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Il Buon Pastore e il Suo gregge
tante da risaltare in tutto il salmo. Puoi provare anche tu a contare quante volte Davide faccia riferimento a sé stesso. Comunque, questa rimane soltanto una considerazione stilistica: il salmo, infatti, non parla tanto del re Davide, quanto dell’opera compiuta in suo favore dal Signore, che egli riconosce suo Re, Pastore e Salvatore. È un inno dedicato al suo Dio; il salmista è talmente coinvolto dalla gloria della comunione personale con il suo Salvatore che non può fare a meno di parlarne, concentrando su di essa tutta la sua attenzione. Davide afferma: “Il SIGNORE è il mio pastore”. E qui sorge una domanda di vitale importanza, che ciascuno di noi dovrebbe porsi: “Posso dire che Gesù è mio?”. È opportuno riflettere un attimo, prima di apprestarci a rispondere: un conto è sapere che Egli è un grande e buon Pastore, e un altro è poter affermare: “Egli è mio”. Un conto è aver udito come Egli spanda i Suoi benefici, intervenendo in favore del Suo popolo, e un’altro è averlo sperimentato personalmente, e dunque poter dichiarare: “Egli è tutto per me, ho tutto in Lui”. Questo è il punto di partenza del salmo. Ci troviamo di fronte ad un gregge e ad un Pastore: essi sono l’uno dell’altro. Il gregge non appartiene a nessuno, fuorché al Pastore, e viceversa. Entrambi considerano esclusiva questa relazione. Più avanti esamineremo le caratteristiche del gregge, ma, per il momento, vogliamo soffermarci sulla gloria che rifulge da questo legame. Proviamo a farlo con un esempio: un marito guarda la fotografia di sua moglie come mai potrebbe fare con la foto di qualsiasi altra donna al mondo. La donna di cui la fotografia riflette l’immagine (e soltanto lei), è sua. 16