Adriano Amore - Vincenzo Simone
Frasso Telesino Storia, Arte, Uomini Illustri, Folklore
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© ADRIANO AMORE - VINCENZO SIMONE FRASSO TELESINO, 2017
In Copertina: Il Palazzo del Principe in un’antica cartolina del primo Novecento. Per la correzione delle bozze, si ringrazia Maria Rosa Matarazzo e Concetta Simone.
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INDICE Premessa
7 I - Descrizione
1) 2) 3) 4) 5)
Il Territorio Origine del Toponimo Lo Stemma Comunale I Casali di Frasso La frazione di Nansignano
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II - La Storia 1) Il Periodo Preistorico 2) Il Periodo Sannita 3) Il Periodo Romano Le Forche Caudine 4) Il Medioevo 5) Il Cinquecento 6) Il Seicento 7) Il Settecento 8) L’Ottocento I Moti del 1848 Il Brigantaggio La soppressione dei beni di Gambacorta 9) Dal Novecento a oggi L’Emigrazione L’Incendio del Comune La Prima Guerra Mondiale Il Ventennio Fascista La Seconda Guerra Mondiale La Rinascita Culturale
18 18 19 20 20 23 24 27 30 33 33 35 36 40 41 45 46 48 49 3
III - Arte e Monumenti 1) La Chiesa di Campanile 2) La Chiesa di Santa Giuliana 3) La Chiesa del Carmine 4) La Chiesa rupestre di San Michele 5) La Chiesa di San Vito 6) Altre Chiese 7) Il borgo di Terravecchia 8) Murales: Rassegna pittorica”Terravecchia” 9) Il Palazzo Gambacorta 10) Il Palazzo del Principe 11) Il Monumento dei Caduti 12) Il Monumento a Padre Pio 13) Le edicole votive
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IV - Uomini illustri 1) Barbieri Antonio 2) Brancaleone Giovanni Francesco 3) Calandra Carmine 4) Calandro Nicola 5) Cusani Marcello Papiniano 6) De Silva Luigi 7) Di Cerbo Michele 8) Fusco Pietro 9) Gambacorta Giulia 10) Iannucci Alfonso Maria 11) Lostritto Giuseppe 12) Mosiello Mike 13) Spinelli Domenico
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V - Folklore 1) La Novena di Natale 2) La Serenata di San Silvestro 3) Il Carnevale 4) La festa di San Vito 5) Il Maio, la festa di San Michele e il Moifà 6) Altri canti popolari 7) Gli antichi mestieri 8) La Banda Musicale 9) Piatti tipici frassesi 10) Alcuni proverbi e modi di dire frassesi
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Appendici 1) 2) 3) 4) 5)
Andamento demografico Cronologia dei Sindaci Cronologia dei Parroci Comandanti della Stazione dei Carabinieri Principali date storiche
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Fonti Archivistiche
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Bibliografia
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PREMESSA
Un libro di storia locale è sempre un atto d’amore e di riconoscenza verso la propria terra d’origine, verso quelle persone semplici, mai citate, che con il proprio lavoro quotidiano hanno fatto la storia della nostra comunità. Un amore e un impegno culturale, nel nostro caso, che nasce da molto lontano: dalla sistemazione e catalogazione degli archivi parrocchiali di Santa Giuliana (1995) e del Carmine (1995), all’allestimento e catalogazione dell’Archivio della Fondazione Madonna di Campanile (2002-2003); dalla quasi ventennale collaborazione con il periodico frassese “Moifà” (1995-2013), alla riscoperta di vari uomini illustri (Calandro, De Silva, Mosiello, ecc.); dallo studio e catalogazione delle Delibere Comunali (2001), fino ai numerosissimi articoli storici pubblicati sulla “Nostra” Frasso. Diviso in cinque parti, il libro descrive e ricostruisce la storia del paese (dalla Preistoria ad oggi), dei suoi principali monumenti e delle sue opere d’arte ancora conservate, dei suoi uomini più illustri e delle sue tradizioni popolari. Completano la pubblicazioni alcune appendici, contenenti l’andamento demografico e varie cronologie di Sindaci, Parroci, Comandanti dei Carabinieri e delle principali date da ricordare. Evitando complesse forme scientifiche ed accademiche, il libro è stato scritto volutamente con linguaggio semplice, per renderlo accessibile a tutti. Pur tuttavia, ogni capitolo è sempre accompagnato da una ricca bibliografia, utile a quanti vorranno approfondire la conoscenza degli argomenti trattati. Frasso Telesino, luglio 2017
Adriano Amore - Vincenzo Simone
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(I)
Descrizione
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Il Territorio Situato ai piedi del Monte Sant’Angelo (1190 metri), a 374 metri sul livello del mare, Frasso Telesino dista circa 30 km da Benevento, capoluogo di provincia, 30 km da Caserta e 60 km da Napoli. Il territorio del Comune si estende per 22,25 Km2 e confina con Cautano, Dugenta, Melizzano, Solopaca, Tocco Caudio, S. Agata dei Goti e Vitulano. «È luogo salubre per eccellenza […] ha campagne ubertose, ricche di oliveti e vigneti. Questi producono vino robusto ed assai rinomato […]». Sede della Comunità Montana del Taburno (dal 1974) e del Parco del Taburno (dal 2004), il territorio frassese è circondato da boschi ricchi di ornielli, olmi, frassini, abeti, faggi, carpini e roverelle (quercia comune), popolati da varie specie di animali tra cui il cinghiale, la volpe, la lepre, il fagiano, lo scoiattolo, la cornacchia grigia, il merlo, il riccio, la talpa. Alzando lo sguardo, si può scorgere il volo maestoso della Poiana e del Falco Gheppio. Sono inoltre presenti popolazioni di anfibi e rettili, tra cui l’Ulone dal ventre giallo (Bombina variegata), il Biacco o il Saettone, il corvo imperiale, diverse specie di uccelli rapaci, i picchi e, tra gli uccelli più comuni, la Cincia Mora, la Cinciallegra, lo Scricciolo, il Pettirosso, il Colombaccio e il Tordo sassello. La popolazione, «in generale è sobria, intelligente, amante del lavoro e del buon vivere, ridanciana. Non è facile al delitto, specie quello di sangue; ma è piuttosto impulsiva e non tollera a lungo di essere ingannata e sfruttata». Bibliografia: ANNUARIO; DELPINOA; DI CERBO 1949; GIUSTINIANI; MARROCCO 1986; PIANO; RICCARDI; SACCO.
Origine del Toponimo Indicata prima del X secolo come Terra Colombina, il paese ha assunto nei secoli successivi varie denominazioni: Casale Fraxi, Castrum Fraxi, Frascio, Terra di Frasso, Comune di Frasso. 10
Secondo alcuni studiosi, questo nome deriverebbe dai “frassini”, alberi presenti nei boschi che circondano il paese. Secondo lo storico Michele Di Cerbo, però, «se la parola “Frasso” derivasse da questa pianta che fornisce legna da ardere (fraxinus), il paese dovrebbe chiamarsi non già Frasso, ma Frassino». Sempre secondo il Di Cerbo, invece, «la parola Frasso deriva dal supino del verbo latino frango, che è fractum (trasformatosi successivamente in frassum e quindi frasso) e che significa “rotto, spaccato”; ossia, legando la parola all’orografia del luogo, Frasso significa “monte spaccato”. Questa idea viene dalla presenza della gola di PRATA che costituisce appunto una spaccatura fra il Monte S. ANGELO e il Monte CARDITO». Una diversa interpretazione, infine, ci viene offerta dal prof. Carmine Calandra, secondo il quale, il significato va ricercato nella morfologia del territorio: «[…] nella latinità per indicare l’attività di fare la guardia, sorvegliare era usato il verbo “Fraxo - as - are”, dal quale facilmente potrebbe essere derivato il sostantivo “Fraxus - i” per significare una località idonea allo scopo». Dopo l’Unità d’Italia, con Decreto del Regno d’Italia n° 1140 del 22 febbraio 1863, il Comune di Frasso fu autorizzato ad assumere la denominazione di Frasso Telesino, «giusta la deliberazione 23 settembre 1862 di quel Consiglio comunale». Secondo il teologo Iannucci, «l’aggiunta “Telesino” va ricercata nel fatto che Frasso dipendeva dalla diocesi di Telese». Secondo lo storico Meomartini, però, l’aggiunta di Telesino «non spiega in alcun modo la origine del borgo, il quale meglio avrebbe potuto chiamarsi Frasso Caudino, perché appartenente in modo non dubbio al territorio dell’ antica Caudio, da cui non doveva esser molto lontano». Bibliografia: CALANDRA 1995a; DI CERBO 1949; DI CERBO 1961; GIUSTINIANI; IANNUCCI 1898; MEOMARTINI.
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Lo Stemma Comunale Lo stemma attuale del Comune di Frasso Telesino, a forma di scudo e sormontato da una corona dorata, ha le seguenti caratteristiche: rappresenta un albero di frassino senza radici, in cima al quale si posa una colomba bianca. Esso è racchiuso da due cerchi concentrici, all’interno dei quali si legge la scritta: Universitates Terrae Fraxi. Le notizie documentabili relative allo stemma partono dal primo decennio dell’Era Fascista, quando dalla Consulta Araldica pervengono, a tutti i comuni che non lo abbiano già fatto, circolari contenenti l’invito a regolarizzare gli stemmi e i gonfaloni comunali. In virtù di queste disposizioni, il Podestà Cosimo Mosiello invia, in data 4 dicembre 1927, la presente nota alla Consulta Araldica: «A seguito dell’incendio dell’Archivio Comunale, avvenuto nell’anno 1909, non riesce a stabilire se questo Comune sia in legittimo possesso di un proprio stemma. Prego, perciò, l’E. V. di voler disporre mi sia fatto conoscere se esiste per questo Comune Stemma riconosciuto ed autorizzato». La Consulta Araldica, con lettera del 21 dicembre 1927, comunicava che: «Nei registri ufficiali della Consulta Araldica, non si ha alcuna notizia relativa allo stemma civico del Comune di Frasso Telesino. Pertanto, perché codesto Comune possa fare uso legittimo di uno stemma municipale è necessario che la S. V. avanzi istanza di riconoscimento in carta da L. 3 a S. E. il Capo del Governo, Presidente della Consulta Araldica, unendo il disegno a colori dello stemma con le prove del suo antico e pubblico uso. Nel caso che tali prove facciano difetto, come pure nel caso, in cui mancando ogni precedente storico, sia necessario configurare un nuovo disegno con stemma civico, la S.V. vorrà avanzare istanza di concessione in carta libera a S. M. il Re accompagnandola da altra in carta da L. 3 a S. E. il Capo del Governo, unendo il disegno a colori dello stemma proposto ed un breve cenno illustrativo con gli elementi storici e con quanto altro possa aver riferimento al disegno inviato. In ambedue i casi, l’istanza deve essere corredata, dalla relativa deliberazione podestarile debitamente pubblicata e vistata dal Prefetto». A seguito di questa risposta, il Podestà dà incarico al Sig. Raffaele Marrocco, Direttore del Museo Alifano di Piedimonte Matese, di elaborare un bozzetto da sottoporre all’approvazione 12
della Consulta Araldica. L’incarico è portato a termine nell’anno successivo, come si evince dalla delibera comunale del 20 novembre 1928 n° 126. A questo punto l’iter si interrompe senza l’adozione di un provvedimento formale di concessione dello stemma. Nello stemma attuale, realizzato dal Sig. Marocco sono presenti gli stessi elementi dell’antico stemma: un albero ed una colomba. Essi, infatti, sono presenti nelle tre edizioni precedenti dello stemma della Terra di Frasso: il primo nella Tavola lignea della Madonna del Rosario del 1571, attualmente collocata nella Chiesa di Santa Giuliana; il secondo in un timbro a secco del 1749 conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli (Voci di vettovaglie, busta n° 128, fascicolo 6, p. 64); il terzo nella Pala di San Vito del 1788, attualmente collocata nella Chiesa della madonna di Campanile. L’attuale Consiglio Comunale, con delibera n° 26 del 28 luglio 2016, «ha espresso la volontà del Comune di ottenere il decreto di concessione dello stemma e del gonfalone», riavviando così l’iter per il riconoscimento e la concessione ufficiale. Bibliografia: AMORE-SIMONE 2006a; DI CERBO 1949; DI CERBO 1996c; STATUTO.
I Casali di Frasso Dallo Stato d’Anime del 1715, sappiamo che ogni quartiere del paese veniva denominato «Casale» ad eccezione della «Terra di Frasso», l’attuale «Terravecchia». Troviamo così: Casale delli Russi, Casale della Bocca, Casale di San Giovanni, Casale Fontana de Piccioli, Casale de Santi, Casale delli Piconi, Casale delli Calvani, Casale di Capo Sant’Angelo, Casale delli Simmoni, Casale di Castagnola,Casale della Portella, Casale delli Florij, Casale delli Naurielli, Casale dello Tuoro, Casale dell’Agnoni, Casale delli Barungi Da Sotto, Casale delli Barungi Da Sopra, Casale delli Piatori, Casale delli Stabili, Casale delli Gisonda, La Terra di Frasso, Casale di Nansignano. Nel 1715 non risulta esserci alcuna distinzione (riscontrata successivamente) tra Tuoro Vecchio e Tuoro Nuovo, nè esiste ancora una Contrada Fosso.
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Quest’ultima non è citata neppure nel registro del 1725, anche se nell’Atto di vendita del Feudo di Frasso, del 1724, troviamo Traversa Fosso. Compare poi nello Stato d’Anime del 1733, riportata con la dicitura: Casale del Fosso e Terra di Frasso. Nello Stato d’Anime del 1769, troviamo: Casale delli Russi, Casale della Bocca, Casale di San Giovanni, Casale De Fontana de Piccioli, Casale de Piano de Santi, Casale delli (Ti)relli e Piconi, Casale delli Calvani, Casale di Capo Sant’Angelo, Casale delli Simoni, Casale di Castagnola, Casale della Portella, Casale delli Florij, Casale delli Naurielli, Casale del Tuoro Vecchio, Casale dell’Agnuni, Casale del Tuoro Nuovo, Casale delli Barongi di Sotto, Casale delli Barongi di Sopra, Casale degli Stabili, Casale dello Fosso, Distretto della Terra Vecchia, Casale di Nansignano. Nel riepilogo anziché Casali, si parla invece di Contrade. Nel registro del 1820, troviamo: Casale delli Russi, Casale della Bocca, Casale di San Giovanni, Contrada Piano dei Santi, Contrada San Rocco, Contrada di Tirelli e Piconi, Contrada delli Calvani, Casale di Capo Santangelo, Contrada delli Simmoni, Contrada di Castagnola, Contrada della Portella, Contrada delli Florij, Contrada delli Norelli, Contrada Tuoro Vecchio, Contrada delli Agnoni, Contrada del Tuoro Nuovo, Contrada di Paramento e Fosso, Terra Vecchia, Piazza seu Largo del Mercato, Palazzo Baronale, Casale seu Villaggio di Nansignano. La suddivisione in «Casali», secondo l’arch. Paolo De Stefano, mette in evidenza che «la struttura del paese per famiglie e per Casali ha enormi riflessi sulle modalità di costruzione dello spazio urbano. Da questo punto di vista è possibile assumere come schema analitico di riferimento, quello adottato dal De Lille in uno studio svolto in un vasto numero di piccoli centri del mezzo-giorno, relativamente al periodo compreso tra il 500 e il 600. In questo studio viene messa in evidenza l’esistenza di vasti gruppi familiari, ciascuno dei quali è riunito in uno spazio ben definito, un casale appunto che si configura come un quartiere autonomo all’interno del paese. Ritroviamo così a Frasso le famiglie degli Agnone, dei Russi, dei Simoni, degli Naurielli, dei Florij, dei Gisonna, dei Piconi e così via, a ciascuno dei quali è possibile attribuire un numero più o meno cospicuo di famiglie appartenenti allo stesso ceppo. E vi si trovano anche case di scissione dei lignaggi: questa divisione che si accompagna sempre ad una separazione anche territoriale dei due rami, dà origine al fenomeno delle “case soprane e sottane”: è il caso di Barungi di sopra e di sotto, o di Piconi di 14
sopra o di sotto, che fanno riferimento a due luoghi distinti seppure adiacenti». Al 1991, infine, risale la costituzione del Parco “Domus Est”, ultimo quartiere abitativo di Frasso. Bibliografia: CALANDRA 1997b; DE STEFANO; DI CERBO 1949; REDAZIONE 1997b.
La frazione di Nansignano Nansignano è situato a 481 metri su livello del mare e dista 2,66 km da Frasso Telesino. Il nome potrebbe derivare da un ipotetico colonizzatore romano Nasenna, da cui la denominazione del fondo colonizzato Nasennanum. Nansignano (Lusignano o Lansignano secondo qualche antico documento), per qualche tempo fu chiamata “Nansignano Piccolo” per distinguerla dall’antico casale “Nansignano Grande”, spopolato dalla peste verso la metà del 1500. Morti tutti gli abitanti, pian piano caddero in rovina non solo le case, ma anche la Chiesa Parrocchiale di S. Andrea Apostolo: a mons. Domenico Campanella, Vescovo di S. Agata, non restò che trasferirne le rendite e il territorio (ormai senza abitanti) alla Chiesa Arcipretale di S. Giuliana con decreto del 18 gennaio 1651. Dell’antico villaggio, a metà dell’800, rimangono solo ruderi, visibili ancora nell’anno 1840, come riferisce il Libro della Mensa Vescovile. Tuttavia, nei primi anni del 1700, Nansignano aveva iniziato a riprendere vita. Ancora l’antica cronaca ci fa sapere che «i primi a ripopolare Nansignano diruto furono i coniugi Silvestro Massaro (di anni 45 ca.) di Minico e fu Caterina Pagano, e Giovanna Perna (di anni 30) fu Mattia e Giuliana Gisonda, ambedue del vicino casale di Laiano, siccome si deduce dalla Stato delle Anime del 1702». Gli abitanti del villaggio ripopolato, riferisce una nota dell’Arciprete Antonio Iannucci, «per non essere più costretti a recarsi a Frasso per la Messa ed i Sacramenti e per provvedere altresì in tempo alla necessità dei sacramenti nei casi di malattie, ricostruirono la chiesa parrocchiale». Il documento dell’archivio vescovile riporta anche i nomi dei muratori: Andrea Nauriello e Silvestro Grasso, e il costo
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dell’opera: 280 ducati, e ci fa dedurre che la ricostruzione della Chiesa risale a quegli anni. Il 3 marzo 1851, un Decreto del re Ferdinando II di Borbone, assegnò alla sua Chiesa la congrua di L. 510, che rese possibile, nel 1853, la nomina di un Vicario Curato, D. Alfonso Cesare, che, benché ancora dipendente dall’Arciprete di Frasso, risiedeva stabilmente a Nansignano, divenendone l’11 agosto del 1878 Parroco a tutti gli effetti fino al 1889. Il Consiglio Comunale, con delibera n° 49 del 1° novembre del 1953, iniziò la pratica per attribuire a Nansignano il riconoscimento di frazione «Considerato che in questo Comune vi è un aggregato urbano distante dal centro abitato, denominato Nansignano; Ritenuto che tale aggregato urbano ha una Parrocchia propria “S. Andrea Apostolo” ed annessa Chiesa; Che nella località suddetta funziona anche una scuola elementare; Che pur non essendo costituita ancora in frazione ha tutti i requisiti per essere considerata tale, Che dovendosi costruire una strada di allacciamento con la suddetta località si rende necessario iniziare l’istruttoria per ottenere il riconoscimento di frazione […]». Bibliografia: AMORE-SIMONE 2008a; ANNUARIO; SIMONE 1996a.
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( II )
La Storia
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Il Periodo Preistorico Il ritrovamento di numerosi manufatti, oggi conservati in parte dalla Sovrintendenza di Salerno - Avellino - Benevento e in parte da privati, attestano la presenza, nel nostro territorio, di insediamenti urbani sin dal periodo preistorico. Gran parte dei manufatti provengono dall’area montana (Piana di Prata, Ferriole, Piano di zì Nicola). «Dagli Arbusti provengono numerosi manufatti (strumenti) litici ed una discreta quantità di ceramica ad impasto, sia grossolano che fine. Dai manufatti emerge, con una certa sicurezza […], che a Frasso circa 6-7.000 anni fa, viveva una delle prime comunità di contadini del TaburnoCamposauro, che hanno scelto per il loro insediamento il fondovalle pianeggiante degli Arbusti. Dai manufatti rinvenuti, inoltre, si evince che questa popolazione conosceva bene la tecnica di lavorazione della pietra, sapeva costruire recipienti di terracotta ed aveva acquisito le prime rudimentali tecniche di coltivazione dei campi». Bibliografia: CAIAZZA; D’AMICO 2003; GIGLI; LALA 2001b.
Il Periodo Sannita Il periodo sannita è testimoniato, oltre che dal ritrovamento di frammenti in ceramica a vernice nera (IV - inizio III sec. a.C.), appartenente molto probabilmente ad un corredo funebre, anche da un consistente gruzzolo di monete databili a partire dal 480 a.C., rinvenute nel 1931 in contrada Murto. Si tratta di 22 monete d’argento tra le quali spiccano, per il numero (12) e per l’ottima conservazione, quelle di Hyria, città della pianura campana conosciuta soltanto per l’emissione monetale, mentre resta incerta la sua ubicazione. Secondo alcuni studiosi, al periodo sannita risalirebbe anche il primo insediamento urbano di Terravecchia quale avamposto 18
sannita a tutela della valle e questo, almeno in parte, spiegherebbe anche l’antica denominazione di «Terra Colombina», data al paese prima del X secolo. Bibliografia: BREGLIA; CAIAZZA; D’AMICO 2002; DE STEFANO; FARIELLO; GIGLI; LALA 2001c.
Il Periodo Romano A testimonianza di questo periodo, restano la necropoli romana rinvenuta in contrata Arbusti, un insediamento rustico a Nansignano ed una monetina datata al 214 a.C., denominata «Terentia». Le tombe degli Arbusti, rinvenute nella proprietà del Signor Alfonso Massaro, «possono essere datate tra la tarda età repubblicana (II sec. a.C.) e il tardo periodo imperiale (IV sec. d.C.), potrebbero trattarsi soltanto di una parte della necropoli sicuramente più vasta, ed attestano con certezza una continuità di vita in questo sito. La presenza di resti femminili conferma l’esistenza di un insediamento stabile nelle vicinanze. Si tratta di tombe “a cappuccino” di certo pagane, essendo stati trovati in esse, oltre l’obolo per Caronte, anche una lucerna con scena erotica, un olletta tipica del corredo funerario romano ed un chiodo. Le monete sono attribuibili ad Agrippa (I sec. d.C.), all’imperatore Galba (6869 d.C.) ed all’imperatore Massimino (inizio IV sec. d.C.)». Recenti lavori agricoli alla frazione di Nansignano, invece, hanno portato alla luce un piccolo insediamento rustico «contenente frammenti di tegole e mattoni. In tutta l’area affiorano numerosi cocci inquadrabili in epoca romana». Del periodo romano rimangono, infine, la moneta d’argento denominata “Terenzia” (214 a.C.) - ritrovata nel 1951 dal geometra Umberto Formichella in occasione dei lavori di rimboschimento del Monte Cardito di Frasso Telesino - e la statua in marmo di Juppiter (in origine Asklepios), copia del II secolo d.C., conforme all’originale greca della metà del V secolo a.C., attualmente conservata presso il Museo Statale di Berlino (Germania). Bibliografia: CAIAZZA; D’AMICO 2002; FARIELLO; GIGLI; REDAZIONE 1997a.
DI
CERBO
1951;
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Le Forche Caudine Iniziata nell’anno 326 a.C., la seconda guerra sannitica si concluse con l’umiliante episodio delle Forche Caudine (321 a.C.). I Sanniti, con al comando Caio Ponzio Telesino, dopo aver teso un’imboscata ai romani ed averli spogliati delle ami, «li costrinsero a passare con la sola tunica sotto il giogo (forche) formato da due aste confitte nel terreno e congiunte nella parte superiore da una terza posta trasversalmente e non molto alta da terra, sì da costringere chi fosse costretto a passarvi ad inchinarsi tra i dileggi dei vincitori». Gli storici, però, non sono concordi circa il luogo dove avvenne questa memorabile battaglia, tanto che in passato fu individuato presso la stretta di Arpaia (Benevento). Da oltre un secolo, però, non convinti dall’ampiezza e dalla morfologia di questo sito, diversi studiosi hanno individuato quale probabile luogo delle Forche Caudine la nostra Valle di Prata. Tra i primi a formulare questa ipotesi, nel 1898 troviamo il teologo frassese Alfonso Maria Iannucci e lo storico Alberto Pirro. Questa ipotesi, fu poi ripresa nel 1915 dallo storico vitulanese Giuseppe Marcarelli e nel 1949 dal Generale e storico frassese Michele Di Cerbo. Negli ultimi decenni, varie pubblicazioni scientifiche degli studiosi Massimo Cavalluzzo, Benito Fusco, Flavio Russo ed altri ancora, hanno confermato la Valle di Prata quale probabile sito delle Forche Caudine. Bibliografia: CAVALLUZZO 2005; D’AMICO 2001a; DI CERBO 1949; DI CERBO 1951; DI CERBO 1961; DI CERBO 2003c; IANNUCCI 1898; GIGLI; MARCARELLI; PIRRO; RUSSO 2002.
Il Medioevo Varie sono le leggende circa le origini di Frasso, «da quella che vede nascere il paese con la distruzione, da parte di Fabio Massimo, di Telesia, punita per aver dato il suo aiuto al Cartaginese nella sua devastante discesa in Italia (214 a.C.); a quella che lo vede nascere in seguito alla punizione inferta da Silla, dopo la vittoria a Porta
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Collina (82 a.C.) alla stessa città di Telesia, patria del suo acerrimo nemico Caio Ponzio Telesino; per finire con quella che vede nascere il paese in epoca longobarda con la distruzione da parte dei saraceni di Telesia, i cui abitanti per sottrarsi alle furie del nemico si sarebbero rifugiati in un primo momento su monte S. Angelo e poi a Frasso». Leggende a parte, le prime notizie storiche documentate sul nostro paese risalgono agli anni 991-992 d.C., quando - con un atto di donazione dei «Langobardorum gentis principes» Pandolfo Il e Landolfo V - vengono donati diversi beni all’Abbazia di San Modesto di Benevento, tra i quali anche la «Ecclesia Sancti Salvatoris de Frasci». Nel 1077, scomparso il Principato di Benevento, Frasso fu incorporato alla contea di Caserta. Al XII secolo risalgono la statua lignea della Madonna e la chiesetta costruita in località Campanile, poi abbandonata e andata distrutta alla fine del XVI secolo. In epoca angioina, Frasso fu feudo delle famiglie Belmonte, Braherio, Gaetani, Siginulfo. Della Chiesa di S. Maria di Prata, attestata intorno ai secoli XIIIXIV, «oggi si possono osservare alcune porzioni dell’alzato parzialmente interrate da una recente frana nella località Fontana di S. Maria-Tormenta». Dagli Atti Demaniali del 1300 (cartella VI), conservati presso l’Archivio di Stato di Benevento, sappiamo che «Nelli medesimi Atti dell’accesso, ritrovasi poi presentata in seguito, fol. 200 una copia d’un capitolo, estratta dal mag.co Michel’Angelo Bosco della Terra di Frasso, dall’originale Platea dell’Abbadia di S.to Mandato della città di S. Agata de Goti, fatta dall’anno 1300, esibitali per il Rev.o D. Francesco Fiume, Procuratore A.di Padri Scozzesi della Città di Roma, dove stavano notati e descritti tutti i beni che si possedevano da detta Abbadia e fra l’altri rientrino nella giurisdizione della Terra di Frasso ed essa limitrofi, Selua ubi dicitur a S.a Maria di Prato, quale Chiesa di S.ta Maria è Grancia di S.to Mandato justa la detta Chiesa, lo vallone di Grottola, la via publica, la montagna di Frasso si sia venduto il frutto a D. Romano Lala […]». Alcuni frammenti di proto-maiolica, rinvenuti presso i ruderi della Chiesa di S. Maria in zona Prata, «rimandano ai secoli XIVXV, mentre per quelli successivi non vi sono testimonianze materiali dirette e ciò fa presumere l’abbandono del sito e quindi la 21
sua decadenza a partire dalla fine del XV secolo». Da alcuni documenti, sappiamo che negli anni 1308-1310, l’«Ecclesia de Sanctae Julianae de Castro Fraxi» contribuì con 15 tarì alle decime offerte al Papa dal Regno di Napoli. Dalla «Generalis Subventio» angioina del 1320, invece, «si evince che Frasso paga la tassa di once 2, tari 19 e grane 9, evidenziando la scarsa importanza economica espressa dal nostro paese». In età aragonese, in connessione con l’avvenuto aumento della popolazione, scampata alla terribile «peste nera» del 1347, l’Università di Frasso paga alla Regia Corte una tassa annua di 32 once d’oro. Nel 1360, il feudo fu acquistato da Diego Della Ratta, poi ceduto ai Coppola, ed in seguito ai Duchi Acquaviva. Baldassarre Della Ratta, giustiziere di Terra d’Otranto e del Principato Citra, passato dalla parte di Luigi d’Angiò, fu da questi nominato, il 4 novembre 1420, giustiziere del Regno con l’onorario di un’oncia di carlini d’argento al giorno. Il Re, inoltre, gli concesse in feudo la città di Sant’Agata dei Goti e le terre di Frasso, Limatola e Rocca d’Evandro. Tuttavia i suoi beni furono subito confiscati […]. Il 1 settembre 1423, la Regina Giovanna II, graziandolo del delitto di ribellione, lo reintegrò nei suoi feudi. Morto Baldassarre, per qualche anno Frasso rimase in possesso della moglie, la Contessa Maria di Capua, che in seguito lo donerà al figlio Giovanni. Difatti nelle «Fonti Aragonesi» viene riferito che, il 30 giugno 1448, Re Ferdinando confermò a Giovanni Della Ratta i feudi di Caserta, di Limatola e Ducenta, i castelli di Valle, di Frasso e di Melizzano. Alla morte del Conte Giovanni nel 1457, i feudi furono ereditati dai figli: da Francesco prima (1458) e, alla morte di questi, dalla sorella Caterina Della Ratta. Negli anni 1473 e 1474, Frasso fu colpita da una devastante carestia, vivendo «sotto lo spettro della morte e della fame; per due anni consecutivi non si raccolse neppure un chicco di frumento; i cittadini si indebitarono per comprarne dai paesi vicini; Airola fornì una discreta quantità di miglio a caro prezzo; uomini e bestiame morirono letteralmente di fame; il Comune non potendo pagare al fisco le terze di Pasqua, fu costretto ad inviare al re di Napoli, Ferdinando I d’Aragona, una supplica per ottenere la dispensa dal pagamento della tassa di 32 once d’oro». Nel 1480, il Casale di Frasso è feudo di Francesco Coppola, 22
Conte di Sarno, al quale subentra Luigi di Capua, Conte di Altavilla. Quest’ultimo nel 1488 vende per 3.000 ducati a Cesare e Caterina d’Aragona le terre di Melizzano, Frasso, Dugenta e Orchi. Bibliografia: ARAGOSA; CAVALLUZZO-D’AMICO; D’AMICO 2001b; D’AMICO 2002a; D’AMICO 2002b; D’AMICO 2006a; D’AMICO 2009; DI CERBO 1949; DI MAURO; GIGLI; IGUANEZ; PANARELLO; MEOMARTINI; MINIERI 1877; SIMONE 2007; TESCIONE.
Il Cinquecento Agli inizi del secolo, «Virginia Della Ratta - ultima discendente del conte di Caserta, Diego Della Ratta, e già vedova del fratello del re di Napoli, Ferdinando I d’Aragona - sposa il duca d’Acquaviva d’Atri portando in dote i castelli di Frasso, di Melizzano e di Dugenta, confiscati al conte di Sarno. Una figlia del duca d’Acquaviva d’Atri, dopo aver ereditato i predetti castelli, sposa Francesco Gambacorta, che diventa così principe di Frasso [1511 ca.]». Nel 1532, troviamo il paese tassato per 115 fuochi, 117 nel 1545, 171 nel 1561, 157 nel 1595, evidenziando una costante crescita economica e demografica. Nel 1534, dal resoconto della Visita Pastorale fatta da mons. Giovanni Ghevara, Vescovo di S. Agata dei Goti, sappiamo che in contrada Campanile era presente una chiesa nella quale era venerata un’immagine lignea scolpita della gloriosa Vergine (risalente al XII sec.) e che l’edificio sacro era ben coperto ma «senza porte». Prima di questa data, la chiesa apparteneva ai Padri Benedettini e, dopo la soppressione del loro monastero, passò tra i beni del Vescovo diocesano, cioè alla Mensa Vescovile, dalla quale, per decisione dello stesso mons. Ghevara, fu poi trasferita al Capitolo della Cattedrale. Nel 1550, fu avviata la costruzione della Chiesa Collegiata del SS. Corpo di Cristo, terminata nel 1552 (data riportata un tempo sul portale principale). Negli anni 1569 e 1570, l’intera comunità frassese venne scossa dal processo «de Religione», avviato dal Principe Fabrizio Gambacorta nei confronti del medico e filosofo Giovanni Francesco 23
Brancaleone. Dalle carte del processo svoltosi al Tribunale dell’Inquisizione di Napoli, dove il Brancaleone fu imprigionato, appaiono evidenti l’arroganza e lo strapotere del feudatario Fabrizio Gambacorta «che detiene il potere su roffiani, nobili e pezzenti ed è costretto a liberarsi di un avversario o concorrente, ostacolo al disegno di espansione feudale avviato dalla sua famiglia dagli inizi del secolo». Tutto era iniziato da quando il Brancaleone aveva acquistato a Frasso molti beni […]. Dopo vari e ripetuti atti di violenza contro il Brancaleone, compiuti dalla famiglia Rainone «pezzenti e vassalli di don Pietro e don Fabrizio» Gambacorta - don Pietro, zio di Fabrizio, non riuscendo a chiudere la faccenda, pensò di «risolvere definitivamente per altra via, più sicura e non più violenta, facendo intervenire il Tribunale dell’Inquisizione». Ma il Brancaleone, con una magistrale autodifesa, mettendo a frutto la sua vasta cultura, riuscì a dimostrare false e palesemente strumentali le accuse tanto che, in data 28 giugno 1570, fu «abilitato» ad uscire dal carcere. Nel 1576, «Virginia Gambacorta, prese a marito Marcello Pignatelli con la dote di Frasso. Nel 1578 […] vendette Frasso e il feudo del Fenile al Dottor Gianfrancesco De Ponte […]. Costui nel 1593 cedette il tutto a Pompeo Gambacorta marito di Giovanna Pignatelli sorella d’Annibale e pronipote di Virginia, asserendo che il prezzo dell’acquisto in ducati 14.000 l’aveva sborsato Pietro Gambacorta». Bibliografia: ABBATIELLO; CAMPANILE; DI CERBO 1949; DI CERBO 2005; DI MAURO; GISONDI 2012; IANNUCCI 1898; MEOMARTINI; ROMANO 1991.
Il Seicento Nel 1600, Frasso era un piccolo borgo isolato, al quale, da S. Agata dei Goti e da Dugenta, vi si accedeva solo attraverso due sentieri che arrivavano in Via Tuoro, la “porta” principale del paese. La superficie edificata era circa un terzo di quella attuale e comprendeva i casali: Terravecchia, Calvani, Piconi, Piano dei
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Santi, Bocca, Santianni, Castagnola, Barungi, Agnoni e Tuoro vecchio e nuovo (in forte crescita in questo periodo). Le poche e scarne notizie sulla storia del paese ci vengono offerte dalle relazioni triennali dei Vescovi di S. Agata dei Goti al Papa, dalle quali si ha l’impressione che questa comunità vivesse un po’ ai margini della vita diocesana, probabilmente a causa dell’isolamento naturale e forse per la povertà della popolazione. Il Vescovo Giulio Santuccio, nel 1600 e nel 1603, ricorda infatti le «scarse rendite della Parrocchia di S. Giuliana», appena rimpinguate dai proventi delle Parrocchie spopolate di Orcoli e Torello, affidate all’Arciprete di Frasso. Nel 1612, dalla relazione del Vescovo Ettore Diotallevi, sappiamo che il nostro paese contava 242 famiglie, 942 abitanti ed era soggetto alla Casa Gambacorta (Principe di Frasso era Scipione Gambacorta [+ 1654]). Il 22 aprile 1628 morì a Frasso Padre Urbano de Stadio, predicatore aversano e Maestro dei novizi della Congregazione di Montevergine. Nei suoi confronti, il Vescovo di S. Agata dei Goti, mons. Albini, nel 1733 diede via al processo di canonizzazione, poi arrestatosi nei decenni successivi. In suo ricordo, nella Chiesa di Santa Giuliana, è ancora conservata una lapide sepolcrale del 1712 che ricorda i principali fatti della sua venerabile vita. Nelle relazioni dei decenni successivi, si accenna spesso al clima sociale, piuttosto violento, ma nessun vescovo menziona la rivolta del 1647, poi finita nel sangue. Nel 1647, infatti, anche in Frasso vi fu una ripercussione della famosa rivoluzione di Masaniello contro il governo spagnolo. I frassesi, capeggiati da un certo Luccio di Gregorio, emulo del più illustre rivoltoso napoletano, si ribellano al Principe Scipione e al dominio della famiglia Gambacorta. Il secondogenito del principe, don Cesare - giovane prepotente, che pare pretendesse dalle giovani spose frassesi lo jus primae noctis - venne trucidato e tutta la famiglia fu costretta a lasciare il palazzo di Frasso per il più sicuro castello di Limatola. Nel 1654, al Principe Scipione Gambacorta succede il figlio Pompeo, che morirà senza eredi nel 1663, poco prima della zia, la Principessa Giulia (Napoli, 1598 - Frasso Telesino, 1663). Nel diario D’Amore, troviamo annotato che in data 10 dicembre 1663, dopo l’estinzione dei Gambacorta di Frasso e la morte della principessa Giulia Gambacorta, il feudo di Frasso, affittato dal Marchese di Casalnuovo, D. Giovanni Pignatello, venne 25
subaffitttato al Duca Giuseppe Gambacorta di Limatola. Nel maggio del 1656 a Napoli scoppia il flagello della peste e l’epidemia si propaga rapidamente per tutto il Viceregno, colpendo Frasso agli inizi di luglio, precisamente il giorno 3, come annota il curato sul registro dei morti. L’epidemia, non così tragica come in altre realtà, raggiunge il picco nella seconda metà di agosto: il 22 muoiono sei persone, il giorno successivo 5. Il contagio si protrae fino al 26 gennaio del 1657, quando il parroco annota «fine della peste a Frasso». Seppur decimato dalla peste, dalla relazione del Vescovo Giacomo Circi si evince che nel 1668 Frasso ha una popolazione 1.210 abitanti, 15 sacerdoti, venti chierici, due Confraternite, un Monte di Pietà e una nuova chiesa, S. Maria del Soccorso (inaugurata nel 1658), che, grazie alla donazione di Giulia Gambacorta, ha una rendita di più di 200 ducati, utilizzati per la dote delle ragazze, per la celebrazione delle Messe e per l’ampliamento dell’ edificio sacro. Nelle relazioni degli ultimi decenni, i vescovi riportano spesso notizie sulla controversa questione dell’eredità Gambacorta, causa di gravi contrasti tra la popolazione. A tale clima sembra far riferimento mons. Circi, anche in un documento del 1688, in cui afferma: «In Frasso sono tre o quattro persone, che con l’esercizio anche della giurisdizione temporale conculcano quella terra, assorbiscono i beni dell’Università e delle Chiese; né fanno conto del Vescovo, né di alcuno; e in Napoli non mancano Protettori che, per l’utilità che ne ricavano, fomentano e proteggono la tirannide». Bibliografia: CANELLI-DI CERBO; DI CERBO 1949; DI CERBO 2005; GRANITO; IANNUCCI 1898; JAMALIO; PANICO; SIMONE 1998a; SIMONE 1998b; SIMONE 1999a; SIMONE 1999b.
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Il Settecento Nel 1700, Frasso apparteneva alla provincia «Terra di lavoro» del Regno di Napoli. In questo periodo, l’Alfano scrive: «Frasso terra, col casale di Nansignano, Diocesi di S. Agata dè Goti, Principato della casa Dentice, data in tenuta alla casa Spinelli, d’aria buona, fa di popolazione 3675». Nel 1717, mons. Albini conferì il titolo di «Collegiata» alla Chiesa Corpo di Cristo e il 28 marzo 1719 fu canonicamente eretta. Era una chiesa di pubblico patronato, cioè di proprietà del Comune: i canonici, infatti, dovevano essere presi tra i sacerdoti di Frasso e nominati dal Vescovo su proposta delle Autorità locali. Nel 1725, il Principe Placido Dentice, patrizio napoletano, reggente del consiglio di Stato e della guerra del Regno di Napoli, per 49.000 ducati si aggiudicò l’acquisto del feudo di Frasso. Nel documento di vendita, redatto nel 1724 e conservato presso l’Archivio di Stato di Benevento, vi è una descrizione dettagliata del centro urbano, delle chiese, del palazzo baronale, dei confini. Da questo documento si apprende che la terra di Frasso è governata da quattro Eletti che vengono prescelti mediante pubblico parlamento nel mese di agosto. Inoltre, «[…] fa fuochi 188 e al presente vi sono anime 2214, fra i quali 2 soldati a cavallo e 9 a piedi del battaglione, trenta sacerdoti, et altrettanti Chierici, sette dottori di legge, et altri sei prossimi a dottorarsi, sette dottori fisici, due chirurghi, due barbieri, due osterieri, cinque notari, quattro falegnami, dieci muratori, tre ferrari, e dieci calzolari […]». Ai diversi «benestanti», «li quali con le loro mogli vivono col comodo di servi e serve e vestono col lusso di questa città di Napoli», si contrappone la restante parte dei cittadini che si «esercitano alle fatiche in campagna nelle quali convengono anche le donne che sono di buon aspetto le quali vestono usualmente di lana, dormono sopra i materazzi e sacconi, senza esservi grande povertà, poiché quando manca il travaglio in campagna si adattano in altri mestieri». Nel 1730, il Principe Placido Dentice vendette il Castro di Frasso, per ducati 42.000 al principe don Carlo Spinelli di San Giorgio, senza l’approvazione regia. Don Carlo Spinelli provvide alla fabbrica di «un vasto e bello edificio con disegno del cavaliere Vanvitelli, per propria
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abitazione». Morì a Frasso l’11 giugno 1742 all’età di 64 anni e fu sepolto nella Chiesa di Campanile. Tra il 1741 e il 1742, Carlo di Borbone ordinava la formazione di un catasto per il censimento dei «Fuochi», dei mestieri, delle singole proprietà. I deputati dell’Università di Frasso - Giovanni Picone, Nicola Calandro, Gioacchino D’Abiero, Giovanni Cusano, Michele Agnone e il cancelliere Biffali - con deliberazioni del 1741-1742-1743 provvidero alla formazione del Catasto. I beni dei possidenti vennero elencati in tre grossi volumi (numeri 458, 459, 556), conservati attualmente presso l’Archivio di Stato di Napoli. Dal Catasto onciario pubblicato nel 1743, emerge che l’economia di Frasso è prevalentemente agricola con un notevole fenomeno di parcellizzazione della terra, caratterizzata dalla presenza di piccole e medie proprietà contadine che appaiono in crisi; vi sono ampi spazi per una discreta attività commerciale e in tono minore artigianale. Il più ricco dei benestanti censiti è il Sig. Domenico Canelli, cui è imposto un contributo di 699 once. Il feudatario di Frasso, don Carlo Spinelli, possiede in Frasso 439 moggi di terreno, di cui 406 boscoso, 65 aratorio, 22 con querci e noci. Possiede ancora 8 botteghe, un comprensorio di case, una taverna, che tiene affittata per annui ducati 47 e carlini 6. Ancora possiede un mulino e un trapeto come beni feudali. Nel 1741 il Cav. Antonio Magiocco, delegato del Re Carlo III di Borbone, riuscì ad attuare le disposizioni testamentarie di Giulia Gambacorta del 1665. In quell’anno, infatti, il Monastero e la cura delle fanciulle povere che dovevano entrare nel monastero vennero affidate alle suore teresiane. Tra gli anni 1741 e 1752, per iniziativa dell’Arciprete don Francesco De Filippo, con una spesa di 200 ducati, fu ampliata e restaurata la Chiesa di Santa Giuliana. Nel Diario D’Amore, tale avvenimento è così riportato: «A dì 11 maggio 1752, si è benedetta la Chiesa di S. Giuliana con il trasporto del SS. Sacramento otto giorni doppo, che a dì 22 del presente mese giorno di Pasca rosata seu Pentecoste e la fatta il Signor RR. Arciprete don Francesco de Filippo s’è fatta un’altra processione della Statua di S Giuliana, S. Margarita, e S. Biase e S. Anna». Da una relazione scritta nel 1763 dall’Arciprete Francesco De Filippo, presentata a Sant’Alfonso per la visita pastorale, si trovano riferimenti a consuetudini di vita: «[…] procura così che tutti i sposalizi fussero celebrati la mattina con far confessare e comunicare i sposi indi far contrarre i matrimoni fra la solennità della Messa»; in più, l’arciprete denuncia 28
che «rispetto di praticare i giovani in casa delle spose, sino a mangiarci, dormire alcune volte, farsi fare da esse le biancherie polite, in Frasso vi è abuso gravissimo e questo nasce perchè dispiace a Madri, Padri delle giovani di perdere l’occasione di collocare le Figliole, ma poi perché non stanno pronti per il corredo si prendono di tempo due, tre e più anni, e frattanto s’accende la tresca, ed alle volte è succeduto, e non di rado, che dopo una confidenza di più anni si sono guastati i detti matrimoni». Sant’Alfonso, Vescovo di S. Agata dei Goti (1762-1775), dedicò alla comunità di Frasso premure particolari; ne sono testimonianze concrete il Quadro rappresentante la Vergine con il Bambino venerata da quattro suore carmelitane, del pittore Paolo De Majo (1703-1784) e la statua del bambino Gesù donate alla Chiesa di Campanile. Delle 5 visite pastorali realizzate a Frasso durante il suo episcopato, soltanto due furono svolte personalmente dal Santo vescovo, quella del 1764 e quella del 1766. Al tempo di Sant’Alfonso, risulta che nella parrocchia di Santa Giuliana (allora comprendeva anche Orcoli e Torello) esistevano ben 12 chiese e tre cappelle, officiate dall’Arciprete, da 30 canonici,17 sacerdoti e una trentina di diaconi, suddiaconi, accoliti e chierici. Nel 1778, iniziò una lunga causa tra le precedenti famiglie feudali, poiché i Dentice si rifiutavano di ratificare la vendita delle Terre di Frasso agli Spinelli. La causa terminò nel 1810, dando ragione ai Dentice che conservano ancora il titolo di Principi di Frasso. Bibliografia: ALFANO; AMORE 2006; AMORE-SIMONE 2010; CALANDRA 1995b; CALANDRA 1997a; CANELLI-DI CERBO; D’ABBIERO; DE SPIRITO; DI CERBO 1995a; DI CERBO 1997a; DI CERBO 1997b; DI CERBO 1997c; DI CERBO 2005; DI CERBO 2006b; DI CERBO 2006c; DI CERBO 2009; GREGORIO; PANICO; SACCO; SIMONE 1997; SIMONE 1999a.
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L’Ottocento A seguito del decreto napoleonico del 2 agosto 1806, che aboliva definitivamente la feudalità, «la figura dell’ultimo feudatario di Frasso, principe Domenico Spinelli di S. Giorgio, scompare dalla vita politica ed amministrativa del paese» sostituito dal sindaco (Ottavio Maria Canelli) e dai decurioni del Comune. Durante il decennio francese, con legge del 13 febbraio 1807, in tutto il regno, furono soppresse le corporazioni monastiche appartenenti agli ordini religiosi delle regole di S. Bernardo, di S. Benedetto e loro affiliazioni. L’opera di soppressione proseguì con il decreto del 7 agosto 1809, che si riferiva agli «ordini religiosi possidenti» del Regno. A Frasso, come afferma il Calandra, «Non si creda, però, che la stessa sorte toccasse anche al nostro Conservatorio (Gambacorta): che le Oblate Teresiane ci avevano pensato per tempo. Avevano fatto richiesta, infatti, e il Ministero degli interni nel 1812 aveva concesso loro autorizzazione a trasformare il Conservatorio in educandato, organizzato secondo la regola della Visitazione, ritenuta dai francesi l’unica idonea a promuovere la migliore educazione delle ragazze». Il 22 ottobre 1806, come ci ricorda il Romanelli, il nostro paese fu attraversato dal brigante Michele Pezza detto Fra’ Diavolo, inseguito da una truppa di soldati francesi. Il 14 maggio 1807, sempre secondo il Romanelli, a Frasso scoppiò una rivolta, conclusasi il 18 maggio con l’arresto di 6 rivoltosi, poi «ligati e portati in Napoli». Una nuova rivolta si ebbe a Frasso il 12 e 13 aprile 1848: furono arrestati, per reati politici, diversi frassesi, tra i quali quattro canonici della Chiesa Collegiata. Interessanti sono anche le notizie che si ricavano dalle visite ad limina dei vescovi di S. Agata dei Goti. Nel 1831, mons. Bellorato riferisce che il nostro paese aveva 4.038 abitanti e la chiama «la bella (speciosa) Terra di Frasso». Interessante è quanto afferma mons. Ramaschiello (1874) sulla probabile origine del nome di Frasso (riporta forse le motivazioni avanzate dal Consiglio comunale quando deliberò l’aggiunta di “Telesino”?): «Frasso Telesino, così detto, perchè si vuole che sia surto l’anno 900, allorchè sparita la vicina cospicua Telese, una frazione dei suoi abitanti “Fractio Telesina”, da cui Frasso Telesino, ebbe a rifugiarsi sul monte». Con il Regno d’Italia fu costituita la provincia di Benevento e 30
con successivo decreto del 17 febbraio 1861, dalla provincia di Terra di Lavoro, Frasso fu incluso alla nuova provincia. Per differenziarlo da altre analoghe località presenti sul territorio italiano, con Regio Decreto n° 1140, del 22 gennaio 1863, si autorizzava «Il Comune di Frasso ad assumere la denominazione di Frasso Telesino, giusta la deliberazione del 23 settembre 1862 di quel Consiglio comunale». Negli stessi anni, e fino al 1866 ca., il nostro territorio fu teatro di frequenti e incresciosi episodi di brigantaggio. Nell’autunno del 1866, una violenta epidemia di colera investì il paese. Dal 29 settembre al 29 novembre, infatti, a Frasso morirono di colera ben 113 persone di ogni età. Molti di questi morti, come annotato dal parroco dell’epoca, vennero sepolti «fuori dell’abitato perché colerico» oppure «sepolto fuori l’abitato S. Vito». Negli ultimi decenni, grazie ad alcune longeve amministrazioni e ad alcuni “illuminati” sindaci, Frasso visse un florido periodo, in modo particolare durante la sindacatura del dott. Vincenzo Mosiello (Frasso Telesino, 1844 - ivi, 1886). Con l’amministrazione di quest’ultimo (1873 - 1886), tra l’altro, nel 1882 si avviarono i progetti delle principali strade di collegamento con Dugenta e Solopaca che, preceduti dalla costruzione della stazione ferroviaria Frasso Telesino-Dugenta (1868), contribuirono a far uscire dall’isolamento il nostro Comune. In questi stessi anni, altre opere e servizi di pubblico interesse furono avviate o realizzate, quali l’apertura dell’ufficio Postale (1875), La Chiesa di S. Maria del Carmelo (188l), la fontana di Via Tuoro (1890). Nel 1883, il Signor Francesco Iannucci istituì a favore dei meno abbienti un ospedale intitolato a San Michele Arcangelo, destinando per tale scopo la somma di L. 8.500. Parte di questa somma, nel 1894 fu utilizzata dai figli per acquistare una casa in Via Portellla che sarebbe dovuta diventare la prima sede dell’ospedale. Legate alla fondazione dell’ospedale è l’arrivo a Frasso il 16 novembre 1898, «per la cura degli infermi e l’amministrazione della casa» di cinque suore Battistine, che rimasero in paese fino al 1910. Nel 1885, invece, Il canonico don Albino Fusco fondò un asilo e una scuola elementare, tenuti fino al 1889 dalle figlie della Carità e successivamente affidate alle Suore Vittime espiatrici, ordine fondato da Madre Cristina Brando. Quest’ultima, il 4 ottobre 1889, accompagnata dal canonico Maglione, venne in visita a Frasso dove l’11 novembre inviò tre Suore Vittime espiatrici. 31
Al 1898, infine, risale la pubblicazione del primo libro a tutt’oggi noto sulla storia di Frasso Telesino: Rimembranze Storiche sulla Vergine del Campanile e sul Comune di Frasso in cui si venera (Portici, 1898), scritto dall’illustre Teologo Alfonso Maria Iannucci (Frasso Telesino, 1852 - S. Agata dei Goti, 1904). Bibliografia: AMORE-SIMONE 2000; AMORE-SIMONE 2001b; AMORE-SIMONE 2005a; AMORE-SIMONE 2005b; AMORE-SIMONE 2008b; AMORE-SIMONE 2009a; AMORE-SIMONE 2009b; CALANDRA 1996b; CAMPANILE 2000; DI CERBO 1949; DI CERBO 1995a; DI CERBO 1996e; DI CERBO 2010b; DONAZIONE; ERRICO; FRANCO.
Vincenzo Mosiello, Sindaco di Frasso Telesino (1873-1886).
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I Moti del 1848 La rivolta contadina contro i dazi di occupazione delle terre del Demanio e della Mensa vescovile, che si ebbe in tutto il Regno delle Due Sicilie, ebbe ripercussioni anche nel nostro paese. Il 12 e 13 aprile 1848, furono arrestati, per reati politici, diversi frassesi, tra i quali i canonici della Chiesa Collegiata don Pietro Fusco, don Pasquale Rainone, don Giovanni D’Amico e don Antonio Iannucci: «Essi sprovvisti affatto di beni sono costretti a vivere nelle prigioni una vita stentata e miserabile colla razione del Governo. Sono già decorsi cinque mesi, dacché si trovano ristretti in carcere senza che per anco veggano espletato il di loro processo. Perché abbia questo il suo termine, ed ottengono gli esponenti la libertà attesa per la di loro innocenza, ricorrono a voi, e vi supplicano dare gli ordini opportuni, perché si decida per una volta del di loro destino. Lo sperano a grazia». Grazia che fu poi concessa dal Re il 13 agosto 1850. Bibliografia: AMORE-SIMONE 1996; MATARAZZO-D’AMICO.
Il Brigantaggio Ai moti insurrezionali che precedettero l’Unità d’Italia, mentre nei paesi vicini si organizzavano Comitati di liberazione, per un semplice equivoco, a Frasso, il 27 settembre 1860, si ebbe una rivolta filoborbonica: «Le truppe borboniche di stanza a Caiazzo, infatti, restate a corto di viveri, ordinarono al sindaco di Frasso, sotto la minaccia di sacco e fuoco, di consegnare loro al più presto del pane. Questi pensò che il modo migliore per allontanare dal paese ogni pericolo fosse quello di far emanare un bando con il quale si invitavano tutti i cittadini a far fronte, nel più breve tempo possibile e con generosità, alla richiesta dei soldati. La popolazione [capeggiata dall’Arciprete Michelangelo Saquella e da altri notabili], interpretando male il senso di quel bando, pensò che le forze borboniche avessero avuto il sopravvento su quelle liberali e, portando in mano ramoscelli di olivo, si riversò per le strade acclamando Francesco II. I reazionari più accesi, intanto, 33
attaccavano e disarmavano il posto della guardia nazionale abbattendo le statue di Vittorio Emanuele e di Garibaldi, distruggendo lo stemma dei Savoia e rimettendo al suo posto quello borbonico […]. Nel pomeriggio, però, nello spaccio di tabacchi di Gabriele Gisondi, ci fu un tafferuglio durante il quale, mentre Luigi Marcarelli picchiava violentemente il proprietario ed altri astanti, Giuseppe Calandra, per vendetta personale, uccideva con un colpo di fucile il canonico Luigi Norelli». Il paese restò in mano ai reazionari fino al 2 ottobre, quando una colonna di Garibaldini di stanza a Solopaca, sotto il comando del capitano Francesco De Nunzio, entrò in paese arrestando parecchi reazionari e ristabilendo l’ordine pubblico: «i garibaldini rapidamente circondarono la casa dell’arciprete Saquella che si ostinò a non aprire. Dopo vari tentativi risultati infruttuosi, il De Nunzio ordinò che fosse sfondata la porta ed entrati all’interno dell’abitazione prelevarono il Saquella insieme ad altri cinque capi del paese per condurli rapidamente al quartiere della Guardia Nazionale». In questi stessi giorni, probabilmente, il nostro territorio fu visitato anche da Garibaldi. Questa ipotesi è avvalorata da una tela di Francesco Saverio Altamura (1822 - 1897), conservata presso la Pinacoteca della Provincia di Napoli, che ritrae Garibaldi su «Monte Sant’Angelo, una montagna presso Frasso Telesino». Nei mesi successivi alla rivolta capeggiata dal Saquella, diversi frassesi si unirono alle bande di briganti che operarono sulle nostre montagne, effettuando sequestri e terrorizzando più volte la popolazione. Tra questi, ricordiamo: Giovanni Scioscia detto Pecchia (ammazzato sulla piana di Prata il 20 ottobre 1863), Francesco Norelli detto Barabba (costituitosi il 5 dicembre 1861), Francesco Garofalo (arrestato il 3 dicembre 1862), Antonio Guerriero e Clemente Iorillo detto Generale Sproppa (questi ultimi, condannati ai lavori forzati a vita). In questi controversi anni, un ruolo particolare fu rivestito da Cosmo Gisondi (Frasso, 1808 - ivi, 1875), Sindaco di Frasso dal 13 settembre 1861, arrestato perché accusato di connivenza con il brigantaggio. Nella sua Memoria, scritta nel carcere di Montesarchio, il Gisondi oltre a ripercorrere la propria storia personale (fu Capitano della Guardia Nazionale di Frasso dal 18 agosto 1861 e Consigliere Provinciale dal 21 giugno 1861), ricorda il suo impegno nella lotta al brigantaggio, precisando come proprio grazie a lui fosse presente in Frasso una truppa regolare e fosse stato sventato l’attacco al Comune da parte dei briganti nascosti su 34
Monte Sant’Angelo, guidati da Tommaso Romano. Episodio questo che attirò su di sé l’odio dei briganti, che tentarono di ucciderlo nel maggio 1863. Di fatto la Giunta Provinciale, assunte informazioni da parte di uomini coscienziosi ed imparziali, proclamò la sua innocenza nel dicembre 1863. Bibliografia: AMORE-SIMONE 2005a; AMORE-SIMONE 2009b; D’AGOSTINO; DE FILIPPO; GALASSO; GISONDI 1863; MATARAZZO-D’AMICO; RAIO; ROMANO 1998; SANGIUOLO.
La soppressione dei beni di Gambacorta Con legge del 7 luglio 1866, vennero soppressi tutti gli Ordini monastici. Il Demanio dello Stato, qualificando erroneamente l’Istituto Gambacorta quale Monastero di claustrali, lo dichiarò soppresso e ne incamerò tutti i suoi beni, nonostante le energiche proteste del Municipio di Frasso. Tornato vano ogni tentativo, il Municipio di Frasso il 10 dicembre 1867 deliberò di iniziare una serie di liti giudiziarie al fine di rientrare in possesso di tutti i beni del soppresso Monastero. Le ragioni del Municipio di Frasso si basavano sui seguenti elementi di fatto: «Che la Chiesa intitolata a Santa Maria del Soccorso fu edificata a proprie spese dalla Sig.ra Giulia Gambacorta de’ Principi di Frasso; Che la fondatrice dotava benanche la Chiesa di molti beni da prima e poscia la instituiva erede di tutto intero il suo patrimonio; Che il pieno Patronato attivo e passivo su la Chiesa medesima la fondatrice e donatrice Gambacorta volle conferito ed attribuito alla Università di Frasso; Che I’amministrazione di questo Ente laicale, in Patronato del Municipio, si è sempre tenuta per due Economi, ecclesiastico l’uno, laico l’altro, obbligati a rendimento di conto annuale […]». Analogamente, furono incamerati dal Demanio anche i beni della «Chiesa di Frasso intitolata al Santissimo Corpo di Cristo […] impropriamente qualificato Ente ricettizio […] e quindi colpito si pretende da soppressione». Dalle visite pastorali del 1601 - 1674, risulta chiaramente che la Chiesa Corpo di Cristo «est jius patronatus fundatus a dicta Universitate Terrae Fraxi». A tal proposito, ricordiamo che il Vescovo diocesano di Sant’Agata dei Goti, mons. Paolo Lettieri, 35
con nota di risposta, del 5 ottobre 1868, al Prefetto della provincia di Benevento, dichiarava: «che semmai per un errore troppo grossolano il collegio di Frasso venisse soppresso, i beni del medesimo non potrebbero cadere nelle mani del Demanio, ma si risolverebbero né loro elementi, cioè ritornerebbero alle Cappelle del SS. Corpo di Cristo, del SS. Rosario [...] tutte di Patronato Municipale di Frasso». Con sentenza del 17 maggio 1872, della Seconda Sezione della Corte di Appello di Napoli, confermata dalla Corte di Cassazione, il Monastero Gambacorta «non colpito di soppressione condannò il Demanio a doverne restituire i beni dotalizi, con i frutti indebitamente percepiti dal dì dall’illegittimo possesso, cioè dall’anno colonico 1865 - 1866, sino all’effettivo rilascio […]». In seguito, la Corte di Appello di Napoli - con sentenza 19 luglio 1880, confermata dalla Corte di Cassazione di Roma - «diede obbligo al demanio dello Stato ed all’Amministrazione del fondo per il Culto di dimettere a favore del Pio Istituto femminile Gambacorta di Frasso Telesino tutti gli stabili, mobili e rendite apprese al Monastero delle Salesiane col verbale di possesso 9 dicembre 1876». Bibliografia: AMORE-SIMONE 2009b; BOVE-TORELLI; DONAZIONE; D’ONOFRIO; FORMICHELLA 1874; SCALAMANDRE; TORELLI-CATUCCI.
Dal Novecento a oggi Tra la fine dell’Ottocento e primi decenni del Novecento, la scarsezza dei mezzi economici, costrinse molti frassesi ad intraprendere la dolorosa via dell’emigrazione verso gli Stati Uniti d’America, l’Argentina e le nazioni del nord Europa. L’instabilità politica e amministrativa - alimentata anche da continue interferenze di personalità politiche provinciali nella gestione del Comune, dell’Istituto Gambacorta e del Consorzio Agrario Cooperativo (fondato nel 1901) - portarono i frassesi prima a disertare le urne (1907) e due anni dopo all’assalto e all’incendio del Comune (25 marzo 1909). Dopo quella data, la sede del Comune fu trasferita da Piazza IV Novembre in alcuni locali del
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Palazzo Gambacorta, dove rimase fino al 1967. Durante la Prima Guerra Mondiale (1915-1918), la chiamata alle armi di molti frassesi, nati tra il 1874 e il 1900, dimezzò la popolazione attiva maschile e finì per aggravare ulteriormente la già poverissima economia agricola. Sul Carso e sul fronte del1’Isonzo, persero la vita ben 54 frassesi, tra i quali il Sottotenente Amedeo Calandra, al quale, nel 1916, fu tributato l’encomio solenne. Nel 1916, fu istituita dal Vescovo Alessio Ascalesi la nuova Parrocchia del Carmine, nella chiesa fondata da mons. Michelangelo Marcarelli, che ne divenne primo parroco. Intorno all’anno 1918, fu introdotto l’Asilo infantile in alcuni locali dell’Istituto Gambacorta, dove rimase in funzione ininterrottamente fino agli inizi degli anni ‘60, allorché fu istituita anche a Frasso la Scuola materna. Con l’avvento del fascismo, il Comune passava nelle mani del Podestà, nominato dal Prefetto, e dal 22 agosto 1923, data in cui fu ufficializzata l’apertura in paese della sezione del Partito Nazionale Fascista, frequenti furono gli episodi di violenza e maltrattamenti nei confronti dei vecchi Liberali. Nel 1926, fu venduto per Lire 1.527.000, il Patrimonio terriero del1’Istituto Gambacorta. Nel 1928, a ricordo dei frassesi caduti nella Prima Guerra Mondiale, in piazza IV Novembre fu eretto il Monumento ai Caduti. «Nel panorama piuttosto grigio del periodo fascista frassese, spicca, nel 1929, un grave fatto che coinvolse e segnò pesantemente la vita e il futuro di molte famiglie, costrette poi a cercar fortuna altrove: il fallimento della locale “Banca”, fondata dall’Arciprete don Onofrio Narducci, dall’Avv. Gaetano Formichella e da altri». Intorno al 1930, venne fondata la Ditta Saquella - che inizialmente assicurava il «servizio pubblico automobilistico Frasso-Dugenta» - unica azienda frassese ancora in attività. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1940 molti frassesi furono richiamati alle armi: alcuni finirono prigionieri, altri non fecero più ritorno a Frasso perché morti in battaglia o perché dispersi. La guerra fu vissuta anche in paese il 17 e il 19 settembre del 1943, quando a seguito di violenti bombardamenti morirono e furono feriti diversi civili. Finita la guerra, la vita Amministrativa del paese fu regolarizzata con l’elezione del Sindaco, avvocato Daniele Viscusi, 37
e del Consiglio Comunale. Nel 1946, al Referendum Istituzionale, 1.615 frassesi votarono a favore della Monarchia e solo 347 per la Repubblica. Nell’Anno Scolastico 1948-1949 fu istituita la Scuola Media Unica Inferiore. Dopo le elezioni del 1952, «all’amministrazione Viscusi (liberale) succedeva un’Amministrazione democristiana diretta dal sindaco Sebastiano Giaquinto e si cominciava a prospettare sempre più l’esigenza di ammodernare i servizi indispensabili per migliorare le condizioni di vita in paese […]. Con il sostegno della Cassa per il Mezzogiorno, l’Amministrazione Comunale provvide a soddisfare le più impellenti esigenze. Fu aperta la strada per Nansignano e fu sistemata la rete idrica e fognaria. Si curò la pavimentazione delle principali strade e, quello che più conta, furono costruiti gli edifici della Scuola elementare prima, della Scuola materna e infine della Scuola Media, con relativa palestra sportiva». La progettazione di queste opere, unitamente a quella del nuovo Municipio (1967) furono affidate all’ingegnere frassese Michele De Simone. Pur tuttavia, «in tale clima di euforica ricerca del nuovo vennero abbattute, nel 1953, la Cappella del Principe in Piazza e l’antica chiesa di santa Giuliana, ricostruita ex novo circa dieci anni dopo, nel 1968», quando «venne abbattuta anche la cinquecentesca Collegiata del Corpo di Cristo per far posto alla costruzione dell’Oratorio parrocchiale di santa Giuliana». Nel giugno 1954 venne collocato un «monumentino» con la statuetta della Madonna Immacolata in Piazza IV Novembre, nel luogo dove era stata demolita la vecchia Cappella dell’Addolorata. Dalla fine degli anni ‘50 agli anni ‘60, quelli del boom economico, a Frasso incrementavano la loro attività le industrie olearie Amore e Spagnuolo, venne aperta la sede locale della Coldiretti (1955) e inaugurata la Cooperativa agricola “La Fiorente” (1959), che contribuirono a modernizzare l’agricoltura frassese. Ancora una volta, però, «l’emigrazione esplose a Frasso in modo massiccio. Si partiva per la Lombardia e per Torino, per la Toscana e per le altre regioni del Nord; ma soprattutto per l’estero, nei Paesi dell’Europa occidentale: Francia, Germania occidentale e, ancor più, Svizzera». All’amministrazione Giaquinto, nel 1970 succedeva quella del Sindaco Carmine Calandra che «continuò a rendere ancora più funzionali i servizi di pubblica utilità, comprese le attrezzature 38
sportive. Fu istituita l’Assistenza domiciliare delle persone anziane e con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno fu costruito l’Ambulatorio Comunale, in piazza, e si portò l’acqua potabile nelle contrade rurali». Nel 1974, Frasso divenne sede della Comunità Montana del Taburno e nel 1994 del Parco Regionale del Taburno. Intorno al 1975, fu aperto uno sportello bancario della Cassa di Risparmio Molisana, successivamente Banca di Roma, attualmente UniCredit. Nel 1983 fu inaugurata la manifestazione artistico-ambientale “Terravecchia”, che ebbe particolare rinomanza sia in Italia che all’estero: Francia, Germania, Spagna. Il 7 dicembre 1984, il Consiglio Comunale, con delibera n° 68, proponeva alla Regione Campania l’estinzione del Pio Istituto Gambacorta. Il Consiglio Regionale, nella seduta del 26 febbraio 1987, con deliberazione n° 21/13, accoglieva tale proposta e deliberava «l’estinzione dell’Istituto G. Gambacorta di Frasso Telesino e la destinazione dei beni e del personale al Comune di Frasso Telesino». Nel 1989, veniva lodevolmente restaurata e riaperta al culto la settecentesca Chiesa di Campanile, rimasta chiusa in seguito al terremoto del 23 novembre del 1980. Nel 1992, al sindaco Calandra, dimessosi, subentrò il dottor Luigi Matarazzo, che, fra l’altro, si adoperò affinché «a San Vito trovassero ospitalità i boy scout, che in effetti vennero numerosi un po’ da tutta la Regione»: dall’aprile 1994 al giugno 1996 ci furono ben 25.000 presenze. Seppur segnati da una continua instabilità politicoamministrativa e da una fortissima emigrazione, gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da un rilevante risveglio culturale, grazie alla meritoria opera di mons. Valentino Di Cerbo, dal 2010 Vescovo di Alife-Caiazzo, quale fondatore dell’Associazione culturale «Terra Fraxi» (1995), del periodico «Moifà» (1995) e della Fondazione Madonna di Campanile (2000). Bibliografia: AMORE 2003; AMORE-SIMONE 2001c; AMORESIMONE 2001d; AMORE-SIMONE 2002a; AMORE-SIMONE 2002b; AMORE-SIMONE 2003; AMORE-SIMONE 2004a; AMORE-SIMONE 2004b; AMORE-SIMONE 2005a; AMORE-SIMONE 2005c; AMORESIMONE 2006c; AMORE-SIMONE 2006d; AMORE-SIMONE 2007a; AMORE-SIMONE 2007b; AMORE-SIMONE 2007c; AMORE-SIMONE
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2008c; AMORE-SIMONE 2012; AMORE-SIMONE 2013a; AMORESIMONE 2013b; CALANDRA 2000a; CALANDRA 2009; DI CERBO 1949; DI CERBO 1996d; DI CERBO 2003b; DI CERBO 2004b; DI CERBO 2004c; DI CERBO 2007c; MARROCCO 1974; MARROCCO 1986; REDAZIONE 1989; REDAZIONE 1995a; REDAZIONE 2001; ROSIELLO 1995; SCUOLA MEDIA; SIMONE 2008a.
L’Emigrazione Dall’Unità d’Italia (1861) ai primi decenni del Novecento, la miseria, il deprezzamento dei cereali, la gravezza dell’imposta fondiaria, il desiderio di non perdere tre anni nel servizio militare di leva, spinsero tanti giovani, e spesso anche intere famiglie, a cercar fortuna fuori dall’Italia. Destinazioni preferite furono gli Stati Uniti d’America, il Brasile, l’Argentina, il Canada e alcuni stati europei (Francia, Svizzera, Germania, Regno Unito, Belgio). Seppur compensato dall’alto numero di nascite, gli abitanti in paese scesero dai 4.980 del 1861 ai 4.023 del 1931. In questo periodo, furono oltre 600 i frassesi che si trasferirono solo negli U.S.A. In pochi, raggiunto un discreto benessere, ritornarono a Frasso; in molti, invece, richiamarono i propri familiari per ricostituire all’estero il proprio nucleo familiare. Si sono così estinte in paese le famiglie Bettini, Di Marzio, Pangione, Tagliaferri, Ruotolo, Pettirosso ed altre ancora. Dopo un periodo di lieve incremento della popolazione, verificatosi nell’ultimo decennio fascista e dopo la Seconda Guerra Mondiale, dagli inizi degli anni ‘50 l’emigrazione è ripresa in modo costante e massiccia, tanto che la popolazione si è più che dimezzata: dai 4.526 abitanti del 1951, è scesa agli attuali 2.226 del 2017. In questa seconda ondata emigratoria, oltre a Svizzera, Germania e Francia, i frassesi hanno preferito le principali città del Piemonte e della Lombardia dove, sulla spinta del boom economico degli anni Sessanta, fu particolarmente alta la creazione di nuove imprese e, quindi, la richiesta di manodopera. Nel Nord Italia, molti frassesi hanno raggiunto posizioni di 40
rilievo e non di rado nel momento dell’inserimento nel nuovo ambiente lavorativo hanno potuto contare su altri frassesi che li avevano preceduti. In paese, gli emigranti vi ritornavano a Natale o nei mesi estivi per trascorrere brevi vacanze presso genitori e parenti; ma anche questa consuetudine, causa il continuo svuotamento del paese, si è affievolita parecchio negli ultimi decenni. Bibliografia: BETTINI; DE NUNZIO-SCIOSCIA 2005; DE NUNZIOSCIOSCIA 2006; DE NUNZIO-SCIOSCIA 2008; DI CERBO 1949; DI CERBO 2003a; DI CERBO 2007b; DI CERBO 2007d; DI CERBO 2008; MASSARO-MASSARO; SIMONE-SIMONE 2002a; SIMONE-SIMONE 2002b; SIMONE-SIMONE 2002c; SIMONE-SIMONE 2003a; SIMONESIMONE 2003b; SIMONE-SIMONE 2003c; SIMONE-SIMONE 2003d; VILLA-DI CERBO.
L’Incendio del Comune Con il dott. Vincenzo Mosiello, sindaco dal 1873 al 1886, il Comune scrisse una delle pagine più alte di difesa del proprio patrimonio, degli interessi della collettività e dell’affermazione della propria autonomia. Con un sussulto di orgoglio, infatti, il Comune rivendicò e ritornò in possesso dei beni di Gambacorta e della Collegiata Corpo di Cristo, confiscati dal Demanio dopo l’Unità d’Italia. Dopo questo periodo, l’amministrazione dell’Ente incontrò notevoli difficoltà che raggiunsero l’apice nel 1907, quando le elezioni fissate per il rinnovo del Consiglio Comunale andarono deserte: «Un lento lavoro di disgregamento, una stanchezza senile che invase tutto e tutti, un inerte abbandono di ogni concetto di virile resistenza: tutto questo produsse una crisi che ben si potrebbe assomigliare ad un movimento centrifugo di energie, per modo che il governo del Comune tentennò, oscillò, si sgretolò, e precipitò […] ed ecco così che da questo generale senso di sfiducia, si determinò la diserzione dalle urne elettorali». L’avv. Emilio Severini, Regio Commissario dal 20 ottobre 1907 41
al 6 febbraio 1908, riuscì a ricomporre l’amministrazione, a capo della quale, per unanime consenso, fu eletto il giovane avvocato Tommaso Formichella. I notabili del paese, secondo quanto affermato dall’on. Ciccotti nel suo intervento parlamentare del 27 marzo 1909, «speravano di trovare in quel Sindaco Formichella un paravento e non un uomo, un’ombra e non una realtà, un fantoccio e non una persona. Speravano, in altri termini, coloro che avevano per tanto tempo detenuto il Municipio e le Opere pie, di potere, senza la responsabilità e senza l’apparente peso del potere, compiere, sotto il nome altrui, tutto ciò che credevano di fare. Onde fu grande la delusione, quando il Formichella volle fare da se e operare nell’interesse del pubblico. Il Formichella, infatti, fece funzionare l’annona; fece riattare l’acquedotto […] si adoperò perché le cose di una cassa di prestanze agraria, monopolizzata e malgovernata da un prete appartenente alla consorteria del paese, fossero possibilmente messo in chiaro, e ciò spiega, meglio che non possono fare le parole, perché la popolazione gli si era affezionata. Ma fu allora che cominciarono a sorgere difficoltà da parte della prefettura, presso cui facevano ressa quei tali capi elettori che possono mantenere la loro posizione solo attraverso sistemi amministrativi di compiacenze e di condiscenze». Le ostilità iniziarono dapprima sordamente poi scoppiarono come una bomba quando il Consiglio comunale fu chiamato a rimangiarsi la forma con la quale aveva dato il suo parere sfavorevole allo statuto Gambacorta elaborato dal Commissario Ungaro, «approvato, invece, a tamburo battente dalla Commissione provinciale». II Consiglio comunale, infatti, aveva votato un ordine del giorno «contro la nefasta e sfruttatrice opera dell’ultimo commissario dell’ente morale, avv. Armando Ungaro», che il prefetto Gaieri aveva nominato nel 1908. Di fronte alla deliberazione comunale, il prefetto di Benevento montò su tutte le furie per il trattamento fatto al suo inviato e voleva imporre al sindaco la convocazione del Consiglio per «cancellare dal verbale la dichiarazione contro il commissario, altrimenti avrebbe sciolto l’amministrazione comunale». Come affermato dal Riccardi, a questo punto «gli animi si ingrossarono. Si ricordarono altre deliberazioni bocciate; si ricordò che in più rincontri commissione di beneficenza e Giunta Provinciale Amministrativa s’erano sostituite al consiglio Comunale; si pose a raffronto questo improvviso zelo 42
amministrativo col torpore consueto in tante altre cose specie quello della autorità giudiziaria pei fatti della Cassa agraria […] i clamori si fecero alti in Frasso e le elezioni politiche si approssimavano […]». Come riporta «La Tribuna» del 28 marzo 1909, «il partito del giovane sindaco avvocato Tommaso Formichella aveva costituito un’amministrazione, grazie alla quale, dopo di Regi Commissari, si era cominciato a respirare. Pare però che le menti degli avversari non si fossero placate completamente, neppure dinnanzi al successo del nuovo sindaco, e della nuova amministrazione. Pare che qualcuno avesse premuto sulle autorità tutorie orientandone in modo diverso i criteri. Alcune deliberazioni dell’amministrazione di Frasso - deliberazioni, pur credute utili e buone dalla popolazione vennero respinte dalla prefettura […]». Nella impossibilità di amministrare, il Formichella si dimise da Sindaco: «Non nascose che il suo sogno d’un’amministrazione modello e moderna era svanito, e non tacque che si sentiva impari alla lotta, inutile al pubblico e concluse che preferiva andarsene. La mattina del 25 giunse all’orecchio del Formichella e di molti altri che in giornata sarebbe giunto un commissario dalla Sottoprefettura di Cerreto [ il Salottolo, n.d.r.] per prendersi la consegna del Comune. Il Formichella credette a questa cosa e per non tracannare l’ultima goccia del calice, alle ore 10, segretamente partì. Il popolo, saputa la cosa, cominciò a tumultare e si dispose ad accogliere ostilmente il commissario, Questi giunse alle 15, in bicicletta, e si diresse subito al Comune, ove ordinò che subito lo raggiungessero tutte le forze armate esistenti in paese. Vennero dalla caserma i 4 carabinieri; sopraggiunsero le 2 guardie forestali ed il vice pretore comunale; l’assessore De Amicis col fratello prete; il segretario comunale... poco stante giunse anche la dimostrazione. Il Salottolo fece chiudere il cancello di ingresso all’edificio comunale... la folla chiese la bandiera; il delegato l’esortò ad andarsene. Insistette quella e le fu gittato uno straccio. Lo ridusse in pezzi ed avvertì che voleva non quello, ma la bandiera nuova, la solita a mettersi fuori pei ricevimenti di Venditti. Il delegato non volle darla e continuò a che andassero via...Vistisi inascoltati, dissero l’avrebbero presa per forza, ed una scala a piuoli fu poggiata all’edificio. Un ragazzo ascese; ma il Salottolo, scuotendo la fece cadere. Furono urli, fischi, improperie a non finire. Allora l’altro rapidamente trasse la rivoltella e ne fece partire dei colpi in aria. Lo raggiunse una sassaiola fitta, vigorosa, terribile. Smarritosi, comandò ai militi di 43
far fuoco e la carneficina fu compiuta. Uno stramazzò, diciotto restarono sconciamente feriti. La folla rapidamente fuggì emettendo grida di pazzo terrore […]. Poche femmine, parecchi giovinetti ed alcuni uomini, due o tre, tornarono. Con una scala salirono sulla terrazza a portico che dà ingresso all’uffizio comunale. Con quella scala, usandola ad ariete, sfondarono gli usci… Salottolo ed i 4 militi erano fuggiti verso Solopaca... Vistisi padroni del campo, quelle femmine e quei monelli decisero di dare fuoco all’edifizio […]». In realtà furono bruciati solo gli atti amministrativi degli ultimi 5-6 anni, evidentemente, troppo compromettenti per alcuni “Signorotti” del Paese. Alla fine, le colpe di questo gravissimo episodio - che ebbe ampio risalto sulla stampa locale e nazionale e fu oggetto di apposita interrogazione parlamentare da parte degli onorevoli Venditti e Ciccotti - ricaddero tutte e solo sul giovane sindaco frassese. Questi, infatti, con Regio Decreto del 15 aprile 1909, fu «rimosso dalla carica di sindaco di Frasso Telesino (Benevento) alla quale non potrà essere rieletto per la durata di tre anni». Bibliografia: AMORE 2003; AMORE-SIMONE 2002b; AMORESIMONE 2007c; CALANDRA 2000a; CALANDRA 2009; CAMERA; LICATA; RICCARDI; SEVERINI.
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La Prima Guerra Mondiale La «Grande Guerra» (1915 - 1918), rappresentò un evento storico senza precedenti: circa 20 i paesi coinvolti, imponenza dello sforzo militare che vide la partecipazione di 70 milioni di soldati e del sacrificio di 9 milioni di morti tra i militari e un milione tra i civili. La chiamata alle armi, ben ventisette classi di età dal 1874 al 1900, dimezzò la popolazione attiva maschile che fu sostituita da donne, ragazzi e anziani. Anche nel nostro paese, progressivamente, furono chiamati a prestare la loro opera per la Patria intere generazioni ed in un contesto economico basato sul lavoro nei campi, la chiamata alle armi dei giovani finì per aggravare ulteriormente la già poverissima economia frassese. Il Pio Istituto Gambacorta, al fine di alleviare le misere condizioni in cui vennero a trovarsi gran parte delle famiglie frassesi, si adoperò non solo inviando pacchi dono contenenti maglie, calze, guanti e copricapo di lana ai soldati al fronte, ma anche ospitando e assistendo i figli dei richiamati. In data 17 giugno 1915, infatti, «Il Presidente [dott. Martino Goglia] fa presente che in ogni parte d’Italia sono sorte organizzazioni civili, le quali rendono mirabili servigi, provvedendo a qualsiasi deficienza che possa avverarsi a causa della guerra. E’ doveroso perciò che anche questo Ente Pio, non secondo agli altri, concorra alla grandiosa e patriottica opera nazionale. Egli propone quindi che nel Pio Istituto siano ricoverati, durante il giorno, per tutto il periodo della guerra, i figli dei militari poveri richiamati alle armi [di età compresa tra i 2 e i 10 anni], somministrando loro una refezione quotidiana […]». La straordinaria e meritoria opera umanitaria del Pio Istituto Gambacorta, in un secondo momento, si attivò anche per i soldati frassesi che si trovavano al fronte: «Poiché siamo già alla stagione invernale ed i valorosi soldati d’Italia più che delle armi del nemico hanno da proteggersi dai rigori del freddo […] in soccorso dei fratelli che espongono la loro vita per la grandezza e salvezza della Patria [il Presidente] crede doveroso che si pensi ad acquistare della lana con la quale le maestre e le alunne del Pio Istituto, anche con la cooperazione di altre persone volenterose, possano confezionare per i soldati di Frasso che si trovano al fronte […] così si fa opera altamente meritoria e patriottica, perché i concittadini combattenti 45
ricorderanno che il cuore di tutti i compaesani palpita con loro e più animosi ed arditi si mostreranno nella battaglia […]». Con un’offensiva iniziata il 24 ottobre del 1918 , ad un anno esatto dal disastro di Caporetto, l’esercito italiano riuscì a sfondare il fronte austro-ungarico. Il 3 novembre alcune truppe italiane entrarono in Trento e altre sbarcarono a Trieste. Lo stesso giorno a Villa Giusti venne firmato l’armistizio e il 4 novembre Armando Diaz annunciava con il Bollettino della Vittoria la fine della guerra. L’annuncio della vittoria fu accolto a Frasso con grande entusiasmo e «nel delirio patriottico della popolazione che percorse le vie festante fu richiesta a voce di popolo l’opera della Banda Musicale paesana la quale a diverse riprese si prestò allietando la cittadinanza e concorrendo all’entusiasmo popolare». La guerra era durata 3 anni, 5 mesi e 7 giorni di combattimenti, causando circa 750.000 morti tra militari e civili; oltre un milione furono i feriti. Un’intera generazione di italiani, in età compresa tra i 18 e i 30 anni, fu falcidiata da questa carneficina. Ben 4.051 furono i soldati della Provincia di Benevento caduti durante la guerra e tra questi anche 45 frassesi. Bibliografia: AMORE-SIMONE 2001c; AMORE-SIMONE 2004b; AMORE-SIMONE 2005c; CALANDRA 2000b; DE GAETANO; SCUOLA MEDIA; SCIOSCIA-SIMONE 2013.
Il Ventennio Fascista A Frasso Telesino, sul ventennio fascista è stata stesa una coltre di oblio e, anche nella memoria collettiva, quei lunghi anni non hanno lasciato che rari e sbiaditi ricordi. Ci si trova quasi davanti ad una «damnatio memoriae», non decretata da nessuno, alla quale fanno eccezione pochi luoghi comuni, presenti nei ricordi degli anziani, secondo i quali il ventennio fascista fu anche a Frasso un periodo di ordine e di pace, quasi un’isola felice rispetto alle lotte politiche ed ai guasti morali e sociali del secondo dopoguerra. In realtà il ventennio fascista a Frasso fu caratterizzato da lotte feroci tra fazioni diverse, che rendevano molto difficile la scelta del Podestà e l’amministrazione del paese. Ne furono nominati soltanto due in tutto il Ventennio: l’avv. Cosimo Mosiello e Girolamo De
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Filippo. I1 loro mandato coprì circa otto anni, mentre per il resto del periodo si alternarono circa diciassette Commissari Prefettizi, «che assicurarono una gestione precaria del Comune e un sostanziale immobilismo amministrativo». Di questi ultimi, ricordiamo don Achille De Amicis, Commissario Prefettizio fino al 14 agosto 1926, «unico sacerdote ad assumere tale incarico in quel periodo in Italia». La caotica situazione politica e amministrativa di questi anni è ben descritta nella relazione del Commissario Prefettizio Pietro Albarello del 19 giugno 1933: «Esistono in Frasso due gruppi politici, divisi da antagonismi e rancori profondi per danni subiti, per vendette da compiere. Detti gruppi sono organizzati e compatti, con disciplina ferrea, agli ordini dei due capi. Qualsiasi atto o parole di un gregario non è mai da attribuirsi a sua iniziativa ma a ordini del capo, per fini predisposti non sempre chiaramente visibili fin dall’inizio perché abilmente dissimulati [...]. La lotta e la caccia al potere sono quindi accanite e incessanti. Rappresentano per gli uni il modo di poter godere la ricchezza acquisita e possibilmente aumentarla, per gli altri l’unico presunto modo possibile per giungere alla stessa condizione dei primi [...]. Gli avversari si spiano, si pedinano a vicenda. E sono continuamente in moto, a Napoli, a Roma, a Benevento, per sollecitare aderenze di persone influenti il cui intervento rende ancora più inestricabile la situazione. La popolazione di Frasso se talvolta parzialmente e indirettamente asseconda qualche manovra dei politicanti, lo fa esclusivamente per paura, perché forzata in mille modi, lo fa perché a tal prezzo ottiene di essere lasciata in pace alle proprie faccende […]». Una girandola di Commissari caratterizzò anche la gestione dell’Istituto Gambacorta, intorno al quale ruotava gran parte dell’economia frassese. Nel 1926, sotto la gestione del Cav. Alberto Grisolia, Commissario Prefettizio, venne realizzata la vendita dei beni dell’Istituto all’avv. Pietro Perlingieri, quale rappresentante della Società Agricola Sannita. L’evento viene così descritto dalla delibera comunale n° 19 del 7 gennaio 1927: «Ritenuto che superando tutte le insidie con le quali si intendeva perpetuare la speculazione sull’esteso patrimonio dell’Ente, per cui in qualche epoca di triste memoria i terreni hanno rappresentato una passività, e debellando tutti gli equivoci faccendieri che si ripromettevano loschi affari nella vendita del latifondo dell’opera Pia, il Cav. 47
Grisolia ha saputo portare a termine il poderoso problema della alienazione con vigilanza, accortezza e perspicacia, in modo da realizzare la ingente somma di un milionecinquecentoventisenzilalire contro il prezzo di perizia-stima determinato in un milione soltanto». Bibliografia: AMORE-SIMONE 2007a; AMORE-SIMONE 2013b; COLAPINTO 1998; DI CERBO 2003b; DI CERBO 2004b; DI CERBO 2004c; DI CERBO-AMORE-SIMONE; SCUOLA MEDIA; SGARRA 1996.
La Seconda Guerra Mondiale Durata dal 1939 al 1945, la Seconda Guerra Mondiale fu il secondo grande conflitto del XX secolo. I morti complessivi furono quasi 50 milioni, dei quali quasi 10 sterminati nei campi di concentramento nazisti. Con l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, molti frassesi furono chiamati alle armi e parteciparono attivamente sui vari campi di battaglia della Libia, dell’Albania, della Jugoslavia, della Grecia, del fronte Russo. Fino al settembre del 1943, la guerra interessò il nostro paese solo marginalmente. Essa, infatti, fu vissuta solo attraverso le notizie inviate dal fronte dai soldati, da soste di truppe di passaggio e dall’organizzazione della raccolta di indumenti da inviare al fronte. L’8 settembre 1943, la notizia della firma dell’armistizio giunse in serata anche a Frasso: «La Chiesa [di Campanile] gremita di fedeli diventò una bolgia infernale; chi piangeva di gioia, chi strillava chi si buttava a terra e baciava il pavimento in segno di ringraziamento… ma la gente forsennata e impazzita si accalcava verso l’uscita. La gioia durò poco… erano trascorsi pochi giorni dall’armistizio, quando una mattina il rumore assordante dei carri armati ci svegliò. Erano dei tedeschi; che sfuggivano all’avanzata degli alleati e si erano rifugiati a Frasso». La loro presenza in paese, causò l’intervento degli aerei alleati. Il 17 settembre 1943, infatti, «Frasso fu sottoposta a spezzonamento, col risultato di 5 morti e di 15 feriti. Il 19, secondo bombardamento. Ai bombardamenti fecero corona saccheggi e cattura di uomini (in una volta 14 professionisti e studenti, inviati a 48
Moiano a scavare trincee). Questo decise buona parte della popolazione a fuggire sulle montagne vicine, fra l’altro a monte S. Angelo. Fu minato il ponte sul torrente Maltempo [costruito nel 1876], ma alcuni ragazzi riuscirono a togliere le mine. Il 5 ottobre, i tedeschi lasciarono Frasso. Non sicuri di ciò gli americani piazzarono le loro batterie sulla collina di Montevergine, oltre la valle di Prata. Contadini frassesi corsero ad avvisarli, e così le avanguardie americane, il 6 ottobre, occuparono Frasso. Diversamente sarebbe stata spianata al suolo. Bisognò tuttavia sopportare ancora il cannoneggiamento tedesco sull’abitato, verso la strada Frasso-Dugenta, dopodichè la popolazione tornò al paese». Bibliografia: AMORE-SIMONE 2002a; AMORE-SIMONE 2007b; DI CERBO 1949; FARALDO; GIORGIONE; GISONDI-D’AMICO; MARROCCO 1974; SGARRA 1999; SCIOSCIA-SIMONE 2012; ZAZO 1944.
La Rinascita Culturale Con le cinque edizioni della rassegna pittorica di murales “Terravecchia” (1983 - 1987), organizzata dall’Amministrazione Comunale, si è aperta a Frasso una nuova stagione di rinascita sociale e culturale. L’enorme successo di pubblico e critica che questa manifestazione ha ottenuto, infatti, ha stimolato e favorito la nascita di una miriade di associazioni che hanno rianimato la vita del paese. Se poco incisiva è sembrata l’attività della Pro-Loco - dal 2000 più volte ricostituita - e di altre effimere associazioni, molte altre, invece, hanno significativamente inciso sulla vita sociale, religiosa, artistica e culturale frassese. Tra queste ultime, ricordiamo L’Associazione di Pubblica Assistenza, istituita nel 1993, impegnata non solo ad aiutare gli anziani e gli ammalati ma anche come promotrice della festa dell’anziano, della festa della Donna e della riproposta del Carnevale frassese; Il Gruppo Teatrale «‘O Vicariello», fondato nel 1990, che per un paio di decenni ha riproposto a Frasso commedie di Eduardo De Filippo e di Eduardo Scarpetta; L’Associazione Artistico-Culturale-Ricreativa “Il Sogno di Icaro”, che dal 1996, anno della sua costituzione, ha promosso 49
varie edizioni della Mostra-Concorso di presepi «Te piace ‘o presebbio» e ha pubblicato «‘O Spusarizio» (1998), catalogo di antiche foto di matrimoni di frassesi; l’Associazione Culturale “Terravecchia”, fondata nel 2012, impegnata nella valorizzazione del territorio e del suo patrimonio artistico e, dal 2013, nel riproporre la fortunata rassegna di murales “Terravecchia”. Anima indiscussa della rinascita e del fervore culturale degli ultimi decenni, però, è stato senza dubbio mons. Valentino Di Cerbo, come Rettore della Chiesa di Campanile (1997 - 2010) e come ideatore e anima della rivista «Moifà», dell’Associazione Culturale “Terra Fraxi” e della Fondazione Madonna di Campanile. Come Rettore della Chiesa di Campanile, mons. Di Cerbo ha promosso la celebrazione del IV Centenario della nascita della Principessa Gambacorta (1998 - 1999), del III Centenario della fondazione della stessa Chiesa (2002) - entrambe con importanti iniziative culturali e religiose e la presenza a Frasso di diversi Vescovi e dei Cardinali Vincenzo Fagiolo (1998) e Giovanni Battista Re (2002) - e ha favorito i restauri, tra gli altri, del Cristo deposto (2003), del Quadro della Madonna di Montevergine a curto (2005), del Quadro della Madonna con Bambino (2002), dell’Organo settecentesco (2002) e del Crocefisso ligneo (2008). Come ebbe a scrivere Ezio Flammia, «se a Frasso si trovano opere d’arte degne di questo nome e recuperate al degrado, si deve a don Valentino Di Cerbo che da solo, superando difficoltà di ogni tipo, ha saputo dar vita ad iniziative intelligenti, capaci di stimolare quel riscatto sociale necessario a sradicare dalla comunità frassese l’apatia ed il disfattismo». Geniale poi la sua intuizione di dar vita nel gennaio del 1995 al «Moifà. Foglio di collegamento tra i Frassesi», periodico che ha contribuito, attraverso il supporto di diversi collaboratori e studiosi, a ricostruire la storia di Frasso e dei suoi uomini illustri e a riallacciare il legame con tutta la comunità dei frassesi sparsi per il Mondo. Pubblicato fino a dicembre del 2013, «nel panorama abbastanza grigio in cui è vissuto Frasso nell’ultimo decennio, Moifà […] ha rappresentato una delle poche novità, che hanno nobilitato il nostro Paese […]. Senza Moifà, quanti Frassesi avrebbero conosciuto Nicola Calandro, detto Frascia, Mike Mosiello, Giovanni Francesco Brancaleone, Marcello Papiniano Cusani, Domenico Spinelli e la stessa Giulia Gambacorta, per non parlare dei “nostri” più illustri? O interi periodi della storia di Frasso, quali ad es. la preistoria, 50
l’epoca sannita, l’epoca romana, il Medioevo, il primo Novecento […] e chi si ricorderebbe ancora delle vecchie Chiese abbattute e dei preziosi tesori di fede e di cultura in esse un tempo custoditi?». A supporto di tutte le idee e delle iniziative promosse attraverso il «Moifà», mons. Di Cerbo ha dato vita e ha presieduto l’Associazione Culturale “Terra Fraxi” (fondata nel 1995) e la Fondazione Madonna di Campanile (fondata nel 2000). Attraverso queste due istituzioni, sono state realizzate varie mostre, conferenze, convegni, celebrazioni di frassesi illustri e pubblicazioni sulle chiese del Carmine (1996) e di Campanile (1997) e sui musicisti Nicola Calandro (2001) e Mike Mosiello (2003). Tra il 1995 e il 2012, inoltre, ha organizzato diversi incontri di frassesi a Berna (Svizzera), a Roma, a Milano, a Torino, a Prato, a Parma e a Borgolavezzaro (Novara) - che condivide con Frasso la comune Patrona Santa Giuliana - riunendo di fatto la grande famiglia frassese residente nel centro e nel nord Italia e all’estero. Nell’elencare tutte le iniziative sopra descritte, appare chiaro che «mai come in questo periodo, Frasso ha ricevuto stimoli religiosi e culturali, così importanti, che difficilmente saranno riproposti in futuro e in un arco di tempo così breve». Bibliografia: DI CERBO 1995b; DI CERBO 2004bb; DI CERBO 2006a; DON VALENTINO; FLAMMIA 2008; VISCUSI 1997.
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( III )
Arte e Monumenti
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La Chiesa di Campanile Giulia Gambacorta, il 30 luglio del 1655, con istrumento di donazione «ha ordinato e disposto, con l’acuta sua mente, per la gran divozione, ch’ella nutre verso la Chiesa, da lei nuovamente costruita, entro i termini di questa Terra, nel Casale chiamato Castagnola, né ben noti confini, sotto il titolo di S. Maria del Soccorso, di donare, per la salvezza dell’anima sua e la remissione dei suoi peccati, tutti i suoi beni». La Chiesa, costruita mentre Giulia Gambacorta era in vita, non è quella attuale, anche se edificata nello stesso luogo. Mons. Filippo Albini, eletto vescovo di S. Agata dei Goti il 5 ottobre 1699, ordinò di riprender i lavori per la costruzione della nuova Chiesa, dato che la vecchia chiesa «era diventata un luogo aperto anche di notte dove i discoli vi dormivano e farvi altre indegne azioni». Le principali tappe per la realizzazione del nuovo edificio si possono così sintetizzare: 16 settembre 1700 inizio dei lavori; 24 dicembre 1701 conclusione dei lavori; 1701 demolizione dell’antico edificio. Nel 1741, la venuta delle suore Carmelitane e l’apertura del Monastero produce effetti positivi anche per la Chiesa: le suore fecero realizzare l’altare maggiore ad opera del marmoraio napoletano Domenico Astarita, completare gli stucchi dai maestri locali Antonio e Gennaro Canelli e commissionarono l’acquisto della maggior parte delle tele, attualmente poste entro cornici di stucco. Oltre alle Suore Carmelitane si sono avvicendate nella cura della Chiesa le Visitandine (1810 - 1919) e le Vittime Espiatrici di Gesù Sacramentato (1940 - 1968). Nel 1932, dopo gli interventi resisi necessari perché «di chiesa aveva soltanto il nome», come affermò il canonico Viscusi, fu riaperta al culto. Altri restauri sono stati effettuati negli anni ‘80 del Novecento a cura dell’Amministrazione Comunale e hanno riguardato la sistemazione della parte strutturale, il rifacimento della tettoia e i lavori di rifinitura e di completamento del restauro di tutta la Chiesa. La cerimonia di inaugurazione avvenne il 27 maggio 1989. Il 31 maggio 2007 Il Cardinale Bernard Law, Arciprete della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore di Roma, comunicò che la Chiesa di Campanile era stata legata in fraterno vincolo spirituale alla Basilica Liberiana. 54
La Chiesa di Campanile «presenta una notevole importanza per gli studi storico-artistici, in considerazione delle opere in essa conservate e dalla notorietà degli artisti chiamati ad eseguire i dipinti». Entrando nella Chiesa si trova un Crocefisso ligneo (XIV sec.); sul lato destro della navata vi è una piccola cappella in spessore di muro dedicata a S. Gaetano di Thiene (XVIII sec.). Nel transetto destro c’è la tela Vergine del Soccorso di Michele Foschini (17111770). Nel presbiterio sulla parete destra dell’altare maggiore si trova la grande tela rappresentante la Vergine con il Bambino venerata da quattro suore carmelitane, l’opera è del pittore Paolo De Majo (1703 - 1784), su commissione di Sant’Alfonso. Legata alla presenza di S. Alfonso è anche la statua del Bambino Gesù donata dal Santo. Sull’altare maggiore vi è la Statua lignea della Madonna di Campanile (XII sec.), restaurata da Graziano Tripodi nel 1993, su iniziativa di don Valerio Piscitelli, benedetta da Papa Giovanni Paolo II il 5 maggio 1993 e accolta a Frasso, dopo il restauro, il 9 maggio 1993. Sulla parete sinistra dell’altare maggiore c’è la tela della Visitazione della Vergine ad Elisabetta (XIX sec.). Nel transetto sinistro, al di sopra dell’altare, è rappresentata l’apparizione della Sacra famiglia del pittore Vincenzo Fato (17051788). Sul lato sinistro, invece, è rappresentato un celebre episodio della vita di San Gennaro, opera dal pittore di origine fiamminga Michelangelo Schilles, attivo a Napoli nel ‘700. Sulla parete sinistra della navata c’è la tela raffigurante San Pasquale (XVIII sec.). All’incrocio fra la navata ed il transetto, vi è la lastra tombale con il leone rampante sotto la quale riposano le spoglie mortali di Giulia Gambacorta. In questa Chiesa è stato sepolto anche il Principe Carlo III Spinelli, morto a Frasso l’11 giugno 1742. La Chiesa possiede, oltre alla Statua di San Vincenzo Ferrer, anche statue realizzate tra il sec. XVIII-XIV, quasi tutte restaurate, nel periodo di rettoria di mons. Valentino Di Cerbo, da Ezio Flammia, come L’Addolorata, il Cristo morto, il Cristo coronato di spine. Del M° Flammia sono altresì i restauri dei sei candelieri in legno dorato e del crocefisso, delle tele della seconda metà del ‘700, dei ritratti di San Francesco di Sales e S. Giovanna Chantal, degli angeli di cartapesta che affiancano la statua della Madonna di Campanile, della Pala di San Vito (XVIII sec.) e del dipinto della Madonna di Montevergine a curto. Nel 1997 sono state realizzate le tavole della Via Crucis, opera 55
del M° Mario Tonicello (1937 - 2007) di Mestre e nel 1999 l’altorilievo di padre Pio opera del M° Gianpaolo Stella di Mestre. Nel 2000 dello stesso artista è l’altorilievo di terracotta che rappresenta S. Alfonso che dona il Bambinello. Nel 2002 ad opera della Ditta Continiello di Monteverde (AV) è stato restaurato il settecentesco organo, costruito a Napoli nel 1784 dall’organaro De Luca. Il 24 ottobre 2004 è stato donato dalle suore Battistine alla Chiesa un quadro dell’allora Beato, ora Santo, Alfonso Maria Fusco. Nella nuova sagrestia, inaugurata il 28 luglio del 2002, oltre alla Pala di San Vito e al dipinto della Madonna di Montevergine a curto (1898), si possono ammirare il quadro di Santa Margherita Alacoque, opera di G. De Vivo e Il dipinto della Madonna di Campanile opera di Ferdinando Masciotta (1948). Sul muro esterno della nuova sagrestia, il 25 agosto del 2002 è stato posto un pannello in ceramica della Bottega Giustiniani che rappresenta la donazione della Principessa Gambacorta. Sulla facciata laterale della Chiesa di Campanile il 2 maggio 2010 sono stati collocati gli stemmi dei due vescovi frassesi: mons. Marcello Papiniano Cusani (1690 - 1766), arcivescovo di Palermo, e mons. Valentino Di Cerbo, vescovo di Alife-Caiazzo. Bibliografia: AMORE-SIMONE 2009c; BATTISTIN 1999b; BATTISTIN 2001; CALANDRA 1996c; CALVANO; CAMPANELLI; CAMPANILE; CAMPANILE 2000; DI CERBO 1949; DI CERBO 1997b; DI CERBO 1998a; DI CERBO 1998b; DI CERBO 1998c; DI CERBO 2000; DI CERBO 2004d; DI CERBO 2010b; DONATO-DI CERBO; FLAMMIA 1996; FLAMMIA 1998a; FLAMMIA 1998b; FLAMMIA 2000; FLAMMIA 2003a; FLAMMIA 2003b; FLAMMIA 2005; FLAMMIA 2008; FONDAZIONE; FORMICHELLA 2009; FRANCIA 2004; FRANCIA 2005; FRANCIA 2008; GATTORTA; IANNUCCI 1898; LALA 2001a; LANZILLOTTA 2001; LANZILLOTTA 2005; PISCITELLI 1996; PISCITELLI 2013; REDAZIONE 1989; REDAZIONE 2002b; ROSIELLO 1999; SCIOSCIA 2013; SIMONE 2007; SIMONE 2008b; SIMONE 2011; VISCUSI 1932.
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La Chiesa di Santa Giuliana I documenti più antichi, ci parlano di una chiesa di Santa Giuliana in Frasso negli anni 1308-1310 e ci riferiscono delle decime offerte al Papa dal Regno di Napoli, cui «Ecclesia de Sanctae Julianae de Castro Fraxi» contribuisce con 15 tar(ì). La Chiesa antica, di origine cinquecentesca, era a tre navate più ampia quella centrale, più anguste quelle laterali - e fu demolita nel 1953. L’edificio abbattuto aveva subito diversi restauri, tra cui il rifacimento ed ampliamento avvenuto tra gli anni 1741-1752 ad opera di don Francesco De Filippo, costato 2.000 ducati, e quello degli anni ‘40 del Novecento ad opera di don Alfredo D’Addio. La dove si trovava il Campanile, sorge ora la facciata della nuova Chiesa di Santa Giuliana, progettata dal celebre architetto Marcello Canino di Napoli e consacrata il 28 giugno 1968 dal Vescovo diocesano mons. Ilario Roatta. L’opera costò Lire 68.843.360, comprensivo della spesa occorsa per le campane, l’elettrificazione delle stesse, per la dotazione dell’organo e dei banchi e per il restauro del crocifisso. La somma finale fu ampiamente coperta grazie a un finanziamento statale, a contributi del Comune e della popolazione di Frasso Telesino, compresa quella residente in Italia settentrionale, in Svizzera, in Canada e negli Stati Uniti d’America. I lavori per la costruzione del rustico furono eseguiti dalle Ditte “Bonovolontà” di Casagiove e dalla Ditta “Buffolino”di Durazzano, ditte prescelte dal Genio Civile. Gli altri lavori furono fatti dalle Ditte Pasquariello e Pezone di Frasso Telesino. I lavori riguardanti la messa in opera del pavimento, la tinteggiatura, l’impianto elettrico e le opere di falegnameria furono eseguiti da artigiani frassesi e frassese fu pure il direttore dei lavori, l’ingegnere Michele De Simone. Nel settembre del 2006, per interessamento dell’Amministrazione Comunale, iniziarono i lavori per il rifacimento della facciata della Chiesa che terminarono nel 2007. All’interno della Chiesa si possono ammirare varie opere d’arte. Nell’abside della Chiesa è collocato il Crocifisso a dimensione umana (XVII sec.), donato dal notaio Marco Brancone, che fino al 1968 si trovava nella Cappella laterale destra dell’antica Chiesa Collegiata del Corpo di Cristo, abbattuta in quell’anno. Sulla parete destra del transetto vi è la Pala della Vergine del Rosario (XVI sec.), probabilmente del pittore Francesco Curia, proveniente dalla Cappella del Rosario dell’antica Collegiata del Corpo di Cristo. 57
Oltre alle tele della Incoronazione della Vergine (XVII sec.), attribuita a Luca Giordano, e della Madonna Penitente (1901) di Cosimo Iannucci, vi sono numerose statue: Santa Lucia, Cristo morto (XX sec.), Addolorata (XVIII-XIX secc.), Santa Giuliana (XVII-XVIII secc.), San Giuseppe (XX sec.), Sacro Cuore di Gesù, Sant’Antonio, Sant’Alfonso (XIX sec.), Madonna delle Grazie (XVII sec.), San Michele Arcangelo. Nel 1995, furono collocate nella Chiesa due pannelli di ceramica della bottega Giustiniani, dipinti da M. Lozzi e Elvio Sagnella, raffiguranti Gesù nell’orto degli ulivi e la Resurrezione di Gesù. A ricordo del III Centenario della nascita di S. Alfonso, il 9 maggio 1997 furono collocati altri due pannelli di ceramica sempre della bottega Giustiniani: S. Alfonso in visita pastorale a Frasso e S. Alfonso nella Chiesa del Corpo di Cristo, dipinti da K. Ivanova e Elvio Sagnella. Sulla facciata esterna, infine, nel giugno 2017 è stata collocata la riproduzione in bronzo della statua di Santa Giuliana, realizzata dalla Fonderia Artistica Vincenzo Arena di Afragola (Napoli). Bibliografia: AMORE-SIMONE 2010; CALANDRA 1996a; D’AMICO 2007; D’AMICO 2008; DELLA PERUTA; DE NUNZIO; DI CERBO 1949; DI CERBO 2006c; DI CERBO 2007c; FRANCIA 2007; INGUANEZ; LALA 2000a; LALA 2000b; NICOMEDIA; QUIDAM; REDAZIONE 2002a; SIMONE 2000; SIMONE 2007; SIMONE 2008b.
La Chiesa di S. Maria del Carmine Ideata da un’intuizione pastorale di S. Alfonso de’ Liguori, è stata voluta e costruita dagli abitanti del Tuoro, stretti intorno ad un sacerdote buono e zelante, mons. Michelangelo Marcarelli, che ne divenne, poi, Rettore e primo Parroco. Inaugurata il 20 settembre 1881 da mons. Domenico Ramaschiello, Vescovo di S. Agata dei Goti, fu eretta parrocchia nel 1916 da mons. Alessio Ascalesi, da poco trasferito alla sede Arcivescovile di Benevento ma ancora Vescovo di S. Agata dei Goti. La primitiva Chiesa, ornata di stucchi, presentava sul lato destro un altare di tufo, stuccato e con la mensa di legno, sul quale vi era una modesta tela che rappresentava S. Antonio di Padova.Tale tela 58
è stata sostituita il 13 giugno 1999 con una nuova Pala che rappresenta il Santo Dottore da Padova, opera del pittore lombardo Fra Damaso Bianchi (1927-2000), cappuccino. Sul lato opposto vi era il confessionale con (sopra) il pulpito. All’abside, con stele di stucco in rilievo e lucernario, era addossato l’altare maggiore in marmo, sul quale una nicchia con cornice di legno sormontata da una “M” incoronata, custodiva e custodisce tuttora la statua della Madonna, donata sia da Donna Teresina Merrone (nata Sanseverino), il 15 luglio 1882, che offrì la somma più consistente, che da altre pie persone. Nel 1987 la statua della Madonna è stata restaurata ad opera dello scultore Vincenzo Mussner di Ortisei, che ha rifatto completamente il busto di legno, eliminando i vestiti di stoffa. Sempre nell’abside vi erano due piccole nicchie: in quella di destra c’era la statua settecentesca di S. Giuseppe (attualmente nella cappella delle confessioni). Sotto quella di sinistra, che sormontava la porta dell’antica sagrestia che dal 1950 custodiva la statua del S. Cuore, fu posta una lapide con la scritta: «Popolo e Comitato restaurarono questa cappella. 1948». Gli ultimi restauri - terminati il 6 luglio 1996, giorno della riapertura al culto con la partecipazione di S. E. Francesco Tommasiello, Vescovo di Teano - hanno consolidato, abbellito e reso più funzionale l’edificio sacro. L’arch. Antonio Norelli ha curato il progetto e la direzione del restauro; la Ditta dei Fratelli Giovanni e Giuseppe Pasquariello ha eseguito i lavori. Il costo dell’intervento di restauro è stato di circa 70 milioni, in gran parte donati dalla popolazione. Il patrimonio artistico della Chiesa si è poi ulteriormente arricchito nel 1999 mediante la collocazione delle tavole della via Crucis, opera del pittore veneziano Mario Tonicello (1937 - 2007), e il 26 dicembre del 2009 con la tela di San Pio da Pietralcina, dipinta dalla Signora Carmela Angela Gesuele. Bibliografia: BATTISTIN 1999a; DI CERBO 1949; DI CERBO 1996a; DI CERBO 1996b; DI CERBO 1999; DI CERBO 2010a; REDAZIONE 1996.
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La Chiesa rupestre di San Michele Costruita intorno alla metà del Seicento, la chiesa fu consacrata da Monsignore Albini il 18 ottobre 1716. Da una descrizione ottocentesca del canonico Fusco, sappiamo che in essa «vi scorre continuamente un’acqua freddissima e va dentro una vasca artefatta buonissima a bere. In essa Chiesa ancora e propriamente sopra l’altare vi è una nicchia dentro la q(ua)le vi si vede la Statua di S. Michele Arcangelo di marmo a forma di quella del Monte Gargano da dove venne e questa una col trasporto costò ducati quattordici e fu fatta nell’anno 1699. Prima in d(ett)a Chiesa sopra un altero altare vi era un quadro di S. Michele sopra a rame che oggi si conserva nella Chiesa Collegiale e propriamente nella Cappella del Santissimo Rosario». Grazie all’intervento della Soprintendenza alle belle arti di Caserta, nel 2006 la chiesa è stata parzialmente restaurata: «L’intervento più importante consiste nell’eliminare un intonaco esterno che con la sua straziante modernità mal si addice alla bellezza dell’ambiente naturale caratterizzato da roccia viva e da uno stupendo panorama che si estende sino al Vesuvio e a Napoli con il suo golfo quando le condizioni atmosferiche ne consentono la visibilità. Sta emergendo il muro esterno fatto di pietre e di materiale naturale presente nello stesso ambiente quando il manufatto è stato costruito per essere chiesa ospitante la statua di san Michele nel periodo estivo. E la statua veniva in passato trasportata a spalla [l’8 maggio] dai più appassionati fedeli di Frasso lungo il sentiero delle 36 “storte”(piccoli tornanti) che i cittadini stessi curavano con una meticolosa manutenzione. D’inverno la statua scende ancora nel paese [il 29 settembre] ora trasportata con un trattore ma è rimasta sempre di piccole dimensioni perché in passato veniva portata come ho prima citato da volontari a piedi». Nel 2008, infine, la statua è stata restaurata dalla ditta Carlo Bugli & C. di Napoli e, parimenti, «si è provveduto a realizzare una copia in gesso mediante calco in silicone fatto sull’originale». Bibliografia: D’AMICO 2007; D’AMICO 2008; DI CERBO 1949; DI CERBO 1961; FUCCI 2007; MATARAZZO-SIMONE; MATTINO 2006.
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La Chiesa di San Vito Descritta nelle Visite Pastorali del Seicento e dal canonico Fusco nell’Ottocento, è una chiesetta con candide cortine bianche, situata sulla strada provinciale che porta a Dugenta, a circa 2 Km dal centro abitato di Frasso Telesino, presso l’omonima collina. Nel timpano della facciata esterna era inserito un pannello con i miracoli di San Vito, composto di 20 riggiole maiolicate, che recava al centro l’immagine del Santo ed ai lati sei scene rappresentanti i suoi miracoli. Questa pannello, particolarmente apprezzata dallo storico Guido Donatone, realizzato agli inizi dell’Ottocento dalla Bottega Giustiniani di San Lorenzello, è stato rubato il 30 maggio 2008 e attualmente rimane soltanto la cornice in stucco. Un modesto campanile, di forma quadrangolare con una guglia a pera, più volte distrutto e ricostruito, completa l’aspetto esterno di questa graziosa architettura popolare. Varcata la soglia della Chiesetta, sulla sinistra, troviamo l’altare dedicato ai santi Cosma e Damiano. Il santo più venerato è certamente San Vito, il titolare della chiesa. L’altare a lui dedicato, molto semplice, è arricchito da una pala con l’immagine del santo con l’immancabile cane, San Francesco e la Madonna col Bambino circondata da nuvole ed angeli, probabile opera del pittore frassese Giuseppe Antonio Agnone (1739 - 1799), che la ridipinge su un’opera precedete. Questa pala, insieme alla struttura in legno dorato che funge da cornice, dopo un accurato restauro realizzato dal Maestro Ezio Flammia, nel 2002, si trova attualmente nella nuova sagrestia della Chiesa di Campanile. Sul terzo altare, nella nicchia ora vuota, fino a pochi anni fa si poteva vedere una statua di San Pasquale a mezzo busto. Vivaci stucchi, certamente settecenteschi, arricchiscono questa chiesa così come una graziosa acquasantiera in pietra posta accanto ad un ingresso laterale. Quello che però colpisce di più sono le ingenue raffigurazioni di animali e piante, riportate su affreschi o incise su pietra, come quelle visibili sulla soglia di ingresso. Bibliografia: DI CERBO 1949; DONATONE; FLAMMIA 2002; LALA 2001d.
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Altre Chiese Nell’abitato e nel territorio di Frasso si trovano ancora alcuni piccoli oratori, ultimi esemplari di piccole chiese che quasi sempre rispondevano ad una precisa scelta urbanistica: un luogo di culto per ogni casale o contrada. Segnaliamo: la Chiesa dell’Immacolata di Capo Sant’Angelo, grazioso edificio settecentesco ora sconsacrato; la Chiesa di Montevergine a curto, oggi sconsacrata e diruta; la Chiesa parrocchiale di Sant’Andrea Apostolo in Nansignano e la Chiesa della Suore Vittime Espiatici di Gesù Sacramentato in via Capo S. Angelo. Bibliografia: DI CERBO 1949; LALA 1996; REDAZIONE 2013; SIMONE 1996a; SIMONE 1996b; SIMONE 2008b.
Il borgo di Terravecchia Primo insediamento urbano del paese, si sviluppò inizialmente intorno all’ecclesia S. Salvatoris, della quale rimane ancora una lunetta in tufo sull’ingresso principale da Piazza IV Novembre. Secondo alcuni studiosi, la sua fondazione risale al periodo sannita, poi consolidata in epoca romana. Successivamente fu munito di fortificazione, tanto che in vari documenti storici il borgo venne ripetutamente citato anche come «Terra murata». Agglomerato di edifici irregolari a pseudoschiera, «caratterizzati da evidenti processi di verticalizzazione che denotano una mancata pianificazione urbana del nucleo primitivo», il borgo è caratterizzato da una serie di vicoletti solo in parte collegati tra loro ma un tempo sicuramente tutti comunicanti all’interno del perimetro murario. Più volte restaurato negli ultimi decenni, a partire dal 1983 il borgo è stato abbellito dalla presenza di vari murales. Bibliografia: D’AMICO 2006b; D’AMICO 2009; DE STEFANO; DI CERBO 1949.
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Murales: Rassegna pittorica “Terravecchia” Percorrendo le vie di Frasso, ci si imbatte di frequente in opere pittoriche e scultoree di artisti moderni, italiani ed esteri - tra cui Andrea Busto, Klaus Mehrkens, Omar Galliani, Radu Dragomirescu, Roberto Barni, Louise Bec, Francois Lamore e Lorenzo Bonechi - che tra il 1983 e il 1987 intervennero alle cinque edizioni della manifestazione artistico-culturale ed ambientale denominata Terravecchia, promossa dall’Amministrazione Comunale del tempo. La manifestazione prende il nome dal vecchio quartiere di Terravecchia, primo insediamento del centro abitato nonché luogo dove furono realizzati i primi murales. Anche se in gran parte in degrado, le opere costituiscono una interessante testimonianza dell’arte del Novecento europeo. Ripresa nel 2013 dall’Associazione Culturale Terravecchia, questa manifestazione ha ulteriormente arricchito il patrimonio artistico frassese con nuove opere degli artisti Christian Leperino, H. H. Lim, Thomas Lange, Mutsuo Hirano, Gabriele Bonato. Bibliografia: BATTARRA; CALANDRA 2013; FUCCI 2008; LEMAIRE; PIETRAROIA; ROSIELLO 1996; SGANGA; TERRAVECCHIA.
Il Palazzo Gambacorta Imponente e significativo edificio di più di 2000 mq, con ampio giardino, il palazzo fu terminato nel 1741, in attuazione delle volontà testamentarie della Principessa Giulia Gambacorta, quale Conservatorio per fanciulle civili povere. A dirigere l’Istituto si alternarono le Suore Teresiane (1741 1810), le Visitandine (1812 - 1919) e, dopo un periodo di gestione civile, le Suore Vittime Espiatici di Gesù Sacramentato (1940 1968). Dal 1974 al 2001, è stato sede della Comunità Montana del Taburno. Dopo varie ed inconcludenti proposte avanzate per la sua riqualificazione, attualmente è in completo abbandono. Bibliografia: GAMBACORTA 1999; TANGO; VECCHIARELLI.
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Il Palazzo del Principe Costruzione che domina piazza IV Novembre, ora proprietà di privati, fu sede dei feudatari che si sono succeduti a Frasso, fino al secolo XIX. L’attuale struttura (eccetto la nuova costruzione, realizzata nel 1964, abbattendo un’ala dell’antico palazzo e la torre), risale in gran parte ai Principi Spinelli (feudatari di Frasso dal 1730 al 1806), che vi fecero realizzare anche una piccola cappella, con uscita in Via San Rocco, secondo alcuni, opera di Luigi Vanvitelli. In questo Palazzo nacque nel 1788 il celebre numismatico Domenico Spinelli e morì, nel 1742, Carlo III Spinelli, feudatario di Frasso e Principe di San Giorgio, sepolto poi nella Chiesa della Madonna di Campanile. Bibliografia: DE SPIRITO; DI CERBO 1949; DI CERBO 2009.
Il Monumento dei Caduti Dopo alterne vicende, intorno al 1928 il monumento fu eretto nella piazza principale del paese: «Nelle sue linee essenziali è costituito da un giardinetto, al centro del quale c’è un grosso basamento di granito del Monte Grappa su cui si innalza una non proporzionata colonna spezzata, la quale, a sua volta, è sormontata da una aquila di bronzo. Quest’aquila, nell’ultimo periodo dell’era fascista, fu regalata alla Patria come “rottame da fondersi” per la costruzione di materiale bellico!». Nel 2015, il monumento è stato oggetto di interventi di riqualificazione con l’ eliminazione della precedente recinzione in metallo, la risistemazione delle aiuole antistanti e la collocazione di un antico cannone di guerra. Bibliografia: AMORE-SIMONE 2015; DI CERBO 1949.
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Il Monumento a Padre Pio Collocato ai margini di Piazza IV Novembre, il monumento, su progetto degli architetti frassesi Giuseppe Massaro e Valentino Antonio Formichella, è stato realizzato nel 1999 dallo scultore Nicola Stagetti di Pietrasanta (Lucca). Scolpito in due blocchi di marmo statuario, è alto metri 1,60, pesa circa due tonnellate e riproduce «Padre Pio seduto su di una roccia, in colloquio con un bambino». Bibliografia: REDAZIONE 1999.
Le edicole votive Nel territorio di Frasso ci sono circa 40 edicole sacre, antiche o recenti (molte in affresco o ceramica), con le quali alcuni frassesi hanno voluto porre le loro case e le loro famiglie sotto la protezione della Vergine e dei Santi. Oggi alcune di queste edicole sono rovinate, in altre all’antica immagine è stata sostituita una moderna (spesso scadente), talune sono ancora molto belle, come quella situata a Capo Sant’Angelo (strada verso il Cimitero), raffigurante la Santissima Madonna del Carmelo (del 1870). Tra le recenti edicole, meritano di essere ricordate quella di S. Alfonso nella traversa Sauci-Lenza, inaugurata il 24 agosto 2003, dell’Immacolata in Piazza Tuoro, inaugurata l’8 dicembre 2004, e quella in località Campanile, dove fu ritrovata la statua della Madonna di Campanile nel XVII secolo, inaugurata il 1° maggio 2002. Queste tre edicole, in pannelli di ceramica, sono state realizzate da Elvio Sagnella della Bottega Giustiniani di San Lorenzello. Bibliografia: CAMPANILE 2000; LALA 2002; SCIOSCIA 2003.
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Frasso Telesino, antiche cartoline del primo ‘900.
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( IV )
Uomini Illustri
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Antonio BARBIERI Poeta (Frasso Telesino, 26/04/1859 - Napoli, 8/09/1931) Si stabilì a Napoli in giovanissima età e coltivò per lungo tempo l’amore che aveva per il teatro, recitando in varie compagnie filodrammatiche. Versatile poeta, dalla vena facile e maliziosa, dal 1887, per oltre un ventennio, scrisse i testi di canzoni in lingua e, soprattutto in napoletano, che trovarono sempre il consenso degli artisti e del pubblico. Il quotidiano «Roma», definendolo «Un poeta del Popolo», ebbe a scrivere: «Alcune sue canzoni resistono al ricordo, perché ingenua e sospirosa come l’anima del popolo fu la musa del vecchio cantore scomparso». Con Vincenzo Scarpetta scrisse la popolarissima Voglio campà e fu il poeta prediletto del musicista Vincenzo De Chiara, col quale scrisse la maggior parte delle sue canzoni. Tra i suoi maggiori successi, ricordiamo la canzone Senza nisciuno (1915), interpretata da tutti i grandi tenori della prima metà del ‘900, da Enrico Caruso a Beniamino Gigli. Bibliografia: BARBIERI; CANTANAPOLI; GAMBACORTA 2006; PALIOTTI; VAJRO.
DI
MASSA;
Giovanni Francesco BRANCALEONE Medico e Filosofo (Frasso Telesino, 1500 ca. - Napoli ?, dopo il 1570) Medico e Professore di Sapienza all’Università di Napoli, nel 1535 si recò a Roma per rendere omaggio al Pontefice Paolo III e in quell’occasione fu invitato ad un consulto medico al capezzale di Martino del Portogallo, nipote e ambasciatore del re di quel Paese presso il Papato. Prendendo spunto da questo consulto il Brancaleone pubblicò, in quello stesso anno a Roma, un’opera di Medicina «Dialogus de balneorum utilitate» che, ristampata l’anno successivo a Parigi e poi a Norimberga, gli diede una certa
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notorietà. In quest’opera, il Brancaleone raccolse ogni genere di prove riguardanti l’utilità dei bagni, non soltanto dal punto di vista igienico, ma anche terapeutico, raccomandandone l’uso per moltissime malattie. Per questo motivo, al Brancaleone venne riconosciuto il merito di essere stato il precursore della moderna idroterapia. Rientrato a Napoli, nel 1542 pubblicò un’opera di carattere filosofico «Breve discorso de la immortalità de l’anima» che va inserita nell’ambito delle discussioni successive alla pubblicazione del «De immortalitate» del Pomponazzi (1516) e che ebbe proprio a Napoli uno dei maggiori centri di discussione. Scrisse, inoltre, un’orazione in latino in onore dell’incoronazione di Pio V e il «Discorso sopra l’avvertimento: conosci te stesso», rimasto inedito. Nel 1546 fu tra i fondatori dell’Accademia dei Sereni che, istituita nel Seggio di S. Angelo di Nido in Napoli, si proponeva come scopo la rappresentazione di opere teatrali scritte dai soci e l’istituzione di corsi-lezioni sulla filosofia, la matematica e la poesia. Inizialmente il B. fu “Consule” e in seguito fu nominato “Principe”, cioè direttore dell’Accademia. Questa però ebbe breve vita. Dopo poco più di un anno dalla fondazione, essa, infatti, fu soppressa dal vicerè Pedro de Toledo per sospetta attività di sovversione dell’ordine e della chiesa. Nel 1569, fu arrestato e processato per il reato di eresia o sospetto di eresia. Con una magistrale autodifesa, mettendo a frutto la sua vasta cultura, le sue non comuni capacità dialettiche e le sue passate benemerenze, dopo sette mesi riuscì a dimostrare false e palesemente strumentali le accuse tanto che, in data 28 giugno 1570, il Vicario e tutti i consulti del Santo Uffizio sottoscrissero un “decreto” con il quale lo dichiararono “abilitato” ad uscire dal carcere. SCRITTI: Quam salubria balnea sint…, Roma, Antonio Blado, 1535; Breve discorso de la immortalità de l’anima, Napoli, Mattia Cancer, 1542; Discorso sopra l’avvertimento: conosci te stesso, 1552; Pro praedio a se donato al regios conciliarios, Oratio, Napoli, 1553 ca.; Inoltre curò la prefazione al saggio Odarum libri 2 di Giovanni Battista Arcucci, Napoli, Giovanni De Boy, 1586. Bibliografia: AMABILE; BRAMBILLA; BRANCALEONE; COLAPINTO 2004; D’AFFLITTO; DBI; DE FREDE; DE RENZI; GAMBACORTA 2006; GISONDI 2010; GISONDI 2012; MAZZUCCHELLI; MENCHI; MINIERI 1844; ROMANO 1991; RUSCELLI; TAFURI; TOPPI.
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Carmine CALANDRA Letterato e Poeta (Frasso Telesino, 13/05/1878 - Napoli, 6/08/1955) Si laureò in lettere presso l’Università di Napoli nel 1903. Distinguendosi ovunque per la sua vasta cultura, insegnò lettere italiane e latino dal 1907 in vari Licei classici di Roma, delle Marche, del Molise, a Nocera e, per quasi un quindicennio, al “Genovesi” di Napoli (1934 - 1948), dove ebbe tra i suoi allievi lo scrittore Michele Prisco. Fu studioso attento della letteratura italiana e autore di varie poesie, delle quali, la maggior parte sono pubblicate nel volume Pause di raccoglimento (Arezzo, 1928) ed altre, pubblicate postume, nel volume Suggestioni e distrazioni vespertine (Benevento, 2005). Ricercatore delle tradizioni popolari frassesi, pubblicò alcune raccolte di canti popolari di Frasso Telesino, vari articoli sul folklore e compose canzoni di ispirazione popolare, rimaste inedite. SCRITTI: La “coltivazione” di L. Alamanni studiata nell’idealità e nell’arte, Cerignola, Tipografia Edit. “Scienza e Diletto”, 1907; Canti popolari raccolti a Frasso Telesino, in «Archivio per lo studio delle tradizioni popolari», Torino, XXII (1903), pp. 385-392; XXIII (1907), pp. 440-449; XXIV (1907), pp. 39-40; XXIV (1909), pp. 180-181; Dirimpetto ai ponti della Valle, per il 50° anniversario della battaglia del Volturno, Benevento, Tip. Borrelli, 1910; I galeotti in un passo Tansilliano e in rima prammatica viceregale, in «Studi dedicati a Francesco Torraca», Napoli, F. Perrella, 1912; ROMA MADRE! Per il Natale di Roma del 1915, Monteleone, Tip. e Cart. Giulio Passafaro, 1915; Pause di raccoglimento, Arezzo, Editoriale Italiana Contemporanea, 1928; Canto dei giovani italiani, per canto e pianoforte con musiche di Salvatore Pucci, Nocera Inferiore, 1931; L’ispirazione patriottica nel Manzoni, il sogno romano del poeta, Nocera Inferiore, Tip. Angora, 1932; Il trittico della scuola, Nocera Inferiore, Tip. Angora, 1935; Canto dei giovani italiani, Inno per canto e pianoforte, con musiche di S. Pucci, Nocera Inferiore, 1931. Bibliografia: CALANDRA; CALANDRA 2005b; GAMBACORTA 2006.
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Nicola CALANDRO detto Frascia Musicista (Frasso Telesino, 3/07/1715 - Roma, 1760 ca.) Dopo aver appreso i primi rudimenti musicali dai canonici della chiesa collegiata di Frasso Telesino, seguendo le orme del fratello Giacomo, frequentò a Napoli il conservatorio di Sant’Onofrio a Capuana, dove ebbe come maestri Ignazio Prota e Francesco Feo. Terminati gli studi, fu attivo, sempre a Napoli, al Teatro della Pace, dove furono rappresentate le sue prime commedie musicali. Trasferitosi a Roma, tra il 1749 e il 1750, al seguito del Cardinale Domenico Orsini, fu «Virtuoso presso l’Eccellentissima Casa Orsini d’Aragona». Al periodo romano sono databili gran parte delle sue composizioni sacre e strumentali, composte per soddisfare le esigenze musicali del suo protettore. Solo nel gennaio del 1755, si propose come operista al pubblico romano con la Farsetta per musica andata in scena al Teatro Argentina. Nello stesso anno fu attivo a Venezia e, nei primi mesi del 1756, a Terni, dove fu eseguita Saul e Gionata, cantata sacra per tre voci, coro e orchestra. Rientrato a Roma, durante l’estate del 1756, fece eseguire Le Corone, componimento pastorale per la festività dell’Assunzione di Maria Vergine. Trasferitosi nuovamente a Venezia, nell’autunno del 1756, fece rappresentare al Teatro San Samuele la sua nuova opera I Tre Matrimoni, commedia per musica su libretto di Carlo Gozzi. Durante il carnevale del 1757, lo troviamo nuovamente a Roma dove, al Teatro Valle, mette in scena l’intermezzo La Pugna Amorosa. Lasciata Roma alla fine del 1757, fu attivo dal 1758 a Bologna, dove ebbe modo di perfezionare le sue conoscenze musicali con il celebre contrappuntista Giovanni Battista Martini. Trasferitosi a Venezia, nell’autunno del 1759, ricevette l’incarico, dall’impresario del Teatro San Moisé, di comporre alcune arie nuove per i rifacimenti di due opere di Domenico Fischietti e Florian Gassmann. Rientrato a Roma alla fine del 1759, il Calandro poco dopo morì. COMPOSIZIONI: Lo Barone Landolfo, Commedia per musica su libretto di Giovanni D’Arno (Napoli, Teatro della Pace, carnevale 1747); La mogliera traduta, commedia per musica su libretto di Antonio Palomba (Napoli, Teatro della Pace, primavera 1747); Li dispiette d’ammore, commedia per musica su libretto di Antonio Palomba (Napoli, Teatro della Pace, carnevale 1748); Lo tutore ‘nnammorato, commedia per musica su libretto di Pietro 73
Trinchera (Napoli, Teatro della Pace, carnevale 1749); Farsetta per musica, (Roma, Teatro Argentina, carnevale 1755); I tre matrimoni, commedia per musica su libretto attribuito a Carlo Gozzi (Venezia, Teatro San Samuele, autunno 1756); La pugna amorosa, intermezzi su libretto di Angelo Lungi (Roma, Teatro Valle, carnevale 1757); Sei arie per il dramma giocoso Don Poppone di Baldassarre Galoppi (Bologna, Teatro Formagliari, gennaio 1759); Due arie per l’opera bernesca Gl’uccellatori di Florian Gassmann (Venezia, Teatro San Moisé, 1759); Quattro arie per l’opera bernesca Il Dottore di Domenico Fischietti (Venezia, Teatro San Moisé, 1759; La schiava per amore, intermezzo (Teatro di Umbertine, 1772); Saul e Gionata, cantata a due e tre voci, coro e orchestra (Terni, 1756); Le Corone, componimento pastorale (Roma, 1756); Kyrie et Gloria per quattro voci e orchestra; Te Deum per quattro voci e orchestra; Duetti per due soprani e basso continuo; Sinfonia per orchestra (Venezia, 1755); Concerto per flauto e orchestra; Due Sonate per flauto e basso continuo; Rudimenti per il clavicembalo. Bibliografia: AMORE 2002a; AMORE 2013; AMORE-SIMONE 2001a; GAMBACORTA 2006; ZAZO 1973.
Marcello Papiniano CUSANI Arcivescovo e Viceré (Frasso Telesino, 17/02/1690 - Napoli, 1766) Avviato alla vita ecclesiastica, a Napoli compie gli studi giuridici sotto la guida dello zio Gennaro Cusani e Basilio Giannelli. Dal 1721 al 1723 è sostituto di Digesto Vecchio all’Università di Napoli e dal 1725 al 1727 (o 1730) è docente di Diritto Civile a Torino. A Vienna, dove fu attivo dal 1730 al 1734, collaborò con Pietro Giannone. Dall’anno accademico 1734-35 è titolare della Cattedra di Codice e Novelle e di Storia Ecclesiastica presso
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l’Università di Napoli. Nominato Arciprete di Altamura, nel 1747, abbandona gli impegni universitari e si dedica all’attività civilepastorale. Animato da un convinto spirito “riformatore”, ad Altamura promosse l’istituzione di una Università degli studi nella quale privilegiò lo studio della teologia anti-lassista e rigorista e fece conoscere le teorie di Galilei e Newton, che in Italia erano note solo a pochi specialisti. Definito dal Galiani «uomo probo, prudente, dotto, di gravi costumi», nel 1752 il Cusani fu preferito a S. Alfonso Maria dei Liguori per il Vescovado di Otranto. Dal 1753 al 1762 fu Arcivescovo di Palermo. Qui affrontò la riforma dei costumi e della dottrina del clero e dei religiosi, riqualificando gli studi nel seminario e rilanciando l’Accademia del Buon Gusto, della quale nel 1754 fu nominato Principe. Nel 1755, inoltre, fu viceré di Sicilia: «Il buon governo di questo prelato, che durò solo quarantasette giorni, abbastanza addimostrò, quanto egli fosse atto a governare nel politico i Regni. Egli era un uomo di singolarissimi talenti e nel prendere le redini per esercitare la sua nuova carica mostrassi così sollecito nel disbrigare gli affari e nel procurare la pubblica felicità, che sembrava invecchiato nell’arte di reggere gli imperi». SCRITTI: Institutiones Iuris, Napoli, 1741; Ragguagli delle contraddizioni sostenute dalla vigilanza di Monsignore D. Marcello Papiniano Cusano per l’occasione di un Editto da lui pubblicato agli 11 di ottobre 1755 […] (a cura di Antonio Maria Leone Macchi), Lucca, 1759. Bibliografia: AMORE 2011; DE FELICE; DI BLASI; DI MARZO; GAMBACORTA 2006; GISONDI 1979; GISONDI 1996; RAUCCI; ZAZO 1973.
Luigi DE SILVA Letterato (Frasso Telesino, 1805 ca. - ?, 1880 ca.) Non sappiamo nulla della famiglia di origine e conosciamo poche notizie sulla sua vita che appare inquieta, geniale e avventurosa. Giovinetto, lo troviamo studente nel Collegio di Maddaloni, compagno di studi di Luigi Settembrini, che nelle «Ricordanze della mia vita» così lo descrive: «Tra i compagni io mi 75
strinsi in amicizia con Luigi de Silva, giovanetto di molto ingegno, e più avanti di me negli studi […]. Animo focoso ed irrequieto, buono, ingegnoso, generoso, è stato sempre ed è mio carissimo amico». Insegnò letteratura Greca, Latina ed Italiano in molti Licei del Regno. Intorno al 1858, fu «professore di lingua greca e di belle lettere» e dopo il 1875 fu sostituto Provveditore agli Studi di Campobasso. Collaborò, inoltre, dal 1830 al 1836 ca., con la rivista «L’Indicatore dei processi della letteratura, delle scienze, delle arti, delle industrie», e, dal 1839 al 1859 ca., con la rivista teatrale «La Platea». Delle sue opere ci è pervenuta solo un’Ode scritta nel 1858 per la Vestizione religiosa della Signora D. Beatrice Maria Canelli seguita nel Monastero Salesiano di Frasso. Bibliografia: IANNUCCI 1898; SETTEMBRINI; ZAZO 1986.
Michele DI CERBO Generale e Storico (Frasso Telesino, 2/01/1911 - Napoli, 6/05/1964) Dopo gli studi ginnasiali e liceali a Benevento, e una breve esperienza universitaria a Napoli, è ammesso all’Accademia Militare di Modena, da dove uscirà, nel 1931, con il grado di Sottotenente. Partecipa al conflitto italoetiopico (1935-1936) ed è decorato con la medaglia d’argento al valor militare. Durante la seconda guerra mondiale, prima da Capitano e poi da Maggiore, si distinse sui fronti mediterraneo, albanese, iugoslavo e in Africa settentrionale ed è decorato con la croce di guerra al valor militare, la medaglia di bronzo e sei croci di guerra al merito. Tenente Colonnello presso il Commiliter di Napoli, nel 1954, ricevuti i gradi di Colonnello, gli è affidato prima il Comando del C.A.R. di Bari ed, in seguito, del Carcere Militare di Gaeta e del Distretto Militare di Caserta. Promosso Generale di Brigata, nel 1964 è destinato a Cosenza come comandante di quella zona militare. Profondamente legato al suo
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paese, fu anche un attento studioso della storia di Frasso Telesino e fu tra i primi studiosi ad individuare nella Piana di Prata il probabile sito dell’episodio bellico delle Forche Caudine. SCRITTI: In volo su Frasso Telesino, Napoli, Tip. A. Pesole, 1949; Un raggio di luce sulle oscure origini leggendarie di Frasso Telesino, 1951; Divagazioni su Frasso Telesino, Caserta, Tip. La Minerva di Maddaloni, 1961. Bibliografia: CAVALLUZZO-FUSCO; GAMBACORTA 2006; RUSSO 2006.
Pietro FUSCO Sacerdote (Frasso Telesino, 5/11/1810 - S. Agata dei Goti, 31/12/1879) Fu ordinato Sacerdote il 24 maggio del 1833 ed iniziò il servizio pastorale nel 1835 a Frasso Telesino, come collaboratore dell’Arciprete di S. Giuliana don Domenico Biffali. Nel 1837 si prodigò in favore dei malati di colera e nel 1839 fu nominato Canonico della Collegiata del SS. Corpo di Cristo. Nel 1848, durante i moti politico-militari che coinvolsero il Regno di Napoli, insieme con altri sacerdoti frassesi, fu imprigionato con l’accusa di aver commesso reati politici. Suo grande merito è di aver riordinato, nel 1853, gli Archivi della Collegiata del SS. Corpo di Cristo di Frasso ed, in seguito, quello della Curia di S. Agata dei Goti. Dal 1° maggio 1858 al 1879 fu cancelliere della Curia vescovile e dal 1876 fu canonico della Cattedrale di S. Agata dei Goti. In qualità di cancelliere, si trovò ad affrontare i grossi problemi che l’Unità d’Italia comportò per tutte le Curie per la nuova sistemazione giuridica di tutto il patrimonio ecclesiastico. Il lavoro fu immenso, tanto che con le notizie raccolte, compose a mano tutto il fondo dell’Archivio Vescovile di S. Agata che attualmente si denomina “Miscellanei Nuovi” (32 volumi), nonché molti altri volumi collocati in altri fondi. Personalità versatile, fu anche musicista, pittore e poeta. SCRITTI: In occasione della pubblicazione del decreto dall’ecclesiastica autorità emanato pel prodigioso movimento degli
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occhi di N.S. Immacolata che si venera nella chiesa di S. Angelo a Serpentara di Airola, Napoli, Tip. De Pascale, 1878. Bibliografia: AMORE-SIMONE 1996; GAMBACORTA 2006.
Giulia GAMBACORTA Benefattrice (Napoli, 1598 - Frasso Telesino, 30/09/1663) Figlia di Cesare e Camilla Caracciolo, giunge a Frasso a seguito della sorella Maria, andata in sposa a Scipione Gambacorta e fissa qui la sua residenza in via Calvani. La sua formazione umana e religiosa risente del clima di grande fervore che investì l’ambiente napoletano e che trova nei Teatini e soprattutto nei Francescani due notevoli punti di riferimento. «Educata fin dagli anni più teneri a dettami più puri della morale ed a’ più nobili sentimenti della religione, fu modello di gentil donna cristiana». Ella si privò di tutto il suo cospicuo patrimonio, che in parte assegnò al Culto di Dio e della Vergine del Campanile di Frasso. A sue spese fece costruire una chiesa, chiamata poi di S. Maria del Soccorso, nella quale fu trasferita l’immagine sacra della Madonna del Campanile. Accanto ad essa «Gittò le fondamenta per un vasto fabbricato, da servire per 15 fanciulle povere e relativa maestra le quali, con le loro religiose armonie, fervide preghiere e zelante vigilanza, avessero saputo custodire la prodigiosa immagine tra gli splendori di un maggior culto possibile […]». Per questo scopo, nel suo testamento, nomina quale sua «erede la stessa Vergine del Campanile o, per meglio dire, la chiesa di S. M. del Soccorso ed affida l’amministrazione dell’Opera Pia di Beneficenza ad una Commissione da nominarsi dall’Autorità Municipale». Bibliografia: CALANDRA 1996c; CAMPANILE; DE LUCIA; DONAZIONE; GAMBACORTA 2006; IANNUCCI 1898; RICCARDI; SIMONE 1998b; VISCUSI 1932.
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Alfonso Maria IANNUCCI Teologo (Frasso Telesino, 7/12/1852 - S. Agata dei Goti, 2/10/1904) Studia nel Seminario Diocesano di S. Agata dei Goti dove nel 1885 è eletto Canonico Teologo della Cattedrale. Pu professore di filosofia presso il Seminario santagatese, del quale, nel 1901, è nominato Rettore. Nel 1895, con l’incarico di Teologo e Canonista della sua Diocesi, partecipa al XVII Concilio Provinciale, celebrato in Benevento sotto la presidenza del Cardinale Camillo Siciliano di Rende. In quella sede egli sostenne di riformare gli studi nei Seminari con prioritaria attenzione ai problemi teologici contemporanei. Frutto di questo fermo convincimento fu il poderoso Enchiridio theologiae dogmatico-polemicae. SCRITTI: Vergine assunta in anima e corpo nei Cieli, 1883; Teologia estetica e sociale della Divina Commedia di Dante Alighieri, Napoli, Morano, 1892; Rimembranze storiche sulla Vergine del Campanile e sul comune di Frasso in cui si venera, Portici, Stamperia del Bambino Gesù, 1898; Il pellegrinaggio al Santuario del Monte Taburno: memorie religiose, storiche, archeologiche, Napoli, Morano, 1891; La Vergine del Monte Taburno. Divozione dei popoli frequenza de’ pellegrini e nuova polemica su le Forche Caudine, Scafati, Dell’Aquila, 1893; Enchiridion theologiae dogmatico-polemicae, Napoli, Pierro e Velardi, 1901; Firmitudo catholicae veritatis de psyehosomatica Dei parentis assumptione disquisitio prior historico-biblicospeculativo-polemica, Torino, ex Tip. Pontificia, 1884; Gesù Redentore - Conferenza recitata nella Basilica Cattedrale di S. Agata dei Goti, Napoli, Pierro e Veraldi, 1900. Bibliografia: CALANDRA 2005a; CIERVO; DI CERBO 2004a; DI CERBO 2007a; GAMBACORTA 2006; LEPORE.
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Giuseppe LOSTRITTO Medico (Frasso Telesino, 07/05/1801 - ivi, 14/04/1844) Nel 1811 entrò nel R. Collegio di Maddaloni ed in seguito studiò medicina a Napoli dove «seguì i migliori clinici nella pratica, de’ quali si rese degno allievo». Fu medico nello «Stabilimento de’ folli di Aversa e chirurgo di armata per concorso, al qual posto dopo un anno rinunciava». Oltre ad aver scritto varie memorie «sullo storpio e lo sfregio, sul deprezamento de’ cereali, sul sistema doganale Tedesco e sui vantaggi di una cassa economica provinciale», tradusse ed annotò, in collaborazione con il prof. L. Pilla, la Fisica di A. Baylly. Vari suoi articoli, inoltre, furono pubblicati nel Dizionario delle Scienze Mediche, nell’Osservatore Medico e nell’Esculapio Napolitano, del quale, dal 1827 al 1831, fu socio compilatore. Per questi ed altri suoi meriti, fu socio dell’Accademia di Parigi e fece parte dell’Accademia medico-chirurgica, delle Società delle Scienze ed Arti Borbonica, Pontoniana ed Economica della Provincia di Terra di Lavoro. Bibliografia: AMORE 2001; GAMBACORTA 2006; IANNUCCI 1898; PALOMBO.
Alfonso Michele (Mike) MOSIELLO Musicista (Frasso Telesino, 2/12/1896 - Asbury Park, U.S.A., 3/06/1953) Emigrato giovanissimo negli U.S.A., dal 1922 fino agli inizi degli anni trenta, fu tra i più apprezzati e meglio pagati solisti di tromba dell’ “Hot Jazz” a New York. In questo periodo arrivò a guadagnare anche 800 dollari a settimana, una cifra eccezionale per l’epoca. Suonò con Jimmy e Tommy Dorsey, Fats Waller, Ukulele Ike, Ben Selvin, Andy Sannella, Vincent Lopez, Joe 80
Venuty, Fred “Sugar” Hall, Grey Gull’s Orchestra e numerose furono le sue incisioni (oltre 2.000) per case discografiche come Radiex, Victor, Brunswick, Madison Record, Piccadilly. Si cimentò anche nella composizione musicale e un suo brano “Sweet and Hot” fu inciso, nel 1929, per la Brunswick dall’orchestra di Bob Effros. Durante gli anni ‘30, periodo delle grandi Jazz Band, suonò con l’orchestra della NBC e le sue interpretazioni furono di frequente trasmesse da molti programmi radiofonici. Bibliografia: AMORE 2002b; AMORE 2013; GAMBACORTA 2006.
Domenico SPINELLI Numismatico (Frasso Telesino, 13/10/1788 - Napoli, 10/04/1862) Ultimo feudatario di Frasso ed illustre discendente della Famiglia Spinelli, a Napoli fu Uditore presso il Gran Consiglio di Stato, socio ordinario del Real Istituto d’Incoraggiamento nonché Ufficiale della milizia cittadina. Nel 1841 fu uno dei tre Ispettori organizzatori del sistema decimale, detto di pesi e misure, in quell’anno installato nel Regno di Napoli. Direttore del Real Museo Borbonico, fu in seguito Presidente della Real Accademia Ercolanese d’Archeologia e Sovrintendente Generale degli scavi di antichità del Regno di Napoli. Nel 1844 pubblicò l’opera Monete Cufiche battute dai Principi Longobardi, Normanni e Svevi nel Regno delle due Sicilie e nel 1854 le Memorie numismatiche lette alla R. Accademia Ercolanese. Queste due opere sono di vitale importanza per la scienza numismatica, poiché contribuiscono a far luce su un lungo periodo del Medio Evo del quale non si avevano che poche ed incerte notizie. Per i suoi alti meriti umani, culturali e scientifici, fu decorato dell’Ordine del Giglio dal Re di Francia, della Commenda con stella di S. Gregorio dal Sommo Pontefice e di altre onorificenze dal Re di Napoli, dal Re di Baviera, dal Re del Portogallo, dall’Imperatore d’Austria, dal Re di Prussia e dal Re di Grecia. SCRITTI: Monete Cufiche battute dai Principi Longobardi, Normanni e Svevi nel Regno delle due Sicilie, Napoli, Stamperia dell’Iride, 1844; Memorie numismatiche lette alla Real Accademia
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Ercolanese, Napoli, Stamperia Reale, 1854; Sulla impropria denominazione di “aes grave” data a tutta la moneta fusa, S.l., s.n., 183?; Indagine sull’epoca in cui s’incominciò a coniare monete di bronzo: memoria letta alla Reale Accademia Ercolanese, S.l., s.n., 183?; Ricerche sulla etimologia del vocabolo tarì, S.l., s.n., 183?. Bibliografia: CASTALDI; COZZI; DE SPIRITO; GAMBACORTA 2006; GRIERSON; IANNUCCI 1898.
Meritano, infine, di essere ricordati: il prefetto e musicista Luigi Barretta (Frasso Telesino, 1882 - Massa, 1952), il sottotenente Amedeo Calandra (Frasso Telesino, 1890 - Monte Sei Busi, Gorizia, 1915), il violinista Giacomo Calandro (Frasso Telesino, 1707 - Napoli, 1788), il musicista Aurelio Canelli (Frasso Telesino, 1887 - ivi, 1944), il magistrato Roberto Cusani (Frasso Telesino, 1888 - ?, post 1955), l’ avvocato e saggista Pasquale D’Abbiero (Frasso Telesino, 1904 - Roma, 1974), il pittore Vincenzo D’Addona (Frasso Telesino, 1925 - Firenze, 1983), il poeta Michelangelo Di Cerbo (Frasso Telesino, 1923 - Caserta, 1976), il musicista Giuseppe Iannotti (Frasso Telesino, 1870 Napoli, 1938), il pittore Cosimo Iannucci (Frasso Telsino, 1883 Napoli, 1929), il sacerdote e letterato Michelangelo Marcarelli (Frasso Telesino, 1848 - ivi, 1919), il musicista Angelo Mosiello (Frasso Telesino, 1860 - ivi, 1918), il Direttore Generale del Ministero della Finanze Cosimo Mosiello (Frasso Telesino, 1883 Roma, 1951), l’avvocato e gerarca fascista Francesco Picone (Napoli, 1903 - Roma, 1995), il teologo Armando Renzi (Frasso Telesino, 1849 - S. Agata dei Goti, 1922), il Principe Carlo Spinelli (S. Giorgio del Sannio, 1678 - Frasso Telesino, 1742), il poeta Alfonso Viscusi (Frasso Telesino, 1915 - Napoli, 1993) e l’avvocato e sindaco Daniele Viscusi (Dugenta, 1900 - Frasso Telesino, 1977). Bibliografia: AMORE 1997; AMORE 1998; AMORE 2002a; AMORE 2004; AMORE 2007; AMORE 2013; AMORE-SIMONE 2001a; ANESA; BARRETTA; DE SPIRITO; DI CERBO 1996a; FASCISMO; FLAMMIA 2001; GAMBACORTA 2006; IANNUCCI 1898; ROSIELLO 2004; SETTEMBRINI; VACCARO; ZAZO 1973.
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(V)
Folklore
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La Novena di Natale Dal 16 al 24 dicembre, vari gruppi, in genere formati da tre musicanti (un clarinetto, una tromba, un trombone oppure un clarinetto, un sassofono e un bombardino), si recavano di casa in casa e davanti al presepe suonavano questa caratteristica melodia natalizia frassese, risalente, presumibilmente, alla fine dell’Ottocento.
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La Serenata di San Silvestro A San Silvestro, ultimo giorno dell’anno, dall’imbrunire e fino a notte fonda, vari gruppi di giovani andavano cantando e suonando di casa in casa la serenata di Santo Sirviesto. Si tratta di un canto augurale elaborato, su testo anonimo, probabilmente dal maestro Luigi Iannotti tra il 1850 e il 1870. Questa serenata veniva eseguita con gli strumenti tradizionali della locale banda musicale (clarinetti, trombe, tromboni, gran cassa, piatti, ecc.) e con altri rudimentali strumenti a percussione (castagnette, rattacaso, ecc.) costruiti dagli stessi sonatori. Prima che il canto iniziasse, una voce solista gridava: «Centomil’anni campa la vita del signor….» (seguiva il nominativo del capo famiglia, poi quello dei parenti e di tutti i figli maschi uno dopo l’altro in ordine di anzianità). In coro a ciascun nominativo seguiva l’Ammenno! Per tali prestazioni, ai cantori e ai suonatori venivano offerte le specialità della casa o regalie in danaro. Parlato: Capodanno son io, mandato son da Dio Per farvi cortesia al principio d’anno. Cantato: Nun puozzi murì mai, sempe re contentezza Ce puozzi avè ricchezza re lo mare. Se Dio lo comanda, se Dio lo concede Ve pozzano verè con ‘na mogliera. Se la mogliera va trovanno figli La pozzano verè co’ dieci figli. Con dieci figli tutti masculuni Con dieci figli tutti gran baruni. Tutti baruni e tutti cavalieri… Faciteci l’offerta volentieri: Se ce la fate bella grossa e grande Nce pozzate campà n’ate cent’anni. Se ce la fate meno ‘e ‘no carrino Non bast’accattà ‘o pane e manc’o vino!
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La Serenata di San Silvestro
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Da qualche decennio, l’ottocentesco canto è stato sostituito dalla seguente serenata, diffusa in diversi paesi della Vallata Telesina.
Santo Sirviesto ca’ nui cantammo buono, oggi è la festa, dimani è l’anno nuovo. La festa santa, la festa, co’ Signoria, Dio ce la manna ‘sta bella compagnia. Sciusce e sciuscelle pe’ l’aria va vulenne vulenne chisti sciusci e tutti ce cunusce. Us Deus, Us Deus che non è stat’o vero, è stato Matteo, Matteo co’ lo collare. Collare e collaretta facitece ‘n’afferta! Facitaccella ‘e ‘no presutto, ca ce portammo ancino e tutto, faciteccella ‘e ficosecche ca trasimmo e ce n’ascimmo. Bibliografia: COTUGNO; DI CERBO 1949.
Il Carnevale Dai primi decenni del ‘800, per le vie del paese, si svolgevano sfilate in maschera, che culminavano in farse estemporanee a carattere popolaresco, storico o mitologico. Talora erano di una grossolana comicità, altre volte avevano un colorito satirico con prevalente tendenza a mettere in caricatura le varie classi sociali. Per l’epoca, era un modo per divertirsi e per dimenticare i tanti problemi quotidiani. Come ci ricorda lo storico Jamalio, a Frasso «di Carnevale poi soglionsi formare delle compagnie mascherate, che vanno girando per le vie del paese, fermandosi in ogni piazza, dove fanno delle tradizionali rappresentazioni, quale dal titolo Fedonte, quali il Ratto delle Sabine, quale il Medico di Ciappa, ed altre, tutte di produzione locale, come dicono ma così celebrate, che la gente trae da tutti i paesi circonvicini per assistervi. Lo spettacolo finisce sempre con balli, al suono di naccare e tamburelli, e con la tarantella». 87
Un tempo, però, la festa terminava anche con il funerale di Carnevale: un fantoccio veniva disteso su di una vecchia scala a pioli e portato in processione per tutto il paese, accompagnato da un corteo che, in preda a finto e disperato pianto, gridava: «Carnevale mio, pecchè si muorto? ‘A ‘nzalata steva all’uorto. Se sapevo che murivi, t’abbottavo ‘e scorce ‘e lupini». Il fantoccio veniva poi dato alle fiamme tra urli e schiamazzi e la festa terminava con canti e balli sul ritmo della seguente tradizionale tarantella frassese.
Bibliografia: AMORE 2005; AMORE 2007; JAMALIO; REDAZIONE 2005.
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La festa di San Vito La collina di San Vito, distante circa 2 km da Frasso, da antichissima consuetudine, è il luogo dove si svolge una delle più caratteristiche feste agresti. Un tempo, celebrata il martedì e la domenica in Albis, i frassesi vi si recavano a piedi o con le carrozzelle, appositamente addobbate per l’occasione, per festeggiare i SS. Cosma e Damiano (i Santarielli), custoditi presso la seicentesca chiesa di San Vito. Dopo la celebrazione delle messe, la festa continuava nella pineta accanto alla chiesa con la consumazione dei dolci tradizionali preparati per la Pasqua: Pastiere, taralli, pizza chiena, e soprattutto la civita. L’abbondanza del pranzo di quel giorno dipendeva dalla parsimonia messa in atto durante la settimana Santa. Un proverbio frassese, infatti, recita «Chi se magna ‘a civita ‘e Pasqua, ‘e Santo Vito sciocca ‘e mosche!». Il tutto, poi, veniva innaffiato dall’ottimo vino paesano e accompagnato da suggestive canzoni scritte per l’occasione dal frassese Carmine Calandra agli inizi del ‘900. Bibliografia: CALANDRA 2003; DI CERBO 1949.
Il Maio, la festa di San Michele e il Moifà Ogni anno, il 7 e l’8 maggio, in occasione della Festa dell’Apparizione di San Michele Arcangelo sul Monte Gargano, a Frasso si rinnova l’antica devozione al Principe delle Schiere celesti. Due sono i momenti principali: l’accensione di grandi falò (maio) nelle vie del paese nella sera della vigilia (7 maggio) e il trasferimento dell’antica statua del Santo dal paese alla Chiesa rupestre di Monte Sant’Angelo (un tempo l’8 maggio, ma oggi la domenica successiva). I mai frassesi sono mucchi di frasche novelle disposte intorno a un palo fisso in terra, in modo da formar come una cupola verde di frasche, alta e grande. Come ci ricorda il Calandra, un tempo «dopo 89
l’Avemaria, quando i contadini si sono rifocillati tra le pareti domestiche, i mai si cominciano ad accendere l’un dopo l’altro, per le varie strade del paese. […]. Santa Maria donace grazia canta il pio coro e intanto qualche gruppetto di baldi giovani giunge col fucile sul braccio […]. Così tra le innocue schioppettate e i canti sacri, con cui s’alterna quello un po’ meno devoto del moifà, si aspetta che venga a mancare il maio […]. Il giorno dopo, seguendo ancora la descrizione del Calandra, «si porta su a una chiesetta, attaccata all’erto e roccioso monte Sant’Angelo, la statua di San Michele […]. Col prete e cogli uomini offertisi a portar la statua, va su dunque la mattina dell’otto Maggio, un gran numero di persone […]. Si sale per una via erta e sassosa che gira su per i fianchi stagliati del monte, il Santo avanti, e dietro, a piccole comitive le donne litanianti come la sera prima, gli uomini sempre coi loro schioppi fra le mani, che scarican poi tutti insieme in fila di venti o trenta, destando gli echi profondi della montagna. Giunta su al piano, la processione si raccoglie meglio […] arriva alla chiesetta […] e la gente dopo che ha assistito alla messa […] si sparge intorno pei verdi declivi, per le amene ombre ad acchetar lo stomaco che si lagna […]. E proprio adesso, quando le varie brigate, rifocillatesi, cominciano a scorazzar più contente per i dintorni della chiesetta, e chi ne suona a distesa la campanella, e chi va a sporger la testa, guardingo, dalla famosa rupe dell’inferno che scende a picco su un’ampia scena di selve e di castagneti, adesso proprio cominciano a risuonar le note gioconde, appassionate, impertinenti (che dir più?) del nostro moifà. Il quale è un canto frassese, proprio frassese […] che esprime tanto senza dir nulla di preciso, che dà una voce a tutte le disposizioni, a tutti i sentimenti d’uno spirito commosso, pieno dell’ebbrezza della primavera […] che non concludono a nulla. Poiché è senza alcun dubbio il bisogno di cantar per cantare che si soddisfa in questo canto, che è come un centone iridescente di motivi, d’intonazioni, di ritmi sempre vari, ma che non hanno alcun nesso, se ne togli quel ritornello: Moifaaa moorire oi cheee (Forse: mi vuoi far morire, o che?), per cui si passa dall’uno all’altro, e nel quale la voce si riposa, stendendosi sulle vocali come in un abbandono deliziosamente prolungato». Nella seguente trascrizione, sono riportate solo alcune strofe “fisse”, poiché altre venivano improvvisate durante il canto. Il ritornello non aveva una collocazione ben precisa: veniva eseguito ogni qualvolta un gruppo di cantori, stanco di intonare sempre e solo le strofe, cominciava a cantarlo. I restanti cantori, o si 90
accodavano all’esecuzione del ritornello, oppure continuavano ad eseguire un’altra strofa, creando una successione di cori e contro cori estremamente suggestiva.
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INTRODUZIONE: E sotto a chella cerza pampanosa Moifa’ ammore Moifa’ morire, hoi, hoi, che... STROFE: 1) Pe’ Sant’Angelo voglio jre Pe’ da la me ne voglio scenne Pe’da le me ne voglio scenne Moifa’ morire, hoi, hoi, che... 2) E le scarpe de’ lo mio ammore Me le voglio vennere Me le voglio vennere Moifa’ morire, hoi, hoi, che... 3) E la femmena senza trippa Come riavolo figli vo’ fa’ Come riavolo figli vo’ fa’ Moifa’ morire, hoi, hoi, che... 4) E ‘ste breccelle ca puorti ‘mpietto ‘Mpietto le puorti pe’ me ciaccà ‘Mpietto le puorti pe’ me ciacca’ Moifa’ morire, hoi, hoi, che... 5) E schiaffi ‘no cavoci a la vonnella ‘O mantesino pe’ l’aria va’ ‘O mantesino pe’ l’aria va’ Moifa’ morire, hoi, hoi, che... 6) E le palle senza fucile Come riavolo vonno spara’ Come riavolo vonno spara’ Moifa’ morire, hoi, hoi, che... RITORNELLO: Mia ‘ntritella, mia ‘ntritella Mo’ si bbona a rosecà E quann’jeri peccerella Te facivi manià. (ripetere due o più volte) Bibliografia: AMORE 1995; AMORE 1999; CALANDRA 1904; CANINO; MATARAZZO.
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Altri canti popolari Nella tradizione frassese, i canti popolari erano incentrati principalmente sul lavoro nei campi. Essi venivano eseguiti su diverse Calate (moduli melodici), che differivano in base al tipo di lavoro o di mestiere, cosicché esistevano le Aulivelle, cantate durante la raccolta delle olive, le Graonare, eseguite dai carbonai, le Metetore, ispirate alla mietitura del grano, e le Matinate cantate all’alba, quando i contadini si recavano a lavorare nei campi. Spesso, il testo di una Graonara veniva indifferentemente cantato sulla melodia di una Aulivella o di una Metetora e viceversa, per cui, a seconda dell’occasione lavorativa, si preferiva cantare la melodia legata a quel tipo di lavoro. La funzione svolta da questo tipo di canti era per lo più di ritmare il lavoro o di alleviare la fatica e la noia oppure di esprimere la propria protesta contro il padrone per l’esiguo salario e per le misere condizioni di lavoro. Per la maggior parte dei casi, essi non avevano accompagnamento strumentale. Venivano, infatti, intonati dalla voce sola o in coro, sullo sfondo dei rumori del lavoro, che talvolta intervenivano ritmicamente nel canto diventandone parte integrante. A partire dalla metà del XX secolo, il processo di meccanizzazione del lavoro, le mutate condizioni di vita e soprattutto la crescente emigrazione hanno disgregato il tessuto sociale e culturale frassese segnando, quindi, il progressivo affievolirsi della pratica di questi canti. Proprio per questi motivi, gli unici canti sopravvissuti fino a nostri giorni sono quelli legati ad altri momenti della vita religiosa e conviviale dei frassesi. Ne sono un esempio, in questo senso, i già citai canti del Moifà, legato al culto di S. Michele Arcangelo, e di Santo Sirviesto, eseguito la sera dell’ultimo giorno dell’anno. Un discorso a parte merita la nostra Tarantella, un tempo eseguita alla fine delle rappresentazioni carnevalesche e in tutti i momenti conviviali, giunta fino a noi grazie all’opera di ricerca e di rivalutazione della cultura popolare frassese operata prima dalla Compagnia di Canto Popolare Sannita e, in seguito, dai Viento e dai Multietnica, apprezzati gruppi locali di musica etnica. Bibliografia: AMORE 1999; GREGORIO.
CANTI;
DANIELE 2002;
DE
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Gli antichi mestieri Il documento più antico dove sono riportate alcune delle attività esercitate dai frassesi è l’Istrumento di vendita del Feudo di Frasso del 1724: «[…] al presente vi sono anime duemila duecento quattordici… frè quali due soldati a cavallo, e nove a’ piedi del Battaglione, trenta sacerdoti, et altrettanti Chierici, sette dottori di legge et altri sei prossimi a dottorarsi, sette dottori fisici, due chirurghi, due barbieri, due osterieri, cinque notari, quattro falegnami, dieci muratori, tre ferrari, e diece calzolai». Più dettagliate sono le descrizioni relative ai mestieri presenti nel Catasto Onciario della Terra di Frasso. Tra il 1741 e il 1742, infatti, Carlo di Borbone ordinava la formazione di un catasto per il censimento dei «fuochi» (famiglie), dei mestieri e delle singole proprietà allo scopo di ripartire più equamente gli oneri fiscali fra i cittadini del Regno di Napoli. Ogni cittadino, pertanto, era tenuto a «rivelare» i dati personali e quelli dei suoi familiari, il possesso o meno di un’abitazione, il luogo di residenza e le eventuali proprietà (beni rustici, botteghe, animali da lavoro, ecc.) capaci di produrre redditi e quindi suscettibili di tassazione. Dal Catasto Onciario, per quanto riguarda la tipologia dei mestieri presenti a Frasso intorno al 1741, emerge che su di una popolazione residente di 1.833 abitanti, altissima era la percentuale dei bracciali (241), cioè dei contadini poveri, privi di rendite e con scarse proprietà immobiliari. Seguiva la categoria degli artigiani: Mannese (8), Barbiere (4), Ferraro (8), Falegname (2), Fabbricatore (8), Tinellaro (2), Tentore di Cappelli (1), Stoccatore (1), Scarparo (3), Sartore (20), Ramaro (1), Pettinatore (4), Muratore (3), Maestro di far sedie (1), Lavoratore di pietra (2), Fondachiere (3), Maestro di far canali (1), Chiavettiere (1), Canestraro (2). Sensibile era invece la presenza dei Massari (31), cioè di contadini benestanti, proprietari e possessori di molti terreni, e dei venditori ambulanti, cioè dei Vatecali (54). Modesta, invece, era la presenza delle attività commerciali: Speziale manuale (7), Maccaronaro (2), Chianchiero (1). Alla categoria degli «applicati alle arti liberali» troviamo: Giudice a Contratto (3), Notaro (1), Dottor Fisico (1), Speziale di Medicina (4), Maestro di Cappella (1). Infine, tra gli altri mestieri, sono presenti: Aratori (3), Capraio (16), Custode di capre (1), Custode di porci (2), Lavoratore dè campi (4), servo/a (13). 94
All’inizio dell’800 si sviluppano maggiormente i mestieri legati all’artigianato (calzolaio, sarto, fabbro ed altri) tanto che in ogni contrada vi era almeno una di queste botteghe e i quartieri formavano un paesaggio sonoro fatto di canti delle massaie, del martellare ritmico del fabbro e del ramaio, dalle grida del venditore ambulante o del banditore. Nella seconda metà del ‘900, anche a causa delle moderne tecnologie, numerosi di questi antichi mestieri hanno ceduto il passo ad altre attività produttive meccanizzate. Bibliografia: AMORE-SIMONE 2006b; AMORE 2006a; DANIELE 1996; DANIELE 1997; DI CERBO 1949; NAPOLI.
La Banda Musicale Fondata nel 1838 per iniziativa privata, fu ininterrottamente attiva fino al 1992, anno in cui si sciolse definitivamente. Dalla seconda metà dell’800, fu diretta sempre da maestri locali: Andrea Mosiello (fino al 1883), Luigi Iannotti (1884 - 1895), Angelo Mosiello (1896 - 1903), Pietro Canelli (fino al 1925), Giuseppe Iannotti (1926 - 1933), Aurelio Canelli (1934 - 1942), Andrea Tedesco (1962 - 1984), Adriano Amore (1990 - 1992). Sempre considerata «un lustro ed un decoro pel paese », tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, la notorietà della banda frassese oltrepassò i confini della nostra provincia fino a diventare, come ci ricorda lo storico Luigi Riccardi, uno dei migliori concerti bandistici dell’ Italia Meridionale. Bibliografia: AMORE 1997; AMORE 1998; AMORE 2004; AMORE 2013; ANESA; RICCARDI.
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Angelo Mosiello Direttore della Banda Musicale di Frasso Telesino (1896 - 1903).
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Piatti tipici frassesi I fasuli int’ ‘o pignato Questo piatto povero e semplice faceva parte della dieta quotidiana dei nostri nonni, i quali dopo una dura giornata di lavoro, si trovavano costretti, molto spesso, a cenare esclusivamente con questa unica pietanza. Procedimento: I fagioli vengono cotti nel camino, al calore del focolare, nel cosiddetto pignatiello oppure pignato (antico recipiente in terracotta con due manici laterali), posto poco distante dalla fiamma. Debbono bollire lentamente e, di volta in volta, quando l’ acqua evapora quasi del tutto, li si fanno sobbalzare nel pignatiello con gesti roteatori rapidi; quindi si aggiunge altra acqua calda e si ripete l’ operazione fino a terminare la cottura. Appena pronti, si condiscono con sale e aglio e, prima di servirli in tavola, si aggiunge olio crudo a piacere. Nota: Per apprezzare pienamente le caratteristiche della pietanza, si consiglia di utilizzare una cipolla come unico mezzo sostitutivo delle posate e di consumarne una sfoglia ad ogni boccone. ‘A Pizzachiena Ingredienti: 500 gr. di formaggio di pecora fatto 2/3 giorni prima; 1 Kg di formaggio di pecora non salato, fresco di giornata; una consistente quantità di formaggio di pecora grattugiato; una piccola quantità di pepe macinato; 20/25 uova fresche; 500 gr. di prosciutto magro; 300 gr. di salsicce di maiale stagionate. Procedimento: I formaggi, il prosciutto e la salsiccia si tagliano a dadini e si ripongono tutti insieme in una grande zuppiera, detta scafarena. Si versano successivamente le uova battute, si aggiungono i formaggi grattugiati e un pizzico di pepe macinato. Si mescolano tutti gli ingredienti per bene, facendo attenzione che le uova ricoprano il tutto. Da parte si prepara la sfoglia sulla spianarola, detto tavulillo: si impastano 8 uova, 1 Kg di farina, 2 cucchiai di zucchero, un po’ di sale, un cucchiaio di sugna, mezza bustina di lievito e, a piacere, mezzo bicchiere di vino bianco secco. Dopo aver lavorato la pasta e tirata la sfoglia, si pone la stessa in un ruoto piuttosto alto, unto di sugna. Nel ruoto così preparato si versa l’ impasto già predisposto.
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Al di sopra, per guarnire, si distendono strisce di pasta sfoglia, in modo da formare dei rombi. La pizza rustica così preparata si ripone nel forno già caldo e la si lascia cuocere per 90 min. circa. Il tempo di cottura può variare a seconda del tipo di forno utilizzato, a gas, elettrico o a legna. Ciambotto ch’ ‘e patane Le verdure e le erbe utilizzate per questo piatto erano per la maggior parte selvatiche, spontanee. Non si trattava di verdure coltivate, bensì di una meticolosa scelta, fatta in campagna, tra le innumerevoli varietà di erbe, che le nostre nonne conoscevano e raccoglievano, per ottenere questa pietanza unica nel suo genere. Ingredienti: pane tuosto (raffermo); patate (della Piana di Prata); menesta ‘e campagna, costituita da cicorie, scarole, cardilli, rape, cimmetelle vruoccoli e torzelle, case casilli, cecche e pecora, borraine”; cerasilello (peperoncino rosso); aglio; sale; olio extravergine. Procedimento: Pelare le patate e tagliarle a tocchetti non troppo piccoli. Versarle insieme alle verdure in una pentola con acqua bollente già salata, e lasciarle bollire per circa mezz’ora. Quando le patate hanno quasi ultimato la cottura, scolate il tutto. In un tiano (pentola), soffrigere l’aglio e il peperoncino tagliati minuziosamente. Versare le patate e le verdure bollite nel tiano e mescolare energicamente in modo da distribuire l’aglio e il peperoncino sminuzzati. Continuare a cuocere il tutto a fuoco lento aggiungendo di tanto in tanto un pò di acqua e il pane tuosto tagliato a tocchetti. Quando si sentirà uscire dal tiano un profumo irresistibile, spegnere il fuoco, aggiungete un filo di olio e far riposare il tutto per 5 minuti. I più temerari, aggiungeranno altro peperoncino. Accompagnare il tutto con un buon vino rosso paesano.
I Scagliuozzi Ingredienti: Farina di granturco q. b.; olio q. b.; pinoli q. b.; uva passita; spolverata di pecorino; un pizzico di pepe e lievito (le nostre nonne utilizzavano il cosiddetto “criscito”). Procedimento: Bollire l’acqua. Togliere la pentola dal fuoco e versare l’acqua bollente nella farina di granturco, precedentemente riposta in una ciotola. Mantecare il tutto con la cosiddetta 98
“cocchiarella” (un grande cucchiaio di legno realizzato da artigiani locali). Quando il composto si sarà raffreddato, aggiungere il lievito, l’olio, i pinoli, l’uva passita, il pecorino ed un pizzico di pepe e far lievitare. Al termine della lievitazione, realizzare con le mani delle piccole sfere ed infornare. Quando, alla vista, il composto assumerà un colorito biondo caramello, togliere dal forno e servire caldi. ‘A Civeta Ingredienti : 10 uova; 1 Kg di farina; 200 gr. di sugna; 500 gr. di zucchero; 300 gr. di lievito naturale (pasta); 1 pizzico di sale; 1 bicchierino di strega o rum; 1 essenza di mille fiori; 1 bicchiere di latte. Procedimento: Mettere a lievitare per circa 3 ore i 300 gr. di lievito impastato con 3 uova e il pizzico di sale. Lavorare a lungo le rimanenti uova (7) con lo zucchero, aggiungere la sugna, la buccia di limone, il liquore e il latte. Infine aggiungere la farina e continuare a lavorare bene (cioè di polso) tutto l’impasto. Mettere a lievitare il tutto e quando l’impasto è quasi raddoppiato, sistemarlo nella forma desiderata (o ruoto) per un’altra lievitazione. Mettere nel forno a circa 180 gradi. Nota: Il segreto è tutto nella lavorazione e nella lievitazione. I Papauli ‘mbuttinati Ingredienti : Peperoni (papauli) sott’aceto; pane raffermo; uova; sale q.b.; acciughe; olive nere snocciolate; capperi, pinoli, aglio (a scelta). Procedimento: Pulire i papauli e si lasciarli sgocciolare. Nel frattempo, preparare un composto con il pane sbriciolato e tutti gli ingredienti sopra elencati. Amalgama bene il tutto e lasciare riposare. Riempire i papauli senza pressarli troppo per evitare la fuoriuscita del composto al momento della cottura. Riscaldare dell’olio in una padella e friggere i peperoni delicatamente e a fuoco lento. Bibliografia: DANIELE 1998; GISONDI 2009; REDAZIONE 1995b; RICETTARIO.
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Alcuni proverbi e modi di dire frassesi Ogni lévona tene ‘o fumo suoio. Quanno viri ‘a rassa mitti ‘a chiave a’ cassa. Tanno me levo ‘sto cappotto quanno salle chillo Santo llà ‘ncoppa e si ‘o tiempo è tristo se ne parla ‘o Cuorp’’e Cristo. I sordi stanno a’ Maronna ‘a Libera! ‘A pecora è cotta! Chi se magna ‘a civita ‘e Pasqua, a Santu Vito sciocca ‘e mosche! Chillo tene ‘a capa ‘e miulo! ‘Ntiempo ‘e vennegna non se uardano né uommene e né femmene! Si mitt’ ‘o portafoglio ‘mpiett ‘o ciucc’, non se chiama chiù ciucc’ ma Don Ciucc’. ‘O primo surco non è mai surco! Chi vo’ fregrà ‘u vicino, se corca priesto e s’aiza ‘a matina. Chi va’ ‘o mercato senza sordi è padrone sulo re vottane. Vizio ‘e natura, fino a morte dura. Quanno viri ‘o fuoco a casa ‘e l’ati, piglia ‘o sicchio e curri a’ casa toia. Ce mancano sempe diciannove sordi p’apparà ‘na lira. Tante vote va l’amola ‘o puzzo che se ne vene co’ musso rutto.
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APPENDICI
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Andamento demografico1
1612 1668 1679 1703 1741 1765 1792 1831 1861 1871 1881 1901 1911 1921 1931 1936 1951 1961 1971 1981 1991 2001 2011 2017
1
ABITANTI “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “
942 1.210 1.300 1.795 2.719 2.600 3.450 4.038 4.980 4.191 4.166 4.233 4.511 4.282 4.023 4.341 4.556 4.025 3.376 3.291 3.203 2.700 2.404 2.266
Questi dati sono stati desunti dalle Relazioni dei Vescovi al Papa (fino al 1831) e dalle pubblicazioni dell’Istituto Centrale di Statistica (dal 1861 al 2011). Il numero attuale di abitanti, invece, è stato comunicato dall’Ufficio Anagrafe in data 9 febbraio 2017.
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Cronologia dei Sindaci Dall’Unità d’Italia ad oggi
Marzio Merrone Sindaco Gaetano Mosiello Sindaco Cosmo Gisondi Sindaco Felice Canelli Sindaco Raffaele Formichella Sindaco Francesco Picone Sindaco Nicola Maria Canelli Sindaco Vincenzo Mosiello Sindaco Luigi Formichella Sindaco Tommaso De Rosa Commissario Governativo Pietro D’Amico Sindaco Giuseppe Picone Sindaco Aristide Norelli Sindaco Pietro D’Amico Sindaco Giuseppe Picone Sindaco Raffaele Formichella Sindaco Emilio Severini Commissario Prefettizio Tommaso Formichella Sindaco Ferdinando Bolza Regio Commissario Giovanni De Simone Sindaco Vincenzo Picone Sindaco Amodio Calandra Sindaco Luigi Licata Commissario Prefettizio Giuseppe Picone Sindaco Michele Mosiello Sindaco Vari2 Assessori anziani Achille De Amicis Commissario Prefettizio Cosimo Mosiello Podestà Cesare Pace Commissario Prefettizio Gennaro Cioffi Commissario Prefettizio Pasquale Andriani Commissario Prefettizio Pietro Albarello Commissario Prefettizio Filippo De Girolamo Podestà
1860 1861 1861 - 1863 1864 - 1866 1867 - 1870 1870 1870 - 1872 1873 - 1886 1886 - 1889 1889 1890 - 1892 1892 - 1893 1894 1895 - 1896 1896 - 1901 1901 - 1906 1907 1907 - 1909 1909 1910 1910 1911 1911 - 1912 1912 - 1914 1914 1915 - 1925 1926 1926 - 1930 1930 1930 - 1931 1931 1932 - 1933 1933 - 1935
2
A seguito delle dimissioni del Sindaco Michele Mosiello (fine 1914), dal 1915 al 1925, l’Amministrazione Comunale fu presieduta a turno dagli assessori anziani Achille De Amicis, Luigi Merrone, Vincenzo Calandra e Pasquale Norelli.
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Mario Canelli Mario Canelli Antonio Amore Francesco Porfidia Giovanni Franco Angelo M. Formichella Cosimo Della Selva Angelo M. Formichella Guido Vitale Aurelio Vacca Carmine D’Agostino Vincenzo Coscia Ugo Pingue Luigi Napolitano Daniele Viscusi Daniele Viscusi Sebastiano Giaquinto Gregorio Pagnozzi Sebastiano Giaquinto Carmine Calandra Maria Assunta Coletta Carmine Calandra Luigi Matarazzo Giorgio Di Cerbo Maria Assunta Coletta Giorgio Di Cerbo Cosimo Facchiano Enrico Spagnuolo Elvira Nuzzolo Giuseppe Izzo Michelina Falzarano Lino Massaro Giuseppe Di Cerbo
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Commissario Podestarile Commissario Prefettizio Commissario Prefettizio Commissario Prefettizio Commissario Prefettizio Commissario Prefettizio Commissario Prefettizio Commissario Prefettizio Commissario Prefettizio Commissario Prefettizio Commissario Prefettizio Commissario Prefettizio Commissario Prefettizio Commissario Prefettizio Commissario Prefettizio Sindaco Sindaco Sindaco Sindaco Sindaco Commissario Prefettizio Sindaco Sindaco Sindaco Commissario Prefettizio Sindaco Commissario Prefettizio Sindaco Commissario Prefettizio Sindaco Commissario Prefettizio Sindaco Sindaco
1935 - 1936 1936 - 1937 1937 - 1938 1938 1938 1939 - 1940 1940 1940 - 1941 1941 1941 1941 - 1942 1942 1942 - 1943 1943 1943 - 1944 1944 - 1952 1952 1953 - 1956 1956 - 1970 1970 - 1990 1990 - 1991 1991 - 1992 1992 - 1996 1996 - 1997 1997 1997 - 2000 2000 - 2001 2001 - 2003 2003 - 2004 2004 - 2007 2007 - 2008 2008 - 2013 2013 -
Cronologia dei Parroci A) Chiesa di Santa Giuliana Cristoforo Calandra Giovanni Calandra Francesco De Teano Francesco De Ferdinandis Marcantonio Ricciardi Mario Canelli Marcantonio Renzi Giovanni Celio Canelli Nicolo’ Gualtieri Matteo Iaderosa Francesco De Filippo Giovanni Formichella Angelo Calandra Domenico Mosiello Domenico Biffali Michelangelo Saquella Antonio Iannucci Stanislao Formichella Onofrio Narducci Alfredo D’addio Pasquale Della Peruta Antonio Iadevaia Paolo Fappiano Raffaele Palladino Augusto Di Mezza Neculai Dobos
1514 - 1532 1532 - 1546 1546 - 1550 1550 - 1597 1597 - 1636 1636 - 1648 1648 - 1678 1678 - 1714 1714 - 1736 1736 - 1744 1744 - 1786 1793 - 1800 1803 - 1813 1813 - 1819 1819 - 1839 1839 - 1877 1878 - 1905 1905 - 1917 1917 - 1937 1937 - 1961 1961 - 1969 1969 - 1993 1993 - 1998 1998 - 2010 2010 - 2014 2014 -
B) Chiesa di S. Maria del Carmine Michelangelo Marcarelli Francesco Grasso Enrico Mosiello Callisto Lapalorcia Achille De Amicis Teofilo Mastrocola Valerio Piscitelli Enrico Cavaliere Paolo Fappiano Raffaele Palladino Augusto Di Mezza Neculai Dobos
1916 - 1919 1919 - 1938 1938 - 1954 1954 - 1955 1955 - 1966 1966 - 1979 1980 - 1993 1993 1993 - 1998 1998 - 2010 2010 - 2014 2014 -
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Comandanti della Stazione dei Carabinieri 3
Francesco De Rosa Ferdinando Lopez Luigi Mendillo Ernesto Varricchio Giovanni Sciarretta Alfredo Capomazza Reginaldo Carpinelli Giuseppe Caparrotti Salvatore De Lucia Antonio Sirignano Domenico Saldutto Michelangelo Russo Nicola Costa Clemente De Lucia Antonino Lombardo Maurizio Zanfardino Nicola Iaquinto Matteo Frattaruolo Nicola Iaquinto
1928 - 1929 1929 - 1930 1930 1930 - 1933 1933 - 1939 1939 - 1940 1940 - 1944 1944 - 1950 1950 - 1953 1953 - 1955 1955 - 1961 1961 - 1965 1965 - 1981 1981 - 1989 1989 - 1996 1996 - 2008 2008 - 2009 2009 - 2013 2013 -
Principali date da ricordare
1473 - 1474
Carestia.
1552
Apertura della Chiesa Collegiata del SS. Corpo di Cristo.
1569 - 1570
Processo d’inquisizione a Giovanni Francesco Brancaleone.
22 aprile 1628
Muore a Frasso il predicatore aversano Padre Urbano de Stadio.
1647
Rivolta capeggiata da Luccio di Gregorio.
3
Per la cronologia qui riportata, si ringrazia il Maresciallo Capo Nicola Iaquinto, attuale Comandante della Stazione dei Carabinieri di Frasso Telesino.
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30 luglio 1655
Testamento della Principessa G. Gambacorta.
1656
Peste.
1688
Terremoto.
1701
Inaugurazione della Chiesa di Campanile.
11 giugno 1742
Muore a Frasso il Principe Carlo Spinelli.
12 e 13 aprile 1848
Rivolta contadina.
27 settembre 1860
Rivolta filoborbonica.
22 febbraio 1863
Il paese assume la denominazione di Frasso Telesino.
1866
Colera.
7 luglio 1866
Il Demanio sopprime i beni dell’Istituto Gambacorta.
15 marzo 1868
Inaugurazione della Stazione ferroviaria di Frasso Telesino-Dugenta.
1 febbraio 1875
Apertura dell’Ufficio Postale.
19 luglio 1880
Restituzione di tutti i beni soppressi all’Istituto Gambacorta.
20 settembre 1881
Inaugurazione della Chiesa di S. Maria del Carmine.
1901
Viene fondato Cooperativo.
1907
Alle Elezione Comunali, i frassesi disertano le urne.
25 marzo 1909
Assalto e incendio del Comune.
1911
Colera.
22 agosto 1923
Iscrizione del Comune al Partito Nazionale Fascista.
il
Consorzio
Agrario
107
1928
Arrivo dell’illuminazione elettrica.
1928
Costruzione del Monumento ai Caduti.
1928
Apertura della locale Stazione dei Carabinieri.
1929
Fallisce la locale Banca, fondata dall’Arciprete don Onofrio Narducci.
5-16 agosto1935
Il Principe di Piemonte, Umberto II di Savoia, soggiorna a Frasso Telesino.
17 e 19 settembre 1943
Frasso è soggetta a violenti bombardamenti.
1949
Istituzione della Scuola Media.
1953
Vengono abbattute la Cappella del Principe e l’antica Chiesa di S. Giuliana.
1968
Viene abbattuta la Chiesa Collegiata del SS. Corpo di Cristo.
28 giugno 1968
Consacrazione della nuova Chiesa di Santa Giuliana.
1971
Per la prima volta, passaggio del Giro d’Italia.
1974
Frasso diventa sede della Comunità Montana del Taburno.
23 novembre 1980
Terremoto.
26 febbraio 1987
Estinzione dell’Istituto Giulia Gambacorta.
5 maggio 1993
A Roma, Papa Giovanni Paolo II benedice la restaurata Statua della Madonna di Campanile.
1994
Frasso diventa sede del Parco Regionale del Taburno.
19 maggio 2002
Prima esecuzione Mondiale, in epoca moderna, delle musiche di Nicola Calandro detto Frascia.
2007
Arrivo del metano.
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FONTI ARCHIVISTICHE
BENEVENTO - Archivio di Stato Atti demaniali: Istrumento di vendita della Terra di Frasso (1724). Ruoli Matricolari dei Militari (1874 - 1900). Fondo Notarile: Vari volumi relativi ai Notai della “Piazza di Frasso”. BERLINO (Germania) - Antikensammlung der Staatlichen Museen Scheda descrittiva della statua Juppiter. BOLOGNA - Archivio di Stato Notizie alle famiglie dei militari di terra e di mare (1915 - 1918). FRASSO TELESINO - Archivio Parrocchiale di Santa Giuliana Registri dei Battesimi (1625 - 1978). Registri dei Defunti (1636 - 1975). Stato delle Anime (1717 - 1952). Miscellanee: Vari Atti raccolti dall’Arciprete Francesco Di Filippo nell’anno 1758. Fondo Fusco: Memorie e Atti vari. FRASSO TELESINO - Archivio Comunale Delibere del Consiglio Comunale (1882 - 1956). Ruoli Matricolari (1874 - 1900) e richiamati in Guerra 1915-18. Leve e Truppe dal 1915-18 al 1939-40. FRASSO TELESINO - Archivio della Fondazione Madonna di Campanile Delibere del Pio Istituto Gambacorta (1915 - 1919). NAPOLI - Archivio di Stato Catasto Onciario: Terra di Frasso Regia Camera della Sommaria: Voci di Vettovaglie (numero busta 128). NAPOLI - Archivio Storico del Banco di Napoli Banco dello Spirito Santo: Giornale copie polizze (1723). ROMA - Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Ufficio Storico - Archivio Storico. S. AGATA DEI GOTI - Archivio Storico Diocesano Fondo Atti Sacerdotali: Atti vari.
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BIBLIOGRAFIA
ABBATIELLO: Antonio Abbatiello, Campanile, un bosco di cerri e cerque, in «Moifà», Frasso Telesino, 2003, n° 31, pp. 9-13. ALFANO: Giuseppe Maria Alfano, Istorica descrizione del Regno di Napoli divisa in dodici Provincie, Napoli, Presso Vincenzo Manfredi, 1798. AMABILE: Luigi Amabile, Il Santo Uffizio della Inquisizione, Città di Castello, Lapi, 1892. AMORE 1995: Adriano Amore, Il canto del Moi fa’, in «Moifà», Frasso Telesino, 1995, n° 2, pp. 3-4. AMORE 1997: Adriano Amore, La banda musicale di Frasso Telesino nel’800, in «Moifà», Frasso Telesino, 1997, n° 2, p. 17. AMORE 1998: Adriano Amore, La banda musicale di Frasso Telesino nel Novecento, in «Moifà», Frasso Telesino, 1998, n° 1, pp. 1315. AMORE 1999: Adriano Amore, I canti di lavoro e sul lavoro nella tradizione popolare di Frasso Telesino, in «Moifà», Frasso Telesino, 1999, n° 1, pp. 12-14. AMORE 2001: Adriano Amore, Giuseppe Lostritto, in «Moifà», Frasso Telesino, 2001, n° 24, p. 19. AMORE 2002a: Adriano Amore, Nicola Calandro detto Frascia: La “Riscoperta” di un Maestro di Cappella sannita del Settecento, in «Le Muse», Pignataro Maggiore, 2002, n°3, pp. 67-69. AMORE 2002b: Adriano Amore, Il frassese Mosiello re del jazz d’inizio ‘900, in «Il Punto», 13 aprile 2002, pp. 12-13. AMORE 2003: Adriano Amore, Il Consorzio Agrario Cooperativo di Frasso Telesino, in «Moifà», Frasso Telesino, 2003, n° 31, pp. 7-8. AMORE 2004: Adriano Amore, Maestri di Bande del Medio Volturno, in «Annuario 2004/2005», Piedimonte Matese, Associazione Storica del Medio Volturno, 2005, pp. 13-26. AMORE 2005: Adriano Amore, Le antiche mascherate carnevalesche, in «Moifà», Frasso Telesino, 2005, n° 42, pp. 14-15. AMORE 2006a: Adriano Amore, Gli antichi mestieri nel Catasto Onciario, in «Moifà», Frasso Telesino, 2006, n° 43, pp. 5-6. AMORE 2006b: Adriano Amore, La mascherata di Fetonte, in «Moifà», Frasso Telesino, 2006, n° 46, p. 18. AMORE 2007: Adriano Amore, Giacomo Calandro, in «Moifà», Frasso Telesino, 2007, n° 50, pp. 9-10. AMORE 2011: Adriano Amore, Il primo Vescovo frassese: Marcello Papiniano Cusani, in «Moifà», Frasso Telesino, 2011, n° 60, pp. 71-72. AMORE 2013: Adriano Amore, La Musica e i Musicisti del Sannio beneventano, Roma, Cromografica Roma S.r.l., 2013.
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