Librocura

A DA A SCARI

IL LIBRO DELLA CURA

CAPITOLO 1

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IL NOME

Ada che nome!

Corto, così breve ma così unico e Antico Accuratamente Donare Amore Andare Dolcemente Assieme

CAPITOLO 2

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IL MIO POSTO

Studio Le materie di un giorno un mondo lontano e presente Vado dentro fuori con il corpo con la mente avida sempre

Piacere

Il mio posto è il mio studio. Un luogo magico e pieno di armonia. Un luogo in cui posso trovare e trovarmi.una scrivania bianca, un computer grande e ben visibile, le pareti tappezzata di libri ben ordinati nelle librerie, una sedia comoda almeno per me. Una luce chiara e forte che viene dalla finestra proprio di fronte alla mia scrivania. È questo dentro e fuori che mi affascina, il dentro denso, corposo, a cui posso attingere come fonte di piacere e conoscenza, il fuori leggero luminoso verde delle colline e azzurro del cielo. Io sono lì sospesa tra il dentro e il fuori, appartengo a ciascun mondo con la mente ma anche fisicamente con il mio corpo.

di sapere che sono sola

Posto tosto d’un tratto mi vedo in un luogo vicino lontano con verdi colline a portata di mano Un mouse tra le dita che clicca e mi dice, fai questo, fai quello poi alzo lo sguardo E mi vedo riflessa sono sempre la stessa?

Pur grande e un po’ fessa mi chiedo se posso cambiare e allora mi alzo, Sto a posto, contenta nel posto che amo.

con nella mia viva curiosità

Posto porto di mare di terra vi butto l’ancora ancora

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Ricordo di cura

gonfie. Sento di rado la sua voce. Ma quando la sento la riconosco per la sua dolcezza. Insegna, corregge, guida il lavoro, a volte lo fa rifare, un sotto punto mal fatto dev’essere scucito e poi rifatto, una inbastitura non segue il filo del gesso sulla stoffa e dev’essere raddrizzata, tutto senza nervoso con molta calma, con una pazienza infinita.

Una stanza grande col soffitto basso i neon sempre accesi, al centro dei tavoli grandissimi che occupano quasi tutto lo spazio. Intorno ai tavoli tante ragazze giovani che cicalecciano tra loro. Qualcuna a volte canticchia l’ultimo motivo del festival di Sanremo ascoltato alla radio, un grande mobile di legno, quasi sempre acceso.

Io sotto il tavolo mi rendo utile infilando aghi che poi appunto su un cuscinetto imbottito. Mia nonna mi ha lusingato dicendomi che ho gli occhi buoni e che quindi faccio bene quel lavoro. È mio compito anche raccogliere con la calamita gli spilli dal pavimento. È cura aver cura dell’ambiente dove si lavora? La musica, le chiacchiere, la pulizia, la precisione, l’incoraggiamento, sono cose che mi sono state offerte al mio inizio di vita nel laboratorio della nonna. È stata la mia scuola materna, tutta racchiusa nello spazio angusto del sotto tavolo ma grandissima per quello che potevo sentire e immaginare.

Le conversazioni hanno quasi tutte come argomento l’amore, amore dato, amore appena appreso, amore deluso, pene d’amore.

Io ascolto, sono seduta sotto il tavolo, vedo solo piedi e gambe che si muovono e scalpicciano quasi insofferenti di dover restare immobili sedute sulla sedia.

Sono le lavoranti di mia nonna, la mia fata del castello delle fiabe. Lei la riconosco dalle calze nere e dalle gambe un po’

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CAPITOLO 3

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LA CORNICE

Culla di domani dimmi che è in arrivo presto la cicogna Gatto che guata si gira di scatto mi graffia se attacca

La mia cornice e tonda, anzi ovale come le vecchie cornici che stavano una volta nelle camere e che contenevano in un unico spazio le foto degli avi, ma la mia è colorata perché rispecchia la mia vita che ora è allegra e positiva.

Ventagli nell’aria fresca si agitano danzano insieme, li vedo lontano Cuore di amica lontana e vicina mi sento legata a lei

I colori sono caldi quasi accesi ma con qualche tono di viola.

Dentro una culla che rappresenta mio figlio e mia nuora uniti c’è il mio desiderio di un nipotino.

Un animale nero e sornione rappresenta il male che mi ha fatto il mio ex marito, ma ora dorme ed è rivolto da un’altra parte.

Mia sorella e suo marito sono due ventagli orientali che danzano insieme. Sono distanti come è distante il Giappone dall’Italia. Loro sono felici nella loro danza iniziata in età matura.

Libro che aperto a chi legge insegna la legge del noi

Il cuore è Beatrice che mi riempie ma anche sprizza energia.

Palla di fuoco un sole ardente mi da energia ogni giorno

Vivo sola e quindi la mia cornice interna è tratteggiata e grigia racchiude alle due estremità la famiglia di mio figlio e Beatrice che pur distante sento ogni giorno. Il filo con lei non è reale ma diventa elettronico.

Il libro rappresenta tutti coloro con cui lavoro o ho a che fare al di fuori della famiglia. Loro sono sapienza da cui imparo, ma anche loro imparano da me.

Io sono una palla di fuoco, un sole con molte esplosioni sulla superficie.

“Se vuoi vedere impara ad agire”

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CAPITOLO 4

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QUELLA VOLTA CHE...

La mano dell’altro scivolò dalla mia.

Mano che stringi la mia, mano che stringo la tua, ci siamo stretti l’uno all’altro e poi? Quella volta che mi hai portato nel giardino delle rose il buio è sceso e mi sono sentita scivolare giù per l’Erta Canina e la tua mano non era più forte, non per me almeno. Le dita piano scivolavano e la presa andava, andava fino a che le punte dei nostri polpastrelli non si toccavano più.

Uno sguardo si posò su di me

Poi anche l’anello che tenevo nel dito si è sfilato, le mie dita troppo magre abbandonate lungo i fianchi hanno fatto scivolare il brillante ormai opaco. La mia mano si è aggrappata al nulla e la ferita di un tombino ha inghiottito la luce.

Due occhi verdi che avevano poco d’umano, con le fessure che si stringevano a mano a mano che lo portavo verso la luce.

Un pelo morbido, grigio a striature bianche, liscio, tenero, le mie dita stringevano dolcemente il corpicino e i suoi occhi mi guardavamo.

Anello di luce sei andato via dalle mie mani magre così

L’ho amato fin dal primo momento che l’ho visto e lui mi ha riamato come più non poteva.

Immobile sulla sedia accanto alla mia il suo sguardo mi accompagnava appena osavo fae un passo e mi seguiva sulle sue zampette se mi spostavo in un’altra stanza.

Il profumo di casa mi ricordò È strano, io che sento gli odori con una sensibilità molto forte, non credo di avere profumi di casa. Non riesco a ricordare profumi od odori, puzze od olezzi.

Ero la sua bussola, con il suo “ron ron” accompagnava le mie giornate fin dal risveglio quando me lo trovavo sul letto ad accarezzarmi dolcemente con la sua testolina e guardandomi languido.

Profumo --> fumo --> prof. --> profano --> prodotto --> fumoso --> dotto --> prosciutto --> frutto --> fuori --> dentro --> vino --> bambino --> carino --> mio --> biondo --> tondo --> rotondo --> rosso --> progresso --> professo --> pretendo --> rimembro --> contendo --> il mio corpo riprendo.

Mi ha guardato così anche l’ultima volta quando l’ho accompagnato in macchina verso il suo ultimo viaggio.

Sembrava dicesse: “Non abbandonarmi”, ma allo stesso tempo diceva di avere fiducia in me.

Non ho fatto a tempo a lasciarlo. Se ne è andato prima.

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La mia voce voleva dire che...

Dolore che uccide mi suscita rabbia occorre, fatalità ineluttabile, dare sollievo

Cazzo come sei stronzo! ...e invece non è uscito niente. Avrei voluto urlarlo e invece... ingoia, ingoia, taci che è meglio. Ti conviene tacere.

Poi la voce si spezza e non hai nemmeno più la forza di parlare, e capita che ti tagli la gola e le palle che non hai, ma stai zitta e cerchi di starci sempre fino a che non succede qualcosa che cambia tutto e allora ecco l’urlo che dive:

Primo risveglio con l’acqua che scorre via porta sollievo

“Cazzo come sei stronzo!!! Non me ne ero accorta prima ed ora vedo tutta la merda che ti esce dal corpo!”

È carta bianca la penna che scriveva non dice più.

Con quell’urlo che mi ridà fiato sono più leggera e pulita, finalmente sono libera. Rinata.

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È incredibile la contrapposizione che c’è stata tra il fare e l’apparire.

Il fuoco, le fiamme che ho voluto rappresentare, sono apparse del tutto evanescenti rappresentando sorprendentemente le fiamme della candela che ho visto lentamente spegnersi.

Sorpresa, sorpresa, sorpresa!

Stupore, stupore, stupore!

Levità, sottigliezza, evanescenza.

Anima che se ne va Candela, contrasto tra la volontà del gesto e la realizzazione del gesto stesso.

Ero sicura, come allora, che il mio gesto avrebbe avuto un impatto dirompente sul foglio e invece è quasi invisibile.

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Caro Abbandono, ti ho visto e ti voglio dire che... non sei nulla!

Pensavi di essere tanto importante e invece sei quasi evanescente.

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Vincenzina, chi sarà mai costei che si è presa la briga di disegnare con filo rosso su cartoncino il proprio nome?

Nome tracciato un po’ di sghimbescio, irregolare perché deve essere stato difficile seguire le evoluzioni tonde del nome senza rompere il filo....

Cura di noi tra gli altri con attenzione per crescere insieme

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