The Boqueria

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LE STORIE DELLA BOQUERIA

Non è facile stabilire con certezza una data di nascita per la Boqueria. Quasi sempre i mercati germinano e si organizzano in modo spontaneo e informale, laddove uno spazio fisico permette a chi vende di esporre la propria merce e a chi compra di pagarla e portarsela a casa. Poi l’amministrazione pubblica certifica quel che è avvenuto e tenta di mettere ordine.

Questo in fondo è un tratto distintivo del carattere di ogni vero mercato, che continuamente oscilla tra anarchia e istituzione, tra ordine e disordine, tra una programmazione serrata e l’improvvisazione del giorno e dell’ora, un poco come succede alla vita stessa. È per questo che è difficile capire quando la Boqueria compie gli anni. La data ufficiale dice 1840 e si riferisce un po’ pomposamente alla collocazione della prima pietra del mercato porticato, nel luogo e nella forma che ancora oggi conserva la Boqueria. Ma in realtà le origini sarebbero decisamente molto più antiche e rimanderebbero fino al tredicesimo secolo.

In un documento del 1217 si attesta la presenza di banchi di vendita ambulante a ridosso di quella che molti secoli dopo sarebbe diventata la Rambla, nel carrer che ancora oggi si chiama della Boqueria e che sorge sul lato opposto e un poco più in basso di dove oggi vive il mercato.

Allora la città, stretta nell’abbraccio delle mura che l’avrebbero difesa ma anche oppressa per molti anni, finiva di fatto proprio lì, lasciando poi il posto ai campi, agli orti e ai conventi. Il luogo era dunque ideale per far incontrare la città e la campagna, i contadini con i cittadini, chi produceva e chi consumava, denaro in cambio di prodotti.

Di questo proto-mercato, spontaneo e anarchico, ci dice qualche cosa anche l’etimologia della parola. Sebbene infatti ci siano molte leggende e diverse interpretazioni, quella più accertata deriverebbe il termine Boqueria da boc, parola con cui in catalano si indica il caprone, le cui carni si vendevano nei banchi ambulanti del mercato del Duecento. Lo stesso lemma, che sembra derivare dall’occitano, lo ritroviamo nel francese boucherie, ma anche nel siciliano ‘vucciria che per gioco di rimandi è anch’esso il nome di un mercato, quello di Palermo. E a me piace pensare che in fondo le due città (e i due mercati!) si guardino negli occhi attraverso il Mediterraneo.

Da lì in poi la storia della Boqueria è stata in primo luogo il tentativo di organizzare la forma del mercato, garantendo da un lato l’approvvigionamento di una popolazione in costante crescita e dall’altro le condizioni di salubrità e

11 Introduzione

ALLIOLI DE CODONY

Nella cucina tradizionale catalana le variazioni in fatto di allioli sono sorprendentemente infinite (con miele, con patata, con mela e con pera, ecc...). Io mi sono innamorata di questa ricetta con le cotogne che arriva dalle montagne e ha un sapore del tutto particolare e un poco antico. La ricetta autentica passa come sempre dal mortaio, ma questa versione facilitata che mi hanno sussurrato mentre ero in fila al banco delle verdure, ha il vantaggio di accorciare un poco i tempi e far passare la paura.

Tradizionalmente questo allioli si serve con le carni, ma anche con la salsiccia o semplicemente spalmato sul pane.

RICETTA DI BASE

1 mela (o pera) cotogna

2 denti d’aglio

1 bicchiere di olio extravergine d’oliva molto delicato, oppure un buon olio di semi succo di limone o di aceto (facoltativo) sale

Lavate la cotogna, strofinatela bene per eliminare la lanugine e, senza sbucciarla, cuocetela in forno finché non sarà morbida. Una volta cotta, tagliatela e prelevate la polpa con un cucchiaio. Fate raffreddare.

Sistemate la polpa della cotogna, l’aglio e un pizzico di sale nel vaso del minipimer e cominciate a frullare aggiungendo l’olio a filo, vedrete che si formerà una salsa gonfia. Aggiustate di sale e, se volete, aggiungete qualche goccia di succo di limone o di aceto.

La samfaina ha un nome esotico e una radice fortemente mediterranea: parente di moltissime preparazioni a base di verdure, come la ratatouille francese o la ciambotta napoletana, ha però caratteristiche sue specifiche che la rendono in Catalunya molto amata e molto popolare. Come per tutte le ricette di base, ne esistono versioni diverse che però quasi sempre includono il matrimonio tra il peperone e il pomodoro, con la complicità della melanzana. Può servire sia come base per l’elaborazione di ricette di pesce (soprattutto baccalà) e di carne (pollo, coniglio ma anche salsicce), sia come contorno di piatti cucinati più semplicemente, anche solo due uova cotte al tegamino o sode.

In molte famiglie catalane la samfaina si cucina ancora oggi in grandi quantità, magari durante il fine settimana, e si conserva in frigorifero per accompagnarla a diverse preparazioni durante diversi giorni. In un passato molto recente era tradizione mettere in conserva barattoli di samfaina sul finire dell’estate, proprio come si faceva con i pomodori, per averne scorta nella dispensa durante i mesi freddi.

RICETTA DI BASE

2 cipolle

2 peperoni rossi

2 melanzane

4-5 pomodori maturi

2 denti d’aglio

½ bicchiere di olio extravergine

d’oliva

sale

pepe (facoltativo)

Sbucciate le cipolle e tagliatele a lamelle sottili. Lavate i peperoni, eliminate i semi e il picciolo e tagliateli in grossi pezzi e quindi in listarelle. Sbucciate le melanzane, tagliatele in grosse fette e poi in quadrati regolari. Sbollentate i pomodori, sbucciateli ed eliminate i semi, conservando però l’acqua di vegetazione. In una padella larga versate l’olio e fate soffriggere le cipolle con l’aglio, aggiungete quindi i peperoni e mescolate con cura, abbassate la fiamma e incorporate le melanzane e infine i pomodori. Fate cuocere a fiamma dolce e con il coperchio per circa 30 minuti, mescolando regolarmente; se fosse necessario, aggiungete poca acqua, tenendo conto che dovrete ottenere un composto umido e ben legato, di un bel colore acceso. Salate con parsimonia solo a fine cottura.

40 Salse
SAMFAINA

CALAMARS A LA ROMANA

CALAMARI ALLA ROMANA

Le origini di questo piatto diffusissimo a Barcellona, come in tutta la Spagna, sono più misteriose e leggendarie di quanto si potrebbe immaginare. Roma non c’entra nulla, almeno dal punto di vista geografico, mentre invece un ruolo lo potrebbe aver giocato in quanto centro spirituale e culturale della cristianità. Sarebbero stati infatti i gesuiti nel XVI secolo a diffondere l’uso della frittura con pastella per il pesce e le verdure, cibi tipici della Quaresima, perché si sa che la frittura aiuta a sopportare qualunque cosa, anche la penitenza.

La storia non finirebbe qui: perché gli intrepidi gesuiti si sarebbero spinti a predicare e ad evangelizzare fino in Giappone. Le conversioni al cattolicesimo non sarebbero state molte in quell’Oriente estremo, in compenso la frittura in pastella del pesce, quella sì, sarebbe rimasta nelle abitudini alimentari dei giapponesi, divenendo la celeberrima “tempura” che altro non sarebbe che la storpiatura del “tempora ad quadragesimae”, il tempo di quaresima.

Vero o non vero, i calamari alla romana sono tra le tapas più amate e le troverete anche nel più piccolo bar di mercato, ve le serviranno sempre con limone a quarti, ma fidatevi, il succo di limone non aggiunge nulla e anzi, copre il sapore e inzuppa la pastella. Fatene a meno.

PER 4 PERSONE

500 g di calamari di medie dimensioni

300 g di farina

2 uova

poca acqua fredda

qualche pistillo di zafferano (facoltativo)

olio per friggere sale

Pulite con cura i calamari, eliminate la pellicina esteriore scura, tirate con delicatezza i tentacoli per separarli dalla sacca, eliminate la pinna e le interiora. Staccate anche le alette laterali e conservatele insieme ai tentacoli per un’altra preparazione. Lavate le sacche, possibilmente con acqua salata, quindi con delicatezza rovesciatele utilizzando il manico di un cucchiaio di legno. Con un panno pulito asciugate e pulite anche il lato interno. Tagliate i calamari in anelli regolari di circa 2 cm di spessore e conservate da parte.

Preparate la pastella. Battete leggermente le uova, unite se volete qualche pistillo di zafferano leggermente tostato in una padella antiaderente. Incorporate le uova alla farina, mescolate rapidamente con una frusta aggiungendo poca acqua fredda, fino a ottenere una pastella corposa ma morbida. Asciugate perfettamente i calamari, passateli nella farina, eliminate l’eccesso, quindi immergeteli nella pastella. Friggeteli in olio ben caldo, pochi alla volta, cercando di mantenere aperti gli anelli. Una volta dorati, prelevateli con una schiumarola e sistemateli su carta da cucina perché perdano l’eccesso di olio. Servite caldissimi!

Tapes e aperitivi

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MUSCLOS A LA MARINERA

Le cozze non hanno mezze misure: o le si ama o le si odia. Nostra figlia Anna le adora, soprattutto quando sono a la marinera, con la salsetta da raccogliere con la conchiglia vuota e in cui intingere il pane. La cosa difficile è riuscire a non sporcarsi...

PER 4 PERSONE

2 kg di cozze

4 pomodori

1 cipolla

½ bicchiere di vino bianco

4 cucchiai di olio extravergine d’oliva

PER LA PICADA

2 denti d’aglio privati del germe

una fetta di pane leggermente

tostato

1 cucchiaio di mandorle (facoltativo)

zafferano o timo (facoltativo)

Lavate con cura le cozze, eliminate le barbe e strofinate bene il dorso delle valve per eliminare le incrostazioni. Sistematele in una padella larga e capace, mettetele sul fuoco con il coperchio e due cucchiai d’acqua finché non si aprano, quindi conservate da parte le cozze e filtrate il liquido che avranno rilasciato. Tritate finemente la cipolla e grattugiate i pomodori, trasferite tutto in una padella e fate soffriggere con l’olio extravergine d’oliva finché non sarà ben consumato, bagnate quindi con il vino e fate evaporare. Aggiungete quindi il liquido di cottura delle cozze e fate andare a fuoco vivace finché non si sia ben ridotto, aggiungete quindi le cozze e completate con la picada che avrete ottenuto battendo nel mortaio tutti gli ingredienti.

Tapes e aperitivi

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SOPA DE RAP

ZUPPA DI CODA DI ROSPO

Questa zuppa molto tradizionale e diffusissima nei menu di mercato era originariamente preparata con la rana pescatrice intera. Oggi, come potrete facilmente verificare, nei banchi del pesce è presente quasi esclusivamente la coda di rospo privata della testa. Mi sono sempre chiesta se la ragione vada trovata nell’aspetto “mostruoso” di questi pesci un poco ancestrali, con la testona grossa, quasi tutta occupata da una bocca per nulla sorridente. A mia figlia Anna, che fin da piccolissima mi accompagna al mercato, sembra da sempre l’incarnazione dell’orco del mare, non stupisce dunque che la si mostri poco.

Detto questo, la testa e la spina della rana pescatrice sono ideali per preparare un fumetto e dare sapore, ed è un delitto non approfittarne.

PER LA ZUPPA

5 cucchiai di olio extravergine

d’oliva

1 cipolla

2 piccoli pomodori maturi

1 rana pescatrice di circa 1,2 kg (oppure 800 g di coda di rospo)

PER LA PICADA

1 dente d’aglio

60 g di pinoli (o di mandorle)

1 fetta di pane rustico (circa 60-80 g)

prezzemolo e/o timo a piacere sale

Se avete la fortuna di trovare il pesce intero fatevelo pulire, o pulitelo voi stessi, separando la testa e la lisca ed eliminando la pelle. Tagliate in grossi pezzi la coda e conservate da parte, mentre con la testa e la lisca preparate un fumetto. In una padella capiente versate 5 cucchiai di olio extravergine d’oliva, aggiungete la cipolla tagliata finemente e fate cuocere a fiamma dolce finché non avrà cambiato colore, aggiungete quindi i pomodori privati della pelle e dei semi e fate cuocere ancora, mescolando sempre. Aggiungete quindi la coda di rospo in pezzi e coprite con qualche mestolata del fumetto di pesce, cuocete per una 15 minuti verificando che non si asciughi troppo.

Dedicatevi ora alla picada. Sbucciate l’aglio, eliminate il germe e tagliatelo a pezzettini. Friggete o grigliate il pane senza scurirlo, lasciatelo raffreddare. Tostate leggermente i pinoli (o le mandorle) senza che arrivino a dorarsi eccessivamente.

Raccogliete nel mortaio l’aglio e il prezzemolo (o il timo) con qualche grano di sale grosso, cominciate a battere fino a ottenere una sorta di crema, unite quindi i pinoli e il pane sminuzzato e continuate a rimestare fino a ottenere un composto omogeneo. Prelevate qualche cucchiaiata del fumetto e unitelo alla picada per cominciare a dissolverla. Mescolate con cura e lasciate che assorba bene i liquidi.

Quindi incorporate la picada alla sopa, mescolate, regolate di sale e lasciate sul fuoco ancora un paio di minuti. Spegnete, incoperchiate e lasciate riposare una decina di minuti prima di servire.

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Zuppe

BACALLÀ A LA LLAUNA

Ricetta popolare, anzi popolarissima, prende il nome dal contenitore, la llauna (una teglia a bordi alti) in cui viene preparato. È un piatto semplice che non manca praticamente mai nei menu di bar e ristoranti ed è facile trovarlo anche tra le proposte dei banchi che vendono piatti pronti.

È considerato uno dei piatti più autoctoni della città.

PER 4 PERSONE

800 g circa di baccalà già dissalato tagliato in pezzi di circa 8-10 cm

4 cucchiai di farina

1 bicchiere di vino bianco

10 g di pebre vermell (o di paprika dolce)

4-5 denti d’aglio

100 ml di olio extravergine d’oliva prezzemolo

Asciugate con cura il baccalà dopo averlo perfettamente dissalato, infarinatelo e battetelo per eliminare l’eccesso di farina. Friggetelo in una padella con l’olio extravergine d’oliva finché non comincia a dorarsi, quindi prelevatelo con la schiumarola e sistematelo in una teglia in un unico strato. Colate l’olio in cui avete fritto il baccalà e soffriggeteci leggermente i denti d’aglio tagliati a fettine sottili, aggiungete il pebre vermell (o la paprika dolce) e subito bagnate con il vino, mescolate bene, spegnete e versate il liquido sul baccalà, aggiungete il prezzemolo. Infornate per 5 minuti in forno già caldo.

Nota: la ricetta, nella sua semplicità, prevede assai poche variazioni, si può fare a meno del vino ma soprattutto è frequente unire nella teglia qualche pomodoro tagliato a metà che regala un poco di umidità e di sapore a un piatto che facilmente rischia di risultare troppo asciutto.

185 Pesce

TRINXAT

Durante la stagione fredda non c’è ristorante o bar di mercato che non abbia in menu questo piatto rustico e saporitissimo che arriva diretto dai Pirenei, in particolare da una zona chiamata Cerdanya, proprio al confine francese. È tradizionalmente un piatto di recupero che utilizza i resti di patate e verza bolliti e ne fa una cosa buonissima, una sorta di “tortino” asciutto e arricchito, ovviamente, dalla pancetta.

PER 4 PERSONE

1 kg di patate

1 kg di verza

2 fette di pancetta (circa 60 g)

olio extravergine d’oliva aglio (facoltativo)

sale e pepe

Lavate la verza, tagliatela in grossi pezzi, lavate e sbucciate le patate. Raccogliete tutto in una pentola alta, coprite d’acqua, salate e cuocete finché le patate non saranno morbidissime e quasi sfaldate. Scolate con la schiumarola e schiacciate bene con una forchetta.

In una padella soffriggete l’aglio (se lo usate) tagliato in fette non troppo sottili, una volta dorato ritiratelo con la schiumarola e aggiungete la pancetta tagliata in listarelle non troppo sottili. Una volta che siano ben dorate, prelevatele e conservatele da parte assieme all’aglio.

Nella stessa padella versate ora le patate con la verza, mescolate bene poi schiacciate con il dorso di una palettina di legno e fate asciugare con pazienza, a fuoco basso. Una volta che tutta l’acqua si sia consumata, servite il trinxat con la pancetta e l’aglio.

257 Verdure

CARQUINYOLIS

Non stupitevi, questi biscotti secchi a base di mandorle sono tipici e autoctoni anche se sono del tutto simili ai nostri cantucci toscani. Popolarissimi e molto amati, come tutto ciò che ha a che fare con le mandorle, risultano forse leggermente meno dolci dei loro cugini italiani e soprattutto sono virtuosamente privi sia di burro che di olio ma, quanto al risultato, la somiglianza è sorprendente.

PER CIRCA 30-35

BISCOTTINI

150 g di farina

90 g di zucchero

100 g di mandorle non tostate con la buccia

2 uova

1 cucchiaino di lievito in polvere la scorza grattugiata di mezzo limone non trattato

1 cucchiaio di vino moscatel (o di altro liquore dolce, ad esempio Marsala dolce)

Raccogliete la farina, il lievito e lo zucchero sul piano di lavoro, formate la fontana e incorporate poco alla volta l’uovo sbattuto, la scorza di limone grattugiata e il moscatel. Lavorate l’impasto finché non sarà omogeneo quindi unite anche le mandorle. Formate un salsicciotto lungo e stretto e sistematelo sulla teglia rivestita di carta forno, spennellate con il secondo uovo sbattuto e infornate a 180°C per circa 20-25 minuti. Sfornate, lasciate leggermente intiepidire, quindi con un coltello seghettato tagliate dei biscotti di circa mezzo centimetro di spessore. Rimetteteli nella teglia e infornateli a 160°C per 3-4 minuti quindi girateli e rimetteteli in forno ancora un paio di minuti.

308 Dolci

© Guido Tommasi Editore – Datanova S.r.l., 2022

Testi: Maria Teresa Di Marco

Fotografie: Maurizio Maurizi

Progetto grafico: Carolina Quaresima

Revisione: Giusy Marzano

Vietata ogni riproduzione, totale o parziale, su qualunque supporto, in particolare la fotocopia e il microfilm, senza l’esplicita autorizzazione scritta dell’editore.

ISBN: 978 88 6753 301 5

Stampato nell’Unione Europea

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The Boqueria by ACC Art Books - Issuu