asud'europa anno 8 n.10

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Le opere di Bruno Vasari, Manlio Magini e di Lodovico Barbiano di Beogiojoso balsamo per quegli animi tormentati. Mauthausen bivacco della morte, pubblicato nel luglio 1945, detiene il primato di pubblicazione nel panorama della letteratura concentrazionaria. Il suo autore, Bruno Vasari, faro indiscusso nel recupero della memoria dei deportati, riconosce di aver scritto uno scarno resoconto della prigionia piuttosto che un romanzo. Cronologicamente, la testimonianza successiva della deportazione è costituita da un libro di poesie ad opera di Bruno Lodi, deportato, dalla biografia sconosciuta: Voce dal “Lager”. Versi della prigionia, che compare nel 1946. Oggi il “libriccino” è gelosamente conservato in singola copia presso la Biblioteca della Fondazione per la Memoria della Deportazione a Milano, nell’edizione del 1946. Il caso di Bruno Lodi esemplifica, seppure alle estreme conseguenze, la condizione della poesia concentrazionaria dai suoi esordi sino a oggi: sconosciuta, marginale, non valorizzata. I nomi dei poeti dal Lager sono a volte poco noti, altre volte, invece, di grande risonanza. Primo Levi, ad esempio, ha scritto due libri di poesie: L’osteria di Brema, da cui è tratta Shemà, epigrafe di Se questo è un uomo; Ad ora incerta, da cui è tratta Alzarsi, epigrafe de La tregua. La poesia concentrazionaria ha veramente avuto degli esiti degni di rilievo, non di rado con accessi alla sperimentazione. Ad esempio, Egidio Meneghetti e Antonio Falanga compongono versi rispettivamente in dialetto veronese e milanese. L’indagine sui poeti dal Lager non può dirsi conclusa: ci si chiede se esistano altri nomi da portare alla luce e molti sono gli ambiti da approfondire, ad esempio la poesia composta da donne deportate. Significative sono le raccolte poetiche di tre deportati politici a Mauthausen, tutti personaggi attivi della Resistenza, perché fanno emergere pienamente l’approccio personale di ciascuno alla scrittura in versi. Infatti, nonostante la poesia concentrazionaria rappresenti comunemente il grido dei deportati contro la barbarie, essa riceve declinazioni diverse dai singoli scrittori, secondo un principio di individualità e unicità. Lodovico Barbiano di Belgiojoso compone poesie già nel Lager e le raccoglie, insieme ai versi scritti dalla liberazione in poi, nel libro Non mi avrete, pubblicato nel 1986. Ad esso fa seguito Come niente fosse, pubblicato nel 1992. La poesia di Belgiojoso rispecchia pienamente la tendenza dei deportati politici ad elevare il proprio libero pensiero contro la schiavitù nazista, tuttavia egli raramente indulge su argomenti di attualità. I suoi versi compongono, di fatto, un canzoniere dell’anima piuttosto che una puntuale descrizione del Lager. Bruno Vasari ha fatto del ritorno alla vita un motivo di azione a favore della memoria della deportazione. Scrittore prolifico, egli non lascia notizia delle proprie emozioni nei suoi scritti. La stagione poetica dello scrittore triestino si apre nel 1996 con Il balcone fiorito e prosegue con ben sette raccolte successive. L’avvicinamento alla poesia trova le sue ragioni proprio nell’impossibilità di esprimere se stesso attraverso la prosa. Il lettore dei versi di Vasari, infatti, è introdotto in una dimensione profondamente intima,

per questo a tratti di difficile interpretazione. Il corpus poetico di Bruno Vasari, così nutrito, è la dimostrazione, come è stato per Primo Levi, che la poesia svolge un ruolo complementare alla prosa, dice qualcosa di diverso, ma ugualmente degno di rilievo. Ad esempio, Vasari, uomo impegnato e circondato da amici e riconoscimenti, non di rado ne Il balcone fiorito racconta di sentirsi molto solo, avvolto dal silenzio. Manlio Magini è ricordato dallo stesso Vasari come uno dei prigionieri più fedeli al ricordo della poesia nelle rare ore di riposo. Autore di tre libri di poesie, egli esordisce nel 1999 con Sillabe parole frasi. Alla base della creazione artistica, Magini individua l’esigenza di dare forma ai pensieri sulla carta, prima in sillabe poi in parole infine in frasi, come esplicitato nella poesia eponima di Sillabe parole frasi. Cultore erudito della letteratura italiana e straniera, egli intesse le proprie poesie di citazioni, soprattutto dal mito, e recupera l’endecasillabo. Il filo rosso che unisce questi tre diversi approcci alla poesia (narrativo in Belgiojoso, intimo fino all’oscurità in Vasari, preziosamente erudito in Magini) è la memoria, scopo e allo stesso tempo ragione della letteratura concentrazionaria in tutti i suoi generi. La tragedia della deportazione si colloca al di fuori di ogni umana comprensione, ma non per questo è condannata all’indicibilità e, in ultima istanza, all’oblio. Proprio in quanto evento inconcepibile, esso richiede strategie di memoria che raccontino qualcosa di più rispetto al puro fatto storico, affinché non si perda la percezione di quella eccezionalità. La poesia dei deportati è una forma di interpretazione emotiva di Auschwitz, capace di creare, a distanza di decenni e in uomini tutti diversi, le medesime risonanze di chi ha vissuto quella tragedia. La letteratura è, dunque, complementare alleata della storia nella salvaguardia della memoria dei singoli deportati e nella battaglia affinché Auschwitz non si ripeta. Per questo è veramente falso affermare che la poesia dopo Auschwitz sia un atto di barbarie.

10marzo2014 asud’europa

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