RASSEGNA degli AVVOCATI ITALIANI

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RASSEGNA degli

AVVOCATI ITALIANI ORGANO UFFICIALE ANF ASSOCIAZIONE NAZIONALE FORENSE ASSITA EDITORE

MAXXI MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO

1 2019

13-15 DICEMBRE M E E T I NG

ROMA

2019

PROFESSIONE CONCORRENZA EUROPA INNOVAZIONE REGOLE


MAXXI

MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO

13-15 DICEMBRE M E E T I NG

ROMA

2019

PROFESSIONE CONCORRENZA EUROPA INNOVAZIONE REGOLE

CONCORRENZA, REGOLE E PROFESSIONE

Venerdì 13 dicembre: sessione di apertura (15.30 - 18.30) Dott. Roberto Rustichelli, Presidente Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato Prof. Avv. Marcello Clarich, Ordinario di diritto Amministrativo, Università di Roma Luiss - “G. Carli” Dott. Sauro Mocetti, Economista Banca d’Italia Dott. Gaetano Stella, Presidente Confprofessioni Avv. Antonino Galletti, Presidente Ordine Avvocati di Roma Modera: Giovanni Negri, giornalista de Il Sole 24Ore

Aperitivo di benvenuto L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA

Sabato 14 dicembre: sessione mattutina (9.30 - 13.00) Avv. Nunzio Luciano, Presidente Cassa Forense Dott. Nicola Stellato, Presidente Associazione Nazionale Dirigenti Giustizia Avv. Alessandro De Nicola, Presidente Adam Smith Society Dott. Claudio Rorato, Responsabile Osservatori Innovazione Digitale Politecnico di Milano Avv. Andrea Arosio, Managing Partner Linklaters Italy Modera: Nicola Di Molfetta, direttore Legal Community e MAG

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SOMMARIO

RASSEGNA degli A V V O C AT I I TA L I A N I 2019

ORGANO UFFICIALE

ANF

ASSOCIAZIONE

NAZIONALE FORENSE

Marcello Pacifico La giustizia che verrà, tra giudici robot e tribunali online Direttore responsabile

Marcello Pacifico Direttore editoriale

Daniela Bernuzzi Bassi Editore Assita S.p.A. 20123 Milano Via E. Toti, 4 tel. 02 48009510 - fax 02 48012295 e-mail: assita@assita.com www.assita.com Comitato di redazione Pier Enzo Baruffi Carmela Milena Liuzzi Mario Scialla Fotografie Archivio ANF Indirizzo Internet dell’ANF www.associazionenazionaleforense.it Casella di posta del Direttore pacifico@iternet.it Periodico quadrimestrale Anno XLIV Registrazione n. 237 del 26-6-78 del Tribunale di Taranto Realizzazione e stampa Still Grafix - Cernobbio Foto In copertina:

MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo, interno

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Luigi Pansini La nostra idea della professione forense: proporre, non subire, rischiare, non accontentarci

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Mario Scialla Il processo senza piu’ prescrizione

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Bruno Sazzini Un algoritmo ci giudicherà ?

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Giampaolo Di Marco L'esperienza della legge e l'intelligenza artificiale

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Francesco Mazzella L'avvocato 4.0, ovvero nuove strategie di riforma della professione forense

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Nicoletta Grassi Il contratto di rete per le professioni: una soluzione possibile ed auspicabile

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Paola Piantedosi Incentivi e disincentivi all'aggregazione professionale

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Carmela Milena Liuzzi Gender Pay Gap: per l'avvocatura non solo problema di genere ma anche di sopravvivenza

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Rosa Urbano Nuove regole in tema di affidamento dei servizi legali

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Valeria Rodelli Nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza

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Paola Fiorillo Confprofessioni una risorsa per l'avvocatura

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Cesare Piazza Usi, costumi e… deontologia

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Angelo Santi Giurisdizione, giustizia e mediazione Donata Giorgia Giustizia disciplinare: urge un recupero della Cappelluto credibilità del sistema

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Ana Uzqueda Mediazione vs negoziazione assistita ? La terza via: 64 giurisdizione forense

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EDITORIALE

La stanza del Direttore

La giustizia che verrà, tra giudici robot e tribunali online “saranno maggiori i cambiamenti cui assisteremo nei prossimi 20 anni rispetto a quelli avvenuti negli ultimi due secoli” di Marcello Pacifico

Le mutazioni in atto nel mondo della giustizia e della professione forense sono ormai da tempo oggetto di crescente attenzione ed anche di grande preoccupazione da parte degli avvocati. Ai cambiamenti determinati da una globalizzazione inarrestabile, dalla supremazia della tecno-economia – che come ha acutamente osservato Natalino Irti 1 “non ha bisogno di leggi, di norme generali ed astratte destinate al cittadino medio ed ai governanti, quanto piuttosto di regole e disposizioni concrete e speciali” - altri se ne stanno aggiungendo, in modo non meno tangibile ed imprevedibile, sul fronte dell’innovazione tecnologica. È del tutto erroneo, direi irresponsabile, pensare che il nostro mondo possa sottrarsi a processi innovativi che stanno già facendo il loro ingresso nel pianeta giustizia. E determinanti sono e saranno i tempi ed i modi in cui l’avvocatura, sia nelle sue istituzioni che nella base, saprà affrontarli, perché è purtroppo notorio quanto la categoria degli avvocati sia restia a recepire le grandi trasformazioni. Immaginarsi poi quanto possa esserlo allorquando si sia in presenza di una autentica rivoluzione quale quella attuale. Già nel 1998 - e dunque parliamo di oltre un ventennio fa - in “The Future of Law” Richard Susskind2, giurista inglese, studioso dei processi tecnologici applicati al mondo della giustizia, uno degli autori più citati in materia, affermava che “saranno maggiori i cambiamenti cui assisteremo nei prossimi 20 anni rispetto a quelli avvenuti negli ultimi due secoli”, arrivando a prevedere, con incredibile preveggenza, che “i tribunali online verranno introdotti prima di quanto si possa pensare, anche se inizialmente solo per cause

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R. Susskin, 1998

di valore modesto”. Previsione quanto mai azzeccata: siamo nel 2019 e gli algoritmi e intelligenze artificiali non costituiscono più realtà virtuali ma processi conoscitivi in avanzata applicazione, peraltro con strabiliante velocità: sono infatti milioni e milioni i contenziosi che già vengono risolti con sistemi di “online dispute resolution“ sui siti di eBay, Amazon, etc., senza ricorrere a giudici e avvocati nelle aule dei tribunali. Di una innovazione che va ad incidere in modo fors’anche invasivo sul mondo della giustizia ha dovuto prendere atto l’Unione Europea, visto che la Cepej, la Commissione europea per l’efficacia della giustizia, ha già emanato la carta Europea per l’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi di giustizia penale e relativi ambienti3. In Italia il Ministro della giustizia Alfonso Bonafede ha annunciato l’intenzione di procedere ad uno studio di fattibilità di due progetti distinti riguardanti l’utilizzo delle intelligenze artificiali nel nostro Paese. Il primo riguarderebbe – il condizionale per ora è d’obbligo - una piattaforma pubblica per la decisione in prima istanza di procedimenti di natura elementare, ad esempio le impugnazioni contro sanzioni amministrative. Il secondo consisterebbe invece in una piattaforma volta alla previsione dell’esito di giudizi di struttura elementare, in modo da disincentivarne il ricorso giudiziale da parte dei soggetti più probabilmente soccombenti e per incentivare il ricorso a strumenti stragiudiziali. E dunque i giudici robot e la giustizia predittiva non sono più vaghe espressioni, la sperimentazione è già in atto e ben presto occorrerà confrontarsi con sistemi di gestione ed amministrazione della giustizia ipertecnologici, cui l’avvocatura dovrà necessariamente ed inevitabilmente adeguarsi. Per affrontare in modo idoneo questa fase di grande trasformazione occorrerebbe, come scriveva Gian Paolo Prandstraller4 già nel 2012 “un cambiamento di mentalità, di organizzazione e di cultura, appoggiato da una comprensione realistica di quella realtà che porta il nome di capitalismo immateriale….. Se l’assetto “protetto” della professione è al tramonto, bisogna gestire con intraprendenza un’opzione acquisitiva da cui possano venire le risorse che agli avvocati ormai mancano”. E l’esortazione finale che rivolgeva agli avvocati era quella di “ottenere o creare per la professione “nuove funzioni”, resecandole (dove?) dal corpo stesso della giurisdizione e dell’amministrazione”, per riportarla (la professione) ad “uno stato coerente con il capitalismo di oggi, nel quale gli assetti professionali siano


direttamente legati al miglioramento della produzione e alle richieste d’una società che va sempre più verso l’immateriale e il creativo”. Ma nulla, si sa, è più difficile che cambiare mentalità e cultura.

Le parole d’ordine: specializzazione, organizzazione, innovazione, comunicazione. Per non fermarci allora a mere constatazioni e notazioni critiche e pensando invece in modo propositivo, v’è motivo di ritenere che il percorso di adeguamento della professione alle mutazioni di cui si è detto non potrà prescindere da taluni aspetti assolutamente basilari: specializzazioni, organizzazione del lavoro, innovazione tecnologica e comunicazione/markenting. Un discorso a parte meriterebbe poi il tema di una efficace rappresentanza politica adeguata ai tempi che viviamo e non ancorata al passato, ma francamente, anche alla luce di recenti vicende, ultima quella in materia di divieto del doppio mandato, solo un buon ricambio generazionale potrebbe far sperare in meglio. A ben vedere, sui vari aspetti sopra indicati l’avvocatura italiana non ha finora dato esempi di lungimiranza, reattività ed avvedutezza. Le specializzazioni, quelle vere, reali, quelle richieste dalla società contemporanea, sono di là da venire. I provvedimenti sin qui adottati, annullati peraltro dalla giustizia amministrativa anche su istanza dell’ANF, hanno brillato per preoccupante mancanza di idee e progettualità. Quanto all’organizzazione del lavoro, non solo poco e nulla si è fatto per incentivare lo svolgimento della professione in forma associata ma, dopo l’ostruzionismo fatto proprio dall’istituzione forense alla costituzione di società professionali multidisciplinari e/o con socio di capitali, ora anche il legislatore contribuisce ad ostacolarne e scoraggiarne la diffusione con normative fiscali e tributarie ingiustamente ed immotivatamente penalizzanti. In tema di nuove tecnologie può serenamente dirsi che l’avvocatura italiana sta manifestando grande difficoltà ad assimilare innovazioni determinanti anche per le professioni intellettuali. In una intervista concessa l’anno scorso ad un grande quotidiano italiano, sempre Susskind ribadiva che “lento come l’avvocato a recepire il cambiamento c’è solo il prete”, ribadendo poi che “la tecnologia è destinata a diventare sempre più centrale nella vita degli studi legali e l’avvocato del futuro subirà una contaminazione con altre figure professionali”. L’avvocato del cambiamento sarà insomma un compromesso tra il giurista e l’informatico, c’è poco da

illudersi. Comunicazione e marketing sono altri aspetti rilevanti ed imprescindibili, finora abbastanza osteggiati, per l’affermazione dell’avvocato in quel mercato dei servizi legali sul quale si sono già affacciate alcune grandi multinazionali allestendo albi specialistici alternativi, promuovendo l’attività forense con criteri prettamente commerciali, in cui il cuore della professione è “uberizzato” o “amazonizzato” che dir si voglia da legali informatizzati e strumenti digitali. L’ Avvocato 4.0 deve farsene una ragione già nell’immediato, perché non sarà certo il suo inserimento nella costituzione o il riconoscimento di un equo compenso a sollevarne le sorti future. Le battaglie di retroguardia, l’avvocatura dovrebbe ben saperlo avendone fatto le spese in più di una occasione, non hanno mai pagato. Di tutto ciò e di altro ancora parliamo in questo numero della Rassegna, dedicato interamente alla professione di avvocato, con particolare attenzione verso i temi dell’innovazione, dell’organizzazione, del rapporto sempre più problematico con la giurisdizione e con un legislatore che sembra avvedersi poco e nulla delle trasformazioni in atto, che confida ancora di poter risolvere ogni problema con ulteriori disorganiche riforme processuali destinate in realtà sia ad affievolire ulteriormente la tutela giurisdizionale dei diritti, sia a sminuire ancora di più il ruolo dell’avvocato nel processo. Non poteva poi mancare attenzione per l’attualissimo tema della prescrizione penale, per le inquietanti vicende della giurisdizione anche in riferimento alle ADR, per la deontologia e la previdenza. Saranno del resto questi i temi preponderanti del «Consiglio Nazionale–Evento» in programma dal 13 al 15 dicembre al MAXXI di Roma, il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, una location emblematica degli intendimenti e dello spirito con cui l’ANF ha sempre inteso ed intende affrontare la professione. Bene lo evidenzia nelle pagine che seguono il Segretario Generale dell'ANF Luigi Pansini, ricordando che le intuizioni e visioni di ieri e di oggi dell’Associazione Nazionale Forense sull’evoluzione della professione, piaccia o non piaccia, sono realtà da tempo sotto gli occhi di tutti. NOTE 1. Natalino Irti, prefazione a “I poteri pubblici nell’età del disincanto” di G. Legnini e D. Piccione, Luiss 2019 2. Richard Susskind, “The future of law - facing the challenges of information technology”, Oxford University Press, 1998 3. Cepej, “Carta etica europea sull’uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari” 4. Gian Paolo Prandstraller, “Avvocati, il canto funebre della professione”, C.d.S. 2012

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La nostra idea della professione forense proporre, non subire, rischiare, non accontentarci di Luigi Pansini [Segretario Generale ANF]

al MAXXI per parlare di concorrenza, Europa, innovazione, regole, del futuro che ci aspetta Il 29 giugno 1967, a Cagliari, la FESAPI, Federazione dei Sindacati degli Avvo-

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cati e Procuratori d’Italia, nata a Roma il 13 aprile 1964, celebra la giornata di apertura del suo primo congresso nazionale. Segretario generale è Ferruccio Cappi, che a Cagliari verrà riconfermato per il triennio successivo. Girolamo Santucci, romano, svolge in quella sede una relazione ampia e di spessore che costituirà la prima elaborazione di una precisa linea politica maturata dal Sindacato. Segue una relazione di Umberto Randi di Milano, che diverrà segretario generale FESAPI nel 1974, tutta incentrata sul tema dell’ordinamento professionale. Secondo Randi, tre sono gli orientamenti in campo: - quello che egli definisce “tradizionalista”, sostenitore dell’artigianato della professione, che vorrebbe basare la riforma sui temi della esclusività, della indipendenza con particolare rafforzamento dei poteri degli ordini, e del ritorno alla tradizione; - quella “dei colleghi innovatori”, che puntano invece sulla esigenza di specializzazione e di associazione professionale, con semplificazione dell’accesso; - infine, un terzo orientamento iper-innovatore (oggi lo potremmo definire kabulista), che sostiene il superamento della libera professione organizzata privatisticamente, e vorrebbe invece inquadrarla nell’apparato istituzionale, costituendo studi associati di pubblici difensori, a remunerazione pubblica. Detto questo, Randi incentra la sua relazione sui profili dell’accesso, delle società professionali e dell’abolizione delle iscrizioni di diritto. Specialmente approfondita è la parte relativa alla organizzazione degli studi. Randi è chiaramente per le società professionali, che è del resto argomento che il Sindacato di Milano ha studiato e approfondito particolarmente. E proprio questo è il tema che polarizza l’attenzione del


Congresso. Scartata subito l’ipotesi di pubblicizzazione della professione, il Congresso si mostra diviso tra una ipotesi “tradizionalista” e una “efficientista” che vengono così descritte in una relazione dell’epoca: “La prima è tesa a caratterizzare nella nostra attività l’aspetto umano del rapporto diretto tra Avvocato e Cliente; la seconda pone in evidenza la necessità di rendere sempre più efficiente e moderno siffatto rapporto, creando forme associative tra Avvocati che consentano migliori prestazioni professionali, e che, nel contempo, costituiscano lo strumento necessario per consentire la realizzazione dell’attività dell’Avvocato anche in un mondo volto a rapide trasformazioni in chiave di potenziamento tecnologico ed industriale”. Il Congresso conclude ritenendo - con una mediazione - che le due ipotesi possano convivere, perché si deve salvare l’aspetto artigianale della professione, senza precludere soluzioni di efficienza. Ma la soluzione associativa è la più gradita. Così prosegue la relazione di Randi: “Se è vero, infatti, che sotto certi aspetti il rapporto personale, umano, tra avvocato e cliente resta e resterà insopprimibile, è vero, altresì, però, che - per usare una terminologia mutuata dagli economisti - la professione organizzata è, e sarà sempre, in grado di offrire migliori prestazioni. È, infatti, incontestabile che anche nella nostra professione - con particolare riferimento ai centri di maggiore sviluppo tecnologico ed industriale - si determina una situazione di economia classica, di mercato, quindi, dove rimane immutato il problema produttivo: migliori servizi a più basso costo. E non vi è dubbio alcuno che a siffatta esigenza meglio può rispondere una soluzione organizzata””. 1

Cinquantadue anni dopo, Roma, MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo. La nostra associazione, l’Associazione Nazionale Forense, ieri FESAPI, si riunisce nella capitale per un consiglio nazionale di fine anno atipico, dedicato principalmente all’approfondimento

del rapporto tra concorrenza e professione. I punti di contatto con l’assise del 1967 sono tanti, il contesto è diverso: ieri, una società in crescita e in evoluzione; oggi, una società in crisi che ha messo a nudo le reali difficoltà della giurisdizione del nostro paese e della professione. Ecco, allora, un nostro momento di riflessione per approfondire e comprendere quale, oggi e in un prossimo futuro, debba essere - ammesso che ve ne sia bisogno - il grado di intervento dello Stato nel regolamentare la professione, quale sia e quale debba essere il limite delle funzioni degli Ordini nell’attività di controllo, come rendere funzionale il rapporto tra crescita e libera concorrenza, come delineare il confine tra attività economica indipendente e sussidiarietà demandata dallo Stato per servizi di interesse pubblico, come attuare in tempi rapidi la riforma della legge ordinamentale forense del 2012, come misurarci e rapportarci - più generale - col mondo delle professioni intellettuali. La confusione, sul piano della teoria, è tanta, anche perché molte sono le questioni sul tavolo: l’astio rispetto alle riforme dei decreti Bersani (del 2006) e Monti (del 2011); l’abolizione dei minimi tariffari e la volontà di reintrodurli tramite l’istituto dell’equo compenso; le società di capitali tra avvocati e le aggregazioni tra professionisti, cui corrispondono le inspiegabili resistenze da parte dell’avvocatura più conservatrice e una politica fiscale del governo che le disincentiva; l’avvocato dipendente e le nuove modalità di esercizio della professione; la giurisdizione forense e la possibilità di riconoscere agli avvocati la possibilità di emettere decreti ingiuntivi; l’attribuzione, tramite gli ordini professionali, di funzioni e compiti che lo Stato non si può più permettere; i continui dati sul reddito degli avvocati; le discussioni sul ruolo nella società e la considerazione che essa ci riserva; il regime forfettario a favore dei singoli e non anche delle aggregazioni; il dibattito sulle specializzazioni e quello sull’accesso alla professione; ed ancora la voce di chi reclama addirittura un reddito mini-

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la nostra idea della professione forense… 6

mo professionale; il jobs act del 2017 per i lavoratori autonomi; un nuovo sistema di welfare e il riconoscimento di tutele identiche a quelle previste per i lavoratori subordinati; l’avvocato nella Costituzione e la volontà del sistema ordinistico di un appannaggio esclusivo e costituzionale che lo renda indispensabile nonostante le numerose - e consapevolmente nascoste - falle al suo interno; l’ambiguità delle funzioni degli Ordini e l’impossibilità di una reale tutela degli interessi degli avvocati che non metta in pericolo la loro esistenza e sopravvivenza; la necessità di una nuova classe dirigente per l’avvocatura; il proliferare di organismi e associazioni tutte rappresentativi e portatori di valori assolutamente indispensabili; infine, l’intelligenza artificiale e la paura di essere sostituiti dai robot. Nemmeno i rapporti annuali di Cassa Forense, quelli più generali di Confprofessioni, o gli studi della Banca d’Italia e degli economisti riescono, con i loro freddi numeri, a rendere meno confusa una discussione che coinvolge in realtà pochi colleghi, se si considera il numero complessivo degli avvocati (al 31.12.2018, siamo oltre 250.000), e che si svolge ovunque tranne che nei luoghi ad essa deputati. I giorni, tuttavia, corrono veloci e il loro susseguirsi incessante si disinteressa dei tempi e del contenuto di discussioni che non hanno mai un inizio e una fine e, soprattutto, si impone senza chiedere autorizzazione alcuna.

Intuizioni e visioni divenute realtà Non è un mistero che l’Associazione Nazionale Forense guardi sempre con favore, seguendola, alla strada tracciata da Randi nel suo intervento del 1967. Molte delle nostre intuizioni e visioni di ieri e di oggi sull’evoluzione della professione, piaccia o non piaccia, sono realtà da tempo sotto gli occhi di tutti. La realtà la si può indorare come meglio si crede, la si può descrivere con l’oratoria più nobile e alta, ma, poi, stringendo stringendo, rimane quella che è, e con essa si devono fare i conti:

la nostra professione, al pari di tutte quelle intellettuali, poiché ha natura economica, non può dirsi estranea alla logica della concorrenza; “il merito - che ha tra i principali ingredienti la competizione - non sempre è riconosciuto” in una professione che sembra costantemente perdere appeal e che, peraltro, è fortemente caratterizzata dal fenomeno del “career following” (“propensione dei figli di liberi professionisti a seguire le tracce genitoriali”); il rapporto della Banca d’Italia sulla mobilità intergenerazionale nelle professioni è del 2018; l’attuale assetto corporativo di controllo sulla formazione e l’aggiornamento e la legge ordinamentale del 2012 non hanno dato i risultati sperati; non c’è prova che il minor prezzo praticato equivale a minore qualità della prestazione; va completamente rivisto il sistema di auto-regolamentazione, “con una netta separazione nelle funzioni degli Ordini tra quelle esercitate in nome e per conto dello Stato a tutela dell’integrità della professione e quelle che dovrebbero perseguire l’obiettivo di favorirne l’evoluzione e la crescita””. Sono fermamente convinto che gli avvocati, indipendentemente dalle discussioni, dalle intenzioni e dalle decisioni della politica forense e del legislatore, siano costantemente alla ricerca di opportunità e soluzioni per una migliore organizzazione del loro lavoro e una loro costante crescita sociale, professionale, reddituale. La loro (nostra) forza motrice è insita nell’idea di professione indipendente, libera, liberale e intellettuale che noi conosciamo e difendiamo: nonostante le difficoltà, gli avvocati si specializzano a prescindere da una previsione normativa o regolamentare, puntano ad organizzarsi in forma aggregata a prescindere dalle politiche contrarie del legislatore, mescolano esperienze e professionalità per una migliore qualità della prestazione offerta, corrono il “rischio” della professione. Nei momenti di crisi, soprattutto i più giovani, rifuggono forme assistenziali narcotizzanti perché, al contrario, “vorrebbero” e “chiederebbero” strumenti, possibilità e oppor-


difesa possibile è l’attacco. La nostra è un’idea di professione che ne contiene tante: proporre, non subire, rischiare, non accontentarci. Tutto questo è ANF-MAXXI: professione, concorrenza, Europa, innovazione, regole. È il nostro appuntamento di dicembre 2019.

NOTE 1 Giuliano Berti Arnoaldi Veli, “Breve storia dei Sindacati Forensi (1964 - 1996)”

la nostra idea della professione forense…

tunità che consentano loro di non fermarsi nel loro percorso di crescita. Perché l’uso del condizionale? Perché - ed è questa una possibile risposta come ha evidenziato il rapporto CENSIS presentato ad ottobre scorso da Cassa Forense - c’è scarsa fiducia in coloro (ma “coloro” chi sono e/o chi dovrebbero essere?) che dovrebbero rappresentare e tutelare i loro interessi. È pertanto più forte che mai l’esigenza di un momento di riflessione e di approfondimento sui temi in precedenza tracciati. Valendoci di una “pausa” sul versante dei più volte annunciati disegni di legge delega di riforma dei processi civile e penale, vogliamo affinare idee e spunti da sottoporre all’attenzione dei colleghi e della politica perché tutti insieme ci si possa convincere, innanzitutto “culturalmente”, che la migliore

▲ folta partecipazione al Consiglio Nazionale ANF

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Il processo senza più prescrizione da gennaio 2020 operativa la riforma che ne modifica termini e operatività di Mario Scialla A gennaio del 2020 diverrà operativa la riforma della prescrizione del reato contenuta nell’art. 1, lett. d), e), f), della legge n. 3/2019 che interesserà gli artt. 158, 159, 160 del codice penale senza però cambiare l’assetto complessivo della disciplina dell’istituto, che rimane quello introdotto con la legge Cirielli, andando invece ad incidere sul decorso del termine di prescrizione del reato, modificando tanto il profilo del dies a quo che, soprattutto, quello del dies ad quem. Il nucleo della riforma risiede nella modifica dell’art. 159, comma 2 c.p., ove il corso della prescrizione rimane sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna, superando con ciò la riforma Orlando ed operando in maniera drastica, al punto da bloccare il corso della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado o il decreto di condanna, senza avere alcun riguardo al fatto che magari il giudizio di primo grado si sia concluso con una sentenza di assoluzione. A ben vedere, come opportunamente rilevato dalla migliore dottrina, tecnicamente non può parlarsi di vera e propria sospensione ma occorrerebbe utilizzare il termine di “blocco” della prescrizione. Se vogliamo essere più chiari, a beneficio di coloro i quali non hanno una grande dimestichezza con la materia, ne deriva che nessuna prescrizione potrà più maturare in appello o in Cassazione. Descritto così in estrema sintesi il “rimedio” che

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il legislatore ha previsto per “curare” il morbo della prescrizione, indubbia patologia del processo, verifichiamo in concreto se ne sortirà un effettivo vantaggio o se invece il rimedio rischia di essere peggiore del male. I dati circa il numero dei processi che incappa nella prescrizione evidenzia come una elevata percentuale maturi nel grado di appello (25%) mentre sono poco più dell’1% quelli che si prescrivono in Cassazione. L’elemento su cui riflettere, però, è che assai consistente (circa il 50%) è il numero delle prescrizioni dichiarate già durante le indagini preliminari e non è trascurabile neppure quello che interessa il primo grado (8%). Nel contempo occorre ricordare però che i reati che più allarmano l’opinione pubblica sono divenuti di fatto imprescrittibili, per una serie di nuovi provvedimenti normativi. E’ evidente allora che una siffatta patologia non potrà essere alleviata dalla riforma che potrebbe sortire benefici effetti solo dopo la sentenza di primo grado e quindi, nonostante una scelta così radicale, è sorprendente il fatto che non eroderà, se non in modesta percentuale, il numero dei processi che si concludono con una sentenza di prescrizione mentre è certo che procurerà gravissime lesioni dei diritti fondamentali, riconosciuti costituzionalmente. Si stima infatti che solo il 25% delle cause verrà interessata dalla riforma. Nel rapporto costi benefici occorre quindi tenere bene a mente questo rilievo, per giungere ad una valutazione mirata sull’opportunità della riforma e non essere contagiati dalla


mistificazione delle ragioni che starebbero alla base della stessa. Che tutta la prospettiva sia un po’ deformata lo si desume dal fatto che finanche un nobile ed antico istituto, come quello della continuazione del reato, rischia di snaturarsi. Infatti l’art. 158 comma 1, del codice penale, reintroduce la regola - che era stata eliminata dalla legge ex Cirielli che il reato continuato deve essere considerato unitariamente e quindi il decorso del termine della prescrizione rileva dal momento in cui è cessata la continuazione e non da quando è stato commesso ciascun reato di quelli compresi nella continuazione. L’effetto è sorprendente e per certi versi paradossale in quanto il reato continuato, fictio iuris tipica dell’ordinamento italiano, da sempre ritenuto ispirato al favor rei, rischia di non esserlo più in quanto in taluni casi eviterà la prescrizione del reato! L’aspetto che mi lascia più perplesso, però, è il fatto di non aver dato tempo alle profonde e per certi versi “storiche” innovazioni deflattive – alludo alla recente introduzione dell’irrilevanza del fatto per particolare tenuità e della messa alla prova – di esprimere i loro benefici effetti. Il legislatore degli scorsi anni era venuto infatti incontro alle istanze dell’Avvocatura: sospensione del processo a carico degli irreperibili, irrilevanza del fatto, messa alla prova, riforma della custodia cautelare, rivisitazione della legge sugli stupefacenti, notifiche telematiche e concordato in appello, figuravano nei decaloghi che i penalisti presentavano ad ogni Congresso Nazionale Forense (vedi in particolare quello tenutosi nel 2010 a Genova). Si era cominciato ad introdurre un nuovo linguaggio, che guardava anche alla persona offesa, da affiancare a quello “classico” imputatocentrico, consapevoli del fatto che il panpenalismo aveva portato a pessimi risultati anche per colpa di un ricorso eccessivo alla legislazione emergenziale. Dopo il grave errore commesso con l’abolizione della legge Gozzini e quindi con la deleteria

riduzione delle misure alternative e l’abuso della politica del c.d. “doppio binario”, si era tornati a riconsiderare la pena nel suo significato migliore, più proprio, quello costituzionalmente riconosciuto di recupero dell’autore del reato, con il dichiarato obiettivo di incidere sulla recidiva, riducendola come nel caso della messa alla prova.

Un inopportuno cambio di indirizzo Questi istituti non hanno avuto ancora il tempo di crescere – nonostante l’impegno di tanta parte dell’Avvocatura – e già si ricambia indirizzo! Perché non è difficile prevedere quale sarà lo scenario futuro: un imputato che sarà sempre imputato ed una parte civile che tale rimarrà a lungo, con i processi che, da un certo punto in poi, si concluderanno quasi per sfinimento. E’ per questo che ci siamo battuti in questi anni? Per far eseguire la pena a persone che non sono più da tempo quelle che hanno commesso i reati? Che magari si sono recuperate da ▲ Mario Scialla

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Il processo senza più prescrizione 10

sole? Per tradire conquiste importanti, quali la ragionevole durata del processo, che mai immaginavo sarebbero state sovvertite con un breve tratto di penna? Ma allora se il nostro ragionare ed argomentare comincia a giungere a solide certezze, che spingono a definire il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado come un provvedimento non utile, neppure funzionale ed addirittura assai dannoso, sorge naturale la domanda: perché si è ricorsi allo stesso? Temo, in realtà, che in un mondo dove l’immagine comincia a contare più della sostanza e lo slogan deve imbonire e sorprendere i cittadini, si finisce con il prediligere scelte ad effetto, simboliche: sono più utili allo Stato le prove di forza che il rispetto di garanzie e tradizioni che hanno connotato la nostra civiltà giuridica. La verità è che un ruggito è più apprezzato di una argomentata ed approfondita disquisizione. Mi spiego con un parallelismo: quello che è avvenuto ad aprile 2019 con l’esclusione del giudizio abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo è sintomatico del nuovo modo di ragionare di chi ci governa. Pur di lanciare un segnale di potenza che mira alla pena esemplare, più che a tendere al recupero del condannato, si è intervenuti in una materia che non ne aveva bisogno, ove si era ormai raggiunto un certo equilibrio: il 70 (nell’anno 2017) e l’80 per cento (nell’anno 2018) delle imputazioni per omicidio si risolveva in abbreviato, in tempi ragionevoli e con uno sforzo tutto sommato sostenibile del sistema giustizia che riusciva a trattare anche ponderosi processi senza i ritardi e gli squilibri che è facile prevedere si verificheranno a breve, quando le Corti d’Assise dovranno affrontare numerosi e complessi casi con il rito ordinario. Eppure non erano aumentati gli omicidi che, anzi, le statistiche davano in consistente calo ma, evidentemente, puntare sulle paure – vere o presunte – degli italiani è più facile per i nuovi giustizialisti, paga di più sull’opinione pubblica e comunque rappresenta una tentazione irrinunciabile.

La stessa cosa è avvenuta con la prescrizione: anzichè attendere i risultati delle precedenti riforme e creare l’humus adatto affinchè crescessero i germogli di fresca introduzione, si è nuovamente arato il terreno, per il gusto di farlo, senza piantare nulla ma semplicemente mirando solo a distruggere il pregresso. Eppure la giustizia penale è qualcosa di delicato che si regge su fragili equilibri, rappresentando un settore dove non si può intervenire in maniera radicale, eliminando garanzie millenarie come la prescrizione – quindi non inutili orpelli – che costituiscono anche insostituibili valvole di sfogo del sistema. Ed allora, se è questo il quadro che abbiamo descritto, sarebbe stato enormemente meglio muoversi nel solco dei lavori della Commissione Fiorella che, pur chiamata ad intervenire, su incarico dell’allora Ministro della Giustizia, per soddisfare le stesse esigenze che hanno mosso l’attuale legislatore, non faceva assolutamente scempio delle garanzie difensive. La drammaticità dei tempi che stiamo vivendo la cogliamo dal fatto che allo stato appare un miraggio anche la soluzione mediata proposta dal Prof. Spangher (che figura tra i centocinquanta accademici che hanno scritto il proprio nome nella raccolta firme organizzata dall’Unione delle Camere Penali contro il processo senza prescrizione, con ciò chiarendo bene quale sia il suo pensiero di fondo) per uscire dall’evidente empasse ed ottenere almeno un primo “onorevole” risultato: quello cioè che la sentenza di proscioglimento di primo grado non sospenderebbe la prescrizione che subirebbe però un arresto, nel caso in cui l’imputato prosciolto in primo grado venisse condannato in appello, evitando, così l’eventuale decorso della prescrizione nel giudizio di cassazione. Ma anche ciò, forse, avrebbe rappresentato qualcosa di troppo articolato, sofisticato e complesso nell’epoca della nuova barbarie del diritto.


Un algoritmo ci giudicherà? verso nuovi modi di risoluzione dei conflitti di Bruno Sazzini Un approccio critico. “Ogni nuova tecnologia esercita su di noi una lusinga molto potente, tramite la quale ci ipnotizza in uno stato di narcisistico torpore. Difatti una totale immersione nelle logiche mentali può condurre, inconsapevolmente, l’uomo ad una condizione di “idiota tecnologico” ovvero una sorta di narcosi ed intorpidimento in grado di far perdere la realtà. Se non abbiamo anticorpi intellettuali adatti, questo capita appena ne veniamo in contatto, e ci porta ad accettare come assiomi assoluti le assunzioni non neutrali intrinseche in quella tecnologia”. Il monito di McLuhan1 ci ricorda che nella valutazione del futuro digitale bisogna pensare da giuristi, per cogliere soprattutto le implicazioni critiche delle nuove realtà, in un confronto tra l’intelligenza (nel senso latino di “capire le cose”) umana e l’intelligenza Aumentata (applicazione nell’utilizzo delle informazioni)2 che possa suggerire efficaci contrappesi normativi. Al centro l’algoritmo. Il mondo digitale, come noto, si fonda sull’elaborazione delle informazioni (big data) che, più o meno volontariamente, rilasciamo o immettiamo nelle varie piattaforme on-line o in una qualsiasi machine learning3 e sulla loro

applicazione pratica sempre più pervasiva nella quotidianità collettiva e individuale. Le sintetiche osservazioni che seguono prestano particolare attenzione alla ricaduta sociale dei meccanismi di risoluzione dei conflitti (giudiziali e stragiudiziali): infatti, quale che sia il fine del mezzo digitale, si deve ricordare che non si tratta mai di scelte neutre in quanto suscettibili di incidere, fino a ridisegnarla, la struttura politico sociale di un Paese e di comprimere la libertà dei cittadini4. L’elaborazione dei dati acquisiti costituisce il cuore delle nuove soluzioni digitali e sulla sua trasparenza si misura la capacità (possibilità) di esercitare un controllo critico e una corretta valutazione politica: il rischio, infatti, è che l’algoritmo diventi, aldilà delle intenzioni, arma di distruzione matematica, generando disuguaglianze e minando la democrazia5.

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Un algoritmo ci giudicherà?

La giustizia predittiva. La definizione comprende due fenomeni diversi: la capacità delle macchine di elaborare previsioni su base statistica e quella di emettere giudizi (cd giudice robot)6 . Questa ultima ipotesi è la più affascinante, ma non basta sostenerla acriticamente per l’apparente rapidità e efficienza nella deflazione dei processi, perché presenta anche numerose controindicazioni: la tendenza ad una visione conservatrice delle decisioni, fondate solo sui precedenti, senza alcuna capacità creativa-interpretativa (non emergerebbero mai ad es. il concetto di danno biologico, di diritto all’oblio, o interpretazioni costituzionalmente orientate, ecc.); il pericolo di una logica proprietaria del processo, devoluto di fatto ai programmatori e alla società dominanti nel settore legal tech; il venir meno di ogni valutazione del caso concreto e particolare, rifacendosi solo a principi generali e astratti.7 La giustizia predittiva può essere uno strumento essenziale di conoscenza, con risultati sempre più raffinati, ma se sfocia in un giudizio standardizzato diventa fonte di sicura ingiustizia, con irrigidimento dei rapporti sociali in una sostanziale disumanizzazione, perché se le decisioni assumono un valore normativo si rischia di creare un effetto gregge, in quanto in esse il valore umano passerebbe in secondo piano.8_9

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Le alternative delle piattaforme digitali. La soluzione dei conflitti può essere anche sottratta dalla giurisdizione pubblica e/o locale, come accade, ad esempio, per molte piattaforme e-commerce o di prestazione di servizi. Il contenzioso, in questi casi, è normalmente ridotto ai minimi termini e quasi sempre a vantaggio del consumatore, perché l’obiettivo dei fornitori è quello, innanzitutto, di avere un feedback ottimale, forma di ulteriore pubblicità sull’affidabilità della piattaforma. I contenziosi che non vengono risolti sono devoluti a piattaforme digitali (Amazon, ad esempio,

per l’Europa utilizza l’ODR (online Dispute Alternative) della Comunità Europea, mentre le piattaforme social (Face Book, Instragram, ecc.) prevedono, come ipotesi residuale e solo per i Paesi europei, la possibilità adire la giurisdizione ordinaria da parte del consumatore-utente. L’atteggiamento friendly, però, è principalmente volto alla fidelizzazione degli utenti per poterne conservare la profilazione e acquisire sempre nuove informazioni, necessarie per reindirizzare proposte commerciali (o idee, messaggi, ecc.) affini alla sensibilità e agli interessi del consumatore, che finisce così per essere soprattutto un fornitore di dati (mucca da dati secondo la definizione di Harari)10.

Verso una società senza conflitti? Gli scenari futuribili ci rappresentano un mondo dove, con l’ausilio delle nuove tecnologie informatiche, si potranno capire e quindi controllare i sentimenti umani, spostando autorità dall’essere umano al computer, e inducendo la convinzione che le determinazioni individuali siano libere e autonome, quando invece sono il frutto di manipolazioni basate sull’estrapolazione dei dati personali, compresi quelli biometrici. In questa visione i conflitti saranno probabilmente inesistenti, perché ognuno sceglierà le opzioni migliori e soddisfacenti per sé nel lavoro, negli acquisti, nei sentimenti, nelle amicizie, in quanto i simili verrebbero aggregati in bubble filter 11 reali e non solo virtuali, elidendo in radice


Conclusione: il rapidissimo e incompleto excursus vuole sottolineare che ancor prima dello studio delle norme positive il giurista, nell’accezione più nobile del termine, ha anche il dovere di capire i rischi connessi alle nuove tecnologie, nella salvaguardia di quei valori che fanno parte del

suo bagaglio culturale (la libertà individuale, le scelte consapevoli, la formazione del consenso democratico, per citarne alcuni), senza cedere al luddismo né al maosimo digitale. Alla fine, nella comparazione e bilanciamento di tutti gli aspetti sociali, politici, economici e dei valori in gioco si tratterà di trovare un punto di equilibrio tra i vantaggi della digitalizzazione e i principi fondamentali, sempre che le soluzioni siano il frutto di scelte effettivamente libere e consapevoli , ma ciò non è detto, e allora, forse, si deve pensare dove e come resistere nella nuova società digitale.

NOTE 1.

M. McLuhan “Understanding Media. The Extensions of Man”

2. Preferisco questo termine ad intelligenza artificiale, con cui presuppone che la macchina pensi come un uomo. Forse ci arriveremo, ma ora parliamo di utilizzo dei dati. 3. Macchine munite di rete neurale artificiale capace di immagazzinare quantità illimitate di dati che, dopo un adeguato periodo di apprendimento, producono una soluzione o un giudizio. 4. “Le macchine saranno pure super partes ma a programmarle sono sempre gli uomini con le loro faziosità, le passioni, gli obiettivi occulti” M. Gaggi “Homo Premium” Laterza. 5. Cathy O’Neil “Armi di distruzione matematica” Bompiani. Nel libro sono citati numerosi esempi di distorsioni provocate da programmi o applicazioni digitali su, ad es., accesso ai mutui, determinazione di cauzioni nel penale, ecc. 6. M. Traversi “Intelligenza artificiale applicata alla giustizia: ci sarà un giudice robot” Questione giustizia n. 2/2019. 7. Sul punto Dalfino “Stupidità (non solo artificiale), predittività e processo, in Questione Giustizia n. 2/2019. 8. Siffatti sistemi, se di grande aiuto nelle soluzioni note, portano con sé un inaridimento della prassi giuridica. Il giurista vive immerso nella realtà sociale e culturale, traendone continuo stimolo e ricerca di nuove prospettive” V. Bechini “Intelligenza artificiale per avvocati e notai: rischi e opportunità” Altalex, 2018. 9. Così Garapon e Lassague in Justice Digitale segnalato da Dalfino op. citata 10. “ il datismo (religione dei dati) sostiene che l’universo consiste in flussi di dati e che il valore di ciascun fenomeno o entità è determinato dal suo contributo all’elaborazione dati” N. Harari, Homo Deus, Bompiani. 11. La bolla di filtraggio è il prodotto delle profilazioni dei risultati delle ricerche sui siti e piattaforme che registrano la storia dell’utente. L’effetto è quello di escluderlo da informazioni che siano in contrasto con il suo punto di vista eliminandole dalla sua bolla, garantendo l’interazione solo con gli affini. 12. L. Berti “Social credit sistem”, in Network Digital 360.

Un algoritmo ci giudicherà?

la possibilità di contrasti sociali e personali. Questo scorcio di fantascienza, però, è meno lontano di quanto si possa pensare: infatti in Cina si sta sperimentato dal 2007 un sistema di valutazione sociale profilando persone, aziende ed enti per l’acquisizione di informazioni relative, ad esempio, alla regolarità nei pagamenti, ai comportamenti pubblici, alle sanzioni ricevute e altro per permettere così l’accesso a benefit pubblici (andare all’Università, maggiore assistenza medica ecc.) ma anche privata (facilità nell’ accesso al credito, minori garanzie , sconti su prodotti, ecc.), Il cd. Social Credit Sistem prevede 4 aree di monitoraggio fondamentali: “l’onestà negli atti di governo”, “l’integrità commerciale e sociale”, la “credibilità giudiziaria” e già da questo elenco si può intuire come il controllo sia penetrante e orientato quasi esclusivamente sulla sfera pubblica. In altri termini lo Stato premia l’assenza di casi di corruzione o collusione, la fede pubblica e il buon nome commerciale, l’agire o resistere temerariamente in giudizio con l’intento in innescare un meccanismo virtuoso per cui il raggiungimento di un elevato rating sociale dovrebbe eliminare condotte illecite o conflitti.12 Con tutte le cautele del caso, perchè per ora è stato sperimentato solo in alcune regioni cinesi, si tratta di un esempio inquietante perché è la rappresentazione estrema del ribaltamento di valori, dove la libertà individuale, e la sua tutela, viene sostituita dal conformismo silenzioso controllato dallo Stato, e del passaggio dalla democrazia, come la conosciamo, ad una vera e propria dittatura digitale.

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L’esperienza della legge e l’intelligenza artificiale di Giampaolo Di Marco

molti tradizionali istituti giuridici stentano ad adattarsi ai tempi nuovi che richiedono risposte celeri e presuntivamente affidabili Mentre molti si interrogano e affrontano il tema dell’intelligenza artificiale - applicata a tutti i settori del vivere civile, in particolare quelli economici e della vita quotidiana - atta a supplire ed agevolare le tradizionali funzioni fisiche, intellettuali e meccaniche oggi svolte ancora in parte dall’uomo, pur se con l’ausilio di mezzi meccanici e digitali, vale ancor più riflettere sulla sua utilizzabilità e/o utilità nel settore del diritto. Il Comitato Economico e Sociale Europeo, poi, nel parere del maggio 2017, occupandosi delle conseguenze dell’intelligenza artificiale sul mercato (digitale), sulla produzione, sul

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consumo, sull’occupazione e sulla società, ha individuato almeno 11 settori, per i quali l’Intelligenza Artificiale pone nuovi problemi sul piano sociale, economico e giuridico: l’etica, la sicurezza, la privacy, la trasparenza e la rendicontabilità, il lavoro, l’istruzione, l’uguaglianza e la inclusività, le disposizioni legislative e regolamentari, la governance e la democrazia, la guerra e la c.d. “superintelligenza”. E ancora, la “Risoluzione del Parlamento Europeo su una politica industriale europea globale in materia di robotica e intelligenza artificiale” afferma che “l’intelligenza artificiale costituisce una delle tecnologie strategiche del XXI secolo sia a livello globale che europeo, in quanto favorisce un cambiamento positivo per l’economia europea, promuovendo l’innovazione, la produttività, la competitività e il benessere” (lett. D). Se ne parla poco, ma già esiste anche una carta etica europea sull’uso dell’intelligenza artificiale denominata “Progetto di orientamenti etici per un’IA affidabile”. Il tumulto normativo di questi ultimi anni ci ha restituito i tradizionali istituti giuridici del nostro ordinamento piuttosto logori alla prova della velocità centripeta della modernità: contratto, processo, autonomia privata, diritti fondamentali. Molti di questi stentano ad adattarsi ai tempi nuovi, essendo nati e talvolta modificati in momenti storici in cui il Paese e il suo ordinamento riuscivano a determinare molti dei confini necessari del vivere civile. Nel 1998 Natalino Irti affrontava il tema del passaggio, in termini di autonomia privata, dall’homo sapiens all’ homo videns e si interrogava sulla formazione della volontà nella conclusione di contratti nei tempi moderni. Anche in precedenza non sono mancanti avanguardistici spunti di riflessione sul rapporto uomo-macchina. Nel 1901 Antonio Cicu scriveva il saggio “Gli automi nel Diritto


privato”, nel quale si interrogava su come un distributore automatico rendesse possibile l’esecuzione di una prestazione senza l’intervento dell’uomo. E ancora, negli ultimi anni l’intelligenza artificiale è passata da tema futuribile ad argomento, e da essa potrebbe seguirne la questione dell’(ab)uso corrente, come scrive U. Ruffolo nei “Fondamenti di un Diritto della robotica self-learning; dalla machinery produttiva dell’auto driverless: verso una responsabilità da algoritmo?”. Corre il pensiero, ad esempio, alla tematica della riservatezza che, sostanzialmente ignorata o, comunque, grandemente sottovalutata in un’economia a matrice prevalentemente agraria, è stata oggetto di progressivo interessamento da parte del legislatore sino a diventare (in un’epoca in cui l’informazione o il dato tendono a trasformarsi in una vera e propria merce di oggettivazione dello scambio commerciale), una necessaria protagonista dei testi normativi.

Esigenza di confini morali e normativi Sono trascorsi molti anni da quelle illuminanti intuizioni che si sono concentrate sul futuro del processo di formazione della volontà in ambito contrattuale e viene da chiedersi, quindi, se nel nuovo baricentro dell’autonomia privata, proiettato anche nella fase patologica dei rapporti giuridici, sia corretto affrontare il tema della comunicazione digitale, dell’intelligenza artificiale e di un sistema etico che ne determini preventivamente i confini morali ancor prima che normativi. La spinta verso l’immediato e la necessità tommasea di vedere e capire solo attraverso strumenti in grado di fornirci risposte celeri e presuntivamente affidabili, ad esempio, non pone più interrogativi sulla validità ex post dei negozi, ma sulla correttezza dei metodi di formazione della volontà ex ante e, quindi, sulla necessità di riflessioni adeguate sul rapporto tra comunicazione, autonomia privata (rectius negoziale) e uso dell’intelligenza artificiale in tale ambito.

Del resto, l’evanescente confine che separa la trattativa dal perfezionamento dell’accordo, che poi alimenta il dibattito sulla responsabilità precontrattuale, è affrontato a tratti alterni dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha avuto occasione di rimeditare talune conclusioni cui era precedentemente approdata, se non addirittura di rivoluzionare degli istituti di diritto pretorio. Così, ad esempio, la figura del preliminare di preliminare, tradizionalmente tacciata di nullità per difetto di causa (Cass. civ., sez. 02.04.2009, n. 8038), è stata rivalutata e legittimata per l’ipotesi in cui le parti, all’atto della stipulazione, debbano ancora completare la negoziazione su profili negoziali che si riservano di definire con il compromesso (Cass. civ., S.U., 06.03.2015, n. 4628). Del pari, la puntuazione, intesa come accordo su tutti gli elementi essenziali del contratto, con la sola eccezione di quelli occasionali, per i quali i contraenti hanno differito la contrattazione, è stata reputata priva di dignità contrattuale (Cass. civ., sez. III, 11.05.2010, n. 11371), ma, al contempo, ben può essere apprezzata quale premessa per l’insorgenza di una sorta di dovere alla contrattazione, foriero, in ipotesi di trasgressione, di nuove forme di responsabilità. L’intelligenza artificiale, poi, potrebbe aiutare il giudice penale o civile nell’individuazione del comportamento alternativo lecito che l’imputato ovvero il responsabile civile avrebbero dovuto tenere per evitare l’imputazione criminale ovvero l’attribuzione di una responsabilità risarcitoria di carattere colposo per la produzione di danni a terzi.

Intelligenza artificiale e tutela dei diritti Le prospettive aperte dalle ultime frontiere della digitalizzazione e, in modo particolare, il loro impatto, non sempre tranquillizzante, sulla tutela dei diritti umani, sono state colte, come già detto, dal Consiglio d’Europa, il quale ha realizzato il primo testo - che definiremmo a 15


L’esperienza della legge e l’intelligenza artificiale 16

“carattere normativo” - della storia sulla tematica dell’intelligenza artificiale, promulgando una carta etica destinata ad integrare la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e, più nel dettaglio, la Convenzione per la protezione dei dati personali. Tale articolato normativo, secondo gli estensori, è precipuamente rivolto alle imprese di nuova generazione che si cimentino nell’elaborazione di piattaforme telematiche di servizi, che ideino nuovi strumenti informativi, nonché alle autorità nazionali investite di poteri regolatori della materia. Da esso emergono taluni principi fondamentali che devono governare le aree economiche e gli interventi normativi afferenti l’intelligenza artificiale, così sintetizzabili: 1. rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali della persona umana, non potendo alcuna applicazione porsi in contrasto con essi, neppure qualora il diretto interessato lo consenta espressamente; 2. divieto di discriminazione, il quale, per un verso, bandisce sistemi direttamente rivolti a penalizzare un individuo per la sua appartenenza ad un gruppo sociale, etnico, culturale o religioso e, per l’altro, impone l’uso di dispositivi orientati ad evitare che i dati esternati dal cittadino o dal cliente nell’impiego dei mezzi elettronici possano essere utlilizzati da terzi per finalità illegittime; 3. principi di qualità e di sicurezza, che obbliga i gestori all’utilizzo di fonti certificate, suffragate dal contributo multisettoriale delle varie competenze tecniche e specialistiche al momento disponibili. Assurge al livello di mera raccomandazione, invece, che la processazione dei dati avvenga in virtù di certificati originali e tali da rimanere integri e verificabili in ogni fase; 4. criterio di precauzione, che suggerisce, nel caso di incertezza, la scelta per la soluzione che offra all’utente il maggior grado di sicurezza;

5. trasparenza, imparzialità e correttezza, da cui discende che gli algoritmi adoperati per le decisioni giudiziali siano comprensibili a tutti gli operatori del settore e siano ricostruibili e verificabili anche posteriormente al loro impiego; 6. garanzia del controllo umano, secondo cui l’operatore giuridico deve essere in grado di recuperare il pieno governo e controllo del sistema e, dunque, di assumere decisioni sino a quel momento compiute dalla macchina. In questo contesto, il giudice si pone nella posizione di fruitore dell’intelligenza artificiale, nel senso che ottiene dall’automa un suggerimento sulla modalità per la risoluzione della controversia. L’intelligenza artificiale in ambito giudiziale, pertanto, non si configura, o almeno così sembrerebbe dover essere, come una delega o uno spogliarsi dei poteri tradizionalmente affidati al giudice, bensì nella creazione di uno strumento artificiale di supporto alla logica giuridica che guida la decisione. Come scriveva Pasquale Serrao D’Aquino nell’articolo “Digito ergo sum”, il mercato planetario del mio Io digitale è frutto avvelenato della mia volontà. Nessuno mi obbliga. Il piacere rapidamente diventa necessità, e mi comanda. In tal senso, quindi, la professione forense dovrà tenere conto di questi nuovi approcci metodologici sia su base organizzativa, sia per quanto attiene i rapporti con la magistratura. Il futuro non corre, ci viene incontro, sta a noi avere la forza e la capacità di accoglierlo rispetto al passato, il quale altro non è che il futuro di allora che abbiamo avuto il coraggio di vivere nel presente di ieri.


L’ Avvocato 4.0, ovvero nuove strategie di riforma della professione forense di Francesco Mazzella

aggregazioni, collaborazioni e specializzazioni rappresentano il cambiamento dell'archetipo dell'avvocato fin qui privilegiato

“La nostra idea di avvocato ne contiene tante”, è questa la frase che introduce ed accompagna il format “Avvocato 4.0” in giro per l’Italia, nelle sedi territoriali delle associazioni aderenti all’Associazione Nazionale Forense, e che racconta la necessità di un cambio di paradigma che possa favorire l’evoluzione dell’avvocatura italiana ed il superamento di quelle resistenze al “cambiamento” che, costantemente, si manifestano nella mondo forense. Resistenze che certo non rispondono all’esigenza di adeguare la professione forense alle caratteristiche dell’epoca contemporanea, ma che trovano giustificazione solo nel tentativo di preservare il ricordo di una nobile e gloriosa tradizione. L’eliminazione di quegli ostacoli normativi che non consentono il facile accesso ed il diffondersi dell’utilizzo di strumenti innovativi nell’esercizio della professione come le aggregazioni, le collaborazioni e le specializzazioni rappresentano un fondamentale impegno per l’Associazione. La sensibilizzazione verso una visione diversa dell’archetipo di Avvocato, che vada anche oltre le caratteristiche dell’Avvocato che tradizionalmente esercita la professione in modo individualista, generalista, privo di ambiti di competenza specifichi, elemento imprescindibile al processo organizzativo dello studio, costituisce la sfida culturale che l’Associazione ha accettato. La paura di modificare tratti rilevanti dell’identità forense, che da tempo contraddistinguono l’esercizio della professione, non favorisce, anzi ostacola, quello sforzo di contemperamento, avvertito come necessario dall’Associazione, che cerca di rendere compatibili le caratteristiche di autonomia ed indipendenza dell’Avvocatura, con le caratteristiche dei processi organizzativi complessi, sempre più necessari a garantire l’offerta di prestazioni

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professionali in linea con le esigenza della clientela e del mercato professionale.

Occorre una riforma della “riforma” Si avverte la necessità di una riforma della “riforma professionale”, che possa migliorare il contesto normativo attraverso un’armonizzazione delle discipline esistenti e che possa con-

tribuire a creare un assetto ordinamentale che favorisca l’esercizio della professione, nel senso che garantisca agli avvocati italiani di poter, liberamente, scegliere tra gli strumenti organizzativi ritenuti più utili per il proprio percorso professionale, e ciò senza incorrere in criticità di carattere fiscale e previdenziale, che penalizzano, sotto il profilo economico, ogni tentativo di

L’Avvocato nel quadro di innovazione della Professione Forense – Rapporto 2019

Il reddito degli iscritti agli albi e alla Cassa Forense, 2017 (v.a. e %)

L’Avvocato 4.0, ovvero nuove strategie di riforma della professione forense

Reddito professionale medio dichiarato ai fini IRPEF per il 2017

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v.a. (in euro)

% rispetto al dato totale

Avvocati iscritti agli albi forensi

38.599

99,9

Avvocati attivi iscritti alla Cassa Forense

37.449

97,0

Avvocati iscritti alla Cassa Forense

38.620

100,0

51.827 23.357 11.636 14.498 21.212 29.116 40.290 51.750 62.251 69.831 54.478 33.659 55.775 52.777 23.205

134,2 60,5 30,1 37,5 54,9 75,4 104,3 134,0 161,2 180,8 141,1 87,2 144,4 136,7 60,1

Regione a più alto reddito - Lombardia

67.523

174,8

Regione a più basso reddito - Calabria

17.985

46,6

uomini donne meno di 30 anni 30-34 anni 35-39 anni 40-44 anni 45-49 anni 50-54 anni 55-59 anni 60-64 anni 65-69 anni 70-74 anni Nord Centro Sud e Isole

Fonte: elaborazione Censis su dati Cassa Forense


registrare, serie difficoltà economiche legate al'abbassamento della redditività delle prestazioni professionali connesse al tradizionale ambito giurisdizionale; serie difficoltà economiche che minano le caratteristiche tipiche della professione forense ovvero quell'autonomia ed indipendenza che per essere tali non possono che essere, preliminarmente, autonomia ed indipendenza economica. Ancora una volta, i dati raccolti dal Rapporto CENSIS commissionato da Cassa Forense restituiscono un quadro desolante delle diseguaglianze reddituali presenti all’interno della categoria, che vede gli Avvocati al di sotto dei 44 anni - che ne rappresentano oramai quasi il 50 % - stabilmente sotto il reddito medio complessivo di 38.599 euro (vedi tab .2 - Il reddito degli iscritti agli Albi e alla Cassa Forense 2017). Dati reddituali che si contrappongono, in modo netto, con i fini perseguiti dalla riforma professionale, come individuati dalla L. n. 247/2012 e, in particolare, alla lettera d) dell’art. 1, II comma, dove, espressamente, si stabilisce che l’ordinamento forense “favorisce l’ingresso alla professione di avvocato e l’accesso alla stessa, in particolare alle giovani generazioni, con criteri di valorizzazione del merito”.

L’AVVOCATO ED IL DIGITALE

Pillole di saggezza 4.0 Occorre una nuova consapevolezza del digitale Il digitale non è una opzione, il digitale è una necessità Il futuro sarà ancora più digitale Se non si adegua il professionista al digitale, ad adeguarsi sarà comunque il cliente

L’Avvocato 4.0, ovvero nuove strategie di riforma della professione forense

crescita dimensionale degli studi legali. Nel contempo, il format Avvocato 4.0 è anche un momento di sensibilizzazione e di conoscenza di strumenti organizzativi e tecnologici, da tempo utilizzati nei processi produttivi, che già sono a disposizione degli avvocati e che possono contribuire a rendere più efficiente lo svolgimento dell’attività professionale. Investire nell’organizzazione dello studio attraverso lo sviluppo di competenze organizzative e l’utilizzo di strumenti che misurino le performance e favoriscano la programmazione del lavoro, passa attraverso la consapevolezza della necessità di dotarsi delle c.d. soft skill ovvero di quelle competenze trasversali sempre più richieste nel mondo del lavoro, da affiancare, necessariamente, al patrimonio di conoscenza giuridica. Investire nell’innovazione tecnologica e negli applicativi caratterizzati dall’intelligenza artificiale può consentire di rendere più direttamente funzionali i progressi della tecnica e di ottimizzare i processi lavorativi attraverso l’eliminazione delle attività routinarie e con il recupero del fattore tempo da destinare ad attività ritenute strategiche. Gli investimenti strategici che possono accompagnare i processi di riorganizzazione, di strutturazione e di crescita dimensionale degli studi professionali possono essere sostenuti, tra l’altro, dalle risorse economiche dei Fondi Strutturali europei, dal momento che l’autoimprenditorialità e la digitalizzazione sono temi presenti nella Programmazione europea ed, in particolare, nell’ambito del Piano di Azione per l’Imprenditorialità 2020, alla cui elaborazione l’Associazione ha contribuito, svolgendo un ruolo di stimolo nell’individuazione delle linee guida sulle priorità per le libere professioni europee. Investimenti che possono rappresentare, nell'immediato, risposte concrete per quelle componenti dell'avvocatura italiana che hanno registrato, in questi anni, e che continuano a

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L’Avvocato nel quadro di innovazione della Professione Forense – Rapporto 2019

Opinioni degli avvocati sull’equo compenso, misura che tutela la professione forense da clausole vessatorie imposte da clienti cosiddetti forti , a circa un anno dalla sua introduzione (%)

L’Avvocato 4.0, ovvero nuove strategie di riforma della professione forense

D’accordo

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Non d’accordo

L’equo compenso non ha comunque eliminato lo squilibrio fra avvocato e cliente, soprattutto per ciò che riguarda i tempi di pagamento

89,4

La vera garanzia per l’avvocato è data dai parametri del DM 55 del 2014, inseriti nell’art. 13 comma 6 della Legge Forense, che limita la discrezionalità dei giudici

71,2

Il provvedimento è stato in parte efficace, perché la valutazione della quantità e della qualità del lavoro del professionista è comunque demandata al giudice

45,4

Il provvedimento è stato efficace, perché ha ridotto la diffusione di clausole vessatorie da parte di “clienti forti”

35,3

10,6

28,8

54,6

64,7

Fonte: Indagine Censis 2019

Avvocato in Costituzione ed equo compenso non eliminano le diseguaglianze reddituali Dati reddituali che non hanno beneficiato, in alcun modo, dell’introduzione dell’art. 13/bis della L. n. 247/2012 ovvero dall’approvazione del c.d. “equo compenso”, contrariamente ai pubblici proclami con i quali è stata salutata la fuga in avanti tentata dall’avvocatura nell’autunno del

2017. Ed in proposito il Rapporto CENSIS ci restituisce l’impietosa e critica opinione degli avvocati italiani sulla tutela del c.d. “equo compenso”, a circa un anno dalla sua introduzione, che evidenzia l’inefficacia della norma e l’inadeguatezza della tutela apprestata dall’ordinamento che, com’era evidente dalla lettura della proposta normativa, conteneva, come contiene, una serie di criticità


ed il livello delle prestazioni professionali - per giustificare la restrizione sulle tariffe, onerando invece lo Stato membro di fornire la prova che tale obiettivo non è perseguibile mediante altri strumenti normativi. Sarebbe il caso di interrogarsi sull’opportunità di perseverare in progetti politici di indubbio fascino comunicativo e di facile acclamazione per le platee congressuali - ma che, alla prova dei fatti, non producono effetti concreti sulla capacità di produrre redditi degli avvocati - e di valutare, invece, la necessità di modificare l’assetto ordinamentale, tra l'altro già oggetto di autonomi interventi modificativi da parte del Legislatore, per creare quelle condizioni normative che possano consentire l'utilizzo di strumenti organizzativi utili ad esercitare la professione in linea con il contesto socio-economico contemporaneo e con le mutate esigenze della clientela, che negli ultimi decenni hanno subito una radicale trasformazione. Le aggregazioni, le collaborazioni e le specializzazioni rappresentano, pertanto, strumenti da valorizzare attraverso normative non ostili, dal momento che, attraverso la diffusione di questa possibilità - da offrire alla libera scelta dei colleghi - passa l’evoluzione dell’avvocato e si producono concrete risposte alle diffuse esigenze di cambiamento. Ma si sa che il cambiamento “pochi lo capiscono, pochissimi lo approvano, quasi nessuno lo desidera”.

L’Avvocato 4.0, ovvero nuove strategie di riforma della professione forense

che non avrebbe consentito un’ampia applicazione della stessa: sia per il ristretto ambito soggettivo cui è rivolta, sia per la tipologia dei rimedi previsti, sia, infine, per la facile elusione dei presupposti richiesti. Né diversa sorte, sull’andamento dei redditi degli avvocati italiani, si verrebbe a determinare con l’approvazione del progetto “Avvocato in Costituzione”, coltivato dal Consiglio Nazionale Forense ed oggetto della discussa acclamazione allo scorso Congresso Nazionale Forense di Catania. Sullo sfondo resta la suggestione da sempre inseguita dalla governance dell’avvocatura italiana, condivisa in tanti ambiti del ceto professionale italiano, che individua un’unica soluzione alle difficoltà economiche che i liberi professionisti affrontano, quotidianamente, nel nuovo contesto economico ovvero la reintroduzione dei “minimi” tariffari. Merita di essere, in proposito, segnalata la recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza ‘Causa C-377/17’), che ha condannato la Repubblica Federale di Germania per aver previsto tariffe obbligatorie in ambito di servizi di progettazione e per aver violato la Direttiva 2006/123 e l’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. La Corte ha avuto modo di precisare che non è sufficiente ricorrere a ‘ragioni imperative di interesse generale’ e sostenere che attraverso l’introduzione della tariffa minima si garantisce la qualità

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Il contratto di rete per le professioni: una soluzione possibile ed auspicabile di Nicoletta Grassi

c’è necessità di modifiche normative che consentano ai lavoratori autonomi di dare vita a reti professionali

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Da ormai un decennio a questa parte è in atto un profondo mutamento nel mondo delle professioni. Al di là della crisi economica che si è sviluppata dal 2008, è emersa la necessità, da parte dei professionisti, di dotarsi di strumenti innovativi per cercare di mantenere e sviluppare la propria attività. Questa necessaria rivisitazione sul come svolgere la professione è stata stimolata in particolare dall’emersione della domanda di specializzazione da parte del mercato di riferimento e, soprattutto, dalla necessità di aggregarsi in forme più o meno strutturate per essere più performanti nella offerta dei servizi. Lo studio annuale compiuto da Confprofessioni per l’anno 2017 ha evidenziato che la percentuale di lavoratori autonomi che esercitano la professione in forma individuale è pari al 66% del totale, a fronte del 10% e del 22% dei professionisti che la esercitano, rispettivamente, in forma associata e in forma societaria; solo per quelli ordinistici, il 75% dei professionisti opta per la forma individuale, il 13% per quella associata e l’11 % per quella societaria. I lavoratori autonomi, ordinistici e non ordinistici, sono stati equiparati dall’Europa, con la raccomandazione del 06.05.03 n.ro 2003/361/CE, alle imprese, in quanto entità esercenti attività economica e detta equiparazione è entrata nel nostro ordinamento con la legge 22 maggio 2017, n. 81 (Jobs Act dei lavoratori autonomi). È indubbio, quindi, che le professioni debbano rivedere i propri ruoli tradizionali, e questo in una accezione positiva. Vi sono più strumenti a disposizione in un mondo in rapida mutazione dove l’innovazione dell’organizzazione e degli strumenti di lavoro assume sempre maggiore importanza. I professionisti ordinistici hanno oggi la possibilità di svolgere la professione in forma individuale, aggregata in


associazioni professionali ed in società, segnatamente in STP e STA per quanto riguarda gli avvocati. Questi modelli sono però ancora poco diffusi sia per la natura culturalmente individualista di chi esercita la libera professione, sia per i limiti normativi e statutari dei modelli esistenti. Vi è da aggiungere che queste forme tradizionali consentono l’aggregazione preferibilmente con soggetti che esercitano la stessa professione. Maggiori complessità, sul piano fiscale e previdenziale, sorgono, qualora si pensi di creare aggregazioni multidisciplinari. Peccato, però, che sia proprio quella multidisciplinare, per diversa area di competenza e di specializzazione, la forma di aggregazione di cui si sente maggiormente il bisogno e che potrebbe essere lo strumento di sviluppo e di crescita del mondo delle professioni.

Specializzazioni ed organizzazione gli asset portanti Il posizionamento strategico dello studio professionale dovrà inevitabilmente passare da un mutamento del modello di business. L’avvocato dovrà ripensare la propria visione di sé, passando anche attraverso una nuova organizzazione dei processi di lavoro. La specializzazione sarà uno degli asset portanti del proprio posizionamento sul mercato e l’aggregazione tra soggetti con competenze verticali molto approfondite e con relazioni orizzontali di collaborazione e di fiducia costituirà un elemento di potenziamento della offerta rispetto agli altri competitors. Si aggiunga che dalle ricerche svolte dalle casse nazionali di previdenza e assistenza (per esempio, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti), chi esercita la professione in forma associata ha un reddito superiore di quasi due volte e mezzo rispetto a colui che esercita la professione in forma individuale. Questi sono alcuni dei motivi per cui lo strumento del contratto di rete potrebbe essere la risposta e la soluzione a questa esigenza

di aggregazione, con ricadute positive anche sull’economia nazionale. Il contratto di rete è stato introdotto nell’ordinamento con l’art 3, commi 4 ter e seguenti, del DL 10 febbraio 2009, n. 5, recante “Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi”, convertito con la legge 9 aprile 2009, n. 33. Successivamente, alla luce delle esigenze e delle evoluzioni applicative del contratto stesso, sono intervenute modifiche e integrazioni con: la L. 23 luglio 2009, n. 99, la L. 30 luglio 2010, n. 122, di conversione del DL 78/2010 (“decreto competitività”), la L. 134/2012, di conversione del DL 83/2012 (“Decreto crescita”), la L. 17 dicembre 2012, n. 121, di conversione del decreto legge 179/2012 (“Decreto crescita bis”), la L. 28 luglio 2016, n. 154. I soggetti che fanno rete sono gli “imprenditori” che intendono “accrescere individualmente e collettivamente la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”. L’art 4 quater della L. 33/2009 stabilisce che “il contratto di rete è soggetto alla iscrizione nella sezione del registro imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l’efficacia del contratto comincia a decorrere quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari “ o, nel caso di rete soggetto, “ la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede”. La pubblicità presso il registro imprese della Camera di Commercio ha pertanto efficacia costitutiva sia per la rete contratto che per la rete soggetto. L’art 12, co. 2, della L. 22 maggio 2017, n. 81 (Job’s act per i lavoratori autonomi), prevede che “Ai fini dell’accesso ai piani operativi regionali e nazionali a valere sui fondi strutturali europei, i soggetti di cui al presente capo sono equiparati alle piccole e medie imprese”. Il successivo comma 3, lettera A, stabilisce che “Al fine di consentire la partecipazione ai bandi e concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti privati, è riconosciuta ai soggetti che svolgono attività professionale, a prescindere

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Il contratto di rete, una soluzione possibile ed auspicabile

dalla forma giuridica rivestita, la possibilità a) di costituire reti di esercenti la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste, di cui all’articolo 3, commi 4-ter e seguenti, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, con accesso alle relative provvidenze in materia”.

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Urgono modifiche legislative I lavoratori autonomi possono dunque partecipare ai bandi e concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti privati, ed anche, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la possibilità di costituire reti di esercenti la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste. Tuttavia, la Legge n. 33 del 2009, con le modifiche successive, come abbiamo indicato in precedenza, prevede una pubblicità costitutiva data dalla iscrizione a margine di ciascuna posizione del registro imprese di ogni imprenditore che fa parte della rete. È di tutta evidenza che, non essendo iscritti alla Camera di Commercio, i lavoratori autonomi non possano assolvere all’obbligo pubblicitario richiesto dalla norma sulle reti. A seguito di numerose richieste avanzate dalle Camere di Commercio e da associazioni di categoria, come Confcommercio Lombardia, il Ministero dello Sviluppo e dell’Economia, in data 30 luglio 2018, ha emanato una circolare (n. 3707/C) chiarificatrice sul punto. Il Ministero dà atto che la normativa del Jobs act si riferisce ai rapporti di lavoro autonomo disciplinati dall’art 2222 cc, con esclusione degli imprenditori e dei piccoli imprenditori di cui all’art. 2083 cc. Poiché, dunque, i lavoratori autonomi non sono dotati di una propria ed autonoma posizione presso il registro imprese, ne deriva che “a fini pubblicitari appare possibile la sola creazione di contratti di rete misti (imprenditoriali-professionali) dotati di soggettività giuridica come descritti al

comma 4 quater dell’art 3 della Legge 33/2009”. Di fatto, quindi, secondo la interpretazione del MISE, i lavoratori autonomi potranno costituire unicamente reti soggetto miste, cioè con la presenza di imprenditori, in quanto la rete soggetto non richiede la iscrizione della costituzione della rete sulla posizione di ogni retista ma solo presso la sede legale della rete. Si potrebbe, tuttavia, valutare il fatto che, proprio perché la rete soggetto assume una propria autonomia soggettiva, e quindi anche fiscale, nel momento in cui a fare parte della rete fossero solo lavoratori autonomi nascerebbe un nuovo soggetto, la rete appunto, che potrebbe iscriversi presso il registro imprese con una identità propria. Sarebbe allora opportuna una modifica normativa che consentisse anche ai lavoratori autonomi di costituirsi in rete. In particolare, per gli avvocati, occorrerebbe modificare anche la legge ordinamentale che regola l’esercizio della professione forense (L. 31.12.2012, n. 247) per consentire il libero ricorso allo strumento rete, svincolandolo dai limiti di cui alle STA. Aprire all’aggregazione in rete significherebbe consentire ai lavoratori autonomi di fare ricorso ad uno strumento tecnico-formale più agile e più dinamico nei contenuti rispetto a quelli già esistenti, superando anche le problematiche di carattere fiscale e previdenziale. Si favorirebbero le aggregazioni multidisciplinari dando loro una spinta propulsiva a livello economico ed organizzativo, favorendo nuove sinergie più sostenibili anche da punto di vista dei costi e degli ambiti specialistici di sviluppo. Dunque, nuovi modelli organizzativi per una sfida di innovazione a cui le libere professioni, oggi, non possono più sottrarsi. Il Futuro è già qui!


Incentivi e disincentivi all’aggregazione professionale di Paola Piantedosi

la normativa tributaria e fiscale penalizza le associazioni di professionisti Negli ultimi anni si sono succeduti più interventi legislativi che hanno interessato il mondo delle libere professioni, non sempre però univocamente orientati. Pur se è stata, infatti, riconosciuta la possibilità di esercitare la professione in forma associata, con diverse modalità, le norme fiscali, anche di recente emanazione, continuano a rappresentare un grave ostacolo all’aggregazione, rallentando di fatto l’adeguatezza dell’attività professionale alle mutate esigenze del mondo economico. Il rapido cambiamento del sistema economico e sociale in sempre crescente evoluzione sta rendendo imprescindibile una maggiore specializzazione nel mondo delle professioni, mostrando l’inadeguatezza del modello atomistico. Una recente analisi condotta dal Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e

dalla Fondazione nazionale dei Commercialisti ha acclarato, infatti, l’ineludibilità del processo di aggregazione e digitalizzazione degli studi professionali, indispensabile al fine di poter rispondere prontamente alle mutate esigenze ambientali. Conoscenza e competenza professionali, aggiornamento costante e specializzazione sono ormai fondamentali per poter operare nel contesto economico attuale. Esigenze che impongono, pertanto, la cooperazione intellettuale. L’aggregazione professionale consente invero di operare in team, avvalendosi della sinergia di più professionisti specializzati, in grado di rispondere in maniera efficace ed efficiente alle diverse esigenze ed alle problematiche della clientela, permettendo al contempo di attuare economie di scala, con conseguente contenimento dei costi di gestione dello studio. Le crescenti competenze e maggiori specializzazioni richieste dal mercato stimolano, quindi, i professionisti ad aggregarsi in studi multidisciplinari, con organizzazioni che tendono al modello imprenditoriale1. Il principale ostacolo all’ammissibilità delle diverse tipologie aggregative era stato, nel passato, individuato nella connotazione propria della figura del “professionista intellettuale”, come disciplinata dagli artt. 2229-2238 c.c. Il carattere rigorosamente personale del prestatore d’opera professionale, prescritto dall’art. 2232 c.c.2 in contrapposizione a quello del prestatore d’opera, rendeva, difatti, difficilmente conciliabile l’esercizio in comune delle professioni intellettuali con l’impersonalità che contraddistingue l’aggregazione3.

Nuovi modelli riferimento Le mutate esigenze di mercato hanno, però, indotto il legislatore, comunitario prima ed interno poi, a riconside25


Incentivi e disincentivi all’aggregazione professionale 26

rare il modello di riferimento delle prestazioni professionali. Si sono, così, succeduti, dapprima nel diritto unionale il Regolamento CEE n. 2137/85 del Consiglio del 25 luglio 19854, ed il d.lgs. 23 luglio 1991, n. 240, recante “Norme per l’applicazione del regolamento n. 85/2137/CEE5, e successivamente nel diritto interno il d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96, istitutivo della società tra avvocati, e la legge 12 novembre 2011, n. 183, che ha introdotto la società tra professionisti6, la cui platea di riferimento è stata, poi, genericamente ricondotta a qualsiasi attività professionale, anche non riservata “per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi”, con la l. 14 gennaio 2013, n. 4. Nel frattempo il d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, e successivamente modificato dal decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con la legge 30 luglio 2010, n. 122, ha disciplinato le reti di imprese7, estese all’ambito professionale con la legge n. 81/20178. La legge n. 81/2017, che ha introdotto una serie di tutele per il lavoro autonomo, tanto da essere annoverata come “Statuto del lavoro autonomo”, all’art. 12, comma 39, ha, in particolare, riconosciuto ai soggetti che svolgono attività professionale, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la possibilità di costituire reti di esercenti la professione e di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste. La disposizione, nell’intendo di ricomprendere nella disciplina dei contratti di rete anche i professionisti10, ha enucleato a tal fine, all’art. 12, comma 3, due tipologie di contratti: la rete di esercenti la professione, consistente in un contratto di rete tra più professionisti per l’esercizio in comune della stessa o di diverse professioni, e la c.d. “rete mista”, in forza della quale i professionisti possono stipulare con imprenditori un contratto che risponda alla causa (innovazione e accrescimento della competitività) ed all’oggetto (scambio di informazioni, di prestazioni ed esercizio comune dell’attività) posti dall’art.

3, comma 4-ter del decreto legge n. 5/2009. L’applicazione della prima tipologia di contratto di rete è risultata, però, inattuabile, in ragione dell’indispensabile iscrizione del contratto de quo nel Registro delle imprese ove risulti iscritto il retista, di fatto impedita dall’insussistenza di un obbligo di iscrizione a tale registro per i professionisti. Di parere conforme si è mostrato, peraltro, anche il Ministero dello Sviluppo Economico11, affermando che il professionista possa in realtà costituire la sola rete mista12. Il più recente intervento legislativo ha, poi, riguardato precipuamente l’esercizio in forma associata della professione di avvocato. Al fine di incentivare la concorrenza sul mercato con riferimento a specifiche attività professionali è stato, infatti, emanato il “DDL Concorrenza”, divenuto Legge il 4 agosto 2017, il cui comma 141 – interamente dedicato alle cc.dd. “Misure per la concorrenza nella professione forense” – ha modificato l’art. 4 bis e consente ora espressamente la formazione di società multidisciplinari per gli avvocati. La norma dispone, infatti, l’ammissibilità delle società di persone, di capitali o cooperative, iscritte in un’apposita sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione le stesse hanno sede, nelle quali “i soci, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere avvocati iscritti all’albo, ovvero avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni”. Con lo scopo, dunque, di garantire una maggiore concorrenzialità nella professione forense, è stato eliminato definitivamente il divieto di esercizio multidisciplinare della professione in forma societaria13. Il proponimento legislativo di conformare l’esercizio delle attività professionali alla domanda del mercato rischia però di essere frenato dalla normativa tributaria e segnatamente dalle disposizioni concernenti la tassazione del reddito dei lavoratoti autonomi. Si consideri, ad esempio, che mentre per le


con la partecipazione ad associazioni professionali ed a società tra professionisti, e “rischia seriamente di non favorire quello che invece deve essere il futuro e la crescita dei professionisti in Italia”, come correttamente evidenziato dal segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense, Luigi Pansini.

Le penalizzazioni delle disposizioni tributarie Come confermato anche dall’Agenzia delle Entrate, in risposta all’interpello 107/2018, nel Testo Unico delle Imposte sui redditi non è annoverata alcuna disposizione che sancisca la neutralità dell’operazione di trasformazione da studio associato a Stp, con conseguente applicazione del comma 2 dell’articolo 171 Tuir, comportandone la tassazione in base agli articoli 9 e 54 del Tuir14. Ancor più penalizzante alla diffusione dell’aggregazione professionale risulta, poi, la recente introduzione delle disposizioni sulla Flat tax. I commi da 9 ad 11 dell’articolo 1 della legge n. 145/18 - legge di Bilancio 2019 -, integrando le disposizioni della legge n. 190/2014, hanno esteso l’ambito di applicazione del previgente regime fiscale forfetario ai lavoratori autonomi e professionisti, i cui ricavi e i compensi non abbiano ecceduto il limite di 65.000 euro, disponendo espressamente che costituisca causa ostativa all’accesso al regime la partecipazione a società di persone, ad associazioni o a imprese familiari, ovvero a società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, le quali esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dagli esercenti attività d’impresa, arti o professioni (art. 1, comma 57, lettera d, legge n. 190/2014). La fiscalità di vantaggio è, quindi, correlata non solo alla verifica di specifici requisiti reddituali ma anche alle modalità di svolgimento dell’attività e comporta, peraltro, alcuni riflessi non trascurabili ai fini previdenziali15. La misura agevolativa è, infatti, incompatibile

In attesa di misure incentivanti Appare, dunque, quanto mai opportuno un ripensamento delle disposizioni tributarie disciplinanti la tassazione delle attività professionali, che possano concretamente incoraggiare i professionisti ad attuare realtà organizzative complesse, interdisciplinari, dotate di strumenti informatici e tecnologici avanzati e di competenze imprenditoriali. In questa ottica il regime fiscale della flat tax dovrebbe essere quanto meno ridefinito in alcuni aspetti, rendendolo in primis applicabile ai professionisti che esplicano la propria attività in forma aggregata. Ma non solo. Bisognerebbe aver il coraggio di andare oltre, rendendo ulteriormente appetibile l’aggregazione, con l’introduzione di misure che riducano l’imposizione sul reddito incrementale prodotto dalle aggregazioni di professionisti, prevedendo al contempo l’abolizione dell’IRAP sull’esercizio in forma associata di tali attività. L’Associazione Italiana Dottori Commercialisti ha, a tal fine, sottoposto all’attenzione del mondo politico e degli organi di governo alcune misure atte ad incentivare l’aggregazione professionale, individuandole: - nella riduzione al 50% dell’imposizione sul reddito incrementale di imprese e professionisti (volta a favorire, e incoraggiare, la produttività dei professionisti, stimolandoli ad incrementare ulteriormente il proprio reddito, al fine di poter godere della detassazione parziale del suo valore incrementale); - nella riduzione fino al 50% dell’imposizione sul reddito incrementale professionisti in propor-

Incentivi e disincentivi all’aggregazione professionale

imprese le operazioni di riorganizzazione aziendale – fusioni, scissioni, conferimenti e trasformazioni – sono agevolate sotto il profilo tributario, essendo caratterizzate da un regime di neutralità fiscale, le medesime agevolazioni non sono contemplate nell’ambito del reddito di lavoro autonomo.

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Incentivi e disincentivi all’aggregazione professionale 28

zione all’incremento del costo del lavoro (per incoraggiare lo sviluppo anche dimensionale dello studio professionale, introducendo un ulteriore beneficio per coloro i quali accrescono il proprio reddito per effetto dell’incremento del costo del lavoro); - nella Abolizione dell’IRAP per l’esercizio in forma associata di arti e professioni, mediante la valorizzazione del parametro individuale di ciascun associato (così eliminando il paradossale effetto generato dalla debenza dell’IRAP sul reddito prodotto in forma associata pur essendo inconfigurabile sul singolo professionista partecipante all’aggregazione); - nella riduzione del 50% della ritenuta di acconto dei redditi per professionisti con dipendenti (diretta a favorire la strutturazione e l’aggregazione tra professionisti, in applicazione di una disposizione peraltro già in essere per agenti e rappresentanti). Misure minime e, peraltro, non incidenti sugli equilibri del bilancio statale, ma che potrebbero davvero essere d’ausilio al rilancio delle professioni, consentendo una efficace risposta alle continue sollecitazioni di un sistema economico in costante evoluzione.

NOTE 1. Cfr. in tal senso: D. Deotto - S. Zanardi “Aggregazioni tra professionisti, non deve scattare la tassazione” in quotidiano del fisco Il sole 24ore del 18.03.2019 2. L’art. 2232 c.c. (rubricato “Esecuzione dell’opera”) stabilisce che «Il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari, se la collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione». 3. Così: L.M. Quattrocchio - B.M. Omegna “Le aggregazioni fra professionisti: una overview delle forme attualmente previste” in Ildirittodegliaffari.it del 17 dicembre 2015 4. relativo all’istituzione del Gruppo Europeo di Interesse Economico (G.E.I.E.) 5. relativo all’istituzione di un Gruppo europeo di interesse economico G.E.I.E., ai sensi dell’art. 17 della L. 29 gennaio 1990, n. 482” 6.

(anche per le altre aree professionali)

7. Il contratto di rete tra imprese è uno strumento che consente alle aggregazioni di imprese di instaurare tra loro una collaborazione organizzata e duratura, mantenendo la propria autonomia e la propria individualità e, quindi, senza costituire un’organizzazione come la società o il consorzio; le reti di imprese fruiscono di incentivi e di agevolazioni fiscali. In particolare, con il contratto di rete due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali, allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato 8. Si veda: F. Capponi – G. Piglialarmi “Lavoro autonomo professionale e strumenti di aggregazione: i limiti della legge n. 81/2017 e gli strumenti alternativi per “fare rete”” in bollettinoADAPT n. 41del 26 novembre 2018 9. Art. 12, comma 3 al fine di «consentire la partecipazione ai bandi e concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti privati, è riconosciuta ai soggetti che svolgono attività professionale, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la possibilità: a) di costituire reti di esercenti la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste, di cui all’articolo 3, commi 4-ter e seguenti, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, con accesso alle relative provvidenze in materia; b) di costituire consorzi stabili professionali; c) di costituire associazioni temporanee professionali, secondo la disciplina prevista dall’articolo 48 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in quanto compatibile» 10. intendendo per tali sia i lavoratori autonomi di cui agli artt. 2222 e 2229 c.c. che quelli non ordinistici ai sensi della legge n. 4/2013 11. Cfr. Ministero dello Sviluppo Economico, circolare n. 3707/C – 2018, p. 2. 12. A tal proposito, infatti, il Ministero dello Sviluppo Economico osserva che «in questa fase, a legislazione invariata, pertanto, appare possibile – a fini pubblicitari – la sola creazione di contratti di rete misti (imprenditoriali – “professionali”), dotati di soggettività giuridica, come descritti al comma 4-quater» dell’art. 3 del decreto legge n. 5/2009. 13. Anche con effetto retroattivo, come sancito Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 19 luglio 2018 n. 19282. 14. Cfr. in tal senso: D. Deotto - S. Zanardi “Aggregazioni tra professionisti, non deve scattare la tassazione” op.cit. 15. La tendenza alla contrazione del reddito si traduce infatti minori versamenti contributivi con conseguente riduzione del trattamento pensionistico in un regime contributivo.


Gender Pay Gap: per l’avvocatura non solo problema di genere ma anche di sopravvivenza di Carmela Milena Liuzzi

il divario retributivo tra uomini e donne è un tema che va affrontato e risolto Il tema del Gender Pay Gap, ovvero del divario retributivo di genere che rappresenta appunto la questione della differenza salariale esistente tra uomini e donne, è un tema molto dibattuto e di grande attualità, anche alla luce delle numerose pronunce della Corte Europea di Giustizia. Nato come dibattito nell’ambito delle differenze salariali dei lavoratori dipendenti, sia nel settore pubblico che nel settore privato, trova anche ampio spazio nell’ambito della vita delle professioniste, giacché tutti gli studi e le statistiche confermano che la vita professionale è ancora più pesante per le libere professioniste, in particolare le donne avvocato, che dal Nord al Sud d’Italia guadagnano in media il 50% in meno rispetto ai colleghi uomini.

I dati di Cassa Forense Dai dati della Cassa Forense si evince, infatti, che pur avendo ormai numeri

sostanzialmente pari tra gli iscritti - le donne sono 115.735, mentre gli uomini sono 126.492 - le donne avvocato guadagnano la metà dei colleghi, in una professione in cui evidentemente i cliché sono ancora molto radicati. E tale divario di reddito è sostanzialmente simile in tutte le fasce di età, non riguardando solo i primi anni di carriera ovvero i soli periodi di maternità. Segnaliamo, per par condicio, che non se la passano meglio le donne magistrato in servizio, che hanno superato nell’organico i colleghi maschi, ma che nelle posizioni di dirigente degli uffici giudiziari rappresentano il fanalino di coda: nei ruoli direttivi ci sono infatti 187 uomini e solo 50 donne. Lo scarto è ancora più evidente nella magistratura requirente: tra i pubblici ministeri che hanno il grado di capo dell’ufficio figurano 152 uomini e soltanto 23 donne. Tornando ai dati della professione forense, il reddito medio per la classe forense nell’anno 20161 è stato pari a 52.729,00 euro per gli avvocati maschi e 23.115,00 euro, per le donne. Tali disparità si riverberano anche nel divario tra giovani e vecchi. Cassa Forense ci informa che il reddito medio di un avvocato tra i 30 e i 34 anni è di € 14.306,00 quello di un avvocato con più di 74 anni è di € 42.107,00. Naturalmente nelle medesime fasce d’età la donna sconta un divario di circa il 50%. Sui dati relativi ai giovani e alle donne influiscono naturalmente quelli che riguardano tutti quei professionisti di fatto dipendenti degli studi legali, i quali tuttora, nonostante i timidi accenni di apertura nel dibattito in sede congressuale e la proposta di legge n. 428, restano ad oggi senza tutele e in una posizione di precariato professionale.

Le statistiche e il report del WEF Va da sé che, con questi dati, parlare nell’ambito della pro29


Gender Pay Gap: per l’avvocatura non solo problema di genere ma anche di sopravvivenza 30

fessione forense del tema del gender pay gap, diviene quasi un obbligo. Se ne è occupato anche il World Economic Forum, che ha pubblicato una stima particolarmente sconfortante, arrivando a dichiarare che se tutti gli Stati mettessero in campo ogni possibile azione per colmare il gap ci vorrebbero comunque 202 anni. In base ai dati riportati nel report del World Economic Forum, nel 2018 le donne in tutto il mondo hanno guadagnato il 63% di ciò che è finito nelle tasche degli uomini. Attualmente, poi, in nessun Paese è stata raggiunto l’uguaglianza di genere, indipendentemente dal livello di sviluppo, dalla regione o dal tipo di economia. “All’interno dei titoli globali – viene segnalato nel report – è possibile percepire una serie di tendenze che definiscono il divario di genere nel 2018. Dei quattro pilastri misurati, solo uno – opportunità economiche – ha ridotto il divario di genere. Ciò è in gran parte dovuto a un minor divario di reddito tra uomini e donne, che si attesta a circa il 51% nel 2018, e al numero di donne nei ruoli di leadership, che si attesta al 34% a livello globale”. “Gli altri tre pilastri – educazione, salute e politica – hanno visto ampliare le loro divergenze di genere nel 2018. In termini di empowerment politico, il deterioramento anno dopo anno può essere in parte attribuito al ruolo più basso delle donne nei ruoli di capi di stato in il mondo. Tuttavia, i dati suggeriscono anche che si sta verificando una divergenza regionale, con 22 economie occidentali che hanno assistito a un miglioramento dell’empowerment politico per le donne rispetto all’ampliamento nel resto del mondo. Quando si parla di donne in parlamento, queste economie occidentali – che collettivamente hanno chiuso il 41% del divario – hanno visto i progressi invertire nel 2018”.

italiani, dipendenti e freelance. L’ultimo report pubblicato evidenzia che un uomo fra i 30 e i 40 anni guadagna 20 mila euro lordi, una donna 17 mila. Nella fascia di età fra i 40 e i 50 anni si passa dai 25 mila euro lordi per le donne ai 40 mila per gli uomini. E per finire, un terzo delle libere professioniste che percepisce già un reddito basso dopo la maternità abbandona la professione. A ciò si aggiunga che secondo le statistiche le donne che diventano madri perdono in media il 4% della loro retribuzione rispetto all’omologo uomo, mentre il padre lavoratore, mediamente guadagna il 6% in più dopo la nascita di un figlio. Un ulteriore dato che va segnalato è che il divario diviene ancora più evidente su base regionale, giacché, evidenzia Adepp, una professionista calabrese guadagna poco più di 11.000,00 euro rispetto ai 20.000,00 dell’uomo, mentre in Lombardia i dati si attestano in 33.000,00 euro per la donna, contro circa 60.000,00 per l’uomo.

Gli studi dell’Adepp Da tempo anche l’Adepp si occupa del problema delle libere professioniste, raccogliendo ogni anno i dati sui redditi dei professionisti

La prima Legge Regionale sul Gender Pay Gap Nella regione Lombardia è agli atti una proposta di Legge Regionale finalizzata al tentativo di ▲ Carmela Milena Liuzzi


Il Trattato di Lisbona e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Nel 2009 il Trattato di Lisbona ha introdotto una clausola orizzontale volta a integrare la lotta contro le discriminazioni in tutte le politiche e le azioni dell’Unione (art. 10 TFUE) con la previsione di una procedura legislativa speciale: il Consiglio deve deliberare all’unanimità e previa approvazione del Parlamento europeo. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, nel sancire, all’art. 21, l’inserimento della non discriminazione fra i diritti fondamentali della persona e, quindi, nell’ambito dei principi generali del diritto comunitario, statuisce, nel successivo art. 23, che “la parità tra uomini e donne dev’essere

assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione” , precisando, tuttavia, che “il principio della parità non osta al mantenimento od all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”. L’art. 119 del Trattato conferiva in origine rilievo esclusivo ed assorbente, in ambito antidiscriminatorio, alla parità di trattamento in materia retributiva, allo scopo di evitare forme di concorrenza nel mercato fondate sulla sottoretribuzione del lavoro femminile. Si deve soprattutto all’intervento della giurisprudenza della Corte di Giustizia aver dato l’input per un numero considerevole di direttive in materia che hanno poi inciso, con il passaggio attraverso il Trattato di Amsterdam, sulla nuova formulazione dell’art. 119 medesimo (poi dal 1° maggio 1999, art. 141) del Trattato. Partendo dall’art. 119 del Trat-

Gender Pay Gap: per l’avvocatura non solo problema di genere ma anche di sopravvivenza

ridurre il divario salariale attraverso la creazione di un albo regionale riservato alle imprese lombarde che praticano la parità salariale, ovvero che attuino scelte nella direzione del raggiungimento della parità, ciò attraverso l’inserimento delle seguenti prescrizioni: 1) favorire la riduzione della disparità salariale tra uomini e donne attraverso la concessione di incentivi economici e di misure temporanee di sostegno al reddito per chi ricorre a strumenti di flessibilità che consentano una migliore conciliazione tra vita privata e lavoro, formazione finalizzata a contrastare gli stereotipi di genere e favorire la partecipazione delle ragazze a percorsi scolastici e accademici nelle discipline scientifico-tecnologiche che garantiscono più possibilità di lavoro e retribuzioni più alte. 2) creare un albo regionale che consenta di riconoscere, qualificare e anche premiare le imprese che si impegnano per la parità e, al tempo stesso, l’istituzione di una “Giornata della parità salariale” come già avviene in Germania. 3) istituire un Tavolo Permanente al quale partecipino assessori e consiglieri regionali, rappresentanti sindacati, le associazioni di rappresentanza delle imprese e delle professioni ma anche le università al fine di monitorare il fenomeno e decidere le azioni da intraprendere.

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Assicurazioni

SILVIA LUMEDILUNA

Comunicato

è il nuovo Amministratore Delegato di ASSITA, società del Gruppo ASSITECA, specializzata nella R.C. Professionale dal Novembre 2019 il Consiglio di Amministrazione di Assita S.p.A. ha nominato Silvia Lumediluna Amministratore Delegato della società ASSITA S.p.A., dal 1981 è un’ Agenzia plurimandataria leader nella Responsabilità Civile Professionale e principale Intermediario assicurativo di Liberi Professionisti quali Medici / Sanitari, Avvocati, Commercialisti, Ingegneri e relativi Ordini e Associazioni, di cui ASSITECA S.p.A., il più grande Broker assicurativo italiano, ha acquisito nello scorso mese di luglio l’80% delle azioni “Con la nomina della Dottoressa Silvia Lumediluna” dichiarano Daniela Bernuzzi Bassi, Presidente di Assita e Luciano Lucca, Presidente di Assiteca “la società rafforza ulteriormente il proprio management e prosegue l’impegno nella crescita con l’obiettivo di consolidare la posizione di leader nel mercato italiano”

Consiglio di Amministrazione ASSITA Presidente: Daniela Bernuzzi Bassi Amministratore Delegato: Silvia Lumediluna Consigliere: Luciano Lucca Consigliere: Nicola Girelli


Convenzione Esclusiva

LAW DIVISION

Polizza conforme

R.C. Professionale D.M. 22/09/2016 - G.U. n. 238 - 11/10/2016

Cos’è?  è la Polizza Responsabilità Civile Professionale

per Avvocati/Studi Associati/Società tra Professionisti e loro Collaboratori, Praticanti e Dipendenti  perfettamente conforme al D.M. 22/09/2016 - G.U. n. 238 - 11/10/2016 sia nelle Condizioni Contrattuali che nei Massimali  convenzionata da ASSITA con ANF - Associazione Nazionale Forense

Cosa assicura?  Polizza

- tutto compreso a copertura della Responsabilità Civile derivante dall’esercizio della professione, compresi tutti gli Incarichi Giudiziali e le Funzioni Pubbliche, incluso Gestore crisi da sovraindebitamento, già conteggiati nel premio  Retroattività Illimitata e Garanzia Postuma 10 anni già comprese nel premio

Quali Danni copre?

 Patrimoniali – NON Patrimoniali – Indiretti – Permanenti – Temporanei e Futuri

sia per Colpa Lieve che per Colpa Grave

Perché stipulare questa Polizza?  per il costo estremamente competitivo, considerato la completezza delle garanzie  comprende anche Funzioni Pubbliche ed Incarichi Giudiziali  per avere un contratto individuale che garantisca la propria privacy,

anche in caso di sinistro

 per semplicità nell’adesione

Come avere un preventivo personalizzato e senza alcun impegno?  è sufficiente compilare Modulo Richiesta Preventivo  anche on-line e con firma digitale  il riscontro sarà immediato

contatto diretto con gli uffici di Assita

www.assita.com

avvocati@assita.com


Convenzione Es

Assicur R.C. Prof

Polizza

D.M. 22/09/2016 - G.U. n. 238 - 11/10/2016 s A) Contraente / Assicurato  Avvocato che esercita la professione in forma individuale  Avvocato che esercita la professione in forma collettiva

B) Premio Base € 140 C) Oggetto dell’Assicurazione Polizza

- tutto compreso

Responsabilità Civile ai sensi di legge derivante all’Avvocato, iscritto all’Albo del relativo Ordine, per tutti i danni che dovesse colposamente causare a terzi nello svolgimento dell’attività professionale

D)

Validità Temporale “Claims made”

 Retroattività illimitata GRATUITA a copertura delle richieste di risarcimento avanzate per la prima volta dai Terzi nei confronti dell’Assicurato durante il periodo di validità della Polizza (che comprende anche il periodo di RETROATTIVITÀ il quale, al fine di garantire idonea copertura è illimitato) purché le stesse non si riferiscano ad atti già denunciati ad altra Compagnia  Garanzia Postuma decennale (ultrattività) GRATUITA In caso di cessazione definitiva dell'attività professionale, per cause diverse dalla sospensione dall’albo, inclusa la cessazione dell’attività con chiusura della partita iva, l’Assicurato e/o i suoi eredi (in caso di decesso dell’Assicurato) hanno diritto alla proroga della garanzia per le richieste di risarcimento pervenute all'Assicurato stesso e/o ai suoi eredi nei 10 (dieci) anni successivi alla data di cessazione dell’attività, sempre che le richieste di risarcimento si riferiscano ad atti illeciti posti in essere dopo la data di retroattività e durante il periodo di efficacia della presente polizza e comunque prima della cessazione dell'attività

N.B. Nessun costo aggiuntivo


sclusiva ASSITA

razione fessionale

Polizza

a conforme sia nelle Condizioni Contrattuali che nei Massimali

E) Attività Assicurata

1 Sono coperti TUTTI i Danni

(qualunque pregiudizio subito da terzi)

Patrimoniali - NON Patrimoniali – Indiretti – Permanenti - Temporanei e Futuri sia per Colpa Lieve che per Colpa Grave

2 A titolo esemplificativo e non limitativo

sono compresi in garanzia e nel premio base:

 Funzioni Pubbliche / Giudiziali (nessuna esclusa)  Gestore crisi da sovraindebitamento  Mediazione, Conciliazione e Negoziazione Assistita  Funzioni di Arbitro rituale e irrituale  Membro Commissione Tributaria  Attività di Tributarista  Consulenza Fiscale  Vincolo di solidarietà  D.Lgs. 30/6/2003 - Privacy  Custodia di documenti, somme di denaro, titoli e valori ricevuti in deposito dai clienti o dalle controparti processuali di questi ultimi, compresa la perdita, distruzione o danneggiamento a seguito di furto, rapina e incendio  Fatto Colposo e/o Doloso di Collaboratori-Sostituti di concetto - Praticanti e Dipendenti facenti parte dello Studio Professionale e per i quali l’Assicurato sia civilmente responsabile  Fatto Colposo di Sostituti d’Udienza- Professionisti delegati in base all’ Art. 108 – Professionisti delegati quali procuratori o domiciliatari  RCT Conduzione Studio / RCO Prestatori d’opera

F) Massimali minimi a termini di Legge per sinistro e anno assicurativo In forma Individuale: da €   350.000,00 a €   1.000.000,00 In forma Collettiva: da € 2.000.000,00 a € 10.000.000,00

G) Estensioni (con sovrappremio)    

Sindaco/Revisore Legale Membro O.d.V. - Organismo di Vigilanza Amministratore di Società Amministratore di Condomini

o per Consulenza e Assistenza


Convenzione Esclusiva

Polizza

R.C. Professionale conforme

LAW DIVISION

L’Assicurando fornisce i dati necessari solo per la valutazione del rischio e resta in attesa di conoscere le condizioni per la propria copertura assicurativa. LA FIRMA DEL PRESENTE MODULO NON IMPEGNA LE PARTI ALLA STIPULAZIONE DEL CONTRATTO. Qualora il contratto venga sottoscritto, le dichiarazioni rese formeranno parte integrante della polizza di assicurazione ai fini degli artt. 1892, 1893, 1894 del Codice Civile. L’Assicurando dichiara pertanto che i dati forniti rispondono a verità e dichiara altresì di non aver sottaciuto informazioni relative a circostanze che influiscono sulla valutazione del rischio e conferma che alla data di compilazione del presente modulo NON ha notizia e NON è a conoscenza di circostanze o situazioni che potrebbero determinare nei suoi confronti, ovvero nei confronti dei collaboratori dei quali si avvale, richieste di risarcimento conseguenti allo svolgimento dell’attività professionale.

COMPILARE e INVIARE ad avvocati @ assita.com o FAX 02-48.18.897 1 ASSICURANDO Cognome e Nome Ubicazione studio cap città tel. Iscritto all’Albo di e-mail* Cod. Fiscale

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AVVOCATO

COMPILARE IN STAMPATELLO

nato il provincia fax

cell.

dal pec P. IVA

FATTURATO ANNUO Esercizio precedente:

[ Al netto di IVA e C.P. escluso Amministratore - Sindaco - Revisore - O.D.V. ]

Previsione Esercizio in corso:

Compreso incarico Gestore crisi da Sovraindebitamento

NO

SI  [allegare elenco]

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MASSIMALI per Sinistro e per Anno Assicurativo  350.000,00 € € 1.500.000,00 €    2.500.000,00  500.000,00 € € 2.000.000,00 €    3.000.000,00 €    1.000.000,00

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GARANZIE AGGIUNTIVE Funzioni di Amministratore - Sindaco/Revisore - O.D.V. [scarica e compila] mod. A

Amministratore di Condomini Incarichi n. Compensi €

Dichiarazioni dell’Assicurando

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POLIZZE in CORSO o ANNULLATE

Polizze in corso per il medesimo rischio? NO  SI  Compagnia Massimale Scadenza Sono state annullate/disdettate polizze R.C. Professionale? NO  SI  Quando? Da quale Compagnia? Per quali motivi?

Ha richiesto altre quotazioni negli ultimi 90 giorni?

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NO

SI  Compagnia

SINISTRI - CIRCOSTANZE / EVENTI -

Negli ultimi 5 anni:

sono state rivolte all’Assicurando richieste di risarcimento per danni imputabili a una sua responsabilità professionale? oppure è a conoscenza di Circostanze o Eventi che possano dare origine a una richiesta di risarcimento? NO

SI [scarica e compila]

mod. B

La Compagnia si riserva l’assunzione del Rischio

LA MANCATA COMPILAZIONE DI OGNI PARTE DEL PRESENTE MODULO, PRECLUDE L’INVIO DEL PREVENTIVO

* Autorizzo l’invio di tutta la documentazione tramite posta elettronica agli indirizzi sopra indicati Data

Firma dell’Assicurando

MODULO LEGAL COVER PLUS - AVVOCATO - ANF | DIC. 2019 - D.M. 22/09/2016

Con riferimento alla normativa per la tutela del trattamento dei dati personali (D.Lgs 193/2003 - GDPR 679/2016) si precisa che Assita tratterà i dati personali contenuti nel presente modulo in modo riservato ed al solo fine di poter predisporre la proposta assicurativa. Essi non verranno in ogni caso fatti conoscere a terzi. Nel caso di sottoscrizione della polizza, questa sarà accompagnata da specifica informativa e correlata richiesta di manifestazione di consenso al trattamento dei dati.

D.M. 22/09/2016 - G.U. n. 238 del 11.10.2016 MODULO RICHIESTA PREVENTIVO


Ipotesi e prospettive di soluzione Cosa potrebbe fare l’avvocatura italiana, ed in particolare la Cassa Forense, per ridurre il divario reddituale? Qualche tempo fa, ad esempio, tra le misure assistenziali, fu proposta, ma mai approvata, quella di assicurare la sostituzione della collega, nel periodo di maternità obbligatoria, mediante il riconoscimento di un importo forfettario – se non ricordiamo male, nella misura di 500,00 mensili - a carico di Cassa Forense e in favore dell’avvocato che l’avrebbe sostituita. Una simile misura avrebbe consentito da un lato ad una madre – sempre più spesso, non

tanto giovane – di non doversi barcamenare tra allattamento (i tribunali virtuosi, dove sono apprestate sale allattamento si contano sulle dita di una mano) ed udienze e al contempo, un giovane collega, fruirebbe di un compenso per attività che, spesso si svolgono, unicamente per spirito di colleganza. Al contempo, nel solco già attivato dal nostro Ente, occorre incentivare e favorire agevolazioni per le donne ed i giovani per la partecipazione a corsi altamente qualificanti, per conseguire specializzazioni e realizzare gli obiettivi dell’Agenda 2030, tra i quali segnaliamo, in quest’ottica: Il Goal 5 che sostiene le pari opportunità tra uomini e donne nella vita economica, l’eliminazione di tutte le forme di violenza contro le donne e le ragazze, l’eliminazione dei matrimoni precoci e forzati, e la parità di partecipazione a tutti i livelli. 5.4: riconoscere e valorizzare la cura e il lavoro domestico non retribuito attraverso la fornitura di servizi pubblici, le politiche infrastrutturali e di protezione sociale e la promozione della responsabilità condivisa all’interno della famiglia e a livello nazionale;

Gender Pay Gap: per l’avvocatura non solo problema di genere ma anche di sopravvivenza

tato e, cioè, dalla parità retributiva tra uomini e donne, il principio di uguaglianza è andato assumendo un ruolo di spicco nella costruzione di uno ius commune. Si può affermare, anzi, che questo principio rappresenta, ormai, la lente di ingrandimento attraverso la quale ogni nuovo intervento legislativo interno deve essere riguardato per verificarne la c.d. “compatibilità comunitaria”.

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Gender Pay Gap: per l’avvocatura non solo problema di genere ma anche di sopravvivenza 38

5.5: garantire al genere femminile piena ed effettiva partecipazione e pari opportunità per la leadership a tutti i livelli del processo decisionale nella vita politica, economica e pubblica 5.a: intraprendere riforme per dare alle donne pari diritti alle risorse economiche, così come l’accesso alla proprietà e controllo del territorio e altre forme di proprietà, servizi finanziari, l’eredità e le risorse naturali, in accordo con le leggi nazionali 5.b: migliorare l’uso della tecnologia, in particolare la tecnologia dell’informazione e della comunicazione, per promuovere l’empowerment delle donne; 5.c: adottare e rafforzare le politiche e la normativa applicabile per la promozione della parità di genere e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze a tutti i livelli.

La solidarietà forense: il problema di uno è il problema di tutti Il dibattito è solo all’inizio ed occorre certamente un approfondimento della tematica che va necessariamente contemperata con le esigenze di tenuta del sistema previdenziale, già pesantemente oggetto di revisione negli ultimi 10 anni per scongiurare il default causato da numeri impensabili qualche anno fa. Ma il sistema non può dimenticare di essere composto di persone e non solo di numeri. E che tutte le persone del sistema sono legate a filo doppio da un patto, ancora valido e pilastro del nostro sistema previdenziale che si chiama solidarietà forense. Il problema di uno deve essere il problema di tutti. Il 31.01.2019, sul Blog del Fatto Quotidiano, Marcello Adriano Mazzola, ns. collega e scrittore, scriveva: “Pochi sanno che in Italia esiste un proletariato forense. Con proletariato non voglio offrire un termine dispregiativo, ma svelare come non sia affatto sufficiente entrare nell’aura della magistratura e dell’avvocatura per ricoprirsi del vello d’oro di Crisomallo. Non è infatti sufficiente diventare magistrati o avvocati per acquistare onore, presti-

gio e solida retribuzione economica. Tutt’altro. Ci sono decine di migliaia di magistrati e di avvocati, un numero pari ad almeno 50mila (con alle spalle a volte altre persone: si pensi a chi abbia figli o soggetti deboli a carico), che può dirsi sfruttato dal “sistema”. E con sistema non intendo affatto un richiamo complottista, ma proprio un sistema ben identificato che gode dei soggetti sfruttati”. Ed ancora: “L’avvocatura è una libera professione alla quale si giunge con l’esame di abilitazione, spesso dopo tanti sacrifici. Quando fanno pratica, molti non ricevono alcun compenso o ne ricevono uno non adeguato, a volte per anni. Da avvocato hai moltissimi oneri (contributi previdenziali, assicurazione obbligatoria, formazione obbligatoria, fatturazione, software etc.) e pochi onori, poiché ti devi destreggiare tra responsabilità a volte enormi, clienti morosi, legislatore bipolare, giurisprudenza creativa e cangiante, prassi grottesche etc. Il legislatore – al soldo delle banche, assicurazioni, enti locali etc. – nell’ultimo ventennio ha riservato all’avvocatura trattamenti speciali, depauperandone il compenso e la dignità. Circa 100mila avvocati hanno redditi bassi e molti di questi sono di fatto dipendenti di altri avvocati, ma senza le tutele dei lavoratori dipendenti. Anche svolgere le funzioni di avvocato pretende oramai doti fantastiche. Quando il diritto rinnega i diritti. Un paradosso tutto italiano. Sui vostri schermi, ogni giorno”. Un’avvocatura che immagina di essere protagonista della società civile non può girarsi dall’altra parte, né piangersi addosso. Può solo farsi carico del problema e trovare la soluzione. Per la propria sopravvivenza.

NOTE 1.

Ultimo dato disponibile La previdenza Forense n. 1/2018


Nuove regole in tema di affidamento dei servizi legali di Urbano Rosa

approvate dall’Autority le linee guida, avvocati sempre più assimilati agli operatori economici Con la delibera n. 907 del 24 ottobre 2018 l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha approvato le Linee guida n.12 al fine di fornire chiarimenti sulle procedure da seguire per l’affidamento dei servizi legali alla luce della nuova disciplina contenuta nel Codice dei contratti pubblici (D.lgs.50/2016). La genesi delle Linee Guida è complessa e si articola in ben due pareri del Consiglio di Stato (n. 2109/2017 e n. 2017/2018) e numerosi contributi pervenuti da parte di enti pubblici durante la fase di consultazione on line, tenutasi nell’aprile/maggio 2017 (fra questi ricordiamo in particolare quello del Consiglio Nazionale Forense, dell’Organismo Congressuale Forense e del Dipartimento Politiche europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri, incentrato sul tema della concorrenza). Prima di passare all’esame delle Linee

Guida v’è da precisare che esse non hanno natura cogente, come ha puntualizzato l’Autorità stessa si tratta infatti di un documento a carattere orientativo ed interpretativo, con una “funzione eminentemente interpretativa, volta a promuovere una tendenziale uniformità delle procedure di affidamento degli incarichi legali”; forniscono quindi uno strumento di “regolazione flessibile”, … volto all’incremento “dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti” … ricognitivo di princìpi di carattere generale. Ne discende che le singole Amministrazioni, in caso di contrasto con le LL.GG., non possono essere censurate in giudizio “se non in caso di palesi profili di irragionevolezza e abnormità”. Ma vediamo cosa prevede nello specifico il documento approvato dall’ANAC. Preliminarmente l’Authority svolge una ricognizione del dato normativo fornito dal Codice degli Appalti: - l’articolo 17, comma 1, lettera d), del Codice dei contratti pubblici - rubricato «Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi» - che elenca alcune tipologie di servizi legali esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione delle disposizioni codicistiche; - l’articolo 140, contenuto nel Capo I dedicato agli «Appalti nei settori speciali», che assoggetta ad un particolare regime pubblicitario i servizi di cui all’Allegato IX del Codice dei contratti pubblici, nei quali rientrano anche i «Servizi legali, nella misura in cui non siano esclusi a norma dell’articolo 17, comma 1, lettera d)». Il citato Allegato IX individua l’ambito di applicazione non solo delle disposizioni di cui al richiamato articolo 140, ma anche di quelle contenute negli articoli 142, 143 e 144 che, dettando un regime “alleggerito”, complessivamente integrano la Parte II, Titolo VI, Capo II del Codice dei contratti pubblici, rubricato «Appalti di servizi sociali e altri

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Nuove regole in tema di affidamento dei servizi legali 40

servizi nei settori ordinari». Secondo l’Anac, il tenore letterale di tali disposizioni implica che, oltre ai servizi legali pienamente assoggettati al Codice dei contratti pubblici, vi sono altre tipologie di servizi legali (quelli elencati all’articolo 17, comma 1, lettera d), che devono ritenersi soggette alla disciplina codicistica, pur con alcune differenziazioni in tema di pubblicità (semplificata). Dalla normativa sopra richiamata si deve quindi trarre una regola innovativa per l’ordinamento: il superamento della distinzione tra incarichi sottoposti alla disciplina procedimentale ed incarichi estranei a tale disciplina. L’authority, infatti, ritiene che anche gli incarichi dichiarati esenti dall’applicazione del codice “non possono essere affidati come se si trattasse di un incarico intuitu personae, in cui è sufficiente dimostrare il rispetto dei principi generali dell’azione amministrativa, dovendo invece seguire alcune regole minime, espresse dai principi generali individuati dal richiamato art.4” (economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica - ndr).

Verso la dissoluzione della connotazione fiduciaria È forse questo il passaggio di maggior impatto dell’elaborato, nel quale l’Autorità si spinge verso una definitiva assimilazione dei “servizi legali” ai “servizi tout court” (accomunando, quindi, gli operatori del settore agli “operatori economici” fornitori di servizi), con ciò derubricando la connotazione fiduciaria tradizionalmente riconosciuta a queste prestazioni, come già avvenuto per i “servizi tecnici”. L’Autorità aderisce quindi all’impostazione che il Consiglio di Stato ha espresso nel parere n.2017 del 3 agosto 2018, laddove ha individuato due diverse tipologie di affidamento: 1) l’affidamento della gestione del contenzioso in modo continuativo o periodico al fornitore nell’unità di tempo considerata (general-

mente il triennio), che costituisce appalto, con conseguente applicabilità dell’allegato IX e degli articoli 140 e seguenti del Codice dei contratti pubblici; 2) l’incarico conferito ad hoc, che costituisce contratto d’opera professionale, consistendo nella trattazione della singola controversia o questione, sottoposto al regime di cui all’articolo 17. Tale ricostruzione del regime delineato dal legislatore impone alle stazioni appaltanti la corretta individuazione del fabbisogno, anche allo scopo di evitare il frazionamento artificioso della commessa, espressamente vietato dall’articolo 51 del Codice dei contratti pubblici. Tenendo tuttavia sempre ben presente che la rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato spetta ▲ Urbano Rosa


configura la tipologia contrattuale del contratto d’opera intellettuale, di cui agli articoli 2229 e seguenti del codice civile e non assumono rilevanza, ai fini della disciplina applicabile alla procedura di selezione, il valore economico del contratto e l’eventuale superamento della soglia di rilevanza comunitaria”.

Il dissenso di CNF e OCF Tale impostazione, tuttavia, ha incontrato il forte dissenso degli organismi di rappresentanza dell’avvocatura (CNF e OCF) i quali postulano la concezione per cui l’incarico di patrocinio legale (e più in generale dei servizi menzionati nell’art. 17, co. 1, lett. d) sia un contratto estraneo (e non meramente escluso) al Codice dei contratti pubblici e, per l’effetto, all’applicazione dei principi di evidenza pubblica ivi richiamati.. Tale tesi è, in estrema sintesi, fondata sull’argomentazione che l’incarico di patrocinio legale, in quanto intrinsecamente fiduciario, non si presterebbe ad essere oggetto di un rituale procedimento selettivo, sia pure semplificato. A ciò osterebbe il principio costituzionale del diritto alla difesa, recepito anche dalla legge ordinamentale della professione forense, unitamente alla sostanziale impossibilità di addivenire all’affidamento attraverso l’applicazione dei criteri utilizzati per la selezione del contraente nell’ambito degli appalti pubblici. Secondo i menzionati stakeholder, inoltre, il considerando n. 25 della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici - il quale parrebbe escludere i servizi legali che comportano la rappresentanza dei clienti in procedimenti giudiziari da parte di avvocati dall’ambito di applicazione della direttiva stessa - confermerebbe l’assunto che precede, poiché il legislatore europeo parrebbe considerare i servizi legali come non assoggettabili alle medesime regole applicabili agli appalti. Entrambi gli organismi (CNF e OCF) sottolineano infine che il patrocinio in giudizio partecipa dell’amministrazione della giustizia quale servi-

Nuove regole in tema di affidamento dei servizi legali

all’Avvocatura dello Stato (è possibile richiedere l’assistenza di avvocati del libero foro solo per ragioni assolutamente eccezionali) e che non è possibile l’affidamento dei servizi legali a terzi laddove siano presenti idonee professionalità all’interno della stazione appaltante. Rientrano nell’elenco - di cui al citato articolo 17, comma 1, lettera d), del Codice dei contratti pubblici - esclusivamente le tipologie di servizi legali che sono ivi indicate, che non facciano parte degli affidamenti ricompresi nell’Allegato IX del Codice dei contratti pubblici. Segnatamente si tratta di: 1. incarichi di patrocinio legale conferiti in relazione ad una specifica e già esistente lite; 2. i servizi di assistenza e consulenza legale preparatori ad un’attività di difesa in un procedimento di arbitrato, di conciliazione o giurisdizionale, anche solo eventuale; 3. nel caso di consulenza legale in preparazione di uno specifico procedimento deve essere già individuabile un procedimento giudiziario, arbitrale o di conciliazione di cui l’amministrazione intende valutare l’attivazione o nel quale la stessa è stata convenuta; - le tipologie suindicate devono essere assegnate ad avvocati iscritti all’Albo 4. - i servizi prestati da notai relativi esclusivamente alla certificazione e autenticazione di documenti; 5. i servizi legali prestati sulla base di designazione di legge (p.e. fiduciari); 6. i servizi legali strettamente legati all’esercizio di pubblici poteri, che rappresentano un presupposto logico dell’esercizio del potere stesso, ponendosi alla stregua di una fase del procedimento in cui il potere pubblico è esercitato. Al fine di individuare correttamente l’incarico nell’ambito di quelli regolati dall’art. 4 del Codice dei contratti pubblici, rileva la circostanza che esso venga affidato per un’esigenza puntuale ed episodica della stazione appaltante. Esclusivamente in tale ipotesi, specifica Anac, “si

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Nuove regole in tema di affidamento dei servizi legali 42

zio pubblico essenziale volto alla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, con ciò volendo rimarcare la sua profonda distanza ontologica dal “mercato dei servizi legali” (l’avvocato che assume la rappresentanza in giudizio dà vita, insieme al giudice, al processo, concorre alla tutela dei diritti…. questo non può non distinguerlo da un appaltatore…).

fornita nell’ambito della preparazione o dell’eventualità di un siffatto procedimento”, quanto sopra perche’ il necessario rapporto intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente rende difficile la descrizione oggettiva della qualità che si attende dai servizi da prestare.. La questione sembra quindi essere ben lungi dall’essere risolta, tuttavia non si può non rile-

Quasi inaspettatamente pare giungere a conforto di questa tesi anche la Corte di Giustizia Europea che, con la recentissima Sentenza del 01/07/2019 nella causa C-264/18, dispone “l'esclusione dall’ambito di applicazione della direttiva sugli appalti, di tutti i servizi che possono essere forniti da un avvocato a un’amministrazione aggiudicatrice nell’ambito di un procedimento dinanzi a un organo internazionale di arbitrato o di conciliazione, dinanzi ai giudici o alle autorità pubbliche di uno Stato membro o di un paese terzo, nonché dinanzi ai giudici o alle istituzioni internazionali, ma anche la consulenza legale

vare come concetti come intuitu personae e rapporto fiduciario paiano oggi francamente anacronistici e difficilmente conciliabili con un’idea della professione forense, come quella di stampo euro-unitaria, in cui la parificazione dei professionisti ai fornitori di servizi è ormai un dato acquisito da tempo (vedasi quanto accade con l’accesso ai fondi europei) ed in cui elementi come organizzazione del lavoro ed aggregazioni professionali costituiscono la base minima condivisa della discussione sul futuro delle professioni liberali.


Nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di Valeria Rodelli

molte le problematiche relative all’istituzione dell’albo degli incaricati della gestione e del controllo nelle procedure Il 14 febbraio 2019 è stato pubblicato il d.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019, noto come “Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza”. Il provvedimento legislativo entrerà in vigore il 15 agosto 2020, fatta eccezione per alcune specifiche norme indicate nel secondo comma dell’art. 389 del CCI che sono vigenti già dal 16 marzo 2019. In attesa di tale data – in considerazione del fatto che questo decreto ha totalmente riscritto la legge fallimentare – vi sarà il tempo per gli operatori giuridici ed economici di assimilare il testo normativo e le sue profonde novità. La riforma conferisce un’impronta largamente negoziale alle procedure di crisi e insolvenza, allontanando lo spettro pubblicistico della gestione delle stesse. Vale la pena, quindi, di

verificarne l’impatto nei confronti della professione forense, sia sul piano formativo, sia sul piano professionale. Per quanto attiene al ruolo dell’avvocato quale curatore, commissario giudiziale e liquidatore, è l’art. 356 del CCI – rubricato “Albo dei soggetti incaricati dall’autorità giudiziaria delle funzioni di gestione e di controllo nelle procedure di cui al codice della crisi e dell’insolvenza” – ad indicare i requisiti necessari ai professionisti

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Nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza 44

per la iscrizione al detto albo, istituito dal medesimo articolo. Il combinato disposto degli artt. 356, 357 e 358 CCI presenta non poche problematiche applicative. Benché il primo articolo sia entrato in vigore a partire dal 16.3.19, medesimo regime non è stato scelto per le norme che attengono alle modalità di nomina dei professionisti (cfr. art. 125 CCI per la nomina del curatore che entrerà in vigore il 15.8.20). Va precisato che la norma istitutiva del ripetuto albo non può essere concretamente applicata fintanto che non venga emanato il regolamento che disciplina il funzionamento dell’albo stesso; disciplina che l’art. 357 CCI rimette ad un decreto del Ministero della Giustizia e del Ministero dell’Economia e delle Finanze (da emanarsi entro il 1.3.2020). Sotto questo aspetto il legislatore sembra voler ripetere l’esperienza (negativa) delle prime riforme della Legge Fallimentare del 2005-2006 che, nell’istituire un albo, hanno poi rimesso la sua gestione ad un successivo provvedimento normativo in realtà mai adottato. Peraltro la disciplina della vigente legge fallimentare e della legge sulla composizione della crisi da sovraindebitamento continuerà ad applicarsi alle procedure ancora pendenti alla data del 15.8.2020, e comunque introdotte entro tale data. Ne consegue che per le procedure cui si applicano le “vecchie norme” necessariamente sarà utilizzato il vecchio regime di nomina di curatore, commissario giudiziale e liquidatore (art. 28 l. fall.), nonché quello di cui alla legge n. 3/12, con i limiti della mancata approvazione della normativa applicativa suddetta. L’entrata in vigore dell’art. 356 CCI a partire dal 16.3.19 è stata volta a permettere l’immediato funzionamento dell’albo non appena sarà emanato il decreto Ministeriale di cui all’art. 357 CCI. Ciò anche grazie alla previsione di un sistema di primo popolamento dell’albo, che consentirà l’iscrizione a coloro che siano in possesso dei

requisiti di cui all’art. 358, comma 1, lett. a), b) e c), e che possano documentare di essere stati nominati, alla data del 16.3.19, curatori, commissari giudiziari o liquidatori in almeno quattro procedure negli ultimi quattro anni.

Il “primo popolamento” dell’albo dei professionisti Senza voler considerare l’infelice espressione “primo popolamento”, preme sottolineare che ancora una volta il sistema di selezione per l’accesso all’albo dei primi professionisti attinge a criteri esperienziali basati su semplici criteri numerici di precedenti procedure affidate loro nel passato, le quali, peraltro, si presentano molto differenti da quelle disciplinate dal nuovo Codice; viene da chiedersi, quindi, in che termini la pregressa esperienza possa agevolare i professionisti nella gestione delle procedure codificate nel CCI. Gli indicati professionisti risultano esonerati dai gravosi oneri formativi previsti dal Codice. Il criterio di assegnazione scelto appare, in ogni caso, inidoneo allo scopo, poiché riferito a soli quattro incarichi in quattro anni. Tale lasso di tempo è troppo breve per valutare della esperienza maturata dal professionista, peraltro, lo si ripete, su procedure gestite in forma diversa da quella di cui al CCI, e potrebbe costringere agli obblighi formativi anche coloro da tempo operanti nell’ambito delle procedure concorsuali e, quindi, esperti nella detta materia, ma che non abbiano – per il sistema di turnazione degli incarichi previsto nella maggior parte dei tribunali – ricevuto nell’immediato passato incarico alcuno o ne abbiano ricevuti in numero inferiore a quello previsto dalla legge. Con il primo popolamento, peraltro, saranno inseriti solo avvocati e commercialisti, poiché i consulenti del lavoro prima dell’approvazione del Codice della Crisi (vedi comma 1, lett. a) art. 358 CCI) non potevano accedere agli indicati incarichi. Da sottolineare ancora come, ai fini del primo


attingere dal ripetuto albo emergerebbe unicamente dallo stesso art. 356 CCI che prevede, appunto l’istituzione di un “albo dei soggetti, costituiti anche in forma associata o societaria, destinati a svolgere, su incarico del tribunale, le funzioni di curatore, commissario giudiziale o liquidatore nelle procedure previste dal codice … (omissis). Mancando, quindi, nelle citate norme - dedicate alla nomina del commissario giudiziale e del liquidatore - il rinvio all’art. 356 CCI, potrebbe desumersi che il giudice non sia affatto obbligato ad attingere dall’albo di cui al ripetuto articolo, potendo, così, nominare professionisti che non vi risultino iscritti, purché in possesso dei requisiti di nomina ex art. 358 CCI.

La nomina dei componenti del collegio dell’OCRI Da segnalare è, altresì, il disallineamento dell’art. 352 rispetto all’art. 356 CCI, nella parte in cui vengono indicati i requisiti professionali di coloro che debbono ricoprire la funzione di curatore, commissario giudiziale, liquidatore, attestatore, advisor e componente del collegio dell’OCRI. L’art. 352 del Codice, titolato “Disposizioni transitorie sul funzionamento dell’OCRI”, in particolare prevede che, sino alla istituzione dell’albo di cui all’art. 356 CCI, i componenti del collegio di cui all’art. 17, comma I, lett. a) e b), costituito in conseguenza di una segnalazione di allerta, vengano individuati tra gli iscritti all’albo dei commercialisti e degli esperti contabili o all’albo degli avvocati, i quali abbiano svolto funzioni di commissario giudiziale o attestatore o abbiano assistito il debitore nella presentazione della domanda di accesso in almeno tre procedure di concordato preventivo che abbiano superato la fase dell’apertura o tre accordi di ristrutturazione dei debiti che siano stati omologati. Tale articolo, pur dettando norme di natura transitoria in attesa della istituzione dell’albo ex art. 356 CCI, in concreto non può trovare applicazione a causa del regime di entrata in vigore di cui all’art. 389 CCI: l’art. 352, infatti, entrerà

Nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

popolamento dell’albo, siano inopinatamente esclusi dalla iscrizione i professionisti che abbiano svolto funzioni di attestatore o che abbiano assistito il debitore nella presentazione della domanda di accesso alle procedure, così come indicati nell’art. 352 CCI, e da tale norma ritenuti qualificati a comporre il collegio dell’OCRI (Organismo di composizione assistita della crisi) in attesa dell’istituzione dell’albo stesso. Assai singolare, poi, la gestione degli aspetti formativi rimessi a Linee Guida emanate dalla Scuola Superiore della Magistratura: lo spirito della riforma è proprio quello della riduzione degli spazi pubblicistici a favore di una gestione negoziale delle nuove procedure e, quindi, non appare chiaro perché il sistema della formazione, in presenza di categorie professionali che si accingono a creare circuiti formativi autonomi, debba essere affidato alla Magistratura. Le norme sul sistema di nomina, poi, presentano delle lacune tali da generare dubbi interpretativi in merito all’obbligo del Giudice di attingere dall’albo suindicato: se, infatti, per la nomina del curatore nella liquidazione giudiziale nessun dubbio sorge a riguardo, poiché l’art. 125 CCI stabilisce che la stessa avvenga “osservati gli artt. 356 e 358”, altrettanto non può dirsi per il commissario giudiziale e il liquidatore. Quanto al primo, nell’ipotesi di concordato preventivo nessun richiamo è fatto all’albo di cui all’art. 356 né all’art. 125 CCI. Quanto al secondo, l’art. 114 richiama solo l’art. 358 CCI. Quindi la necessità per l’autorità giudiziaria di

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Nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza 46

in vigore il 15.8.2020. L’albo, invece, sarebbe dovuto essere istituito già a partire dal 16.3.2019 e operare a seguito dell’emissione del relativo decreto di funzionamento da adottarsi entro il 1° marzo 2020. Solo nella patologica ipotesi in cui alla data del 15 agosto 2020 l’albo non fosse ancora operativo l’art. 352 potrebbe applicarsi; in tale situazione, solo ai fini della costituzione del collegio dell’OCRI di cui all’art. 17, dovrebbe essere applicato l’art. 352, mentre per gli altri ruoli previsti dal codice, non potendosi applicare più l’art. 28 della l. fall., troverebbe applicazione unicamente l’art. 358 CCI, sicchè sarebbero sufficienti per la nomina solo i requisiti ivi previsti (essere iscritti all’albo degli avvocati, dei dottori commercialisti ed esperti contabili, o dei consulenti del lavoro, o avere svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società di capitali o società cooperative). Si tratta, peraltro, di un’ipotesi non peregrina se solo si consideri quanto accaduto in materia di esecuzioni circa l’operatività dell’art. 179-ter disp. att. c.p.c. Il quadro complessivo sopra descritto palesa un sistema di “arruolamento” dell’avvocato, ai fini

della nomina di incaricato della gestione e del controllo delle procedure di cui al codice della crisi e dell’insolvenza, iniquo e incapace di consentire ai professionisti realmente esperti nella materia concorsuale di essere inseriti nell’albo in questione sulla base della esperienza e preparazione acquisita sul campo, costringendoli ad un percorso formativo gravoso in termini di tempo e costi; percorso formativo che sarà oltretutto costruito, come detto, sulla base delle Linee Guida emanate dalla SSM. Le possibili interpretazioni delle norme in materia di nomina di commissario giudiziale e liquidatore rischiano comunque di lasciare il Giudice libero di scegliere il professionista senza attingere dal ripetuto albo, eventualità che non può essere valutata come un correttivo della problematica appena indicata, in quanto crea comunque una immotivata disparità di metodo nella gestione degli incarichi di cui al Codice. E’ pertanto auspicabile che i segnalati difetti di coordinamento delle norme siano risolti dai decreti correttivi e integrativi che saranno emanati dal Governo, sulla base della delega conferitagli dal Parlamento, nei due anni successivi alla entrata in vigore del Codice.


Confprofessioni, una risorsa per l’avvocatura di Paola Fiorillo

tante opportunità in materia di formazione e welfare Capire e dedicare tempo ed energie a tutto ciò che non è urgente (per gli altri) ma importante (per noi) è uno degli esercizi più difficili, ed il vecchio proverbio “il calzolaio ha le scarpe rotte” sta proprio ad indicare che, spesso, coloro che dovrebbero occuparsi di qualcosa a livello professionale lo fanno senza problemi quando si parla degli altri, molto meno quando si parla di loro stessi. E’ certamente un luogo comune, non si offenda nessuno, però come ogni luogo comune nasconde dietro di sé un po’ di verità. Ho voluto approcciare la redazione di questo articolo con una provocazione perché mi accorgo sempre di più, chiacchierando con altri colleghi, che diamo poca importanza alle nostre esigenze ed alle opportunità che ci sono per migliorare le nostre condizioni professionali attraverso gli strumenti che ANF mette a disposizione degli iscritti: non cogliamo tutti i benefici che derivano dalla grande intuizioni che ANF ebbe nel lontano 1997 quando aderì a Confprofessioni,

una organizzazione di rappresentanza di secondo livello dei liberi professionisti in Italia, riconosciuta parte sociale nel 2001, firmataria del CCNL dei dipendenti degli Studi professionali, e parte del Cnel dal 2010. Ed allora proviamo a fare un po’ di “servizio utilità” andando a conoscere meglio il mondo Confprofessioni con i suoi enti bilaterali, con le grandi chance riservate a noi avvocati (ed in generale ai professionisti), sia in tema di formazione che in tema del welfare.

Partiamo dal CCNL Il primo contratto collettivo di lavoro per i dipendenti degli studi professionali (CCNL) fu stipulato nel 1978 dalla CONSILP insieme alle rappresentanze di FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL e UILTUCS-UIL. A distanza di oltre trent’anni, a partire dal 2001, Confprofessioni ha sempre di più rafforzato il proprio ruolo di parte sociale dei professionisti nell’ambito della contrattazione collettiva. Nel tempo infatti sono state molte le conquiste e i traguardi raggiunti: una disciplina dei rapporti di lavoro in grado di coniugare in maniera efficace esigenze di flessibilità e di tutela dei lavoratori; la costituzione di un sistema bilaterale con una articolazione territoriale; il rafforzamento del welfare contrattuale con l’estensione dell’assistenza sanitaria integrativa a favore dei collaboratori coordinati e continuativi e dei praticanti e degli stessi professionisti. Senza dimenticare il ruolo riconosciuto dal CCNL alla contrattazione di II livello, su base regionale, che può adattare alle specifiche esigenze territoriali la regolazione dei rapporti di lavoro. Il CCNL è stato rinnovato il 17 aprile 2015, prevedendo l’ampliamento ai liberi professionisti datori di lavoro della tutela sanitaria integrativa, come previsto dal programma di “Gestione Professionisti”. 47


ConfProfessioni, una risorsa per l’avvocatura

C.A.DI.PROF. è la Cassa di Assistenza Sanitaria Supplementare per i Dipendenti degli Studi Professionali istituita da Confprofessioni e dalle altre Parti Sociali del Settore allo scopo di gestire i trattamenti di assistenza sanitaria supplementare a favore dei dipendenti che, in applicazione dell’art. 19 del CCNL Studi Professionali, hanno il diritto di essere iscritti alla Cassa. Dal 2008, è facoltà del datore di lavoro iscrivere alla Cassa anche i collaboratori ed i praticanti. I trattamenti assistenziali previsti dal Piano Sanitario C.A.DI.PROF. sono stati pensati per rispondere al meglio alle esigenze della popolazione assistita, ed alle esigenze della famiglia, con un insieme di prestazioni pensate per tutelare la genitorialità e per conciliare in maniera ottimale tempi di vita e tempi di lavoro, il tutto arricchito con una serie di convenzioni attivate a favore degli iscritti.

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Fondoprofessioni è un fondo paritetico interprofessionale nazionale per la formazione continua dei lavoratori degli studi professionali e delle aziende collegate. Istituito nel 2003 nell’ambito delle direttive del Ministero del Lavoro in merito alla formazione continua erogabile dai Fondi interprofessionali, con un accordo tra Confprofessioni e le parti sociali, Fondoprofessioni nasce con lo scopo di finanziare piani e progetti formativi atti a consolidare e sviluppare le competenze dei dipendenti degli studi professionali e dal suo avvio ha erogato circa 65 milioni di Euro, coinvolgendo circa 120.000 lavoratori. Il Fondo promuove bandi che vanno a premiare i

piani che attivano formazione a fronte di letture attente dei processi organizzativi, offrendo ai lavoratori e alle lavoratrici l’opportunità di riflettere sul loro lavoro e sul processo in cui sono inseriti. I piani e i progetti possono essere aziendali, territoriali, settoriali o individuali, a seconda che il percorso formativo sia declinato in base all’appartenenza ad una stessa area geografica, settore professionale o a una singola azienda e promuovono azioni corsuali, seminariali ed individuali. L’adesione al fondo è libera e gratuita, il professionista datore di lavoro può scegliere di destinare lo 0,30% dei contributi versati all’Inps a Fondoprofessioni (segnando sulla denuncia di flusso mensile uniemens il codice FPRO), trasformandolo in un contributo diretto di formazione.

E.BI.PRO. l’Ente Bilaterale degli studi professionali, costituito dalle Parti Sociali il 27 gennaio 2009, è chiamato dal CCNL del comparto ad operare in ambiti strategici come la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, la formazione, la conciliazione dei tempi di vita e lavoro ed il sostegno al reddito. Nello specifico l’Ente riconosce ai datori di lavoro iscritti un rimborso delle spese sostenute per la formazione in materia di salute e sicurezza, per l’acquisto della strumentazione necessaria ad attivare il telelavoro ed un contributo in caso di concessione dei permessi studio ai lavoratori. E’ istituito presso E.BI.PRO. anche uno specifico fondo che consente di erogare delle somme ai lavoratori il cui orario di lavoro viene ridotto o la cui attività è sospesa per crisi dello studi professionale. E.BI.PRO. Gestione Professionisti Con un’apposita gestione autonoma e separata “Ebipro Gestione Professionisti” garantisce un nuovo e innovativo Piano di Assistenza ai dato-


Molto semplice usufruirne, l’attivazione è automatica è necessaria solo la presenza dei dati di tutti i soci/associati e l’aggiornamento degli stessi nell’area riservata del portale Cadiprof/ Ebipro. Il numero dei dipendenti per ciascuno studio comporta per il datore di lavoro libero professionista una copertura BASE o PREMIUM mentre per gli studi associati/società il numero dei dipendenti garantisce la copertura automatica ad un definito numero di liberi professionisti associati. E’ possibile richiedere l’estensione della copertura da BASE a PREMIUM e ampliare la copertura anche ad altri soci/associati/collaboratori esterni dello studio/società. Ma le opportunità veramente interessanti per noi sono LE COPERTURE DEDICATE AGLI AVVOCATI: per gli Avvocati e gli studi legali, sono stati introdotti già dal 2017 piani e integrazioni di copertura volte ad agevolare il rispetto del decreto del Ministero della Giustizia del 22/09/2016 (G.U. n. 238 del 11.10.2016) che ha previsto, tra l’altro, l’obbligo di attivazione di una polizza assicurativa contro gli infortuni anche per i collaboratori ed i tirocinanti dello studio. E’ stata attivata, quindi, per gli avvocati titolari del Piano Assistenza Professionisti una copertura infortuni integrativa. Tale copertura integrativa “Infortuni Avvocati” prevede, inoltre, che la garanzia “diaria per inabilità temporanea”, anch’essa già inserita nel Piano, sia erogabile sin dal primo giorno di inabilità e non dal terzo, come invece previsto per i titolari del Piano di assistenza senza copertura integrativa. La copertura decorre dal 1° giorno del 3° mese successivo alla domanda (da effettuare seguendo la procedura indicata nel sito), previo versamento del contributo annuale previsto. Anche in favore degli Avvocati non ancora datori di lavoro è stata introdotta la possibilità di attivare un Piano di Assistenza, sempre nel rispetto degli obblighi del decreto.

ConfProfessioni, una risorsa per l’avvocatura

ri di lavoro che versano per i loro dipendenti i contributi previsti dal CCNL degli Studi Professionali, attivando coperture automatiche (Base o Premium) in base alla composizione dello studio (n. soci/n. lavoratori dipendenti). Il Piano offre un pacchetto di servizi a tutela della salute del Professionista e dell’attività dello studio. Oltre alle coperture attribuite automaticamente, sono previste anche coperture volontarie per l’upgrade dalla formula Base alla formula Premium e per l’attribuzione della copertura a professionisti non in copertura automatica, con un contributo aggiuntivo annuale. Se avete avuto la pazienza di leggere sin qui, dopo questa brevissima, ma necessaria, vetrina informativa, entriamo nel vivo del “servizio utilità” e scopriamo le opportunità soffermandoci sul PIANO DI ASSISTENZA DEDICATO AI PROFESSIONISTI E SULLA FORMAZIONE Il CCNL Studi Professionali, sottoscritto il 17 aprile 2015, ha introdotto una importante novità. Per la prima volta i datori di lavoro liberi professionisti che versano per i loro dipendenti i contributi previsti dall’art. 13 del CCNL (contributi alla bilateralità del settore) sono, loro stessi, beneficiari di prestazioni di assistenza (sanitaria integrativa e per emergenze allo studio). Le coperture per i datori di lavoro si attivano automaticamente dal 1° giorno del 4° mese successivo all’iscrizione, per chi è in regola con il pagamento dei contributi ed in presenza di tutti i dati anagrafici necessari, e consentono un insieme di interventi quali: check-up annuale, visite specialistiche, trattamenti fisioterapici, diaria per inabilità temporanea a seguito di malattia o di infortunio, indennizzi per invalidità permanente e morte da infortunio, pacchetto maternità per la copertura delle spese sostenute in gravidanza dedicato alle Professioniste iscritte, interventi per emergenze allo studio/ufficio. Nel 2018 il Piano si è arricchito di un ulteriore importante pacchetto di coperture relative alle spese per Accertamenti Diagnostici e Terapie con massimali fino a 7.000 euro.

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Il Piano Infortuni & Welfare Avvocati prevede la copertura per tutte le prestazioni del piano Base (check-up annuale, visite specialistiche, accertamenti diagnostici con massimale fino a 5.000 euro, trattamenti fisioterapici, diaria senza franchigia di giorni, pacchetto maternità, copertura per emergenze allo studio, ecc.) e il massimale della copertura infortuni fino a € 135.000. Il Piano è attivabile on line, accedendo direttamente al link Infortuni & Welfare nella sezione Gestione Professionisti del sito www.ebipro.it ed è previsto un contributo annuale complessivo pari ad € 70 per garantire, quindi, prevenzione, accertamenti, cure e tutela infortuni anche ai più giovani ed a chi ancora non ha strutturato lo studio. Le prestazioni previste dai piani sono rese tramite strutture convenzionate presenti su tutto il territorio nazionale, previa prenotazione e accettazione da parte di Unisalute. Altre grandi opportunità arrivano, poi sul piano della FORMAZIONE, dove centrale è IL RUOLO DEGLI ENTI BILATERALI La formazione rappresenta uno degli ambiti di intervento più importanti degli enti bilaterali del settore studi professionali. Il valore strategico dell’aggiornamento professionale e dell’innalzamento delle competenze di professionisti e lavoratori per competere nel mercato professionale ha portato nel corso degli anni le parti sociali ad operare in una duplice direzione: - valorizzare il ruolo di fondoprofessioni che finanzia percorsi formativi per i dipendenti. - affidare ad Ebipro l’ente bilaterale nazionale per gli studi professionali l’intervento in alcune materie di particolare rilevanza quali salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, privacy e antiriciclaggio al fine di intervenire con misure di sostegno anche a beneficio dei professionisti. Ebipro in particolare prevede un rimborso fino al 100 %, in caso di adesione dello studio a tutti gli enti bilaterali del settore (cadiprof, ebipro e fondoprofessioni), delle spese per la formazione

effettuate dal datore di lavoro per la formazione propria, dei suoi lavoratori e, a certe condizioni, anche dei collaboratori. Le offerte formative per le quali è riconosciuto il rimborso sono quelle contenute nei cataloghi accreditati presso Fondoprofessioni.

▲ Paola Fiorillo


alla formazione finanziata, anche grazie alle sinergie attivate con la bilateralità di settore. Si tratta di avvisi dove, normalmente, vengono allocate ingenti somme, (ad esempio l’avviso3/19 ha allocato risorse complessivamente pari a Euro 2.400.000,00), ed Il contributo per ogni singolo piano formativo è normalmente di circa Euro 30.000,00. Ciò vuol dire avere una possibilità per le ATA territoriali di poter proporre un piano formativo che, una volta finanziato, potrà consentire agli iscritti territoriali di fornire ai propri dipendenti/collaboratori, ma anche agli stessi professioni, una formazione di qualità, finanziata, ed in grado di qualificare non solo il personale dipendente, ma anche di specializzare il professionista su materie nuove dandogli la possibilità di allargare le proprie competenze professionali, ed allo stesso tempo per i colleghi esperti in formazione di poter implementare la loro attività lavorativa. Assumiamo, dunque, piena cognizione delle opportunità che l’adesione a Confprofessioni ci comporta, e diventiamo “consapevoli di possibili modi alternativi di strutturare la realtà” (Donald A. Schon)

ConfProfessioni, una risorsa per l’avvocatura

E nel concreto sul piano formativo, quali opportunità abbiamo? Con cadenza annuale Fondoprofessioni, pubblica degli avvisi con i quali finanzia piani formativi pluriaziendali promossi dalle Parti Sociali, Associazioni di Categoria/Organizzazioni, (quindi ciascuna sede territoriale di ANF può partecipare), con l’obiettivo di: • valorizzare il ruolo della rappresentanza nella lettura e anticipazione dei fabbisogni settoriali e territoriali; • contribuire al rafforzamento di una rappresentanza attiva e orientata all’effettivo servizio agli aderenti, secondo i principi di una bilateralità positiva e mirata alla crescita di un intero sistema; • aggregare la domanda formativa, per agevolare, in particolare, la formazione negli Studi professionali/Aziende di più piccola dimensione; • contribuire allo sviluppo del comparto professionale e ciò attraverso interventi finalizzati all’evoluzione tecnologica e organizzativa degli Studi professionali; • migliorare le conoscenze/abilità dei dipendenti e la competitività degli Studi professionali/Aziende coinvolti; • accompagnare lo sviluppo delle competenze relazionali dei dipendenti degli Studi professionali/Aziende coinvolti; • diffondere un approccio innovativo

▲ Gaetano Stella - Presidente di ConfProfessioni

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Usi, costumi e… deontologia di Cesare Piazza

linguaggio, comunicazione e comportamenti mutano più velocemente Per favore, non mi date addosso come se, per la mia età, fossi un laudator temporis acti: non lo sono affatto, anche perché sono perfettamente consapevole che in ogni tempo ci sono state cose buone e cose cattive. Però, conveniamone tutti, in tema di usi e costumi certi valori, una volta molto custoditi, che si chiamavano compostezza, rispetto, eleganza, decoro, si vanno rapidamente deprezzando, per non dire dimenticando o addirittura evitando di proposito, per non farsi giudicare démodé ed obsoleti. Già: il decoro. Tutti sappiamo quanto questa parola sia usata, e forsanche abusata, nelle norme – di legge ordinamentale, e deontologiche – che riguardano gli avvocati, ma non è stato sempre chiaro, e figuriamoci se lo è oggi, quale sia il concetto che le è sotteso. Prendiamo lo Zingarelli, e leggiamo: decoro è sentimento, coscienza della propria dignità, che si riflette

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nell’aspetto, negli atteggiamenti, nell’operato, e simili E giacché ci siamo, prendiamo anche il Devoto-Oli: decoro è la risultante di tutti gli elementi che conferiscono all’aspetto o al comportamento l’impronta adatta a garantire il rispetto altrui; è anche la coscienza di ciò che si addice o che è dovuto al proprio grado, alla propria funzione o condizione. E vedete come certe “impronte” adatte a garantire il rispetto altrui, diventino comuni e tradizionali nell’immaginario collettivo: il medico non è medico se non indossa


il camice bianco con lo stetoscopio nel taschino, il prete non è prete se non ha la talare nera e il tricorno in testa, il minatore non è minatore se non indossa il casco con la lampada sul frontale, il giardiniere non è giardiniere se non indossa un grembiulone blu con ampie tasche sul davanti e guanti di gomma, il meccanico di officina non è meccanico se non indossa una tuta blu con cintura alla vita, il carabiniere non è carabiniere se non indossa sulla divisa la caratteristica bandoliera bianca, in cuoco non è cuoco se non indossa giubba bianca, il fazzoletto al collo e il cappello bianco a tuba, e via discorrendo. Ci si rifà, come succede, agli stereotipi ormai consacrati nelle illustrazioni dei libri per bambini e nei pittogrammi indicatori. Ed è certo che, in questo ambito, l’avvocato non è avvocato se non indossa la toga nera con le nappe dorate. La differenza rispetto agli altri pittogrammi, però, è che la toga non è un elemento necessario per la funzione, basti pensare ai processi civili o ai processi in camera di consiglio, e quindi è soltanto un simbolo esteriore di dignità, cioè – come dice il Devoto-Oli – l’impronta adatta a garantire il rispetto altrui. Vogliamo allora dire che questa impronta dovrebbe essere garantita non soltanto dalla toga, ma anche genericamente – come dice lo Zingarelli – dall’aspetto, dall’atteggiamento, dall’operato dell’avvocato in ogni momento della sua vita sociale?

sono nudi, o ruttare sconciamente mangiando in un contesto tradizionale nel quale tutti ruttano sconciamente, sono cose che ovviamente non si giudicano riprovevoli, costituendo soltanto un’omologazione ad usi generalmente praticati. Ma il problema c’è, e genera forti contrasti, quando le norme di comportamento sono dettate per legge (anche il codice deontologico è legge) e fanno riferimento a concetti – forse anche arcaici – quali “probità, dignità, decoro” che non evolvono facilmente, e anzi dovrebbero costituire paletti fissi di riferimento secondo paradigmi sociali strettamente collegati, non già con usi o costumi, ma con la tradizione. La mia esperienza personale, quale componente del Consiglio Distrettuale di Disciplina, mi ha posto al confronto con casi nei quali la conformità al “decoro” come legislativamente inteso è diventata problematica proprio a causa dell’evoluzione dei costumi. Prendiamo qualche esempio.

Anche usi e costumi si evolvono oggi velocemente Diciamolo pure, se vogliamo: ma resta il fatto che la vita sociale è caratterizzata anche soprattutto da usi e costumi, i quali, rimasti statici per secoli, si vanno evolvendo nei nostri tempi con la stessa velocità dei mezzi di comunicazione. E questa evoluzione non può non riflettersi inevitabilmente nell’aspetto, nell’operato, e negli atteggiamenti degli avvocati, specialmente di quelli più giovani e dinamici. Di per sé questo non sarebbe un problema: andare nudi in un contesto etnico nel quale tutti 53


Usi, costumi e … deontologia

Il linguaggio. Vabbè che radio, televisione e letteratura (dal dì che il libro “Porci con le ali” iniziava proprio con “cazzo, cazzo, cazzo”) ci hanno sdoganato espressioni che in passato si definivano come “linguaggio da caserma”; e che anche la politica – a cominciare dal comico Beppe Grillo – non si è peritata di assumere come ideologia il “vaff……” . Ma che dire di quell’avvocato che, stressato al termine di un’udienza civile dalle eccezioni e opposizioni dell’avversario, prorompe in un sonoro (e udito da tutti) “Ma vaff…… anche te….”? E come giudicare quell’avvocato che, in una lettera risentita inviata al collega avversario e per conoscenza alle parti, si domanda: “E che, stiamo a prenderci per il culo tutti quanti?” . E quale sanzione infliggere a quell’avvocato che, in una comunicazione privata diretta al suo cliente dissenziente circa l’ammontare di una liquidazione di danni, gli indica perentorio: “e allora ci vada lei, a discutere con quella zoccola della liquidatrice”?

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Il comportamento. Le discussioni che nascono a seguito di un incidente stradale possono andare da una pacata e amichevole redazione del modulo azzurro e giallo del CID, fino all’omicidio volontario. Ed è un fenomeno nel quale emergono certamente le qualità comportamentali dei contendenti. In un paese dove tutti si conoscono, un’auto procede velocemente nella strada principale, ed è seguita più o meno alla stessa velocità da un’altra auto. All’improvviso la prima frena bruscamente perché vuole svoltare a sinistra in una strada laterale, e la seconda la va a tamponare. I due conducenti scendono e si riconoscono: sono due avvocati del luogo, ma in quel momento sono soltanto due vittime di un incidente stradale, irritatissimi per i danni subiti. E, rinfacciandosi reciprocamente violazioni delle regole, esagerano nelle contumelie e quasi vengono alle mani al cospetto di un nugolo di curiosi, che li conoscono benissimo e

si intromettono. I due avvocati inoltrano, ciascuno, esposto al Consiglio di Disciplina. Ma, stante la quotidianità del fenomeno di discussioni generate da un incidente stradale, la dignità e il decoro dell’avvocato ne è stato veramente leso?

L’abbigliamento. Secondo un’ammonizione della Camera di Disciplina degli Avvocati del Granducato di Toscana (1851) i professionisti erano richiamati all’obbligo di indossare correntemente abbigliamento curiale, cioè nero con fregi dorati, e copricapo di foggia determinata. E, per un curioso parallelismo, il regolamento che riguarda la divisa dei giudici popolari attribuendo loro la sciarpa tricolore raccomanda loro di indossare abbigliamento nero o almeno scuro. Ed è certo che gli avvocati nostri predecessori, almeno fino agli anni ’30 del 900, mai si sarebbero permessi di comparire in tribunale in abiti men che sobri e austeri. Aggiungo, come notazione storica, che uno degli argomenti che fu usato nel 1883 dalla Corte d’Appello di Torino per escludere la possibilità per la reclamante Lidia Poët di iscriversi all’albo degli avvocati, fu che gli abbigliamenti strani e bizzarri che la moda impone alle donne, assieme ad acconciature non meno bizzarre, non si confacevano con l’austerità della toga e con la serietà dei giudizi. Ma oggi il Consiglio di Disciplina si trova di fronte a un esposto di un giudice, che si duole del fatto che un avvocato si sia presentato in udienza con camicia sbottonata, jeans e sandali rifiutandosi di ritirarsi e di delegare altro collega presente più decentemente vestito. E che dire delle donne avvocato, che nelle calde estati che il riscaldamento del pianeta ci ha dispensato circolano per il palazzo di giustizia con abiti davvero succinti e ciabattine infradito? Lo sport. Le attività motorie sono sicuramente benefiche e raccomandabili, e ne va raccomandato l’esercizio. I problemi però cominciano quando le


I social network La libertà di pensiero e di parola è veramente una gran conquista, e il poterla esprimere appieno nel gran circo delle comunicazioni sociali è un beneficio che merita tutto l’apprezzamento da parte anche degli avvocati, che di tale libertà sono i primi difensori. Ma anche qui sorgono problemi inaspettati. Dov’è che finisce la libertà di esprimersi, e inizia l’indecorosità del comportamento? Il Consiglio di Disciplina si trova dinanzi al caso di un avvocato, membro di un gruppo “social”, che più volte nell’ambito di discussioni aperte su vari argomenti, fluttuanti da casi di cronaca a critiche di tipo politico, si è lasciato andare a focose e passionali considerazioni (negative, naturalmente) su istituzioni

forensi di vario grado e sul comportamento politico dei loro dirigenti più in vista. Ed è anche emerso il caso di un altro avvocato che, sempre su facebook, è intervenuto in una generale discussione, aspramente criticando con parole veramente forti il sistema della formazione professionale, la pochezza dei docenti, la incapacità dei dirigenti di sede, e la stoltezza di chi sostiene un simile sistema non riuscendo ad immaginarne un altro. Sono appassionate espressioni di pensiero politico (gli usi imperanti nella dialettica partitica e parlamentare ci hanno purtroppo abituati al peggio), o sono patenti violazioni della dignità e del decoro che un avvocato – noto nel gruppo come tale – deve in ogni circostanza mantenere? L’evoluzione degli usi e dei costumi – dicevo – è continua e inarrestabile, e di sicuro sarebbe impresa inutile il cercare di condizionarla, come quella di chi volesse fermare il vento con le mani. Ma mi domando, e domando anche a voi che mi leggete: la dignità e il decoro che per legge devono caratterizzare l’operato, l’aspetto e gli atteggiamenti dell’avvocato, sono valori assoluti e immutabili (e in tal caso ancorati a quale visione), oppure sono compatibili con gli usi e i costumi nel senso di valere nei confronti dell’evoluzione di questi come semplice criterio di moderazione e di temperanza?

Usi, costumi e … deontologia

attività stesse comportano agonismo. Noi tutti siamo consapevoli, per mezzo delle cronache dei giornali, degli eccessi a cui possa indurre il troppo acceso agonismo, sia in campo fra i giocatori, sia nelle tribune fra gli spettatori. Non sono più rari i casi in cui, specie nei tornei giovanili, i genitori dei piccoli giocatori che siedono in tribuna siano più esagitati e rissosi dei loro rampolli; e non sono affatto rari i casi di scontri in campo o nelle immediate adiacenze fra giocatori, dirigenti di società, e sostenitori di contrapposti schieramenti. Ed eccoci ai casi: un esposto al Consiglio di Disciplina depreca il fatto che un avvocato giocatore, ma anche dirigente, di una squadra giovanile sia stato protagonista di una zuffa di tipo agonistico nel corso di un’accesa partita di pallacanestro; e dalla cronaca di un giornale il Consiglio apprende che in un corteo di tifosi scalmanati, esasperati e delusi per la negativa partita della loro squadra di calcio (siamo in “promozione” beninteso…), sia stato identificato un avvocato che guidava – assieme ad altri caporioni – la manifestazione a suon di parolacce, invettive e gesti sconci. Si dirà: la veemenza è l’anima dell’agonismo, che non è un illecito di per sé. E va bene: ma il decoro?

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Giurisdizione, giustizia e mediazione di Angelo Santi

una riflessione sui limiti della giurisdizione e sulla responsabilità e autodeterminazione delle parti nella gestione delle controversie Nell’ormai lontano 2003, quando ancora la mediazione civile e commerciale era soltanto facoltativa, proprio nell’introdurre una monografia sulla conciliazione scritta con Maurizio Di Rocco, decidevo di titolare il primo capitolo nel modo seguente: “La prevalenza della giurisdizione nella tutela dei diritti ed il suo possibile superamento”. Già allora, da giovane avvocato, mi ero posto almeno due domande: perché la giurisdizione rappresenta il principale metodo di risoluzione delle controversie? E la seconda domanda: la giurisdizione è sempre in grado di assicurare una forma di giustizia effi-

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ciente e “giusta” nel senso più sostanziale del termine? Mi domando oggi se, a distanza di più di quindici anni dalla scrittura di quel testo, nonché a distanza di quasi dieci anni dalla entrata in vigore del D.lgs. 28/2010, la risposta che avevo dato a suo tempo debba essere ragionevolmente rivista. E aggiungo un’altra domanda: la giurisdizione rappresenta ancora il principale strumento di risoluzione delle controversie civili? Il tema della riflessione afferisce inevitabilmente ai concetti di giurisdizione e giustizia, prima ancora che di mediazione e sistemi alternativi. C’è un equivoco di fondo, che ancora aleggia nella formazione universitaria del giovane giurista e, inevitabilmente, nella cultura dell’avvocato. La giurisdizione viene pressoché totalmente assimilata all’idea di giustizia, come se la decisione del giudice possa sempre e comunque assicurare (almeno in teoria) una risposta giusta, perché conforme al diritto. Tale assimilazione è frutto di una visione fortemente paternalistica dello stato di diritto e non è corretta sotto diversi profili. La giustizia è un concetto molto ampio, difficilmente riconducibile ad una definizione univoca, ma proprio per questo è bene tener presente le diverse sfaccettature che possono comporre il panorama della giustizia civile. Se per giustizia può intendersi (tra l’altro) la volontà e il dovere di ciascuno di noi di riconoscere il diritto dell’altro, è evidente che l’autodeterminazione del singolo diventa uno strumento fondamentale per favorire la migliore realizzazione della giustizia. La giurisdizione è, invece, lo strumento di risoluzione delle controversie che attua la giustizia attraverso una decisione eterodiretta ed imposta, comunque secondo diritto. È l’applicazione del diritto alla fattispecie concreta, che viene portata all’attenzione


del giudice. Ed allora la riflessione si sposta ancora su un altro piano: l’applicazione del diritto porta sempre ad una soluzione giusta? È evidente che così non è, ogni qual volta la decisione secondo diritto sconta degli ampi margini di discrezionalità, magari perché frutto di una valutazione dei fatti non facilmente comprovabile o perché frutto di una norma di dubbia interpretazione o di una clausola contrattuale mal formulata. Sono moltissimi, nella casistica concreta, i casi in cui l’aggiudicazione sconta dei margini di incertezza. Sono le cosiddette “zone grigie” dell’applicazione giurisprudenziale, nelle quali il giudice potrebbe ragionevolmente, pur senza sbagliare, pronunciarsi con esiti diversi, a seconda della sua valutazione. Senza considerare i casi in cui la decisione del giudice non rappresenta nemmeno una risposta efficiente ed adeguata, come nelle casistiche, quasi paradigmatiche, delle controversie in materia di divisioni ereditarie, dove le soluzioni giudiziali appaiono del tutto inidonee, oltre che lunghe e costose.

La giustizia è ancora troppo identificata con la giurisdizione La constatazione che posso fare ancora oggi, a distanza di diversi anni, è la medesima: i limiti della giurisdizione ci sono e sono evidenti, non potendo assicurare sempre e comunque una risposta oggettiva, ma spesso nemmeno efficiente e veloce. Ciò nonostante, la giurisdizione rappresenta pur sempre la prima forma di giustizia, costituzionalmente posta in primo piano, che deve pertanto ritenersi “giustizia” in forza di una convenzione dell’ordinamento democratico, il quale deve necessariamente garantire un sistema pubblico e cogente di risoluzione delle controversie. Preso atto di ciò, e non potrebbe essere altrimenti, è giusto domandarsi cosa sia successo negli ultimi dieci anni e, in particolare, se le forme di giustizia alternativa, introdotte (o spesso indotte) nel nostro ordinamento, abbiano favo-

rito un diverso approccio alla risoluzione del contenzioso, riequilibrando, almeno in parte, la strabordante tendenza culturale del nostro Paese verso le soluzioni giudiziali. L’analisi può ben esser fatta sulla base dei dati statistici degli ultimi sei anni (da quando la mediazione è stata riproposta come obbligatoria nel 2013) e, in particolare, dalle statistiche della mediazione e dai corrispondenti dati delle iscrizioni a ruolo dei procedimenti civili. Non vi è dubbio che vi sia in atto una tendenza importante e consolidata verso un minore ricorso alle soluzioni giudiziali, alla stregua di quella tanto auspicata “degiurisdizionalizzazione”, espressione tanto brutta quanto indicativa della giusta ricerca di un adeguato bilanciamento tra ▲ Angelo Santi

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Giurisdizione, giustizia e mediazione 58

le soluzioni giudiziali e le soluzioni consensuali (negoziali, mediative e conciliative). I dati delle iscrizioni a ruolo dei procedimenti civili ci forniscono una chiara duplice indicazione. Le iscrizioni a ruolo sono in calo dal 2013 di circa il 25%, così come sono in vistoso calo i procedimenti pendenti, che dai 5.700.105 procedimenti dell’anno 2009, sono passati ai 3.408.529 procedimenti pendenti al 31 marzo 2019 (riduzione del 40%). Non è ancora in calo la durata dei procedimenti civili, ma questo dipende in molti casi da fattori organizzativi ed è comunque evidente che l’abbattimento dell’arretrato avrà, prima o poi, effetti positivi anche sulla durata dei processi. È vero che il calo del contenzioso civile dipende da molteplici fattori, ma non può porsi in dubbio che la spinta verso le soluzioni consensuali (mediazione e negoziazione in particolare) abbia avuto un impatto certamente significativo, persino sul piano squisitamente culturale, nonostante la naturale tendenza tribunale-centrica del nostro ordinamento. La conferma di quanto detto la si può evincere limpidamente dal riscontro dei numeri delle iscrizioni a ruolo nelle materie di obbligatorietà della mediazione, laddove in questo ambito il calo negli ultimi sei anni è stato superiore al 40% (statisticamente si definirebbe quasi un crollo), a fronte di un calo medio di tutte le altre materie pari a circa il 25%.

Condominio, diritti reali, successioni, divisioni, locazioni: significativo spostamento dal tribunale al tavolo del mediatore Anche il più irriducibile nemico della mediazione non può negare come vi sia stato, su alcune materie, un significativo spostamento dalle aule del tribunale al tavolo del mediatore, chiaramente riscontrabile in materia di condominio, diritti reali, successioni, divisioni e locazioni. Sono tutte tipologie di controversie nelle quali vi è una relazione intercorrente tra le parti che può essere opportunamente valorizzata in

sede mediativa, al punto che l’ambito dell’obbligatorietà della mediazione potrebbe essere ragionevolmente esteso ad altre materie dove è riscontrabile la stessa caratteristica (per esempio, in materia di contrattualistica commerciale, appalti privati o in alcuni casististiche societarie). La stessa cosa non può dirsi della materia bancaria e assicurativa, dove l’atteggiamento del contraente forte e la sostanziale assenza di una relazione umanamente rilevante, rendono questa tipologia di controversia non particolarmente idonea alla mediazione. È altrettanto vero che, complessivamente, sono in calo le procedure di mediazione rilevate dal Ministero della Giustizia ed è qui che alcuni detrattori hanno colto uno spunto per affermare che lo strumento non funziona. È esattamente vero il contrario. L’induzione obbligatoria alla mediazione ha conseguito il risultato, sia pure molto gradualmente, di diffondere una significativa conoscenza in ambito forense con riguardo alla funzionalità e potenzialità del metodo conciliativo. A ciò si sono aggiunte poi le iniziative formative e divulgative del CNF, di molti ordini forensi e di alcune associazioni come UNAM. L’aumento della sensibilità degli avvocati con riguardo all’utilizzo delle ADR – che certamente si è riscontrata in questi anni – ha quindi comportato un consistente incremento dei casi in cui le parti si mettono d’accordo, anche al di fuori dei percorsi normativi recentemente istituiti. Il calo del contenzioso e delle mediazioni è, pertanto, perfettamente coerente con l’incremento delle soluzioni negoziali, spesso non registrate da nessuna statistica, in quanto riconducibili a delle semplici transazioni. Lungi dall’essere un sintomo negativo, anche il calo delle mediazioni è un riflesso di un fenomeno in crescita. Le soluzioni consensuali rappresentano, oggi, una componente fondamentale nel panorama della giustizia civile italiana, in tutte le diverse sfaccettature che hanno assunto in questi ultimi anni. Se c’è un’adeguata collaborazione tra gli avvocati, si può benissimo coltivare una nego-


negoziazione e la mediazione significherebbe incentivare una cultura della responsabilità del cittadino indirizzata alla spontanea attuazione del diritto, attraverso un percorso virtuoso di confronto con la controparte, che possa favorire il giusto riconoscimento delle altrui ragioni. I comportamenti virtuosi, come in molti altri ambiti della convivenza civile, devono essere necessariamente indotti e incentivati. Si deve uscire dall’idea paternalistica dello Stato che deve necessariamente risolvere tutti i conflitti tra privati. Nella ricerca di un giusto bilanciamento tra soluzioni autonome e soluzioni eteronome, la giurisdizione dovrebbe rappresentare la soluzione quasi residuale, di certo necessaria, ma non prevalente e, men che meno, esclusiva. In tutto questo, il ruolo dell’avvocato appare fondamentale per garantire una giusta consapevolezza della parte con riguardo alla consistenza dei propri diritti, in modo da poter negoziare in modo responsabile, ma anche pienamente garantito ed informato. Le soluzioni conciliative devono essere perseguite, ma con la migliore tutela della parte, che non debba subire l’influenza di una controparte, magari più forte o comunque capace di imporre una propria soluzione. L’avvocatura può rappresentare oggi il miglior filtro nella gestione delle controversie ed è opportuno che sia sempre più sensibilizzata, formata e preparata ad un corretto approccio negoziale nella ricerca di una soluzione conciliativa.

Giurisdizione, giustizia e mediazione

ziazione assistita, mentre la mediazione rappresenta (o dovrebbe rappresentare) uno step ulteriore, laddove il mediatore possa essere utile per superare una rigidità comunicativa che non dovesse consentire un positivo approdo della trattativa diretta tra le parti. In ogni caso, alla base di tutto ciò, c’è un’importante valorizzazione della capacità di autodeterminazione delle parti, che devono diventare protagoniste della soluzione del loro stesso contenzioso. D’altro canto, di fronte ad una controversia di natura privatistica su diritti disponibili, la migliore soluzione sarà sempre quella che le parti riescono a negoziare, soprattutto ove l’eventuale esito giudiziale appaia soggetto ad una rilevante alea o comunque particolarmente incerto. Ed è così che il concetto di autodeterminazione si lega al concetto di responsabilità: le parti devono essere opportunamente incentivate e responsabilizzate sulla possibile composizione autonoma della loro vertenza, anche con eventuali conseguenze processuali a carico di chi colpevolmente abbia rifiutato il confronto conciliativo e sia risultato poi soccombente nel successivo giudizio. L’obbligatorietà della mediazione, se ha un senso, deve essere vista proprio sotto questo profilo: l’accesso alla giurisdizione viene condizionato ad un preventivo passaggio di verifica delle condizioni di mediabilità della controversia, con una adeguata responsabilizzazione sulla effettiva serietà dell’intenzione delle parti. Il nostro ordinamento ha già intrapreso questo percorso, ma si potrebbe ragionevolmente fare di più. La nostra Costituzione valorizza la libertà dei privati, ma la giustizia è ancora troppo identificata con la giurisdizione. Valorizzare la

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Giustizia disciplinare: urge un recupero della credibilità del sistema di Donata Giorgia Cappelluto

l’elezione dei componenti del CDD appare non coerente rispetto alle finalità perseguite dalla legge professionale L’avvocato è il “custode dei diritti” e per esercitare tale funzione sociale necessita di indipendenza ed autonomia da ogni pubblico potere (politico, giudiziario e legislativo). La nobile specificità della professione di avvocato è lo strumento indispensabile per consentire la concreta attuazione del diritto fondamentale ed irrinunciabile di difesa (art. 24 Cost.). La professione forense, invero, è proprio come una medaglia con due facce, rilevando, per un lato, l’aspetto “di pubblico interesse” al suo corretto svolgimento e, per altro verso, rilevando il suo aspetto di professione intellettuale “privata” libera ed indipendente. Secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata1 la riforma

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della Legge Professionale (L.247/2012) ha inteso rinforzare l’indipendenza e l’autonomia dell’avvocato, quali valori fondanti della professione forense”2. L’indipendenza dell’avvocato è un valore essenziale nell’esercizio della professione forense in quanto e nella misura in cui essa è simmetrica all’indipendenza del magistrato. Non a caso la Costituzione contempla espressamente la funzione sociale, di rilevanza pubblica, dell’avvocato in numerosi articoli3. La rilevanza pubblica e sociale della professione forense è tale da aver comportato persino la modifica dell’Ordinamento Giudiziario (L.150/2005)4. In sintesi, dalle fonti normative nazionali e sovranazionali emerge il ruolo centrale dell’Avvocatura e la “specialità


costituzionale” 5 della professione forense. Gli avvocati concorrono al funzionamento del “sistema giustizia”. La correttezza del suo funzionamento dipende, oltre che dal rapporto equilibrato (di tendenziale parità) fra magistrati ed avvocati, anche e principalmente dall’autonomia ed indipendenza dell’Avvocatura e dal corretto esercizio della professione . In questa prospettiva la legge professionale italiana, all’art. 1 comma 2 lett. B) e C) e art. 3, comma 2, L. 247/2012, e il codice deontologico italiano agli artt. artt. 3, 17 e 51, fanno espresso riferimento e tutelano l’interesse pubblico al corretto esercizio della professione forense. L’avvocato è soggetto protagonista della giurisdizione, al pari ed al fianco della magistratura, ma, affinchè gli siano riconosciuti la dignità ed il ruolo che gli competono, è necessario recuperare la credibilità, oggi largamente compromessa, della categoria professionale. L’Avvocatura deve maturare la consapevolezza della valenza pubblicistica della professione forense e dell’interesse pubblico al suo corretto esercizio, nonché di essere il soggetto co-protagonista del sistema giustizia cui è affidata la funzione sociale della “difesa” e di essere l’unico mezzo di attuazione di tale diritto inviolabile. Acquisita tale consapevolezza e recuperata la propria “autostima”, l’Avvocatura non potrà che riconquistare la sua credibilità e prestigio sociale attraverso il recupero della credibilità del sistema di giustizia disciplinare, quale necessità ineludibile 6 . In questa ottica l’esercizio del potere disciplinare, previsto dall’art. 50 L. 247/2012, è espressione della funzione “pubblicistica” degli organi rappresentativi della pluralità dei professionisti investiti della pubblica funzione di perseguire gli obiettivi fissati dalla legge professionale suindicati. In tale prospettiva deve essere chiaro che il potere disciplinare è attribuito al Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD), non nell’interesse dell’Ente in quanto tale, ma nell’interesse

dell’ordinamento nel suo complesso e della comunità dei consociati che se ne avvantaggia. La legge professionale attribuisce il ruolo di “giudice” al CDD, e non al COA territoriale, proprio in quanto soggetto neutrale e non titolare di interessi propri, ma appunto dell’intera comunità (destinataria del “servizio giustizia”). Da tale premessa deriva che il sistema elettorale dei componenti del CDD (c.d. di secondo grado)7 appare a chi scrive non coerente rispetto alle finalità asseritamente perseguite dalla legge professionale, almeno secondo la lettura costituzionalmente orientata auspicata. Invero, proprio nell’ottica della funzione c.d. giustiziale, che il CDD8 deve svolgere, sarebbe più coerente e logico emendare il sistema elettorale9 dei componenti del CDD nel senso di : estendere il diritto di voto attivo a ciascun iscritto agli Ordini dell’intero territorio nazionale (e non solo ai componenti dei COA); codificare il divieto per i componenti di COA, CNF e OCF a essere membri del CDD per i quattro anni successivi alla cessazione della carica (non la mera incompatibilità). Anche migliori regole elettorali garantiscono che il procedimento disciplinare a carico degli avvocati possa essere celebrato secondo i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, tipici dell’azione amministrativa, oltre che nel rispetto doveroso di un processo “garantista”, atteso che la legge professionale rinvia espressamente al codice di rito penale la disciplina di tutti gli aspetti del procedimento disciplinare non espressamente da essa normati, con il solo limite della compatibilità. Il sistema di giustizia disciplinare per conquistare o riconquistare la propria credibilità deve essere, si garantista, ma di durata “ragionevole” e generalmente efficace nei confronti di tutti gli esercenti la professione forense sul territorio nazionale. La tipizzazione tanto dell’illecito disciplinare quanto delle sanzioni previste coglie nel segno l’obiettivo, ma resta il nodo gordiano dei tempi

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Giustizia disciplinare: urge un recupero della credibilità del sistema 62

e delle risorse da destinare alla giustizia disciplinare, non ancora dipanato dalla legge professionale in modo efficace. Un sistema elettorale poco coerente e malfunzionante L’esperienza ed i dati acquisiti dall’entrata in vigore della riforma10 ad oggi dimostrano che il sistema approntato di fatto non funziona o funziona poco. Le cause invero sono molteplici: - l’arretrato che i CDD hanno ereditato dai COA territoriali ante riforma; - la tardiva attuazione della normativa secondaria; - i maggiori costi derivanti dalla necessità di trasferta del componenti del CDD nonché di tutti coloro che, incidentalmente, siano coinvolti nella fase pre–istruttoria, istruttoria e dibattimentale del procedimento disciplinare; nonché i maggiori costi derivanti anche dalla necessità

di reperire locali e personale per svolgere dette attività (anche se di per sé gratuite); - l’attuale disciplina della prescrizione, da ultimo adottata. Come noto, all’esito della riforma, il procedimento disciplinare ha assunto una fisionomia più simile al procedimento penale che al procedimento amministrativo, atteso che sia l’art. 59 della L. 247/2012 che l’art. 10 Regolamento estendono l’applicazione delle norme del codice di procedura penale per quanto non espressamente previsto, con l’ulteriore conseguente adozione delle regole di computo e durata della prescrizione di matrice penale11. In effetti il nuovo termine coniato per la prescrizione dell’azione disciplinare è pari ad anni sei, secondo la previsione di cui all’art.56 L 247/2012, termine che solo nei casi di interruzione, tassativamente previsti, può essere prolungato al massimo di un ulteriore quarto (un anno e sei mesi) e diventare


NOTE 1.

Rivista di diritto pubblico n.12/2015 in Giustamm.it-Dottrina/5243

2. Guido Alpa, 25 novembre 2010, Discorso introduttivo Guido Alpa, Congresso Avvocatura 2010, “L’Avvocatura a servizio dei cittadini”. 3. - art.24 qualificando il diritto di difesa come fondamentale ed inviolabile - artt. 106 prevedendo che gli avvocati possano concorrere a svolgere funzioni di consigliere di cassazione - ovvero che gli avvocati possano svolgere la funzione di giudici della Corte Costituzionale (art. 135) e persino di componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, come previsto dall’art. 104 comma 4; Analoga considerazione della funzione difensiva è positivamente riscontrata e confermata anche dalla normativa europea (art. 6 Convenzione EDU, art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.e art. 52 comma 4) e dal codice deontologico degli Avvocati Europei, nonché dalla Carta dei Principi Fondamentali dell’Avvocato Europeo ove all’art. 1 comma 1 CCBE è previsto che: “ In una società fondata sul rispetto della giustizia, l’avvocato riveste un ruolo speciale. Il suo compito non si limita al fedele adempimento di un mandato nell’ambito della legge. L’avvocato deve garantire il rispetto dello Stato di Diritto e gli interessi di coloro di cui deve difendere i diritti e le libertà; l’avvocato ha il dovere non solo di difendere la causa ma anche di essere il consigliere del proprio cliente. Il rispetto della funzione professionale dell’avvocato è una condizione essenziale dello Stato di diritto e di una società democratica”. 4. A norma del quale è previsto che all’inaugurazione dell’anno giudiziario debba intervenire anche il Presidente del Consiglio Nazionale Forense (organo di giurisdizione speciale); il D.Lgs. 27 gennaio 2006, n. 25 come modificato dalla l. 111/2007 prevede che l’avvocato quale membro del Consiglio Giudiziario (seppure con mere funzioni consultive e limitatamente a determinate materie) 5. G. Colavitti: “la specialità costituzionale della professione forense e la libertà professionale dell’avvocato” in Riv. Dir. Civ.2013, I, 397 6

Atti congresso di Bari 1994 –X congresso di Federavvocati -

7 Secondo il quale sono solo i componenti dei COA, su base capitaria e democratica e nel rispetto della parità di genere (Regolamento n..1 del 31/01/2014) 8.

Rivista di diritto pubblico n.12/2015 in Giustamm.it-Dottrina/5243

9. L. 247/2012 e relativo allegato (legge 12 luglio 2017 n. 113 “Disposizioni sulla elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi” (G.U. n.168 del 20-7-2017 10. Entrata in vigore 1/01/2015 dopo l’approvazione del Regolamento n. 2 del 21 febbraio 2014 sul procedimento disciplinare . 11. Prevista dall’art. 157 c.p. 12. Vedasi art. 65 comma 5 L. 247/2012

Giustizia disciplinare: urge un recupero della credibilità del sistema

complessivamente di anni sette e sei mesi al massimo; dopodichè l’azione disciplinare sarà irrimediabilmente prescritta. In estrema sintesi è convinzione di chi scrive che sarà proprio l’applicazione del principio c.d. del favor rei in ambito deontologico che salverà i CDD dal pericolo di essere sommersi dall’arretrato e dall’incubo della rottamazione dei procedimenti arretrati! Nel momento in cui il legislatore ha optato per l’adozione del modello di “tipicità” dell’illecito disciplinare, va da sé che anche il principio del favor rei dovrà essere esteso all’ambito deontologico12, stante la natura si formalmente amministrativa delle sanzioni disciplinari, ma sostanzialmente afflittiva delle stesse. Le nuove norme del Codice deontologico degli avvocati si applicano anche i procedimenti in corso, al momento della sua entrata in vigore; sicchè il nuovo termine prescrizionale si applicherà all’incolpato, sub iudice, se più favorevole; con la conseguenza che anche in presenza di atti interruttivi (quali: la comunicazione all’iscritto dell’illecito, la notifica del CDD della decisione o della sentenza del CNF) il termine prescrizionale non potrà più decorrere nuovamente, diversamente dal sistema di computo di tipo civilistico precedentemente in vigore in costanza della previgente disciplina (secondo il quale ogni atto interruttivo importa una nuova decorrenza del termine) . In conclusione, nei confronti dei Colleghi, che sono stati attinti da una notizia di illecito disciplinare in epoca anteriore alla riforma, la sanzione disciplinare difficilmente potrà svolgere alcuna efficacia dissuasivo-deterrente tipica delle sanzioni afflittive codificate.

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Mediazione vs negoziazione assistita? Giurisdizione forense: la terza via di Ana Uzqueda

occorre un approccio etico e responsabile ed un ruolo importante lo svolgerĂ la formazione Nonostante nel settore civile il numero dei procedimenti pendenti sia diminuito conformemente alla tendenza decrescente degli ultimi anni, la situazione della giustizia italiana continua

a destare grande preoccupazione tra avvocati, giudici, imprenditori e istituzioni, sia a livello nazionale che europeo. Come emerge dallo studio del Cepej, il nostro Paese ha il primato quanto a numero di liti pendenti.

Figure 13 Number of pending litigious civil and commercial cases (1st instance/per 100 inhabitants) (source: CEPEJ study)

7 6 5 4 3 2 1 0

FI

LU

SE

2010 0.1

0.3

0.3

2015 0.2

0.2

0.3

2016 0.1

0.2

0.3

2017 0.1

0.2

0.3

NL

DK

AT

EE

DE

HU

LT

CZ

LV

0.6

0.5

0.9

1.0

0.9

1.0

1.6

1.7

0.3

0.4

0.4

0.4

0.9

0.8

1.0

1.8

1.5

0.3

0.4

0.4

0.5

0.9

0.8

1.0

1.4

1.4

0.3

0.3

0.4

0.5

0.9

0.9

1.0

1.5

1.6

Il Consiglio Economia e finanza� (ECOFIN) del 9 luglio 2019 ha approvato le Raccomandazioni specifiche rivolte all’Italia, con le quali, in merito al settore giustizia, ha chiesto al Governo italiano di adottare provvedimenti

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BE 1.6

MT

SI

ES

PL

SK

PT

EL

FR

RO

HR

CY

IT

2.5

2.8

1.8

1.0

2.3

3.4

1.7

2.1

2.7

4.3

3.9

6.3

2.0

2.2

2.0

3.0

3.1

2.2

2.4

3.0

4.4

4.4

1.8

2.0

1.7

1.9

1.7

2.7

2.3

2.4

2.9

3.8

4.1

1.9

1.9

2.0

2.1

2.1

2.3

2.3

2.4

3.0

3.6

3.9

BG

IE

UK

volti a ridurre la durata dei processi civili in tutti i gradi di giudizio. Tra le proposte formulate in tal senso, la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanze 2019, deliberata il 30 settembre 2019 e sottoscritta dal Presidente del Consiglio, propone alcune misure per lo snellimento del processo civile monocratico consistenti,


tra altre, nell’adozione di un rito unico semplificato nelle cause dinnanzi al giudice di pace, nelle cause di competenza del Tribunale in composizione collegiale e nei ricorsi d’Appello. La Nota ADEF contempla anche la riduzione di alcune delle materie in cui il D. Lgs. 28/10 prevede l’obbligatorietà di partecipare ad un primo incontro di mediazione e il contestuale allargamento della competenza dell’istituto della negoziazione assistita, che nella formulazione proposta comprenderebbe anche un’attività istruttoria stragiudiziale per favorire una soluzione conciliativa della lite e, nel caso di mancato accordo, potrebbe essere utilizzata come precedente probatorio, soggetto alla libera valutazione del giudice della successiva causa. La riduzione delle controversie dall’ambito della mediazione interessa le materie in ambito bancario, finanziario e assicurativo, nonché quelle relative alla responsabilità medica e sanitaria, che insieme rappresentano il 29,8% delle mediazioni svolte. Riguardo alle prime, l’assenza di volontà di gestire il contenzioso in sede di mediazione da parte di molti istituti bancari, finanziari e compagnie assicurative si riflette nelle statistiche pubblicate periodicamente dal Ministero di Giustizia. È evidente, però, che la loro semplice eliminazione dall’elenco delle materie in cui è previsto il tentativo di mediazione non permette di immaginare un miglioramento della gestione del contenzioso. Rispetto all’esclusione della mediazione in materia di responsabilità medica occorre tener presente che, ai sensi della legge 8 marzo 2017 n. 24, la condizione di procedibilità rimarrà in quel modo limitata esclusivamente allo svolgimento obbligatorio dell’ATP ai fini conciliativi, che senza dubbi comporterà per la parte istante l’assunzione di costi non indifferenti (oltre alle problematiche riguardanti le difficoltà procedurali ormai note quali la tempistica prevista per il deposito della relazione peritale e per l’avvio del ricorso ai sensi dell’art. 702 bis cpc). Rispetto ai risultati della mediazione nelle altre

materie (successioni, divisioni, diritti reali, locazioni, condominio, diffamazione a mezzo stampa), le statistiche sono positive e dimostrano che nelle mediazioni effettivamente svolte, gli accordi si agirano intorno al 50 % (con percentuali molto più alte in alcune materie).

Negoziazione assistita, riscontri poco confortanti In materia di negoziazione assistita, (L.10 novembre 2014 n. 162, che ha convertito con modifiche il D.L. 132/14), i risultati ottenuti negli ultimi sei anni sono, purtroppo, poco confortanti. Nella Relazione annuale sullo stato di attuazione della procedura di negoziazione assistita inviata dal Ministero di Giustizia al Parlamento il 27 marzo 20181, si informa che il numero di procedure comunicate dal Consiglio Nazionale Forense relative all’anno 2017 è stato di 5316 casi, così suddiviso: l’80.28 % (4.268 procedure) riguardano la materia familiare, il 14,10 % (750 procedure) il pagamento di somme inferiori a 50 mila euro, tra cui molte relative a crediti professionali degli stessi avvocati, e il residuo 0,80 % (43 procedure) richieste di risarcimento per danni da circolazione. La relazione evidenzia il sostanziale fallimento dell’istituto in relazione alle controversie in materia di circolazione stradale (pagina 8). Il numero di procedure di negoziazione assistita comunicate al Consiglio Nazionale Forense durante l’anno 2016 è stato di 4.132 casi. Per quanto riguarda il periodo dall’entrata in vigore dell’istituto2 (dicembre 2015), l’unico dato disponibile a livello nazionale è stato fornito dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando, il 3 marzo 2016 all’ inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio Nazionale Forense: 3.019 casi, di cui il 74,99 % (2.264) relativi alla materia familiare (quindi 755 tra le materie in cui è condizione di procedibilità e quelle volontarie). Il quadro completo delle procedure di negoziazione assistita comunicate al Consiglio Nazionale Forense registra quindi il numero di 12.467 65


Mediazione vs negoziazione assistita? Giurisdizione forense: la terza via 66

casi dalla data di entrata in vigore fino a dicembre 2017. Bisogna tener presente che lo stesso CNF aveva evidenziato che i dati sono parziali poiché soltanto il 50% circa degli Ordini aveva trasmesso informazioni sul numero di procedure effettivamente gestite. Le procedure di mediazione presentate durante il triennio 2015-2017 (per paragonare lo stesso periodo) sono state 547.213, di cui 196.247 durante il 2015, 183.977 durante il 2016 e 166.989 durante il 2017, con una percentuale media di accordo del 20,20 % su quelle effettivamente svolte: 51.510 accordi (mediazioni proseguite oltre il primo incontro di cui all’art. 8 D. Lgs 28/10, che rappresentano il 46,66 % del totale). Per cui, nello stesso periodo e nonostante la incidenza negativa del 25% nelle materie in cui gli istituti bancari, finanziari ed assicurativi non hanno voluto proseguire, la mediazione si è dimostrata molto più efficace rispetto alla negoziazione assistita. Nella “Relazione per Paese relativa all’Italia 2019, comprensiva dell’esame approfondito sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici” SWD(2019)1011, del 27 febbraio 2019, rispetto all’Italia la Commissione Europea

osservava che “non vi è stato nessun progresso nella riduzione della durata dei processi civili” e sottolineava la necessità di nuovi sforzi per migliorare il sistema giudiziario. In particolare ha evidenziato che “la durata dei processi nella giustizia civile rimane preoccupante …”. A livello europeo l’uso volontario di metodi alternativi di risoluzione delle controversie (ADR) per le dispute private evidenzia una crescita costante, e anche se il numero di mediazioni svolte a livello nazionale è tra i più alti di Europa, dal punto di vista della promozione e incentivi riconosciuti per il ricorso ai metodi stragiudiziali, l’Italia risulta al penultimo posto. In questo contesto, qual è la situazione dell’avvocatura? Come emerge dalla ricerca Censis-Cassa Forense 2019, la percentuale di avvocati che ritiene che la condizione professionale sia molto o abbastanza critica è del 55,6 % (diminuita rispetto agli anni precedenti), quelli che la considerano stabile, del 27,1 % e invece quelli che infine la valutano positiva o molto positiva del 17,3%. A livello geografico, le percentuali in cui si sono verificate le risposte di maggior positività della situazione, corrispondono al nord del Paese. 2015

2017

2018

2019

Come definirebbe da un punto di vista lavorativo, la sua condizione in questo momento? Molto critica, c’è poco lavoro e la situazione professionale è incerta

22,5

33,0

28,1

23,4

Abbasstanza critica, ci sono difficoltà ma si sopravvive

38,8

34,1

34,1

32,2

Stabile, la mia situazione non è cambiata negli ultimi anni

22,2

21,2

24,5

27,1

Positiva, malgrado la crisi la mia condizione professionale è migliorata

15,3

11,0

12,2

15,6

Molto positiva, negli ultimi anni la mia situazione è molo migliorata

1,2

0,7

1,2

1,7

100,0

100,0

100,0

100,0

Totale

La risposta al dilemma se potenziare la mediazione civile - prevedendo ad esempio la comparizione personale delle parti, facendo diventare

autonomo il primo incontro (permettendo quindi alle parti e avvocati di entrare nel merito e valutare in maniera più mirata la convenienza di


▲ Ana Uzqueda

NOTE 1. m_dg.GAB.27/03/2018.0011187.E e m_dg. DAG.27/03/2018.0063163.U 2. E’ importante ricordare che una percentuale importante degli accordi depositati nel 2014 è in materia di lavoro, successivamente esclusa dall’ambito della negoziazione assistita con la legge di conversione del DL 132/2014 entrata in vigore l’11 novembre 2014. 3 Considerando che il Consiglio Nazionale Forense ha evidenziato che soltanto il 50 % degli Ordini ha trasmesso i dati delle procedure di N.A. depositate.

Mediazione vs negoziazione assistita? Giurisdizione forense: la terza via

proseguire in sede di mediazione, prevedendo anche il giusto compenso per l’attività prestata dal mediatore e dall’Organismo di mediazione limitatamente a questa fase), disponendo un allargamento dell’obbligatorietà come condizione di procedibilità ad altre materie in cui la mediazione potrebbe rivelarsi utile (ad esempio i rapporti contrattuali, le controversie societarie e l’ambito della responsabilità professionale) oppure se potenziare la negoziazione assistita e diminuire l’ambito della mediazione, è di per se scontata ed evidente. Il rischio di diminuire l’ambito della mediazione civile a favore di una forma potenziata di negoziazione assistita, come proposto nella Nota di Aggiornamento del DEF depositata il 30 settembre 2019, senza far precedere alla modifica una riflessione sulle motivazioni che hanno portato ad una scarsa adesione dell’avvocatura (da cui dipende in gran parte l’esito della riforma) a queste procedure, ci espone ulteriormente al pericolo di non trovare una risposta adeguata per affrontare la situazione della giustizia civile. L’esigenza di degiurisdizionalizzare la giustizia

risponde non soltanto a mitigare le gravi difficoltà in cui si dibatte l’attuale processo civile e conseguentemente la stessa avvocatura, ma anche e fondamentalmente a fornire risposte adeguate al contesto sociale ed economico in cui i tempi e le esigenze dei cittadini e delle aziende sono cambiati e non possono attendere anni per definire le controversie che nascono dalle loro attività. Noi avvocati abbiamo a disposizione una gran varietà di procedure e strumenti a cui ricorrere: negoziazione libera, negoziazione assistita, mediazione, conciliazione, arbitrato, difensori civici, autorità garanti, arbitraggi, abbinamenti tra i diversi metodi, oltre a tanti ancora non praticati in Italia ma plausibili senza bisogno di accoglimento normativo specifico. Vi sono ovviamente alcuni punti critici da superare. Forse il più importante riguarda la formazione, che richiama la necessità per l’avvocatura di approfondire lo studio teorico e pratico dei diversi strumenti, di acquisire la padronanza delle tecniche di negoziazione, di advocacy mediation e degli altri sistemi stragiudiziali, ma soprattutto, di approcciarsi in maniera etica e responsabile a queste materie, che ormai cominciano a formare parte dell’offerta formativa di molti atenei italiani. La giurisdizione forense, intesa come il complesso delle risorse, diverse dal processo, a disposizione degli avvocati per la definizione delle controversie, non può prescindere dall’attitudine dell’avvocatura a utilizzare i mezzi offerti dalla normativa vigente a favore del principio di autodeterminazione dei cittadini.

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ringrazia per la collaborazione: Donata Giorgia CAPPELLUTO

Luigi PANSINI

Angelo SANTI

Avvocato del Foro di Parma. Docente a contratto presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l’Università degli Studi di Parma da 2001 in diritto processuale penale. Docente di procedura penale alla Scuola di Polizia Penitenziaria di Parma dal 1999. VPO presso la Procura di Modena dal 2012 al 2016. Componente del Direttivo Nazionale ANF dal 2015.

Avvocato in Bari, con attività prioritaria nel campo del diritto fallimentare. Collabora con scuole di formazione e riviste per problematiche inerenti le procedure concorsuali. Già componente del Direttivo nazionale ANF, dal 2015 è Segretario Generale dell’Associazione Nazionale Forense, al suo secondo mandato dopo il Congresso di Palermo 2018.

Giampaolo DI MARCO

Paola PIANTEDOSI

Avvocato del Foro di Vasto, collabora con la cattedra di Diritto Privato della Scuola di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bologna. Arbitro, Mediatore e Formatore nella mediazione ex d.lgs. n. 28/2010 e d.m. n. 180/2010, è componente del Direttivo Nazionale dell’ANF.

Dottore commercialista e avvocato tributarista in Taranto. Cultore di diritto tributario presso il Dipartimento Jonico in sistemi giuridici ed economici dell’Università Aldo Moro di Bari. Segretario nazionale AIDC. Componente della commissione norme di comportamento e di comune interpretazione in materia di diritto tributario dell’AIDC Milano.

Avvocato in Perugia. Formatore ed esperto in mediazione, arbitrato e risoluzione alternativa delle controversie e docente alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l’Università di Perugia. Già Coordinatore dell’Organismo di Mediazione Forense di Perugia, è stato fondatore e Responsabile nazionale del Coordinamento della Conciliazione Forense. Presidente in carica dell’UNAM, Unione Nazionale Avvocati per la Mediazione.

Paola FIORILLO Avvocato cassazionista del Foro di Salerno, svolge la professione prevalentemente in ambito societario e successioni. Già dirigente della sede ANF di Salerno, è Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Salerno, Consigliere Nazionale dell’ANF nonché attuale componente del Direttivo Nazionale. Dal 2016 è componente della Giunta nazionale di Confprofessioni.

Nicoletta GRASSI Avvocato del Foro di Bologna, si interessa di contrattualistica nazionale ed internazionale ed in particolare della creazione di reti di impresa. Riveste la carica di Segretario della sede ANF di Bologna ed è componente del Direttivo Nazionale dell’Associazione Nazionale Forense.

Carmela Milena LIUZZI Avvocato civilista in Taranto, opera nel settore fallimentare ed espropriativo. Dal 1997 dirigente dell'associazione forense “Lucio Tomassini” ANF Taranto, di cui è stata Segretario nel biennio 2008-2010. Componente del direttivo Nazionale ANF dal 2006 al 2012, responsabile della comunicazione e dell’area previdenza forense. Attuale componente del Comitato di redazione della Rassegna degli Avvocati Italiani e Consigliere Nazionale ANF.

Cesare PIAZZA Iscritto nell’albo degli avvocati di Firenze, è stato consigliere dell’Ordine di Firenze e delegato alla Cassa di Previdenza Forense. Già Segretario Generale della Federavvocati, è stato Presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura dal 1999 al 2000, vice-presidente dell’ANF dal 2006 al 2009. Eletto Presidente onorario dell’Associazione Nazionale Forense dal 2018.

Valeria RODELLI Avvocato in Lecce, si occupa prevalentemente di diritto civile e fallimentare. Mediatore nell’organismo di conciliazione dell’Ordine di Lecce, già attiva nella sede APF di Lecce e Consigliere nazionale ANF, è componente del Direttivo Nazionale dell’ANF dal 2018.

Urbano ROSA Avvocato in Firenze, si interessa prevalentemente di diritto immobiliare, privacy e diritto della rete. Componente del Direttivo del Sindacato Avvocati di Firenze e Toscana dal 2012, nella Giunta esecutiva dal 2016. Dal 2018 fa parte del Direttivo Nazionale dell’Associazione Nazionale Forense.

Bruno SAZZINI Avvocato civilista in Bologna, iscritto all’albo delle magistrature superiori, ha svolto il proprio cursus honorum in ANF prima nel Direttivo locale e poi in quello Nazionale. Ha ricoperto la carica di Segretario Generale dell’Associazione Nazionale Forense nel periodo 2008-2009, attualmente Consigliere Nazionale ANF.

Mario SCIALLA Avvocato penalista, è stato Presidente della sede ANF di Roma dal 2007 al 2009 e componente del Direttivo Nazionale dal 2010 al 2013. Componente del comitato di redazione del Massimario Penale della Corte di Cassazione dal 1998 al 2008, Consigliere dell'Ordine degli Avvocati di Roma dal 2012, dal 2019 ne è anche il Segretario. Dal 2017 è nel Consiglio Giudiziario del Distretto del Lazio.

Ana UZQUEDA Avvocato, docente di “Negoziazione e Advocacy Mediation” presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna dal 2014. Docente presso il Master di Mediazione della School of Management dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona e il Master di Mediazione della Scuola Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI.

Francesco MAZZELLA Avvocato del Foro di Napoli, civilista, si interessa prevalentemente di diritto bancario. Presidente di Confprofessioni Campania, Dirigente del Sindacato forense di Napoli, già Consigliere nazionale ANF, è attualmente componente del Direttivo Nazionale ANF.

numero chiuso il 4 Dicembre 2019 ●

CURRICULUM

La RASSEGNA degli AVVOCATI ITALIANI


13-15 DICEMBRE M E E T I NG

ROMA

2019

PROFESSIONE CONCORRENZA EUROPA INNOVAZIONE REGOLE

L’ EUROPA E LE PARTNERSHIP ANF

Sabato 14 dicembre: sessione pomeridiana (15.30 - 18.30) Avv. Alessandro Gaglione, Solicitor in Inghilterra e Galles, founder e partner di SLIG LAW LLP Avv. Serena de Palma, Solicitor in Irlanda (Clark Hill Solicitors, Dublino), founder e partner di Italian Desk Srl Modera: Luigi Pansini Segretario Generale ANF

Dott.ssa Giulia Schiavoni, Consulente del Programma Genere e Diritti Umani, Associazione “Non c’è Pace Senza Giustizia” Avv. Maria Gancheva, Women Lawyers Association di Sofia, Bulgaria Avv. Diliana Markova, Project Manager Bulgarian Lawyers for Human Rights Foundation

con il patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di Roma

e con il contributo di

MAXXI MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO Via Guido Reni, 4/A - 00196 ROMA


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AVVOCATO

CONFORMI AL D.M. 22/09/2016

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