la comunicazione visiva dando all’azienda un nuovo aspetto accattivan-

Poster pubblicitario per Microsoft, David Carson, 1998

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Poster pubblicitario per Pepsi, David Carson, 1992

te e giovanile), Giorgio Armani, American Airlines Intel, Mercedes-Benz, e Levi Strauss Jeans, e successivamente anche con Fox TV, Nissan, Quiksilver, MGM Studios e molti altri.

Realizza anche lavori per band come i Nine Inch Nails di cui ha cura la cover degli album “The Fragile” del 1999, di “Still” del 2001 e di un dvd live.

Cover dell’album The Fragile dei Nine Inch Nails, David Carson, 1999

RIELABORAZIONE

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Be in the park, poster per il Public Theatre, Paula Scher, 2018

Be in the Nikon, Manuela Agus, 2020

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RIELABORAZIONE

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Copertina della rivista Ray Gun, David Carson, dicembre 1996

Nintegun, Lisa Bramandi, 2020

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DECOSTRUITO a cura di Virginia Monteverdi

Ringraziamo i nostri professori che ci hanno aiutato a creare questo progetto e a sopportare il delirio durante le lezioni e anche la The Sign Comics and Arts Academy per averci sempre seguito con

RINGRAZIAMENTI impegno durante e dopo la maledetta quarantena. Ringraziamo anche chi ci è stato vicino e ci ha visto sclerare tra gli stili di paragrafo, gli appuntamenti annullati per “finire il capitolo sull’autore”, le pagine dispari, le immagini in RGB, le vedove di guerra e i poveri orfanelli, le risoluzioni impossibili (che non è un pezzo dei Tiromancino), mentre affogavamo tra le linee e i puntini nemmeno fossimo Mondrian e Van Doesburg che litigano per una griglia diagonale.

Ci ringraziamo anche a vicenda per non aver sclerato quando c’era da prendere delle decisioni creative o leggere 567 messaggi nella chat (tutti in ugual modo fondamentali) per impostare il kerning.

Grazie vita per avermi fatto grafico!

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Un viaggio attraverso la storia della grafica e le sue evoluzioni dalla nascita della stampa al digitale, passando per le avanguardie, il postmodernismo e il design del Bauhaus. Realizzato per gli aspiranti grafici, per i curiosi e per tutti coloro che non vi si sono mai approcciati, questo libro è un viaggio attraverso la bellezza, la funzionalità, la fantasia, la creatività e la progettazione della comunicazione. Scoprirete che si può comunicare in moltissimi modi e in particolare che è impossibile non farlo.