Magazine_Marzo_2025

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Co-Segretari Generali ActionAid Italia

Care sostenitrici e cari sostenitori, ogni battaglia per i diritti, ogni cambiamento conquistato, ogni ingiustizia combattuta porta la vostra firma. È grazie a voi se, ogni giorno, possiamo sfidare le disuguaglianze, dare voce a chi viene escluso e avvicinare tante comunità ai propri diritti.

Negli ultimi 24 anni, durante la guida di Marco De Ponte, ActionAid è divenuta un’organizzazione sempre più forte, più incisiva, più capace di trasformare la realtà. A lui va il nostro ringraziamento per aver tracciato un percorso di impegno e visione. Raccogliamo questa eredità con uno sguardo rivolto al futuro e con un intento preciso: quello di essere un’organizzazione che continua - anche in questi tempi complicati - a essere motore di cambiamento verso la visione di un mondo più giusto per ogni persona. ActionAid ha scelto di esprimere la sua guida con una co-leadership: non è solo un modello organizzativo, ma un atto di coerenza con i nostri valori. Crediamo che il potere non debba essere accentrato, ma condiviso e che il cambiamento non sia mai il risultato di una sola voce, ma di un’azione collettiva.

Siamo onorati di potere svolgere questo ruolo, di essere chiamati a potere esprimere i principi che accomunano tutti e tutte noi, persone di pace, che credono che un cambiamento sia non solo possibile, ma doveroso. La nostra guida sarà fatta di ascolto, confronto, partecipazione. Perché è così che si costruiscono trasformazioni vere, radicate, durature. E lo faremo con voi. Perché ActionAid non è solo un’organizzazione: è una comunità che si muove insieme. E insieme continueremo a lottare, a costruire, a cambiare.

Editore ActionAid International Via Carlo Tenca 14 - 20124 Milano Tel 02 742001 - Fax 02 29537373 www.actionaid.it

Registrato al Tribunale di Milano n. 458 del 19/9/1995

Direttore Responsabile Alice Grecchi

Stampa Pozzoni S.p.A

Numero chiuso 24 febbraio 2025 Lorenzo Eusepi e Katia Scannavini

Mutilazioni Genitali Femminili

Un dramma infinito da fermare al più presto

Dietro a una sintetica e asettica nota si nasconde una delle più gravi violazioni dei diritti umani che colpisce donne, ragazze e bambine. “Si definiscono Mutilazioni Genitali Femminili (MGF) tutte le pratiche che portano alla rimozione totale o parziale - o ad altre modificazioni indotte - degli organi genitali esterni femminili”.

Dove vengono praticate le Mutilazioni GenitaliFemminili (MGF)?

Sebbene i dati ufficiali siano sottostimati, a causa della mancanza di rilevazioni in molti Paesi, si stima che questa pratica sia ancora diffusa in almeno 30 paesi nel Mondo, principalmente in Africa, ma anche in Asia, Medio Oriente e Sud America. Le MGF vengono spesso perpetrate all’interno delle comunità da donne anziane, custodi delle tradizioni, che eseguono le mutilazioni senza competenze mediche, senza anestesia e con strumenti non sterilizzati come coltelli, forbici, vetri rotti e lame di rasoio.

Quali

conseguenze hanno le MGF?

Dal punto di vista fisico le Mutilazioni

Genitali Femminili sono dolorosissime e pericolose: oltre a shock, emorragie, infezioni, febbre, setticemia, condizionano tutta la vita perché provocano danni permanenti all’uretra, parti dolorosi quando non addirittura sterilità e aumento dei rischi di contrarre l’HIV. Dal punto di vista psicologico, ansia e paura sono le conseguenze più comuni; lo stress può causare disturbi comportamentali e sfociare in fenomeni di grave depressione. Dal punto di vista sociale, la pratica segna la fine dell’infanzia, esponendo le bambine al rischio di matrimoni precoci e forzati. Chi rifiuta la mutilazione viene spesso emarginata e allontanata dalla propria comunità.

Perché vengono praticate?

Anche se ancora oggi non c’è unanimità di vedute, con certezza si possono escludere motivazioni religiose o sanitarie: sono pratiche legate a tradizioni antiche che servirebbero a “preservare la purezza” delle donne in vista del matrimonio e a garantirne la fedeltà dopo che l’unione è stata sancita.

Foto: Kemi Akinremi/ ActionAid

Leggi la nostra ricerca actionaid.it/pubblicazioni/ per-un-futuro-libero-dalle-mgf

In ogni caso rappresentano una delle tante forme di controllo sul corpo delle donne, forse la più crudele.

La nostra lotta contro le MGF

Come ignorare la sofferenza fisica e psicologica di oltre 200 milioni di donne e ragazze nel mondo che convivono con le conseguenze delle Mutilazioni Genitali Femminili? E come proteggere i 4 milioni di bambine, tra i 5 e i 15 anni, che ogni anno rischiano di subire la stessa violenza?

Anche se poco visibile e spesso sommerso, non dimentichiamo che il fenomeno delle MGF ci riguarda da vicino: si calcola che in Italia oltre 87.000 donne – di cui 7.600 minorenni, principalmente di origine nigeriana ed egiziana – convivono con le conseguenze delle Mutilazioni Genitali Femminili (MGF).

Se ne è discusso, il 6 febbraio scorso, in occasione della Giornata Internazionale contro le MGF a cui abbiamo partecipato attivamente, portando la nostra lunga e capillare esperienza. Da anni lottiamo contro

questa pratica promuovendo politiche e leggi che vietino le MGF, tutelino le sopravvissute e sostenendo le comunità più colpite attraverso progetti di educazione e formazione. Parte fondamentale di questa nostra missione è la collaborazione con l’End FGM European Network, una rete europea che unisce organizzazioni di diversi Paesi con l’obiettivo comune di porre fine a questa violenza di genere. Un esempio concreto del nostro impegno è la delicata attività che portiamo avanti, in Italia e nel Mondo, presso le comunità locali, dove donne e leader vengono coinvolti in programmi educativi per comprendere i rischi delle MGF e per promuovere attività culturali alternative che rispettino la dignità e i diritti di donne, ragazze e bambine.

Il cambiamento comincia con la consapevolezza: grazie al vostro sostegno possiamo dire basta alle Mutilazioni Genitali Femminili, ridare dignità alle donne e alle ragazze che le hanno subite e garantire alle bambine un futuro libero, sicuro e ricco di opportunità. 

Sono stata mutilata quando avevo 9 anni

Inizia così il drammatico e coraggioso racconto di Martha (nome di fantasia) che, dal Kenya, ha scelto di condividere con noi la sua testimonianza. È stata la nonna, custode delle usanze tribali, ad accompagnarla a subire la mutilazione «come una pecora al macello. Soffrii per tanto tempo di infezioni e, qualche mese dopo aver compiuto 10 anni, fui data in sposa a un uomo molto più grande di me che aveva già pagato la dote alla mia famiglia. Questo pose fine alla mia istruzione e il mio sogno di diventare medico fu distrutto. Aspettavo il giorno in cui avremmo consumato il matrimonio e quando quel giorno arrivò, non riuscii a sopportare l’incubo che stava per arrivare, così scappai nell’ufficio di ActionAid Kenya, a 14 km da dove mi trovavo, e loro mi salvarono»

Foto: Bernard IbelihAction/Aid ActionAid

Donne di Palestina

Dolore, rabbia e speranza

Mentre vi stiamo scrivendo è in corso la tregua tra Israele e Hamas. Nella speranza che questa fragile intesa possa resistere nel lungo periodo - donne, bambini, anziani - hanno raggiunto con mezzi di fortuna le proprie case o quello che ne rimane nel Nord di Gaza.

Le donne sono in prima linea e devono assicurare le risorse primarie alla propria famiglia: cibo, acqua, un alloggio sicuro, anche se temporaneo, in un deserto di macerie dove tutto è da ricostruire. Devono far fronte alle difficoltà economiche che paralizzano ogni ripresa, presente e futura. Devono pensare ai propri figli, che hanno vissuto gravi traumi fisici ed emotivi e la cui istruzione è stata interrotta. Devono proteggere le bambine e le ragazze da episodi di violenza, purtroppo frequenti.

La situazione umanitaria resta catastrofica: il 92% delle abitazioni di Gaza sono state distrutte o gravemente danneggiate, costringendo centinaia di migliaia di persone allo sfollamento. Oltre 48.000 palestinesi sono stati uccisi e più di 11.000 risultano ancora dispersi sotto le macerie. Il sistema sanitario è al collasso, con 350.000 persone affette da malattie croniche che non hanno accesso a farmaci essenziali. Le malattie si diffondono rapidamente a causa del sovraffollamento e della carenza di acqua pulita e servizi sanitari.

Maisoon, un’ostetrica presso l’Ospedale

Al-Awda, partner di Actionaid, a Jabalia, nel Nord di Gaza, racconta il grave impatto che la guerra ha avuto sulla salute materna L’impossibilità di accedere alle strutture sanitarie, i bombardamenti mirati, la mancanza di cibo e medicine hanno portato a un aumento degli aborti spontanei, della mortalità neonatale e del rischio di anemia, ipertensione e infezioni tra le donne incinte. Molte di loro arrivano in ospedale a piedi, senza vestiti adeguati, senza assistenza sanitaria e senza i beni essenziali per il parto e la maternità.

“La maggior parte delle donne arriva con emorragie, molte di loro hanno subito aborti spontanei a causa del terrore, della paura e dell’impatto psicologico” racconta Maisoon. La guerra ha anche avuto conseguenze devastanti sulla vita degli operatori sanitari: lei stessa è stata separata dalla sua famiglia per quattro mesi, mentre l’ospedale in cui lavora è stato assediato tre volte.

Le donne, impegnate nella risposta all’emergenza, sperano di essere protagoniste nei processi decisionali che riguardano la costruzione della pace. Solo il loro riconoscimento come partner alla pari nel percorso verso un futuro stabile e prospero potrà contribuire a realizzare la visione così efficacemente espressa da Raihana, una madre sfollata a Deir Al Balah: “Ci aiutiamo a vicenda, mano nella mano come fratelli e sorelle, superando le difficoltà per una vita migliore”. 

Vuoi saperne di più? adozioneadistanza.actionaid.it/

In viaggio con ActionAid

In Cambogia con Paola a visitare la comunità che sostiene

Vedere con i propri occhi in cosa si trasforma il sostegno è il modo migliore per conoscere più a fondo il mondo di ActionAid e vivere un’emozionante esperienza a fianco di chi condivide con te la volontà di realizzare il cambiamento.

Viaggiare con ActionAid significa, inoltre, cogliere la vera essenza del Paese visitato, grazie ai momenti trascorsi con le persone del luogo, che permettono di scoprire le difficoltà ma anche la determinazione di chi, grazie al nostro lavoro, all’impegno delle comunità e dei donatori, vuole costruirsi un futuro migliore.

Ecco perché oggi vogliamo condividere con voi le parole di Paola, sostenitrice da quasi un anno, che a gennaio ha visitato in Cambogia la comunità in cui vive Sa, la bambina che sostiene a distanza.

«Ho deciso di andare a trovare Sa per farle conoscere la sua amica che vive lontano e per vedere da vicino come il mio aiuto possa migliorare non solo la sua vita ma quella della sua famiglia e di tutta la comunità.

Quando ho visto dal finestrino la testolina di Sa venirmi incontro ho provato una gioia immensa; all’inizio era timida, anche io da piccola lo ero, poi mi ha dato la mano, ho notato il suo sorriso e quello delle sue sorelline e per me è stata un’emozione fortissima.

Anche i genitori e la nonna di Sa mi hanno accolto e fatto davvero sentire a casa. Sono felice di aver avuto la possibilità di conoscere una realtà che, pur così diversa dalla mia, è indissolubilmente connessa con il mio mondo e che rimarrà per sempre nel mio cuore. Ho apprezzato l’opportunità di conoscere i progetti di ActionAid più da vicino, in particolare la visita alla foresta e il lavoro di salvaguardia e manutenzione di quell’area, un impegno che il papà di Sa porta avanti con grande dedizione.

Ho avuto la conferma che il mio contributo può davvero fare la differenza e mi sono sentita ispirata da come tutte le persone di ActionAid che ho incontrato portano avanti il proprio lavoro». 

Il mio primo viaggio in Zimbabwe

MQui si trova il distretto del Manicaland, dove si trovano i progetti e le comunità che abbiamo visitato. Ed è qui che abbiamo incontrato i nostri colleghi Peter, Vivian, Elvis, Obert insieme ai tantissimi bambini, donne e uomini delle comunità che ci hanno accolti. Alla scoperta di volti, storie ed emozioni che danno vita al cambiamento

i chiamo Barbara, sono in ActionAid da 4 anni, e nel mio lavoro racconto a voi, i nostri sostenitori, i progetti che riusciamo a realizzare grazie al vostro supporto. Per farlo, leggo e osservo tutto il materiale che i colleghi ci mandano: racconti, numeri, fotografie e report dal campo che racchiudono un lavoro fatto di tante persone, tanta cura e tanta energia. Ho immaginato tante volte il momento in cui avrei visitato per la prima volta uno dei nostri progetti in Africa, Asia o America Latina. Mi chiedevo quale emozione avrei provato nel vedere tutto con i miei occhi, nell’essere lì di persona. Poi, a novembre 2024, è arrivata la notizia tanto attesa: sarei partita per lo Zimbabwe, pronta a vivere finalmente il lavoro che fino ad allora avevo solo immaginato.

Il viaggio nei progetti in Zimbabwe

Lo Zimbabwe è un Paese dell’Africa meridionale senza sbocco sul mare, con un paesaggio incredibilmente vario. A ovest, la savana si estende infinita, spezzata solo dalle imponenti cascate Victoria. Andando verso est, si percorrono altopiani ondulati, punteggiati da villaggi e campi coltivati, per poi risalire verso le Eastern Highlands, con le sue maestose montagne.

Inquadra il Qr Code per il racconto di Barbara

Nonostante le distanze, le lingue diverse, le vite così lontane, ho sentito un legame profondo con ognuno di loro. Perché non eravamo solo visitatori o ospiti: eravamo tutti una parte essenziale di un progetto comune, della visione di una realtà che si fonda sui valori della solidarietà, l’autodeterminazione, e la convinzione che ogni persona ha un potere unico da esprimere.

Vorrei che questa emozione la sentissimo tutti noi coinvolti, i colleghi in Italia, i sostenitori, chi forse non avrà mai l’occasione di camminare per questi villaggi dalla terra rossiccia. Perché, ognuno di noi, nel suo piccolo, si prende cura di qualcosa che ha il potere di cambiare il mondo, e questo conta.

Conta che un bambino della scuola elementare di Nyanga possa sedersi al banco senza il peso della fame che gli toglie forza, perché la sua scuola ora gli offre un pasto caldo.

Conta che una donna, che fino a ieri veniva ignorata, oggi abbia il coraggio di alzarsi

davanti alle istituzioni e chiedere una tanica per l’acqua, per irrigare l’orto comunitario che ha avviato insieme alle altre donne della cooperativa. Perché grazie a quel raccolto, avrà un guadagno suo, senza dover dipendere dal marito.

Conta che un ragazzo di Nyazura, che ha visto poco del mondo fuori dal suo paesino rurale, dove le strade sono impraticabili e per arrivare a scuola deve camminare 5 chilometri, possa ora sognare di andare all’università e sentire il coraggio di dirlo ad alta voce.

Tutto questo è un cambiamento enorme. E io l’ho visto accadere qui, nei nostri progetti sul campo soprattutto grazie alla passione e alla dedizione di chi ci lavora in prima linea. «Le distanze sono lunghe e le strade sono un disastro, quindi ci mettiamo un sacco di tempo a girare tutte le scuole dei villaggi dove lavoriamo con il sostegno a distanza. Per questo, spesso finiamo per dormire direttamente nelle scuole» ci dice Obert, membro dell’associazione Simukai, nostro partner locale.

Foto: Alberto Martin
Barbara, ActionAid Italia

Obert e tutti i colleghi affrontano ogni giorno queste e altre difficoltà sapendo di non essere soli. Dietro di loro c’è un’intera rete che li sostiene, un meccanismo fatto di tante persone che, con piccoli gesti, rendono possibile qualcosa di grande. Persone come me, come te, come tutta la nostra comunità di ActionAid.

Insieme, diamo concretezza: trasformiamo idee, sogni e impegno in qualcosa di reale. Per questo non dobbiamo mai scordarci che, per quanto piccola possa sembrare la nostra azione, ogni gesto ha dignità, ogni contributo è essenziale. Ogni singolo ingranaggio fa girare la macchina. E quello che si dona – tempo, energie, risorse – è sempre qualcosa di importante, perché porta con sé un pezzo di chi lo offre. Ma il valore non sta solo nello sforzo, sta nella direzione che sceglie di prendere ogni giorno.

La sfida della giustizia climatica

Dalle scuole alle attività con i bambini, dagli orti comunitari delle donne alla mobilitazione dei più giovani, c’è un tema trasversale che attraversa tutti i progetti: la giustizia climatica. Non è un concetto immediato o semplice da spiegare, ma in Zimbabwe è una questione centrale che ha delle ripercussioni

sulla vita di tutti i giorni e i nostri colleghi stanno facendo un enorme lavoro per affrontarlo.

Elvis, il nostro collega di ActionAid Zimbabwe che si occupa di attivismo e dei temi legati al cambiamento climatico, ci spiegherà meglio di cosa si tratta, come sta impattando sulle comunità locali e cosa significa lottare per un futuro più giusto per tutti.

Il cambiamento climatico spiegato da chi lo vive ogni giorno

Elvis, ci spiega meglio che cosa s’intende con giustizia climatica e sul perché si è reso necessario lavorare su questo tema.

« In Zimbabwe e in Africa, il 65% del cibo consumato è prodotto localmente, non proviene dalla grande distribuzione. Oggi tutti sappiamo che il cambiamento climatico è reale, ma dobbiamo concentrarci sulla giustizia. Se parliamo di ‘giustizia climatica’, significa che da qualche parte c’è un’ingiustizia.»

La giustizia climatica parte dal riconoscere che la crisi climatica non colpisce tutti allo stesso modo. I Paesi ricchi, che storicamente hanno contribuito maggiormente al

Inquadra il Qr Code per vedere le testimonianze dei colleghi e delle comunità

riscaldamento globale, dispongono di risorse economiche e tecnologiche per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Al contrario, le comunità più povere, che hanno un impatto ambientale minimo, si trovano in prima linea a subirne le conseguenze senza gli strumenti adeguati ad affrontarle. Finché questo squilibrio non sarà affrontato, il cambiamento sarà solo parziale e le disuguaglianze globali continueranno ad aggravarsi.

Il cambiamento climatico non è solo un fenomeno ambientale, ma una crisi umanitaria che si manifesta con effetti devastanti sulle comunità più vulnerabili Tra le conseguenze più gravi ci sono gli eventi meteorologici estremi, come i prolungati periodi di siccità intervallati da improvvise alluvioni. Elvis racconta di come la siccità influisca direttamente sulle comunità: « Non riceviamo più una quantità di pioggia adeguata, l’intensità sta diventando irregolare. Piogge torrenziali e inondazioni causano sempre più disastri.»

Questo squilibrio non solo distrugge raccolti e risorse naturali, ma mina le basi stesse della sicurezza alimentare.

« Le comunità marginalizzate con cui

lavoriamo ne sentono particolarmente l’effetto. Quando c’è insicurezza alimentare, i bambini smettono di andare a scuola perché i genitori, dipendendo dall’agricoltura, non riescono a sostenerli.»

La crisi climatica si trasforma così in una crisi sociale e educativa: quando l’insicurezza alimentare aumenta, le famiglie devono prendere decisioni difficili. La fame diventa un ostacolo concreto al diritto all’istruzione e al futuro delle nuove generazioni.

Ecco perché ActionAid ha avviato la campagna internazionale “ Fund our Future”, coinvolgendo giovani e organizzazioni locali per sensibilizzare sulla giustizia climatica. Uno degli strumenti principali è l’agroecologia: «Abbiamo creato orti comunitari, che garantiscono sicurezza alimentare. Con questi orti possiamo produrre cibo per le nostre famiglie e vendere i prodotti per pagare le spese scolastiche dei bambini.»

Elvis lo sottolinea chiaramente: le persone più vulnerabili stanno pagando il prezzo più alto per una crisi che non hanno causato. Per questo, la lotta per la giustizia climatica non può più aspettare. 

Foto: Alberto Martin

La nostra battaglia contro i matrimoni precoci continua

In Uganda costruiamo un nuovo rifugio sicuro per bambine e ragazze

Nnel mondo, ogni giorno 33 mila bambine subiscono matrimoni precoci e, complessivamente, oggi sono oltre 250 milioni le ragazze che si sono sposate (nella quasi totalità dei casi contro la propria volontà) prima di aver compiuto il quindicesimo anno di età. Si tratta di numeri spaventosi, inaccettabili, che ci colpiscono e ci mostrano Ia portata di un fenomeno gravissimo, che affonda le sue radici nella povertà e in antichi retaggi culturali, spesso purtroppo ancora accettati dalle comunità e difficili da contrastare.

Una delle zone in cui il problema si manifesta più gravemente è l’Africa subsahariana, dove in alcuni Paesi i matrimoni precoci sono così diffusi da arrivare a colpire anche la metà delle ragazze sotto i 18 anni, specialmente se vivono nelle aree più rurali e arretrate. Come nel caso dell’Uganda, in cui il 43% delle ragazze si sposa senza il proprio consenso e oltre la metà della

popolazione femminile subisce violenze o abusi sessuali.

Le cause di questa drammatica situazione sono note: su tutte la povertà, che porta le famiglie a vedere il matrimonio come l’unico mezzo con cui garantire un futuro alle proprie figlie e, allo stesso tempo, liberarsi di un peso economico. Altrettanto note sono purtroppo le conseguenze che le spose bambine si trovano a dover subire: gravidanze indesiderate (con elevati rischi di mortalità per mamme e neonati), abbandono scolastico, isolamento sociale, violenza e abusi domestici, mancanza di indipendenza e possibilità di emancipazione.

Per contrastare i matrimoni precoci e garantire a migliaia di bambine un’infanzia serena e libera dalla violenza è indispensabile attuare azioni concrete a livello locale e, per questo motivo lavoriamo direttamente a stretto contatto con le comunità, informando bambine e ragazze dei loro diritti,

Foto: ActionAid Uganda

Un rifugio sicuro per bambine e ragazze

Per aiutare tante altre ragazze come Florence a costruirsi un futuro libero da abusi e violenze abbiamo bisogno anche di te: inquadra il qr code

sostenendo i gruppi femminili che denunciano gli abusi, promuovendo campagne di sensibilizzazione che coinvolgano anche uomini, anziani, leader religiosi e istituzioni e realizzando centri antiviolenza in cui accogliere i soggetti più deboli.

Proprio la costruzione di uno di questi centri è alla base del progetto che stiamo realizzando nel distretto di Katakwi, uno dei più poveri dell’Uganda, in cui l’accesso limitato all’istruzione e la scarsa applicazione delle leggi sulla protezione dell’infanzia contribuiscono ogni giorno ad alimentare un ciclo senza fine di abusi e violenze.

Grazie al nuovo centro di accoglienza, saranno oltre 500 le bambine e le giovani ragazze tra i 10 e i 19 anni, sopravvissute o a rischio di matrimoni precoci, a cui potremo fornire assistenza e protezione. Qui troveranno infatti uno spazio sicuro in cui alloggiare,

da sole o con i propri bambini, consulenza psicologica e legale per affrontare i traumi subiti, corsi di formazione professionale e supporto finanziario per avviare attività con cui costruirsi un futuro e rendersi indipendenti economicamente.

Le parole di Florence, 17 anni, ospite di uno dei centri antiviolenza che ActionAid ha già avviato in Uganda, sono la testimonianza che il cambiamento è davvero possibile: “Sono rimasta incinta a 13 anni. Mio padre quando l’ha saputo non voleva farmi tornare a casa e sono viva solo grazie a mia mamma. Dopo il parto ho partecipato a un incontro organizzato nel mio villaggio e sono stata accolta in uno dei rifugi sicuri di ActionAid, dove ho ricevuto protezione per me e il mio bambino e un aiuto per pagare le tasse scolastiche. Nonostante le difficoltà sono tornata a scuola e voglio continuare a studiare finché non realizzerò il mio sogno, diventare un’infermiera!”. 

Foto: Esther Mbabazi/ActionAid

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