Inquadrature

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L’

giovedì 7 ottobre 2010

il Paese

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Riviste/ Amaltea

nuovo

L’ultima

È consultabile su www.amalteaonline.com il numero 3, del trimestrale di cultura Amaltea, giunto al suo quinto anno di pubblicazione. Proponiamo alla vostra attenzione l'editoriale del direttore Ada Manfreda

Inquadrature S

• Ada Manfreda

i può imbellettare uno scenario di spiaggia e mare deturpato, facendolo vedere per come non è, tagliando fuori i particolari scomodi. Basta un’inquadratura opportuna per cancellare lo scempio. Ma ancor più, si può costruire un’inquadratura nell’inquadratura, che disvela lo scempio e riflette contemporaneamente sullo statuto dell’inquadratura, sul suo potere: di velare, di svelare e ancora di svelare il suo potenziale di velamento. Frammenti di realtà Inquadratura: ovvero decontestualizzazione di un frammento di realtà dalla realtà. Interpretazione, o re-interpretazione. Immaginazione emergente dalla realtà, e da essa dettata, quasi, all’inquadratura. È taglio, separazione di qualcosa da qualcos’altro. Inquadrando individuo una demarcazione tra un dentro e un fuori, traccio dei confini, sottolineo differenze. Costruisco significati. Inquadrare è dare senso. O esserne raggiunti un attimo dopo: ci si può sempre sorprendere del senso inaspettato che si è trovato senza averlo cercato. Il potere dell’inquadratura. Il potere di far esistere ciò che voglio, grazie a ciò che metto dentro e a quello che lascio fuori. Il potere anche di far vedere l’invisibile incorniciando il visibile, un suo particolare angolo prospettico, un suo elemento, porte di accesso ad un ulteriore, a quello che lo sguardo vede non con gli occhi. Una bella inquadratura è quella che riesce a trovare e isolare le porte di accesso al senso. Inquadrare e narrare. L’inquadratura dice dello sguardo che guarda. Poi la fotografia, precipitato dell’inquadratura, oggettiva lo sguardo soggettivo, nel senso che lo cattura in un oggetto. Lo fa anche una videoripresa, cogliendo in più il dinamismo di quello sguardo soggettivo che guarda/inquadra/narra. Sguardo e racconto. S/guardare Lo sguardo che guarda non è innocente. Perciò è racconto e non meccanica ricezione. Lo sguardo dell’altro ci racconta. Ne abbiamo bisogno per scoprirci e riconoscerci. Ci mette in gioco e noi possiamo giocarci. Grazie allo sguardo dell’altro sappiamo di esistere. Il giochino dei bambini di far finta di non vedere l’amichetto, anche se lui parla, grida, si agita davanti ai loro occhi, altro non è che un’esplorazione ludica (non per chi lo subisce) del potere dello sguardo di far o meno esistere qualcosa/qualcuno, di includere e di escludere, di accettare e rifiutare. Lo sguardo dell’altro c’è sempre anche quando non c’è. Ci manifestiamo nel mondo, con le nostre parole e con il nostro corpo riferendoci ad un potenziale sguardo che ci guarda (ipotetico, a volte anche eccessivo, irreale o addirittura patologico). C’è anche quando ci proponiamo di ignorarlo: dobbiamo pur sempre rappresentarcelo per sapere quale inquadratura di quello sguardo stiamo rifiutando. Certo si può anche dipendere dallo sguardo dell’altro, al punto da espropriarci di noi stessi: per compiacere quello sguardo, riscuoterne l’approvazione. È un rischio. È ambivalente il legame dello sguardo, tra chi guarda e chi è guardato. È solo in chi guarda il potere di condizionare, determinare, possedere? Oppure è anche in chi è guardato: potere di indovinare lo sguardo che ti guarda e assecondarlo per condurlo, orientarlo, manipolarlo? Lo sguardo co-implica biunivocamente chi guarda e chi è guardato: chi è guardato a sua volta guarda colui/colei che lo sta guardando; simmetricamente chi guarda è a sua volta fatto oggetto dello sguardo di colui/colei che egli sta guardando. Facciamo e rifacciamo e modifichiamo continuamente inquadrature della realtà e degli altri e ne riceviamo.

Nota all'illustrazione

L

isette Model nasce a Vienna nel 1901 in una famiglia benestante di origine ebrea e prima di stabilirsi a ew York dove incontrerà la sua fortuna artistica, vive quindici anni in Francia. Qui comincia a fotografare e le sue immagini sulla Promenade des Anglais vengono pubblicate sulla rivista PM di ew York: uno strepitoso successo a cui seguono numerose mostre. Lisette collabora con Harper’s Bazar e diventa docente della ew School for

Social Research dove insegnerà fino al 1983, anno della sua morte. Tra i suoi allievi Diane Arbus. L'opera di Model consiste in gran parte in una straordinaria galleria di ritratti al contempo grotteschi e carichi di umanità, inaugurando uno stile fotografico “immediato” e spontaneo volto ad immortalare gli aspetti effimeri di una realtà in perenne mutamento. Con il suo lavoro di sguardo Lisette Model si è guadagnata un ruolo di spicco nell'ambito della co-

siddetta Street Photography newyorkese degli anni '40. el 1942 scatta il suo clic più celebre: accovacciata con le mani sulle ginocchia, una donna cannone sorride spavalda in costume da bagno. Dalle spiagge ai locali fumosi di musica jazz, dalle sfilate di moda ai quartieri di periferia, Lisette è costantemente alla ricerca di una realtà che ai suoi occhi e ai nostri diventa poesia, disincanto, inquietudine, libertà assoluta. Scompare nel 1983

Le pagine, la scrittura Cos’è una rivista se non una carrellata di inquadrature? Che si succedono, si confrontano, dialogano tra loro e con le inquadrature dei lettori? E i racconti, le storie? Noi stessi? L’inquadratura è una straordinaria metafora per generare e alimentare discorsi, un luogo ad alta densità semantica. E poi possiamo anche rifletterla la metafora, fare cioè – come abbiamo fatto qui – l’inquadratura dell’inquadratura: un’operazione di secondo livello, che possiamo continuare ancora, ripetere, esplorando il terzo, il quarto, il quinto, l’ennesimo livello. La scrittura può proliferare all’infinito perché lo sguardo non cessa mai di guardare/inquadrare e di raccontare.


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