IL MECCANISMO DEI SENSI

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per un imprenditore giovane come lei, il gusto cosa rappresenta? Come dicono certe persone io potrei essere un grande imprenditore ma sarei un pessimo manager. Questo perché il manager si occupa verosimilmente delle stesse dinamiche di lavoro, delle stesse procedure, di portare avanti un prodotto o servizio e di sostenerlo nel mercato. Quando faccio mia una cosa, quando la assimilo e riesco a replicarla con estrema semplicità allora mi pervade un senso di noia distruttivo. Ho bisogno di confrontarmi spesso con nuovi impegni, nuove fatiche, nuovi progetti per avere sempre fonti di energia e stimoli diversi. Soprattutto mi entusiasmano le nuove sfide. Ecco il mio gusto, il gusto di andare alla ricerca di qualcosa di nuovo, di mai visto o mai fatto. Quando tutti attorno a te dicono non puoi farcela è una pazzia…o quando ti chiedi… finora nessuno ce l’ha fatta, io come farò? Così lavori duro, sudi e combatti fino raggiungere il tanto ambito traguardo... E allora pensi Sì, io ce l’ho fatta. Sono stato il primo. Ho superato perfino me stesso, le mie stesse aspettative. Potremmo definirlo sapore del successo? Sì, ammesso che non si parli di successo economico. Non sono particolarmente legato al denaro, tutt’altro. Quando parlo di successo è sempre qualcosa di personale, che appartiene a me, alle energie spese, alla fatica fatta. È una sensazione che nasce dentro, qualcosa che assapori col cuore e con la gioia. Il mio più grande successo è stato mettermi in proprio con il mio socio e buttarci a capofitto in un mercato nel quale nessuno ci dava speranze di sopravvivenza. Questa per me è la descrizione del gusto! Veniamo al tatto. Le svelo che sono affetto da un piccolo disturbo ossessivo compulsivo della scrittura. Quindi scrivo sempre. O meglio, mi trova sempre con una penna in mano: scarabocchio, disegno, pasticcio su foglietti di carta. Tutto questo aumenta la mia concentrazione. Conserva ancora la sua prima penna? No. Mi è stata rubata già alle elementari. C’è un profumo o un odore che la lega alla sua formazione professionale oppure anche qui possiamo parlare di olfatto in altri termini? Direi entrambe le cose. Mi dica l’odore prima. È il profumo della saldatura. Pessimo per alcuni, inebriante per me. L’ho annusato per anni, da quando mio nonno è

andato in pensione. Per passare il tempo si dilettava a fare quei cosiddetti lavori da uomo che lo tenevano occupato. La saldatura però non è una cosa semplice né tanto meno esente da rischi. Quindi ho sempre associato questo profumo al lavoro vero. Quel lavoro che ti stanca, ti fa sudare, ma che allo stesso tempo ti regala la soddisfazione immensa di aver costruito qualcosa con le tue mani. E invece, in astratto, come spiega l’olfatto? Un’arma: deve servire per tenersi lontani da ciò che non è auspicabile o per fiutare qualcosa di interessante. Non le rimane che svelarci il suo sesto senso. Ovvero la sintesi dei cinque suddetti. Si spieghi. Quello che chiamiamo sesto senso per me è l’intuizione. Ma l’intuizione intellettiva che si allena con tutti e cinque i sensi. Non basta annusare o osservare con attenzione per scoprire se c’è del marcio o arrivare alla soluzione vincente. Sarebbe troppo semplice e ce la farebbero tutti. Per arrivare ad essere intuitivi c’è bisogno invece di una mente preparata e pronta. Di una mente che è frutto di tutte queste sensazioni, della loro somma. Attenzione però: non è una somma algebrica, ma il prodotto di quello che ogni senso di per sé riesce a raccogliere e che poi va a sommarsi a tutti gli altri imput. Allora si che diventi intuitivo, perché dentro di te scatta qualcosa che razionalmente non sai spiegarti, ma che ti fa fare la cosa giusta senza nemmeno che tu ti accorga di averla fatta, perché non è frutto di un ragionamento meditato ma dell’istintività, di quell’intuizione che è intelligenza, esperienza e senso. In un lavoro come il suo può essere di grande aiuto. È fondamentale. Non potrei farne a meno. Mi aiuta moltissimo anche perché io devo rimediare a situazioni disastrose o proporre progetti vincenti. Un lavoro difficile. Ma che da moltissima soddisfazione. Mi appaga al 100%. Vedere che un’azienda dopo una crisi non ha decimato il personale grazie al nostro aiuto e che pian piano si risana che dire, è il massimo. Non le lascia mai amarezza il suo lavoro? A volte sì, anche qualche timore. Quale? Quello che tutto il tuo lavoro possa essere vanificato. Dal momento in cui noi usciamo di scena perdiamo il controllo della situazione. Il rischio del fallimento è

sempre dietro l’angolo ed è quello che ci lascia l’amaro in bocca. Un progetto del quale andate particolarmente orgogliosi? Posso citarne uno recente che ci ha regalato molta soddisfazione e ci ha permesso di entrare in un mondo fino ad oggi sconosciuto, il settore delle energie rinnovabili. Siamo partiti da zero, ci siamo dati da fare per conoscere e capire questo mondo, ci siamo infilati dal basso ed ora siamo diventati dei big player anche in questa fetta di mercato. Abbiamo creato possibilità di sfruttare energie da fonti rinnovabili con dei ritorni economici favolosi inventando un business

model che ancora non esiste, o meglio, che il mercato ancora non ha recepito. Acquisire i principi del genitore e lavorarci insieme: com’è coniugare mentalità e approcci diversi? L’aspetto più difficile non è tanto la convivenza lavorativa, piuttosto il rientro a casa. È inutile nasconderlo o fingere: i problemi non stanno mai fuori dalla porta. Nonostante i buoni propositi è impossibile, perché spesso le discussioni di lavoro nascono da divergenze concettuali che spesso confinano con i principi della vita e con il proprio modo di vedere le cose. Così non restano semplici problemi di lavoro, ma diventato veri e propri confronti sull’esistenza. È importante il confronto, soprattutto con i genitori? Senza dubbio. La conflittualità è lecita e giustificabile ammesso che sia costruttiva. La nostra lo è stata e infatti ho imparato molto. Ho imparato finché un giorno non mi sono sentito in grado di poter ambire a qualcosa di più. Mi sentivo finalmente ricco di quelle competenze che mi sarebbero servite per potermi confrontare ad armi pari con i miei. Una volta impugnate queste armi potevo par-

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