TESI DI LAUREA_FELICE DE FALCO_PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE RIFUGIO KLAMMEBEN

Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica Corso di Laurea in Ingegneria Edile-Architettura

PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE DEL RIFUGIO KLAMMEBEN

Relatore Prof. Giorgio Cacciaguerra Prof.ssa Giovanna A. Massari Correlatore: Prof. Marco Piccolroaz Laureando Felice De Falco 127792

Anno Accademico 2012/2013

SOMMARIO INTRODUZIONE

11

CAPITOLO PRIMO

15

1.

IL CONTESTO NATURALE E L’EVOLUZIONE DELL’ARCHITETTURA NEL PAESAGGIO ALPINO 15 1.1.

4

L’ambiente naturale delle Alpi: il territorio, la formazione, il clima e la vegetazione alpina 15

1.1.1. Il territorio

15

1.1.2. La formazione del territorio delle Alpi

18

1.1.3. Il clima e la vegetazione delle Alpi

21

1.2.

Le prime forme di sfruttamento del territorio alpino 24

1.3.

Il turismo: lo sviluppo e l’attuale collocazione tra le attività economiche delle Alpi 29

1.4.

Costruzioni in alta quota: evoluzione delle tipologie di rifugio alpino e delle tecniche costruttive 33

1.4.1. Dalla nascita dell’alpinismo ai “rifugi-albergo”

33

1.4.2. Il Novecento: tradizione, architettura e politica nel secolo delle due guerre 37 1.5.

La normativa nazionale e regionale in materia di rifugi 41

1.5.1. Riferimenti generali

41

1.5.2. La normativa edilizia e i requisiti strutturali

43

1.5.3. Disposizioni normativa antincendio relativa alle attività ricettive con capacità inferiore a 25 posti letto 45 1.5.4. Smaltimento acque reflue nei rifugi 1.6.

48

Il dibattito architettonico sulle costruzioni in alta quota 49

1.6.1. Regole per chi costruisce in montagna, Adolf Loos, 1913 49 1.6.2. L’esperienza altoatesina

50

CAPITOLO SECONDO 2.

55

IL RIFUGIO KLAMMEBEN: LA COLLOCAZIONE GEOGRAFICA ED IL PROGETTO 55 2.1.

Area di riferimento del progetto

2.2.

Riferimenti generali architettonica

alla

55 5

progettazione 58

2.2.1. Trollwall restaurant and service, Trollveggen, Norvegia, Reiulf Ramstad Arkitects, 2011 58 2.2.2. Neue Monte Rosa-Hütte, Bearth & Deplazes Architekten 60 2.2.3. Schwarzsteinhütte, Rifugio Vittorio Veneto al Sasso Nero, Stifter + Bachmann 62 2.2.4. Edelrauhütte, Rifugio Ponte di Ghiaccio, Modus architects 63 2.2.5. Weiβkugelhütte, Rifugio Pio XI, Höller & Klotzner Architekten 64 2.2.6. Romsdalen Folk Museum, Molde, Norvegia

65

2.3.

Inquadramento del progetto

67

2.4.

Il progetto architettonico

69

2.4.1. Profilo architettonico

69

2.4.2. Materiali e dettagli tecnici

71

CONTESTO PAESAGGISTICO MAPPA TEMATICA ALTO ADIGE ANALISI FORESTE AGRICOLTURA PERICOLI NATURALI

77

PIANO DI ZONIZZAZIONE PIANO PAESAGGISTICO RETE VIARIA E FIUMI USO DEL SUOLO ANALISI MERANO E BURGRAVIATO MAPPA TEMATICA PISTE DA SCI DISMESSE 6

CAPITOLO TERZO 3.

93

LA CONTESTUALIZZAZIONE PAESAGGISTICA ATTRAVERSO L’UTILIZZO DELLA COMPUTER GRAFICA 93 3.1.

Concept

93

3.1.1. Progetto e relazione con il contesto paesaggistico 93 3.1.2. L’idea del modello 3D

94

3.1.3. Le fonti cartografiche digitali

94

3.1.4. Problematiche

95

3.2.

97

Elaborazione modello

3.2.1. Dati base modello e modellazione

97

3.2.2. Illuminazione della scena

99

3.2.3. Texture

100

3.2.4. Materiali

100

3.2.5. Vegetazione

102

3.2.6. Renderizzazione

104

3.2.7. Post produzione e montaggio

105

3.2.8. Hardware utilizzato, consumi stimati in termini energetici e problematiche 105 3.3.

Congetture e speculazioni

107

3.3.1. Attendendo la rivoluzione: CPU vs GPU

107

3.3.2. Il ruolo di Internet e dei blog

108

ELABORATI GRAFICI

113

Luogo intervento Analisi infrastutture Percezioni visive Sviluppo progetto Concept funzioni Concept Concept Renders edificio_esterni Renders edificio_interni Fotoinserimenti A1_Vision1_sezioni e sviluppo A2_Vision2_schizzi prospettici B1_Planivolumetria_1:500 C1_Pianta livello0_1:200 C2_Pianta livello1_1:200 C3_Pianta livello-1_1:200 D1_Sezioni edificio_1:500 D2_Sezioni edificio_1:500 D3_Sezioni funivia_1:200 D4_Sezioni rifugio_1:200

7

D5_Sezioni prospetto_1:200 E1_Carpenterie_1:200 E2_PLANIMETRIE_1:200 F1_Sezioni prospetto_1:20 F2_Sezioni prospetto_1:20 G1_Connessioni_1:20 8

G2_Abaco delle murature_1:20 BIBLIOGRAFIA

145

INTRODUZIONE

INTRODUZIONE

L’obiettivo del presente lavoro è quello di studiare le relazioni che intercorrono tra il territorio e le costruzioni, quindi tra paesaggio ed edificato.

Per perseguire questo obiettivo si è scelto di proporre un progetto di riedificazione del rifugio Klammeben, nei pressi di Merano.

Il rifugio in oggetto si colloca in un punto strategico, poiché vi si accede anche per mezzo di una funivia che collega il luogo dell’intervento con il fondovalle; nello stesso tempo, l’area interessata lambisce il tracciato del sentiero europeo n. 5, che dal lago di Costanza arriva fino a Verona.

Per quanto attiene allo sviluppo del progetto architettonico, si è scelto di sviluppare un edificio che possa essere definito come Landmark nel territorio, pur conciliandosi con esso.

In particolare, si è scelto di valorizzare la collocazione nel paesaggio, creando una pianta movimentata, da cui derivino viste orientate sulle tre valli circostanti. Anche per quanto attiene alla copertura la scelta è ricaduta su una struttura movimentata, tale da riprendere il profilo delle montagne circostanti.

La seconda fase del lavoro ha avuto come obiettivo l’integrazione dell’edificio nel paesaggio, che è stata possibile anche e soprattutto mediante l’utilizzo della computer grafica, che oggi consente uno sviluppo molto più realistico anche del progetto architettonico, attraverso la costruzione e visualizzazione tridimensionale dello stesso.

Questo nuovo strumento è molto utilizzato nel mondo della rete, per ricreare virtualmente, ma allo stesso tempo molto fedelmente, paesaggi e luoghi che diversamente non sarebbero accessibili.

Questa seconda fase si è svolta attraverso il recupero di dati della Provincia Autonoma di Bolzano, che attraverso files in formato ascii permette di ottenere una ricostruzione con precisione circa al metro, dell’intero territorio dell’Alto Adige.

Attraverso una rielaborazione di questi dati mediante il programma Rhinoceros, è stato possibile ricostruire fedelmente il luogo dell’intervento ed il territorio circostante.

In seguito, mediante un’attività di texturizzazione e di renderizazione, si è cercato di pervenire ad un inserimento del progetto nel territorio che si avvicinasse, per quanto possibile, a quello che si otterrebbe con una concreta realizzazione.

11

CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO PRIMO 1.

1. vista sul gruppo del Tessa, in prossimità di Merano

IL CONTESTO NATURALE E L’EVOLUZIONE DELL’ARCHITETTURA NEL PAESAGGIO ALPINO 1.1.

L’ambiente naturale delle Alpi: il territorio, la formazione, il clima e la vegetazione alpina

1.1.1. Il territorio

Prima di addentrarci nella descrizione del luogo nel quale si è scelto di realizzare il progetto di questa tesi, è necessario ampliare la descrizione a tutto il territorio delle Alpi, trattando anche di aspetti legati alle caratteristiche fisiche di quest’area geografica, al fine di comprendere la situazione attuale ed il rapporto uomo-ambiente. Tale relazione dovrebbe consistere sempre più in un collegamento tra le moderne forme di economia e di vita da un lato, e l’ambiente naturae alpino dall’altro.

Oggi si parla delle Alpi secondo diverse prospettive, pertanto occorre individuare la definizione più adatta alla finalità di quest’indagine sulla conformazione dell’ambiente naturale.

Dal punto di vista delle scienze naturali il territorio delle Alpi è quello caratterizzato da processi e condizioni specifiche relative all’alta montagna: in particolare si fa riferimento alle zone collocate ad un’altitudine superiore ai 2000 m, poiché solo oltre questo limite si riscontrano tratti peculiari rispetto alle zone extra-alpine. Diversamente, dal punto di vista dell’agricoltura di montagna, dal territorio alpino sono escluse tutte le aree del fondovalle nonché le conche entro alpine, poiché sono considerati territori favorevoli allo sviluppo

2. paesaggio ad altitudine di circa 2000 m di quota

15

16

dell’agricoltura e pertanto esclusi dalle agevolazioni e dalle tutele dei territori montani.

Sul piano strettamente geografico le Alpi sono un complesso montuoso dal quale esulano le zone pedemontane, individuate sulla base di criteri che tengono conto delle continuità dei rilievi ovvero della brusca variazione della loro energia.

Su un piano per così dire politico possiamo distinguere la definizione che si ritrova nella legislazione dei singoli stati, da quella relativa alla politica Europea per le Apli, sviluppatasi intorno agli anni Settanta.

Secondo il primo profilo il territorio alpino viene individuato coordinando indici naturali ed economici con le condizioni di svantaggio del territorio. Così, secondo questa impostazione le Alpi inizierebbero laddove il terreno si fa sensibilmente più scosceso. Anche nella Convenzione delle Alpi si fa riferimento a questo territorio, che si estenderebbe per oltre 190.000 km quadrati1. Nell’ottica europea, invece, le alpi sono considerate unitamente alle regioni politiche di cui fanno parte, nell’ottica di una tutela non frammentata che si rivolge ad un grande spazio politico.

La definizione che appare più adeguata ai fini della descrizione dell’ambiente naturale appare quella che si basa sulle diverse legislazioni statali e sulla Convenzione delle Alpi.

1 La Convenzione delle Alpi è un trattato internazionale sottoscritto il 7 settembre 1991 dagli otto Stati alpini: Austria, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein, Slovenia, Svizzera e Principato di Monaco nonché dalla Comunità Europea, con l’obiettivo di garantire una politica comune per l’Arco alpino. In particolare nel testo della convenzione si legge che “le Alpi costituiscono uno dei più grandi spazi naturali continui in Europa, un habitat naturale e uno spazio economico, culturale e ricreativo nel cuore dell’Europa, che si distingue per la sua specifica e multiforme natura, cultura e storia, e del quale fanno parte numerosi popoli e Paesi”, “le Alpi costituiscono l’ambiente naturale e lo spazio economico delle popolazioni locali e rivestono inoltre grandissima importanza per le regioni extra-alpine, tra l’altro quale area di transito di importanti vie di comunicazione”, “le Alpi costituiscono un indispensabile rifugio e habitat per molte specie animali e vegetali minacciate”; ed è proprio sulla base di queste considerazioni che gli otto stati firmatari intendono impegnarsi per garantire una politica comune di tutela. In www.convenzionedellealpi.it.

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3. i piani altitudinali e i limiti nelle Alpi

4. area alpina, delimitazioni in base a Convenzione alpina

1.1.2. La formazione del territorio delle Alpi

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Lo sviluppo geologico del territorio alpino può essere riassunto in cinque grandi fasi, che hanno avuto avvio circa 450 milioni di anni fa. La prima fase viene denominata orogenesi caledoniano-ercinica e da questa fase hanno avuto origine diversi sistemi montuosi che oggi sono già in fase di avanzata erosione. Alcuni dei massicci originati da questo processo, sono ricompresi nell’odierno territorio alpino: si tratta in particolare di rocce particolarmente dure che si ritrovano oggi nelle cime più elevate delle Alpi tra cui il Monte Bianco.

La seconda fase di formazione del territorio alpino viene denominata fase della sedimentazione e viene causata del movimento della placca africana che, muovendosi dà origine al cosiddetto Mare di Tetide, sui cui fondali si formano progressivamente diverse tipologie di sedimenti che con il tempo si solidificano e si trasformano in roccia. In relazione alla differenza di profondità dell’acqua marina in questi bacini, le sedimentazioni che si formano sono di qualità molto diverse e danno origine alle varie tipologie rocciose che si ritrovano oggi nelle Alpi.

La terza è la fase del corrugamento alpidico e si colloca nel quadro della deriva dei continenti e si ricollega in particolare al movimento della placca africana. Quest’ultima infatti si muove verso Nord, comprimendo il mare di Tetide e scontrandosi con alcuni rilievi già formatisi. L’effetto di questo movimento consiste nel ripiegamento degli strati sedimentati, che si sovrappongono e si ripiegano gi uni sugli altri. Tale corrugamento avviene per lo più in senso orizzontale e di conseguenza le Alpi si sviluppano come “media montagna”, poiché non raggiungono un’elevata altitudine.

La fase successiva prende il nome di sollevamento alpidico e si colloca temporalmente circa 20 milioni di anni fa ed è generata da una aumento di pressione della placca africana che causa un ulteriore innalzamento ed uno spostamento verso Nord. L’ultima fase corrisponde ad una sorta di rotazione della microplacca formatasi. Infatti, oggi si può notare che la conformazione alpina è a doppia vergenza ed è orientata verso sud nelle Alpi meridionali e verso Nord in quelle settentrionali2.

Gli effetti della formazione progressiva del territorio alpino si riflettono ancora oggi nelle differenti tipologie di rocce presenti nell’arco alpino. Questa pluralità di materiali ha consentito un diverso sfruttamento del territorio ad opera dell’uomo.

Infatti, le rocce ed i massicci più antichi comportano delle 2 Werner Bӓtzing, Die Alpen. Geschicte und Zukunft einer europӓischen Kulturlandschaft, Mϋnchen, 2003.

difficoltà nel loro utilizzo, proprio per il fatto che sono estremamente dure: la loro disgregazione procede pertanto molto lentamente.

La categoria delle rocce sedimentarie è più disomogenea: infatti al suo interno possiamo ritrovare sia rocce cristalline e calcaree, quindi molto dure, che sono estremamente sfavorevoli allo sviluppo di attività umane, sia rocce più tenere.

Queste ultime consentono un maggiore sfruttamento del suolo, risultando quindi più favorevoli allo sviluppo di attività artificiali. Allo stesso tempo, però, sono più erodibili e possono quindi creare maggiori pericoli.

Un’altra tipologia di rocce presente nel territorio alpino viene definita con il termine molassa, che indica l’insieme dei materiali alluvionali asportati dalle montagne e successivamente coinvolti nei fenomeni di sollevamento e corrugamento.

Anche queste rocce possono essere più o meno tenere, ma consentono in ogni caso un buon utilizzo da parte dell’uomo.

Da ultimo, nella catena alpina possiamo rinvenire alcune tracce di rocce vulcaniche, che si collocano per lo più in profondità e sempre a causa della loro durezza il loro utilizzo è considerato sfavorevole3.

Per quanto attiene alla distribuzione delle diverse tipologie rocciose nel territorio dell’arco alpino è utile sottolineare che i materiali più teneri si estendono per lo più nella zona meridionale e in tali spazi si sono formate le valli longitudinali entro alpine, tra cui ad esempio la Val Venosta, la Val Pusteria e la Valtellina. Sono proprio queste le aree di maggior sviluppo si a dell’economia che della popolazione, con la nascita delle maggiori città e centri di mercato.

Nel territorio dell’Alto Adige, rivestono particolare rilievo le rocce sedimentarie, poiché in esse rientra il famoso complesso orografico delle Dolomiti4.

I presupposti della conformazione del territorio, di per sé non del tutto sfavorevoli allo sviluppo di attività umane, vengono ulteriormente accentuati dagli effetti benefici delle glaciazioni.

L’azione dei ghiacciai, infatti, amplia tutte le valli e tracciano sui versanti delle stesse terrazze livellate, cosiddette terrazze glaciali, che devono considerarsi luoghi privilegiati soprattutto per la coltivazione.

Collegata al fenomeno della glaciazione è anche la suddivisione del territorio alpino in zone glaciali e periglaciali. Le prime si 3 Werner Bӓtzing, Die Alpen. Geschicte und Zukunft einer europӓischen Kulturlandschaft, Mϋnchen, 2003.

4 Provincia Autonoma di Bolzano – Assessorato all’istruzione e cultura in lingua italiana -, Guida allo studio dell’Alto Adige, Volume primo, Bolzano 1990.

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caratterizzano per la presenza di nevi e ghiacci eterne e nelle quali il disgelo estivo interessa solo uno strato superficiale.

Nelle zone periglaciali si ha invece un’alternanza di gelo e disgelo, per lo più corrispondente alle stagioni inverno-estate.

Nelle stagioni primavera ed autunno il fenomeno si verifica per lo più con un’alternanza giorno/notte.

In questa regione periglaciale l’alternanza gelo-disgelo provoca il fenomeno del cosiddetto soliflusso, tipico delle regioni di alta montagna.

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5. unità strutturali delle Alpi

6. forme del rilievo alpino

7. vista a 2700 m di quota

1.1.3. Il clima e la vegetazione delle Alpi

Le condizioni climatiche dell’area alpina sono molto variabili e molto complesse, tant’è che possiamo affermare che ogni valle ha, per così dire un clima proprio. Le caratteristiche comuni del clima alpino sono esigue e di scarsa importanza.

Per cercare di descrivere complessivamente le caratteristiche climatiche delle alpi, possiamo prendere in considerazione i quattro principali fattori: la variazione ipsometrica, la variazione tra margine alpino e zone entro alpine, la variazione della latitudine e la variazione oceanico-continentale.

La variazione ipsometrica riguarda il rapporto tra la pressione atmosferica e l’altitudine5. Quanto più aumenta l’altitudine tanto più bassa è la temperatura media, più breve il periodo di vegetazione e più frequenti le precipitazioni, che si manifestano per lo più sotto forma di neve. Inoltre, con l’aumento dell’altitudine diminuisce lo strato atmosferico e ciò comporta una maggiore intensità dell’irraggiamento solare nonché l’escursione termica: in questo contesto la vegetazione presente deve possedere caratteristiche particolari, tali da consentire alle piante di sopravvivere anche con un’escursione termica molto forte e con differenze molto rilevanti tra le zone d’ombra e le zone di luce.

Questa variazione ipsometrica è una caratteristica comune del clima alpino, pertanto lungo tutta la catena, al crescere dell’altitudine le difficoltà di sfruttamento del terreno da parte dell’uomo sono sempre maggiori.

La seconda distinzione delle zone climatiche riguarda da un lato il cosiddetto margine alpino e dall’altro le zone entroalpine.

Le perturbazioni provenienti dall’Altantico o dal Mediterraneo nel momento in cui raggiungono i versanti alpini sono costrette ad innalzarsi, data la notevole altezza della catena montuosa.

Pertanto nella fascia più esterna delle Alpi, ovvero la fascia prealpina le precipitazioni sono molto abbondanti e proprio per questa ragione si abbassa sia il limite delle nevi persistenti sia, conseguentemente il limite di tutte le forme di vegetazione.

Nelle regioni più interne delle alpi la situazione climatica è molto 5 “Tecnica mediante la quale la misurazione dell’altitudine di un luogo (o della differenza di altitudine fra due luoghi) viene ricondotta a una misurazione di pressione atmosferica; dal valore di quest’ultima si risale all’altitudine mediante la cosiddetta. Questa è la relazione che stabilisce l’andamento della pressione atmosferica al variare della quota e che si usa per effettuare la correzione altimetrica delle letture barometriche (cioè per riportare il valore della pressione atmosferica misurato in un certo luogo a quello che si avrebbe se il luogo in questione fosse al livello del mare) e, inversamente, per dedurre la differenza di quota tra due luoghi dalla differenza della pressione atmosferica in essi”. www.treccani.it.

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8. vegetazione lussureggiante in Val di Susa, un prodotto del lavoro umano

diversa poiché le nubi, dopo aver scaricato l’umidità tendono a dissolversi. Di conseguenza diminuiscono le precipitazioni, aumenta la fascia di irraggiamento solare e il limite delle nevi permanenti tende ad alzarsi. Il margine esterno delle Alpi, pertanto è nettamente svantaggiato, mentre le valli interne tra cui la Val Venosta e la conca di Bolzano, presentano un clima più favorevole per la crescita e lo sviluppo della biodiversità.

L’Alto Adige, infatti, si colloca nella zona più interna delle alpi, nel settore in cui questa raggiunge la sua massima larghezza.

La distanza dal mare e dalle pianure determina condizioni climatiche tipicamente continentali6.

Il terzo fattore che incide sul clima alpino è quello della latitudine. Le Alpi costituiscono una barriera naturale tra la zona climatica continentale e la zona a clima mediterraneo.

Sul versante meridionale della costiera ligure si riscontano basse precipitazioni nel periodo estivo e frequenti precipitazioni solo nel periodo invernale. Diversamente nella zona settentrionale si riscontra un clima freddo, con precipitazioni distribuite su tutto l’arco dell’anno con una diminuzione soltanto nel mese di agosto. Pertanto i versanti settentrionali e meridionali della catena presentano notevoli differenze climatiche.

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9. ortofoto del Sud-Tirolo 6 Provincia Autonoma di Bolzano – Assessorato all’istruzione e cultura in lingua italiana -, Guida allo studio dell’Alto Adige, Volume primo, Bolzano 1990.

L’ultima variazione rilevante per il clima è quella tra Alpi occidentali ed orientali. Anche le alpi, come del resto anche gli Stati europei che si estendono in quell’area lunga circa 800 km, presentano distinzioni tra aree con clima umido ed aree più orientali con clima secco.

Questa variazione è comunque ridotta per gli influssi del mare Mediterraneo, che porta ad un aumento di umidità anche nelle zone più orientali.

A questo punto, cercando di riassumere le condizioni climatiche dell’arco alpino, coordinando i fattori di influenza possiamo dire che nonostante la caratteristica per cui con l’aumentare dell’altitudine il clima risulti più rigido e quindi il territorio si presti meno allo sviluppo di attività umane, nelle valli entroalpine , nonostante si trovino ad altezze considerevoli, il clima è molto favorevole anche allo sviluppo della vegetazione. Tale clima favorevole delle valli è maggiore sul versante occidentale delle Alpi, nel quale si trovano le cime più elevate e nel quale quindi le nubi scaricano l’umidità non appena si scontrano con le cime. Le regioni entroalpine si collocano quindi maggiormente sul versante Occidentale7. La flora alpina è costituita per lo più da boschi, che si estendono in altezza solitamente fino alla quota dei 2000-2400 metri. I boschi costituiscono da sempre la miglior protezione contro l’erosione, le valanghe e le inondazioni. Infatti, durante le precipitazioni, nelle aree boschive una parte dell’acqua viene trattenuta dai rami, evaporando solo in un secondo momento; inoltre, la maggior parte dell’acqua piovana che raggiunge il suolo, in modo molto lento, viene comunque trattenuta dallo stesso. Così, è molto ridotta la quantità di acqua che scorre in superficie e i rischi prodotti da questo scorrimento sono ulteriormente attenuati dal fatto che le radici trattengono efficacemente il terreno evitando l’erosione. Inoltre l’importanza delle aree boschive nel territorio alpino è rappresentata dal fatto che l’umidità trattenuta dalle piante durante le precipitazioni, consente di bilanciare la forte variazione climatica, che in assenza di boschi sarebbe più accentuata8.

7 Werner Bätzing, Die Alpen. Geschicte und Zukunft einer europӓischen Kulturlandschaft, cit.

8 Werner Bӓtzing, Die Alpen. Geschicte und Zukunft einer europӓischen Kulturlandschaft, cit.

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1.2.

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Le prime forme di sfruttamento del territorio alpino

La prima forma di sfruttamento del territorio alpino è sicuramente rappresentata dallo sviluppo delle comunità agricole, che con l’agricoltura, ma anche con l’allevamento, portano ad un’evoluzione e trasformazione dell’ambiente naturale che, nella storia, può essere paragonata solo alla rivoluzione industriale. I primi modelli agricoli che si sviluppano sono quelli dell’agricoltura e dell’allevamento per l’autoconsumo e ciò soprattutto sui versanti meridionale e sudoccidentale delle alpi, dove il clima ed il terreno sono maggiormente favorevoli.

Inizialmente le attività agricole si concentrano solo nelle valli entroalpine per un fattore legato ai tempi di coltura: infatti, coltivazioni come quella del grano richiedono tempi molto lunghi per la crescita e soprattutto questa avviene in luoghi soleggiati a lungo. Ecco perché lo sfruttamento di zone alpine diverse dalle valli avviene solo in un momento successivo. Gli strumenti a disposizione non consentivano di sfruttare zone dove prevaleva il bosco o nelle quali si riscontrava la presenza di rilievi. È l’allevamento che dà l’occasione di sfruttare anche versanti più settentrionali della catena alpina e ciò per la presenza di pascoli, anche molto estesi. Per questo si cerca anche di ampliare il terreno utilizzabile (naturalmente durante il periodo estivo), facendo arretrare le aree boschive, anche mediante incendi9.

Nello stesso periodo si sviluppa anche l’apicoltura basata sulla transumanza, che resterà invariata nei suoi elementi essenziali fino al XX secolo10.

Anche l’agricoltura e l’allevamento, nel loro sviluppo, restano forzatamente legati alla conformazione del territorio. Così, già 9 È a questo periodo che appartiene il famoso Uomo del Similaun, chiamato anche Ötzi, morto attorno al 3500 a. C. a 3200 m in Val Venosta, proprio nel passaggio dai pascoli dell’ Ötztal alla valle. Werner Bätzing, Die Alpen. Geschicte und Zukunft einer europӓischen Kulturlandschaft, cit.

10 L’apicoltura nomade o per transumanza consiste nello spostare gli alveari da un posto all’altro in funzione della presenza di piante nettarifere (cioè delle basi zuccherine da fornire alle api). Inoltre tali spostamenti consentono la produzione di mieli uniflorali permettendo una migliore offerta del prodotto finale. La transumanza è una tecnica di allevamento assai antica, già praticata dai nomadi, che trasportavano i loro alveari a dorso d’animale. Gli spostamenti sono spesso funzionali a variazioni di altitudine, e al procedere della stagione, cominciando dalle pianure e vallate precoci tra aprile e giugno, seguendo le fioriture più tardive di luglio e agosto, per finire con la raccolta delle melate d’abete, prima di tornare a svernare in pianura. L’agricoltura utilizza i servizi dell’apicoltura nomade per l’impollinazione dei frutteti.

dall’epoca romana viene elaborato un sistema di produzione basato sulla variazione di altitudine: il piano collinare più basso è destinato alle coltivazioni che necessitano di una maggiore presenza di luce solare e di temperature più miti, mentre i luoghi più alti sono utilizzati per i pascoli del bestiame.

L’alpeggio e i suoi prodotti sono determinati, ancora una volta, da una fattore naturale ovvero dal fatto che con l’aumento dell’altitudine diminuisce la quantità di piante, ma aumenta la qualità. L’allevamento è inoltre meno danneggiato dagli eventi naturali, come le possibili nevicate estive, poiché la vegetazione dei pascoli è divenuta resistente, nel tempo, agli agenti atmosferici. Così, in generale, l’attività di allevamento ed i prodotti dell’alpeggio sono sicuramente più redditizi della coltivazione dei campi del fondovalle.

In epoche successive lo sviluppo dell’agricoltura diventa più massiccio e la produzione non è più destinata soltanto al consumo autarchico, bensì viene venduta o barattata per altri prodotti. Inoltre, la produzione agricola viene affiancata dalla fioritura di nuove attività come il commercio e l’artigianato.

Una particolarità che rileva ai fini dello sviluppo e della conformazione del territorio è quella tra vecchi e nuovi insediamenti. Infatti, possiamo notare che gli insediamenti più antichi derivano dallo sviluppo del feudalesimo: i feudatari, signori del luogo, cercano di conformare il territorio a proprio vantaggio, ma nelle aree alpine incontrano la resistenza delle popolazioni del luogo, che avevano sviluppato nel tempo già una propria autonomia nell’amministrazione locale. Per questo, i signori sono costretti a lasciare ai contadini ampi poteri di autogoverno, rendendoli autonomi nelle scelte relative all’espansione dei propri insediamenti. Ci si trova pertanto di fronte ad un bilanciamento tra le esigenze dei vecchi insediamenti, che tendono a garantire la propria autonomia di espansione, e quelle dei nuovi insediamenti, cioè quelle di promuovere lo sviluppo delle attività agricole. si cerca quindi di creare nuovi piccoli insediamenti privatizzando parti dei pascoli, senza comprimere in maniera eccessiva la precedente estensione del territorio adibito a pascolo.

Nelle aree di nuovo insediamento la popolazione è esigua ed i contadini sono solitamente sottoposti ad un piccolo feudatario, al quale appartiene la terra. È qui che i feudatari riescono ad imporre le proprie scelte circa la conformazione e lo sviluppo del territorio. Per lo più si tratta di piccole fattorie (masi), i cui tenutari devono versare un tributo al feudatario. In questo modo nei nuovi insediamenti non si sviluppano veri e propri villaggi, bensì tante piccole realtà isolate, sulle quali il signore mantiene il controllo, senza temere possibili aggregazioni tra i contadini che potrebbero minare il suo potere. Solo

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successivamente i contadini riescono a migliorare la propria condizione giuridica: infatti, i figli ottengono il diritto di poter succedere ai propri padri nella gestione del maso, senza che il feudatario possa impedirlo.

In questi nuovi insediamenti l’agricoltura e l’allevamento si sviluppano in maniera quasi paritaria, portando ad un’autarchia economica quasi completa, ad eccezione del sale, che resta l’unico prodotto che richiede l’importazione. Le coltivazioni si collocano prevalentemente nel piano montano e collinare, mentre i pascoli sono confinati nei terreni più acclivi. Tutto ciò a scapito del bosco, che risulta sempre più un ostacolo, eliminato con massicce operazioni di disboscamento.

Il sistema di sfruttamento è differente tra le aree romanze e quelle germaniche. Nelle aree romanze è per lo più sviluppato in senso verticale: nel periodo invernale, fino al mese di maggio si abita presso il maso di fondovalle; in seguito la famiglia si trasferisce presso il maggengo, ovvero quell’area intermedia di pascolo tra il fondovalle e i pascoli d’alta quota. Qui resta una parte della famiglia, mentre alcuni componenti salgono nei mesi estivi agli alpeggi, ed altri tornano nel fondovalle per occuparsi dei campi. La suddivisione dei periodi e dei diversi alloggi della famiglia, si riflette spesso anche per quanto attiene alle divisioni ereditarie in capo ai figli. Infatti, pur restando la famiglia patriarcale il centro dell’unità economica, si tende a suddividere la proprietà tra i diversi figli, affinché se ne prendano cura, in modo tale da evitare problemi per il raccolto, derivanti da fattori naturali o dalla scarsa manutenzione.

Anche l’attività agricola nelle aree germaniche si sviluppa in senso verticale, ma in modo differente rispetto a quello sin qui descritto: infatti, il maso viene utilizzato tutto l’anno come residenza principale, mentre i maggenghi vengono abitati solo da qualche componente della famiglia e solo per qualche settimana, per il pascolo e lo sfruttamento dei prati, ma non per la coltivazione dei campi. Anche negli alpeggi lavorano solo alcuni membri della famiglia, gli altri gestiscono dal maso le altre attività. In queste aree l’unità produttiva è il singolo maso, che viene trasmesso in eredità ad un solo figlio11.

Il fattore comune allo sviluppo delle attività umane nel territorio alpino riguarda le modalità comuni di sfruttamento del territorio, compatibili con l’equilibrio ecologico. In particolare si scelgono con attenzione le aree da convertire alla coltivazione dei campi, poiché non tutti i pendii delle Alpi possono essere 11 Si parla in questi casi di maso chiuso. I diritti di pascolo e di sfruttamento del territorio non sono legati al proprietario ma al maso. In base al diritto del maggiorascato, il maso viene ereditato dal figlio maschio primogenito, ma gli altri fratelli e sorelle non sposati restano comunque a vivere nel maso, spesso insieme a braccianti e domestiche.

efficacemente utilizzati. Questa scelta è determinata anche dalla conformazione del terreno: ad esempio i terreni più scoscesi a rischio di erosione non possono essere adibiti a pascolo, ma sono ideali per lo sfalcio dell’erba. Inoltre, si cerca di distribuire sul territorio le diverse attività, cercando di evitare un’omogeneità troppo vasta. Infine, si cerca di far fronte a fenomeni naturali improvvisi e violenti, mediante lavori di ripristino e manutenzione.

Per concludere la descrizione delle modalità di sfruttamento umano del territorio alpino, è opportuno riassumere brevemente le diverse tipologie di attività che si sono sviluppate nel corso del tempo nel territorio alpino. Innanzitutto la caccia e la raccolta: si tratta di attività che consentono di sfruttare l’intero territorio alpino, compreso il piano nivale, ma hanno un insediamento estremamente basso.

Un’altra tipologia di attività è la transumanza, che probabilmente è la forma più antica di sfruttamento del territorio alpino, per quanto attiene alle attività di allevamento.

Per quanto concerne l’agricoltura, come abbiamo visto, ci sono due diverse tipologie di attività agricola, ovvero quella che segue il cosiddetto metodo romanzo e quella che si riferisce alla tradizione germanica. Lo sviluppo è comunque limitato alle aree entroalpine proprio per la conformazione del terreno e delle condizioni climatiche.

Infine, l’ultima attività che si deve tenere in considerazione, e forse quella che ha più marcatamente segnato lo sviluppo delle attività umane nelle alpi, è l’attività basata sull’economia del maso d’alta quota: attraverso questo micro sistema economico indipendente, l’uomo cerca di sfruttare anche le aree ad altitudini più elevate e trasforma gli insediamenti temporanei estivi in insediamenti permanenti. Tali masi erano dediti solamente all’allevamento dei bovini ed i prodotti agricoli venivano forniti dal signore feudale. Progressivamente, date le condizioni disagiate legate all’altitudine, alcuni di questi masi sono stati abbandonati e oggi vengono destinati alla funzione di baite per l’alpeggio. Altri invece, anche in Alto Adige, soprattutto in Val Senales, sono utilizzati ancora oggi per la loro funzione tradizionale12.

12 Werner Bätzing, Die Alpen. Geschicte und Zukunft einer europӓischen Kulturlandschaft, cit.

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10. apicoltura e coltivazione dei campi

1.3.

Il turismo: lo sviluppo e l’attuale collocazione tra le attività economiche delle Alpi

La nascita delle attività turistiche nel territorio dell’arco alpino va fatta coincidere con la rivoluzione industriale, quando cioè si ha una rivalutazione culturale dell’ambiente montano e della relazione uomo-ambiente. Oggi il turismo non è così importante come si pensa nell’economia dell’area alpina, ma di certo è un’attività irrinunciabile, anche per il numero di posti di lavoro ad essa collegati. Questo settore, tuttavia, è attraversato, forse più degli altri ambiti di sfruttamento economico delle alpi, da una profonda crisi che si riflette soprattutto sulle gravi alterazioni dal punto di vista ecologico, che richiedono una costante cura e stabilizzazione. La questione principale per il futuro riguarda quindi la possibilità e la capacità che avrà il settore turistico di riorganizzare le strutture esistenti, anche in modo tale da evitare pericoli di catastrofi naturali, determinate dalla mancanza di responsabilità ambientale.

A questo punto, per comprendere meglio le affermazioni appena svolte sulla situazione attuale e sui possibili sviluppo futuri del turismo, occorre fare un excursus storico, concentrando l’attenzione sulle diverse fasi di sviluppo di questa attività.

Le prime testimonianze di turismo nell’area delle Alpi risalgono alla seconda metà del Settecento e si ritrovano per lo più in un ridotto numero di località. Per oltre un secolo il soggiorno nel territorio alpino veniva considerato più come un viaggio avventuroso che come una vacanza rilassante.

Questa ultima tipologia di vacanza si diffonde in maniera preponderante nel periodo della Belle Epoque (1880-1914).

Le strutture ricettive del periodo sono per lo più i cosiddetti hotel-palazzo, con circa 200-300 stanze, i più grandi edifici civili mai costruiti nelle alpi. Il fattore principale dello sviluppo turistico è qui rappresentato dai nascenti collegamenti ferroviari, anche a scartamento ridotto o a cremagliera, oltre che le prime funicolari, i quali consentono di raggiungere cime e punti panoramici, collocati anche a 3000 m di quota.

Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale questo sviluppo si arresta, frenando i nuovi e ambiziosi progetti, con i quali si puntava alla conquista di vette come lo Jungfrau, ovvero al collegamento con ferrovia a cremagliera lungo il Ghiacciaio dell’Aletsch13.

13 Su una superficie di 824 chilometri quadrati, le Alpi svizzere JungfrauAletsch sono entrate a far parte del patrimonio mondiale dell’UNESCO dal 2001, per la splendida bellezza naturale delle Alpi. Il sito è una delle più straordinarie meraviglie naturali delle Alpi. Al centro la potente massa formata dall’Eiger, il Mönch e la Jungfrau, e il paesaggio glaciale che circonda

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11. treno Jungfraujoch

Per circa sessant’anni, le ferrovie e le funicolari restano le infrastrutture tecnologicamente più avanzate nel territorio alpino. Solo nel corso degli anni Settanta inizia a costruzione di nuove funivie. Tutte le infrastrutture rivestono grande importanza culturale.

Gli hotel-palazzo consentono l’affermazione di una nuova architettura turistica che rispecchia uno stile di vita aristocratico, per la prima volta a contatto con la natura. Le montagne quindi iniziano ad assumere il ruolo di coreografia e scenografia spettacolare. Inizialmente quindi lo sviluppo di queste località turistiche si concentra per lo più in località site a bassa quota, per poter ammirare la vista delle cime. In seguito raggiunge anche quote più alte che permettono una visuale ampia sui vicini ghiacciai. Le grandi località turistiche di questo periodo sono circa un centinaio e si collocano prevalentemente nel territorio svizzero. Anche numerosi comuni ricevono impulso turistico in questo periodo, favorito dai club alpini che provvedono alla costruzione di malghe e rifugi. Solo dopo il 1955,però, questa concezione alpinistica, sarà da considerarsi una grande risorsa per il turismo.

Nel periodo intermedio tra le due guerre si ha un crollo del turismo così come sviluppatosi fino a quel momento; in seguito, fino al 1955 si assiste ad un cambiamento della clientela delle alpi: infatti, in questo periodo diminuisce la presenza di aristocratici ed aumentano i visitatori appartenenti al ceto medio.

Un ulteriore cambiamento del periodo è rappresentato dalla nascita del turismo invernale, che proprio dal 1914 in poi è favorito dalla nascita dei primi impianti di risalita, quali gli skilift.

La costruzione delle funivie inizia a partire dagli anni Sessanta e grazie ad esse la montagna viene vissuta in modo diverso: il paesaggio non è più qualcosa di statico, bensì un paesaggio da vivere anche dall’interno.

Il turismo delle Alpi vive la sua epoca d’oro a partire dal 1955, ovvero da quando fa la sua comparsa il turismo di massa estivo.

In questo periodo cambia anche la tipologia di infrastrutture utilizzate dai turisti. Il maggior successo è da attribuire

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12. vecchia funivia Cervino il Grande Ghiacciaio d’Aletsch. Sulle falde sud del Bietschhorn, passando per diversi piani di vegetazione il paesaggio di alta montagna si trasforma poco a poco in una steppa rocciosa dal carattere mediterraneo. L’unicità di questo mondo di ghiaccio, roccia, flora alpina e bosco viene percepita e vissuta intensamente durante la traversata del ghiacciaio dell’Aletsch che con i suoi 23 chilometri è la più grande estensione ghiacciata delle Alpi. Su queste falde esposte a sud, le condizioni climatiche sono diverse rispetto a quelle delle vette e dei ghiacciai. Siccità e soleggiamento danno al paesaggio un tocco mediterraneo. Le valli del Lötschental, dell’Jolital, del Bietschtal, del Baltschiedertal e del Gredetschtal hanno saputo preservare il loro carattere originale. In www.jungfrauregion.ch e www.myswizzerland. com.

alle camere affittate da privati, i piccoli alberghi, i sentieri escursionistici con i vari rifugi e funivie per i più rinomati punti panoramici. Queste tipologie di infrastrutture hanno costi di mantenimento molto modesti e pertanto avranno uno sviluppo capillare. Il turismo di massa invernale inizia il suo incremento a partire dal 1965 e registra una costante crescita fino al 1985 e ciò porta allo sfruttamento di numerose località in doppia stagione. Una differenza fondamentale tra il turismo estivo e quello invernale è che mentre quest’ultimo è caratterizzato da una forte impronta moderna, che privilegia l’attività fisica, il turismo estivo segue ancora la tradizione e si traduce per lo più in attività contemplative.

Dopo il 1985 il settore turistico subisce una brusca frenata, causata dalla possibilità di raggiungere più facilmente anche mete più lontane, soprattutto in estate (grazie all’apertura di molte frontiere), nonché dalla quantità di neve che d’inverno consente o meno di poter praticare lo sci. Questo arresto della domanda ed alcune pressioni politiche, legate soprattutto a problemi ecologici, producono una stagnazione anche nel progresso legato alle infrastrutture turistiche: infatti, in questo periodo non saranno più aperti nuovi siti turistici nell’area alpina.

La svolta si avrà alla fine degli anni Novanta, sia per il turismo estivo, sia per quello invernale. D’inverno, grazie alle nuove tecnologie che hanno portato alla creazione della neve artificiale, nonché grazie alla nascita di nuove attività sportive come lo snowboard, anche la domanda torna a crescere. Il turismo estivo, invece, subisce una vera e propria rivoluzione, perché si afferma in questi anni l’idea di una vacanza attiva e sportiva anche per l’estate. Ciò comporta una forte e rapida modernizzazione anche dell’attrezzatura utilizzata in montagna: attività come il mountain biking, il rafting ed il volo con il parapendio diventano le nuove attrazioni per una nuova tipologia di vacanza estiva nelle Alpi. Anche per questi sport estivi, come del resto per quelli invernali, sono necessarie diverse infrastrutture: così, mentre fino all’inizio degli anni Novanta il turismo estivo sfruttava direttamente il paesaggio alpino nella sua struttura naturale, oggi lo stesso si concentra per lo più nelle aree dotate di nuove infrastrutture, per la pratica delle attività sportive.

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13. i centri turistici nelle Alpi: localitĂ e comuni con piĂš di 5000 posti letto turistici

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14. variazione popolazione nei comuni dell’arco alpino dal 1981 al 2000

1.4.

Costruzioni in alta quota: evoluzione delle tipologie di rifugio alpino e delle tecniche costruttive

1.4.1. Dalla nascita dell’alpinismo ai “rifugi-albergo”

La nascita dei primi rifugi può riportare alla mente gli archetipi dell’architettura: infatti, la struttura che viene presa in considerazione è quella a capanna, sostantivo che in seguito verrà utilizzato anche affiancato ai nomi propri dei rifugi stessi14.

I primi riscontri di costruzione d rifugi alpini si fanno risalire alla fine del Settecento, nei domini dell’Impero asburgico. Infatti, come abbiamo visto in precedenza, è proprio in questo periodo che muta la percezione del paesaggio alpino, che non viene più percepito come paesaggio ostile, bensì come luogo in cui contemplare la natura15. A partire dai primi anni dell’Ottocento, quindi, il rifugio alpino si sviluppa come una sorta di punto di osservazione privilegiato sulle Alpi. È però a partire dalla seconda metà dell’Ottocento che possiamo parlare di veri e propri rifugi e ciò per la crescente presenza nel territorio alpino di nuovi esploratori, grazie ai quali si assiste alla nascita dell’alpinismo.

I primi cantieri del periodo fanno uso della cosiddetta “quarta parete”: “l’uomo razionalmente affronta l’alta montagna e osa impiantarvi un cantiere, ma lo fa cercando di ingraziarsi la Natura”16.

In questi primi cantieri si cerca di ottimizzare al meglio lo spazio, i materiali, il tempo, la manodopera e soprattutto il denaro: si arriva così alla costruzione anche di modeste cengie, realizzate con pietre reperite in loco e solo durante il periodo estivo da parte di volontari (spesso abitanti della zona). La necessità di risparmio su tutti i fronti ha come conseguenza il fatto che spesso le strutture presentano difetti costruttivi rilevanti, che spesso non le fanno sopravvivere alle prime nevicate.

Il concetto i rifugio, pertanto, è già ben delineato a partire dall’Ottocento; sono carenti invece le tecniche edilizie per la realizzazione dei rifugi stessi, nonché i progetti architettonici alla base delle costruzioni.

La situazione inizia a mutare proprio alla fine del secolo, con la nascita di sodalizi internazionali tra alpinisti, il cui obiettivo 14 In tedesco il sostantivo capanna viene tradotto con il termine hütte.

15 Vedi Capitolo 1, paragrafo 3.

16 Gibello, Cantieri d’alta quota, Biella 2011.

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15. rifugio albergo principe di Piemonte

è quello di provvedere alla costruzione ed alla manutenzione dei rifugi nei rispettivi territori nazionali: il CAI (Club Alpino Italiano) nasce nel 186317. Il primo rifugio costruito dal Cai in Italia, si trova lungo le pendici del Monviso: si tratta di una struttura modesta, in grado di ospitare una decina di persone.

La scelta dei siti nei quali costruire i rifugi si basa, in questo periodo, su valutazioni provvisorie e per nulla certe. Il procedimento di valutazione viene effettuato attraverso la predisposizione di segnali (spesso costituiti da un ammasso di pietre raccolte in loco) durante l’estate: se detto segnale veniva ritrovato l’estate successiva, il sito veniva considerato sicuro.

Tuttavia, questo sistema non consentiva nessuna indagine circa la conformazione del terreno. Pertanto, in questa fase, i rifugi conosceranno da un lato una grande diffusione, ma dall’altro un altrettanto rapido processo di abbandono, dovuto principalmente agli eventi atmosferici e climatici18.

Verso la fine del XIX secolo, fattori quali il timore degli agenti atmosferici, unitamente all’aumento del numero degli alpinisti ed alla loro ricerca di nuove vie da percorrere, portano ad un primo grande passo in avanti nelle tecniche edilizie della costruzione dei rifugi. In particolare, si assiste ad un gran numero di interventi di ampliamento o ricostruzione delle strutture già esistenti, attraverso nuove tecniche costruttive. Innanzitutto si inizia a discostarsi dalla cosiddetta quarta parete, anche se solo di pochi centimetri: questo porta purtroppo ad ulteriori danneggiamenti, derivanti dalla formazione di intercapedini tra la struttura e la roccia, nelle quali si accumulava ghiaccio che, con la sua forza, provocava profonde crepe e rotture.

In ogni caso, questi distaccamenti erano limitati alla costruzione: infatti, per quanto riguarda i tetti questi mantenevano una sorta continuità con la montagna. Spesso erano composti da un’unica falda che guardava verso valle. Nei casi di falda doppia, in rifugi con la consueta forma a capanna, il distacco era completo, ma risultava ancora insufficiente.

In seguito si arriverà a costruire molto più distaccati dalla roccia, in luoghi liberi da tutti i lati. Ciò faciliterà altresì interventi di ampliamento dei rifugi, anche di quelli in pietra.

Un’altra evoluzione, questa volta più efficace, è rappresentata dalla scelta di rivestire i muri internamente con tavolati di legno: in tal modo il calore interno prodotto dai fornelli durava più a lungo e l’ambiente risultava altresì meno umido, poiché 17 I primi ad organizzarsi sono stati gli alpinisti inglesi, che nel 1857 fondano a Birmingham l’Alpine Club. In seguito, nel 1862 si assoceranno austriaci (Österreicher Alpenverein, ÖAV), seguiti da italiani e svizzeri (CAS o SAC). Nel 1869 nasce il Deutches Alpenverai (DAV) e nel 1874 il CAF in Francia.

18 Gibello, Cantieri d’alta quota, cit.

il freddo veniva filtrato dai muri a secco. Questo suggerì in seguito lì erezione di rifugi interamente in legno.

Il distacco dalla roccia e l’utilizzo del legno costituiscono una grande rivoluzione. Si tratterà di una sorta di razionalizzazione del cantiere: infatti, il legno utilizzato per la costruzione dovrà essere trasportato a spalle. Si crea pertanto un embrione di quella che poi sarà la prefabbricazione vera e propria. I materiali verranno trasportati e assemblati in loco. Sempre in relazione a queste nuove modalità costruttive, al fine di ottimizzare i carichi e ridurre la difficoltà di trasporto degli stessi, le strutture avranno una forma semplice all’esterno (che sarà ancora una volta la forma a capanna), ed una differenziazione interna tra zona giorno e zona notte. In alcuni casi si arriva addirittura a realizzare locali diversi come locali per le guide o, anche a quote inferiori, depositi o stalle Questa nuova modalità costruttiva richiama senz’altro le tecniche militari, così come le richiamano le strutture dei rifugi. La realizzazione e il pre- assemblaggio di prova avviene a valle, nelle botteghe dei falegnami, che sono quindi anche i progettisti di queste strutture19.

L’ultimo passaggio relativo all’evoluzione delle tecniche costruttive di fine Ottocento è quello che vede la costruzione di rifugi molto più solidi, in grado di resistere agli sbalzi climatici ed agli agenti atmosferici, attraverso l’utilizzo di materiali di prima scelta. Le strutture regolari sono realizzate con buone malte di calce o cementi; i rifugi sono intonacati all’interno e spesso rivestiti in legno, lasciando comunque uno strato di aria coibentata tra l’esterno e l’interno.

Anche la struttura del tetto venne migliorata, prestando particolare attenzione anche al luogo in cui far sorgere il rifugio, nonché all’orientamento dello stesso.

Questa fase è quindi rappresentata da un miglioramento qualitativo della struttura esterna, che porta con sé anche una maggiore attenzione per il comfort e per i dettagli interni.

Importante in questo periodo è sicuramente l’esperienza svizzera, dove per la prima volta il CAS si pone il problema dell’edilizia alpinistica, arrivando a comporre un regolamento tecnico articolato, il Reglement concernant les cabanes du Sac, del 188620: si tratta di regole semplici e chiare, di principi 19 Si tratta di artigiani con una solida esperienza, che possono essere considerati dei baumeister, nell’accezione tedesca del termine, ovvero dei mastri costruttori formatisi in cantiere, ma in grado di prendere decisioni anche relative alla progettazione.

Per averedei disegni formati da architetti o ingegneri che si occupino anche di coordinare il cantiere, si dovrà attendere il secolo successivo.

20 Anche il CAF, in Francia si mobilita con finanziamenti statali, poiché comprende che le iniziative private non sono più sufficienti per soddisfare la domanda degli alpinisti.

16. capanna Vallott, pianta e struttura lignea

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17. capanna Vallott, 4327 m

18. capanna Vallott, 4327 m

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19. osservatorio Monte Bianco, inizio 1900

20. la regina Margherita sull’omonimo rifugio osservatorio di punta Gnifetti

per una buona pratica costruttiva, che codicizzano quella che di fatto è la situazione delle costruzioni, ovvero strutture quadrangolari compatte, che garantiscono ridotte dispersioni termiche.

Un passo aventi rispetto a questa consuetudine costruttiva sarà compiuto da Julius Beker Beker, per il quale la miglior tecnica costruttiva è quella che si fonda sull’utilizzo del legno di prima scelta, impermeabilizzato mediante carbolineum.

L’esempio che Baker prende in considerazione è quello della Oberaarjorchhütte del 1883, nelle alpi bernesi. Si tratta di una struttura realizzata interamente in legno, su due livelli, con circa 12 posti letto ed è configurato secondo le indicazioni del CAS. La capanna è stata sostituita nel 1904 e, successivamente, smontata e ricostruita a circa quattro ore di cammino dal sito originario. A parte qualche ampliamento successivo oggi si può ancora usufruire della capanna originaria: si tratta probabilmente di uno dei più antichi rifugi giunti fino ad oggi nelle proprie fattezze originarie.

Negli ultimi anni dell’Ottocento nasce anche un’altra tipologia di rifugio, rispetto a quella sin qui descritta: si tratta dei rifugiosservatorio. Queste strutture sorgono per sopperire alle esigenze degli scienziati, che individuano nelle vette dei punti privilegiati di osservazione. Il Monte Bianco diventa un sito molto ambito, in quanto consente osservazione più esatta, poiché non inficiata dai fenomeni atmosferici del fondovalle.

Un esempio di rifugio – osservatorio è quello fatto costruire dall’astronomo Joseph Vallot nei pressi di Chamonix. Si tratta di una costruzione in legno a doppia parete con doppie porte e doppie finestre. Stupito dall’affluenza degli alpinisti, Vallot farà costruire vicino all’osservatorio anche una seconda capanna, ad uso esclusivo degli alpinisti stessi. Qualche anno più tardi si vedrà costretto a ricostruire l’osservatorio a poca distanza da quello originario, interamente ricoperto di neve. In questa nuova costruzione il rivestimento esterno sarà realizzato in rame21.

Con l’inizio del Novecento l’alpinismo conosce una fioritura quasi continua, che si protrarrà senza accenni di crisi fino alla metà del secolo; con esso si alimenta l’esigenza di ritrovare punti di appoggio per gli alpinisti e per le guide alpine, professione in forte ascesa, grazie anche a sodalizi internazionali.

Nelle esposizioni mondiali iniziano ad essere presentati anche alcuni rifugi, percepiti come “case di rappresentanza” da parte delle istituzioni, nonché come esempi di costruzioni ad alta quota. in queste esposizioni si propongono sia 21 Gibello, Cantieri d’alta quota,cit.

soluzioni innovative e sperimentali, che modelli ideali in scala.

Proprio per la diffusione della conoscenza del mondo alpino e dell’alpinismo, si inizia a sentire la necessità di ampliare l’offerta di ospitalità anche ad alta quota: nei periodi estivi emerge in particolare la figura del custode22. È da qui che si pensa ai primi prototipi di rifugio-albergo, con il miglioramento le prime travi fissate su punta dei servizi offerti agli escursionisti. Questa nuova esigenza 21.Gnifetti per la Capanna Margherita ha delle conseguenze anche per quanto attiene alla tecnica edilizia: si costruiscono rifugi in muratura più stabili. Le dimensioni aumentano, ma soprattutto, si inizia a costruire su più livelli, pur in assenza della tecnologia adeguata per il sollevamento dei materiali.

Tra i vari rifugi-albergo realizzati, l’opera di maggior impegno è probabilmente quella del rifugio Quintino Sella, presso il lago grande, sul Monviso.

L’edificio è stato eretto tra il 1904 e il 1905, si eleva per tre piani, oltre al sottotetto nel quale è stato creato un punto di osservazione. Qui i posti letto sono circa 60, e 44 quelli nella sala da pranzo. Soprattutto dopo la Prima Guerra Mondiale questa tipologia di rifugio si espanderà anche a quote più basse, con la nascita di diversi alberghetti, anche di proprietà di privati, spesso dove sorgevano gli antichi alpeggi, al fine di 22. Capanna Margherita dare ospitalità agli escursionisti o ai passeggiatori.

1.4.2. Il Novecento: tradizione, architettura e politica nel secolo delle due guerre Già all’inizio del secolo l’attenzione per la cultura architettonica del territorio assume un ruolo centrale: per la prima volta, in Svizzera, nascerà l’ Heimatschutz, una delle maggiori organizzazioni elvetiche operante a questi fini. Gli ideali di questa organizzazione saranno fondamentali per committenti e progettisti, fino ad incarnare quasi un ideale politico di stampo conservatore.

L’obiettivo era quello di mantenere nelle costruzioni le tradizioni nazionali: ciò fu possibile grazie alla predisposizione di una serie di elementi concettuali, minimo comun denominatore per tutte le costruzioni. In particolare, si tende a richiamare l’idea di solennità, ma nello stesso tempo di intimità, mediante l’impiego della pietra (che sostituirà progressivamente il legno), nonché tetti a due falde, rigorosamente ricoperti di lamiera o

22 Il custode è particolarmente importante per limitare i vandalismi,perpetrati soprattutto da contrabbandieri e bracconieri. Conseguentemente, la presenza di guardiani porterà anche al miglioramento dei servizi di ristorazione, per una gestione pseudo alberghiera.

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eternit23. La struttura doveva riprendere le forme tipiche delle costruzioni presenti negli alpeggi, proprio in quanto autoctone.

Da qui, probabilmente nasce l’idea di rifugio come baita, nonostante i rifugi fossero costruiti più in quota, in territori fino ad allora mai utilizzati. Si tratta di una commistione tra tradizione e novità, con una connotazione folkloristica e nazionalista, che verrà ripresa anche da altri Stati, nell’arco alpino. L’Heimatschutz, quale corrente che si sviluppa in tutto il territorio alpino, comporta una brusca frenata delle innovazioni e della ricerca progettuale, proprio perché legata alla tradizione e alla conservazione.

Questo legame alla tradizione, pur limitando la ricerca progettuale, non elimina del tutto la varietà di tipologie costruttive, legate alla tematica del rifugio alpino. Nel contesto del CAAI (Club alpino accademico italiano), emerge la proposta per la costruzione di bivacchi fissi, con collocazione prevalente laddove la frequentazione è meno assidua e dove quindi c’è meno richiesta di strutture ricettive. Il progetto riguarda la costruzione di strutture a cassa stagna, foderate di zinco, con la capienza massima di cinque persone. A livello edilizio la struttura è efficiente ed innovativa: la forma a semibotte riduce la presa del vento e la pressione della neve, quindi le costruzioni hanno buona resistenza agli agenti atmosferici.

La struttura è interamente prefabbricata e facilmente trasportabile, con drastica riduzione dei costi e dei tempi di manutenzione. Proprio dal CAAI arriva nel 1924 uno stanziamento di fondi per la realizzazione delle prime strutture.

Nel 1925 si inaugurano sul Monte Bianco i primi due bivacchi: sono entrambi costituiti da un telaio in legno, uniti con bulloni ancorati al terreno, sui quali vengono fissate le fiancate in legno semicircolari. Per ricoprire il tetto sono state utilizzate lamiere di zinco, mentre il pavimento è stato ricoperto da cartone catramato, sul quale erano previste un’apertura per la porta, una per una piccola finestrella ed un foro per il tiraggio della cucina ad alcool24.

A prescindere da questa parentesi di innovazione,possiamo dire che è a partire dalla fine della prima Guerra Mondiale che il tema dell’ambiente e del territorio entra nel dibattito architettonico. Il cambiamento maggiore riguarda la committenza e le esigenze prese in considerazione nel progetto: ci si allontana sempre di più da una committenza nobile e altolocata e ci si concentra 23 Naturalmente all’epoca non si conosceva ancora la pericolosità del maeriale, che anzi, era uno dei più moderni.

24 Un bivacco più capente, circa nove posti, sarà realizzato a cavallo tra le due guerre, grazie al progetto di Giulio Apollonio, ingegnere nativo di Cortina D’Ampezzo, membro della Sat e consigliere del Cai, che dedica tutta la propria carriera alle costruzioni in alta quota.

su pianificazioni delle zone di espansione e sull’edilizia popolare delle città, razionalizzando le tecniche costruttive e l’organizzazione del cantiere.

Alcuni di questi aspetti innovativi si riflettono anche sulle costruzioni di alta quota. Un esempio potrebbe essere quello della Medelserhütte a Fourcla de Lavaz. Il rifugio si articola su due livelli sfalsati, dando un’idea di studio della forma, rigorosamente elaborata in uno studio professionale.

Un’opera sicuramente più all’avanguardia è quella realizzata nel primo dopoguerra da Armando Melis sul Gran Paradiso: la struttura è quella di una semibotte che parte dal terreno, simile ad un enorme bivacco o ad un hangar, con copertura in ferro. Il volume unico ed è di grande impatto; secondo alcuni commentatori rimanda anch’essa all’archetipo della capanna25.

In questa fase storica non si può tralasciare l’evoluzione della situazione politica, che ha fortemente condizionato le dinamiche sottese alla costruzione dei rifugi.

A partire dall’unificazione d’Italia, le costruzioni nei territori di confine venivano utilizzate e percepite come stendardi della nazione: il Trentino Alto Adige fu quindi uno dei principali territori di contesa26. In seguito, durante il primo conflitto mondiale vengono eretti una serie di baraccamenti ed infrastrutture che, al termine del conflitto, verranno recuperate e trasferite nel patrimonio del CAI. Del resto, il contributo degli alpini, sia durante il conflitto che nei periodi di pace, è stato fondamentale, soprattutto per quanto riguarda il trasporto dei materiali o l’apporto di manodopera.

Il CAI, già dal 1916 avanza richieste al governo, affinché i rifugi presenti nei territori che sulla base del trattato di Londra dovevano essere annessi all’Italia, fossero presidiati dalle proprie truppe, al fine i salvaguardare il patrimonio edilizio e di ostacolare vandalismi. La richiesta viene riformulata successivamente al Ministero della Guerra e, in seguito, anche all’Ente nazionale industrie turistiche. Nel 1921 il Ministero stabilirà che le strutture di proprietà di organizzazioni straniere come il DOAV, ma erette sul territorio italiano, fossero trasferite al CAI. Nel 1923, per decreto della Prefettura di Trento si stabilisce lo scioglimento di qualsiasi società o associazione o sezione costituita in Trentino, non in rappresentanza del CAI27.

25 Gibello, Cantieri d’alta quota,cit.

26 Un esempio è quello di rifugi Quintino Sella eTuckett nelle dolomiti del Brenta, costruiti a pochi metri di distanza rispettivamente dal Sat e dal Doav. il Sat (società degli alpinisti tridentini) nasce nel 1876, ma viene ben presto sciolta dal governo austro-ungarico per ragioni politiche.

27 In totale i rifugi che il Doav cede a Italia e Jugoslavia sono 95. Non mancano comunque soluzioni a tavolino con conseguenze alquanto

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Per volere di Mussolini, dal 1930 la federazione degli alpini arriverà confondersi con l’Associazione nazionale alpini, assumendo sempre più risvolti militaristi. La commistione emerge anche dal fatto che i programmi edilizi promossi dal CAI sono controllati dal Ministero della stampa e della propaganda ed approvati dal Ministero della guerra.

Proprio il ministero della guerra approverà nel 1936 uno studio esplorativo per fissare le norme tecniche e amministrative del “Piano quadriennale dei lavori nelle alpi occidentali”, iniziativa finalizzata ad ampliare l’offerta ricettiva dei rifugi.

I criteri generali di progetto si basano sulla concezione che il rifugio non sia soltanto un ricovero, ma debba invece diventare una struttura in grado di offrire maggiori servizi agli escursionisti, in continua espansione. Si sceglie quindi di erigere strutture anche a quote più modeste, per trarre maggiore profitto, in modo tale da poter finanziare i rifugi collocati in zone meno frequentate. Per quanto riguarda la struttura si sceglie di diversificare i progetti, abbandonando quindi l’idea di un modello unico di riferimento. Lo scoppio della seconda Guerra Mondiale,tuttavia, consentirà una realizzazione solo parziale delle opere previste nel piano.

Tra le due guerre, comunque, come poco sopra ricordato, cresce la cultura architettonica dei rifugi, anche mediante la partecipazione del CAI all’Esposizione internazionale di architettura della V Triennale di Milano. Cominciano quindi a partecipare alla progettazione e realizzazione di rifugi anche architetti specializzati che, anche in quanto membri di organizzazioni alpine, impegneranno la loro esperienza per questa causa28. In questa fase sono diverse le tipologie di materiali utilizzati: possiamo ritrovare membrane bituminose o sottili lastre di alluminio, oltre che pannelli Isorel per le intercapedini. Uno dei protagonisti di questa fase è la francese Charlotte Perriand, la quale metterà a punto un edificio la cui struttura è costituita da una serie di finissimi tubolari di alluminio, direttamente conficcati nel terreno. La struttura creata è facilmente smontabile e trasportabile, oltre che adatta ad ospitare circa sei persone con brande e tavoli ribaltabili29.

singolari: il rifugio Venna alla Gerla (Landshuterhütte) è stato costruito in un territorio inizialmente appartenente all’impero asburgico. Al termine del conflitto, con il ricollocamento dei confini, il rifugio si trova per due terzi sul territorio italiano e per un terzo su territorio austriaco.

28 Un esempio è quello di Paul Chevallier, che progetterà soluzioni costruttive nelle quali ad una struttura a gabbia lignea, veniva affiancata una copertura in grado di assicurare una buona tenuta isolante.

29 Gibello, Cantieri d’alta quota,cit.

1.5.

La normativa nazionale e regionale in materia di rifugi

1.5.1. Riferimenti generali La disciplina normativa in materia di rifugi vede la sua prima struttura organica nel D.P.R. n. 918/1957, in seguito modificata e sostituita dalla legge quadro sul turismo (l. 217/1983). Proprio nella legge quadro sul turismo si ritrova la prima definizione di rifugio alpino: l’art. 6 di detta legge stabilisce infatti che i rifugi alpini sono classificati tra le strutture extra-alberghiere e definiti come “locali idonei ad offrire ospitalità in zone montane di alta quota, fuori dai centri urbani”. In seguito, all’art. 7 si prevede che siano in ogni caso le leggi regionali a determinare i criteri più specifici per la classificazione delle diverse strutture30.

Secondo l’Istituto Nazionale Ricerche Turistiche si definisce rifugio escursionistico una struttura idonea ad offrire accoglienza e ristoro agli utenti della montagna, situata in zone montane raggiungibili attraverso strade aperte al traffico ordinario, impianti di risalita a fune o a cremagliera.

Sono definiti rifugi alpini le strutture ubicate in luoghi idonei a costituire basi di appoggio per l’attività alpinistica, predisposte ed organizzate per fornire, mediante gestore, ospitalità, sosta, ristoro, pernottamento e servizi connessi, non raggiungibili in nessun periodo dell’anno attraverso strade aperte al traffico ordinario o attraverso linee funiviarie in servizio pubblico, fatta eccezione per gli impianti scioviari.

Il rifugio, in ogni caso deve essere conforme alle vigenti norme e prescrizioni in materia di edilizia ed urbanistica, ai requisiti igienico-sanitari previsti dalla normativa nazionale, regionale e dai regolamenti comunali vigenti; deve rispettare, per la prevenzione incendi e per la sicurezza, la normativa vigente in materia; dimostrare la conformità degli impianti tecnologici (es. impianti elettrici) alle dette normative; rispettare le disposizioni previste dalla legge per la tutela dell’igiene in campo alimentare; operare nel rispetto delle disposizioni previste per la salvaguardia delle risorse idriche, energetiche e del corretto smaltimento dei rifiuti (in particolare: rispetto degli obblighi connessi alle derivazioni di acqua, possesso delle autorizzazioni allo scarico delle acque reflue e idonei impianti di trattamento delle acque reflue in base a quanto previsto dalla normativa regionale vigente, corretto smaltimento dei rifiuti secondo le modalità concordate con i Comuni)31.

Una disciplina organica sui rifugi, che coinvolge anche aspetti tecnici, si ritrova solamente nelle regioni dell’arco alpino, dove 30 www.fondazionemontagnasicura.it, www.cai.it, www.normattiva.it 31 Criteri per la qualificazione dei rifugi- Allegato alla legislazione Nazionale, in www.camcom.gov.it

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è maggiormente sentita la problematica della conservazione e regolamentazione di queste strutture. Il punto di partenza comune per la regolamentazione dei rifugi è determinato dalla loro localizzazione: a tal proposito risulta utile analizzare la classificazione operata dal CAI, che ha approntato una propria normativa che si colloca su un piano differente rispetto alla legislazione cogente, ma che risulta comunque utile ai fini dell’indagine che ci occupa, quale riferimento generale in tema di classificazione dei rifugi.

Le strutture di proprietà del CAI sono distinte in diverse categorie, tra le quali quella dei rifugi alpini.

In particolare si parla di rifugi come “strutture ricettive sorte per rispondere alle esigenze di carattere alpinistico ed escursionistico, gestite o custodite ed aperte al pubblico con le modalità stabilite dalla sezione, convenientemente predisposte ed organizzate per dare ospitalità e possibilità di sosta, ristoro, pernottamento e servizi connessi ed attrezzate per il primo intervento di soccorso”. Le strutture devono essere inoltre dotate di locali per la gestione e di un locale con accesso separato per il pernottamento nei mesi invernali, durante il periodo di chiusura.

In questa categoria sono comprese 3 tipologie di rifugi. Si parla, più precisamente di: - RIFUGI ESCURSIONISTICI Categoria A: quelli raggiungibili con strada rotabile aperta al traffico ordinario o comunque ubicati in prossimità di questa.

Per i rifugi di categoria A è ammessa, ai soli fini del tariffario, una differente classificazione per il periodo invernale qualora la situazione ambientale risulti condizionare le possibilità di rifornimento.

Categoria B: quelli raggiungibili con mezzo meccanico di risalita in servizio pubblico (escluse le sciovie), o comunque ubicati in prossimità dello stesso. Per i rifugi di categoria B è ammessa, ai soli fini del tariffario, una differente classificazione qualora i mezzi meccanici di risalita risultino chiusi per lunghi periodi dell’anno.

- RIFUGI ALPINISTICI Categoria C – D - E: rispettivamente, in relazione alla situazione locale con particolare riferimento alla quota, alla durata e difficoltà di accesso, nonché all’incidenza del sistema normalmente adottato per i rifornimenti.

- PUNTI Dl APPOGGIO - BIVACCHI FISSI - CAPANNE SOCIALI. Per le loro specifiche caratteristiche non comportano alcuna classificazione. I punti di appoggio sono strutture fisse generalmente ricavate con corretti ma modesti interventi di restauro e recupero di esistenti edifici tipici

dell’ambiente montano non più utilizzati, purché agibili, al fine di salvaguardare un aspetto del paesaggio tradizionale della montagna. Diversamente, per aversi un bivacco fisso è necessaria la presenza di una costruzione di modeste dimensioni con capienza normalmente non superiore ai 12 posti, generalmente ubicati nelle zone più elevate delle catene montuose, frequentate per alpinismo classico, quali basi prossime agli attacchi delle vie di salita o lungo percorsi alpinistici di quota. Sono strutture incustodite e aperte in permanenza, attrezzate con quanto essenziale per il pernottamento o il riparo di fortuna degli alpinisti. La capanna sociale, invece, è ricavata da immobile esistente, purché agibile, con interventi di ristrutturazione. È dotata di attrezzatura semplice, conforme ai requisiti igienico-sanitari di base ed è tutelata l’esigenza della prevenzione incendi32.

1.5.2. La normativa edilizia e i requisiti strutturali Dal punto di vista della costruzione di rifugi ed in particolare in tema di normativa edilizia, si fa riferimento al normale iter burocratico: si rende necessario infatti, ottenere il certificato di agibilità, previsto dal D.p.r. n. 380/2001, che va richiesto all’autorità territorialmente competente (in questo caso al Sindaco) e attiene alla sussistenza delle condizioni di igiene, sicurezza e salubrità, nonché di risparmio energetico degli edifici e degli impianti.

La licenza sarà necessaria nel caso di edificazione di nuove costruzioni, sopraelevazioni, ricostruzione di edifici preesistenti e in ogni caso per ogni modificazione che possa portare a delle alterazioni in tema di salubrità delle strutture esistenti.

Un’altra particolare autorizzazione è d’obbligo nel caso in cui la struttura sia collocata in un’area protetta: in base a quanto stabilito dall’art. 2 della l. n. 394/1991 sono aree protette, rilevanti ai fini della presente trattazione i parchi nazionali e regionali, nonché le riserve naturali. In queste aree protette, ai sensi dell’art. 13 del medesimo testo normativo è previsto che “Il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell’Ente parco”33.

In ogni caso, il rilascio della concessione edilizia è subordinato alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria: ciò, peraltro, va contemperato con la localizzazione del 32 www.cai.it 33 L. n. 394 del 6 dicembre 1991 – Legge quadro sule aree protette- in www.parks.it

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rifugio oggetto di concessione, nel senso che, ad esempio, la mancanza di un acquedotto in una zona particolarmente disagiata, non va ad inficiare il rilascio dell’autorizzazione stessa. Devono comunque essere rispettati i requisiti minimi tecnici ed igienico-edilizi relativi ad una costruzione che deve avere carattere permanente.

Anche l’esercizio dell’attività all’interno dei rifugi alpini è oggetto di una particolare autorizzazione del Comune, previo accertamento della rispondenza alle norme di legge tra cui quelle sanitarie. Si renderà inoltre necessario certificare, qualora si somministrino cibi e bevande, il rispetto delle norme igienico-alimentare, di cui al d. lgs. n. 155/1997, predisponendo il “Manuale interno di autocontrollo per l’igiene degli alimenti”, che autocertifica le procedure di controllo poste in essere per quelle attività, che potrebbero comportare problematiche circa la sicurezza degli alimenti34.

In relazione alla struttura del rifugio è necessario osservare gli obblighi in materia di prevenzione sicurezza e soccorso. In ambito di sicurezza degli impianti elettrici si applica ai rifugi la normativa nazionale dettata dalla l. n. 46/1990 in tema di attività commerciali, e questo sia per quanto attiene all’istallazione, che con riferimento alla trasformazione, all’ampliamento e alla manutenzione.

Con riferimento alla produzione di energia, è necessario porre 34 In particolare si fa riferimento agli artt. 3 e 4 del d.lgs. 157/1997 che dispongono: “Il responsabile dell’industria deve garantire che la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione, dei prodotti alimentari siano effettuati in modo igienico, […] individuare nella propria attività ogni fase che potrebbe rivelarsi critica per la sicurezza degli alimenti e garantire che siano individuate, applicate, mantenute ed aggiornate le adeguate procedure di sicurezza avvalendosi dei seguenti principi su cui è basato il sistema di analisi dei rischi e di controllo dei punti critici HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points): a) analisi dei potenziali rischi per gli alimenti; b) individuazione dei punti in cui possono verificarsi dei rischi per gli alimenti; c) decisioni da adottare riguardo ai punti critici individuati, cioè a quei punti che possono nuocere alla sicurezza dei prodotti; d) individuazione ed applicazione di procedure di controllo e di sorveglianza dei punti critici; e) riesame periodico, ed in occasione di variazioni di ogni processo e della tipologia d’attività, dell’analisi dei rischi, dei punti critici e delle procedure di controllo e di sorveglianza.

Al fine di facilitare l’applicazione delle misure di cui all’articolo 3, possono essere predisposti manuali di corretta prassi igienica tenendo conto, ove necessario, del Codice internazionale di prassi raccomandato e dei principi generali di igiene del Codex Alimentarius. L’elaborazione dei manuali effettuata dai settori dell’industria alimentare e dai rappresentanti di altre parti interessate quali le autorità competenti e le associazioni dei consumatori, in consultazione con i soggetti sostanzialmente interessati tenendo conto, se necessario, del Codice internazionale di prassi raccomandato e dei principi generali di igiene del Codex Alimentarius.

particolare attenzione alla produzione di energia termica: gli impianti termici sono impianti destinati alla climatizzazione estiva e invernale degli ambienti, anche con produzione di acqua calda per gli stessi usi, nonché sistemi di produzione, distribuzione e utilizzazione del calore con appositi sistemi di controllo. Anche alcuni apparecchi come stufe e caminetti possono essere assimilati ad impianti termici, quando la somma delle potenze nominali degli apparecchi al servizio di una singola unità immobiliare è superiore a 15 kW. 1.5.3. Disposizioni normativa antincendio relativa alle attività ricettive con capacità inferiore a 25 posti letto La normativa è puntuale anche per quanto attiene alla materia di prevenzione degli incendi ed è contenuta nel decreto ministeriale n. 116/1994 denominato “approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l’esercizio delle attività ricettiva turistico-alberghiera”. La normativa antincendio dei rifugi alpini (definiti mediante il richiamo alla già citata l. n. 217/1983) è disciplinata al Titolo V del decreto ministeriale, che va però contemperato con le modifiche adottate nel 2003 ad opera del decreto ministeriale di “Approvazione della regola tecnica recante l’aggiornamento delle disposizioni di prevenzione incendi per le attività ricettive turistico alberghiere esistenti, di cui al decreto 9 aprile 1994”.

All’interno del decreto viene effettuata una classificazione dei rifugi, distinti a seconda delle modalità di accesso alla struttura: le categorie principali sono quelle dei rifugi raggiungibili con strade rotabili e quelli raggiungibili mediante impianti di risalita in servizio pubblico.

Sulla base del DM 9 aprile 1994 per i rifugi con capacità inferiore a 25 posti letto, la protezione antincendio deve essere mirata a ridurre i rischi che possa divampare un incendio, limitare la propagazione del fuoco e dei fumi e consentire a tutti gli occupanti di uscire incolumi.

In particolare devono essere rispettare le seguenti disposizioni: a) sorgenti di innesco: devono essere eliminate le sorgenti di innesco, deve essere imposto il divieto di fumare od accendere fuochi, eccezion fatta nei locali a ciò appositamente adibiti, di cui alla successiva lettera; b) apparecchi di cottura: sugli apparecchi di cottura (fornelli e cucine) di pertinenza del rifugio, funzionanti a gas, qualunque sia la loro potenzialità, devono essere installati rubinetti valvolati oltre ad una valvola generale di intercettazione segnalata. Le eventuali bombole di gas vanno poste all’esterno del rifugio e

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senza comunicazione diretta con questo; c) depositi pericolosi: i depositi di sostanze combustibili, prodotti infiammabili, rifiuti ecc. devono essere ubicati all’esterno, od in locali separati senza diretta comunicazione; d) porte d’esodo: dalle porte di esodo devono essere eliminate le chiusure a chiave dall’interno, i dispositivi a catenaccio a scorrere, o similari, garantendo l’apertura con l’azionamento di maniglia dall’interno. L’eventuale chiusura potrà avvenire solo dall’esterno nei periodi di inattività od in caso di cessazione della stessa. Qualora le condizioni delle precipitazioni nevose lo rendano necessario, le porte d’esodo attestate sull’esterno possono aprirsi verso l’interno; e) inferriate: le inferriate o qualsiasi altra protezione fissa delle finestre che non ne consenta l’uso come via d’esodo di emergenza e parimenti, l’accesso ai soccorsi, devono essere eliminate; f) locali cottura: i locali da adibirsi a cottura cibi, anche da parte degli ospiti, devono essere protetti sulle pareti per almeno 150 cm da terra, e sui pavimenti per un raggio di almeno 100 cm attorno ai posti ove vi può essere fiamma libera, con materiali di classe 0. La larghezza delle zone protette sulle pareti deve estendersi per lo stesso raggio di cm 100; g) Protezione delle sorgenti di calore: attorno alle stufe per un raggio di almeno un metro, sia in altezza che in larghezza devono essere disposte protezioni incombustibili. I canali da fumo, negli attraversamenti od in vicinanza di materiali combustibili, devono essere protetti evitando che vi siano punti con temperature in grado di provocare innesco sugli stessi. Per l’operazione di asciugatura degli indumenti devono essere predisposti appositi appoggi o sostegni fissi a distanza adeguata dalle sorgenti di calore onde evitare la possibilità di innesco; h) dispositivi di chiamata: ove non sia presente e disponibile per l’emergenza un apparecchio telefonico, dovrà essere installato, in posizione segnalata e protetta, un apparecchio radio di chiamata alimentazione autonoma, su banda fissa, in grado di inviare automaticamente la segnalazione di soccorso per un periodo non inferiore alle 4 ore, differenziata in base al tipo di intervento richiesto e codificata per l’individuazione; i) dotazione di emergenza: quando la quota del rifugio superi i 2000 metri sul livello del mare o, pur a quote inferiori, le condizioni meteorologiche locali che si possano presentare siano riconducibili a quelle di detta quota limite, dovrà essere reso disponibile il sacco d’emergenza. Questo, disposto in custodie sigillate, sarà costituito da un telo alluminato a forma di sacco, atto a contenere completamente l’alpinista, o da

un dispositivo analogo in grado di fornire almeno le stesse caratteristiche di salvaguardia termica. I sacchi di emergenza, in numero pari alla capienza massima del rifugio, aumentata del 20%, dovranno essere custoditi in un apposito alloggiamento, chiaramente segnalato, provvisto di chiare indicazioni sul suo uso, distante dal rifugio in modo da non essere coinvolto dall’eventuale incendio; l) schede tecniche: a cura del titolare dovranno essere redatte schede tecniche indicanti le caratteristiche di ogni rifugio ai fini antincendio, nelle quali dovrà essere indicato nome e cognome del gestore e del responsabile della sicurezza, nominato dal titolare. Il responsabile della sicurezza dovrà provvedere almeno annualmente al controllo generale della situazione, delle dotazioni previste e dell’efficienza degli impianti.

Oltre ai requisiti appena indicati, è necessario, affinché un rifugio possa essere considerato a norma di legge, che gli stessi soddisfino ulteriori caratteristiche, indicate dalla legge stessa: a) le strutture orizzontali e verticali dei rifugi di nuova costruzione devono possedere caratteristiche di resistenza al fuoco non inferiori a R 30. Tale prescrizione non si applica ai rifugi esistenti; b) devono essere svolte le prove periodiche di cui al punto 14.1 con frequenza almeno annuale35; c) fermo restando il rispetto delle prescrizioni precedenti, è consentito mantenere all’interno del locale una sola bombola di GPL, di peso non eccedente i 25 kg, purché la stessa sia utilizzata per l’alimentazione degli apparecchi di cottura; d) devono essere installati estintori conformemente a quanto richiesto nel precedente punto 11.236.

35 14.1 Generalità Il responsabile dell’attività deve provvedere affinchè nel corso della gestione non vengano alterate le condizioni di sicurezza, ed in particolare che: sui sistemi di vie di uscita non siano collocati ostacoli (depositi, mobili ecc.) che possano intralciare l’evacuazione delle persone riducendo la larghezza o che costituiscano rischio di propagazione dell’incendio; siano presi opportuni provvedimenti di sicurezza in occasione di situazioni particolari, quali: manutenzioni, risistemazioni ecc.; siano mantenuti efficienti i mezzi e gli impianti antincendio, siano eseguite tempestivamente le eventuali manutenzioni o sostituzioni necessarie e siano condotte periodicamente prova degli stessi con cadenze non superiore a sei mesi; siano mantenuti costantemente in efficienza gli impianti elettrici in conformità a quanto previsto dalle vigenti norme; siano mantenuti costantemente in efficienza gli impianti di ventilazione, condizionamento e riscaldamento. In particolare il controllo dovrà essere finalizzato alla sicurezza antincendio e deve essere prevista una prova periodica degli stessi con scadenza non superiore ad un anno.

Le centrali termiche devono essere affidate a personale qualificato, in conformità a quanto previsto dalle vigenti regole tecniche.

36 11.2 Estintori Tutte le attività ricettive devono essere dotate di un adeguato numero di estintori portatili. Nelle more della emanazione di una apposita norma

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1.5.4. Smaltimento acque reflue nei rifugi

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Problematica sempre attuale nella progettazione degli edifici è lo smaltimento delle acque reflue. In taluni casi la mancanza di fognature e la posizione impervia porta a gravi problematiche di smaltimento.

Recentemente è stato proposto nella provincia autonoma di Bolzano un sistema di smaltimento semplificato delle acque di scarico e dei rifiuti. La norma prevede che tutti gli edifici siano regolarmente collegati alla rete di smaltimento delle acque meteoriche. Tuttavia, il sistema proposto è difficilmente realizzabile e le problematiche in fase applicativa hanno indotto la Giunta provinciale a stabilire un’eccezione alla regola qualora vi fossero gli estremi. In particolare, la deroga prevista, permette agli edifici non collegati alla rete di disperdere le acque di scarico, previa filtrazione, nei terreni circostanti37.

Il 26 marzo 2008 è entrato in vigore il nuovo Regolamento di esecuzione alla Legge provinciale 18 giugno 2002, in materia di “Disposizioni sulle acque” che copre il vuoto normativo delle leggi sui rifugi in materia. La norma stabilisce in maniera univoca le modalità di filtrazione e dispersione delle acque in funzione dell’ubicazione dell’edificio in oggetto In particolare il regolamento prevede la necessaria realizzazione di fosse settiche, con adiacenti impianti di filtrazione, nonché pozzi perdenti o condotte disperdenti38.

armonizzata, gli estintori devono essere di tipo approvato dal Ministero dell’interno ai sensi del decreto ministeriale 20 dicembre 1982 (Gazzetta Ufficiale n. 19 del 20 gennaio 1983) e successive modifiche. Gli estintori devono essere ubicati in posizione facilmente accessibili e visibili; appositi carrello segnalatori devono facilitarne l’indicazione, anche a distanza. Gli estintori portatili devono essere installati in ragione di uno ogni 200 metri quadri di pavimento, o frazione, con un minimo di un estintore per piano.

Gli estintori portatili dovranno avere capacità estinguente non inferiore a 13 A - 89 B; a protezione di aree ed impianti a rischio specifico devono essere previsti estintori di tipo idoneo. Per attività fino a venticinque posti letto è sufficiente la sola installazione di estintori.

37 http://www.regioni.it/it/showi_provvedimenti_della_giunta_provinciale 38 Circolare n. 3/08 dell’Ufficio tutela acque, provincia autonoma di Bolzano

1.6.

Il dibattito architettonico sulle costruzioni in alta quota

1.6.1. Regole per chi costruisce in montagna, Adolf Loos, 1913 “Non costruire in modo pittoresco. Lascia questo effetto ai muri, ai monti e al sole. L’uomo che si veste in modo pittoresco non è pittoresco, è un pagliaccio. Il contadino non si veste in modo pittoresco. Semplicemente lo è. Costruisci meglio che puoi. Ma non al disopra delle tue possibilità. Non darti arie.

Ma non abbassarti neppure. Non porti intenzionalmente ad un livello inferiore di quello tuo per nascita e per educazione.

Anche quando vai in montagna. Con i contadini parla nella tua lingua. L’avvocato viennese che parla con i contadini usando il più stretto dialetto da spaccapietre deve essere eliminato. Fà attenzione alle forme con cui costruisce il contadino. Perché sono patrimonio tramandato dalla saggezza dei padri. Cerca però di scoprire le ragioni che hanno portato a quella forma.

Se i progressi della tecnica consentono di migliorare la forma, bisogna sempre adottare questo miglioramento. Il correggiato è stato sostituito dalla trebbiatrice.

La pianura richiede elementi architettonici verticali; la montagna orizzontali. L’opera dell’uomo non deve competere con l’opera di Dio. L’osservatorio degli Asburgo è un elemento di disturbo nel paesaggio del Wienerwald, ma il Tempio degli Ussari vi si inserisce in modo armonico.

Non pensare al tetto, ma alla pioggia ed alla neve. In questo modo pensa il contadino e di conseguenza costruisce in montagna il tetto più piatto che le sue cognizioni tecniche gli consentono. In montagna la neve non deve scivolare giù quando vuole, ma quando vuole il contadino. Il contadino deve quindi poter salire sul tetto per spalar via la neve senza mettere in pericolo la sua vita. Anche noi dobbiamo costruire il tetto più piatto che ci è consentito dalle nostre cognizioni tecniche.

Sii vero! La natura sopporta soltanto la verità. Va d’accordo con i ponti a travi reticolari in ferro, ma rifiuta i ponti ad archi gotici con torri e feritoie.

Non temere di essere giudicato non moderno. Le modifiche al modo di costruire tradizionale sono consentite soltanto se rappresentano un miglioramento, in caso contrario attieniti alla tradizione. Perché la verità, anche se vecchia di secoli, ha con noi un legame più stretto della menzogna che ci cammina al fianco39.”

39 Estratto da Adolf Loos, 1913, Regole per chi costruisce in montagna

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1.6.2. L’esperienza altoatesina

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Oggi ci troviamo nella difficile situazione in cui i dogmi dell’architettura montana si stanno sgretolando e ciò è fondamentalmente dovuto ad ingenti progressi della tecnica ed alla specifica variazione delle abitudini delle persone che utilizzano i rifugi.

Ciò nonostante, le regole di Loos appaiono ancora attuali ed in linea con i tempi, anche nel momento in cui vengono messe a confronto con idee innovative volte a migliorare l’utilizzo e la vivibilità anche in luoghi impervi.

Recentemente è stato indetto nella provincia di Bolzano un concorso per l’edificazione di tre nuovi rifugi. I risultati, estremamente interessanti non fanno altro che confermare tale pensiero collettivo.

Il compito dell’architetto, anche in questo contesto, è quello di interpretare la realtà e realizzare opere che utilizzino il linguaggio della contemporaneità. Nello sviluppo dei progetti architettonici si pone tuttavia l’eterno dilemma innovazione/ tradizione.

Nel testo di Loos appare chiaro che le scelte architettoniche per il contadino sono fondate solamente sulla propria esperienza passata, volta a favorire un quanto più sicuro svolgimento delle attività umane in quota. È dal 1900 che l’alpinismo comincia a muovere i primi passi. Fino a quel periodo le vette erano luoghi impervi ed inesplorati; in seguito, è sorta la necessità di costruire strutture che permettessero ai frequentatori il pernottamento, ma soprattutto un luogo al riparo dalle forze della natura.

Inizialmente l’architettura è passata in secondo piano, trattandosi di costruzioni in luoghi panoramici e difficilmente raggiungibili attraverso un mezzo meccanico. Queste strutture dovevano piegarsi alla volontà ed all’asprezza della natura che consentiva solo la costruzione manuale. Solo negli ultimi anni, attraverso mezzi quali l’elicottero ed innovazioni energetiche importanti si è potuto costruire dando spazio anche a prospettive estetiche.

A questo punto ci si deve chiedere se costruire ex novo significhi rifarsi ai vecchi canoni dell’architettura e mascherare attraverso coperture lignee sistemi tecnologici, ovvero operare secondo un linguaggio che metta in relazione precise funzioni con forme più contemporanee. La domanda è e sarà sempre estremamente attuale.

Le strutture sono e sempre saranno piegate dai limiti fisici imposti dalla natura. Pertanto, il compito che deve perseguire

il progettista è quello di lavorare attraverso il linguaggio contemporaneo e le innovazioni tecnologiche, per ottenere un risultato valido anche dal punto di vista formale. Nei tempi passati la mancanza di macchine che permettessero di costruire e portare in quota i materiali ha necessariamente portato alla realizzazione di rifugi piegati a volontà necessariamente funzionali.

Sintetizzando, il concorso ha permesso una visione d’insieme, tecnologica e formale al tempo stesso, dei i rifugi che verranno costruiti in Alto Adige. Si nota un progressivo sviluppo di un’idea di rifugio come “Landmark” nel territorio, visibile da tutto l’ambiente circostante e ben lungi dall’essere mimetizzato nello stesso.

Tuttavia, tra gli amanti della montagna è nato un gruppo di contestatori denominato “Erhaltet die Südtiroler Schutzhütten und Almen” il quale accusa i progettisti di aver violato un limite che si può considerare sacro. Infatti a scandalizzare questo gruppo non è tanto il fatto che si intervenga in un contesto che si vorrebbe preservare nella sua originaria naturalità, quanto che le nuove costruzioni non si attengano a certi canoni culturali. Si contesta il fatto di allontanarsi dalla traduzione, percepita come una seconda natura. Il paesaggio culturale e la natura in questo senso si confondono. Pertanto il problema è quello della collocazione di un oggetto privo di una qualsiasi altra costruzione umana.

Negli scenari di alta montagna mancherebbe quindi un intimo legame tra segni di antropizzazione e conformazione del suolo. Per superare il problema è necessario sviluppare un design ambientale che assicuri l’integrazione formale delle nuove costruzioni al contesto naturale: infatti accanto ad una sostenibilità ecologica è necessario tenere in considerazione anche una sostenibilità formale, rispetto alla quale ogni progetto andrà valutato.

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CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO SECONDO 2.

23. vista del sito di progetto, rifugio Klammeben allo stato attuale

IL RIFUGIO KLAMMEBEN: LA COLLOCAZIONE GEOGRAFICA ED IL PROGETTO 2.1.

Area di riferimento del progetto

L’area scelta per lo sviluppo del progetto si trova in Val Passiria, nel complesso delle Alpi Sarentine ed in particolare si colloca entro il territorio del comune di Scena.

La Val Passiria è rappresentativa, così come ad esempio la val d’Ultimo di tutte le varietà climatiche e di vegetazione, presenti nel territorio alpino. Alla cosiddetta “regione della vite” appartengono i primi kilometri di profondità della valle. Questa zona è considerata come parte della conca Meranese40. Il clima è eccezionalmente temperato rispetto all’altitudine e ciò grazie a molteplici fattori: l’abbondante insolazione, la protezione assicurata dall’alta spalliera montana contro i venti del nord e le moderate precipitazioni, nonché la nota brezza estiva denominata Phön41.

Nella media e bassa val Passiria la vegetazione è per lo più composta di conifere, specialmente dall’abete rosso.

Le precipitazioni sono moderate nella bassa e media valle, aumentando progressivamente nelle zone più interne ed 40 La zona della conca meranese ha un’estensione limitata, ma densità abitativa molto elevata. Essa comprende la città di Merano ed i borghi limitrofi: Tirolo, Lagundo, Marlengo, Cermes e l’altopiano di Avelengo.

La conca deve deve le sue fortune turistiche soprattutto alla mitezza e salubrità del suo clima: comunemente si parla di un’isola microclimatica sub mediterranea nel cuore della catena alpina. Ciò è comprovato dalla presenza di molte piante tipiche dell’orizzonte mediterraneo. Provincia Autonoma di Bolzano – Assessorato all’istruzione e cultura in lingua italiana -, Guida allo studio dell’Alto Adige, Volume primo, Bolzano 1990.

41 Provincia Autonoma di Bolzano – Assessorato all’istruzione e cultura in lingua italiana -, Guida allo studio dell’Alto Adige, Volume primo, Bolzano 1990.

24. val Passiria

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25. gruppo del Tessa

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26. sentiero europeo numero 5, da passo del Brennero a Verona

27. sentiero europeo numero 5, tappa Pfandler Alm-Hirzer Hütte

elevate. In val Passiria, soprattutto sul versante destro dell’omonimo torrente, si sviluppa il Parco naturale del Tessa, che è il più grande dei parchi dell’Alto Adige.

Dal punto di vista storico, la valle svolse un ruolo di avanguardia nell’insurrezione tirolese del 1809, guidata da Andreas Hofer, originario del paese di San Leonardo in Passiria. I valligiani, infatti, in più occasioni si distinsero per un forte senso della libertà personale e dell’autonomina comunale, così come per un forte legame con il territorio e le tradizioni. Nella rivolta tirolese la valle ebbe un ruolo centrale, quanto alle milizie schierate con il comandante Hofer. La lotta è stata improntata per lo più ad una volontà di conservazione e restaurazione delle antiche istituzioni politiche, civili e religiose contro le innovazioni e le grandi riforme introdotte nello spirito della rivoluzione francese42.

La val Passiria si trova ai piedi del versante occidentale delle Alpi Sarentine, un complesso montuoso dell’Alto Adige che si suddivide in una parte orientale ed in una occidentale. Il confine tra queste due parti è segnato dal Passo di Pennes in Val Sarentino, il quale collega l’Alta Valle Isarco con Bolzano.

Le Alpi Sarentine, che contano all’incirca 140 cime, si sviluppano dalla parte sud dell’Alto Adige, fino al Burgraviato.

La montagna più alta del gruppo è il Monte Cervina (2.781 m s.l.m.)43.

Lo stesso Monte Cervina rappresenta una delle tappe del sentiero europeo n. 5, che dalla costa dell’Atlantico in Bretagna (Francia) attraversa le Alpi passando per Svizzera, Germania, Austria e raggiunge l’Italia terminando secondo progetto a Venezia. Il percorso totale è di 3200 km. Attualmente il tratto Verona -Venezia non è definito, per cui il sentiero al momento termina all’Arena di Verona. La parte del sentiero maggiormente frequentata è quella che collega Costanza (CH) a Verona. Il sentiero E5 è stato aperto ufficialmente dalla Federazione Europea Escursionisti / Europäische Wandervereinigung il 2 luglio 1972, sul tracciato studiato da Hans Schmidt di Sonthofen (D). La manutenzione è curata dall’Associazione dei padrini del sentiero E5 fondata nel 197744.

Per raggiungere la cima del Monte Cervina, si passa necessariamente dal rifugio Klammeben, adiacente al quale si colloca la stazione a monte della funivia proveniente da 42 Provincia Autonoma di Bolzano – Assessorato all’istruzione e cultura in lingua italiana -, Guida allo studio dell’Alto Adige, Volume primo, Bolzano 1990.

43 www.burggrafenamt.com 44 www.sentierieuropei.it

Saltusio, nei pressi di Merano.

Dalla collocazione appena tracciata emerge come il rifugio oggetto del presente lavoro si trovi in un punto di notevole rilevanza rispetto alle principali mete escursionistiche della zona. Nel corso degli anni Settanta, la funivia veniva utilizzata anche nel periodo invernale, poichĂŠ copiose nevicate permettevano di praticare attivitĂ sciistiche.

57 28. analisi impianti di risalita

2.2.

Riferimenti generali architettonica

alla

progettazione

2.2.1. Trollwall restaurant and service, Trollveggen, Norvegia, Reiulf Ramstad Arkitects, 2011

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Si tratta di un edificio per la ristorazione e per la visita dell’area naturalistica Troll Wall. La caratteristica predominante dell’edificio è la forte relazione che sussiste con il territorio circostante. Esiste una forte relazione compositiva tra ambiente ed ’edificio. Lo “skyline” delle montagne circostanti è stato preso come linea generatrice della superficie di copertura del ristorante. La parete Troll Wall è la più alta parete d’Europa e si relaziona perfettamente con le punte spigolose dell’edificio.

La pianta è progettata attraverso la parziale rotazione di una delle generatrici: è uno spazio modulabile e gestibile a seconda delle esigenze più disparate. Caratteristica ulteriore è l’orientamento delle aperture a seconda di viste preferenziali, definite nella parte iniziale del lavoro.

Un volume piramidale trasparente su di un lato permette la visione della parete nella sua interezza. All’interno, uno spazio dalla doppia altezza e dalla pendenza variabile favorisce l’entrata della luce solare all’interno del volume puro.

I materiali utilizzati sono essenzialmente locali, come ad esempio il legno, che viene pretrattato in modo da assumere una parvenza invecchiata. È utilizzato inoltre il vetro basso emissivo per l’apporto di energia anche nella stagione estiva, che di rado raggiunge i 25 gradi centigradi. Nel ristorante sono stati utilizzati, inoltre, cemento a vista per i pavimenti e acciaio verniciato per sorreggere la struttura.

Dall’esterno i vetri basso emissivi con la classica patina metallica creano spettacolari effetti di riflessione e come in un gioco di specchi duplicano letteralmente l’ambiente circostante.

La pianta è decisamente elementare e si oppone nettamente alla copertura che richiama lo skyline dell’ambiente circostante.

Si parla pertanto di una complessità generata sulla copertura contrapposta alla semplice ed elegante pianta a base rettangolare.

L’edificio è ubicato a fondo valle e la copertura ben si sposa con l’immensa parete che la sovrasta45.

45 Pino Scaglione, Rivista Monograph.it, Milano 2013.

59

29. Trollwall restaurant and service, Trollveggen, Norvegia, Reiulf Ramstad Arkitects, 2011

2.2.2. Neue Monte Rosa-Hütte, Bearth & Deplazes Architekten

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È indubbiamente uno degli esempi migliori di connubio tecnica/ricerca formale tra gli edifici in alta quota. Ma, l’aspetto veramente importante è l’utilizzo di uno studio denominato appunto “Progettazione del rifugio Monte Rosa”, sviluppato dalla scuola di architettura di Zurigo, che ha permesso, sotto la guida dei professori Bearth e Deplazes, la realizzazione dell’edificio in questione. Il tema fondamentale è stato l’interoperabilità settoriale: assumere figure professionali di campi diversi al fine di raggiungere mediante il know how complessivo un risultato di risolutezza dell’edificato.

Si tratta di un’esperienza quasi unica che ha permesso lo sviluppo di un formalismo nuovo, un Landmark in una natura ostile. Le facciate sono state sviluppate contemporaneamente ai sistemi di approvvigionamento energetico: pertanto, i pannelli trovano spazio su falde realizzate in maniera tale da lasciar scivolare la neve e permettere agli stessi un ideale rendimento.

Il bilancio energetico è stato fatto in maniera completa, valutando l’intero processo, comprensivo anche dei costi energetici per il trasporto, con l’obiettivo di minimizzarli.

Si tratta di un progetto che ha aperto una nuova strada nella costruzione in quota, per quanto riguarda innovazione, tecnica, materiali e longevità, oltre che aspetti funzionali46.

46 http://www.neuemonterosahuette.ch

61

30. Neue Monte Rosa-H端tte, Bearth & Deplazes Architekten

2.2.3. Schwarzsteinhütte, Rifugio Vittorio Veneto al Sasso Nero, Stifter + Bachmann

Il progetto del nuovo Rifugio Vittorio Veneto al Sasso Nero ha un aspetto predominante sul paesaggio, come un monolite nel territorio morenico del ghiacciaio. Il rifugio viene progettato come una roccia erosa dal vento e dalla pioggia.

Fa parte del paesaggio circostante e lo ingloba attraverso le proprie vetrate che mostrano la forza della natura circostante.

Esiste un legame diretto tra finestre che danno sull’esterno e punti di vista privilegiati.

Il materiale utilizzato è principalmente il legno, sia per la struttura che per la copertura esterna. Questo deriva principalmente dalla velocità della lavorazione e del montaggio a quote decisamente elevate.

Punti rilevanti del progetto sono l’attenzione alle risorse idriche ed all’utilizzo dell’energia elettrica oltre che al risparmio energetico in particolare.

Compositivamente si tratta di un Landmark all’interno del paesaggio, cosa peraltro già osservata nella descrizione dell’attività di progettazione del Monte Rosa Hütte. La precisa volontà è quella di creare un segno importante nel territorio, che permetta alle persone di poter riconoscere il rifugio da grande distanza47.

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31. Rifugio Vittorio Veneto al Sasso Nero 47 Turrisbabel numero 91, Concorsi in alta quota

2.2.4. Edelrauhütte, Rifugio Ponte di Ghiaccio, Modus architects

La costruzione, secondo quanto affermato dal progettista, verte principalmente su temi di natura funzionale, così come sulle fondamentali innovazioni tecnologiche, che permettono alla struttura di essere indipendente dal punto di vista energetico.

Si tratta di un volume puro opportunamente tagliato: mediante questa operazione si è potuto creare una volumetria piuttosto variegata, che permette l’apertura di diversi spazi a doppia altezza. Le camere da letto risultano essere tutte simili e la distribuzione ben curata.

Ulteriore cura è stata posta su un elemento aggettante che permette nella realtà un proficuo scambio di calore con l’esterno nel periodo estivo e che ospita uno scambiatore di calore.

Il basamento, realizzato in pietra locale e cemento, distacca il volume dal suolo e ne impedisce infiltrazioni che deturperebbero in breve tempo il materiale di copertura.

Il tetto leggermente aggettante protegge la facciata dalle intemperie48.

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32. Rifugio Ponte di Ghiaccio 48 Turrisbabel numero 91, Concorsi in alta quota

2.2.5. Weiβkugelhütte, Rifugio Pio XI, Höller & Klotzner Architekten Il rifugio è situato nell’alta Valle Lunga a nord della Palla Bianca.

Secondo la visione dei progettisti, un rifugio oltre che garantire il riparo dagli agenti atmosferici e dalle situazioni di pericolo deve essere anche luogo di informazione per gli scalatori.

Punti di forza devono pertanto essere la conformazione topografica del luogo, un corpo di fabbrica compatto, una superficie perimetrale compatta per limitare le dispersioni, una buona costruzione del legno e grandi finestre panoramiche.

Temi di fondamentale importanza sono l’autarchia energetica, tempi brevi di costruzione e l’uso della prefabbricazione.

Caratteri quali utilizzo limitato risorse e celerità costruttiva rappresentano senz’altro dei dogmi delle costruzioni in altura, in maniera tale da limitare quanto più possibile i tempi di cantiere e le eventuali problematiche delle costruzioni in opera49.

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33. Rifugio Pio XI 49 Turrisbabel numero 91, Concorsi in alta quota

2.2.6. Romsdalen Folk Museum, Molde, Norvegia Questo museo punta a diventare un’attrazione architettonica, oltre che un Landmark che consenta un legame con l’identità e la storia del territorio.

Si tratta di uno spazio polifunzionale, che renda il museo fulcro dell’attività cittadine.

Il concetto architettonico sviluppato è riconducibile al tema della doppia complessità: lo studio Reiulf Ramstad intende qui indagare sia una complessità relativa alla piante, che quella relativa alla copertura.

La scelta architettonica operata per la copertura risulta in simbiosi con le vette circostanti: si tratta pertanto di riproporre la complessità spaziale delle catene montuose anche nella città.

Per quanto concerne la scelta compositiva relativa alle piante, i progettisti hanno pensato ad una serie di aperture, collocate in funzione delle viste panoramiche che sono state ritenute di maggiore interesse. Nonostante il progetto non si collochi in quota, il panorama circostante permette comunque di effettuare scelte di tal genere.

Anche in questo progetto sono stati utilizzati materiali locali ed in particolare il legno, utilizzato sia per gli interni, che per la copertura50.

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34. Romsdalen Folk Museum 50 Pino Scaglione, Rivista Monograph.it, Milano 2013

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35. Romsdalen Folk Museum, concept e copertura

2.3.

Inquadramento del progetto

Dalla descrizione dell’area di progetto emerge la centralità che ad oggi riveste il rifugio Klammeben nella zona dei dintorni di Merano.

Ciò nonostante l’area non è sempre stata centrale, poiché nel tempo si sono alternate fasi di grande sviluppo, ma anche fasi di declino. In particolare, nel periodo tra gli anni Settanta e Ottanta l’utilizzo dell’area è stato fortemente incrementato dalla pratica di attività sciistiche: il turismo invernale, infatti, costituiva la fonte principale di sfruttamento del territorio.

Successivamente, in relazione all’apertura di grandi comprensori sciistici in zone più privilegiate e che consentivano maggiori collegamenti tra le valli e le cime, la zona in esame ha subito un periodo di declino, poiché l’escursionismo estivo non costituiva una risorsa sufficiente per il mantenimento della struttura stessa. Ciò probabilmente è derivato anche dal fatto che la zona di Klammeben non si colloca all’interno di parchi nazionali o provinciali e quindi risulta più difficile ottenere cospicui finanziamenti per la cura dell’area e degli edifici ivi insistenti. È solo a partire dalla metà degli anni Novanta che l’area torna ad essere frequentata. Tuttavia, muta il bacino d’utenza: infatti, con l’apertura e il rilievo che viene progressivamente attribuito ai sentieri europei, nella zona torna ad esservi una cospicua affluenza di escursionisti. Oltre ai veri e propri escursionisti, anche turisti in villeggiatura nelle località di valle salgono in quota attraverso la funivia che torna a funzionare, sia per brevi passeggiate che anche solo per godere della splendida vista panoramica.

Infatti, la zona di Klammeben ha una visuale diretta su ben tre valli. Si trova in un punto dal quale si possono ammirare la Val Passiria, la Val Venosta nonché la Valle dell’Adige, poiché si gode di una vista a ben 270° Rispetto al bacino di utenza elevato, all’importanza della zona per mete escursionistiche anche ad ampio raggio, nonché alla splendida vista panoramica di cui si può godere, l’edificio ad ora esistente è piuttosto fatiscente e mal si coordina con il territorio circostante oltre che con le esigenze dettate dal bacino di utenza dell’area.

Il rifugio in questione si trova ad un’altitudine lievemente inferiore ai 2000 metri e può essere classificato, secondo gli indici del CAI nella categoria dei rifugi escursionistici di tipologia B, poiché può essere raggiunto da mezzi funiviari.

Ciò nonostante si colloca, come già più volte affermato, lungo un’importante percorso escursionistico (E5).

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Si rende quindi necessario, nella realizzazione del nuovo progetto tenere in considerazione diverse esigenze.

Innanzitutto il rifugio deve fungere da punto di ristoro, sia per gli escursionisti di passaggio, che per quelli che provengono dal fondovalle con la funivia, sia ancora per coloro che effettuano brevi escursioni giornaliere.

Tuttavia, l’esigenza principale che si è resa necessaria sviluppare con questo progetto, poiché totalmente assente nel fabbricato ad oggi esistente, è quella relativa alla possibilità di pernottamento. In relazione a questo aspetto, si è cercato di considerare anche quanto emerso nel Convegno Internazionale “Rifugi in divenire Soluzioni architettoniche, funzionalità e ambiente; esperienze alpine a confronto”, svoltosi a Trento nel mese di Marzo.

Da quanto emerso, in relazione alla collocazione e al bacino di utenza dei vari rifugi, è necessario tenere in considerazione le diverse funzioni che si rendono necessarie per soddisfare le esigenze dei turisti. In relazione alla tipologia di rifugio oggetto del presente lavoro, si osserva che l’area dello stesso riservata al pernottamento sarà utilizzata sia da escursionisti meramente di passaggio, che da turisti (anche famiglie), che scelgo Klammeben come punto di appoggio per brevi escursioni giornaliere e che quindi possono pernottare presso il rifugio anche più di una singola notte.

Pertanto, nello sviluppo del progetto si è cercato di contemperare entrambe le esigenze relative al pernottamento, oltre che quella concernente l’area di ristoro, creando una struttura che per certi versi può essere assimilata ad un rifugio di alta quota e per altri è più vicina all’idea di albergo di montagna.

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36. analisi fotografica del rifugio Klammeben

2.4.

Il progetto architettonico

2.4.1. Profilo architettonico Il punto di partenza per lo sviluppo del progetto architettonico è stato quello relativo al dato ambientale: si è partiti da un approccio geomorfologico, cioè dalla lettura morfologica e topografica del terreno.

“Il dato ambientale è considerato come un oggetto, una forma plastica che viene snodata producendo delle mappe che ne descrivono materialità, esposizione, curvatura, pendenza con particolare attenzione ai modi percettivi, alla posizione delle linee di cresta e ai profili montani”51.

Infatti, l’analisi del paesaggio è fondamentale per lo sviluppo di una costruzione che potremmo definire “creativamente sostenibile”. Per comprendere la qualità spaziale del paesaggio è utile operare con diagrammi tridimensionali, al fine di analizzare la composizione geomorfica dello stesso, in relazione agli elementi formali organizzati spazialmente.

Oltre al profilo relativo alla composizione del territorio e al contesto paesaggistico, si è dato primario rilievo alla diversità di funzioni dell’edificio considerato: infatti, da un lato l’arrivo della funivia comporta lo sviluppo di locali tecnici, dall’altro il rifugio necessita di una suddivisione interna, che permetta di distinguere le aree riservate ai servizi di ristorazione, da quelle relative al pernottamento.

Inoltre, si è cercato di valorizzare l’ambiente circostante, creando un’architettura che si concilia con lo stesso.

Partendo da una pianta semplice, sono state scelte le viste da valorizzare, orientate sulle tre valli circostanti.

In seguito, si è proceduto con una movimentazione della pianta proprio in relazione alle viste suddette. Per quanto attiene alla pianta della funivia, nonostante i vincoli creati dai locali tecnici e dal funzionamento della funivia stessa, si è cercato di non tralasciare completamente il lato estetico, valorizzando il punto di arrivo delle cabine della funivia stessa.

Per quanto concerne la copertura dell’edificio, anche in relazione a questa si è cercato un legame con l’ambiente, ricreando il movimento dello skyline circostante.

Il risultato che si è cercato di ottenere è quello di un Landmark che, da un lato rompe con la tradizione per quanto riguarda la pianta, ma dall’altro cerca una relazione con il territorio sia attraverso le viste orientate sia attraverso la movimentazione della copertura, creando una doppia complessità che rimanda 51 Carlo Calderan, Paesaggio in quota, TurrisBabel n. 92, marzo 2013.

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ad alcuni progetti scelti come modelli di riferimento.

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37. schema funzionale

39. sviluppo progetto

38. connessioni e rotazioni

2.4.2. Materiali e dettagli tecnici Nella scelta dei materiali si è tenuto in ampia considerazione il rapporto tra dispendio energetico relativo al trasporto e quello necessario alla costruzione dell’edificio.

Per la parte strutturale del rifugio saranno utilizzati pannelli di legno multistrato a strati incrociati di classe A (privi di nodi a vista), che vengono prodotti con tavole di abete rosso essiccate artificialmente, sovrapposte a strati incrociati e incollate, nonché pannelli modulari Lignatur, che permettono una rapida esecuzione in opera. Lo spessore dei pannelli X-Lam è pari a 147mm per le pareti portanti.

La copertura dell’edificio è prevista in legno di larice con effetto invecchiato. Per sostenere la copertura realizzata in elementi modulari di legno sono previste delle travi lamellari dell’altezza di 50cm e spessore di 20cm opportunamente ancorate alle pareti perimetrali portanti mediante staffe a scomparsa. Questi elementi che sono montati su giaciture differenti creano un interessante effetto di percezione delle volumetrie interne.

I calcoli relativi al pre-dimensionamento sono stati realizzati con il software messo a disposizione dalla holzbau denominato cltdesigner.

Le stanze del rifugio sono tutte realizzate in legno REI30, standard a cui risponde l’intera struttura ed in ottemperanza alla norma vigente in tema di rifugi con un numero minore di 25 posti letto.

La scala è realizzata in acciaio, con struttura autoportante.

Per il rifugio si è scelto il materiale ligneo per avere una relazione ideale tra edificato e territorio circostante. Le superfici interne non sono trattate e vengono lasciate a vista, per garantire tempi di posa rapidi ed una piacevole atmosfera nell’edificio.

Per l’isolamento della parte relativa al rifugio si è deciso di realizzare un isolante a base naturale in fibra di legno con valore Lamda pari a 0.04 W/mK. Trovandoci in classe energetica F, lo standard minimo per le superfici perimetrali è pari ad un Lamba di 0.033 W/mK. Si è calcolato il valore Lamda delle pareti perimetrali e queste ultime sono state verificate mediante la verifica di Glaser.

Le fondazioni verranno realizzate attraverso platea in cemento armato ed il vespaio sarà areato mediante igloo. Verranno affogati nel cemento dei tirafondi e delle piastre e contro piastre, per permettere il collegamento tra cemento armato e pilastri in legno. Attraverso opportuni angolari si ancoreranno i pannelli in X-Lam con i solai e le fondazioni.

Per la funivia si è deciso di utilizzare principalmente cemento armato con finitura a vista: questo permette di avere una

71

maggiore libertà in fase di progettazione dal punto di vista statico.

Per quanto concerne i serramenti, la scelta è ricaduta su elementi a triplice vetro, al fine di ridurre le dispersioni termiche.

L’edificio si trova in zona energetica F, pertanto è necessario adottare degli standard energetici decisamente alti.

Per i calcoli di predimensionamento è stato usato il software free online Pilkington Spectrum.

72

40. elemento scatolare Lignatur, spessore 240 mm, con finiture in classe A

41. pannello multistrato X-Lam, 5 strati in legno d’abete con finiture in classe A

42. pannello isolante in fibra di legno con densità di 120 Kg/m3 e conducibilità termica pari a 0,037 W/mK

43. pannello isolante in lana di roccia, con densità di 120 Kg/m3 e conducibilità termica pari a 0,038 W/mK

44. serramenti realizzati mediante l’utilizzo di vetrocamere basso emissive

45. lastre di rivestimento in zinco titanio Rheinzink

CONTESTO PAESAGGISTICO

CONTESTO PAESAGGISTICO

MAPPA TEMATICA ALTO ADIGE ANALISI FORESTE AGRICOLTURA PERICOLI NATURALI PIANO DI ZONIZZAZIONE PIANO PAESAGGISTICO RETE VIARIA E FIUMI USO DEL SUOLO ANALISI MERANO E BURGRAVIATO MAPPA TEMATICA PISTE DA SCI DISMESSE

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ALTOADIGE_SCALA1:650000

79

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FORESTE_1:20000

AGRICOLTURA_1:20000

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PERICOLI NATURALI_1:20000

PIANO DI ZONIZZAZIONE_1:20000

83

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PIANO PAESAGGISTICO_1:20000

RETE VIARIAE FIUMI_1:20000

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86

USO DEL SUOLO_1:20000

MERANO E BURGRAVIATO_1:10000

87

88

PISTE DASCI DISMESSE_1:10000

CAPITOLO TERZO

CAPITOLO TERZO 3.

46. vista del sito di progetto, rifugio Klammeben allo stato attuale

LA CONTESTUALIZZAZIONE PAESAGGISTICA ATTRAVERSO L’UTILIZZO DELLA COMPUTER GRAFICA 3.1.

Concept

“Un disegno di Le Corbusier, illustra invece, come le prospettive, al contrario di piante, prospetti e sezioni, si prestino particolarmente a un’interpretazione retorica. Per retorica intendo che il loro fine non è semplicemente quello di rappresentare il più fedelmente possibile uno spazio o una massa architettonica, ma di mostrarla all’osservatore in modo da enfatizzare gli specifici intenti progettuali; in breve di persuadere. La prospettiva di un interno di Le Corbusier, per il progetto di una villa, tende a esagerare la profondità dello spazio e il gioco di piani astratti, enfatizzando peraltro il rivoluzionario contrasto con gli ambienti di soggiorno della classe media del tardo Ottocento.”52 3.1.1. Progetto e relazione con il contesto paesaggistico Il progetto architettonico che è stato sviluppato ha posto una problematica non sottovalutabile: infatti, il luogo dove sorge l’edificio attuale si trova ad un’altezza di circa 1980m slm su una superficie piana con vista a 240° sul paesaggio circostante e la vista di oltre 60 vette.

Oltre a ciò, la morfologia di tale ubicazione è decisamente variabile, poiché si passa da grandi prati ad ampie zone 52 “Architettura e disegno, la rappresentazione da Vitruvio a Gehry di James S. Ackerman” pagina 253

47. carta tecnica provinciale, rifugio Klammeben, altezza 1980m slm, con vista a 240° su paesaggio circostante

93

rocciose. I 2000m di altezza rappresentano solitamente lo spartiacque tra ampie e lussureggianti zone boschive e depositi morenici, con tutte le variazioni cromatiche e le scelte tecniche, relative alla progettazione e realizzazione di edifici, che questi implicano. Nello studio dell’edificio oggetto del presente lavoro ha pertanto grande importanza lo studio del rapporto che esiste tra edificato e paesaggio circostante.

Al fine di comprendere appieno le relazioni che sussistono tra edificio e paesaggio risulta senz’altro utile l’utilizzo della tecnologia offerta dalla CG (computer grafica).

Infatti, nella presentazione del progetto si è cercato di valorizzare l’aspetto architettonico mettendolo in relazione con il paesaggio attraverso rendering e video. Definire l’altezza di una camera, la lunghezza focale, l’esposizione, qualche effetto in post produzione, significa valorizzare/enfatizzare o mettere in luce particolari elementi, tralasciandone altri.

Nell’intento di realizzare un’immagine si cercano inquadrature che permettano, rispettando le regole della fotografia, di valorizzare i cromatismi, la luce, l’atmosfera; la stessa cosa fa un regista nel momento in cui decide il taglio di una scena, chiaramente con attrezzature hardware e capacità differenti.

94

3.1.2. L’idea del modello 3D

48. esempio di modello, visualizzazione mesh, con definizione di 5m

L’obiettivo perseguito nella realizzazione del modello è quello di comprendere quali sono le interazioni edificio/paesaggio, risultato che si è cercato di ottenere facendo fronte alla problematica relativa alla quantità di dati necessari per ottenere le curve di livello della zona considerata.

La zona di progetto ha una favolosa vista panoramica su tre valli, ovvero la Val Passiria, la Val Venosta e la Valle dell’Adige, nonché su innumerevoli complessi rocciosi e vette.

Per riuscire ad ottenere un risultato apprezzabile è stato necessario avere inizialmente un quadro d’insieme e capire come approcciarsi al meglio al problema.

Dopo una serie di valutazioni si è scelto di realizzare un modello molto vasto del territorio circostante, per avere una percezione il più realistica possibile della collocazione del manufatto nel territorio.

3.1.3. Le fonti cartografiche digitali I dati necessari per ricavare un modello fedele del luogo sono stati ottenuti mediante un accesso al servizio cartografico altoatesino che, previa richiesta scritta, consente anche l’utilizzo

delle ortofoto in alta qualità.

Dopo aver ottenuto le diverse mappe ricavate attraverso l’utilizzo del Laser Scanner è stato realizzato il modello.

La tecnologia del Laser scanner permette ad un aereo in volo con velocità costante di definire attraverso la rilevazione laser un’orditura di punti con coordinate x,y,z con margine di errore estremamente ridotto (siamo nell’ordine dei 20cm circa). I file vengono successivamente elaborati e privati di eventuali macro-errori e resi disponibili attraverso file di testo con formato ascii. Questi ultimi, opportunamente elaborati, permettono di definire una mesh con il giusto livello di dettaglio, mediante interpolazione dei dati.

La maglia alto atesina ha una definizione, o meglio un campionamento, pari ad un punto ogni 2,5m, che pur essendo molto definito potrebbe rappresentare un problema per realizzazioni puntuali; pertanto, lo si affianca ad un rilievo del luogo. Nel caso specifico è stata ottenuta dalla provincia la cartografica tecnica in scala 1:5000, con le relative curve di livello. Questa, per la tipologia di progetto scelta è risultata sufficientemente definita.

49. quadro d’unione mappe DTM Alto Adige

95

3.1.4. Problematiche Per ottenere il risultato prefissato, ovvero quello di consentire una percezione il più realistica possibile dell’edificio nel contesto di realizzazione, è stato necessario realizzare un modello che copre circa il 50% del territorio dell’Alto Adige.

Prendendo in considerazione una superficie di 13600 km2 e dovendone coprire la metà, otteniamo una superficie di 6800 km2, che con una maglia di 2,5m darebbero vita a 2720000000 di punti, nella pratica un modello gestibile solo dai supercomputer.

Infatti, solo unità che lavorano in parallelo con a disposizione capacità di calcolo nell’ordine delle centinaia di teraflops sarebbero in grado di rendere utilizzabile un simile modello53.

Tale limitazione tecnologica ha reso necessario fare della parola “ottimizzazione” il principio su cui basare la realizzazione del modello.

Si noti che un moderno notebook con buona dotazione hardware fatica a gestire un modello che superi i 5 milioni di poligoni. Il problema maggiore è dato dal fatto che diventa impossibile visualizzare correttamente le varie geometrie dei poligono. Si debbono pertanto utilizzare delle modalità che permettano di visualizzare il modello secondo le opportune 53 Unità di misura delle capacità di calcolo in virgola mobile di un processore (CPU)

50. modalità visualizzazione wireframe di Cinema4D

necessità. Nello specifico un modulo box, che rappresenta solo la volumetria dell’elemento, evitando al fruitore l’acquisto di costose schede grafiche professionali, ottimizzate per la gestione di modelli complessi.

BLATTSCHNITT DER GRUNDKARTEN 1:10.000 UND 1:5.000 QUADRO D'UNIONE DELLE CARTE TECNICHE 1:10.000 E 1:5.000

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51. quadro d’unione mappe DTM Alto Adige, in giallo le parti usate per il modello 3D

52. dettaglio ortofoto 2011 area 11110 del quadro d’unione

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3.2.

Elaborazione modello

3.2.1. Dati base modello e modellazione Come già accennato poco sopra, i dati base per la modellazione sono stati presi dal servizio cartografico alto atesino presso il quale vengono forniti in estensione ascii.

Il lavoro è consistito dunque nel gestire un modello con oltre 150 file ascii ed ottimizzarli per migliorare i tempi di rendering e la qualità grafica.

Le zone più distanti dal luogo dell’intervento sono state interpolate estrapolando una maglia con definizione pari ad un punto ogni 100m, mentre avvicinandoci la definizione va via via aumentando passando per i 10m e sul luogo dell’intervento si arriva ad una definizione di 2,5m circa.

Oltre allo strumento appena descritto, entro il raggio di un centinaio di metri dall’edificato sono state utilizzate le mappe tecniche della provincia, dalle quali sono state estrapolate le curve di livello e successivamente interpolate con il modello 3D. Il programma utilizzato per elaborare i file ascii è Global Mapper, che permette di passare da un file ascii di testo ad una mesh con formato dxf.

Una problematica relativa a Global Mapper, riguarda la difficoltà nel gestire i 150 file necessari a coprire l’area in esame, mancando nel programma un’interfaccia che consenta la facile gestione dei singoli componenti.

Opportunamente esportate le varie parti con le corrette risoluzioni, il modello è stato costruito mediante l’utilizzo del software Cinema4d della Maxon. Ne è risultato un modello di circa 2 milioni di punti e circa 4 milioni di poligoni, abbastanza leggero ed utilizzabile.

Per quanto concerne la modellazione del progetto architettonico, è stato molto utile l’apporto di Rhinoceros 5, un modellatore molto potente che ha permesso una grande versatilità nel modello, specie per quanto riguarda lo studio compositivo dei volumi.

Inoltre questo integra nell’ultima release, la 5, una modalità di renderizzazione real time che permette all’utilizzatore una visione/progettazione più accurata del modello, con ombre luci, texture riflessioni e canale alpha.

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53. Global Mapper, importazione ďŹ le ascii e visualizzazione altimetrica

54. Global Mapper, visualizzazione tridimensionale

56. modellazione in Rhinoceros 5

55. importazione mesh dxf in Cinema 4D e ottimizzazione reticolo

3.2.2. Illuminazione della scena Per illuminare la scena è stato utilizzato il programma cinema4d ed il plugin del renderizzatore V-ray.

Al fine di ottenere un risultato verosimile si è scelta inoltre l’illuminazione globale del programma, rafforzata da uno scenario hdri. Nel canale hdri con proiezione sferica è stato in seguito inserito uno scenario cielo. Si è trattato dunque di raggiungere un giusto equilibrio tra velocità e qualità del render che è stato raggiunto variando opportunamente i parametri della GI. 99

57. V-Ray per Cinema4D, impostazioni Global Illumination

58. prove di illuminazione scena

3.2.3. Texture

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Il passaggio successivo sono state le texture. Innanzitutto si è reso necessario trovare un giusto compromesso per la texture del modello paesaggistico dell’Alto Adige. Infatti, le ortofoto messe a disposizione della provincia non erano sufficienti, poiché troppo definite e su una superficie troppo piccola.

Realizzando delle prove mediante l’utilizzo di Global Mapper e di mappe georeferenziate, il risultato comunque non era quello ricercato.

Facendo opportune ricerche si è potuto verificare che il programma free mappuzle permette la creazione di mappe attraverso la definizione di risoluzione, livello di dettaglio, sorgente dei dati e formato del file. In particolare si cerca un punto entro cui centrare la mappa, si definiscono i parametri trattati ed il programma fornisce come output una immagine dalla definizione a piacere, nel mio caso un file jpeg da circa 40megabyte (10000x6000 pixel), che opportunamente applicata sul modello, ha permesso di raggiungere un discreto realismo.

Per l’edificio sono state usate mappe ad hoc scaricate gratuitamente dal sito cgtexture.com. Quando necessario si è provveduto a rendere ripetibile l’immagine e si creavano le mappe bump o speculare54. Il tutto nell’ottica di contenere i tempi di rendering e mantenere una buona qualità generale.

Successivamente le texture sono state applicate secondo le mappature necessarie all’oggetto. In casi molto particolare si è deciso di usare la mappatura uvw, negli altri casi è bastata la mappatura cubica. Le texture sono state adattate alla scala degli elementi cui dovevano essere applicati e si è fatto una serie di prove per vedere e determinare i tempi di rendering.

3.2.4. Materiali Il passaggio successivo è stato quello dello sviluppo dei materiali. Le tipologie di materiali trattati consistono principalmente in cemento, legno, metallo, vetro e materiali organici.

Il lavoro è consistito nell’applicare le texture nel canale diffusione del materiale e successivamente applicare ove necessario specifiche mappe realizzate in precedenza, come mappe rilievo, speculare, displacement o 2 sided. Le mappe bump consentono di estrudere nella terza dimensione mappe 54 La mappa bump è una mappa-rilievo, che definisce il comportamento in alzato della texture. La mappa speculare, invece è una Mappa riflessioni, definisce i luoghi della superficie che hanno riflessione e l’intesità

piane. Si usa una mappa che va dal bianco al nero, il bianco non provoca variazioni nella terza dimensione ortogonale al piano, il nero la rappresenta la massima estrusione, i toni intermedi di grigio consentono un’estrusione parziale.

La medesima logica è applicata alla mappa di riflessione e displacement, varia ovviamente l’effetto che crea la texture: in un caso le riflessioni, nell’altro una estrusione più complessa nella terza dimensione.

Particolare importanza assumono i materiali 2 sided, ossia materiali che lasciano passare una luce diffusa: un effetto sempre presente in natura e particolarmente visibile nelle foglie e nell’erba.

Oltre a ciò si è lavorato sui materiali quali metallo e vetro, che seguono ovviamente regole fisiche particolari, come riflessioni Fresnel, caustiche ed effetti glossiness.

Si è trattato, da ultimo, anche di materiali detti procedurali, ossia realizzati attraverso la ripetizione di opportuni modificatori senza l’apporto di texture o contributi esterni al renderizzatore.

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59. elaborazione materiali V-ray

71. modello paesaggistico texturizzato

3.2.5. Vegetazione

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60. a sinistra un tradizionale HD meccanico, a destra un moderno SSD elettronico

Uno degli aspetti, o forse l’aspetto più complesso nella creazione di un risultato il più possibile realistico riguarda l’ottimizzazione della vegetazione. Un buon modello di albero può essere composto indicativamente da un milione di poligoni.

Pertanto, realizzare una foresta può voler dire caricare decine di milioni di poligoni nella ram del pc.

Il limite fisicamente imposto alla renderizzazione di elementi naturali è dato dalla quantità di memoria temporanea (ram) allocata nell’hardware in dotazione. Assumendo un quantitativo pari a 8 GigaByte, dotazione di assoluto rispetto, risulta difficile riuscire nell’impresa di realizzare una foresta. Fortunatamente il renderizzatore utilizzato mette a disposizione dei mezzi per consentire l’ottimizzazione della ram. Avendo a disposizione un modulo, nello specifico un albero, esiste un operatore chiamato proxy che permette ai successivi cloni applicati al modello di ricondursi ai poligoni dell’albero originario, senza caricare di volta in volta nuovi poligoni nella ram fino a portarla ad esaurimento.

Per ovviare a tale specifico problema ed avendo a disposizione un ssd55, si è deciso di aumentare la memoria virtuale di Windows a circa 12 GigaByte. La funzione della memoria virtuale permette di sopperire alla mancanza di ram: per esempio se l’applicazione richiede l’allocazione di 12GB, 8 verranno allocati nella ram ed i restanti 4 nella memoria virtuale.

Tale tecnica è utilizzata da lungo tempo per limitare l’acquisto di costosi moduli ram: nel 1996 avere una dotazione di 128MB rappresentava un quantitativo sufficiente ed il costo superava le 200000 Lire. Pertanto, qualora necessario, si memorizzavano tali dati temporanei nell’HD56. La problematica è che mentre i moduli al tempo lavoravano con una velocità di 133Mhz ed una banda passante di 260MB/s, gli HD scrivevano con una velocità di 40 MB/s, rappresentando un grosso “collo di bottiglia” per l’hardware.

Attualmente il PC utilizza tecnologie elettroniche per il 90% dei componenti, l’HD rappresenta invece l’eccezione, poichè funziona attraverso dei piattelli che ruotano a velocità nominale di 5400 o 7200 rpm al minuto e che vengono letti attraverso dei lettori ottici. La velocità dei dischi rigidi meccanici è pertanto limitata alla capacità fisica dei materiali di resistere a forti 55 Solid state drive, disco rigido allo stato solido che utilizza memorie flash 56 Hard Disk, disco di memoria di massa a funzionamento meccanico

sollecitazioni meccaniche e, oltre ad essere estremamente lenti, specie nella lettura sequenziale dei dati, essi sono anche molto fragili. Attualmente si sta finalmente riuscendo a sorpassare tale collo di bottiglia, che era diventato impietoso, soprattutto se confrontato con la velocità delle attuali CPU e ram.

La vera novità, comunque, è rappresentata dagli SSD, formati da un’interfaccia che gestisce i vari moduli fisici di memoria, senza sollecitazioni meccaniche. I vantaggi sono una velocità fino a qualche anno fa impensabile e una lettura sequenziale immediata, oltre che consumi ridotti ed una caratteristica capacità di resistere agli urti. Per fare un paragone un HD attuale scrive e legge a circa 100MB/s, un SSD a 500MB/, un gap prestazionale di circa 5 volte.

Alla luce di tali dati, si è scelto di allocare una parte di tale memoria per sopperire ad eventuali carenze hardware, anche se non è stato necessario farne uso.

61. modello vegetazione wireframe

63. render di composizione vegetale

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62. modello vegetazione texturizzato

64. render con Global Illuminatio rafforzata mediante mappa HDRI

3.2.6. Renderizzazione

Il passaggio successivo è rappresentato dalla renderizzazione del modello. I modelli creati sono stati 2: uno alla massima qualità per render statici, un secondo ulteriormente ottimizzato riducendo i poligoni per velocizzare i tempi di calcolo, per il video. Passaggio fondamentale è stata la definizione delle camere, come è prassi fare con una macchina fotografica ottica: allo stesso modo si definisce la focale, l’apertura della lente ed il tempo di esposizione.

Per il video si è posta una camera che seguisse il percorso definito da una spline ed il tutto è stato renderizzato ad una velocità di 24 frame/s, il minimo per consentire una resa fluida del video. In realtà, nativamente i lettori in commercio leggono ad un framerate di 23,97 frame/s, ma lo si può variare successivamente nella fase di montaggio video. In questa fase i 24 frame/s, servono esclusivamente per definire la giusta velocità che deve assumere la camere rispetto al soggetto da catturare.

Il formato di esportazione è il tiff a 32 bit (privo di compressione), il che permette successivamente di variare esposizione ed altri valori senza perdere la qualità cromatica dell’immagine.

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65. renderizzazione in corso

66. render completato

3.2.7. Post produzione e montaggio L’ultima fase è rappresentata dal montaggio in after effects.

Si tratta di definire delle impostazioni di massima, quali ad esempio il framerate del progetto e la risoluzione da utilizzare.

Il programma non è ideale per il montaggio, dà invece il massimo nell’applicazione di effetti: nel caso di studio si è rivelata perfettamente utilizzabile per ottenere un risultato convincente.

L’ultimo stadio è rappresentato dall’encoding video, ossia dalla trasformazione delle immagini in MPEG4, nello specifico usando il codec h264, in un formato video visualizzabile su lettore o altre periferiche certificate57.

Il codec h264 garantisce leggerezze, resa fluida, compatibilità, rispetto della saturazione e tonalità dell’immagine, oltre che una assoluta leggerezza del video finale. E’ usato come codec standard dalle multinazionali della cinematografia.

3.2.8. Hardware utilizzato, consumi stimati in termini energetici e problematiche Per il progetto è stato utilizzata un’unica unità di elaborazione.

Si tratta di un Notebook equipaggiato con CPU Intel I7 1,6 ghz, 8 GB di ram, scheda grafica Nvidia GT 330 con 1 GB di ram, SSD 120 GB ed HD 7200 rpm da 320 GB. Il tema principale del progetto era l’ottimizzazione, ovvero la possibilità di elaborare una mole ingente di dati su un hardware che risente ormai di qualche anno di utilizzo, usando artifizi e trucchi permessi dal modellatore e dal renderizzatore.

Al giorno d’oggi, previa corretta modellazione ed una discreta pratica, è possibile ottenere una resa quasi realistica con motori di rendering unbiased, ossia che calcolano in maniera molto accurata le equazioni che riguardano il comportamento della luce. Tuttavia, tali renderizzatori hanno la problematica di richiedere tempi di calcolo molto elevati (nell’ordine dei giorni) per render statici. Per sopperire si è utilizzato un motore di render di tipo biased, ossia che calcola mediante artifizi, l’illuminazione globale e le equazioni della luce. Il trucco sta nel fatto che le equazioni sono semplificate e molti fenomeni fisici vanno attivati manualmente qualora si rendano necessari: un esempio è rappresentato dalle caustiche nei metalli. Qualora queste non cambino fondamentalmente la resa dell’immagine, 57 Algoritmo a perdita di informazione (lossy), il comitato MPEG definisce gli standard necessari a garantire la perfetta leggibilità del formato sulle periferiche certificate, lascia tuttavia la possibilità ad ogni costruttore di usare un codificatore specifico.

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possono essere disattivate. Il difetto di questa tecnologia è rappresentato dalla notevole cultura “fisica” che richiede all’utilizzatore: per proporre un particolare effetto è necessario conoscerne e capirne la fisica, oltre che una buona dose di prove. Ciò nonostante, sapendolo usare in modo corretto, permette un controllo più accurato degli effetti ottenibili su un’immagine e tempi di render nell’ordine dei minuti.

Appassionati con una predisposizione alla computer grafica, impegno e macchine professionali possono arrivare al realismo. Tuttavia quello che fa veramente la differenza in questo campo è l’ottimizzazione e la piena conoscenza dei fenomeni fisici che regolano la luce e le interazioni che esistono con i vari materiali e superfici.

Competenza in termini di hardware, cultura “fisica”, basi fotografiche ed una visione d’insieme sui progetti da realizzare sono la chiave per un corretto approccio alla materia, che deve essere quanto più possibile multidisciplinare.

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67. montaggio video in After Effects

3.3.

Congetture e speculazioni

3.3.1. Attendendo la rivoluzione: CPU vs GPU Questa trattazione richiede necessariamente un excursus sulle capacità di calcolo delle macchine moderne: ad oggi, la maggior parte dei dati vengono ricavati attraverso il calcolo delle CPU (central processing unit), mentre la grafica è demandata alle capacità di calcolo di opportune unità delle GPU (Graphics Processing Unit).

Esiste una legge molto nota che lega la capacità di calcolo di un processore con i tempi necessari allo sviluppo e realizzazione di una medesima unità con il doppio dei transistor. Tale legge prende il nome dal suo inventore, Moore, che è stato uno dei fondatori della società americana Intel e che ora con le sue CPU è leader mondiale nella produzione di processori e che equipaggia l’80% dei PC.58 Nell’attuale corsa al raggiungimento di un sempre maggior numero di transistor, al fine di tenere tendenzialmente costante o addirittura ridurre la superficie del processore, si tende a produrre chip con tecniche di miniaturizzazione via via più sofisticate. Minore superficie significa minori costi di realizzazione, miglioramento del rendimento energetico della cpu ed aumento dei transistor stessi.

Gli attuali processori vengono realizzati con tecnologia a 32nm, tuttavia il limite fisico di miniaturizzazione del silicio è pari, secondo IBM a 11nm. È plausibile che nel prossimo ventennio finisca la cosiddetta “epoca del silicio” e si passi in primis ad altro materiale semiconduttore con limiti fisici più ampi e successivamente, vada riconcepito l’intero sistema. Il limite fisico che non può, al momento della stesura della tesi, essere oltrepassato è la dimensione del singolo atomo per quanto riguarda le connessioni nei chip. Un materiale che è a allo studio e che dovrebbe sopperire al silicio è il grafene. La strada che stiamo tuttavia intraprendendo è quella basata sullo studio delle nanotecnologie, che dovrebbero permetterci in futuro di aprire nuove strade.

Quello che si cerca di fare oggi, avvicinandosi ai limiti fisici del silicio, è accoppiare più unità singole e farle lavorare in parallelo: quello che chiamiamo multitasking. Tale tecnologia è stata da lungo tempo adottata nei processori grafici (GPU) ed è stata successivamente travasata in ambito CPU. 58 www.treccani.it/enciclopedia/legge-di moore_(Enciclopedia_della_Scienza_e_della_Tecnica)

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68. legge di Moore

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69. capacità di calcolo della CPU e della GPU

70. capacità di calcolo delle moderne schede grafiche espresso in GB/s confrontato a quella delle CPU

Fare lavorare più unità in parallelo permette di far lievitare in maniera esponenziale le performance di una unità.

Come è possibile vedere dal grafico, mentre la velocità delle CPU aumenta linearmente, quella delle GPU aumenta esponenzialmente. Nell’ultimo quinquennio, avendo chiaro tale meccanismo si sono moltiplicate le tecnologie che usano tali chip in parallelo. I 2 più grandi produttori al mondo di GPU sono Nvidia e Ati (facente parte del gruppo AMD) hanno sviluppato un linguaggio per scrivere e compilare programmi per la GPU. Apple ha sviluppato, l’OpenCl, un linguaggio libero che sta facendo fatica ad imporsi sul mercato.Nvidia ha realizzato invece Cuda, un proprio linguaggio proprietario, che tuttavia alla luce della forte ottimizzazione sta prendendo campo.

A fronte di tali sviluppi ci si chiede se e a che possano realmente servire tali potenze di calcolo. La risposta, alla luce dei programmi che utilizzano tali tecnologie sono soprattutto nell’ambito della fisica delle particelle, ricerca di petrolio, montaggio e creazione di video, nonché e soprattutto per quanto attiene al caso di studio, render di immagini.

Tuttavia, esistono ancora delle limitazioni per l’utilizzo di tutti i diversi campionamenti necessari al processo di renderizzazione e sarà necessario attendere ancora un po’ di anni per raggiungere la totale compatibilità con le piattaforme CPU. Comunque, già oggi, è possibile realizzare delle immagini usando calcoli fisici ed ottenere immagini foto realistiche in tempi nettamente inferiori a quelli ottenibili con l’utilizzo di sole CPU. Sono rivoluzioni che difficilmente vengono percepite da utilizzatori non professionali del PC, ma basta pensare che Google Chrome, il pacchetto Adobe e diversi programmi di rendering utilizzano la tecnologia GPU per velocizzare ed alleggerire il lavoro della CPU stessa, per capire la rilevanza del processo di evoluzione in atto.

La più grande rivoluzione per grafica e ricerca che potrà avvenire nei prossimi anni dal punto di vista hardware e software sarà probabilmente il passaggio di molte operazioni “pesanti” da CPU a GPU, con tempi e gestione dei modelli nettamente inferiori rispetto al passato; ma allo stato dei fatti, la parola con cui si deve confrontare ogni persona che voglia cimentarsi nel rendering è “l’ottimizzazione”.

3.3.2. Il ruolo di Internet e dei blog Il campo della computer grafica è un mondo molto dinamico in cui la maggior parte delle informazioni transita attraverso la

rete. Non è pertanto difficile imbattersi in numerosi creativi che mettono in comune le proprie conoscenze, al fine di mettersi in gioco e migliorare a propria volta: questo in un’ottica globale del file sharing, o della condivisione di informazione.

Nel corso dello studio dei programmi e cercando di risolvere le problematiche che via via si sono poste è stato molto utile il blog di Angelo Ferretti, conosciuto e stimato artista del 3d, che mette a disposizione numerosi tutorial per il motore di render V-Ray e che sono risultati utili in diverse circostanze.

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ELABORATI GRAFICI

ELABORATI GRAFICI

Luogo intervento Analisi infrastutture Percezioni visive Sviluppo progetto Concept funzioni Concept Concept Renders edificio_esterni Renders edificio_interni Fotoinserimenti A1_Vision1_sezioni e sviluppo A2_Vision2_schizzi prospettici B1_Planivolumetria_1:500 C1_Pianta livello0_1:200 C2_Pianta livello1_1:200 C3_Pianta livello-1_1:200 D1_Sezioni edificio_1:500 D2_Sezioni edificio_1:500 D3_Sezioni funivia_1:200 D4_Sezioni rifugio_1:200 D5_Sezioni prospetto_1:200

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E1_Carpenterie_1:200 E2_PLANIMETRIE_1:200 F1_Sezioni prospetto_1:20 F2_Sezioni prospetto_1:20 G1_Connessioni_1:20 G2_Abaco delle murature_1:20 114

BIBLIOGRAFIA

BIBLIOGRAFIA

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www.regioni.it/it/showi_provvedimenti_della_giunta_provinciale www.reiulframstadarkitekter.no www.sentierieuropei.it www.treccani.it

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