l'acqua e la morte nella fraseologia spagnola e sarda: le tradizioni come attrattivo turistico

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A.D. MDLXII

U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ

DI

L INGUE

E

L ETTERATURE S TRANIERE

___________________________

CORSO DI LAUREA IN MEDIAZIONE LINGUISTICA E CULTURALE PER IL

TURISMO

L’ACQUA E LA MORTE NELLA FRASEOLOGIA SPAGNOLA E SARDA: Cultura e Tradizioni Popolari come Attrattivo Turistico

Relatrice: PROF. SSA MARTA GALIÑANES GALLÉN

Correlatrice: PROF.SSA MARIA MARGHERITA SATTA

Tesi di Laurea di: PIERA CUCCURU

ANNO ACCADEMICO 2010/2011



A mia nonna....

1



INDICE INTRODUZIONE ............................................................................................................ 3 1.

2.

3.

Gli spagnoli in Sardegna ........................................................................................ 5 1.1.

Fine di un’epoca e conquista aragonese............................................................ 6

1.2.

La dominazione spagnola ............................................................................... 11

1.3.

Fine del dominio spagnolo e guerre di successione ...................................... 199

Dalle locuzioni alle tradizioni............................................................................... 21 2.1.

Tema dell’ ‘acqua’ e analisi linguistica .......................................................... 23

2.2.

Tema della ‘morte’ e analisi linguistica .......................................................... 31

Usi, costumi, credenze, superstizioni popolari ................................................... 40 3.1.

3.1.1.

L’acqua come simbolo di prosperità, fertilità e fecondità....................... 42

3.1.2.

L’acqua nel battesimo ............................................................................. 44

3.1.3.

L’acqua nelle tradizioni popolari ............................................................ 45

3.1.4.

L’acqua nella medicina popolare ............................................................ 47

3.2.

4.

Il culto dell’acqua ........................................................................................... 41

La morte .......................................................................................................... 49

3.2.1.

La figura dell’accabadora ....................................................................... 49

3.2.2.

La figura dell’attitadora .......................................................................... 50

3.2.3.

Presagi di morte ...................................................................................... 51

3.2.4.

Il funerale e il lutto.................................................................................. 52

3.2.5.

Usanze popolari ...................................................................................... 54

3.2.6.

La morte nel Carnevale ........................................................................... 55

Turismo e tradizioni popolari .............................................................................. 57 4.1.

Il turismo in Sardegna e problemi di gestione ................................................ 58

4.2.

Il turismo culturale .......................................................................................... 60

4.3.

Conservazione e valorizzazione della cultura locale ...................................... 64

CONCLUSIONI ............................................................................................................. 68 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................ 70 RINGRAZIAMENTI ...................................................................................................... 73

2


INTRODUZIONE Abitare in un paese del centro Sardegna, zona ricca di tradizioni (come d’altronde tutte le zone dell’isola) ha coltivato in me l’interesse per la cultura popolare sarda e per la lingua sarda, approfondendo questi temi con la lettura di libri ho potuto notare svariate somiglianze che la lingua sarda ha con la lingua spagnola, altra mia passione da cui è nato il mio interesse nel frequentare l’università di lingue. Da ciò è nata l’idea di unire le mie due passione e fare un lavoro che unisse la lingua e tradizione sarda con la lingua spagnola L’intenzione di addentrarmi nell’universo di queste due lingue, ricercando ed evidenziandone affinità, analogie e divergenze, inoltre, scaturisce dall’interesse per la Fraseologia maturato nell’ambito dei miei studi universitari. Considerata l’ampia varietà di argomenti di ricerca possibili, ho è scelto di delimitare il campo di osservazione concentrando l’attenzione su due temi che rappresentano l’inizio e la fine di ogni cosa. Fra i tanti possibili, ho scelto il tema dell’ ‘acqua’, essenziale per la vita, simbolo di rinascita e in ambito agropastorale di prosperità, intendendo con questa parola il termine di pioggia; l’altro tema affrontato è quello della ‘morte’ inteso come conclusione del ciclo vitale, passaggio ad una nuova vita in senso religioso e come fine di ogni cosa. Queste due nozioni sono costantemente presenti nel repertorio linguistico della cultura spagnola e sarda, ciò lo si può notare degli innumerevoli proverbi, modi di dire, frasi fatte, locuzioni ma anche da molti pregiudizi e tradizione etnografiche un tempo assai diffuse ma non del tutto scomparse che si legano a questi due vocaboli. Il motivo di tali analogie è ovviamente dovuto alle vicende storiche della Sardegna comprese tra il XIV e il XV secolo, periodo in cui l’isola e passata dal controllo da parte dei pisani e dei genovesi alla conquista aragonese e in seguito al dominio spagnolo; gli spagnoli sottomisero l’isola e ne influenzarono pesantemente la lingua e la cultura. Questo lo si può dedurre, appunto, in alcune espressioni sarde e in varie tradizioni tuttora presenti nell’isola. Era inevitabile,

3


quindi, affrontare nel primo capitolo una parte storica riguardante gli avvenimenti avvenuti nella Sardegna aragonese e spagnola. Nel secondo capitolo, si analizzano nello specifico le locuzioni riguardanti i due temi presi in analisi e si pone in evidenza come alcune di queste esistono anche nel repertorio linguistico dell’altra lingua mentre altre sono del tutto inesistenti. Ciò ci fa capire come le due culture seppur strettamente in contatto tra di loro presentino differenze dovute al passare degli anni. Le stesse locuzioni sono state inoltre studiate sotto il profilo strettamente linguistico e dal punto di vista morfo-sintattico suddivise in locuzioni aggettivali, sostantivali, verbali e preposizionali. Si spiega poi il loro significato letterale e in seguito il significato semantico e pragmatico facendo notare le varie accezioni di significato che esse assumono in base al contesto comunicativo in cui vengono utilizzate. Nel terzo si presentano alcune delle tradizioni riferite alla tematica affrontata; in particolare per quanto riguarda l’acqua si presentano le usanze che intendono questa come un elemento simbolo di prosperità, fertilità e fecondità poi si sottolinea l’importanza che l’acqua assume nel battesimo e nella medicina popolare. Per la morte si espongono i riti legati al carnevale, al giorno della commemorazione dei defunti, ai funerali e tutto ciò che si presumeva fosse presagio di morte. Nell’ultimo capitolo si spiega come tali manifestazioni folkloristiche sono prese in considerazione dall’industria turistica e come molto spesso abbiano perso il loro significato originario a favore di un altro artificioso ma molto più utile per la crescita economica del paese. Si fa inoltre presente come sia importante la conservazione e la valorizzazione di queste manifestazioni in quanto facenti parte del patrimonio culturale della nostra regione. Questa ricerca si fonda essenzialmente sulla conoscenza profonda da parte della propria cultura e della storia della propria cultura. La ricerca può essere estesa in altri contesti per il recupero della propria identità locale.

4


Capitolo primo

Gli spagnoli in Sardegna

5


1.1. Fine di un’epoca e conquista aragonese In Sardegna le lotte interne che si erano protratte per oltre un secolo avevano prodotto una situazione caotica sotto ogni aspetto; di essa il crollo di tre dei quattro giudicati (Cagliari, Torres e Gallura) era la rappresentazione più evidente 1. L’isola assunse così un carattere politicamente variegato per la contemporanea esistenza di molti piccoli stati spesso in lotta tra loro, solo il giudicato d’Arborea continuò a conservare la propria indipendenza, tre furono le cause che portarono a questo epilogo: la fine delle dinastie giudicali di origine sarda e il passaggio del trono nelle mani dei pisani, le lunghe guerre tra Pisani e Genovesi per il controllo dell’economia e infine la trasformazione delle istituzioni e della società che altera gli equilibri sociali e politici dei regni 2. Nel 1294 divenne papa Bonifacio VIII il quale riaffermò la dipendenza politica della Sardegna dal papato per cui il regno fu coinvolto in un gioco politico dal quale uscì completamente distrutto. I fattori che condussero a questo risultato e che si conclusero con la conquista aragonese sono molteplici. Al fine di riportare la pace nell’isola, il 4 aprile 1297, Bonifacio VIII con la bolla Super reges et regna concedesse il regno di Sardegna e Corsica a Giacomo II, re d’Aragona e Valencia e conte di Barcellona. Per lui la conquista dell’isola si pose come obiettivo irrinunciabile ai fini espansionistici aragonesi poiché rappresentava un’importante punto strategico nella grande rete dei traffici del Mediterraneo 3.

1

L. Ortu, Storia della Sardegna, Dal Medioevo all’Età contemporanea, Editore Cuec, Cagliari,

2011, p. 41. 2

F. Floris, Storia della Sardegna, Editori Newton &Compton, Roma, 1999, p. 219.

3

G. Murgia, Comunità e baroni, La Sardegna spagnola (secoli XV-XVII), Editore Carocci,

Roma, 2000, pp. 13-16.

6


Tuttavia, la presa dell’isola non si presentava né facile né realizzabile in tempi brevi e il progetto andava ideato con cura e cautela sia sul piano istituzionale che su quello interno. Il 3 giugno 1323, dopo 26 anni dall’investitura, il re d’Aragona inviò nell’isola un corpo di spedizione comandato del principe ereditario: l’infante don Alfonso; la maggior parte dei nobili isolani, tra cui Ugone II d’Arborea che ebbe presso Alfonso il ruolo di ascoltato consigliere, giurò fedeltà al principe, le uniche città che si rifiutarono furono Cagliari, Iglesias ed alcuni castelli fortificati. Dopo alcuni scontri di poco conto e la conquista d’Iglesias il 1 marzo 1324 le truppe dell’infante spalleggiate dalle forze sarde vinsero sulle truppe pisane mentre Cagliari si arrese solamente il 19 giugno. Con questa vittoria Pisa perse tutti i diritti posseduti sulle città, castelli, terre, ville, porti, miniere e saline della Sardegna e della Corsica a favore del re d’Aragona 4. Un sistema sviluppato dagli aragonesi per assicurarsi il sostegno politico e militare delle più potenti famiglie dell’isola fu il ricorso alla concessione sottoforma di feudi di terreni, ville ed altri beni e delle relative rendite; questo processo si rivelerà lungo e difficoltoso, non solo per il perdurare dello stato di guerra, ma anche per l’ostilità delle popolazioni ad accettare le regole del nuovo dominio. La scelta d’installare nel nuovo regno il sistema feudale, per controllare l’amministrazione e l’economia e ai fini della difesa, nasceva da una valutazione politica basata sulle precedenti esperienze fatte dagli aragonesi, questo appariva infatti, in quel momento, il modello più adatto a conferire solidità e stabilità 5. Nel 1327 morì Giacomo II, a lui subentrò sul trono Alfonso IV detto il Benigno, colui che aveva condotto alla conquista e segnato l’inizio della dinastia

4

B. Anatra, La Sardegna dall’unificazione aragonese ai Savoia, Editore UTET Libreria, Torino,

1987, pp. 15-17. 5

G. Murgia, op.cit., pp. 21-22.

7


aragonese. Egli però morirà dopo soli nove anni e nel 1336 cominciò il lungo regno, fino al 1387, di Pietro IV detto il Cerimonioso. I Sardi che in un primo momento avevano accettato i nuovi dominatori insorsero quando gli Aragonesi instaurarono un governo che soffocava ogni libertà, il 26 giugno 1409 si giunse allo scontro decisivo; la battaglia si svolse a Sanluri e fu un disastro per i sardi poiché la tattica attuata consistette nel mandare allo sbaraglio la massa imponente ma fragile dei sardi, nella speranza che il numero riuscisse a vincere sull’arte della guerra. Nel maggio 1410, la stirpe aragonese si estinse con la morte di Martino il Vecchio, il re non aveva discendenti e prima di morire non aveva indicato il suo successore si aprì quindi in Aragona una crisi dinastica difficile che portò al cambio di discendenza. Questa crisi si concluse nel giugno del 1412, tra i molti pretendenti fu scelto Ferdinando d’Antequera figlio del re Giovanni I di Castiglia e di Eleonora d’Aragona; la nuova dinastia era di cultura castigliana questo rafforzò istituzionalmente la corona d’Aragona ma non riuscì a impedire una profonda trasformazione della cultura e dell’organizzazione del regno. In pochi decenni la nuova casa regnante riuscì a conservare, estendere e consolidare l’impero mediterraneo, ma la diversità di cultura e d’interessi la costrinsero ad affrontare una grave crisi politico-istituzionale. L’accentramento e l’autoritarismo finirono per creare difficili rapporti e tensioni che si inasprirono nella seconda metà del secolo 6. Una volta superata la crisi istituzionale, Ferdinando I si occupò immediatamente della situazione in Sardegna, dove regnavano incertezza e confusione. Nell’estate del 1413 appena eletto il nuovo re avviò le trattative per risolvere il problema sardo; nel giugno 1414 fu raggiunto il primo accordo: Guglielmo III, l’altro pretendente al trono, doveva rinunciare ai diritti dinastici dietro il pagamento di una somma in denaro che Ferdinando avrebbe dovuto

6

F. Floris, op.cit., pp. 293-299.

8


pagare entro quattro anni, ma la soluzione fu rimandata a causa della mancanza della disponibilità finanziaria 7. Nel marzo 1416 la morte di Ferdinando I ritardò la soluzione del problema, a lui succedette suo figlio Alfonso V detto il Magnanimo che riprese le trattative, pagò una parte della somma precedentemente stabilita dal padre e nel 1417 Guglielmo lasciò per sempre la Sardegna, dove però, in attesa che venisse pagata l’intera somma, continuò a rimanere suo fratello; la trattativa continuò, ma Alfonso V decise di venire personalmente nell’isola a chiuderla definitivamente. Per raggiungere questo obiettivo Alfonso predispose un imponente apparato militare radunò una flotta e nel maggio 1420 si imbarcò giungendo ad Alghero il 14 giugno 8. Il suo arrivo in Sardegna fece cessare ogni volontà di resistenza, egli provvide a sistemare l’apparato amministrativo, ad avviare la costituzione di un nuovo sistema dei feudi e convocò a Cagliari un parlamento dove mise in evidenza il problema della complessità dei rapporti tra la corona e i ceti sociali e dei ceti sociali tra loro. La conclusione dei lavori parlamentari indicò che complessivamente la Sardegna era pacificata e riunita nelle mani del re ma nonostante la guerra si fosse conclusa l’isola non si risollevò dai gravi danni subiti nel periodo precedente 9. Nel 1459, alla morte di Alfonso, subentrò al trono Giovanni II durante il cui regno si verificarono delle diatribe successorie e con il protrarsi della ribellione dei sardi, che si concluse nel 1478, si arrivò alla sconfitta di Leonardo Alagon e alla battaglia di Macomer dove gli Aragonesi con la loro vittoria soffocarono ogni speranza di libertà. Iniziò così per la Sardegna, che quasi tre secoli di lotte pressoché continue e di ricorrenti carestie ed epidemie ne decimarono la popolazione, un

7

Ibidem.

8

Ibidem.

9

Ibidem.

9


lungo periodo di pace che durò fino a quando, estintasi la dinastia degli Asburgo spagnoli, l’isola passò ripetutamente di mano in mano 10. Con la rivolta di Leonardo Alagon e la sua conseguente sconfitta, con gli scontri delle truppe regie e quelle ribelli che combattevano per il nome degli Arborea, con la battaglia di Macomer e l’annessione dei territori al patrimonio regio si conclude il periodo aragonese. Infatti, nel 1479 alla morte di Giovanni II si realizzò l’unione definitiva delle corone di Castiglia e di Aragona. Questo rappresentava, per la società sarda, un’epoca di crisi e di trasformazioni soprattutto sul piano politico-istituzionale, ciò influì in maniera negativa sugli apparati economico-produttivi e con il crollo della produzione agricola anche sul commercio. Era questo un periodo che proiettava l’immagine di una Sardegna inquieta e incontrollata scossa continuamente da crisi di diversa natura e intensità. Durante questo lasso di tempo l’unione che legava il regno di Sardegna al re d’Aragona si trasformò in unione con il re di Spagna, ma l’isola cessò di avere l’importanza che aveva avuto per il regno aragonese e divenne “Vicereame di Sardegna” 11. La cultura e la struttura della società sardo-aragonese continuarono a essere vitali e lasciarono la loro eredità in tutti i settori della vita civile, la struttura della società risultò cambiata rispetto ai secoli precedenti tre classi sociali poterono essere individuate: i nobili che erano consapevoli del loro ruolo sociale; i ceti sociali medi composti da mercanti, funzionari, professionisti di ogni genere e avventurieri; il popolo del quale erano rappresentanti piccoli contadini, artigiani, i commercianti più deboli e braccianti agricoli. Per quanto riguarda le manifestazioni culturali l’attività letteraria appariva ben animata, la circolazione dei manoscritti tra le persone colte era discreta; sono inoltre da ricordare alcune manifestazioni popolari come i goigs (detti in sardo gosos). Questi erano una forma di canto religioso di lode a Gesù, 10

L. Ortu, op.cit., pp. 54-55.

11

M. Cocco, Storia della Sardegna, Editrice T.A.S., Sassari, s.d., p. 41.

10


alla Madonna o ai Santi, il loro contenuto era rivolto a ottenere grazia o particolari benevolenze, prima cantati in catalano nel corso del XV secolo furono cantati e scritti anche in sardo, ancora oggi rappresentano un elemento vivo della cultura popolare 12.

1.2. La dominazione spagnola La prima parte dell’età spagnola in Sardegna prende avvio con la salita la trono di Ferdinando II d’Aragona detto il Cattolico che nel 1469 sposò Isabella di Castiglia; furono questi gli anni che condussero all’unificazione della Spagna sotto un'unica dinastia che portò un momento di grande fioritura culturale e un periodo di pace destinato a durare fino agli inizi del XVIII secolo quando, dopo l’estinzione del remo degli Asburgo, la Sardegna passò all’Austria e poi alla dinastia Sabauda 13. La monarchia di Spagna era uno stato pluralistico e scarsamente unitario fondato sulla finzione giuridica dell’«unione personale» del sovrano con i singoli regni che conservavano i loro ordinamenti originari, le istituzioni rappresentative, il loro sistema fiscale e la loro moneta. L’organizzazione dei regni era costituita da Cortes separate e distinte al cui vertice stava l’autorità regia, la cui sfera d’azione variava da uno stato all’altro a seconda delle leggi vigenti in ciascuno di essi. La corona era dunque una confederazione di differenti realtà territoriali, ognuna della quali aveva proprie leggi e proprie istituzioni. Questi regni venivano considerati autonomi; l’«unione personale», riuniti nella figura del monarca, portava ad un rispetto dell’autonomia di ciascuno stato, il sovrano aveva il potere di legiferare direttamente o attraverso i suoi rappresentanti, uno di questi è raffigurato dall’importante figura del viceré; 12

F. Floris, op.cit., p. 315.

13

M. Brigaglia, A. Mastino, G. G. Ortu, Storia della Sardegna, Dal Settecento a oggi, Editore

Laterza, Roma – Bari, 2006 p. 74.

11


questa carica appare per la prima volta in Sardegna nel 1418 come derivazione della figura del governatore generale e rappresentava l’unico ambasciatore e interprete della volontà reale lui era il legame diretto con il sovrano; secondo il costume vigente nel regno d’Aragona esercitava anche le funzioni di capitano generale e da lui dipendevano, oltre a numerose responsabilità, anche il Consiglio del Reale Patrimonio 14. Ferdinando ed Isabella diedero vita a un governo diarchico attuando un programma autoritario e accentratore che si fondava su tre direttive: la restaurazione dell’ordine pubblico in Castiglia ed Aragona dove fu fondata una lega comunale per la difesa della pace pubblica (la Santa Hermanidad

15

); la

limitazione del potere dei feudatari che avendo assunto poteri eccesivi gli furono tolte le cariche di carattere ereditario; una progressiva organizzazione di uno stato burocratico mediante la costruzione di un’amministrazione reale capace di togliere poteri ai nobili feudali. Nel 1504 morì la regina Isabella, le succedette sua figlia Giovanna (detta la Pazza), erede legittima, che cedette il governo al marito Filippo d’Austria figlio dell’imperatore Massimiliano I. Quando nel 1506 quest’ultimo morì, approfittando della minore età del nipote Carlo e della pazzia della figlia, Ferdinando II riuscì ad unificare definitivamente la Castiglia e l’Aragona continuando a regnare fino al 1516 16. Durante il regno di Ferdinando II la Sardegna subì un graduale ma deciso processo d’assimilazione delle istituzioni iberiche che toccarono tutti gli aspetti della vita, non si trattò di un nuovo ciclo che tenesse in considerazione le reali esigenze delle popolazioni isolane bensì di modifiche intese a consentire una più efficace affermazione della Spagna. Per questo l’isola cominciò ad assumere i caratteri dell’isolamento pur mantenendo lo status di regno autonomo 17. 14

B. Anatra, A. Mattone, R. Turtas, Storia dei Sardi e della Sardegna, L’età moderna dagli

aragonesi alla fine del dominio spagnolo, vol III, Editore Jaca Book, Milano, 1989 pp. 217-220. 15

F. Floris, op.cit., pp. 306-308.

16

Ibidem.

17

Ibidem.

12


Per ottenere questi risultati Ferdinando adottò una politica riformatrice con un più accentuato controllo di tutti i settori della vita pubblica; il Consiglio della Corona assunse funzioni ben definite con l’istituzione di diverse sezioni di competenza: una di alta politica presieduta dal sovrano, una di affari governatrici e un’altra per quelli concernenti l’amministrazione. Inoltre, operò alcune riforme che trasformarono il governo dell’isola in senso assolutistico: riformò il sistema di elezione dei consigli civili nelle città regie cercando di assoggettarle al potere reale, fu rivisto il sistema burocratico e riordinate le diocesi; nei confronti delle città reali l’atteggiamento di Ferdinando mutò, tutte ottennero privilegi che modificarono il loro assetto amministrativo. Con le riforme il re introdusse il principio che i consiglieri delle città venissero individuati per sorteggio tra persone appartenenti a determinate categorie e iscritte a liste la cui composizione era preventivamente approvata dal viceré. Con questo sistema il sovrano avrebbe finito per controllare e condizionare l’elezione degli organi dell’amministrazione cittadina. Nelle città di Cagliari e Sassari le oligarchie urbane videro nella riforma un rigido sistema di controllo e d’ingerenza dell’amministrazione reale e tentarono di resistere all’innovazione con ogni mezzo a disposizione 18. Anche l’apparato della burocrazia fu radicalmente riformato: il potere del viceré fu esteso e furono costituiti dei settori amministrativi specifici con funzionari

destinati

a curare

ogni

settore.

Inoltre

l’attività

politica,

amministrativa e giudiziaria del viceré fu riformata nell’ambito della convinzione di rendere uniformi le amministrazioni dei vari regni. La figura e le funzioni del reggente trovarono una più compiuta collocazione quando, nel 1494, venne costituito il supremo consiglio d’Aragona che completò il progetto reale. Il reggente divenne così l’anello di congiunzione tra l’amministrazione centrale e quella del viceré. Il quadro delle riforme di Ferdinando II fu completato da altri due provvedimenti: l’istituzione del Consiglio Supremo dell’Inquisizione inteso 18

Ibidem.

13


come organismo di controllo della vita spirituale dei sudditi, la riforma delle diocesi il cui numero fu ridotto a sette, la creazione degli Organi Militari e del Consiglio reale d’Aragona 19. Ferdinando il Cattolico morì nel 1516 lasciando come erede suo nipote Carlo I d’Asburgo che diventato imperatore si denominò Carlo V. Egli si trovò a regnare su popoli diversi con lingua e civiltà differenti che non avevano una continuità territoriale, questa dispersione geografica, culturale e istituzionale dei diversi stati pose al sovrano problemi di governo di non facile soluzione. La posizione della Sardegna non era cambiata pur dipendendo dall’imperatore gli affari più importanti continuarono a essere esaminati da un viceré, però, le cose erano cambiate: il sovrano non era più preoccupato di svolgere una politica mediterranea ma era impegnato a reggere una politica universale il cui centro era nell’Europa continentale e nell’Adriatico. Per lui l’isola era diventata un paese lontano quasi estraneo e sconosciuto, questa lontananza gli impediva di comprenderne la situazione interna 20. Quando nel 1556 salì al trono Filippo II, figlio di Carlo V, la situazione politica della Sardegna non mutò e acquistò definitivamente i caratteri di un piccolo regno periferico e decadente ma le condizioni dei Sardi migliorarono, nei loro riguardi il governo del nuovo sovrano operò soprattutto nel intento di completare alcuni progetti, già avviati da Carlo V, e di rendere più funzionale l’organizzazione amministrativa perciò egli creò a Cagliari il supremo magistero della reale udienza per frenare l’autorità vice regia e, per migliorare la difesa, ordinò la costruzione di torri fortificate sulle coste dell’isola. I nobili spagnoli risiedevano nel “castello” di Cagliari, nel quale avevano sede il palazzo del viceré, dell’arcivescovo ed il Municipio e dove si svolgevano le cerimonie civili e religiose col fasto delle usanze e tradizioni spagnole 21.

19

F. Floris, op.cit., pp. 308-311.

20

Ivi, pp. 361-362.

21

B. Anatra, op.cit., pp. 327-329.

14


Il regno di Filippo III (1598-1621) segnava una pausa tra due fasi di intense modifiche interne; una pausa in cui l’apparente conservatorismo era incrinato da aggiustamenti istituzionali che risentivano del peso dei problemi irrisolti dell’epoca precedente e li trasportavano nella successiva; tutto ciò marcava l’inizio della fase di decadenza, il sovrano ereditava dal padre una situazione finanziaria disastrosa a causa dei debiti nei confronti dei banchieri, che avevano anticipato i mezzi necessari per sostenerne la politica militare. Egli, malinconico e molto religioso, si disinteressò del governo che cadde in mano ai favoriti di corte. La Sardegna divenne ancora più estranea e il suo isolamento fu totale, paradossalmente, però, questo isolamento le giovò perché conobbe un felice seppur breve periodo di pace sia sotto il profilo delle risorse naturali e umane come sotto quello delle finanze regia, tutto ciò giovò conseguentemente anche all’economia 22. Il regno di Filippo IV (1621-1665) fu lungo e denso di avvenimenti che non riuscirono a modificare il lento declino della corona spagnola. Lui era un uomo aperto più intelligente e colto del padre ma a lui accomunato per la mancanza di carattere, non si interessò direttamente della politica e lasciò il governo nelle mani del suo privado il conte di Olivares che governò sino alla sua caduta nel 1643 23. L’Olivares ricorse a due tipi d’intervento: l’aumento dei donativi ordinari e l’imposizione di donativi straordinari. Questa politica propagandata nell’isola mirava al conseguimento di tre obiettivi: la ripresa di un’azione riformatrice dell’amministrazione reale e il suo potenziamento, il rafforzamento della difesa militare dell’isola, l’aumento del prelievo fiscale. Alla politica di Oliveres aderirono molte famiglie dell’aristocrazia feudale e larghi settori dell’opinione

22

Ibidem.

23

Ivi, p. 366.

15


pubblica, questa adesione determinò però anche fratture perché molti non la condividevano 24. L’isola cadde in una situazione di grande confusione e l’assetto socioeconomico venne compromesso in modo radicale, l’illusorio benessere fu vanificato e in Sardegna si manifestarono conflitti tra i ceti, l’economia decadde, le principali attività passarono nelle mani di speculatori stranieri, i feudatari ripresero a esercitare una forte pressione fiscale, le campagne erano insicure. La decadenza era totale e nulla fu investito per migliorarne le difese. I problemi non risolti e l’infelice situazione economica finirono per creare uno stato di crescente malcontento che si manifestò principalmente nei parlamenti. La situazione era nota al sovrano e nel 1645 Olivares fu licenziato, gli succedette suo nipote il conte de Haro. In Sardegna le istanze per una maggiore attenzione alla situazione dell’isola si fecero pressanti, il decadimento dell’apparato statale era ormai senza via d’uscita e le spese superavano di molto le entrate 25. Il nuovo viceré era convinto che l’atteggiamento dei sardi fosse un pericolo per l’unità del regno perciò si chiuse in se stesso e si circondò di funzionari spagnoli e lui fedeli e altrettanto incapaci di comprendere la situazione dell’isola; il suo atteggiamento si fece più marcato quando nel 1665 morì Filippo IV. Con Carlo II, nato dal secondo matrimonio di Filippo IV, il periodo spagnolo della storia della Sardegna si avviò alla conclusione. Quando salì al trono aveva cinque anni ed era considerato un bambino malaticcio per questo il governo fu affidato alla madre la regina Maria Anna d’Austria. La regina si muoveva in uno stato di declino generale e sembrava incapace di porvi rimedio si scatenò così un’opposizione guidata da Giovanni Giuseppe d’Austria figlio naturale di Filippo IV. Sulla regina aveva preso ad esercitare la sua influenza un nuovo favorito Ferdinando de Valenzuela che 24

F. Floris, op.cit., pp. 383-396.

25

Ibidem.

16


pensava solo ad arricchirsi; il Valenzuela dovette andare in esilio mentre la regina fu esiliata a Toledo. Giovanni Giuseppe d’Austria divenne l’arbitro della situazione ma la sua politica non mutò il corso degli eventi, quando nel 1678 lui morì la debolezza politica della Spagna si accentuò, era in una situazione di crisi irreversibile. Nel 1680 Carlo II aveva sposato Maria Luisa d’Orleans ma, poiché era impotente, non aveva avuto figli; nel 1689 rimasto vedovo aveva contratto un secondo matrimonio con Anna di Baviera Neoburg ma senza un successore l’estinzione la dinastia degli Asburgo era certa, prima di morire Carlo II nominò come suo erede Filippo d’Anjou nipote della sua sorellastra Maria Teresa sposata con Luigi XIV re di Francia. Questi furono decenni tormentati durante i quali emersero visibilmente le contraddizioni che avevano turbato la società sarda nei decenni precedenti e che avevano lasciato segni indelebili 26. Per quanto gli Asburgo abbiano fatto per trasformare la molteplice realtà dei vari regni in uno stato unitario il loro sforzo non fu coronato da successo, nel corso dei due secoli il regno di Castiglia acquistò una posizione di preminenza politica e culturale rispetto agli altri regni, ma ciò non face cessare in questi ultimi il legame alle istituzioni, alle tradizioni e all’autonomia che furono spesso difese con forza. Così la monarchia spagnola mantenne le caratteristiche di uno stato pluralistico e scarsamente unitario nel quale gli antichi regni conservarono i loro ordinamenti e le loro istituzioni. Il consolidamento del dominio spagnolo, destinato a realizzarsi nel contesto di una monarchia proiettata ed estendere la sua egemonia politica, militare e mercantile da un lato inseriva l’isola in una rete di scambi dall’altra la relegava ad un ruolo secondario. La Sardegna, infatti, nel progetto espansionistico della corona spagnola perdeva quell’importanza che aveva avuto per il regno d’Aragona dove era considerata un punto strategico di riferimento per la conservazione del dominio sul Mediterraneo. 26

Ibidem.

17


La marginalità dell’isola rispetto ai problemi di politica che la dinastia spagnola doveva affrontare finì per condizionare l’interesse che la corona aveva nei suoi confronti, la Sardegna si trovò in una posizione contraddittoria mentre lo sviluppo dell’apparato burocratico – amministrativo pose il fondamento dello stato moderno il disinteresse politico che il sovrano aveva nei suoi confronti determinò una situazione di abbandono che investì tutti gli aspetti della vita civile e sociale 27. I problemi più gravi e mai risolti dei governi spagnoli furono quelli della campagna; gli aspetti negativi del periodo spagnolo furono molti ma assume importanza il rifiorire della cultura e del patrimonio artistico, l’introduzione e la diffusione della stampa e i risultati nel campo dell’istruzione con la costruzione delle Università di Cagliari e Sassari e la realizzazione di una flotta nelle acque dell’isola 28. La nota dominante nei due secoli “spagnoli” rimase sempre la miseria, dovuta ad una continua crisi economica e sociale costantemente alimentate da una trista e ininterrotta serie di flagelli dovuti alla natura o all’uomo. A tutto ciò si sovrappongono, aggravandone gli esiti, le lunghe guerre di potere che avevano impoverito e quasi spopolato l’isola ma nonostante tutto i sardi avevano conservato la loro coesione etnica, la loro lingua, la memoria dello loro antiche istituzioni 29. Su questa forte base d’identità essi avevano acquistato e assimilato il patrimonio degli ex nemici, le classi colte parlavano la loro lingua e ne condividevano ormai le manifestazioni culturali. Dal canto loro, gli abitanti di origine spagnola avevano allentato i legami con la loro terra d’origine e sentivano l’isola come la propria patria.

27

Ibidem.

28

M. Cocco, op.cit., p. 43.

29

L. Ortu, op.cit., p. 90.

18


1.3. Fine del dominio spagnolo e guerre di successione L’ascesa al trono di Spagna di Filippo V allora diciassettenne poneva la diplomazia europea di nuovo di fronte al pericolo di un’egemonia dei Borbone a causa del forte legame esistente tra nonno e nipote, tutto infatti lasciava pensare che il nuovo re avrebbe potuto essere uno strumento della politica di Luigi XIV. In base al trattato di spartizione degli stati stipulato prima della morte di Carlo II i regni sarebbero dovuti essere così divisi: Spagna, Sardegna, Indie, Paesi Bassi spagnoli a Giuseppe Ferdinando di Baviera bisnipote di Filippo IV, in quanto sua madre era Maria Antonia d’Austria figlia dell’unica figlia di Filippo IV e dell’imperatore Leopoldo I; Napoli, la Sicilia, lo stato dei Presidi a Luigi di Francia figlio di Luigi XIV e dell’infanta Maria Teresa; il ducato di Milano a Carlo d’Asburgo figlio dell’imperatore. Questa ipotesi di spartizione che avrebbe garantito un certo equilibrio e che avrebbe evitato l’egemonia di Luigi XIV nonché quella degli Asburgo non era gradita alla diplomazia spagnola 30. Il 13 marzo del 1700 si stipulò un nuovo trattato in base al quale la Spagna e le colonie americane sarebbero toccate a Carlo d’Asburgo neanche questo fu accettato in primo luogo dall’imperatore e successivamente da molte altre potenze europee in conseguenza di ciò scoppiò tra Filippo V di Borbone, nipote del re di Francia, e Carlo d’Asburgo una dura guerra per la successione. Inizialmente il popolo sardo si schierò dalla parte di Filippo V, ma successivamente

passarono

dalla

parte

dell’arciduca

appogiandone

la

successione al trono. Nel 1714 col trattato di Utrecht la Sardegna passò all’Austria ma per soli quattro anni perché nel 1718 fu restituita alla Spagna. Nello stesso anno, col trattato di Londra, l’isola passò definitivamente all’Austria che la cedette a Vittorio Amedeo di Savoia in cambio della Sicilia. 30

F. Floris, op.cit., pp. 408-412.

19


Nel 1720 anche Filippo II di Spagna rinunciò all’isola e Vittorio Amedeo II assunse così il titolo di re di Sardegna 31. I diversi rappresentanti della corona succedutisi nell’isola non mostrarono mai di voler assumere iniziative capaci di modificare la situazione e si limitarono a gravare sulla comunità con il pagamento più oneroso di imposte. Il predominio spagnolo, durato oltre due secoli, non fu per i Sardi un periodo molto felice perché essi dovettero subire, oltre l’imposizioni di pesanti tasse, anche le ingiustizie dei feudatari e del viceré, il 1700 rappresentò per l’isola una data importante perché, finalmente dopo 400 anni di dominazione straniera, l’isola tornò a far parte, anche politicamente, della penisola italiana 32.

31

Ibidem.

32

G. Sorgia, La Sardegna spagnola, Editore Chiarella, Sassari, 1982, pp. 180-182.

20


Capitolo secondo

Dalle locuzioni alle tradizioni

21


Come punto di partenza ho preso in considerazione il sistema fraseologico della lingua spagnola e della lingua sarda, nostra lingua d’origine. Ho quindi operato un’altra delimitazione preliminare, scegliendo di riferirmi, all’interno del sistema fraseologico, solo alle locuzioni, ovverosia a quelle particolari combinazioni linguistiche caratterizzate da fissazione e, talvolta, da idiomaticità 33. Per la ricerca delle unità fraseologiche ho effettuato un indagine sul campo, limitatamente alla Sardegna, raccogliendo la testimonianza di persone anziane

che

conservano

memoria

delle

espressioni

linguistiche

e

successivamente dei riti e tradizioni, (che esporrò nel capitolo successivo), relative all’acqua e alla morte in uso durante la loro infanzia. Ho inoltre consultato numerosi dizionari (dizionari monolingue della lingua sarda e della lingua spagnola, dizionari bilingue italiano-sardo e italiano-spagnolo, dizionari fraseologici delle due lingue), raccolte di modi di dire in spagnolo e in sardo, testi su tradizioni, riti e feste popolari della Sardegna. Dalle unità fraseologiche in questo modo individuate ho quindi estrapolato

le

locuzioni

sostantivali,

aggettivali,

verbali,

avverbiali,

preposizionali relativa al campo semantico dell’ ‘acqua’ e della ‘morte’ in uso nei due territori, ricercando, per ciascuna espressione individuata, l’espressione corrispondente nell’altra lingua. Dopo aver raccolto le locuzioni ho deciso di procedere partendo dall’esame etimologico dei termini acqua e morte per poi analizzare le locuzioni.

33

Per una definizione esaustiva e precisa di “locuzione” si rimanda alle proposte di L. Ruiz

Gurillo, Aspectos de fraseología teórica española, Universidad de Valencia, Valencia, 1997, p. 25 che definisce le locuzioni come «unità fraseologiche equivalenti al lessema o al sintagma» e di G. Corpas, Manual de fraseología española, Gredos, Madrid, 1996, p. 20 che offre la seguente definizione: «unità fraseologiche del sistema della lingua con i seguenti tratti distintivi: fissazione interna, unità di significato e fissazione esterna pasemática (secondo il ruolo dell’interlocutore nell’atto comunicativo). Tali unità non costituiscono enunciati completi e, generalmente, funzionano come elementi orazionali».

22


Le locuzioni individuate sono contenute nelle tabelle riportate qui di seguito. Il gran numero di queste locuzioni evidenzia l’importanza dell’elemento acqua che, nelle due culture, perdura come forza vitale per l’uomo e la rilevanza dell’elemento morte che assume varie sfaccettature di significato a seconda del contesto 34.

2.1. Tema dell’ ‘acqua’ e analisi linguistica Tabella nº 1. Locuzioni sul tema dell’ ‘acqua’ in Spagna e in Sardegna 35.

SARDO

34

SPAGNOLO

Abba ‘e s’irménticu

----

Abba ‘e thùccaru

----

Abba ‘e vivere

Agua de mesa

Abba a bucca

Boca agua

Abba a mojos

Meterse en agua

Abba de colònia

Agua de colonia

Abba de rocca

Agua destilada

Abba durche

Agua dulce

Abba mala

----

Abba nieddha

----

Abba pioana

Agua pluvial

Abba pudida

Agua sucia

Si consideri che la scelta di delimitare il campo d’indagine alle sole locuzioni ha fatto sì che

escludessi tutte le altre unità fraseologiche e, in particolare, i proverbi, presenti in grande quantità in entrambe le lingue. 35

Le locuzioni, nella presente tabella, sono riportate in ordine alfabetico. Si è scelto di non

distinguere le locuzioni sulle base della loro categoria grammaticale, in quanto verranno analizzate in maniera più dettagliata più avanti.

23


Abba salida

Agua salada

Abba santa

Agua bendita

Bettare s’abba santa Abba seria

----

Abba-abba binu-‘inu

----

Azunghere abba a mare

Coger agua en cesto

Azzunghere abba a brou Chei s’abba a su fogu

Echar agua al fuego

Colpu de abba

----

De bon’abba

----

Esser in malas abbas

Estar en malas aguas

Esser simplice qu’e i s’abba

----

Fàghere unu bucu in s’abba

Irse al agua

Ischire chei s’abba

Como (el) agua

Istare a pane e abba

Estar a pan y agua

Leare abba da ogni funtana

----

Marcar abba

Ponerse el agua

No accattar abba

Ni agua

Peldere in una taza e abba

Ahogarse en un vaso de agua

Pistare abba

Echar agua en el mar

S’abba ‘e sa billellera Sas abbas

---Agua del amnios

----

Bailar el agua

----

Como agua de mayo

----

Dar el agua

----

Agua abajo

----

Agua arriba

----

Agua del Carmen

----

De agua y lana

24


----

Echar agua al vino

----

Entre dos aguas

----

Hacer agua

Dal latino aqua hanno origine il vocabolo agua in spagnolo abba in sardo, nella variante logudorese

36

. Lo stesso vocabolo, sia in spagnolo che in sardo, si usa

per riferirsi alla pioggia, per estendersi poi ad indicare gli infusi o decotti che, in Sardegna, si credeva avessero un potere curativo o addirittura la forma del tetto delle case, come si evince dalle seguenti definizioni:

agua [sf] 1 acqua el agua está fría: l’acqua è fredda | tomar agua: bere acqua 2 acqua, pioggia el cielo amenaza agua: il cielo minaccia pioggia 3 arq falda, spiovente (m) techo a cuatro aguas: tetto a quattro falde 4 infuso (m), decotto (m) aguas de anís: infuso di anice37. abba [sf] 1 acqua abba durche: acqua dolce 2 pioggia si no achet abba, a terra laore: se non arriva la pioggia addio raccolto 3 spiovente del tetto copertura a duas abbas: tetto a due spioventi 4 linfa, infuso buffa qust’abba: bevi quest’infuso 38.

In Spagna il vocabolo agua viene utilizzato come sinonimo del termine lluvia per riferirsi al componente più abbondante della superficie terrestre che, più o meno puro, serve per formare i fiumi, i laghi e il mare simboli di sopravvivenza di tutti gli esseri viventi (agua pluvial, ponerse el agua)

39

. Altri

significati che le vengono attribuiti sono quelli di: conoscere molto bene (como

36

La lingua sarda presenta diverse varietà dialettali: il campidanese (àcua), il nuorese (abba), il

gallurese (ea), il sassarese (eba). La scelta di attenermi al dialetto logudorese è stata dettata dalla ricca quantità di materiale reperibile in questa varietà. 37

L. Tam, Grande dizionario di spagnolo, Editore Hoepli, Milano, 2007, p. 35.

38

P. Casu, Vocabolario sardo logudorese-italiano, Editore ISTRE Istituto Superiore Regionale

Etnografico, Nuoro, 2002, p. 10. 39

Real Academia Española, Diccionario de la lengua española, Editore Espasa Calpe, Pozuelo

de Alarcón, 2001, pp. 66-67.

25


(el) agua), fare qualcosa d’inutile (echar agua al mar), affannarsi invano (ahogarse en un vaso de agua) 40. La parola abba, anche in sardo, ha dei significati ben precisi e profondi. Infatti, oltre a quelli uguali alla variante spagnola, assume anche il senso di: filtro dell’oblio (abba e s’irménticu)

41

, pazzia (s’abba ‘e sa billellera), effetto

benefico (chei s’abba a su fogu), e anche per indicare qualcosa o qualcuno di negativo (in malas abbas, abba mala)

42

, riferito a persone e frutti è segno di

dolcezza e bontà (de bon’abba) 43. Facendo un’analisi linguistica le locuzioni verranno esaminato sotto diversi punti di vista. Il primo è quello morfo-sintattico in base al quale possiamo dividere le locuzioni in diverse categorie 44:

LOCUZIONI SOSTANTIVALI

Abba a bucca Abba de colònia Abba de rocca Abba pioana Esser in malas abbas

Boca agua Agua de colonia Agua destilada Agua pluvial Estar en malas aguas

40

L. Tam, op.cit., p. 36.

41

G.M. Cabras, Vocabolariu Baroniesu, Editore Trauben, Torino, 2003, p. 1.

42

P. Casu, op.cit., p. 10.

43

M. Puddu, Ditzionariu de sa limba e de sa cultura sarda, Editore Codaghes, Cagliari, 2000,

pp. 3-4. 44

Sono stati divise in categorie solo le locuzioni presenti sia nel repertorio linguistico sardo sia

in quello spagnolo.

26


LOCUZIONI AGGETTIVALI

Abba a mojos Abba durche Abba pudida Abba salida Abba santa Chei s’abba a su fogu Ischire chei s’abba Istare a pane e abba Abba ‘e vivere

Meterse en agua Agua dulce Agua sucia Agua salada Agua bendita Echar agua al fuego Como (el) agua Estar a pan y agua Agua de mesa

LOCUZIONI VERBALE

Fàghere unu buccu in s’abba Marcar abba No accattar abba Peldere in una taza e abba

Irse al agua Ponerse el agua Ni agua Ahogarse en un vaso de agua

LOCUZIONI AVVERBIALI

Azunghere abba a mare Azunghere abba a brou Pistare abba

Coger agua en cesto Echar agua en el mar

27


La ricerca dell’origine e del significato delle locuzioni è spesso un viaggio che ha come punto d’arrivo l’aneddoto o la spiegazione poco scientifica. Per uno studio specifico di ogni locuzione sarebbe necessario tener conto del fenomeno dell’etimologia popolare e della trasformazione semantica. A causa di tale difficoltà i compilatori di raccolte di modi di dire, per spiegarne l’origine e il senso ricorrono spesso a soluzioni estemporanee. Le parole e le frasi sono come le persone, non sempre sono ragionevoli e sensate 45. Il significato letterale delle locuzioni analizzate in questo lavoro è riportato nella seguente tabella:

Tabella nº 2.

SARDO

SPAGNOLO

SIGNIFICATO LETTERALE

Abba ‘e vivere

Agua de mesa

Acqua per vivere Acqua da tavola

Abba a bucca

Boca agua

Acqua alla bocca

Abba a mojos

Meterse en agua

Acqua in grande quantità

Abba de colònia

Agua de colonia

Acqua di colonia

Abba de rocca

Agua destilada

Acqua di roccia

Abba durche

Agua dulce

Acqua dolce

Abba pioana

Agua pluvial

Acqua piovana

Abba pudida

Agua sucia

Acqua puzzolente

Abba salida

Agua salada

Acqua salata

Abba santa

Agua bendita

Acqua santa

Bettare s’abba santa

45

Buttare acqua santa

D. Provenzal, Perché si dice così, Hoepli, Milano, 1958, p. 188.

28


Azunghere abba a mare Azzunghere

abba

Coger agua en cesto

a

Aggiungere acqua al mare Aggiungere acqua al brodo

brou Chei s’abba a su fogu

Echar agua al fuego

Come l’acqua al fuoco

Esser in malas abbas

Estar en malas aguas

Essere in cattive acque

Fàghere unu bucu in Irse al agua

Fare un buco nell’acqua

s’abba Ischire chei s’abba

Como (el) agua

Sapere come l’acqua

Istare a pane e abba

Estar a pan y agua

Stare a pane e acqua

Marcar abba

Ponerse el agua

Marcare l’acqua

No accattar abba

Ni agua

Non trovare acqua

Peldere in una taza e Ahogarse en un vaso Perdersi in un bicchiere abba

de agua

d’acqua

Pistare abba

Echar agua en el mar

Pestare acqua

Sas abbas

Agua del amnios

Le acque

Un parte della linguistica si occupa dello studio del significato, questa è la semantica che insieme alla pragmatica, che si occupa di studiare la lingua come azione, osserva come e per quali scopi la lingua viene usata e come il contesto, la situazione, influisca sul significato. Le locuzioni figurate possono essere semanticamente motivate o opache, quando non è più possibile percepire il loro significato letterale; questo perché quando le metafore che si producono negli atti linguistici individuali entrano a far parte della lingua esse si “demetaforizzano” cioè perdono la loro forza, la loro carica metaforica. Per questo motivo non tutti i parlanti sono consapevoli della reale valenza metaforica di un segno o, pur essendolo, la loro ipotesi può non coincidere con la storia vera della metafora. Questo perché, non solo dai miti nascono le parole ma anche le parole a volte creano i miti 46.

46

E. Coseriu, El hombre y su lenguaje, Gredos, Madrid, 1991, pp. 75-78.

29


La tabella qui di seguito illustra i significati metaforici possedute dalle locuzioni studiate: Tabella nº 3.

SARDO

SPAGNOLO

SIGNIFICATO SEMANTICO

Abba ‘e vivere

Agua de mesa

Acqua da bere, potabile

Abba a bucca

Boca agua

Acquolina in bocca

Abba a mojos

Meterse en agua

Pioggia abbondante

Abba de colònia

Agua de colonia

Profumo

Abba de rocca

Agua destilada

Acqua pura, distillata

Abba durche

Agua dulce

Acqua buona

Abba pioana

Agua pluvial

Pioggia

Abba pudida

Agua sucia

Acqua sporca, sudicia

Abba salida

Agua salada

Acqua di mare

Abba santa

Agua bendita

Acqua benedetta

Bettare s’abba santa

Visita veloce

Azunghere abba a mare Coger agua en cesto

Fare qualcosa inutilmente

Azzunghere

Dilungarsi

abba

a

brou Chei s’abba a su fogu

Echar agua al fuego

Esser in malas abbas

Estar

en

Produrre un effetto benevole

malas Trovarsi nelle difficoltà

aguas Fàghere unu bucu in Irse al agua

Non congludere niente

s’abba Ischire chei s’abba

Como (el) agua

Conoscere molto bene

Istare a pane e abba

Estar a pan y agua

Stare senza mangiare, dieta

Marcar abba

Ponerse el agua

Minacciare pioggia

No accattar abba

Ni agua

Non trovare niente

30


Peldere in una taza e Ahogarse

en

un Perdersi

nelle

minime

abba

vaso de agua

difficoltà

Pistare abba

Echar agua en el Fare qualcosa inutilmente mar

Sas abbas

Agua del amnios

Liquido amniotico

Risulta chiaro, comparando i due termini - agua e abba -, che presentano la stessa attribuzione di significati, riferendosi entrambi all’acqua in tutte le sue varianti pioggia, infusi, decotti e filtri con benefici variabili. In entrambe le lingue, inoltre, si osserva che il patrimonio linguistico viene arricchito da espressioni di significato variabile non presenti nel repertorio linguistico dell’altra lingua di riferimento. Altre locuzioni testimoniano l’affinità esistente tra i popoli riflettendo l’importanza dell’acqua, usata in svariati modi di dire, in svariati contesti comunicativi, con diversi significati figurati per esprimere concetti molto più profondi di quelli che si celano dietro il semplice significato letterale della locuzione stessa.

2.2. Tema della ‘morte’ e analisi linguistica Tabella nº4. Locuzioni sul tema della ‘morte’ in Sardegna e in Spagna 47.

SARDO

SPAGNOLO

Bogare a mortu Buffonare sa morte

Burlar la muerte

Isthràccu e moltu

Muerto de cansancio

Li molti e molti 47

----

----

Le locuzioni, nella presente tabella, sono riportate in ordine alfabetico. Si è scelto di non

distinguere le locuzioni sulle base della loro categoria grammaticale, in quanto verranno analizzate in maniera più dettagliata più avanti.

31


Linna morta

----

Luxi morta

----

Manu móstha

----

Mezoria de sa morte

Mejoría de la muerte

Molti niedda

Muerto de peste

Moltu ‘e assustu

Dar un susto de muerte

Moltu ‘e gana

Muerto de hambre

Moltu de arrepenti

----

Moltu de balla

Muerte a mano airada

Moltu de Deus

Buena muerte Muerte natural

Moltu de frittu

Muerto de frio

Moltu de sidi

Mueto de sed

Moltu de sonnu

Muerto de sueño

Moltu de su Rei

----

Moltu e apenadu

----

Seriu comente et i sa morte

Serio como la muerte

Moltu in gherra

Muerto en guerra

Moltu in Libia Moltu pisciau

---Muerto de risa

Morte accottat

----

Morte iscottat

----

Morte mala

Muerte violenta

Mortu male Pedra morta Pius moltu chi no biu

---Más muerto que vivo

Puntu, mósthu Sa morte in ojos

---Estar a la muerte Ver las orejas al lobo

32


Sarràdu a mósthu

----

Sonu de sa morte

----

Sos Mortos

Día de difuntos

Su limbazu de sa morte

----

Toccare a moltu

Tocar a muerto

Trànsitos de morte

A la muerte

Bennere a sa morte ----

Callarse como un muerto

----

De mala muerte

----

Estar muerto por

----

Hora muerta

----

Muerte chiquita

----

Muerte senil

----

Ser una muerte

Dal latino mors/mortuus derivano i vocaboli spagnoli muerte/muerto e i vocaboli sardi morte/mortu, in logudorese 48. Gli stessi vocaboli, sia in spagnolo che in sardo, assumono accezioni di significato differenti a seconda del contesto in cui vengono utilizzati, come si può notare dalle suguenti definizioni:

muerte [sf] 1 conclusione della vita 2 fam omicidio 3 fine, sparizione o distruzione di una cosa; particolarmente una società, un affatto o, in lingua informale, una cosa che si utilizza 49. muerto, ta 1 carenza di rapidità, vitalità o di attività 2 col molto stanco, esausto 3 senza vita 4 col ciò che risulta un ostacolo, un carico, un lavoro faticoso 5 rispetto di una persona, i suoi familiari o compagni defunti 50.

48

Nelle varianti: campidanese (morti/mortu), nuorese (morte o accabbada/mortu), gallurese

(molti/moltu), sassarese (morthi/mosthu). È stata scelta la variante logudorese a seguito della ricca quantità di materiale reperibile. 49

M. Moliner, Diccionario de uso del español, Editore Gredos, Madrid, 2007, pp. 2010-2011.

50

Clave, Diccionario de uso del español actual, Editore SM, Madrid, 2009, p. 1345.

33


morte [sf] 1 la fine della vita 2 il cessare di qualcosa 3 l’uccisione di una persona 51. moltu 1 chi ha smesso di vivere 2 chi non produce più alcun effetto 3 chi non ha più forza per niente 52.

In spagnolo i termini muerte/muerto vengono utilizzati non solo per definire la fine della vita e i defunti, ma assumono anche sfumature di significati particolari. In particolare muerto nel linguaggio comune viene utilizzato per circoscrivere qualsiasi tipo si situazione in cui vi è poca forza vitale (hora muerta) 53, per descrivere una persone molto innamorata (estar muerto por) 54, per descrivere situazioni di poca importanza (de mala muerte) 55. Anche in sardo ai termini morte/mortu gli vengono date delle accezioni che vanno oltre il significato letterale del termine. Come per le locuzioni relative al tema dell’acqua anche quelle della morte saranno analizzate sotto diversi punti di vista; sul livello morfo-sintattico le locuzioni sono suddivise in 56:

LOCUZIONI SOSTANTIVALI

Molti niedda Sos Mortos

Muerto de peste Día de difuntos

51

M. Puddu, op.cit., pp. 1175-1176.

52

Ibidem.

53

L. Tam, op.cit., p. 700.

54

Real Academia Española, op.cit., p. 1550.

55

Ibidem.

56

Come per l’acqua sono stati divise in categorie solo le locuzioni presenti sia nel repertorio

linguistico sardo sia in quello spagnolo.

34


LOCUZIONI AGGETTIVALI

Mezoria de sa morte Isthràccu e moltu Moltu ‘e assustu Moltu ‘e gana Moltu de balla Moltu de Deus Moltu de frittu Moltu de sidi Moltu de sonnu Seriu comente et i sa morte Pius moltu chi no biu Moltu pisciau Morte mala Mortu male

Mejoría de la muerte Muerto de cansancio Susto de muerte Muerto de hambre Muerte a mano airada Buena muerte, muerte natural Muerto de frio Muerto de sed Muerto de sueño Serio como la muerte Más muerto que vivo Muerto de risa Muerte violenta

LOCUZIONI VERBALI

Buffonare sa morte Toccare a moltu Transitos de morte Bennere a sa morte

Burlar la muerte Tocar a muerto A la muerte

LOCUZIONI AVVERBIALI

Azunghere abba a mare Azunghere abba a brou Pistare abba

Coger agua en cesto Echar agua en el mar

35


LOCUZIONI PREPOSIZIONALI

Moltu in gherra

Muerto en guerra

Ora come per l’acqua si segnala il significato delle parole e il significato metaforico attribuito alle espressioni. Il significato letterale dato alle locuzioni è segnalato nella tabella riportata qui di seguito:

Tabella nº 5.

SARDO

SPAGNOLO

SIGNIFICATO LETTERALE

Buffonare sa morte

Burlar la muerte

Burlare la morte

Isthràccu e moltu

Muerto de cansancio

Stanco e morto

Mezoria de sa morte

Mejoría de la muerte

Miglioramento della morte

Molti niedda

Muerto de peste

Morte nera

Moltu ‘e assustu

Dar un susto de muerte

Morto dallo spavento

Moltu ‘e gana

Muerto de hambre

Morto di voglia

Moltu de balla

Muerte a mano airada

Morto con una pallottola

Moltu de Deus

Buena muerte

Morto in grazia di Dio

Muerte natural Moltu de frittu

Muerto de frio

Morto di freddo

Moltu de sidi

Mueto de sed

Morto di sete

Moltu de sonnu

Muerto de sueño

Morto di sonno

36


Seriu comente et i sa Serio como la muerte

Serio come la morte

morte Moltu in gherra

Muerto en guerra

Morto in guerra

Moltu pisciau

Muerto de risa

Morto pisciato dalle risate

Morte mala,

Muerte violenta

Cattiva morte

Mortu male Pius moltu chi no Más muerto que vivo

Più morto che non vivo

biu Sa morte in ojos

Estar a la muerte

La morte negli occhi

Ver las orejas al lobo Sos Mortos

Día de difunto

I morti

Toccare a moltu

Tocar a muerto

Rintoccare a morto

Trànsitos de morte

A la muerte

Vicino alla morte

Bennere a sa morte

Prendendo in considerazione il situazione comunicativa cioè svolgendo un’analisi sotto il profilo semantico e pragmatico, alle medesime locuzioni presenti della tabella precedente, le vengono attribuite delle particolari accezioni di significato. Queste sono riportati nella tabella che segue:

Tabella nº 6.

SARDO

SPAGNOLO

SIGNIFICATO SEMANTICO

Buffonare sa morte

Burlar la muerte

Sfidare la morte

Isthràccu e moltu

Muerto de cansancio

Sfinito

Mezoria de sa morte

Mejoría de la muerte

Ripresa prima della morte

Molti niedda

Muerto de peste

Peste

Moltu ‘e assustu

Dar un susto de muerte

Spavento improviso

37


Moltu ‘e gana

Muerto de hambre

Affamato

Moltu de balla

Muerte a mano airada

Omicidio

Moltu de Deus

Buena muerte

Morte naturale

Muerte natural Moltu de frittu

Muerto de frio

Infreddolito

Moltu de sidi

Mueto de sed

Assetato

Moltu de sonnu

Muerto de sueño

Assonnato

Seriu comente et i sa Serio como la muerte

Molto triste

morte Moltu in gherra

Muerto en guerra

Incontrarsi

dopo

lungo

tempo Moltu pisciau

Muerto de risa

Ridere a crepapelle

Morte mala

Muerte violenta

Morte violenta

Mortu male Pius moltu chi no Más muerto que vivo

Distrutto

biu Sa morte in ojos

Estar a la muerte

Uscire salvo da un brutto

Ver las orejas al lobo

incidente

Sos Mortos

Día de difunto

I defunti

Toccare a moltu

Tocar a muerto

Suonare l’agonia

Trànsitos de morte

A la muerte

Agonizzare

Bennere a sa morte

È quasi impossibile indagare tra le ragioni intime della creazione linguistica, perché spesso sono inspiegabili le cause del movimento della fantasia creatrice, più facile è invece individuare le ragioni per cui una comunità linguistica accetta un’invenzione. Una delle cause è il tabù linguistico che fa sì che molte parole, per superstizione o credenze popolari, si evitino e si sostituiscano con locuzioni o altre parole, per la convinzione non solo delle civiltà primitive ma anche delle più sviluppate che ci sia un’identificazione tra

38


nome e oggetto o entità nominata. La parola diventa essa stessa una cosa, da trattare con cautela 57. Esistono tre categorie di tabù: per paura, per rispetto e per pudore. La paura degli esseri e degli eventi soprannaturali, il rispetto nel trattare il tema della morte e delle malattie, il pudore nei confronti del sesso o di alcune funzioni fisiologiche danno vita a varie locuzioni sostitutive

58

. Ma non solo ragioni di

superstizione portano alla locuzione sostitutiva, esistono anche altre cause di carattere emotivo o sociale; perifrasi e giri di parole attenuano infatti espressioni considerate troppo forti dal parlante e il dovere sociale della cortesia invita a un linguaggio più ampio e meno diretto. Spesso si cerca di evitare la parola morte sostituendola con varie locuzioni (“lasciarci le penne”, “andare all’altro mondo, chiudere gli occhi” ecc.). Per lo stesso motivo si cerca di non pronunciare i nomi di certe parti del corpo che si considerano indecenti e per alludere ad alcune funzioni corporali si utilizzano delle locuzioni. Ma anche le locuzioni sostitutive col passare del tempo vengono “contaminate” dal loro significato e perdendo così la propria funzione primaria di copertura e devono essere nuovamente sostituite dalla comunità linguistica 59.

57

G. R. Cardona, Introduzione all’etnolinguistica, Il Mulino, Bologna, 1976, p. 143.

58

S. Ullman, Introduzione alla scienza del significato, Il Mulino, Bologna, 1966, pp. 309-372.

59

E. Coseriu, op.cit., p. 79-80.

39


Capitolo terzo

Usi, costumi, credenze, superstizioni popolari

40


C’è una parola, nella lingua sarda, che contiene in sé vasti significati: su connottu, il conosciuto, l’esperienza del passato, la memoria storica collettiva, il codice non scritto, la tradizione popolare, insomma il mito popolare. In una società come quella sarda tutta l’esperienza esistenziale si stratifica nel mito. Il termine “mito popolare” usato come sinonimo di “folklore”, vuole significare non il passato ma il presente, non una evasione della realtà ma un riassunto della realtà: il mito, come il fiume, trascina la memoria delle cose dalla sorgente del passato alla foce del presente. Così su connottu rimane immutato come un filo rosso che lega gli eventi e i personaggi della realtà sarda alle figurazioni del rito e del mito: i nuraghi, i mamutones, isokadores, le ardie, i canti di morte, s’attitidu, “il ciclo dell’uomo”, “il ciclo dell’anno” tutta la tradizione popolare rimane ancorata, nello spazio e nel tempo, dalla vita alla morte 60.

3.1. Il culto dell’acqua Il più diffuso dei culti protosardi è il culto dell’acqua, data l’aridità costituzionale del territorio sardo l’elemento acqua rappresentò fin dalla preistoria uno dei problemi chiave dell’economia e della vita sociale delle comunità locali essa, infatti, influenza e determina in ampia misura, come fattore limite, la vita materiale. Una testimonianza del ruolo vitale dell’acqua è data dalla diffusione e culto di pozzi sacri d’epoca nuragica nell’isola, che poté essere preceduto dalla venerazione di fosse d’acqua naturali e ancor più da sorgenti naturali. Bisogna, però, fare una distinzione fra «pioggia» e acqua di fonte, che corrispondono a due distinte forme di culto dell’acqua, complementari fra loro ma anche culturalmente differenziabili. Culto della pioggia e culto delle fonti sono, infatti da distinguersi non soltanto come forme religiose diverse, ma anche

60

F. Masala, Il riso sardonico, Gia Editore, Cagliari, 1984, pp. 5-7.

41


perché pertinenti a due ambienti sociali diversi, quello pastorale e quello agricolo 61.

3.1.1. L’acqua come simbolo di prosperità, fertilità e fecondità Molti elementi concorrono a stabilire un’associazione del culto delle acque sorgive con il culto della fecondità sia umana che animale intesa come generatrice di vita, fonte essenziale e originaria di quell’energia che rende sane e feconde la generazioni animali e umane. Il culto era stato inteso a potenziare quell’energia benefica e per incrementare la fonte venivano portate offerte e fatti sacrifici; era un culto essenzialmente magico. Entro tale ideologia magica, la sposa sterile doveva deporre nella fonte l’immagine di una donna con il figlio e dalla fonte magicamente si sprigionava vitalità 62. Il culto della pioggia, come dicevamo, a differenza del culto pastorale delle acque sorgive ha carattere prevalentemente agricolo e veniva praticato come simbolo di fertilità e prosperità dei terreni. Un esemplare rito per la pioggia veniva praticato fra i contadini di Ghilarza quando la siccità minacciava il raccolto; allora donne e bambini con croci e stendardi procedono in processione per la vie del paese con una barella di ferula e rami ricoperta di terra e ciuffi d’erba invocando la pioggia con invocazioni e canti tradizionali. Il rito è in prevalenza eseguito dai ragazzi mentre le donne, affacciandosi alle porte delle case, gettano spruzzi d’acqua sull’erba della barella 63. Un rituale simbolo di prosperità dei campi si svolgeva presso Bosa dove vi è un pozzo detto de sos tres res, cioè dei tre re magi i quali, secondo la leggenda, portando i doni a Gesù vi sostarono per abbeverare i cammelli; il rituale consisteva nel recarsi in processione al pozzo dove il sacerdote benediva

61

V. Lanternari, Preistoria e folklore, Tradizioni etnografiche e religiose della Sardegna,

Editore L’Asfodelo, Sassari, 1984, p. 154. 62

Ivi, pp. 97-99.

63

Ibidem.

42


l’acqua. Ciò avveniva il primo di marzo, cioè all’apertura della stagione agricola e dell’antico anno calendariale romano; nel 1771 il culto fu soppresso 64. Un altro rito legato alla pioggia è quello detto s’abbaterra in onore a Sant’Antonio e veniva praticato quando per lunghi periodi non pioveva. La gente, allora, implorava la pioggia in vari modi facendo persino delle processioni con preghiere e canti d’invocazione ma, a volte, ciò non era sufficiente e allora le mamme e soprattutto le nonne chiedevano la collaborazione dei bambini, considerati anime innocenti, per fare s’abbaterra al santo. I bambini si davano appuntamento nel quartiere di Sant’Antonio e si dividevano i compiti. Un gruppo andava nella case a prendere dei secchi vuoti per riempirli d’acqua e l’altro andava nelle campagna vicina a prendere dei rametti di sambuco. Portavano il tutto davanti alla porta della chiese di Sant’Antonio, intingevano i rametti di sambuco nell’acqua scolandoli in direzione della porta e cantavano tutti insieme questa nenia: «abbaterra a sos laores, sos pitzinnos pedin pane, sos anzenos pedin erva, miserigordia abbaterra» (pioggia in terra, per il lavoro, i bambini chiedono pane, gli altri chiedono erba, misericordia pioggia in terra). Lo ripetevano finché l’acqua non era arrivata a meno della metà dei secchi. L’ultima gliela versavano con forza come era stato raccomandato dalla più anziana del vicinato. Finito il rito si poggiavano i rametti di sambuco nella porta della chiesa e si ritornava con i secchi vuoti nelle proprie case 65. Un’altra usanza messa in pratica se la pioggia tardava ad arrivare era quello de sa puppia mannaghe, una sorta di bambola a forma di croce, fatta cun sa lansana, un’erba con i fiori gialli che cresceva in campagna a primavera. Sa puppia mannaghe veniva portata in giro per il paese dei bambini che bussavano alle porte chiedendo unu ticch’e abba pro sa puppia mannaghe ( un goccio di acqua per la puppia mannaghe). Chi apriva prendeva dell’acqua e la gettava

64

Ibidem.

65

AA.VV., Raccontando riti, Editoriale Documenta, Cargeghe, 2011, pp. 120-121.

43


sopra sa puppia come richiamo per la pioggia. Finito il rito si portava tutti insieme sa puppia in campagna e si lasciava li 66.

3.1.2. L’acqua nel battesimo L’amministrazione del battesimo proposta dalla Chiesa, spesso veniva riplasmata in senso magico per assicurare protezione al bambino. Era abbastanza frequente l’uso, per esempio, di somministrare il battesimo in casa, effettuando, nello stesso tempo, la purificazione della puerpera. I sinodi dal 1500 in poi vietavano, eccetto in caso di morte, di somministrare il battesimo dentro le pareti domestiche. Sempre i sinodi insistevano perché i neonati fossero battezzati quanto prima, i termini variavano da tre a sei, otto, nove giorni entro i quali era obbligo battezzare i bambini. Nelle famiglie sarde, il rinvio del battesimo spesso era indotto da motivi di tipo magico. Molti si rifiutavano di far battezzare i propri figli con l’acqua che si benediceva il sabato santo e la vigilia di Pentecoste, se prima in quell’acqua non fosse stato battezzato un altro bambino 67. Tradizione vuole che in molti paesi della provincia di Sassari per impartire il sacramento, ad essere sicuri dell’acqua utilizzata, questa fosse portata direttamente da casa. A Bonnanaro il giorno del battesimo, il padre del bambino insieme ai padrini scelti, ad una giovane ragazza chiamata sa criada, che talvolta poteva essere una nipote, e all’ostetrica, sa mastra ‘e pastu, andavano a piedi in chiesa per la celebrazione del rito. Sa criada, aveva il compito di tenere in braccio il neonato mentre l’ostetrica quello di portare una piccola brocca con dell’acqua tiepida ed un piccolo telo per asciugare il capo del bambino dall’acqua benedetta versatagli dal parroco 68.

66

Ivi, p. 358.

67

M. Atzori, M. M. Satta, Credenze e riti magici in Sardegna, Dalla religione alla magia,

Chiarella, Sassari, 1980, pp. 196-197. 68

AA.VV., op.cit., p. 68.

44


A Cargeghe, invece, il bambino veniva portato in chiese in braccio alla madrina accompagnata dal padre e dal padrino. Inoltre, i genitore sceglievano due bambini che avrebbero portato in chiesa un cero e una caffettiera: il cero rimaneva accesa durante la celebrazione e la caffettiera conteneva l’acqua tiepida che serviva per bagnare la testa del bambino 69. A Chiaramonti, viceversa, la madrina e il padrino andavano a prendere il bambino e con il padre si recavano in chiesa, questi dovevano anche preoccuparsi di portare una teiera d’argento o di porcellana contenente dell’acqua calda. Ad accompagnare il bambino in chiesa era solitamente una vicina di casa o un’amica della mamma 70. Lasciando da parte alcune differenze secondarie si può notare come in alcuni paesi della Sardegna due siano i fattori concordanti nel rito: l’acqua veniva portata da casa e la madre non vi partecipava poiché doveva riprendersi dalle fatiche del parto.

3.1.3. L’acqua nelle tradizioni popolari Molte delle tradizioni popolari legate all’acqua sono di riflesso collegate alla festa di San Giovanni che si svolge, o si svolgeva, il 23 e il 24 giugno. L’usanza della vigilia della festa era s’abba muda (acqua silenziosa) riservata ai bambini e ai ragazzini dai sei - sette anni fino agli undici - dodici. La sera, quando era già buio, dovevano prendere un recipiente qualsiasi, generalmente con il manico in modo che fosse facile da trasportare, e bussare nelle case in giro per il paese. La condizione fondamentale, però, era rimanere in assoluto silenzio, presupposto che dava appunto il nome al rito. Le persone che aprivano le porte e vedevano i bambini capivano subito il loro silenzio e versavano loro un po’ d’acqua nel contenitore. Continuavano a bussare nei portoni del paese fino a che il secchio non era del tutto pieno e poi rientravano 69

Ivi, p. 129.

70

Ivi, p. 144.

45


ognuno nella propria casa, chiaramente sempre in silenzio. Una volta rincasati, potevano di nuovo parlare. L’acqua andava poi travasata all’interno di una bottiglia di vetro chiaro e ad essa veniva aggiunta una chiara d’uovo. Il tutto si lasciava fuori dalla finestra per tutta la notte. La mattina seguente si controllava se all’interno del contenitore si fosse formato un qualsiasi disegno e generalmente dal vetro s’intravedevano le forme più particolari 71. Si conoscono diverse varianti per questo rito, il primo consiste nell’attingere ritualmente acqua da un pozzo osservando un silenzio cerimoniale, e con questa acqua muta si benedicono tutte le case come rimedio contro pericoli e ossessioni

72

. Un’altra variante era chiamata s’abba ‘e sa salude (acqua della

salute) e consisteva nell’andare, con dei barattoli, ad attingere l’acqua dalle fontane e la si portava nelle varie chiese del paese per farla benedire e poi si portava a casa. Durante la notte, fuori dalla finestra, si lasciava una bottiglia piena d’acqua con l’albume, e l’indomani mattina, si osservava la forma che assumeva l’albume 73. Un’altra tradizione riguardava, e riguarda tutt’oggi poiché è ancora in uso, i preparativi delle nozze. Una settimana prima del matrimonio oltre a preparare il pane e i dolci per il ricevimento si provvedeva al trasferimento del corredo nella casa degli sposi. Il corredo veniva messo dentro dei canestri ricoperti di grandi asciugamani ricamati. Sopra si aggiungeva anche del grano, l’edera e sa pruinca (la pervinca, una pianta dal fiore celeste). A guidare il corteo doveva essere la futura sposa che portava una brocca piena d’acqua, del sale e una candela. Doveva entrare così nella nuova casa con, a seguito, tutte le altre donne che tenevano i canestri con il corredo sopra la testa 74. Acqua, sale, grano, e a seconda del paese in cui viene praticato il rito anche un uovo, erano le prime cose che dovevano entrare in una casa nuova come segno di augurio per chi vi sarebbe andato ad abitare. 71

Ivi, pp. 47-48.

72

V. Lanternari, op.cit., p. 156.

73

AA.VV., op.cit., p. 247.

74

Ivi, p. 426.

46


3.1.4. L’acqua nella medicina popolare L’acqua nella medicina popolare era usata in diverse pratiche: nella medicina contro il malocchio, contro lo spavento, contro i vermi, contro la stria (il barbagianni) e addirittura per far ritornare il latte materno. La forma di queste medicine o semplicemente riti consiste nella recita di formule fatte di parole, di comandi, di preghiere, d’invocazioni a Dio e ai Santi. Le persone che praticano questi riti non sono dei maghi, non sono delle fattucchiere, ma sono dei samaritani che aiutano gratuitamente i loro simili 75. Per la preparazione dell’acqua dell’occhio, cioè per curare il malocchio esistono procedure diverse, non solo da paese a paese, ma anche da un operatore all’altro all’interno dello stesso paese. Si tratta, comunque di differenze di dettaglio, perché lo schema del rito terapeutico eseguito dall’operatore presenta un’analogia di fondo, l’elemento base di cui si servono tutti gli operatori è l’acqua. Altri elementi usati, a seconda dell’operatore e della zona, sono: grano, olio, sale 76. La guaritrice prima di procedere chiede per chi è la medicina. Prende un bicchiere con dell’acqua e se non usa acqua benedetta la santifica mettendovi dentro tre grani di sale, mentre fa ciò prega e fa il segno della croce sopra il bicchiere, quindi procede con il rito. La medicina può essere fatta con diverse cose, c’è chi mette dentro l’acqua tre grani di sale o nove chicchi di grano o pezzi di tegola sarda o in sostituzione una pietra levigata, durante l’immersione di uno di questi oggetti fa ripetutamente il segno della croce recitando le preghiere. Tale pratica non si può fare più di tre volte lo stesso giorno e se si tratta di un grave colpo d’occhio và fatta da tre guaritrici diverse che ignorano gli altri interventi. Sarà il numero delle bollicine a rivelare l’intensità del colpo

75

E. Sanna, Is Mixinas Antigas, Per curarsi da soli, vol. I, Editoriale N. Canelles, Iglesias, 2010,

p. 8. 76

N. Cossu, Medicina popolare in Sardegna, Dinamiche, operatori, pratiche empiriche e terapie

magiche, Carlo Delfino editore, Sassari, 1996, p. 61.

47


d’occhio. Di questa medicina la persona colpita da malocchio ne beve un sorso e si bagna i polsi e il collo, dunque è uso buttare ciò che rimane in un posto dove la persona interessata non passi o in un incrocio o dove l’acqua può scorrere. Questa medicina può essere fatta anche per gli animali e le piante 77. Per quanto riguarda la medicina contro la spavento il procedimento è uguale a quello contro il malocchio, l’unica differenza è datta dal fatto che ciò che viene immerso nell’acqua è un pezzo di brace accesa e la gravità del male è rivelata dalla quantità di schiuma e di calore che fuoriesce 78. Nella preparazione della medicina contro i vermi si utilizza un rotolo di filo bianco nuovo e si misura dalla fronte all’ombelico raddoppiando il filo, questo viene tagliuzzato e immerso nell’acqua, se i pezzi di filo galleggiano il mele diagnosticato è quello, se vanno a fondo vuol dire che la persona o gli animali non hanno i vermi. Alla fine del rituale i pezzi devono essere bruciati 79. Nella medicina per far ritornare il latte materno si inizia con il segno della croce, poi si riempie una bottiglia d’acqua di sorgente sempre viva oppure di pozzo potabile. Mettendosi di fronte alla puerpera si tocca il seno dicendo per tre volte le preghiere. Si ripete per tre volte e ogni volta si fa bere l’acqua dalla bottiglia; quella rimanente si ributta nella sorgente o nel pozzo 80. Sa stria è il barbagianni, un uccello notturno che quando passa in un centro abitato e urina causa a molte persone deboli la malattia de sa stria. Questa malattia procura un malessere generale che invade la persone, la priva della sua energia e della sua forza e le paralizza le gambe tanto da impedirle di camminare. Per la cura si usava del filo che fatto e pezzetti si bruciava e la cenere veniva fatta cadere in un bicchiere d’acqua, questa pozione veniva fatta bere all’ammalato. Questa medicina era data come infallibile 81.

77

E. Sanna, op.cit., pp. 25-30.

78

N. Cossu, op.cit., p. 70.

79

E. Sanna, op.cit., pp. 52-55.

80

Ivi, pp. 61-62.

81

Ivi, pp. 73-76.

48


I guaritori detentori di queste conoscenze in ogni paese erano pochi; queste conoscenze venivano trasmessi a persone prescelte quando questi operatori capivano di essere giunti alla fine della loro vita, spesso questo passaggio di testimone avveniva a mezzogiorno del Venerdì Santo.

3.2. La morte Tra i fatti naturali la morte è il fenomeno che spaventa maggiormente e di fronte al quale non c’è alcun rimedio; ciò ha sempre spianato la strada verso paure e crisi per la morte, i morti o gli spiriti dei morti. Questa paura è antica quanto l’uomo e i rimedi per le crisi che produce sono alla base della storia delle culture; i riti funebri istituzionalizzano il riconoscimento culturale della morte fisica. Il Cristianesimo ha risolto la paura umana del decesso considerando questa come una nascita, la vera nascita. In una realtà socio-culturale dove ancora si crede che le anime dei morti ritornino tra i vivi per far loro del male, la risposta adeguata, per vincere la paura che ne deriva, è quella di ricorrere alla pratiche esorcistiche. Nella maggioranza dei paesi sardi si possono ancora raccogliere numerose leggende su allucinazioni e incontri con le anime dei defunti, quindi a livello folkloristico si tramanda una vasta narrativa popolare e una radicata credenza che sarebbe quasi impossibile tentare di eliminarla 82.

3.2.1. La figura dell’accabadora Tra i vari rituali praticati dal popolo sardo trova spazio quello riguardante l’eutanasia; ciò deriva dal concetto che gli anziani avevano sulla giustizia divina. Si credeva, infatti, che se qualcuno avesse perpetuato dei danni a persone e cose con un comportamento scorretto, anche se fosse scampato alla giustizia terrena, avrebbe pagato di fronte alla giustizia divina. Infatti, giunta l’ora estrema, la 82

M. Atzori, M. M. Satta, op.cit., pp.126-129.

49


persona sarebbe rimasta in una sorta di limbo doloroso tra la vita e la morte, e avrebbe protratto gli ultimi giorni in agonia 83. L’unica soluzione che restava per far cessare l’agonia era quella di recarsi da una donna soprannominata s’accabadora. Questa era una donna di misere condizioni, spesso la stessa che nei villaggi curava i malati, faceva nascere i bambini e veniva consultate per varie altre attività. Il rito era tenuto in gran segreto e si suppone che della stessa decisione non ne fossero a conoscenza neanche tutti i membri della famiglia, ma solamente la persona più vicina al malato. S’accabadora si recava nella casa designata di notte con uno scialle calato sul viso, le mani celate sotto lo scialle stringevano una il rosario e l’altra una sorta di martello intagliato nel legno di olivastro; arrivando presso il malato si faceva il segno della croce e poi con un colpo al petto o alla testa portava a termine la sua missione 84. In Ogliastra nessuno ricorda s’accabadora ma tutti concordano sul fatto che se l’agonia si prolungava chiamavano la deina (la divina), la donna toglieva dalle stanza tutte le immagini dei santi e poggiava sopra il cuscino, vicino alla testa del moribondo, un giogo. Gli antichi dicevano che il malato qualche volta moriva subito, in altri casi l’agonia continuava ancora per qualche ora o al massimo un giorno o due; in Barbagia, invece, si diceva gli strangolasse a mani nude 85.

3.2.2. La figura dell’attitadora L’uso di pagare qualcuno per piangere nei funerali è rimasto a lungo in Sardegna, queste donne erano chiamato attitadoras (prefiche) e si recavano nelle

83

S. Delussu, Sregoneria in Sardegna, processione dei morti e riti funebri, La Riflessione

Davide Zedda Editore, Cagliari, 2011, pp. 17-23. 84

Ibidem.

85

Ibidem.

50


case dove c’erano i morti e cantavano, gridavano e si picchiavano. In genere erano sempre le stesse donne che sapevano improvvisare e creare una poesia 86. Le attitadoras erano vestite di nero col corpetto bianco, tipico dei costumi sardi, un lungo mantello calato sulle spalle e le trecce sparse. Quando entravano nella casa dove stava il defunto procedevano in silenzio come se lì non ci fosse nessuno, d’un tratto sollevati gli occhi al morto davano un grido fortissimo, si buttavano il mantello dietro le spalle e iniziavano a lamentarsi, si strappavano i capelli e si graffiavano le guance. Dopo tutto lo scompiglio si faceva silenzio, le donne giacevano per terra e fissavano con uno stato catatonico il cadavere quando d’un tratto una di queste si scuoteva tutta e inizia a cantare 87. Ogni canto era un vestito sopra la condizione della persona per la quale si vedevano attitare, cambiava se si trattava di un giovane, di una bambina, di una vergine, di una madre di famiglia, un padre di famiglia o un vecchio; questi erano improvvisati con alcune rime sempre uguali. A praticare l’arte erano donne povere, senza grande cultura, col solo merito di saper inventare al momento 88.

3.2.3 Presagi di morte Nelle comunità agro-pastorali, la morte si configurava come una presenza familiare, ma, nello stesso tempo, come un evento atteso con un misto di paura e di rassegnazione. L’evento della morte, però, non si abbatteva improvvisamente sulla comunità e sugli individui. Il gruppo sociale aveva elaborato a livello culturale una serie di segni premonitori, da tutti riconosciuti che si pensava annunciassero la conclusione della vita per un qualsiasi membro della comunità 89. 86

Ivi, pp.50-52.

87

Ibidem.

88

Ibidem.

89

M. M. Satta, Riso e pianto nella cultura popolare, Feste e tradizioni sarde, L’Asfodelo

Editore, Sassari, 1982, pp. 264-265.

51


La civetta, s’istria, il gufo, su cuccumiau, il passero solitario, sa solitaria, costituivano un campanello d’allarme, sia che si posassero sui tetti, sia che rivolgessero i loro canti verso un’abitazione. Si credeva che la loro presenza, ed in particolar modo il canto della civetta, presagisse la morte per qualcuno della zona in cui questo canto si diffondeva. A questi uccelli la collettività attribuiva il potere di «sentire l’odore» della morte 90. Al cane si riteneva vedesse, comunicandola poi con i suoi ululati, la presenza dei morti fra i vivi. Meno temuto era invece il verso della gallina poiché era possibile porvi rimedio. Altri elementi turbatori erano considerati: il gallo che cantava prima di mezzanotte, l’apparizione di una stella e la visione di un cerchio rosato intorno alla luna. Queste ultime due rimandavano alla credenza dell’approssimarsi di una morte violenta, la stella richiamava, infatti, la pallottola di un fucile mentre il cerchio rosato uno spargimento di sangue. Incuteva, inoltre, una notevole dose di paura la rottura di un recipiente d’olio, in quanto era diffusa la credenza che l’olio caduto per terra dovesse essere utilizzato per preparare qualche lampada funeraria 91.

3.2.4. Il funerale e il lutto La morte di qualche membro della comunità veniva segnalato dal suono della campane; se a morire era un ricco i rintocchi della campana duravano abbastanza a lungo e venivano chiamati imperiale, se era un povero era detto semplicemente su toccu (il tocco) e durava molto poco, quello che annunziava la morte di un bambino toccu de allegria (suono di gioia) infatti le campane venivano fatte suonare a festa 92. Oltre che nel suono delle campana, l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale era maggiormente rimarcato nel rito funebre che, in rapporto alle 90

Ibidem.

91

Ibidem.

92

O. Pinna, Riti funebri in Sardegna, Gallizzi, Sassari, 1921, pp. 13-14.

52


condizioni economiche della famiglia, si suddividevano in rito di prima, seconda e terza classe. Il rito di prima classe prevedeva la recita degli uffici, la celebrazione della messa cantata celebrata da tre preti che indossavano i migliori paramenti con ricami argentei in rilievo, la croce d’argento e l’accompagnamento sino al cimitero con un numero di soste lungo il tragitto variabile da sette a nove 93. Il rito di seconda classe si svolgeva con la partecipazione di due sacerdoti che indossavano paramenti che si differenziavano, rispetto a quelli indossati per il rito di prime classe, dalla qualità del tessuto e dai ricami, questi provvedevano alla celebrazione della messa cantata e ad effettuare un numero di soste più ridotte che non superavano le cinque. La croce usata era di ottone e l’accompagnamento della bara sino al cimitero richiedeva un ulteriore onere finanziario 94. I poveri dovevano, invece, accontentarsi di una normale messa celebrata da un solo prete. Alcune volte questo non accompagnava il feretro sino al cimitero e si ritirava a metà percorso preceduto dalla croce lignea nera. Quando, invece, arrivava sino al cimitero, lì impartiva l’ultima benedizione poi rientrava in chiesa accompagnato da coloro che l’avevano preceduto nel corteo 95. In Sardegna il lutto era rigorosamente osservato perché ad esso si attribuiva la potenza di alleggerire l’anima del defunto dalle pene dell’altra vita. Il colore usato era il nero e si usava seguire anche un digiuno. Una donna vedova usava non cambiarsi più la camicia, non poteva più uscire di casa e se era proprio estremamente necessario poteva uscire solo la mattina molto presto; le porte le finestre e i mobili della case venivano tinti di nero e dovevano rimanere chiusi. Gli uomini, invece, dovevano lasciare la barba incolta e far crescere i capelli. Il lutto durava da sette a otto anni 96.

93

M. M. Satta, op.cit., pp. 286-287.

94

Ibidem.

95

Ibidem.

96

O. Pinna, op.cit., pp. 44-45.

53


3.2.5. Usanze popolari Appena una persona moriva era usanza che la più stretta parente del morto, accesa una candela benedetta, gli facesse con essa il segno della croce poi gli chiudesse bene la bocca perché si credeva che scappassero dalla bocca dell’estinto i segreti di famiglia. Se moriva una madre si usava tagliarle le unghie e metà dei capelli in modo che la donna non portasse con sé tutta la fortuna di casa. Unghie e capelli erano poi custoditi preziosamente e talvolta venivano portate sempre addosso dal vedovo o dal figlio maggiore 97. La notte, che precedeva il funerale l’uso voleva che vegliassero il morto alcuni parenti e che i medesimi, in suffragio dell’anima sua, facessero la tradizionale cena funebre che consisteva solamente in pane e miele. Finito di mangiare era costume lasciare un po’ della cena per il morto, si credeva infatti che i defunti la notte prima del loro seppellimento avessero piacere di fare un piccolo spuntino 98. Trascorsi sette o nove giorni dalla morte della persona, la famiglia celebrava il rituale su sette o su nobe altrimenti detto sa die de s’imborvida (giorno del dono funebre). In questa occasione veniva distribuito ai poveri pane e carne e lo stesso veniva mandato ai parenti, amici, vicini di casa e a tutte le persone che erano in relazione con il defunto. Chi riceveva il dono funebre aveva l’obbligo morale di recitare un rosario per il defunto; non doveva ringraziare e tantomeno offrire in contraccambio qualcosa. Ma la maggior parte delle usanze in commemorazione dei defunti avvenivano nei primi due giorni di novembre; tutti questi riti avevano dei nomi diversi a seconda del paese in cui si svolgevano ma la schema tipico era identico per tutti.

97

F. Poggi, Usi natalizi nuziali e funebri della Sardegna, Arnaldo Forni Editore, Vigevano,

1897, pp. 95-118. 98

Ibidem.

54


Il primo novembre i bambini andavano in giro per il paese e chiedere delle offerte per i defunti (faghere bene a sos moltos, mori mori) con al seguito un fazzoletto legato nei lembi, in modo da formare una borsa e bussavano alla porta delle case in cui ricevevano dolci, fichi secchi, castagne e prugne secche. La sera in ogni casa si preparava il tavolo dei morti (sa banca e sos moltos) in cui, oltre a un lumicino acceso, si metteva pasta al sugo, in bianco, carne, dolci, vino, tabacco, caffè e tutti ciò che in vita era gradito ai defunti. Tutto eccetto le posate perché si diceva che i morti le avrebbero potute utilizzare per pungere i vivi 99. Il due novembre una volta scoccata la mezzanotte, il popolo credeva che i defunti si aggirassero per il paese e appena la campana iniziava a suonare a morto tutti si facevano il segno della croce e sospendevano le faccende domestiche. Per quel giorno nessuno doveva pettinarsi, spazzare la casa perché i morti si credeva visitassero i loro parenti per questo tutti accendevano lampade nelle case e si recavano in chiesa a pregare 100.

3.2.6. La morte nel Carnevale Come diversi riti propiziatori anche i carnevali sardi esibiscono una vittima. La stessa parola “Carasegare” ricorda il tragico sacrificio perché carre ‘e segare significa “carne viva (umana) da lacerare”. Così i carnevali di Mamoiada, Ottana e Orotelli, ma anche d’altri paesi sono caratterizzati da vittime con sembianza animalesche i più conosciuti sono i Mamuthones 101. La danza dei mamuthones rappresenta un rituale di liberazione; la coreografia consiste in una processione di dodici mamuthones, in fila per due, con le spalle cariche di campanacci di bue, in testa un fazzoletto e il volto coperto con una maschera di legno nero con due occhi sbarrati e un naso 99

AA.VV., op.cit., p. 356-357.

100

O. Pinna, op.cit., p. 45.

101

F. S. Ruiu, Maschere e carnevale in Sardegna, Imago, Nuoro, 2009, p. 5-11.

55


enorme, camminano in colonna con passo ritmico (colpo di spalla destra e battuta del piede sinistro, colpo di spalla sinistra e battuta del piede destro) e fanno rimbombare i campanacci. Intorno a loro girano sei giovani gli issahadores, i guardiani. Durante il rito nessuno parla, il silenzio è rotto soltanto dal rumore dei campanacci. Questa coreografia è un rito di eliminazione da una parte le vittime i mamuthones che vanno incontro alla morte e che sono tenute alla fune dai guardiani issohadores, che impediscono loro di sfuggire alla tragica sorte 102. Altra maschera misteriosa e che conferma i legami della Sardegna con il mondo Egeo è sa filonzana (la filatrice). Presente in quei paesi dove s’inscenano i riti con la vittima del carnevale, era la maschera più temuta perché rappresentava una delle Parche greche, quella della morte. Sa filonzana vestita di stracci con uno scialle nero tiene tra le mani un fuso e il filo rappresenta la vita che lei con le sue forbici è pronta a recidere 103. Alla fine del carnevale si celebra un’altra antica cerimonia pagana, il funerale del carnevale pazzo: un fantoccio fatto di stracci e paglia. Comunque lo si chiami, nelle diverse zone della Sardegna (Giolzi in Logudoro e in Gallura, Maimone in Ogliastra, Coli-Coli in Barbagia, ecc.), egli è sempre un fantoccio pazzo e colpevole e, perciò, dev’essere imprigionato, processato, condannato a morte e bruciato o impiccato o crocefisso o annegato o gettato dentro la fossa, perché egli è la mala sorte, la sfortuna. È naturalmente un rito liberatorio camuffato in cerimonia carnevalesca 104.

102

Ibidem.

103

Ibidem.

104

F. Masala, op.cit., p. 13.

56


Capitolo quarto

Turismo e tradizioni popolari

57


Da diverso tempo, in Sardegna, svariate feste popolari hanno acquistato una certa patine di turisticizzazione. Questo si è verificato attraverso operazioni di tipo promozionale che, quasi sempre, hanno stravolto la tradizione e le funzioni sociali che quelle feste avevano nelle comunità. Come esito si è avuto il formarsi di un mero spettacolo che intrattiene i turisti e la stesse popolazioni locali; entrambi i settori di fruizione rievocano a livello di riappropriazione sentimentale moduli di una realtà culturale che ormai è stata liquidata o comunque è in fase di rapida trasformazione 105.

4.1. Il turismo in Sardegna e problemi di gestione Prodotto

di

grande consumo,

industria polivalente,

vettore di

mondializzazione, il turismo è ormai l’industria più importante e fiorente dell’economia mondiale. Attività tipicamente occidentale nata, in Europa, si è estesa a tutto il pianeta nello spazio di mezzo secolo, grazie alla rivoluzione dei mezzi di trasporto aerei e alla moltiplicazione dei paesi recettori di turisti. A partire dagli anni ’50 del Novecento, la crescita senza sosta di questa particolare forma di nomadismo è uno dei fatti maggiormente significativi dell’epoca contemporanea; in quarant’anni il numero dei turisti internazionali si è moltiplicato per dieci e il 2004 è stato un anno record per il turismo internazionale. Bisogna inoltre sottolineare che la parte di popolazione mondiale coinvolta nel turismo è stimata intorno al 3,5%. In altri termini l’industria è ancora al suo inizio 106. L’avvio del turismo in Sardegna fu possibile soltanto alla fine degli anni ’40 dopo la ricostruzione e in seguito alla programmazione del primo Piano di Rinascita dell’isola che fu connesso all’istituzione della Regione Autonoma a Statuto speciale. Uno dei primi obiettivi fu quello di operare per l’eliminazione 105

M. M. Satta, op.cit., p. 114.

106

G. Sistu, Immaginario collettivo e identità locale, La valorizzazione turistica del patrimonio

culturale fra Tunisia e Sardegna, Franco Angeli Editore, Milano, 2007, p. 11.

58


dello stereotipo della Sardegna come luogo di esilio e di punizione. Per quanto riguarda il patrimonio etnografico si operò per adattare in senso folkloristico feste tradizionali e antiche sagre; in questo modo si poterono valorizzare i caratteri spettacolari delle manifestazioni 107. L’avvento delle Regioni a Statuto Ordinario, la crisi economica, la questione energetica, la problematica dell’ambiente, la sensibilità dell’opinione pubblica sono fattori che hanno contribuito a modificare le scale di valori acquisite e a proporre in termini nuovi il discorso turistico. Il periodo particolarmente intenso di trasformazioni sociali ha avuto i suoi riflessi sul turismo poiché lo ha condizionato particolarmente. Si prende, quindi, finalmente coscienza che il turismo si non può limitare in un ambito strettamente settoriale; si avverte che le possibilità e le modalità del suo sviluppo futuro sono collegate alla possibilità di sviluppo di tutta la società, alla evoluzione del suo sistema di valori e dei suoi modelli di comportamento. Il turismo vive dunque un periodo di transizione, una crisi d’identità 108. Al cuore della domanda turistica vi è la richiesta di servizi di trasporto, di ricettività, di ristorazione, d’informazione, ma al contempo i turisti chiedono di poter godere dell’ambiante naturale, del patrimonio storico-artistico, degli impianti, delle infrastruttura e si aspettano, inoltre di poter fruire di efficienti servizi pubblici, con particolare riferimento a quelli di sicurezza, sanitari e di rete. La stessa domanda, per quanto riguarda le motivazioni dei viaggi turistici, può essere rivolta al soddisfacimento di bisogni di evasione o anche a finalità differenti come il turismo d’affari, religioso, congressuale e culturale. In tutti i casi la domanda turistica, da un punto di vista economico, è connessa allo sviluppo del reddito e al livello di vita individuale in cui essa sorge 109.

107

M. Atzori, Tradizioni popolari della Sardegna, Identità e beni culturali, EDES Editrice

Democratica Sarda, Sassari, 1997, pp. 402-403. 108

G. A. Solinas, Un’isola di vacanze, Per una storia critica del turismo in Sardegna, EDES

Editrice Democratica Sarda, Sassari, 1997, p. 76 109

M. Atzori, op.cit., p. 399.

59


Il turismo, infatti, inteso come svago appagato tramite viaggi in regioni diverse da dove abitualmente si dimora e si svolge l’attività lavorativa, costituisce un’esigenza secondaria, possibile soltanto quando si sono raggiunte condizioni di benessere economico-sociale e di stabilità politica. È nell’ambito di tale realtà che bisogna considerare l’articolazione nelle diverse aree della domanda e dell’offerta, soprattutto quando questa hanno dimensioni elevate e costituiscono un fenomeno di massa 110. Lo studio del turismo, considerato divoratore di spazi, fattore di destrutturazione sociale e di uniformazione culturale, fa notare che sovente l’analisi del fenomeno che esso comporta si riduce alla somma delle sue conseguenze sfavorevoli. Senza alcun dubbio, il turismo gioca un ruolo importante tanto a livello economico quanto a livello socio-culturale e territoriale ma il fatto che esso sia concretamente portatore di rischi o di opportunità dipende dalla maniera nel quale è gestito, il turismo necessita di essere pianificato 111. Parecchie aggettivazione (sociale, sostenibile, responsabile) intendono caratterizzare le politiche per lo sviluppo del settore; tuttavia se la presa di coscienza delle necessità di cambiamento è reale, le misure che ne conseguono non sembrano superare lo stadio delle buone intenzioni. Il degrado dell’ambiente naturale e la crisi d’identità delle popolazioni locali costituiscono alcuni dei problemi che impongono una riflessione sul futuro del settore 112.

4.2. Il turismo culturale Il mercato turistico, per quanto concerne la risorse naturali e culturali si articola secondo due istanze fondamentali: una rientra nell’ambito dei beni naturali (bellezza del mare, delle coste, della montagna ecc.), l’altra interessa la 110

Ibidem.

111

G. Sistu, op.cit., p. 12.

112

Ibidem.

60


sfera dei beni culturali, considerati, da un lato, come vestigia storiche, dall’altro intesi come patrimonio culturale ancora presenti nel sociale e nel vissuto dalle diverse comunità come tradizioni popolari 113. Il tema culturale, non essendo in se stesso un prodotto turistico, dev’essere lavorato e trasformato in prodotto turistico per essere venduto. Il patrimonio, in tutte le sue declinazioni, è chiamato ad esprimere la diversità e l’unicità di chi l’ha prodotto. È attraverso il patrimonio che una località può segnalarsi e distinguersi all’interno del mercato mondiale. Il turismo può servire da mezzo per enfatizzare il valore del patrimonio culturale e riscoprire la tradizione, senza che tutto ciò avvenga esclusivamente in funzione turistica 114. Al di la della complessa definizione del concetto di cultura, si può convenire sul fatto che essa sia il risultato di un lungo processo di interiorizzazione, spesso inconsapevole. Comportamenti, atteggiamenti, valori e visioni del mondo costituiscono un complesso sistema di elementi con cui ognuno di noi deve fare i conti. Questo patrimonio individuale dev’essere tenuto in grande considerazione per capire l’impatto culturale che si verifica al momento dell’incontro tra culture diverse 115. Altro concetto per esprimere il patrimonio culturale è quello di patrimonio immateriale. Questo risponde alla necessità di colmare un vuoto giuridico e d’individuare delle buone pratiche nel campo della protezione della diversità culturale. Il patrimonio culturale immateriale definisce l’insieme della pratiche, rappresentazioni, espressioni, oltre che delle conoscenze che delle comunità riconoscono come facenti parte del proprio patrimonio culturale. Il patrimonio culturale immateriale si manifesta, tra gli altri, nei seguenti settori: le tradizioni ed espressioni orali, compresa la lingua come vettore del patrimonio culturale immateriale; le arti dello spettacolo (la musica, la danza, il teatro); le pratiche sociali, i rituali e gli eventi festivi 116. 113

M. Atzori, op.cit., p. 400.

114

G. Sistu, op.cit., p.18-19.

115

Ibidem.

116

Ibidem.

61


Sul turismo connesso al patrimonio culturali è utile verificare quale sia la collocazione che si è andata elaborando nella domanda turistica. Il problema è complesso perché richiede una riflessione sul processo di trasformazione del fatto folkloristico in fenomeno folkloristico. I beni culturali intesi come tradizioni, essendo socialmente vissuti dalle popolazioni come condizioni essenziali spesso considerate negative come credenze magico-religiose, hanno dovuto attendere, per acquisire un’identica valutazione positiva, che l’attuale sistema

economico-sociale,

eliminando

certe

sacche

di

sottosviluppo,

determinasse la fine del cosiddetto “primitivo” e la trasformazione socioculturale del mondo contadino arcaico; una dimensione tangibile di questa trasformazione è costituita dall’abbandono del costume tradizionale 117. Il fatto folkloristico, infatti, oggi non è più considerato un elemento di arretratezza, ma un qualcosa da recuperare che è parte essenziale della propria identità. In conseguenza di tali interessi si sono formati, in numerose comunità della Sardegna, gruppi folkloristici di giovani che contribuiscono a tenere vive le tradizioni popolari delle diverse zone 118. Tutto ciò perché il turismo lo si propone come passaporto per lo sviluppo ma, a causa di ciò, troppo spesso senza alcuna regolamentazione, si privilegiano strategie quantitative all’interno dei progetti di sviluppo del settore. La standardizzazione

delle

logiche

turistiche

determina

un

effetto

di

semplificazione della complessità territoriale con conseguenza misurabili attraverso forme diverse di disorganizzazione sociale e culturale, l’impropria fruizione dei beni di culto e ancor più grave la banalizzazione del folklore considerati come beni immateriali della cultura 119. Attualmente, nell’isola, si verifica una certa coincidenza tra proposte culturali di tipo etnografico e relativa domanda del mercato turistico. La stagione turistica, infatti, inizia con le prime manifestazioni popolari della Settimana

117

M. Atzori, op.cit., pp. 401-402.

118

Ibidem.

119

G. Sistu, op.cit., p. 13.

62


Santa per concludersi con le grandi feste patronali dell’autunno. In pratica, la feste che, nel passato, servivano a scandire l’andamento dell’annata agraria, attualmente, in quanto attrazioni turistiche, scandiscano l’andamento stagionale dei flussi turistici che giungono nell’isola 120. L’uso come attrazione della cultura popolare da parte dell’industria turistica ha portato a un ulteriore trasformazione da fenomeni folkloristici si è giunti a manifestazioni folkloristiche intese come riproduzioni artificiose di una realtà socio-culturale ormai scomparsa e sostituita da quella del sistema industriale. Per spiegare il fenomeno di mercificazione dei fatti folkloristici si potrebbe ipotizzare che, in tutti i modi, la cultura popolare, lungi dallo scomparire, sarebbe stata in grado di conservarsi nella misura in cui il popolo, inteso come classe subalterna, sarebbe stato capace di elaborare una cultura contestativa che si sarebbe contrapposta a quella dei ceti egemoni. Sarebbe auspicabile che questi beni fossero utilizzati secondo un piano più razionale allo scopo di evitare improvvisazioni estranee alla reale tradizione popolare. Del resto, pur conservando la genuinità essenziale degli antichi fatti folkloristici, nel processo di rifunzionalizzazione e riplasmazione si verifica un loro costante adeguamento alle esigenze contingenti delle diverse circostanze 121. Ciò lo si può notare nella realtà odierna in quanto pare difficile tentare di scoprire i reali elementi di significato delle tradizioni e, anche se si fosse in grado d’individuarli, si nota come ormai essi abbiano perso qualsiasi funzione e nozione che, nel passato, ad essi fosse riservata; certamente ora hanno funzioni e nozioni diverse, perché diversi sono i presupposti economico-sociali e storici che stanno alla base della realtà culturale in generale. È molto probabile che nell’attuale sistema si possano verificare spostamenti nelle date delle feste rispetto al tempo tradizionale. Inoltre, come è noto, il sistema capitalistico, con il suo specifico settore dell’industria turistica e dell’organizzazione del tempo libero, determina nuove particolari funzioni anche in forme di feste popolari 120

M. Atzori, op.cit., pp. 406-407.

121

Ibidem.

63


fortemente tradizionali; se opportunamente organizzate possono diventare un’ottima occasione di attrazione turistica per un certo numero di centri durante il periodo di bassa stagione 122. Dall’altro canto, tali rifunzionalizzazioni non sono le sole che storicamente si sono succedute; si pensi alle trasformazioni frequentemente indotte e volute dal Cristianesimo, nel passaggio dalle società antica a quella medievale, in un primo momento, e dalla Chiesa, nel processo di trasformazione che successivamente si è verificato nel passaggio dalle società medievale a quella borghese. Ma, a dispetto di tutte le trasformazioni strutturali, culturali e storiche, la comicità popolare costituisce l’unica costante che si conserva come struttura essenziale e come risposta valida e positiva nei confronti del risvolto triste e serioso dell’esistenza 123.

4.3. Conservazione e valorizzazione della cultura locale È noto che ogni società, tramite la sua cultura, inscrive nel territorio una dimensione sociale. I tratti culturali, infatti, si proiettano nel territorio, vi si radicano e legano strettamente le vicende storiche e le istituzioni sociali con il contesto fisico. L’associare l’uso umano delle risorse all’idea di conservazione pone in primo piano il ruolo della cultura, si tratta di instaurare un nuovo rapporto con l’ambiente oppure di porre sotto controllo le attività esistenti. Di fronte alla complessità di una crescente e in parte inevitabile mondializzazione, si assiste spesso ad atteggiamenti ambivalenti, da un lato apocalittici e dall’altro troppo semplicistici. L’unico che permetta di vedere, all’interno della dialettica locale/globale, la opportunità di sviluppo delle culture minoritarie e di favorire la

122

M. M. Satta, op.cit., pp.84-85.

123

Idibem.

64


creazione di strategie di sopravvivenza nel cambiamento è un atteggiamento realistico e critico allo stesso tempo 124. In proposito si deve parlare di “mondo-culture” quale risultato dell’incontro scontro tra localizzazione e mondializzazione. Alcuni vedono soltanto l’aspetto negativo in questa dialettica, ovvero un eccessivo allentamento del senso sociale, locale e territoriale e non tengono conto che anche la condotta economica ha un supporto sociale che non può essere trascurato, infatti, gli studi antropologici mostrano che la cultura non si produce nel vuoto ma ha bisogno delle persone e che l’economia, essendo un elemento della cultura, ne è espressione integrante al pari di tutti gli altri elementi. In realtà, solo apparentemente in maniera contraddittoria, la mondializzazione delle economie fa emergere nelle società moderne aspirazioni comunitarie e nuove differenziazioni. In sostanza contro la minaccia di deterioramenti, le culture locali fanno valere le loro ragioni. Ad imporsi, così, sono nuovi scenari culturali per i quali gli studi antropologici attuali tentano di approntare modelli interpretativi capaci di coglierne il senso e direzione 125. Se l’antropologia in passato ha rappresentato la cultura di una società e di un territorio con connotazioni ben definite, ora si trova di fronte il difficile impegno di rappresentare spazi meno localizzati o, comunque, riferibili a panorami più variegati. Questo è il compito che si assume oggi nell’affrontare lo studio delle culture locali, di cogliere le vite umane nel loro ambiente che però non possiede più quegli spazi di localizzazione e territorializzazione che esso poteva avere una volta. Proprio per questo i ricercatori contemporanei sono interessati a quel gioco di incroci tra tradizioni e moderno che è in atto nelle dinamiche locali; la sfida dunque, nell’affrontare la realtà, è oggi quella di vedere anche la globalità come una globalità plurale, che ha in sé molti mondi differenti e peculiarità culturali in mutamento da valorizzare. All’interno di

124

G. Mondardini Morelli, Miti della natura Mondi della cultura, Turismo, parchi e saperi locali

in Sardegna, EDES Editrice Democratica Sarda, Sassari, 2000, pp. 85-87. 125

Ibidem.

65


questa sfida suggerire proposte per dare valore a luoghi della memoria e patrimoni culturali può essere la strada giusta da percorrere per evitare che l’incontro conflittuale con il globale produca oblio, abbandono o vane invenzioni identitarie 126. Il turismo può e deve essere protagonista della strategie di sviluppo. Si tratta di operare verso strategie di lungo termine, nelle quali la popolazione locale assuma il ruolo di attore principale dello sviluppo turistico. Tutti i progetti di sviluppo economico e sociale che non tengano conto allo stesso tempo dell’ambiente naturale e culturale di una popolazione rischiano di fallire. Il paradigma dello sviluppo dev’essere declinato a livello locale: un prodotto turistico separato dalle specificità culturali di un territorio non può rispondere alle necessità della popolazione locale. La specificità culturale accentua le dialettiche identitarie che conducono alla pesa di coscienza si sé e degli altri 127. Sostenibilità, efficacia, responsabilità, etica: il nuovo cammino che il turismo è invitato a seguire impone nuove prospettive. Bisogna orientarsi verso strategie che contemplino la collaborazione delle popolazioni e il loro consenso, legando la protezione del patrimonio culturale al perseguimento dello sviluppo delle attività economiche. Ridurre la pressione sulle comunità locali e non soltanto sull’ambiente è diventata un’esigenza. Come già sottolineato, il turismo è un fenomeno ambivalente: può contribuire positivamente allo sviluppo socioeconomico e culturale, me può anche causare deterioramento dell’ambiente e perdita dell’identità culturale 128. Il turismo, ridotto a una semplice attività commerciale, retto dalle leggi del mercato, non potrà mai rispondere alle necessità delle popolazioni locali e, in prospettiva, alle logiche della sostenibilità. Ogni strategia di sviluppo turistico che si ponga sostenibilità e redditività come obiettivi deve preservare le

126

Ibidem.

127

G. Sistu, op.cit., pp. 14-17.

128

Ibidem.

66


specificità

culturali

della

regione

ed

evitare

qualsivoglia

alterazione

folklorizzante 129. Il turismo insiste sulle dinamiche di omologazione prodotte dalla globalizzazione ma non può diventare il capro espiatorio della perdita di diversità culturale. A seconda del modo nel quale è progettato e gestito, il turismo può essere motore di una redditizia rivitalizzazione culturale, creando delle opportunità economiche che spingono le popolazioni locali a recuperare manifestazioni e tracce di una storia sacrificata alle necessità dello sviluppo economico 130.

129

Ibidem.

130

Ibidem.

67


CONCLUSIONI La volontà di voler realizzare questo lavoro è nata principalmente dalla curiosità di volermi avvicinare alle affinità che accomunano la cultura sarda e quella spagnola, attraverso l’osservazione del linguaggio e lo studio delle tradizioni popolari. È nata anche dal voler dimostrare come sia possibile mettere sullo stesso piano due realtà linguistiche così vicine ma anche così distanti come lo spagnolo, che oltrepassa i confini nazionali della Spagna fino ad arrivare ad estendersi all’America Latina, parlato da milioni di persone e riconosciuta come lingua ufficiale, e il sardo, considerato lingua minoritaria e parlato esclusivamente nella piccola regione del mar Mediterraneo che è la Sardegna. Ho voluto offrire il mio seppur piccolo contributo alla conoscenza di identità che, se non considerate e giustamente valorizzate andrebbero perdute per sempre. L’ho fatto a partire dalle tematiche dell’acqua e della morte: è stato interessante e piacevole raccogliere informazioni a riguardo, non solo attraverso libri e dizionari, ma in particolar modo dalla voce di chi ha potuto raccontare un’esperienza di vita o un ricordo che fosse legato a questi due temi. Un lavoro da cui ho imparato il complesso mondo di significati racchiuso dentro le locuzioni elaborate a partire da un elemento naturale qual’è l’acqua e da un tema molto difficile da trattare che racchiude in se gioia e dolore come la morte. L’acqua e la morte inglobano valori simbolici contrastanti, sia in Spagna che in Sardegna. Dall’acqua come elemento essenziale per la vita all’acqua intesa come pioggia ed elemento purificatore protagonista di numerosi riti sacri e pagani, nonché la morte intesa come espressione di dolore per la fine di un qualcosa e di serenità se contestualizzata nella realtà religiosa nella speranza di una nuova vita, come anche ogni anno ci propongono i riti carnevaleschi che tra riso e pianto nella loro simbologia ci ricordano che deve riiniziare ininterrottamente la sequenza morte-rinascita. In entrambe le lingue è possibile reperire interessanti locuzioni relativamente alle accezioni di significato segnalate in precedenza. Nella

68


maggior parte dei casi si è riscontrato una corrispondenza assoluta di significato e di forma, che testimonia una larga base di tradizioni popolari comuni; talvolta, invece, non si è riuscita a trovare alcuna corrispondenza, nonostante in questi casi le locuzioni rimandassero a una caratterizzazione dell’acqua e della morte condivisa a livello di senso comune. Quello che ho tentato di abbozzare qui è l’espressione di un piccolo vecchio mondo paesano che la civiltà e il progresso non hanno risparmiato. Ma è bello rievocare quei cari ricordi del passato, che non sono arido folklore, ma rappresentano il vecchio cuore di un popolo generoso e buono che, pur nella sua fedeltà alle sue tradizioni, guarda fiducioso al suo avvenire.

69


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RINGRAZIAMENTI Alla fine di questo lavoro non posso far altro che ringraziare ed esprimere la mia riconoscenza alla prof.ssa Marta Galiñanes per la massima disponibilità dimostrata nei miei confronti, per la lettura critica di tutti i capitoli della tesi e per avermi guidato con i suoi suggerimenti e consigli che mi hanno aiutato ad intraprendere ogni volta la scelta migliore. Un ringraziamento va inoltre alla prof.ssa Maria Margherita Satta per aver contribuito alla realizzazione di questo mio lavoro e avermi affiancato e appoggiato nelle mie scelte. Uno dei miei primi pensieri non può che essere rivolto alla mia famiglia: a mia madre, a mio padre e a Vincenzo per essermi stati vicini e per aver permesso sia i miei studi che la realizzazione e la stesura di questa tesi; a loro ma anche a mia nonna, ai miei zii, a mio padrino e a mia madrina va tutta la mia stima e la mia riconoscenza nell’avermi continuamente spronato ad andare avanti per poter realizzare quello che è il mio sogno. Un enorme GRAZIE per tutte quelle volte che, vedendomi presa e a volte un po’ preoccupata dai libri, dagli esami e da questa tesi, mi hanno incoraggiata con l’aiuto implicito o esplicito che è venuto dal loro cuore. Ringrazio Lucia, che con estrema pazienza ha sopportato i miei sbalzi d’umore e le mie paranoie quando, sotto stress, mi sfogavo in modo particolare con lei. Se ho raggiunto questo traguardo lo devo anche alla sua continua presenza, per avermi fatto capire che potevo farcela, incoraggiandomi a non mollare mai. Come non ringraziare poi tutte le mie amiche e i miei amici, soprattutto quelli che in questo ultimo e non facile periodo mi sono stati accanto, anche semplicemente con la loro presenza fisica. Ma la mia gratitudine è rivolta anche a quegli amici con i quali il rapporto è meno intenso, ma ugualmente significativo.

73


Desidero ringraziare infine tutte quelle persone con le quali ho iniziato e trascorso i miei studi, a quelle che ho incontrato per nel mio percorso, con cui ho scambiato

qualche pensiero,

qualche idea,

qualche risata,

all’interno

dell’Università. In maniere differenti hanno contribuito nel mio percorso formativo aiutandomi a credere in me stessa, suscitando in me nuovi interessi e soprattutto mi hanno suggerito, direttamente o indirettamente la modalità per poterli raggiungere. A Tutti voi MILLE GRAZIE.

74


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