Effetti dell'immaginario di Bosch nella letteratura spagnola

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A.D. MDLXII

U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ

DI

L INGUE

E

L ETTERATURE S TRANIERE

___________________________

CORSO

DI

LAUREA

IN

LINGUE

E

LETTERATURE MODERNE EUROAMERICANE

EFFETTI DELL’IMMAGINARIO DI BOSCH NELLA LETTERATURA SPAGNOLA

Relatrice: PROF.SSA CATERINA LIMENTANI VIRDIS

Correlatrice: PROF.SSA LAURA LUCHE

Tesi di Laurea di: GIOVANNA M ARIA S ANNA

ANNO ACCADEMICO 2010/2011



Indice INTRODUZIONE

3

CAPITOLO 1 LE ARTI SORELLE

6

CAPITOLO 2 BOSCH IN SPAGNA

26

2.1 Influenza sul piano pittorico

50

2.2 L’oblio

54

2.3 La riscoperta

58

CAPITOLO 3 FRANCISCO DE QUEVEDO Y VILLEGAS

62

3.1Prologo e sueño del Juicio Final

68

3.2 El alguacil endemoniado

72

3.3 Sueño del Infierno

74

3.4 El mundo por dentro

77

3.5 Sueño de la Muerte

80

CAPITOLO 4 BALTASAR GRACIÁN

84

1


CAPITOLO 5 FRANCISCO AYALA

100

5.1 Assonanze tra l’opera di Ayala e quella di Bosch

108

CAPITOLO 6 CAMILO JOSÉ CELA

122

CONCLUSIONI

142

BIBLIOGRAFIA

145

2


Introduzione Il presente lavoro si propone principalmente di valutare l’effetto che l’opera di un grande ed enigmatico artista fiammingo come Hieronymus Bosch, vissuto a cavallo tra Medioevo e Rinascimento, ha avuto nella letteratura spagnola. Sul suo conto non possediamo che scarse notizie biografiche ma ciò che è certo è che nacque e lavorò a ‘s Hertogenbosch, cittadina periferica del Ducato del Brabante, a cuideve il proprio nome. Nessun documento in nostro possesso riesce a provare che si sia mai allontanato dalla sua città natale ma ciò nonostante, le sue opere furono apprezzate ed esportate nel resto d’ Europa, in modo particolare in Spagna. I due Paesi erano legati da rapporti politici e commerciali per cui la presenza di opere fiamminghe sul suolo spagnolo non deve stupirci. Ciò che invece affascina e che ha sempre affascinato gli studiosi è l’accettazione del suo stravagante mondo da parte dei re cattolici, i qualidimostrarono per lui un apprezzamento profondo, testimoniato dal gran numero di esemplari tuttora presenti nel Paese e che possono essere ammirati nei musei della capitale. La stima e la curiosità per le operedi Bosch non si esaurirononel Seicento ma proseguì nei secoli a seguire tanto che il suo nome compare diverse volte nella letteratura spagnola, menzionato non solo dai critici e gli storici dell’arte ma anche dai romanzieri e i commediografi che, pur non essendo specialisti nel campo delle arti figurative, sentirono curiosità ed ammirazione per l’artista fiammingo, di cui mantennero vivo il ricordo attraverso i secoli. Come si vedrà,

3


infatti, la stima per Bosch perdurò nel tempo tanto che, anche in epoca contemporanea, continua ad affascinare ed ispirare gli scrittori spagnoli. Un altro aspetto piuttosto rilevante per la presente trattazione, sul quale ci è parso doveroso soffermarsi ancor prima di valutare la portata dell’effetto della sua opera nella cultura e nella letteratura spagnola, è il rapporto che sussiste tra le arti, in particolare trala pittura e la letteratura. Di questa relazione si è sempre parlato fino a giungere nel Rinascimento all’idea delle arti sorelle, la quale suggerisce una stretta corrispondenza ed implica un fitto scambio fra le rispettive tecniche creative. Come si vedrà, affrontare una comparazione tra un’opera letteraria e una pittorica non è semplice, e il solo fatto che uno scrittore abbia in mente un certo quadro nel momento in cui scrive non implica necessariamente una corrispondenza tra le opere in questione. Per affermare l’esistenza di un rapporto tra le opere è necessario rilevare nella loro diversità di mezzi espressivi una similarità di struttura e di messaggio ed è quello che si è cercato di fare nei testi critici a seguire in cui, di volta in volta, si è individuato sia nei ricorsi stilistici che nelle tematiche affrontate, una corrispondenza con l’opera bosciana. Il primo capitolo è dedicato ad una rassegna di trattatisti che, partendo dall’antichità fino al periodo contemporaneo, si sono occupati dell’intreccio tra pittura e letteratura, interrogandosi se e in che modo le due arti interagiscono tra loro. Nel secondo capitolo invece è offerta una panoramica di quello che fu l’effetto delle stravaganti opere di Bosch sul suolo spagnolo. Ci si è soffermati a descrivere le principali vie di penetrazione della sua arte e l’evolversi della sua immagine

4


nella mentalità e nel gusto ispanico ma soprattutto è stato messo in evidenza l’effetto che il suo stile ebbe in ambito letterario, facendo riferimento a quegli scrittori che nei secoli si sono lasciati ispirare dalle sue opere. Nei successivi capitoli, invece, si è scelto di soffermarsi sull’analisi critica dei testi di quattro scrittori, due di epoca barocca, Quevedo e Gracián e due contemporanei, Francisco Ayala e Camilo José Cela e di vedere, caso per caso, in che modo le bizzarre figurazioni di Bosch hanno influito sulle loro opere, sia dal punto di vista tematico che stilistico. I suddetti scrittori sono stati scelti sia perché nelle loro opere il riferimento a Bosch è esplicito sia perché il confronto ha portato a riscontrare quell’interscambio tra le arti di cui si è parlato nel primo capitolo. Come si vedrà, la corrispondenza tra le opere è stata rilevata sia dai confronti stilistici sia dalla similarità di messaggio che si cifra nella critica alla società loro contemporanea, resa attraverso la descrizione degli aspetti più degradanti che la caratterizzano.

5


Capitolo 1 Le arti sorelle La relazione tra letteratura e arti visive è stata da sempre oggetto di numerose speculazioni che hanno dato vita a teorie e considerazioni contrastanti da parte dei teorici della letteratura e degli storici dell’arte. Tutte le epoche si sono interrogate sul rapporto tra le due discipline ma è nel Rinascimento che si radica l’idea delle arti sorelle tanto che quasi tutti i trattati d’arte e letteratura, che appaiono tra la metà del XVI e la metà del XVIII secolo, si soffermano sulle molteplici relazioni che intercorrono tra pittura e poesia. Si riteneva, infatti, che le arti sorelle differissero nei mezzi e nei modi di espressione ma che fossero quasi identiche nella loro natura fondamentale, nel contenuto e nel fine. Si citava spesso il detto, attribuito da Plutarco a Simonide di Ceo, che la pittura è poesia muta e la poesia pittura parlante, invocando, in questo modo,

uno stretto

rapporto tra le due arti. Il raffronto spesso si risolveva in un’associazione così stretta che non è infrequente imbattersi in critici che si riferiscono ai poeti come a pittori o che asseriscono che la pittura possa essere citata tra le arti liberali solo in virtù della sua stretta associazione con la poesia. Tali

equiparazioni,

tipiche

dell’Umanesimo,

erano

condizionate dal profondo interesse che l’epoca in questione nutriva nei confronti dei classici e si rifacevano a due antichi trattati letterari: la Poetica di Aristotele e L’Ars Poetica di Orazio, la cui autorità era garanzia sufficiente per un

6


accostamento che Rensselaer Lee, nel suo celebre saggio Utpictura poesis, definisce opinabile1. Dalla Poetica di Aristotele provengono alcune delle teorie più diffuse

tra

i

critici

rinascimentali.

Egli

riconosceva

nell’imitazione il principio di tutte le arti. Ma l'imitazione può essere fatta con modi e mezzi diversi e può rappresentare diversi oggetti. Difatti si può imitare per mezzo di colori e forme come avviene nella pittura, per mezzo della voce come nella poesia, o per mezzo del suono come nella musica. “Come alcuni imitano molti oggetti riproducendone l’immagine con il colore e il disegno ed altri con la voce, così tutte le arti […] compiono l’imitazione”.2

Più precisamente, l’oggetto dell’arte (tanto per i poeti come per i pittori) è la natura umana in azione: Poiché chi imita, imita persone in azione, queste non possono che essere serie o dappoco […] persone cioè o migliori di noi, o peggiori di noi, o come noi (così anche i pittori: Polignoto li rappresentava migliori, Pausone peggiori e Dioniso simili).3

Inoltre Aristotele stabiliva un interessante parallelismo tra il “farsi”

della

tragedia,

il

cui

nucleo

è

l’intreccio,

successivamente arricchito dalla delineazione dei caratteri, e il processo esecutivo dei dipinti, nei quali la forza del disegno prevale e non può essere sostituita dai più bei colori accostato senza una precisa ratio: Il principio dunque, e per così dire l’anima della tragedia, è la trama; al secondo posto vengono i caratteri - capita lo 1

Secondo Lee sia Aristotele che Orazio, infatti, nelle loro opere proponevano interessanti analogie tra le due arti, senza però identificarle come fecero poi i critici del Rinascimento e del Barocco. “The saying attributed by Plutarch to Simonides that painting is mute poetry, poetry a speaking picture, was quoted frequently and with enthusiasm; and Horace's famous simile ut pictura poesis - as is painting so is poetry - which the writers on art expected one to read "as is poetry so is painting," was invoked more and more as final sanction for a much closer relationship between the sister arts than Horace himself would probably have approved.” Cfr. R.W. Lee, Ut pictura poesis, W.W.Norton, New York, 1967, pp. 10-11. 2 Aristotele, Poetica, Editori Laterza, Bari, 2007, p.3. 3 Ivi, p.5.

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stesso che nella pittura: se si versano a caso i più bei colori, non si ottiene lo stesso piacere che se si disegna in bianco un’immagine.4

In questo modo l’autore non solo stabiliva un paragone che poi nel Rinascimento venne ampiamente sfruttato, ma adombrava anche il primato del disegno, che diverrà uno dei cardini della critica d’arte fiorentina del Cinquecento.5 L’Ars Poetica oraziana, in cui rintracciamo due correlazioni esplicite tra pittura e poesia, offriva anch’essa validi punti d’appoggio alla dottrina delle arti sorelle. La prima si trova all’interno di un brano nel quale il poeta latino descrive una pittura piuttosto grottesca. Si tratta di una testa umana alla quale viene assemblato il collo di un cavallo e, a seguire, membra di fattezze molto diverse, ognuna ricoperta di piume variopinte. Tale assurda figura è accostata ad un libro le cui immagini prive di costrutto sembrano nascere dai sogni di un febbricitante, nei quali né capo né piedi si accordano alla figura compiuta. Afferma però Orazio, e qui stabilisce il paragone poi sfruttato nei trattati rinascimentali, che da sempre i pittori come i poeti ebbero la facoltà di osare. Credete a me, Pisoni, a un dipinto siffatto somiglierebbe un carme le cui immagini si formino vane, come sogni d’infermo, così che né piedi né capo si accordino in una sola chiara figura.Ai pittori e ai poeti è stata sempre giustamente riconosciuta la facoltà di intraprendere qualsiasi audacia.6

La seconda correlazione, contenuta in un brano successivo, è quella da cui fu tratta la celebre analogia Ut pictura poesis, uno dei capisaldi dell’estetica rinascimentale.

4

Ivi, p.15. Barocchi ci fornisce un’ampia rassegna di scritti di artisti, letterati, filosofi e religiosi attraverso i quali intende illustrare l’evoluzione cinquecentesca della teoria dell’ut pictura poesis a partire dalle fonti classiche rappresentate da Aristotele, Orazio e Plutarco e ci segnala che fu Leonardo da Vinci il primo a rivendicare il primato della pittura sulla letteratura. Cfr. P. Barocchi (a cura di), Scritti d’arte del Cinquecento, tomo I, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, 1971, p. 13. 6 Orazio, Tutte le opere, Sansoni Editore, Firenze, 1970, p.531. 5

8


Nel brano in questione il poeta latino, invocando per i critici una maggiore flessibilità di giudizio, sosteneva che la poesia deve essere giudicata allo stesso modo della pittura, la quale possiede non solo uno stile definito, che richiede un esame accurato, ma anche uno sommario, impressionistico, che può essere apprezzato solo se ammirato da una certa distanza. Una poesia è come un quadro: ce ne sarà uno che ti prende di più visto da vicino e un altro da lontano: questo preferisce la penombra, quello che non teme l’acume severo del critico vuole essere guardato in piena luce; l’uno piace una volta, questo sempre che si riguarda.7

In questo brano Orazio è in realtà lontano dal voler stabilire un’analogia formale tra le due arti e si rifà alla similitudine con la pittura semplicemente per dimostrare che nel giudicare una poesia bisognerebbe essere flessibili come quando si giudica un quadro. Come osserva Mario Praz in Mnemosine “altro non diceva se non che avveniva di certe poesie come di certi quadri, che alcune piaccion una volta sola, altre resistono a ripetute letture e indagini critiche”.8 Altre osservazioni, riguardanti più specificamente la poetica, influenzarono l’arte della pittura e lo sviluppo della dottrina dell’ut pictura poesis. Orazio sottolineava l’importanza degli elementi formali e consigliava lo studio delle tecniche dei poeti di successo. Nel Rinascimento Alberti stabilirà un paragone tra le due arti sostenendo

appunto

che

la

qualità

delle

tecniche

è

fondamentale alle due discipline e Lomazzo si preoccuperà di codificare le conoscenze tecniche a beneficio dei giovani pittori. Inoltre Alberti incoraggerà i pittori a studiare la poesia, la storia, la teologia e la filosofia antica e contemporanea.

7 8

Orazio, op. cit., p.547. M. Praz, Mnemosine, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1971, p.10.

9


Ma la tradizione classica del parallelo tra le due arti non si limita ad Orazio e Aristotele. Un altro esempio di questo raccordo è l’èkphrasis, la cui elaborazione retoricarisale alla cultura alessandrina. Con tale termine si intende la descrizione verbale di un'opera d'arte visiva, come ad esempio un quadro o una scultura. La descrizione ecfrastica era il banco di prova della bravura del poeta, capace di “far vedere” al lettore l’oggetto della sua descrizione, così come riuscirebbe a fare un pittore. Per questo l’èkphrasis è considerata la somma di entrambe le arti, la loro sintesi perfetta. L’èkphrasis più celebre in assoluto è senza dubbio la descrizione dello scudo di Achille, contenuta nel canto XVIII dell’Iliade, e i critici, rinascimentali e non, la considerano fondatrice del genere. Se però in Omero l’èkphrasis si presenta come descrizione virtuale, essendo lo scudo di Achille totalmente immaginario, in epoca più tarda, con i sofisti, essa divenne sia descrizione di opere realmente esistenti oltre che pratica educativa di ampio utilizzo. Allenandosi a descrivere i capolavori d’arte, infatti, gli allievi si esercitavano nella scrittura. Il Rinascimento fu l’epoca che vide la pubblicazione, specialmente in Italia, dei più importanti trattati d’arte, tra i più noti, Leon Battista Alberti, De Pictura (1436), le cui teorie anticipano per molti versi quelle del pieno Cinquecento; il Trattato della pittura di Leonardo (1498), e ancora, il Dialogo della pittura intitolatol’Aretino (1557) di Giovanni Ludovico Dolce e il Trattato dell’arte della pittura, scoltura, et architettura (1585) di Paolo Lomazzo.

10


Inseriamo qui un breve excursus delle loro posizioni, diverse anche se fondate sulle stesse fonti arcaiche (Aristotele, Orazio, Plutarco ecc.). Lo snodo del transito verso la modernità del parallelo tra le due arti è rappresentato dalle posizioni di Leon Battista Alberti. Nel De pictura egli propone una nuova concezione del pittore, non più artigiano ma artista e intellettuale. La sua attività non è più limitata alla fase di esecuzione materiale dell’opera ma si estende anche alla fase ideativa ed egli possiede una solida formazione umanistica, addirittura un sapere enciclopedico. La teoria del pittore letterato, “fratello gemello del poeta letterato”9, si ispira al prototipo del doctus poeta dell’antichità, e fu un’importante elemento della dottrina dell’ut pictura poesis. Già Petrarca prima di Alberti aveva applicato alle arti figurative una terminologia relativa alle categorie stilistiche e, nel medesimo tempo, il vocabolario letterario era stato invaso da

termini

appartenenti

al

campo

pittorico.

Tale

contaminazione terminologica condusse a una contaminazione di concetti.10 Viceversa, Alberti, nel definire gli scopi che deve porsi il pittore, attinge alla nota classificazione ciceroniana del docere, delectare, movere.11 Oltre a ciò, la struttura del De pictura non è dialogica, come lo era quella dei trattati contemporanei, bensì argomentativa e 9

R. Lee, op. cit., p.70. C. Corti, Omero e Zeusi, ovvero le arti sorelle (o cugine) nell’estetica del Rinascimento, op. cit., p.10. 11 J. R. Spencer, Ut Rhetorica Pictura: A Study in Quattrocento Theory of Painting, J. of the Warburg and Courtauld Institutes, 20,1. 10

11


risente appunto della suddivisione ciceroniana del discorso (exordium, narratio, confirmatio e peroratio). Non solo la struttura, ma anche il contenuto del De pictura è influenzato dalla retorica classica, leggiamo infatti che “Picturam in tres partes dividimus, quam quidem divisionem ab

ipsa

natura

compertam

habemus:

circumscriptio,

compositio, receptio luminum” in cui ritroviamo un parallelo con le tre parti del discorso, inventio, dispositio ed elocutio, le quali corrispondono all’individuazione del soggetto da rappresentare, alla delimitazione dei piani e alla ripartizione tra luci ed ombre. Tuttavia l’accostamento più certo tra le due arti lo troviamo nel momento in cui Alberti introduce il concetto di historia, che consiste nell’incentrare l’attenzione non sull’oggetto in sé ma sul discorso che lo commenta. Al primato della forma è sostituito quello del racconto per cui non si può fare a meno di introdurre nel discorso figurativo figure proprie del discorso linguistico. In questo modo il trattato assorbe concetti e termini retorici quali copia, varietas, dignitas, gravitas. Nella sensibilità dei teorici del tempo la pittura è una vera e propria lingua, con una propria grammatica. Come le lettere si compongono fino a formare sillabe e le sillabe formano le parole, così le superfici compongono figure e le figure compongono il quadro.12 La nozione di historia servì a favorire l’accostamento tra le arti sorelle perché la riduzione della pittura a racconto permette al teorico dell’arte di illustrare le proprie argomentazioni con esempi letterari. Il pittore trae insegnamenti dal poeta, così come avviene in Lodovico Dolce e il suo esempio del ritratto 12

Cfr. C. Corti, op. cit.

12


di Alcina. Nel Dialogo della Pittura, intitolato l’Aretino scrive: Ma se vogliono i pittori senza fatica trovare un perfetto esempio di bella donna, leggano quelle stanze dell’Ariosto, nelle quali egli descrive mirabilmente le bellezze della fata Alcina; e vedranno parimenti quanto i buoni poeti siano 13 ancora essi pittori.

Il teorico veneziano prende a modello un pittore poiché l’oggetto della sua analisi non è tanto il quadro in sé quanto il discorso che dal quadro è sottinteso,

non tanto il dipinto

quanto il discorso che dal dipinto è portato avanti. Come si è detto, Alberti invitava scrittori e poeti a migliorare la loro arte prendendo spunto dalle istoriae narrate dagli scrittori antichi. Così citava l’esempio il quadro perduto del pittore Apelle, descritto nei Dialoghi di Luciano. Consiglio ciascun pittore molto si faccia famigliare ad i poeti, retorici e agli simili dotti di lettere, già che costoro doneranno nuove invenzioni, o certo aiuteranno a bello componete sua storia, per certo acquisteranno in sua pittura molte lode e nome.14

E, citando l’esempio del pittore Fidias, conclude: Fidias, più che agli altri pittori famoso, confessava avere imparato da Omero poeta dipingere love con molta divina maestà. Così noi, studiosi di imparare più che di guadagno, dai nostri poeti impareremo più, e cose più utili alla pittura.15

Lodovico Dolce, autore del primo importante trattato umanistico sulla pittura del Cinquecento, esprime delle posizioni sostanzialmente simili a quelle di Alberti. Autore in gioventù della traduzione dell’Ars Poetica, riteneva che non solo i poeti ma tutti gli scrittori sono pittori e che qualunque componimento poetico o prosastico è pittura. I due

13

P. Barocchi (a cura di), op. cit., p. 298. Alberti, De pictura, tratto daC. Corti, op. cit. 15 Ibidem. 14

13


artisti (pittore e poeta) sono per lui “quasi fratelli”16 perché entrambi si dedicano all’imitazione della natura. Come per Aristotele però si tratta di un’imitazione ideale, l'arte è imitazione non di ciò che è ma di ciò che potrebbe essere. Scrive Dolce: “Deve adunque il pittore non solo procacciar non solo d’imitar, ma di superar la natura”.17 Tale imitazione ideale può essere raggiunta in due modi. Il primo è di carattere selettivo e consiste nel prendere a modello direttamente la natura, scegliendo le parti più belle da diversi soggetti individuali, così come fece Zeusi nel ritrarre Elena. Dolce, come già Alberti prima di lui, racconta tale fortunato aneddoto al fine di chiarire la sua concezione sull’arte. Pare che il pittore Zeusi, consapevole di non riuscire a trovare una modella degna di rappresentare la bella Elena, pensò di convocare cinque stupende fanciulle e di ciascuna di esse raffigurare la parte più rimarchevole per poi riunirle in un insieme armonico. Il significato di tale aneddoto è che l’arte è in grado di creare la bellezza perfetta, superando addirittura la natura. L’altro, di carattere esclusivo, consiste nell’utilizzare un solo modello, il più perfetto che esista. Purtroppo un artista moderno non potrà mai trovare tale esempio di perfezione per cui, partendo da un soggetto presente in natura, dovrà poi correggerlo basandosi sullo studio dell’antico. E’ stato detto che il De Pictura di Alberti risente dell’influsso della retorica classica. La stessa osservazione può essere fatta a proposito del trattato di Dolce in cui leggiamo che l’opera del pittore si divide in tre momenti: inventione, disegno e colorito, le quali corrispondono alle prime tre divisioni dell’arte della 16 17

Ivi, p.290. Ivi, p. 297.

14


retorica (inventio, dispositio,elocutio) essendo l’inventione la scelta del materiale, il disegno/dispositio l’abbozzo al discorso o al quadro ed infine il colorito/elocutio il risultato finale del lavoro. Nel 1585, in piena epoca manieristica, Giovanni Paolo Lomazzo pubblicava il Trattato d’arte delle pittura, scoltura, etarchitettura, con il quale intendeva codificare le conoscenze tecniche acquisite nelle epoche precedenti a beneficio dei giovani pittori che vivevano in un’epoca che egli considerava degenerata.18 Per Lomazzo queste conoscenze abbracciavano non soltanto l’ambito strettamente pittorico ma anche lo studio della letteratura e la storia della pittura e scultura che avrebbero dovuto servire loro da esempio, sulla scia della nuova immagine del pittore proposta a suo tempo da Alberti. Lomazzo considera pittura e poesia nate da un medesimo parto e addirittura non ritiene che debba essere chiamato pittore un artista che non sia allo stesso tempo poeta. La

conoscenza

dell’arte

poetica

era

da

lui

ritenuta

indispensabile: un secolo prima Alberti aveva sostenuto che il pittore Fidia, stimato grandissimo, avesse appreso la propria arte attraverso la lettura di Omero. Per Lomazzo i pittori sono come i poeti soprattutto perché l’oggetto delle loro opere è costituito dalle imprese illustri degli eroi, per cui non esiste un pittore che non sia contemporaneamente poeta.19 Come già accennato, il Rinascimento fu l’epoca in cui il dibattito sul confronto tra le due arti si fece acceso. Critici d’arte e letterati scrivevano per affermare la superiorità 18 19

R. Lee, op. cit., p.9. Ivi, p.30.

15


dell’una o dell’altra arte. La pittura, che all’epoca godeva di grossi riconoscimenti, come mai prima di allora, poteva annoverare tra suoi difensori Leonardo che, nel Trattato della Pittura, definisce la poesia un’arte ladra, svuotata di qualsiasi valore artistico.20 La pittura serve a miglior senso e più nobile della poesia, la qual nobiltà è provata essere tripla alla nobiltà di tre altri sensi […] perché chi perde il vedere, perde la veduta e la bellezza dell’universo.21

La pittura è, secondo Leonardo, arte perfetta e che riproduce con realismo la realtà essendo l’occhio il miglior strumento di conoscenza. Allo scopo di avvalorare tale tesi, Leonardo paragona le due arti nella rappresentazione di una battaglia: Se tu, poeta, figurerai la sanguinosa battaglia, si sta con la oscura e tenebrosa aria, mediante il fumo delle spaventevoli e mortali macchine, mista con la spessa polvere intorbidatrice dell’aria, e la paurosa fuga de’ miseri spaventati dalla orribile morte. In questo caso il pittore ti supera, perché la tua penna sarà consumata, innanzi che tu descriva appieno quel che immediate il pittore ti rappresenta con la sua scienza. E la tua lingua sarà impedita dalla sete, e il corpo dal sonno e dalla fame, prima che tu con parole dimostri quello che in un istante il pittore ti dimostra […]. Lunga e tediosissima cosa sarebbe a la poesia ridire tutti li movimenti degli operatori di tal guerra, e le parti delle membra, e loro ornamenti, delle quali cose la pittura finita con gran brevità e verità pone innanzi.22

L’unica funzione che Leonardo riconosce alla poesia è quella mimetica: “Solo il vero officio del poeta è di fingere parole di gente che ‘nsieme parlino”.23 La poesia ha senso solo in quanto linguaggio ma il linguaggio ha di per sé una dimensione ristretta, composta di parole, la cui espressività è più lenta e meno efficace di quella pittorica.24

20

Cfr., F. Mazzara, Il dibattito anglo-americano del Novecento sull’èkphrasis, in Intermedialità ed Ekphrasis nel Prerffaellitismo: Il caso Rossetti Napoli,Università di Napoli, Napoli, 2007 21 P. Barocchi, op. cit., p. 246. 22 Ivi, pp. 236-237. 23 Ivi, p.237.

16


La pittura domina non solo sulla poesia ma su tutte le arti, essendo l’unica in grado di arrivare all’armonia e mantenerla. Solo la musica può gareggiare con la pittura ma la sua breve durata le

impedisce

di

trionfare poiché

mentre una

rappresentazione pittorica resta fissa ed immutabile, l’armonia musicale svanisce con la stessa rapidità con cui si forma, con la dissoluzione dei suoni che la compongono. In ogni caso la musica è superiore alla poesia in quanto riesce a creare un’armonia, seppure temporanea. L’armonia musicale esiste nel concreto mentre quella poetica dovrebbe formarsi nella mente del lettore a cui spetta comporla con la propria immaginazione. Se mettiamo quindi assieme i tre elementi della comparazione notiamo che per Leonardo la poesia deve confrontarsi non solo con la pittura ma anche con la musica poiché queste sono rispettivamente le arti della descrizione del corpo e dell’espressione delle passioni. Pittura e musica rappresentano insieme la natura, la prima attraverso la rappresentazione delle forme e la seconda per mezzo della rappresentazione dei sentimenti dell’animo. Alla poesia non resta che rivaleggiare con le due suddette discipline, sia nella descrizione che nell’espressione.25 Seguendo questo filo di elaborazioni critiche, Mario Praz sostiene che il Rinascimento assicurò alla pittura la vittoria nel paragone con la sorella poesia, vittoria testimoniata dagli sforzi dei poeti nel gareggiare coi pittori e dal fiorire della letteratura degli emblemi, che divenne una vera e propria moda nel Seicento.26 L’emblematica era una forma perfetta di unione tra immagine e testo, e favoriva l’idea di omologia tra le due arti. 24

Cfr. F. Mazzara, op. cit., p.95. C. Corti, op. cit., p.96. 26 M. Praz, op. cit., p.13. 25

17


“Così da pittura a poesia, da poesia a pittura, si passava a quei tempi per transizioni talmente impercettibili, da non avvertire quasi il trapasso”.27 Venne però il Settecento e a questo punto gli intellettuali presero a interrogarsi sul confine fra le due arti. A questo secolo risale, infatti, il fondamentale contributo di Lessing, il Laokoon, con cuisi ha una significativa svolta nella tradizione dell’ut pictura poesis. Leggiamo nel Laokoon: Ma proprio come se non ci fosse affatto una tale differenza, molti dei modernissimi critici d’arte han tratto da quella coincidenza della pittura e della poesia le più triviali conclusioni del mondo. Ora costringono la poesia nei limiti più stretti della pittura, ora lasciano che la pittura riempia tutta l’ampia sfera della poesia. Tutto ciò che va bene per l’una, dev’esser concesso anche all’altra; tutto ciò che nell’una piace o dispiace deve necessariamente piacere o spiacere anche nell’altra; e, pieni di questa idea, esprimono nel tono più risoluto i giudizi più superficiali, quando nelle opere del poeta o del pittore su uno stesso argomento, considerano lo scostarsi che vi osservano dell’uno o dell’altro come un errore, che mettono a carico dell’uno o dell’altro, a seconda che hanno più gusto per la pittura o per la poesia.28

Lessing, rendendosi conto dei pericoli di un teorizzare astratto “che portava a perdere i contatti con la realtà della produzione e della critica d'arte”,29 non negava le possibili coincidenze tra le due discipline poiché sin da subito, a proposito degli antichi, precisa: “Ma limitando l’espressione di Simonide all’effetto delle due arti, non dimenticarono di accentuare che, non ostante la perfetta somiglianza di quest’effetto, esse erano tuttavia diverse tanto negli oggetti quanto nel genere della loro imitazione”,30 riconoscendo quindi le due discipline identiche

27

Ivi, p.19. G. E. Lessing, Laocoonte, G.C. Sansoni, Firenze, 192?, pp. 2-3. 29 F. Mazzara, op. cit., p.9. 30 G. E. Lessing, op. cit. p. 9. 28

18


nel loro scopo. Ciò che invece criticava era il modo in cui queste hanno tentarono reciprocamente di emularsi. Il suo obiettivo era quello di chiarire la confusione tra l’arte temporale della poesia e quella spaziale della pittura e di disegnare un sistema estetico basato sulle differenze tra le due discipline. Riteneva che l’oggetto proprio della pittura fossero i corpi, mentre le azioni lo erano della poesia, di conseguenza la prima non può che rappresentare corpi, la seconda le azioni. La poesia, però, si serve delle azioni anche per rappresentare i corpi che tali azioni compiono, viceversa la pittura, quando si trova alle prese con un'azione, cerca di coglierne il momento pregnante. La poesia rappresenta anche i corpi ma solo simbolicamente per mezzo di azioni. La pittura nelle sue composizioni coesistenti può solo utilizzare un unico momento di azione, e deve quindi scegliere il più essenziale.31 La poesia utilizza segni semantici arbitrari, cioè suoni verbali condizionati non dalla natura ma dal sistema linguistico, i quali sono articolati in successione temporale ed esprimono azioni. La pittura invece utilizza una simbologia naturale, costituita da figure e colori, i quali si collocano nello spazio e possono rappresentare soltanto le proprietà sensibili dei corpi. Abbiamo detto che anche la pittura è capace di rappresentare azioni, ma deve limitarsi a un unico momento, il più pregnante, mentre i segni verbali consentono al poeta di rappresentare il divenire dell’azione intera. La critica di Lessing si rivolge essenzialmente alle forme di arte mista, rappresentata dagli emblemi del Barocco e dalla 31

Ivi, p. 99.

19


poesia descrittiva tipica del Settecento. Quest’ultima era una pratica di scrittura letteraria che, partendo dalla pittura, cercava di applicarne metodi e tecniche all’arte verbale. A proposito del Barocco, colpevole di aver impiegato,

in modo

inopportuno, le figure allegoriche quasi in funzione di commento letterario alle opere figurative, scrive:“Anzi, questa pseudo critica ha in parte sedotto anche gli stessi virtuosi. Essa ha prodotto nella poesia la mania della descrizione e nella pittura quella dell’allegoria”.32 E, riprendendo il famoso detto attribuito a Simonide di Ceo, precisa: […] poiché si è voluto far di quella un quadro parlante, senza in realtà sapere che cosa essa possa o debba dipingere, e di questa una poesia muta, senza aver meditato in che misura essa possa esprimere concetti generali, senza allontanarsi dalla sua missione e diventare una maniera convenzionale di scrittura.33

Concludendo, dunque, il saggio di Lessing, minacciando una dottrina antica come quella dell’ut pictura poesis, raccoglieva le riflessioni più polemiche rispetto alla questione della relazione fra letteratura e arti figurative. La tentazione di indagare il mistero della corrispondenza tra le varie arti però non si è mai esaurita del tutto e di tanto in tanto è riaffiorata nella fantasia degli artisti.L’ékphrasis, infatti, ha continuato ad essereoggetto di teorie che si interrogano sulla relazione tra le arti sorelle e nel Novecento il dibattito sui confini e i punti di incontro tra letteratura ed arti figurative ha visto protagonisti autorevoli contributi quali quello di Michel Focault e di Mario Praz.

32 33

Ivi, p. 3. Ibidem.

20


La riflessione estetica di Foucault si concentra nel decennio che va dal 1963 al 1973, periodo durante il quale il filosofo tenta una ricostruzione storico-archeologica delle pratiche del sapere. Il suo discorso porta al superamento dei modi dell’ékphrasis tradizionale. Nell’introduzione alla sua opera, egli annuncia la crisi del valore rappresentativo della parola, e dunque la crisi della rappresentazione avvenuta nell’ epoca moderna, in cui non c’è più, come in epoca classica, rassomiglianza tra la scrittura e le cose. Tale crisi è rappresentata dal celebre quadro di Velázquez, las Meninas, in cui l’oggetto della rappresentazione, ovvero i due sovrani, la cui immagine intravediamo nello specchio, è a stento rappresentata. La legge della rassomiglianza, che regolava il campo epistemologico

del

periodo

arcaico

in

una

continua

correlazione di similitudini tra la scrittura e le cose, crolla nel XVII secolo per lasciare il posto a una teoria della rappresentazione. Tra le parole e le cose non esiste più alcuna somiglianza: un sistema di segni rappresenta il reale secondo uno schema prefigurato di relazioni. Foucault si pone in modo critico rispetto al rapporto tra visibile e dicibile e nella sua celebre descrizione di Las Meninas, afferma: Ma il rapporto da linguaggio a pittura è un rapporto infinito. Non che la parola sia imperfetta e, di fronte al visibile, in una carenza che si sforzerebbe invano di colmare. Essi sono irriducibili l’uno all’altra: vanamente si cercherà di dire ciò che si vede: ciò che si vede non sta mai in ciò che si dice; altrettanto vanamente si cercherà di far vedere, a mezzo di immagini, metafore, paragoni, ciò che si sta dicendo: il luogo in cui queste figure splendono non è quello dispiegato dagli occhi, ma è quello definito dalle successioni della sintassi. Il nome proprio, tuttavia, in questo gioco non è che un artificio: permette di additare, cioè di far passare furtivamente dallo spazio in cui si parla allo spazio in cui si guarda, cioè di farli combaciare comodamente l’uno

21


sull’altro come se fossero congrui. Ma volendo mantenere aperto il rapporto tra il linguaggio e il visibile, volendo parlare a partire dalla loro incompatibilità e non viceversa, in modo da restare vicinissimi sia all’uno che all’altro, bisognerà allora cancellare i nomi propri e mantenersi nell’infinito di questo compito.34

Nell’impossibilità di avvicinamento dei due mezzi, che ricorda molto quella teorizzata da Lessing, la descrizione rappresenta un possibile espediente che consente di passare, seppur furtivamente, dallo spazio in cui si parla allo spazio in cui si guarda.35 Praz intitola la sua opera Mnemosine,Mnemosine era nel mito, non solo la personificazione della memoria, ma anche la leggendaria madre di tutte le arti. In questa opera sui confini tra letteratura e arti visive, Praz si interroga sul rapporto tra le cosiddette arti sorelle cercando di stabilire una similarità di struttura

in

mezzi

espressivi

diversi.

Ipotizza

che

probabilmente il tema della corrispondenza tra le varie arti sia stato spesso preso per il verso sbagliato, che si sia trascurato un fatto ovvio, rimasto per tanto tempo sotto gli occhi di tutti ma mai notato da nessuno. Praz cita l’esempio di Vladimir Ja. Propp, professore russo che, in una stessa serie di favole,

che pur contenevano

personaggi diversi, evidenziò una certa identità di azione. A differenza di Croce, per il quale il variare dei contenuti corrisponde a un’irriducibile varietà di fatti espressivi, Propp aveva osservato che la differenza dei personaggi non deve oscurare la presenza di un medesimo intreccio. Praz quindi paragona i personaggi delle fiabe ai mezzi espressivi, osservando che se i primi possono variare lasciando

34 35

M. Foucault, Le parole e le cose, Bur, 1985, p.23. Crf. F. Mazzara, op. cit., p. 23.

22


intatta la funzione di base, allora lo stesso può essere detto dei mezzi espressivi. Essi variano ma la struttura resta la stessa. Il tema del parallelo tra le discipline artistiche non è “una fantasia pseudo-scientifica”36 sostiene Praz rifacendosi al saggio di Antonio Russi, L’arte e le arti e alla sua definizione di “memoria estetica”. Russi parte dalla constatazione che “nell’esperienza normale in ogni senso sono contenuti, attraverso la memoria, tutti gli altri sensi”37 e applica tale proposizione all’esperienza estetica, affermando che ogni arte contiene tutte le altre arti. Praz precisa che non si tratta di una “grossolana traduzione”38di un’arte in un’altra arte poiché i colori e le forme che la musica può suggerirci non possono essere scambiati con i colori e le forme che invece un dipinto può rappresentare direttamente. Russi sostiene che le sensazioni concomitanti, suscitate in noi dalla percezione di un’opera d’arte, non si realizzano per via dei sensi né per via delle altre arti ma solo ed esclusivamente nella memoria. Questa non ha nell’arte una funzione sussidiaria o di soccorso, come avviene nella vita normale ma è essa stessa l’Arte, in cui tutte le arti si riuniscono, allo stesso modo di Mnemosine che nel mito antico è la madre delle muse. Oggetto dell’arte, che nella vecchia estetica dell’imitazione era esterno, offerto ai sensi, si rivela nella nuova estetica interno, stato d’animo. E, dato che i sensi sono esclusi, tale oggetto non può essere offerto che dalla memoria. Praz cita Wordsworth che, nel definire la poesia come emozione ricordata nella tranquillità, ne evidenziava l’aspetto della memoria.39

36

Ivi, p. 64. A. Russi, L’arte e le arti, Nistri Lischi, Pisa, 1960, pp. 18-37. 38 Ibidem. 39 Ivi, op. cit., p.64. 37

23


Russi stabilisce le caratteristiche della memoria estetica sottolineando come prima cosa la sua irrealizzabilità sul piano dei sensi. Le sensazioni concomitanti che si provano attraverso la percezione di un’opera d’arte non possono che restare memoria e possono essere rivissute solo attraverso di essa. Quando contempliamo un’opera d’arte, a seconda della materia che è stata impiegata per realizzarla, essa afferra un lato del nostro stato d’animo e, attraverso la memoria, suggerisce tutti gli altri aspetti di esso. A differenza dei sensi, le arti non collaborano direttamente tra loro ma operano ciascuna in un campo particolare poiché, se collaborassero così come fanno i sensi, si ostacolerebbero l’una con l’altra. L’esperienza estetica però permette di giungere ad esprimere tutta l’arte per via di una sola, il che è l’esatto contrario di ciò che accade nell’esperienza sensibile in cui un oggetto può essere realizzato solo grazie all’intervento di tutti i sensi. La grandezza di un’opera d’arte consiste nella facoltà lasciata alla memoria di stabilire, partendo dai dati sensibili di una determinata arte, un certo margine di indeterminazione per tutto il resto. Qui sta la differenza tra memoria pratica e memoria estetica: mentre nella prima le sensazioni immaginate possono essere sostituite dalle

corrispondenti sensazioni

vissute, la memoria estetica resta sempre sostanzialmente memoria perché le sensazioni che essa offre alla coscienza non potranno essere sostituite da alcuna sensazione vissuta. Praz conclude il suo discorso citando un esempio offerto da R. F. Storch40 che nota una certa affinità tra il pittore Constable e il contemporaneo poeta Wordsworth. I due artisti, si ispirano direttamente alla natura e il risultato del loro lavoro presenta 40

R. F. Storch, Studies in Romanticism, tratto da M. Praz, op. cit. p.66.

24


una similarità dove di solito non la si cerca né la si nota. L’uno impiega il disegno, l’altro narra occasioni e movimenti ma l’utilizzo di differenti mezzi espressivi non impedisce ai due di comunicare la stessa impressione sulla santità della natura41ed è appunto questo il nodo del discorso Praz, convinto che nell’idea delle arti sorelle ci sia “qualcosa di più profondo di un’oziosa

speculazione”,42

“quasi

che

indagando

quei

misteriosi rapporti tra le varie arti si arrivasse più vicino alla radice del fenomeno dell’ispirazione artistica”.43

41

Cfr. M. Praz, op. cit., p. 67. Ivi, p.9. 43 Ibidem. 42

25


Capitolo 2 Bosch in Spagna Hieronymus Bosch (1450 ca.-1516) nacque e trascorse tutta la sua vita a ‘s Hertogenbosch, cittadina periferica del Ducato del Brabante, l’odierna Olanda. Ciò nonostante, le sue opere furono acquistate ed esportate in tutta Europa, basti pensare che tra i suoi collezionisti c’erano Domenico Grimani,44 cardinale di San Marco, il portoghese Damião de Goís45 e Doña Mencia de Mendoza,46 moglie di Hendrik III di Nassau, presso il quale prestò servizio Pedro de Guevara, padre di quel Felipe47che possiamo considerare il primo commentatore di Bosch in terra spagnola. Attualmente, un buon numero dei suoi quadri sono conservati in Spagna, presso il museo del Prado di Madrid e nel monastero di San Lorenzo de El Escorial.48 La lunga permanenza della sua opera (la maggioranza dei pezzi fu 44

Domenico Grimani (1461-1523) fu cardinale di San Marco e noto umanista. Possedeva una delle migliori collezioni d’arte di Venezia che Marcantonio Michiel visitò nel 1521. Apprezzava l’arte fiamminga di cui possedeva, oltre ad alcune opere di Bosch, dipinti di Hans Memling e Joachim Patinir. 45 Damião de Goís (1502- 1574) membro di una nobile famiglia portoghese, aveva da parte di madre origini fiamminghe. Visse a lungo nei Paesi Bassi dove lavorò come uomo diplomatico e d’affari e dove condusse i suoi studi di latino e diritto. Fu uno dei primi possessori del trittico delle Tentazioni di Sant’Antonio, oggi conservato nel Museu de Arte Antiga de Lisbona. 46 Doña Mencia de Mendoza (1508-1554) , figlia del Marchese di Cenete, fu una donna di grande cultura, interessata all’arte fiamminga. Dopo il matrimonio con Henrik III di Nassau, proprietario del Giardino delle delizie, visse nelle Fiandre. Di Bosch, possedeva varie opere, come testimonia l’inventario dei suoi beni, datato 1548. Cfr. Doña MencÍa de Mendoza y su residencia en el Palacio del Real en Valencia, in Archivo Español de arte, LXXXIV, 333, 2011, pp. 59-90, p. 85. 47 Felipe de Guevara (Bruxelles, 1500-Madrid, 156) fu gentilhombre de Boca presso la corte dell’ imperatore Carlos V e fece parte del gruppo di intellettuali al servizio di Felipe II, del quale influenzò il gusto artistico. Si distinse come antiquario, numismatico ed esperto d’arte. Figlio di Diego de Guevara, consulente presso Felipe el Hermoso, Margarita d’ Austria e Carlos I, Felipe è ricordato soprattutto per aver contribuito a diffondere la conoscenza dell’opera di Bosch in Spagna che egli vede attraverso un punto di vista classico, equiparandola ai Gryllos. Con Gryllos intendiamo combinazioni umane, animali o vegetali, conosciuti nel Medioevo attraverso Plinio il Vecchio, il quale descrisse la caricatura di un certo Gryllos (porcellino) realizzata dal pittore egiziano Antiphilis. Su Felipe de Guevara vedi Vázquez Dueñase, Felipe de Guevara, Algunas aportaciones biográficas, in Anales de Historia del Arte, 18, 95-110, Universidad Complutense de Madrid, 2008. 48 Si precisa che anche il museo Lázaro Galdiano di Madrid conserva un’opera di Bosch, si tratta del San Giovanni Battista in meditazione, di datazione incerta.

26


importata ben cinque secoli fa) testimonia una profonda ammirazione e una piena accettazione del suo gusto ma va considerato il fatto che nei secoli XV e XVI, uno stile dall’immaginario così esuberante non poteva non sollevare dubbi e timori di carattere morale. In un Paese come la cattolicissima

Spagna

vari

elementi

ostacolavano

l’accettazione delle sue opere: innanzitutto la presenza di temi profani,49

inoltre,

il

fatto

che

molte

delle

opere

rappresentavano il peccato in maniera decisamente esplicita, persino accattivante,50 infine, la loro connessione con l’arte e la cultura olandese,51che ne complicava ulteriormente la comprensione. Nonostante tutti questi elementi a sfavore, però, l’arte di Bosch venne assimilata così profondamente nel gusto

49

Carl Justi divide le opere di Bosch in tre tipi: quelle ispirate a temi sacri, quelle derivate da proverbi o scene di genere e i “sogni” Cfr. C. Justi, Die Werke des Hieronymus Bosch in Spanienin Jahrbuch der königlichen Preuszischen Kunstsammlungen, X, 1889, pp. 121-144. 50 I dipinti di Bosch hanno da sempre appassionato i suoi fruitori ma allo stesso tempo sono stati spesso sollevati dubbi riguardo alla moralità delle sue bizzarre figure. Attorno al 1560, Felipe de Guevara lamentava il fatto che Bosch fosse considerato solo “un inventor de monstruos y quimeras” e, solo cinquanta anni più tardi, lo storico dell’arte Carel van Mander descriveva i suoi quadri come “meravigliose e singolari fantasie”. In tempi recenti, ricordiamo le teorie di Franger che considerava Bosch come un appartenente alla setta eretica dei Fratelli del Libero Spirito e il Giardino delle delizie un’illustrazione delle pratiche dei suoi adepti. De Guevara F., Comentarios de la pintura, Madrid, 1788. Van Mander C., Das Leben der niederlandischen und deutschen maler, Haarlem, 1604. 51 A questo proposito è opportuno citare Dirk Bax, il quale dimostrò che i quadri di Bosch sono spesso rappresentazioni di proverbi e modi di dire tipici del folclore olandese. Disponiamo inoltre di recenti studi condotti da Eric De Bruyn, basati sulle scoperte di Domien Roggen. I due studiosi hanno concentrato la loro attenzione sull’influsso che la letteratura e la lingua olandese hanno avuto sull’arte di Bosch. In particolare, Roggen invita gli studiosi dell’olandese medio a contribuire agli studi su Bosch e Bruegel mentre De Bruyn analizza il Trittico del fieno, concentrandosi sul ruolo dei proverbi e dei giochi di parole del Middle Dutch. Per il nostro discorso sulla diffusione delle opere bosciane in terra spagnola, è importante sottolineare che, nonostante De Bruyn sottolinei l’importanza dell’influsso della cultura brabantina, d’altra parte, citando Laurinda Dixon, precisa che il pubblico di Bosch non era limitato ai conoscitori dei dialetti olandesi. Bibliografia di riferimento: D. Bax, Hieronymus Bosch: His picture-writing deciphered, Abner Schram, Montclair, N J, 1979 E. De Bruyn, Hieronymus Bosch’s Garden of Delights Triptych, The Eroticism of its central Panel and Middle Dutch, in Jheronimus Bosch. His Sources. 2nd International Jheronimus Bosch Conference May 22-25, 2007, Jheronimus Bosch Art Center, 's-Hertogenbosch, 2010. L. Dixon, Bosch, Phaidon, New York-London, 2003, p. 114. D. Roggen, Het verklaren van het werk van Bosch en Bruegel, in Nieuw Vlaanderen, 1936, pp. 6-7. Isabel Mateo Gómez, citando la tesi di Roggen, sostiene che i proverbi olandesi, che tanta parte hanno per la comprensione di Bosch, hanno dei corrispondenti negli altri Paesi europei, Spagna compresa, il che favorì l’accettazione e la diffusione delle sue opere, in I. Mateo Gómez, El Bosco en España, CSIC, Aguirre, Madrid, 1991, p. 12.

27


spagnolo fino al punto che si diffuse l’errata credenza che voleva il pittore di ‘s Hertogenbosch originario in realtà di Toledo.52 Secondo Miura,53 l’interesse che si diffuse in Spagna per Bosch, non è che una conseguenza della notorietà raggiunta dalle sue opere a livello internazionale. In Italia, ad esempio, ad

occuparsi

dell’artista

fiammingo

furono

Vasari,

Guicciardini e Lomazzo,54 i quali associarono la sua opera al mondo onirico, assurdo e fantastico. Vasari, nella seconda edizione delle Vite,55 pubblicata nel 1568, cita Bosch due volte. Nella prima descrive una stampa di san Martino, pubblicata posteriormente alla morte dell’artista da Hieronymus Cock56 e che egli attribuisce a “Jheronimus Bos inventor”. Nella seconda, invece, semplicemente menziona “Girolamo Bos di Ertoghen“ e “Pietro Breughel di Breda” tra gli inventori di “fantasticherie, bizzarrie, sogni e immaginazioni”. Nel Trattato dell' arte della pittura, invece, pubblicato nel 1584, Giovanni Paolo Lomazzo fa riferimento a “Girolamo Boschi fiamengo”, il quale, nel rappresentare “orridi sogni”, fu

unico, “singolare” e “veramente divino”.57 Infine,

Guicciardini, in Descrittione di tutti i Paesi Bassi lo definisce

52

Si tratta di José Martínez, citato da Sánchez-Cantón: “En esta ciudad de Toledo hubo un pintor, hijo de ella, que dicen estudió mucho tiempo en Flandes, y volviendo a su patria, viendo muchos pintores que le aventajaban en hacer historias y figuras con más estudio que él, dio por un rumboy cosas tan raras y nunca vistas, que solIán decir: el disparate de Gerónimo Bosc, que así se llamaba no porque debajo de ellas no hubiese cosas de gran consideración y moralidad”. Cfr. F.J. Sánchez-Cantón, Fuentes literarias para la historia del arte español, Bermejo, Madrid, 1923, vol. 3, p. 75. 53 E. Martínez Miura, El impacto de El Bosco en España, in Cuadernos Hispanoamericanos, Madrid, 471, 1989, pp. 115-121. 55

Cfr. G. Vasari, Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri, 1568, tomo VII, p. 168 , tomo XV, p. 160 56 Jeronimus Cock (Anversa 1510-ivi 1570) fu un pittore, incisore e editore fiammingo. E’ ricordato come uno dei più importanti editori di incisioni del Seicento. Il suo lavoro contribuì enormemente a diffondere la conoscenza dell’arte fiamminga in Europa. 57 G. P. Lomazzo, Trattato dell'arte della pittura, scoltura et architettura, Paolo Gottardo Pontio, Milano, 1585, p.348.

28


“inventore nobilissimo et maraviglioso di cose fantastiche e bizzarre”.58 Oltre alla fama europea, una ulteriore via di penetrazione dell’arte bosciana furono i rapporti che la Spagna intrattenne coi Paesi Bassi già dall’epoca dei Trastamara. Isabel Mateo Gómez59descrive le relazioni tra i due Paesi affermando che li legavano intensi scambi commerciali. Dalla Spagna, infatti, partivano per le Fiandre prodotti come lana, cuoio, pelli, grano, olio e miele che venivano scambiati con prodotti manifatturieri e opere d’arte. In seguito, i rapporti tra i due Paesi divennero ancora più stretti grazie alla politica matrimoniale adottata dai re cattolici e in particolare attraverso alle nozze tra Juana I de Castillae Felipe de Habsburgo. I monarchi spagnoli, sostiene Gómez, apprezzavano moltissimo la pittura fiamminga, così come dimostrano le collezioni possedute da Isabel la Católica.60 Furono quindi i rapporti politico-commerciali che legavano le Fiandre alla Corona spagnola e l’apprezzamento dei monarchi a rendere possibile l’arrivo delle pitture bosciane in Spagna, che nella maggioranza dei casi venivano acquistate ma in alcuni casi furono sottratte con la forza come avvenne con L’Adorazione dei Magi, confiscata dal Duca d’Alba per volere di Felipe II.61

58

L. Guicciardini, Descrittione di M. Lodovico Giucciardini patritio fiorentino, di tutti i Paesi Bassi, altrimenti detti Germania Inferiore, al gran’ re cattolico Filippo d’Austria, Apresso Guglielmo Silvio, Anversa, 1567, p. 98. 59 I. Mateo Gómez, La pintura flamenca en El Escorial: Roger van de Weyden, Jherónimus Bosch, Peter Bruegel, Joachim Patinir. in El monasterio de El Escorial y la pintura, Actas del simposium, 1/5, 9 2001, EDES (Ediciones Escurialenses) Real Monasterio, Madrid, 2001, pp. 7-32. 60 Cfr. J.L.V. Brans, Isabel la Católica y el arte hispanoflamenco, Madrid, 1952; F.J.Sanchez Cantón, Libros, tapices y cuadros que colleccionó Isabel la Católica, 1952; X. de Salas, La pintura flamenca en las colecciones escurialenses, en El Escorial, 1563, 1962, Centenario de la fundación del Monasterio de San Lorenzo el Real, Madrid, 1963, vol. III, p. 419. 61 E. Martínez Miura, op. cit., p. 117.

29


Ancora prima del cattolicissimo sovrano, la Corona spagnola aveva dimostrato di apprezzare lo stile bosciano. Felipe el Hermoso, che regnò dal 1504 al 1506, nel 1504 commissionò una tavola del Giudizio Universale che purtroppo è stata smarrita ma della quale possediamo ancora la lettera di commissione, oggi conservata negli archivi di Lille, e che fu scritta da Simón Longin, uno dei suoi collaboratori: A Jerónimo van Aken, llamado Bosch, pintor que vive en Bois-le-duc, la suma de treinta y seis libras, en prenda y pago de lo que pudiera debérsele por un gran cuadro de pintura de nueve pies de alto, por once de largo, donde debe estar el Juicio de Dios; a saber: paraíso e infierno que Monseñor había mandado hacer para su doble entretenimiento.62

Secondo Sánchez Cantón63 anche Isabel de Castilla e Isabel la Católica possedevano alcune creazioni de El Bosco. Pare che quest’ultima attribuisse molta importanza ai dipinti che ritraevano scene religiose e, in un inventario della sua collezione, vengono menzionate varie opere di Bosch.64 Non solo, ma il padre di Felipe II, Carlos V, era anch’egli favorevole all’uso dei dipinti per funzioni votive. Quando trasferì la sua residenza al monastero di Juste, con l’intenzione di trascorrervi gli ultimi anni della sua vita in preghiera e meditazione, trasse con sé alcune opere di Bosch che, in seguito, furono trasferite a El Escorial per volere del figlio Felipe.

62

Citato da L. Quintanilla, E. López Sobrado, De pintura: vidas comparadas de artistas PUbliCan, Ediciones de la Universidad de Cantabria, Santander, 2008, p. 168. 63 Sánchez Cantón ci ha lasciato un elenco dei beni appartenuti ad Isabella di Castiglia. Tra le opere che vennero ritrovate in un baule ad Arevalo era presente un piccolo pannello raffigurante una donna nuda coi capelli lunghi e le mani unite. Il pannello reca nella cornice una placca con la scritta “Jeronimus” in caratteri neri, ed era stimata cinque reales.F. J. Sanchez Cantón, Libros, tapices y cuadros que coleccionó Isabel la Catolica, Madrid, 1955, p. 182. 64 Cfr. J. L. V. Brans, op.cit. ; I. Mateo Gómez, Felipe II y la pintura flamenca in Felipe II y el arte de su tiempo, Colección Debates sobre Arte, vol VIII, Madrid, 1998, p. 134.Tra le opere presenti figuravano una Crocifissione e due dipinti di sant’Antonio. Cfr. F.J. Sánchez-Cantón, op. cit.

30


Il sovrano che apprezzò maggiormente i mondi bosciani fu senza dubbio Felipe II. Il cattolicissimo governante conobbe Bosch sia attraverso le opere possedute dai suoi predecessori, i quali, sostiene Gómez,65 con tutta probabilità ne influenzarono il gusto, sia attraverso il viaggio, riferito da Justi,66 compiuto nelle Fiandre nel 1549, durante il quale visitò la chiesa di ‘s Hertogenbosch che esponeva, pare, cinque quadri realizzati dell’artista. Questi fatti, uniti a quella curiosità morale di cui parla Miura, lo portarono a diventare uno dei maggiori collezionisti dell’artista brabantino. Xavier de Salas67 riferisce che “cuando Felipe II instala en El Escorial parte de sus colecciones, envia sus mejores pituras flamencas” il che spiega perché prima delle guerre napoleoniche nel monastero de El Escorial fosse conservata la miglior collezione d’arte fiamminga dell’epoca e perché ancora oggi la Spagna custodisca un numero eccezionale di dipinti di tale scuola. L’artista meglio rappresentato della collezione di Felipe II era senza dubbio Bosch. Attraverso la collezione di Isabel la Católica, sua bisnonna, aveva ereditato un Sant’ Antonio con diavolerie, una Donna nuda in un prato e un Crocifisso, ormai scomparsi, mentre, attraverso collezione di suo nonno, Felipe el Hermoso, era entrato in possesso di un Giudizio Finale. La collezione di Felipe II non si limitava ai lasciti ereditari, infatti, nel 1570, acquistò le opere in possesso degli eredi di Felipe de Guevara, che erano appartenute al padre Diego. Della suddetta collezione, già stata trasferita in Spagna nel 1535, facevano parte le seguenti opere: Il carro di fieno, Tre

65

I. Mateo Gómez, La pintura flamenca en El Escorial: Roger Van der Weyde, Jheronimus Bosch, Peter Brueghel y Joachim Patinir, in El Monasterio del Escorial y la pintura, op. cit., p. 10 66 C. Justi, Die Werke des Hieronymus Bosch in Spanien, , op. cit., p. 16. 67 X. de Salas, citato da J. Zarco Cuevas, Inventario de las alhajas, pinturas y objetos de valor y curiosidades donadas por Felipe II al Monasterio del Escorial (1571-1598), in Boletín de la Real Academia de la Historia, vol. 96-97, 1930, pp. 545-668 e 34-143.

31


ciechi a caccia del cinghiale, Danza fiamminga, Ciechi, Una strega e La cura della follia. Felipe II, secondo quanto riferito da Carl Justi e di Geoffrey Parker,68 fu un grande amante delle arti e collezionò ben settecento dipinti, di cui un terzo di genere religioso. Apprezzava

l’arte

del

nord

Europa,

specialmente

Albrecht Dürer e Anthonis Mor e possedeva più di trenta opere di Bosch, molte delle quali, purtroppo, furono distrutte dall’incendio divampato al Alcazár di Madrid nel 1734.69 Non si dispone di alcuna testimonianza scritta direttamente dallo stesso Felipe II con la quale è possibile verificare la sua opinione rispetto all’opera di Bosch ma l’apprezzamento del sovrano è evidente anche solo considerando l’elevato numero di esemplari posseduti. Inoltre, nel suo epistolario troviamo una conferma indiretta dell’ammirazione che egli nutriva per il maestro

fiammingo,

le

cui

rappresentazioni

avevano

sicuramente colpito il suo immaginario. Bosch è infatti utilizzato come metro di paragone per descrivere le maschere di una processione lisbonese di cui parla in una lettera, datata 3 settembre 1582, che Felipe II indirizza alle sue figlie: La procesion de ayer cierto fue muy buena: ha parecido aun mejor de lo que todo pensabamos: y cierto me ha pesado mucho de que no la visedes, ni vuestro hermano, aunque hubo unos diablos que parecian a las pinturas de Hieronimo Box de que creo que tenia miedo.70

Due settimane dopo, Felipe

scrive alle sue figlie un’altra

lettera in cui cita ancora Bosch: Muy bien es que vuestro hermano no tenga miedo, como decis nos la menor, y no creo que le tuviera de los diablos de 68

Cfr C. Justi, Felipe II como amante de las bellas artes. Edizione in lingua spagnola curata da R. de Hinojosa, Estudios sobre Felipe II, Madrid, 1887; G. Parker, Phílipp II of Spain, Open Court, Chicago, 2002. Edizione in lingua spagnola Felipe II, Alianza Editorial, Madrid, 2003. 69 Su Felipe amante delle arti, vedi E. Martínez Miura, op. cit. pp 119-120. 70 Sánchez Cantón, op. cit., vol.1, p.159.

32


la procession, porque venian buenos y vianse de lexos y mas y parecian cosas de Hieronimo Boces que no diablos. Y cierto que lo eran buenos, pero no verdaderos.71

In queste missive il monarca non esprime un giudizio estetico sulle opere di Bosch poiché le sue figlie erano ancora troppo giovani per poter capire ma il suo apprezzamento è evidente poiché paragona le maschere dei diavoli, che reputa molto buone, a quelli raffigurati da Bosch. Oltre a quella di de Guevara, Felipe acquisì una seconda collezione, appartenente ad Álvarez de Toledo, terzo duca d’Alba e governatore del Ducato di Milano, dei Paesi Bassi e viceré del Regno di Napoli. In questa collezione era compreso il Trittico delle delizie e il Cristo incoronato di spine. Molte delle opere acquisite, vennero donate dallo stesso sovrano al monastero de El Escorial così, nel 1574 arrivarono, oltre ad altre pitture che purtroppo non si sono conservate, la Adorazione dei Magi, I sette peccati capitali, e il Cristo che porta la croce mentreil Trittico delle delizie e

il Cristo

incoronato di spine furono trasferite solo nel 1593. L’ultima opera ad arrivare fu invece il Trittico del fieno. Secondo quanto affermato, la maggioranza delle opere di Bosch posseduta da Felipe II proveniva quindi dalle collezioni di Felipe de Guevara, al quale dobbiamo la prima menzione al pittore scritta in lingua castigliana. Nei Comentarios leggiamo: Y pues Hyerónimo Bosco se nos ha puesto delante, razón será desengañar al vulgo, y a otros mas que vulgo, de un error que de sus pinturas tienen concebido, y es que cualquiera monstruosidad, y fuera de orden de naturaleza que ven, luego la atribuyen a Hyerónimo Bosco, hacióndole inventor de monstruos y quimeras. No niego que no pintase extrañas efigies de cosas, pero esto tan solamente a un propósito, que fue tratando de infierno, en la qual materia, quiriendo figurar diablos, imaginó composiciones de cosas admirables. Una cosas oso afirmar de Bosco, que nunca 71

Ibidem.

33


pintó cosa fuera del natural de su vida, sino fuese en materia de infierno o purgatorio, como tengo dicho. Sus invenciones estrivaron en buscar cosas rarisimas pero naturales: de manera que puede ser regla universal que cualquiera pintura, aunque firmada de Bosco, en que hubiera monstruosidad alguna, o cosa que pase los limites de la naturaleza, que es adulterada y fingida, si no es, como digo, que la Pintura contenga en si infierno o materia de él.72

Oltre a Guevara, un altro illustre estimatore del maestro fiammingo fu Fray José de Sigüenza, monaco del monastero di San Lorenzo de El Escorial in cui lavorava come bibliotecario e del quale divenne in seguito priore, per volere di Felipe II. A lui si deve la Historia de la Orden de San Jerónimo, nella quale troviamo una precisa descrizione de El Escorial e dei quadri di Bosch in esso custoditi. Le osservazioni di Fray Sigüenza, allo stesso modo di quelle di de Guevara, costituiscono una fonte preziosa per valutare la ricezione delle opere di Bosch in terra spagnola.73Secondo Sigüenza, i dipinti bosciani erano puri oggetti devozionali: Quiero mostrar agora que sus pinturas no son disparates, sino unos libros de gran prudencia y artificio, y si disparates son, son los nuestros, no los suyos, y por decirlo de una vez, es una sátira pintada de los pecados y desuaríos de los hombres. Pudiera poner por argumento de muchas de sus pinturas (estas palabras de Merlín Cocayo): Quanto los hombres hazen sus desseos, sus miedos, furias, apetitos vanos, sus gozos, sus contentos, sus discursos, de toda mi pintura es el sugeto. A este poeta tengo por cierto quiso parecerse el pintor Gerónimo Bosco, no porque le vio, porque creo pintó primero que estotro cocase, sino que le tocó el mismo pensamiento y motivo, conoció tener gran natural para la pintura, y que por mucho que hiziesse le avían de yr delante Alberto Durero, Micael Angel, Urbino y otros: hizo un camino nuevo, con que los demás fuessen tras y no tras ninguno, y boluiesse los ojos de todos a ssí; una pintura como de burla y maccarrónica, poniendo en miedo de aquellas burlas muchos primores y estrafiezas, assi en la invenci6n como en la execución y pintura, descubriendo 72

F. de Guevara, Comentarios de la Pintura, don Geronimo Ortega, hijos de Ibarra y compañia, Madrid, 178, p. 41. 73 Carl Justi riconobbe l’importanza delle opinioni di Sigüenza , che riteneva fondamentali per spiegare l’impatto che le sue fantasie ebbero nella Spagna del tempo. Vedi C. Justi, Die Werke des Hieronymus Bosch in Spanien, op. cit. pp. 121-144.

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algunas vezes quanto valia en aquél arte, como también lo hazía Cocayo hablando de veras.74

Secondo Sigüenza, Bosch, così come Merlin Cocai, era l’inventore di un percorso interamente nuovo. La sua testimonianza si rivela fondamentale perché ci fornisce un quadro molto preciso sul ruolo svolto dai dipinti all’interno del monastero. Indica che spesso servivano per la contemplazione del suo pio fondatore, il sovrano Felipe II, descritto dal monaco come un uomo osservante e devoto, il quale vi si recava a pregare come un penitente qualsiasi. Inoltre Sigüenza fa un’interessante osservazione sul rapporto tra arte e letteratura, che è doveroso riportare: la diferencia a mi parecer que ay de las pinturas deste hombre a las de los otros, es que los demás procuraron pintar al hombre qual parece por de fuera: este solo se atrevió a pintarle cual es dentro, procedió para est con un singular motivo, que declararé con este exemplo: los poietas y los pintores son muy vezinos a juicio de todos; las faculdades tan hermanas que no distan mas que el pincel y la pluma, que casi son una cosa; los sugetos, los fines, los colores, las licencias y otras partes

son tan unas, que apenas se distinguen sino con formalidades de nuestros metafisicos.75 Queste parole, oltre ad esaltare le qualità di Bosch, visto come artista dalle eccellenti qualità, aggiungono un ulteriore elemento riguardo la concezione della pittura come letteratura per analfabeti, che vigeva nella Spagna del XVI secolo. Inoltre, quanto riferito chiarisce il ruolo dei dipinti bosciani, apprezzati, nonostante le riserve esposte all’inizio, come opere devozionali e moralizzanti.

74

Il religioso cita Merlin Cocai, pseudonimo del monaco italiano Teofilo Folengo (1491-1554), inventore del linguaggio detto “macaronico” caratterizzato dalla deformazione dialettale di parole latine e dalla latinizzazione parodica di parole volgari.Fr. J. de Sigüenza, Historia de la Orden de San Gerónimo, Madrid, 1605 in http://www.archive.org/stream/historiadelaord00lpgoog#page/n6/mode/2up. 75 Fr. J. de Sigüenza, op. cit.

35


A riprova dell’enorme popolarità di cui Bosch godeva, oltre quelle di Felipe de Guevara e Fray José de Sigüenza possiamo citare ci le osservazioni di don Antonio Ponz che, in Viaje a España, interpretando male un passaggio del libro Sigüenza, scrisse che Bosch viaggiò per la Spagna e soggiornò lungo nel monastero de El Escorial.76 Questa confusione non deve stupirci, anzi, costituisce una prova ulteriore della popolarità di cui Bosch godeva in quei tempi. José Martínez, già citato, va ancora oltre, trasformando Bosch in spagnolo per nascita: En esta ciudad de Toledo hubo un pintor, hijo de ella que dicen estudió mucho tiempo en Flande, y volviendo a su patria, viendo muchos pintores que le aventajaban en hacer historias y figuras con más estudio que él, dió por un rumbo y cosas tan raras y nunca vistas que solían decir: el disparate de Geronimo Bosco, que así se llamaba, no porque debajo de ella no hubiese cosas de gran consideración y moralidad.77

L’apprezzamento da parte dei critici arriva al punto che, nel 1681, Francisco de los Santos, ritenendolo pittore devoto e autore di quadri esemplari, definisce la sua opera era tanto edificante che “debiera llenarse la tierra de sus copias”.78 L’influsso di Bosch si fece sentire in ambito letterario. La critica ha riscontrato frequenti le allusioni a Bosch e alle sue creazioni.

76

J.V.L. Brans, Hieronymus Bosch (El Bosco) en el Prado y en el Escorial, Ediciones Omega, Barcelona, 1948, p.6. 77 F.J. Sánchez Cantón, op.cit. vol. 3, p.75. 78 F. de los Santos, Descripción del real monasterio de San Lorenzo el Escorial, única maravilla del mundo, fábrica de el prudentissimo rey Filipo Segundo, coronado por el católico rey Filipo IV El Grande con la magestuosa obra del pantheon y traslación de los cuerpos reales, reedificado por nuestro rey y señor Carlos II después del incendio y nuevamente exhornada con las excelentes pinturas de Lucas Jordan, Juan Garcia Infançon, 1698 citato da L. Quintanilla, E. López Sobrado, De pinturas: vidas comparadas de artistas, PUbliCan, Ediciones de la Universidad de Cantabria, Santander, 2008, p. 168.

36


Castillo Solórzano ad esempio, lo cita nel suo romanzo Tiempo de regocijo, dedicato a una donna anziana che era solita fare il bagno nel fiume Manzanares: Pudiera en vivo esqueleto Por lo horrendo y lo monstruo Entre demonios magantes Pretender muy bien el proto, y a copiar su original con sus pinceles el Bosco con más primor afectara las tentaciones de Antonio.79

Nei suoi versi vediamo un riferimento al grottesco, al mostruoso delle pitture che sorge dalla descrizione

della

vecchia, molto magra e sciupata. Solórzano non è ovviamente l’unico scrittore a citare Bosch, ma lo fecero anche Lope de Vega, Juan Ruiz de Alarcón, Gracián e Francisco de Quevedo. Lope de Vega menzionò Bosch più volte, la prima nell’ Egloga a Claudio, nella quale lo annovera tra i grandi pittori: Al tres veces heroico lusitano Gran Duque de Verganza, aunque con tosco Pincel, que no de Bosco De Rubens o el Basano Pinté aquel monte, que el valor compite Con cuantos bañan Febo y Anfitrite80

In un’altra circostanza, ci manifesta a la sua concezione dell’opera bosciana: Este libro que sale a luz como si fuera expósito, por donde conocerá el señor lector, cual es el ingenio, honor y condición de su dueño, y en muchas partes, los reaces de sus estudios entre las sombras de los donaires, a la traza que el

79

E. Cotarelo, Colección de antiguas novelas españolas, Vda de Rico, Madrid, 1907, p. 357 L. de Vega, Colección escogida de obras no dramáticas de frey Lope Félix de Vega Carpio, M. Rivadeneyra, Madrid, 1856, p. 433. 80

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Bosco encubriría con figuras ridiculas e imperfectas las moralidades filosoficas de sus celebradas pinturas.81

Infine, troviamo un’ennesima menzione al pittore nell’ Epistola al Señor destos Reynos dove leggiamo: Dos docenas de versos de Geronymo Bosco, si bien pintor excelentísimo e inimitable que se puede llamar Salio, de quien dice Antonio: Saliorum carmina vix suis Sacerdotibus intellecta, han sido el remedio del arte y la última lima de nuestra lengua.82

In queste citazioni non possiamo non notare, ancora una volta, che le sue pitture, nonostante una certa licenziosità, erano considerate moraleggianti. La popolarità di Bosch era tale che, in alcune circostanze, Lope non ebbe nemmeno bisogno di citare Bosch direttamente, gli bastò accennare a mostri e disparates perché il suo pubblico capisse immediatamente il riferimento all’artista fiammingo.83 Tra il giudizio di Lope de Vega e quello di Fray José de Sigüenza, fa notare de Salas, non vi è alcuna discrepanza: oltre ad apprezzarne lo stile e a reputare le sue opere moraleggianti, entrambi fanno riferimento alla dottrina dell’ ut pictura poesis. Secondo Lope, infatti, “la pintura […] era poesía muda y la pintura una poesía que habla”.84 Juan Ruiz de Alarcón y Mendozafu un drammaturgo e scrittore messicano che trascorse la maggior parte della sua vita a Madrid, dove si dedicò alla produzione di commedie con le quali divenne famoso. Il suo atteggiamento, pare troppo

81

L. de Vega, Colección de las obras sueltas: assi en prosa, como en verso, Impr. de A. Sancha, Madrid, 1776, p. xx. 82 Ivi, p. 348. 83 Cfr. H. Heindenreich, op. cit. p. 190 ; Lope de Vega, La obediencia laureada , (1615) e El Caballero de Illescas (I620), citato da M. Herrero Garcia, Contribución de la literatura a la historia del arte, S. Aguirre impresor, Madrid, 1943, pp. I88 e ss. 84 Lope de Vega, Colección de las obras sueltas assi en prosa, como en verso, Don Antonio de Sancha, Madrid, 1776, tomo II, p. 64.

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superbo, lo rese bersaglio di molti letterati tra cui Lope de Vega e Quevedo. Ai fini del nostro discorso è importante menzionarlo poiché autore di Profecia deGeronimo Bosque: A Don Juan de Alarcon, corcovado. Don Juan Ruiz Corcova. Si no alza el dedo De no hacer comedias Baje el gregüesco ¡Jesús! ¿ qué tengo? Alce la camisa Y azotarelo. Señor Lope de Vega Yo le prometo De no hacer comedias Ni hablar en verso ¡Jesús! ¿ qué tengo? Que de los poetas Es el maestro. Pues el buz le hago, muerda poquito y unas copias me cante contra si mismo ¡Jesús! ¿ qué tengo? Que si no me canta Le cantaremos A ningun corcovado Daré ventaja Que una traigo en el pecho Y otra en la espalda. […] De Jeronimo Bosque soy profecia porque soy disparates si bien se mira. ¡Jesús! ¿ qué tengo? Que es mi cara de buho De rana el cuerpo.85

85

J. Ruiz de Alarcón, Profecia de Geronimo Bosque, citato da X. de Salas, El Bosco en la literatura española, op. cit.

39


Come vediamo, Alarcón fa riferimento agli aspetti caricaturali e grotteschi dell’arte bosciana.Similmente fecero altri scrittori, come Gonzalo Argote de Molina, Moreto e Salas Barbadillo. Argote de Molina, nella sua descrizione della Casa Real del Pardo, si sofferma a descrivere il dipinto di uno strano neonato, gigante e mostruoso. Riguardo a questa pittura, della quale non sono giunte altre notizie, ciò che colpisce è che è in virtù del suo soggetto che l’autore ne attribuisce la paternità a Bosch: De mano de Hieronimo Bosco pintor de Flandes, famoso por los disparates de su pintura, se ven ocho tablas, la una dellas de un extraño muchaco que nasció en Alemania que siendo de tres dias nacido de siete años, que ayudado con feisimo detalle y gesto es figura de mucha admiración, a quien su madre está envolviendo en las mantillas.86 Anche Moreto, drammaturgo madrileno, accenna a Bosch e ne evidenzia la grande fama ed il carattere fantastico e bizzarro delle opere: Yo quedo Advertido. Hay tal mujer! El Bosco en sus embelecos No pensó tranformaciones Tan extrañas como ha hecho.87

Salas Barbadillo, madrileno come Moreto, ha menzionato Bosch in due occasioni. In Casa del placer honesto, scrisse: Vi mas preregrinas figuras que las que pinta Gerónimo Bosco en las tentaciones de aquel Santo cuyo animal aborrecen los cristianos modernos, y cuyo fuego le castiga.88

In Coronas del Parnaso y Platos de las Musas: “De verte pintar estoy por atreverme yo a pintarte. Mas quién, no siendo 86

A. de Molina, Discurso sobre el libro de la Monteria, Ed. Gutiérrez de la Vega, Biblioteca Venatoria, Sevilla, 1583, p.102, citato da X. de Salas, op. cit., p. 121. 87 A. Moreto, Comedias escogídas de don Agustín Moreto y Cabaña, Rivadeneyra, Madrid, 1856, p.458. 88

A. J. de Salas Barbadillo, Casa del placer honesto, Madrid, 1635, p. 234, citato X. de Salas, op. cit., p. 119.

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Geronimo Bosco osará retratar los monstruos disparates de tu cara?”. 89 Francisco de Quevedo e Baltasar Gracián, dei quali verrà analizzata l’opera più avanti, sono due degli autori su cui l’influsso di Bosch è più evidente. Sul rapporto tra l’opera di Quevedo e quella di Bosch la critica si è molto soffermata sia per l’elevato numero di allusioni ai suoi quadri da parte dello scrittore sia per le similitudini tra questi e un’opera come Los Sueños. Le allusioni di Quevedo a Bosch sono, infatti, piuttosto numerose

tanto

che

non

è

semplice

riordinarle

cronologicamente. La più conosciuta è senza dubbio quella tratta dalla Historia de la vida del Buscón, in cui i picari, inginocchiati ed accovacciati in modi bizzarri sorpassano in stranezza le figure di Bosch: Qual para culcusirse debaxo del brazo, estirandole, hazia L. Uno hincado de rodillas, remedava un cinco de guarismo, socorria a los cañones. Otro por plegar las entrepiernas, metiendo la cabeza entre ellas, se hazia un ovillo. No pintò tan estrañas posturas Bosco como yo vi.90

Secondo Heidenreich, anche se nessuno dei dipinti di Bosch rappresenta un soggetto come quello sopra descritto, l’ispirazione di Quevedo è comunque palese. Con tutta probabilità, egli, lasciandosi ispirare dai suoi quadri, ha riutilizzato particolari dettagli ricollocandoli in un contesto differente, il che è perfettamente in linea con lo stile del suo romanzo, nel quale dà prova della proprie abilità verbali attraverso il ricorso ad analogie descrittive. In questo caso, la comparazione con Bosch è meno incongrua di quello che può 89

A. J. de Salas Barbadillo, Coronas del Parnaso y Platos de las Musas, Imprenta del Reino, Madrid, 1635, p.234. 90 F. Quevedo, Historia de la vida del Buscón, trad it. L’imbroglione, ed. A. Ruffinatto, Marsilio, Venezia, 2004, p.222.

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sembrare all’inizio. Rappresentando i picari come lettere dell’alfabeto, come cifre o come monete, Quevedo ottiene l’effetto grottesco degli uomini che si trasformano in oggetti inanimati, in maniera molto simile alle rappresentazioni di Bosch. Anche in altre occasioni Bosch è punto di riferimento per una descrizione grottesca e caricaturale. In Pintura de la mujer de un abogado, abogada ella del demonio, dopo aver accumulato immagini di morte e vecchiaia riguardanti il corpo della donna, Quevedo passa a descriverne il volto, con una tecnica somigliante a quella che userà per la descrizione della Dueña Quiñantona nel Sueño de la Muerte: barba que con la nariz se junta a dar un pellizco; sueño de Bosco con tocas, rostro de impresión del grifo;91

Quevedo fa riferimento a Bosch, direttamente e non, in molte altre circostanze. Una degna di essere menzionata è, senza dubbio, quella a proposito della rivalità con Góngora,92 contro il quale si scaglia perché lo reputa colpevole di aver infranto le leggi della Poetica aristotelica e i principi classici del Rinascimento italiano. Quevedo, al termine di una serie di insulti, definisce il suo rivale, “Bosco de los poetas”.93 Questo attacco è stato visto da De Salas come una prova del fatto che 91

F. de Quevedo, Obras escogidas (de D. F. de Quevedo y Villegas): obras serias : obras jocosas ; obras poeticas, Baudry, Parigi, 1842, p.438. 92 La rivalità tra i due letterati va inscritta all’interno delle polemiche tra concettisti e culteranisti. A tal proposito, ricordiamo che, tradizionalmente, la letteratura barocca spagnola è stata divisa in due distinte “scuole”: la concettista, di cui Quevedo fu il maggior esponente, e la culteranista, rappresentata invece da Luis de Góngora y Argote (1561–1627). Il concettismo era uno stile laconico e sentenzioso, che si caratterizzava per la concisione dell’espressione e l’intensità semantica delle parole, che venivano caricate di significati, adottando più sensi. In questo modo, il linguaggio appariva frequentemente polisemico. Il culteranismo, invece, si muoveva in direzione opposta, così, anziché avvalersi di concisione e concentrazione, disperdeva il significato, organizzando le frasi in forma di enigma per esercitare la cultura e l'intelligenza del lettore. 93 F. Quevedo, El Alguacil del Parnaso, in Obras completas, Editorial Planeta, Barcelona, 1963, p. 1205.

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considerasse Bosch un eretico, confermata anche dal fatto che il pittore è uno dei personaggi de Los Sueños.94Mentre in epoca contemporanea è scoppiato un dibattito da parte dei critici95 per stabilire se Quevedo considerasse o meno Bosch colpevole di eresia, i suoi contemporanei accusarono lui stesso di essere un eretico. Quevedo fu, infatti, bersaglio di un attacco scagliatogli da Juan Pérez de Montalbán e altri letterati vittime del suo crudele sarcasmo.96 Nelle loro accuse, le critiche all’ortodossia morale di Bosch sono palesi ma, d’altra parte, il tono e lo scopo del testo (l’attacco da parte di un piccolo gruppo di intellettuali) ne limitano fortemente il valore documentale, impedendoci di considerarlo rappresentativo dell’opinione dei contemporanei, la quale verrà piuttosto ricercata tra le testimonianze degli esponenti dei maggiori generi letterari, come a seguire. In questa sede non ci interessa stabilire chi avesse ragione o torto all’interno di queste polemiche, alle quali abbiamo comunque voluto accennare allo scopo di fornire un ennesimo esempio della portata dell’effetto Bosch ai tempi di Quevedo. Le sue fantasie, prese in prestito dall’abile scrittore o anche solo il suo nome non lasciavano certo indifferenti i letterati, che lo utilizzarono appunto come metro di paragone o ne facevano un mezzo per attaccare i propri rivali. Se nell’opera di Francisco de Quevedo i riferimenti a Bosch abbondano, in quella di Baltasar Gracián accade invece il

94

Cfr. F. Quevedo, Los Sueños, ed. Arellano, Ediciones Cátedra, Madrid, 1996, p.155 Ci riferiamo a Justi, De Salas, Levisi, Gómez, Morreale, le cui posizioni sono stata riassunte da Heidenreich Cfr. H. Heidenreich, op. cit. p. 184. 96 Ci riferiamo alla pubblicazione di un opuscolo titolato El tribunal de la justa venganza, Erigido contra los escritos de D. Francisco de Quevedo, maestro de errores, doctor en desvergüenzas, licenciado en Bufonerías, Bachiller en Suciedades, Cathedrático de visión y Proto-Diablo entre los hombres (Valencia, 1635). Il suo autore si firmava con lo pseudonimo Arnaldo Frankfurt, dietro il quale si celavano Luis Pacheco de Narváez, Juan Pérez de Montalbán e Padre Niseno, vittime della satira quevediana. Cfr. E. Carilla, Quevedo entre dos centenarios,Universidad Nacional de Tucumán, Instituto de Lengua y Literatura Españolas, 1959, p. 43 e ss. 95

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contrario. Il gesuita menziona El Bosco una volta sola97 eppure questo non impedisce di intuire una profonda affinità con la sua opera pittorica. I difetti e i vizi, bersaglio de El Criticón, hanno l’aspetto di terribili mostri, simili ad animali, un po’ uomini, un po’diavoli, un po’ piante, strane mescolanze di realtà e simboli. I sogni, o meglio gli incubi, diventano reali, le mostruosità sono descritte nei dettagli. Come ha notato de Salas “lo que en el Bosco es minuciosidad despiadada y exactitud, fantasía alucinante y realidad detallista, en Gracián es

minuciosidad

verbal,

y

adjectivación

brillante

e

implacable”.98 Anche Agustín Moreto y Cabañas, drammaturgo madrileno nato nel 1618, allude a Bosch nelle sue commedie: No pintó el Bosco, senora, figura de tales gestos No le has visto? Dios me libre! Lucrecia la responde.99

E in un’altra occasione scrisse: Yo queso Adevertido. Hay tal mujer! El Bosco en sus embelecos No pensò tranformaciones Tan extrañas como ha hecho.100

In questi versi vediamo messi in evidenza i caratteri caricaturali delle sue opere, non a caso, infatti egli coniò in suo onore un nuovo vocabolo, l’aggettivo “boscesco” che significava “fantasioso”, o “bizzarro”.101

97

Bosch è per Gracián punto di riferimento per la descrizione di personaggi stravaganti e bizzarri. Cfr. B. Gracián,El Criticón, Edición de Santos Alonso, Cátedra, Madrid, 1996, I, VI, p. 133. 98 X. de Salas, op. cit. p. 120. 99 A. Moreto y Cabaña, San Francisco de la sena, xxxix, 124 citato da X. de Salas, op. cit, p. 122 100 A. Moreto y Cabaña, Todo es enredos amor, XXXIX, 458 citato da X. de Salas, op. cit., p. 122 101 R.J. Nelson, op. cit. p. 427.

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Alcune considerazioni sul contesto storico-culturale in cui l’arte di Bosch si sviluppa forniscono un’ ulteriore spiegazione del perché il suo stile si affermò in Europa e in Spagna in particolare. Isabel Mateo Gómez inquadra il contesto storico in cui Bosch nacque e sviluppò la sua arte.102 La vita dell’artista si svolse nel passaggio tra Medioevo e Rinascimento, un periodo di transizione in cui, come rilevato anche da Huizinga,103 la tradizione medievale resisteva ancora. Si trattò, infatti, di un processo che, secondo Gómez, fu piuttosto lento nel nord Europa e fu caratterizzato dalla confusione di idee e dalla sovversione dei valori, dovute soprattutto a ragioni religiose come lo Scisma d’Occidente (1378-1418) e la corruzione del clero che, nel secolo XV, raggiunse livelli molto alti. La corruzione non si limitava alle cariche religiose ma toccava tutte le classi sociali tanto che la società dell’epoca, per dirla con le parole della stessa Gómez, pareva dedita “al goce sin freno”.104 Questo caos, quest’atmosfera di rottura e di follia divenne presto il soggetto di un genere letterario conosciuto come “el mundo al revés”, la cui tematica consisteva nella rappresentazione di situazioni assurde o anomale, mirate alla critica dei costumi e delle perversioni dell’epoca, attraverso l’utilizzo di esempi umani ed animali. Riaccennando brevemente al discorso sul rapporto tra letteratura e arti figurative, vediamo come questo genere letterario influenzò

102

I. Mateo Gómez, El Jardín de las Delicias y sus fuentes, Fundación de Apoyo a la Historia del Arte Hispánico, Madrid, 2003. 103 J. Huizinga, Herfsttij der Middeleeuwen, trad. It. L’autunno del Medio Evo, Sansoni, Firenze, 1971, 104 I. Mateo Gómez, El Jardín de las Delicias y sus fuentes, op. cit, , p.21.

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ben presto anche l’arte, così che ne possiamo apprezzare l’influsso nelle sillerias de coro e nelle miniature dei codici. La nave dei folli (Das Narrenschiff ) di Sebastian Brandt, costituisce forse l’esempio più eloquente di questo genere. L’opera in questione, che ha come tema l’umanità alla deriva, divenne talmente famosa che un predicatore dell’epoca, Jean Kayserberg,105 la citava nei suoi sermoni. L’opera di Brandt non era altro che un trattato moralizzatore nel quale l’autore rappresentava i vizi allo stesso modo dei peccati capitali. Quest’aspetto, secondo Gómez, non deve stupirci poiché La Celestina, una delle opere cardine della letteratura spagnola, assunse ben presto la stessa funzione. Venne, infatti, considerata un trattato morale contro l’avarizia, gli inganni e l’amore sensuale ed era presente non solo nelle biblioteche laiche ma anche in quelle parrocchiali.106Le manifestazioni artistiche sorte in quel periodo, tipiche di un periodo di transizione e di crisi dei valori, avevano come fine la critica alla società corrotta e, alternando sacro e profano, rappresentavano la decadenza dei costumi. Questa opera con tutta probabilità servì a Bosch come fonte di ispirazione. Questo breve excursus probabilmente ci consente di capire meglio l’apprezzamento di Felipe II per le pitture bosciane, le quali erano viste esclusivamente in chiave moralizzante.

105

Jean Geiler de Kayserberg (Schaffhausen, 1445 Strasburgo, 1510 ) fu uno dei più famosi predicatori del XV secolo. I suoi sermoni audaci, incisivi e ricchi di immagini non erano ispirati solo ai testi biblici. I più noti restano quelli ispirati a Das Narrenschiff, opera del suo personale amico Sebastian Brant. A questo proposito è opportuno segnalare che Cinquecento e Seicento furono caratterizzati da un forte interesse per il linguaggio dei simboli come imprese, emblemi o motti. La coscienza del potere didascalico delle immagini, ben presente nella storia della Chiesa fin dalle sue origini, si fece più marcata nel Seicento, epoca in cui l’esperienza religiosa si avvalse dei vantaggi del buon uso delle immagini. Cfr. G. Savarese, A. Gareffi, La letteratura delle immagini nel Cinquecento, Bulzoni Editore, 1980, Roma; G. Ledda, La parola e l’immagine. Strategie di persuasione religiosa nella Spagna secentesca. Edizioni ETS, Sesto Fiorentino, 2003. 106 I. Mateo Gómez, El Jardín de las Delicias y sus fuentes, op. cit., p.21.

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Sigüenza riferisce che il sovrano utilizzava un’opera come I sette peccati capitali per dare inizio alle sue meditazioni religiose, nonostante la rappresentazione del peccato fosse in questa opera fin troppo nitida. Lo stesso tipo di interpretazione veniva data a un’opera come Il carro di fieno, considerato la rappresentazione del Salmo CII di Davide, a dispetto del fatto che la sua origine pare essere riconducibile ad un proverbio olandese.107 Persino un’opera come Il giardino delle delizie, che per via della spiccata carica sensuale della tavola centrale destava molti dubbi riguardo alla sua moralità, era visto in chiave edificante. Sappiamo, infatti, che l’opera era conosciuta come La Lujuria108 e che lo stesso Sigüenza, strenuo difensore della moralità bosciana, indicava nella fragola, frutto simbolo di sensualità109, la chiave interpretativa dell’opera. La sua moralità, così come di tutte le opere di proprietà di Felipe II, fu sempre difesa, basti pensare che si disse che il trittico era ispirato ai Commenti di Sant’Agostino e ai Salmi di Davide110 e che Sigüenza precisava che se il sovrano avesse notato anche solo un’ombra di eresia “no hubiera permitido que estos cuadros llegaran a sus habitaciones”.111 Miura si domanda sela moralizzazione ad oltranza di Bosch ne limitasse in qualche modo la comprensione. 107

Cfr. C. De Tolnay, Bosch, Reynal, New York, 1966, p. 24. Se nel catalogo di Poleró, pubblicato nel nel 1857, è citato come Los Deleites Terrenales, Justi riferisce che anticamente era conosciuto col nome El Trabajo o La Lujuria. Cfr. V. Poleró, Catálogo de los cuadros del Real Monasterio de El Escorial, Madrid, 1957; C.Justi, op. cit.; I. Mateo Gómez, El Jardín de las Delicias y sus fuentes, op. cit., p. 40. 109 Fray José a proposito dei piaceri della vita scrisse “de la gloria vana y breve gusto de la fresa o madroño, y su olorcillo, que apenas se siente, cuando ya es pasado” in Fr. J. de Sigüenza, op. cit. 110 E. Martínez Miura, op. cit., p. 12. 111 Sigüenza, op. cit. 108

47


Secondo lo studioso sia Felipe II che i suoi contemporanei, oltre all’apprezzamento religioso, erano in qualche modo attratti dalla licenziosità dei suoi soggetti e c’è anche chi ha affermato che le posizioni di Sigüenza non fossero tra le più tradizionali poiché, se da un lato il monaco criticava le opere di soggetto religioso che non invitavano alla preghiera, dall’altro lato difendeva gli affreschi di Pellegrino Tibaldi, esposti nella biblioteca de El Escorial e rappresentanti corpi nudi, in quanto, secondo la sua opinione, essi osservavano le leggi del decoro.112 Certi sospetti non possono ovviamente essere verificati, affermiamo però con certezza che un’interpretazione di Bosch in

chiave

esclusivamente

moralizzante

è

sicuramente

insufficiente. La critica ha infatti riscontrato nella sua opera la presenza di una quantità di elementi di varia origine dai quali è scaturito un ampio ventaglio di interpretazioni, le quali possono essere ricondotte fondamentalmente a quattro filoni: l’ortodossia, l’eresia, il sapere popolare e l’alchimia.113 Inoltre,

è

chiaro

da

tempo

che,

per

arrivare

ad

un’interpretazione il più possibile completa delle opere di Bosch

è

necessario

cooperazione

tra

ricorrere

proposte

di

ad

un

meccanismo

interpretazione

di

critica.

L’integrazione delle varie letture pare oggi l’unico mezzo per arrivare ad un’interpretazione il più possibile esaustiva.114 Per queste ragioni, ribadiamo che interpretare l’opera di Bosch esclusivamente in chiave moralizzante non è sufficiente e che

112

Cfr. I. G. Bango Torviso, Fernando Marías, Bosch: realidad, símbolo y fantasía, Silex Ediciones, Madrid, 1982, p. 30. 113 Cfr. C .Limentani Virdis, Settantamila veli di luce e di ombra in Le delizie dell’inferno, dipinti di Jheronimus Bosch e altri fiamminghi restaurati, Il Cardo, Venezia, 1992, p. 33 e ss. 114 Ivi, pp. 15-50.

48


questo avvenne nella Spagna di Felipe II per via dei fini socioreligiosi imposti dall’epoca. La moralità di Bosch, affannosamente difesa da Sigüenza, fu talora messa in dubbio, come avvenne ad esempio durante la polemica della quale fu protagonista Quevedo oppure nelle parole di Francisco Pacheco, pittore e critico d’arte, il quale considerava Bosch un grande maestro ma, allo stesso tempo, dissentiva dalle opinioni di Fray Sigüenza rispetto alla sua moralità, sconsigliando agli altri artisti di imitare le sue “licenciosas fantasias”.115

115

F. Pacheco, Arte de la pintura, Siviglia, 1649, ed. Galiano, 1866, vol. 2, p. 129.

49


2.1 Influenza sul piano pittorico Oltre alla polemica che vide coinvolti studiosi e letterati dell’epoca, un metodo piuttosto efficace per valutare l’impatto dell’arte di Bosch in terra spagnola consiste nell’ osservarne l’influenza sul piano esclusivamente pittorico. Attraverso Guevara, sappiamo che la fama di Bosch crebbe rapidamente nei decenni che seguirono la sua morte, avvenuta nel 1516. Nella metà del secolo XVI, numerosi artisti imitavano lo stile di Bosch ma c’era anche chi copiava specifiche opere e che spesso non esitava a firmare le proprie tavole col suo nome. In alcuni casi le imitazioni venivano invecchiate appositamente, così da farle passare per creazioni originali. E’ importante però considerare che il fenomeno della copia era una pratica piuttosto diffusa nel secolo XV e XVI. A Bruges e ad Anversa si producevano opere destinate soprattutto all’esportazione, spesso copie di opere precedenti e repliche realizzate dai collaboratori di famosi maestri.116 In ambito spagnolo osserviamo che, nonostante i temi delle sue opere fossero fonte di ispirazione, non esistono veri e propri eredi della sua arte come i fiamminghi Pieter Huys,117 Jan Mandijn118 e il più noto Pieter Bruegel il Vecchio119 anche se non è mancato chi ha visto delle assonanze con la pittura di El 116

Sulla popolarità delle copie vedi L. Silver, Second Bosch, in R. Falkenburg, Kunst voor der markt/Art for market 1500-1700, Zwolle, 1999, pp. 31-58. 117 Peter Huys (1519 ? - 1581) esercitò come maestro ad Anversa e collaborò con l’incisore ed editore di stampe Jheronymus Cock e Christopher Plantin. Nell’Inferno, opera proveniente dal Monastero de El Escorial e oggi conservata al Prado sono evidenti alcuni motivi che l’artista di Aversa prese in prestito da Hieronymus Bosch , come il gusto per le diableries che il mercato allora richiedeva. 118 Jan Mandijin (1500-1560) fu anch’egli attivo ad Anversa tra il 1530 e il 1560. Solo poche delle opere che gli sono state attribuite sono in realtà firmate, e di alcune si ritiene siano state realizzate da Huys o da altri artisti che non sono stati identificati. In ogni caso, segnaliamo che anche il suo lavoro, spesso confuso con quello di Huys, è ispirato all’immaginario bosciano. 119 Pieter Bruegel il Vecchio ( 1525?- 1569) fu senza dubbio il più autorevole interprete di Bosch. Fu disegnatore e pittore e le stampe ricavate dai suoi disegni furono pubblicate da Cock. A differenza di altri artisti che come lui si ispiravano allo stile di Bosch, Bruegel si distinse per una certa originalità, riprendendone i motivi quali l’impostazione moralistica e il senso del grottesco ma rendendoli in modo personale come nel Trionfo della Morte, allegoria delle guerra e delle miserie umane.

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Greco, che, pur spagnolo solo d’adozione, è sicuramente l’esponente più autorevole di questa corrente. Un riflesso bosciano è stato rintracciato in quadri come

El sueño de

Felipe II e il Martirio de San Mauricio, realizzati durante i primi anni della sua permanenza in Spagna.120 La testimonianza di Felipe de Guevara serve a chiarire la portata del fenomeno in Spagna: Esto que Hyerónimo Bosco hizo con prudencia y decoro , han hecho y hacen otros sin discrección y juicio ninguno; porque habiendo visto en Flandes quanto acepto fuese aquel género de pintura de Hyerónimo Bosco, acordan de imitarle, pintando monstruos y desvariadas imaginaciones, dándose a entender que en esto solo consistía la imitación del Bosco. Ansi vienen a ser infinitas las pinturas de este género selladas con el nombre de Hyerónimo Bosco, falsamente inscripto; en las quales él nunca le pasó por el pensamiento poner las manos, sino el humo y cortos ingenios, ahumándolas en las chimeras para dalles autoridad y antigüedad.121

Poco più avanti Guevara aggiunge: …Pero es justo dar aviso que entre estos imitatores de Hierónimo Bosco hay uno que fue su discípulo, el qual por devoción a su maestro, o por acreditar sus obras, inscribió en sus pinturas el nombre de Bosch y no el suyo. Esto, aunque sea así, son pinturas muy de estimar, y el que las tiene, debe tenellas en mucho, porque en las invenciones y moralidades fue rastreando tras su maestro, y en la labor fue más diligénte y panciente que el Bosco, no se apartando del ayre, galanía y de colorir del maestro.122

Sempre a proposito di copie possiamo citare il caso de Il carro di fieno nella versione custodita all’Escorial. Quest’opera è stata oggetto di numerosi dibattiti da parte degli specialisti che si sono interrogati a lungo sul suo possibile autore, divisi tra chi la attribuisce a un artista spagnolo e chi crede che fu prodotta nel laboratorio del maestro a ‘s Hertogenbosch.123

120

Cfr. C. De Tolnay, Hieronymus Bosch, Reynal, 1966, p. 48. F. de Guevara, Comentarios de la pintura, op. cit., p. 41 122 Ivi, p. 43. 123 I. Mateo Gómez, El Bosco en España, op. cit., p. 27 121

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Inoltre, tra le copie si possono annoverare gli arazzi ispirati alle sue opere.124Otto Kurz ritiene che, con tutta probabilità, Bosch, così come molti altri pittori fiamminghi a lui contemporanei, avesse disegnato arazzi. Oggi però non si conserva nulla di attribuibile al maestro. L’unica serie di tappezzerie di cui siamo a conoscenza è nota col nome Le Tentazioni di Sant’ Antonio. Si compone di quattro pezzi, di cui solo uno ha per soggetto le tentazioni. Nonostante molti studiosi abbiano fatto riferimento a queste opere, l’autrice che meglio ha approfondito il problema della loro paternità è Lotte Brand Philip. Secondo la studiosa, gli arazzi in questione: … represent various subjects in the manner of Bosch […] They either show the master’s ideas carried out with the aid of newly invented details or represent details created by Bosch more or less literally but arranged into a different, newly invented context.125

Le sue affermazioni testimoniano che, nonostante ai disegni originali fu apportata qualche modifica, i temi e lo stile di Bosch continuavano ad affascinare il pubblico anche dopo la sua scomparsa. Le opere in questione, che secondo Gómez126 appartennero al Cardinale Granvelle, esperto d’arte al servizio di Felipe II, riproducono il Trittico delle delizie, il Trittico del fieno, la Festa de San Martino, (copia di un’opera di Bosch che è andata perduta) e le Tentazioni di sant’ Antonio, soggetto di cui esistono varie versioni e che dà il nome all’intera collezione di arazzi. Questi fecero la loro comparsa, secondo Ricordiamo che uno dei principali problemi della filologia artistica riguarda la sicura attribuzione delle opere, che solitamente avviene attraverso una serie di raffronti stilistico-formali affiancati da analisi scientifiche, rese oggi possibili solo dalla moderna tecnologia. Nel caso di Bosch, il grande successo delle sue opere portò alla proliferazione di copie, seguaci e stampe a lui ispirate, il che spesso ha reso difficoltosi i processi di attribuzione. 124 Cfr. O. Kurz, Four Tapestries after Hieronymus Bosch, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, Vol. 30, 1967, pp. 150-162. 125 L. Brand Philip, Nederlands Kunsthistorisch Jaarboek, ix, I958, p. 59, in O. Kurz, op. cit., p. 151. 126 I. Mateo Gómez,, La pintura flamenca en el Escorial: Roger van der Weyden, Jheronimus Bosch, Peter Brueghel y Joachim Patinir, op. cit., p. 40.

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Kurz, nelle collezioni reali spagnole giĂ ai tempi di Felipe IV mentre oggi appartengono al Patrimonio Nacional EspaĂąol e sono conservate ed esposte nel Monastero de El Escorial.

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2.2 L’oblio Consideriamo ora le possibili ragioni per cui l’artista fu gradualmente dimenticato fino a giungere a un periodo di completo oblio che durò quasi due secoli. Nei Paesi Bassi, fino agli ultimi anno del XVI secolo Peter Bruegel e Huys continuarono ad applicare nei loro quadri molto della densa simbologia di Bosch ma, allo stesso tempo, verso il 1600, lo storico dell’arte Carel Van Mander, anch’egli proveniente dai Paesi Bassi meridionali, sembrava incapace di interpretare nel modo corretto le rappresentazioni di Bosch.127 L’arrivo del secolo diciassettesimo portò con sé

grossi

sconvolgimenti culturali i quali diedero inizio all’età moderna. Le idee di Campanella, Galileo e Giordano Bruno segnavano l’inizio di uno stravolgimento culturale. Considerato che la simbologia128 di Bosch era legata all’età medievale, non stupisce il fatto che, col mutare dei tempi, perdesse il suo significato. Gómez è dello stesso parere: Pasan los años, cuando el Racionalismo se apodera de las conciencias, se transforma el sentido de apreciación plástica y pierden importancia las alegorías y los símbolos, aun los que presentan a los hombres las “postrimerías”. La pintura del Bosco pirdió interés en cuanto a su sentido interpretativo; pero aún lo mencionan Orellana y Ponz, réfiriendose a su aspecto formal.129

127

Carel van Mander descrisse i quadri di Bosch come "meravigliose e singolari fantasie… spesso più ripugnanti che piacevoli a vedersi” in C. van Mander, Das Leben der nieder landischen und deutschen Maler, Munich/Leipzig, 1906 , citato da W. Bosing, Hieronymus Bosch, c. 1450-1516 between heaven and hell, Taschen, 2001, p.7. 128 Isidro Gonzalo Bango Torviso e Fernando Marías in approfondiscono il problema della rappresentazione del male attraverso il deforme, mostruoso secondo quella che era la tradizione medievale. Cfr. I. G. Bango Torviso, F. Marías, Bosch: realidad, símbolo y fantasía, op. cit, p. 144 129 I. Mateo Gómez, El Bosco en España, op. cit., p. 10.

54


In

questo

passaggio

vengono

citati

due

critici

che

esemplificano l’evoluzione del modo di concepire l’arte bosciana, Marc Antoni de Orellana e Antonio Ponz. Le osservazioni di Orellana,130 autore di Valencia antigua y moderna,131opera pubblicata solo nel 1923 e considerata una fonte importantissima per gli studi artistici del capoluogo della Comunità Valenziana, Heindenreich,

fanno

parte di quella che Helmut

sulla scia di Xavier de Salas, considera la

quarta fase dell’immagine di Bosch in Spagna. Secondo lo studioso, in questo periodo: The French-inspired rules of taste made themselves felt both in reservation concerning medieval allegory and the objection that Bosch was falling short of neo-classic requirements in harmonic proportion, rational composition, elegance, propriety and gentility of expression.132

Anche de Salas sottolineava da parte dei critici di questo periodo una spiccata attenzione per lo stile e un abbandono generale delle polemiche rispetto al significato delle opere.133 Antonio Ponz, che, secondo Gibson,134 può essere considerato un esempio di come l’arte di Bosch veniva recepita durante il Rinascimento, fu un illustratore e viaggiatore spagnolo, nonché segretario dell’ Academia de Bellas Artes di San Fernando ed editore, nel 1788, dei Comentarios de la pintura 130

A Valencia era presente una Coronación de espinas attribuita a Bosch ma che oggi la critica considera una semplice copia di bottega. Tale opera ha però dato luogo ad una serie di riferimenti al pittore nelle opere di diversi autori valenziani. In ordine cronologico: Sala, Teixidor, Orellana, Mayans, Ximenes e Ponz . Cfr X. de Salas, op. cit. ; S. Sebastián López, La originalidad iconográfica de la" Coronación de Espinas" del Bosco, in Ars Longa: cuadernos de arte, num. 1,1990, pp. 49-56 131 M. A. de Orellana, Valencia antigua y moderna. Historia y descripción de las calles, plazas y edificios de Valencia, Valencia, 1923. 132 H. Heindenreich, op. cit, p. 172. 133 “Pasan así los años, las modas y el pensar. Y cuando en España, como en toda Europa, el racionalismo adueñase de las conciencias, una profunda transformación del gusto marca su triunfo en el campo de las artes plásticas. Pierden importancia e interés las alegorías y los símbolos […] -en Orellana y Ponz- su valoración va dirigida a la dimensión y al dibujo, olvidando las valoraciones religiosas y morales que habían movido a los comentaristas del siglo anterior.” Cfr.X. De Salas, El Bosco en España, op. cit., p. 135. 134 W. Gibson, Hieronymus Bosch, Thames and Hudson, London, 1973.

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di de Guevara. E’ ricordato come l’autore di Viaje de España, o Cartas en que se da noticia de las cosas mas apreciables y dignas de saberse, opera monumentale con la quale il suo autore si propone di dare un resoconto delle opere artistiche della nazione spagnola. L’opera consta di ben diciotto volumi e proprio in uno di questi, per la precisione il secondo, Ponz fa riferimento a Bosch ma, come sostieneGómez, si limita, così come aveva fatto Orellana,135 a descrivere i suoi quadri senza impostare nessun problema sul loro significato. Otros tres hay encima de la cornisa; el del medio es de Gerónimo Bosch o Hosco, como aquí se dice. Su invención es caprichosa, instructiva y simbólica. Es un carro de heno tirado por siete bestias, encima del cual hay ciertas mujeres tañendo y alegrándose, y una Fama como que publica sus glorias. Alrededor y detrás del carro hay muchas figuras de personas de todos estados y dignidades, afanando con escaleras y con garfios, saltando o agarrándose por subir a él, y algunos de los que están encima caen abajo, pereciendo entre las ruedas, etc. Sc ve que el Hosco quiso representare1 significado de aquel lugar de Isalas, omnis caro foenum. Los dos cuadros al lado de éste son... me parece de escuela veneciana.136

A queste testimonianze fanno da supporto gli inventari delle collezioni reali spagnole i quali testimoniano un disinteresse crescente nei confronti dell’arte di Bosch. Per il nostro scopo si rivela fondamentale considerare quando i dipinti vengono menzionati per la prima volta

e osservare i cambi di

collocazione che le varie opere subirono nel tempo. Questi aspetti ci consentono di riflettere sul cambiamento nel modo di valutare i dipinti. Osservando i loro spostamenti attraverso le residenze reali, si nota come, con il passare del tempo, i quadri di Bosch occupassero luoghi sempre meno importanti, e spesso

135

Cfr. I. M. Gómez, El Jardín de las Delicias y sus fuentes, op. cit., p. 116 “ aun lo mencionan Orellana y Ponz, refiriéndose a su aspecto formal”. 136 A. Ponz, Viaje a España, Aguilar, Madrid, 1988, vol. II.

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fossero trasferiti a proprietà della Corona meno rilevanti.137 Inoltre, molti dipinti furono perduti a causa di incendi, saccheggi o restauri dei palazzi reali. Ad esempio, durante i lavori di rimodernamento del Palacio del Pardo, la maggior parte dei dipinti di Bosch venne trasferita ad altre stanze meno importanti, nelle quali restarono fino al diciottesimo secolo. Nell’inventario condotto nel 1700, dopo la morte di Carlos II, compaiono gli stessi dipinti del 1673 ed è segnalato che molti erano stati trasferiti in altre stanze. Dopo il 1700, gli originali che rimasero al museo del Pardo furono protagonisti di varie vicissitudini ed infine, probabilmente durante il rimodellamento dell’edificio, ai tempi di Carlos II, vennero completamente eliminati. Attraverso gli inventari che ci sono pervenuti è chiaro che i dipinti di Bosch o ritenuti suoi godevano ormai di scarsa considerazione: quelli che si trovavano in cattive condizioni venivano gettati via, senza che fosse prima tentato un restauro. Si possono trarre le stesse conclusioni attraverso l’osservazione degli inventari dell’Alcazár. Se ad esempio si confronta l’inventario del 1686 con quello del 1666 è evidente l’assenza di parecchi dipinti (ben trentadue pezzi) con la semplice motivazione che il re aveva deciso per il loro trasferimento, senza che venisse registrato alcun spostamento perché nessuno era stato incaricato di riportarne i cambiamenti.

137

P. Silva Maroto, Bosch in Spain: On the Works Recorded in the Royal Inventories, in J.Koldeweij, B. Vermet, Hieronymus Bosch. New Insights into His Life and Work. Rotterdam-Ghent, 2001, pp. 4150.

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2.3 La riscoperta In epoca contemporanea, l’arte di Bosch è stata riscoperta. Nel 1889 è Carl Justi a dare inizio agli studi sull’impatto che le sue opere ebbero sulla cultura spagnola mentre, nel 1943, Xavier De Salas prima col discorso di ingresso alla Real Academia de Buenas Letras di Barcellona138 e, più avanti, col saggio intitolato Más sobre El Bosco en España, approfondisce il rapporto tra i suoi quadri e la letteratura. Inoltre, Gómez, riferisce che, nel 1957, nel Colegio de Médicosdi Madrid, furono organizzate una serie di conferenze sulla sua opera alle quali presero parte artisti, critici, storici e medici.139 Tra gli interventi di spicco possiamo citare quelli del dottor Téllez Carrasco che interpreta l’opera di Bosch attraverso la filosofia esistenziale secondo cui, la solitudine metafisica dell’epoca in cui l’artista visse si manifestava nella noia, nella malinconia e infine nella disperazione. Tale disperazione, sintomatica di un desiderio di trascendenza e dell’ansia di metamorfosi, è presente ne Il giardino delle delizie in cui si mescolano animale ed umano, animale e vegetale, minerale e vegetale. La Fuente Ferrari, sostenitore della tesi moralista, ritiene che l’opera di Bosch, per i temi e la simbologia impiegati, sia un prodotto tipico dell’epoca in cui l’artista visse. In particolar modo la simbologia, secondo La Fuente Ferrari, fu presa in prestito da Bosch dalle sculture medievali e dai rilievi di chiese e cattedrali, presenti non solo nei Paesi Bassi ma anche in Spagna. Similmente, Guerra Miralles lo considera un illustratore delle credenze della sua epoca e Blanco Soler, 138

X. de Salas, El Bosco en la literatura española, Sabater, Barcelona, 1943 e Más sobre El Bosco en España, in Homenaje a J. A. van Praag: catedrático de la Universidad de Amsterdam, 1930-1955, Veen, Amsterdam, 1956. 139 Cfr.I. Mateo Gómez, El Bosco en España, op. cit., pp. 12-13.

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ritiene che l’intento dell’artista fu quello di criticare usi e i costumi del suo tempo. Per quanto riguarda l’ambito letterario, prendendo spunto da quanto indicato da De Salas, possiamo riassumere in quattro grandi gruppi le posizioni dei letterati e scrittori spagnoli rispetto all’arte bosciana. Fanno parte del primo gruppo quegli scrittori del secolo XVI, rappresentati da Guevara, i quali apprezzarono l’opera di Bosch soprattutto per il suo lato estetico, formale e ne difendevano i meriti perché convinti che il suo stile fosse conforme alle leggi rinascimentali del decoro e dell’imitazione della natura. Il secondo ed il terzo gruppo corrispondono a due successivi stadi nel modo di valutare la sua opera, durante i quali ci si preoccupò soprattutto del suo lato morale. Vediamo, attraverso l’osservazione di questi due gruppi, l’opposizione tra due differenti scuole di pensiero. La prima, rappresentata da Sigüenza, che ne difendeva fermamente la moralità, mentre la seconda, che si formò verso il XVII secolo, era composta da coloro i quali, come Pacheco, nutrivano dei dubbi a riguardo. De Salas ne ricollega la posizione sia a ragioni di carattere estetico (Pacheco, infatti, nonostante citasse Bosch tra i grandi maestri, aveva una concezione di “grande pintura” molto diversa da quella rappresentata dall’arte bosciana140) sia alla classica sospettosità ispanica controriformista, sempre attenta a smascherare eresie vere o presunte.

140

Pacheco sosteneva che ciò che la grande pittura avente per soggetto “las cosas mayores y más dificultosas” mettendo in secondo piano quelli che chiama “divertimientos, despreciados siempre de los grandes Maestros” tra i quali annovera Bosch e i suoi “ingeniosos caprichos” Cfr. F. Pacheco, Arte de la Pintura, op. cit., p. vol. 2, p. 431.

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Il quarto gruppo o il quarto stadio è una conseguenza del cambiamento dei tempi; con l’avvento del Razionalismo, infatti, in Spagna come nel resto d’Europa, l’interesse per simboli ed allegorie, al centro delle composizioni artistiche dei periodi precedenti, perdono di significato. Orellana e Ponz costituiscono un chiaro esempio di quest’ultima fase: entrambi, infatti, esprimono il proprio apprezzamento per forme e disegno, mettendo da parte giudizi di ordine religioso e morale, sui quali ci si era invece concentrati durante i secoli precedenti. In tempi ancora più recenti, osserviamo che l’eco dell’opera bosciana continua a farsi sentire soprattutto in ambito letterario. Nel 1971, infatti, Francisco de Ayala, come si vedrà meglio più avanti, dà alle stampe El Jardín de las Delicias, palesemente ispirato al trittico del maestro brabantino. In questo testo, originalissimo per l’introduzione di riproduzioni di pitture e sculture famose, il suo autore si dimostra un esperto conoscitore d’arte oltre a un estimatore dell’opera di Bosch. In un’intervista egli stesso ne dichiarò la corrispondenza: […] a los paneles de El jardín de las delicias del pintor holandés corresponden las dos partes del libro tal cuál ha quedado compuesto, pues no sólo se refleja ahí el “inmundo mundo”, sino también, en “Días felices”, la eterna nostalgia del Paraíso […]141

Successivamente, un altro grande scrittore spagnolo, Camilo José Cela, premio Nobel nel 1989, esprime l’apprezzamento per l’arte di Bosch con la pubblicazione di due opere teatrali Homenaje al Bosco I (1969) e Homenaje al Bosco II (1999), confermando appunto il fascino che tuttora i quadri dell’artista fiammingo esercitano per la cultura spagnola.

141

A. Amorós, Conversación con Francisco Ayala sobre “El Jardín de las Delicias”, in ĺnsula, Revista de Letras y CienciasHumanas, 499, Ottobre, 2006, p.13.

60


Restano da chiarire le ragioni per le quali l’opera di Bosch, variamente interpretata attraverso quattro secoli di storia, non è mai stata davvero dimenticata. Salas ritiene che le causa dirette di questo fenomeno siano la presenza numerosa delle sue opere all’interno delle collezioni reali, sia il gusto, prettamente ispanico, per mostri e nani che caratterizzava la Corte. Opere con soggetti di questo genere abbondavano, infatti, tra i possedimenti della Corona. Indagarne le cause, osserva de Salas, sarebbe troppo complesso, però è chiaro le opere di Bosch, con le loro bizzarrie, rientravano tra le preferenze dei monarchi. Un’ultima ragione ma non per questo meno importante, del duraturo successo delle sue opere, è da rintracciarsi nei temi che in modo sicuramente originale egli seppe sviluppare. Davanti agli occhi degli spettatori, infatti, vi è la rappresentazione sicuramente fantastica, simbolica di quegli eterni problemi a cui l’uomo da sempre cerca delle risposte ovvero il senso del mondo, della vita e del destino ultraterreno.

61


Capitolo 3 Francisco de Quevedo Dunque il Rinascimento italiano, imprimendo una direzione imprevista alla diffusione e alla notorietà del detto oraziano ut pictura poesis, diede origine alla dottrina delle arti sorelle, la cui fortuna, favorita dalla proliferazione di teorie e sperimentazioni letterarie e artistiche, giunse almeno fino alla pubblicazione del Laocoonte di Lessing. Non sorprende che un’eco consistente della rivalutazione delle arti figurative insita in tale dottrinagiungesse anche in Spagna nella prima metà del XVI secolo. Mentre testi come Medidas del romano di Diego de Sagredo e Libro de la pintura antigua di Francisco de Holanda teorizzavano che scultori e pittori dovessero esercitare la filosofia e le altre arti liberali, in altri trattati sono addirittura presenti idee molto simili a quelle del Rinascimento italiano, Juan Gállego142 riferisce in proposito espressioni come “leer” un quadro o “ver” un poema, le quali indicano una profonda connessione tra le due arti. Non mancavano inoltre relazioni in difesa della pittura come arte liberale firmate da autori come Lope, Jáuregui e Calderón.143 Si tratta di contributi importantissimi per la letteratura artistica precisamente

poiché

denotano

interesse,

sensibilità

e

familiarità nei confronti della pittura. Jáuregui, che incarnava il 142

Ci riferiamo a Visión y símbolos en la pintura espanola del siglo de oro, citato da A. Egido, La página y el lienzo: sobre las relaciones entre poesIa y pintura in Fronteras de la poesía en el Barroco, Editorial Crítica , Barcelona, 1990, pp 165-196 . 143 Sul rapporto tra Lope de Vega e la pittura si veda S. A. Vorseters, Lope de Vega y la pintura como imitación de la Naturaleza, in Edad de Oro, vol. 6, 1987, pp. 267-285 e J. Portús Pérez, Pintura y pensamiento en la España de Lope de Vega, Editorial NEREA, Guipuzcoa, 1999. Jáuregui fu invece autore di un opuscolo titolato A la Pintura y Poesía (1629) mentre Calderón de la Barca pubblicò nel 1677 Deposición a favor de los profesores de la pintura, in E.M. Wilson, Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos, pp. 709-727.

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paradigma del poeta-pittore, affermava che “Todos conceden ser hermanas la Pintura y la Poesia”, la quale fratellanza, proveniva dalla teoria dell’imitazione. Imitare attraverso le parole oppure con linee e colori è un’idea soggiacente alla cultura del Siglo de Oro. Maria Soledad Arredondo, nel suo articolo sulle relazioni tra pittura e poesia, traccia un raffronto tra tre grandi generi pittorici (ritratto, vedutismo e natura morta) e i loro equivalenti letterari, concludendo che “la lectura de un libro del siglo XVII equivale a la comtemplación de un extraordinario mundo de imágenes, tan plásticas como un cuadro”.144 Numerosi testi dell’epoca documentano le connessioni biografiche e sociali tra pittori e scrittori e Carducho, nei Dialogos de la pintura ci informa del fatto che Quevedo fosse collezionista d’arte e pittore dilettante.145 Ma l’interesse che lo scrittore nutriva per la pittura è comprovato soprattutto dalla silva Al pincel, uno dei suoi poemi descrittivi più conosciuti e studiati. La silva metrica è uno dei sottogeneri nati agli albori del secolo XVII e rappresenta molto bene sia la corrente descrittiva che l’affanno sintetizzatore delle arti nel Siglo de Oro. Come riferisce Aurora Egido,146 le sue origini risalgono alle Sylvae di Stazio e Poliziano e il loro argomento era l’encomio di case e città, giardini e palazzi ma non mancavano le lodi alla stessa arte della pittura, come nel caso di Quevedo che,

attraverso

un

processo

metonimico,

definisce

il

144

Cfr. M. S. Arredondo, El pincel y la pluma. Sobre retratos, paisajes y bodegones en la literatura del Siglo de Oro, in Anales de Historia del Arte, 2008 pp. 151-159. 145 Beatrice Garzelli ritiene che la conoscenza delle relazioni tra letteratura e arti figurative è imprescindibile per affrontare lo studio di una qualsiasi opera di Quevedo. Inoltre, Quevedo stesso, come riferirisce Arredondo, fu pittore dilettante e collezionista d’arte. Cfr. B. Garzelli, A la ballena de Jonas, muy mal pintado. Quevedo coleccionista y crítico de arte in La Perinola, 11, 2007, pp. 8595 e Nulla Die sine line. Lettura e iconografia in Quevedo, ETS, Pisa, 2008.

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pincel“competidor valiente” nonostante il suo “cuerpo pequeño” e allo stesso tempo “poderoso” poiché capace di donare un’anima ai ritratti.147 Queste citazioni sui meriti della rappresentazione figurativa possono essere ricollegate alla cultura visiva del Siglo de Oro, durante il quale si sviluppò un vasto e generale interesse per il linguaggio dei simboli, delle figure, delle allegorie, tanto nella letteratura come nelle arti visive. Inquadriamo quindi l’opera di Quevedo nel contesto di una società

“acostumbrada a mirar el espectáculo […] en los

corrales de comedias, en una procesión, en una entrada real o en una fiesta singular”148 e avvezza all’uso delle immagini che riescono a tradurre in modo concreto i significati verbali. Per queste ragioni nell’affrontare una lettura critica di Los sueños, opera in cuiQuevedo passa in rassegna vizi, falsità e meschinità della vita del suo tempo, non si può prescindere dall’analisi delle immagini utilizzate, le quali documentano la profonda relazione che unisce nella sua opera creazione letteraria alle arti figurative. E’ noto che, a distanza di due secoli dalla sua morte, in Spagna, dove si conservava la maggioranza delle sue opere, Hieronymus Bosch, che in terra iberica è meglio noto come El Bosco, continuava a godere di un’enorme fama. Quevedo, assiduo frequentatore della corte madrileña, non poteva ignorare la sua arte. I loro nomi sono stati spesso associati per quel che riguarda l’aspetto fantastico delle loro composizioni, per il tono satirico con cui descrivono vizi e

147

A. Egido, op. cit., p. 193. M.S. Arredondo, op. cit., p. 154. 148 Ivi, p. 155. 147

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follie del mondo e poiché entrambi scelsero temi escatologici come soggetto per le loro opere.149 L’arte di Bosch è stata da sempre interpretata in vari modi, e Bosch è stato bollato come eretico e affiliato alla setta dei Fratelli e Sorelle del Libero Spirito150. Ciò nonostante, sostiene Margherita Morreale, è molto difficile, se non impossibile “enforcar el conjunto de su arte […] fuera del marco de la fe recibida”151e Francisco de Quevedo, erede dello stesso tipo di dottrina,152 si ispirerà a questa per rappresentare il corteo dell’umanità condannata. All’interno dell’ottica escatologica, collochiamo, infatti, le opere di entrambi gli artisti e notiamo 149

Margarita Levisi, basandosi in parte sull’articolo di Ricardo Del Arco, Estimación española del Bosco en los siglos XVI y XVII, ci offre un excursus delle posizioni dei critici he hanno associato l’opera dei due artisti a partire dal 1627, anno di pubblicazione de Los Sueños, fino ad arrivare ai giorni nostri. Le suddette posizioni possono essere riassunte in quattro grandi gruppi: il primo si compone dei critici che riferiscono l’esistenza di una somiglianza generica tra i due artisti senza però parlare espressamente di un’influenza da parte di Bosch su Quevedo mentre il secondo, al contrario, è composto da chi parla di un’influenza ben precisa. Il terzo gruppo nega un qualsiasi tipo di relazione e il quarto rileva la presenza di una sostanziale affinità tematica. Cfr. R. del Arco, Estimación española del Bosco en los siglos XVI y XVII, in RIE, 10, 1952, pp. 417-433; M. Levisi, Hieronymus Bosch y “Los sueños” de Francisco de Quevedo, in Filologia, 9, 1963, pp. 163-200. 150 Sette come quelle dei Fratelli del libero Spirito, dei Begardi o dei Turpini, si facevano porta voci di dottrine che condussero un buon numero di persone a una vita di totale dissolutezza. Cfr. J. Huizinga, L’autunno del Medio Evo, op. cit., pp. 274-275. 151 M. Morreale, Quevedo y el Bosco. Una apostilla a “Los Sueños”, in Clavileño n.40, 1956, p.42 Ricordiamo che Carl Justi divideva le opere di Bosch in tre gruppi: il primo composto da quelle ispirate a temi sacri, il secondo da quelle derivate da proverbi o scene di genere e il terzo composto dai cosiddetti “sogni”. Come rileva Jeanne van Waadenoijen , le opere dell’artista direttamente ispirate a temi sacri, come ad esempio Il Trittico dell’Epifania, testimoniano che la religione gioca tra le sue fonti di ispirazione un ruolo fondamentale. Inoltre la studiosa osserva che un preciso confronto tra la sua opera e particolari episodi biblici, ai quali egli si ispirò, consente una profonda comprensione del suo lavoro. Cfr. C. Justi, Die Werke des Hieronymus Bosch in Spanien, op. cit. pp-121-144;J. Van Waadenoijen, The Bible and Bosch, in Jheronimus Bosch. His Sources, op. cit., pp. 334-335 152 Quevedo fu uno scrittore molto prolifico, la sua opera poetica, infatti, secondo Price, può essere divisa in tre grandi gruppi: la morale-religiosa, la satirica e quella amorosa. Secondo Giaffreda, Quevedo mirava a diffondere un messaggio religioso-moralizzante anche attraverso la satira. Sul rapporto tra l’ opera satirica e quella morale la critica ha molto dibattuto ma, secondo il critico, la satira è in Quevedo complementare alla scrittura moralizzante poiché entrambe partono dai medesimi presupposti (l’indignazione per la corruzione morale ) e hanno lo stesso fine, ovvero la critica costumi. Una tesi molto simile è espressa anche da De Cos Ruiz che cita numerosi esempi di episodi burleschi che hanno un ben preciso intento moralizzatore. Cfr. C. Giaffreda, Hipocresia de los hombres y mentira de los nombres en Quevedo, in M. Domenichelli M. G. Profeti, La menzogna, Alinea Editrice, Firenze, 2008 pp. 223-240; R. M. Price, An anthology of Quevedo's poetry, Manchester University Press ND, Manchester, 1969; F. J. de Cos Ruiz, Diviertimiento y enseñanza en los ‘Sueños’de Quevedo,in Humor y ciencias humanas: actas del I Seminario Interdisciplinar sobre El Humor y las Ciencias humansa: Cádiz, Mayo 2001 , 2002, 6 , pp. 159-172

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una certa vicinanza nei loro schemi fondamentali: gli uomini di tutte le categorie che seguono il carro della morte, gli angeli che annunciano il Giudizio, i condannati che patiscono nell’inferno il proprio castigo. Questi stessi temi, che Bosch rappresenta con forme e colori, vengono affrontati da Quevedo attraverso il

linguaggio verbale ma sempre con una certa

attenzione agli aspetti descrittivi e figurativi. Rispetto all’associazione tra i due artisti possiamo iniziare col dire che fu lo stesso Quevedo a citare Bosch in almeno due occasioni, ne El alguacilendemoniado e nella Historia de la Vida del Buscón. Nel primo brano il diavolo si lamenta del modo stereotipato in cui viene rappresentato dagli uomini: [… ] os quiero decir que estamos muy sentidos de los potajes que hacéis de nosotros, pintándonos con garra sin ser aguiluchos; con colas, habiendo diablos rabones; con cuernos, no siendo casados; y mal barbados siempre, habiendo diablos de nosotros que podemos ser ermitaños y corregidores.153

Non è un caso che poco dopo Bosch compaia come vero e proprio personaggio: Remediad esto, que poco ha que fue Jerónimo Bosco allá, y preguntándole por qué había hecho tantos guisados de nosotros en sus sueños, dijo:"Porque no había creído nunca que había demonios de veras".154

Bosch appare anche nel Buscón, una delle opere quevediane più conosciute, dove è citato come metro di paragone: No pintó tan extrañas posturas Bosco como yo vi, porque ellos cosían y la vieja les daba los materiales, trapos y arrapiezos de diferentes colores, los cuales había traído el soldado.155

153

Ivi. Ivi. 155 F. Quevedo, L’imbroglione, ed. A. Ruffinatto, Marsilio, Venezia, 2004, p.222 154

66


Queste citazioni servono a dimostrare che Quevedo conosceva Bosch e le sue opere ma, poiché il pittore brabantino non è l’unico artista ad essere stato citato da Quevedo,

156

è

opportuno indagare altre possibili relazioni tra i due. A tale scopo, partendo dal prologo, passeremo in rassegna tutti e cinque i sueños mirando a ritrovare diversi punti di contatto con il pittore di 's Hertogenbosch, facendo attenzione a quali immagini Quevedo potrebbe aver preso in prestito dai suoi quadri e alla terminologia figurativa utilizzata.

156

Nella silva El pincel Quevedo nomina diversi pittori tra cui Raffaello, Tiziano, Ricci e Fernández de Navarrete. Cfr. La Silva "El pincel" de Quevedo : la teoría pictórica y la alabanza de pintores al servicio del dogma contrarreformista, in Bulletin Hispanique, vol. 98, num. 1, 1996. pp. 85-95.

67


3.1 Prologo e Sueño del Juicio Final Nel prologo de Los sueños i manoscritti falsi, adulterati o smembrati sono comparati al corpo un soldato che ritorna dalla guerra come un mendicante, con un occhio in meno, mezzo braccio e una gamba di legno. así de cuantos han leído algo destos Sueños y discursos […] lastimándosede verlos ir manuscritos tan adulterados y falsos y muchos a pedazos y hechos un disparate sin pies ni cabeza, y tan desfigurados como el soldado desdichado que habiendo salido de su tierra para la guerra con bizarría, tallazo, galas y plumas, vuelve a ella después de muchos años más desgarradoy rompido que soldado, con un ojo menos, hecho un monóculo, medio brazo, con una pierna de palo, y todo él hecho un milagro de cera, bueno para ofrecido, con el vestido de la munición, sin color determinado, desconocidoy roto, pidiendo limosna.157

Questa immagine del corpo che si divide in più parti non è che la prima di una serie di simboliche figurazioni che vedono in atto un processo di smembramento.158 Lo stesso motivo è presente nel Sueño del Juicio Final e in particolare nella descrizione dei morti nell’atto di abbandonare i propri sepolcri. Qui Quevedo non si limita a descrivere lo smembramento ma prospetta il pericolo che i condannati, volontariamente o meno, possano scambiarsi le parti del corpo, creando figure strane e bizzarre:

157

F. Quevedo, op. cit., pp 86-87. Lo smembramento è una delle principali caratteristiche dei personaggi di questa come di altre opere di Quevedo, così come rilevato da Leo Spitzer, Margarita Levisi e Maria Grazia Profeti. In proposito, è opportuno citare anche Alessandro Martinengo che fa un’interessante osservazione: Quevedo non solo “frantumò” i suoi personaggi, ridotti ad un insieme di elementi apparentemente sconnessi, privi quindi di ogni calore umano, ma anche la narrazione, la quale si compone di una successione di scene, sulle quali l’attenzione del lettore si concentra di volta in volta. Cfr. L.Spitzer, L’arte di Quevedo nel ‘Buscón’, in Cinque saggi di ispanistica, G. Giappichelli, Torino, 1962, pp. 167-168; M. Levisi, Las Figuras Compuestas en Arcimboldo y Quevedo, in Comparative Literature, vol. 20, num. 3 1968, pp. 217-235; M. G. Profeti, Quevedo, la scrittura e il corpo, Bulzoni, Roma, 1984; A. Martinengo, Quevedo, Góngora e la polemica del Barocco, in C. Samonà, G. Mancini, F. Guazzelli, A. Martinengo, La Letteratura spagnola. I secoli d’oro, Rizzoli, Milano, 1993, pp. 393- 394. 158

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Después noté de la manera que algunas almas venían con asco, y otras conmiedo huían de sus antiguos cuerpos. A cuál faltaba un brazo, a cuál un ojo,y diome risa ver la diversidad de figuras y admirome la providencia de Diosen que estando barajados unos con otros, nadie por yerro de cuenta se poníalas piernas ni los miembros de los vecinos.159

Un altro esempio di segmentazione riguarda la scena de “los escribanos réprobos” che tentano di fuggire dalle proprie orecchie: Riérame si no me lastimara a otra parte el afán con que una gran chusmade escribanos andaban huyendo de sus orejas, deseando no las llevar porno oír lo que esperaban, mas solos fueron sin ellas los que acá las habíanperdido por ladrones, que por descuido no fueron todos.160

Il significato di tale scena è da ricercarsi nella condanna inflitta in quei tempi ai ladri, vale a dire l’amputazione della mano o delle orecchie. Lo stesso tipo di immagine è presente nella tavola destra delTrittico delle delizie, nel cosiddetto Inferno musicale, in cui è raffigurata una panoramica delle punizioni inflitte all’umanità peccatrice. Nella tavola in questione ritroviamo appunto sia due giganteschi padiglioni auricolari sia varie parti del corpo smembrate. Oltre allo smembramento, una caratteristica della rappresentazione quevediana, accostabile all’opera di Bosch,161 è l’alternanza tra gigantismo e miniaturizzazione, presente nella descrizione di un cavaliere e sottolineata dal contrasto tra il dettaglio fisico e il vestito. Il personaggio in questione indossa, secondo quella che era la moda del tempo, un

colletto enorme “Traía un cuello tan

grande que no se le echaba de ver si tenía cabeza”162 che

159

F. Quevedo, op. cit. pp. 84-86. Ivi, pp. 96-97. 161 Un esempio di gigantismo nell’opera di Bosch è osservabile anche nel pannello centrale del Trittico delle delizie in cui sono presenti uccelli, frutti, e pesci dalle enormi proporzioni. Secondo Yarza questi elementi rappresentano la sovversione di valori che caratterizzava la contemporaneità di Bosch, vissuto durante il passaggio tra Medioevo e Rinascimento mentre Silver parla di fallimento del progetto divino che voleva la supremazia dell’uomo sul resto della creazione. Cfr. J. Yarza, El Jardín de las Delicias de El Bosco, T. F. Editores, Madrid, 1998, pp. 41-44 ; L. Silver, op. cit., p. 305 162 Ivi, p. 127. 160

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riesce addirittura a nasconderne la testa, la quale, apparendo piccola, è simbolo di poca intelligenza. Aggiungiamo un’altra immagine utilizzata da Quevedo, che presenta punti in comune con l’immaginario bosciano. Si tratta della descrizione del pastelero, che utilizza le carni dei morti per preparazione dei propri prodotti. All’impasto a base di carni umane si aggiungono insetti e altri animali, causando una commistione uomo-bestia presente in tante opere di Bosch tra le quali il Trittico delle delizie, e le Tentazioni di sant’ Antonio.163 Citiamo dal Sueño del Juicio Final: Y cuando él vio que se les probaba a sus pasteles haberse hallado en ellos más animales que en el arca de Noé, porque en ella no hubo ratones ni moscas, y en ellos sí, volvió las espaldas y dejolos con la palabra en la boca.164

Anche nei quadri bosciani è presente questo tipo di commistione, la quale si rifà alla tradizione medievale che descriveva in questo modo il castigo del vizio e della depravazione.165

163

Il Trittico delle delizie, oggi conservato al Prado, giunse in possesso di Felipe II, attraverso la collezione del priore don Fernando dell’ Ordine di San Juan, figlio illegittimo del duca d’Alba e fu menzionato nell’inventario dei quadri inviati dal re all’Escorial nel 1593. Come testimoniano le parole di Antonio de Beatis, il primo a descriverlo, appartenne a Enrique Nassau, dal quale passò nel 1538 a René de Chalon e in seguito a Guglielmo il Taciturno per poi entrare infine in possesso di don Fernando. Sigüenza nel 1605 lo descrive come il quadro “de las fresas” e nel catalogo dell’Escorial di Poleró (1857) compare col titolo Los deleites terrenales.Il nome attualmente usato probabilmente fuispirato alle Etymologiae di sant’ Isidoro. Cfr. I. Mateo Gómez, El Jardín de las Delicias y sus fuentes, op. cit. , pp. 39-40. Le Tentazioni di sant’ Antonio, invece, pur provenendo dall’Escorial, non compare con certezza nei vecchi inventari ma Puyvelde, nel 1962, lo identifica con una delle opere inviate alla reggia da Felipe II nel 1574, come riferito da Carl Justi. Si ispira a uno dei temi che più preoccupavano la società tardo-medievale ovvero le tentazioni di Satana che tenta di appropriarsi dell’anima dell’uomo. Cfr. M. Cinotti, L’opera completa di Bosch, Rizzoli Editore, Milano, 1966. 164 F. Quevedo, op. ci t. p.127. 165 La commistione uomo-animale nell’opera di Bosch si inserisce all’interno di quella tradizione che prende le mosse da Orazio (con la lettera Ad Pisonem) e conta illustri esempi in tutta l’arte medievale, basti pensare alle bordature dei codici miniati o alle sillerias de coro.Cfr. E. Larsen, Hieronymus Bosch, Catalogo completo, Franco Contini Editore, Firenze, 1998, p. 133; S. Fischer, Jheronimus Bosch’s Works of Art as allegorical and grotesque Moral Satire - theological, pastoral and didactic

70


Concludiamo l’analisi di questo primo sueño con le immagini riferibili all’iconografia bosciana de I sette peccati capitali.166 Agli angoli di quest’opera sono presenti quattro tondi che riguardano le ultime fasi della vita umana. Qui troviamo una serie di elementi comuni ai due artisti: lo sforzo degli angeli (nel caso di Quevedo solo uno) nell’atto di suonare la tromba, i già citati morti che abbandonano i propri sepolcri, il santo e l’angelo che osservano la stretta porta di ingresso del paradiso. Esattamente come nella descrizione quevedesca i due personaggi sono posizionati all’esterno. Parecióme, pues, que veía un mancebo que discurriendo por el aire daba voz de su aliento a una trompeta, afeando con su fuerza en parte su hermosura.167 Andaban los ángeles custodios mostrando en sus pasos y colores las cuentas que tenían que dar de sus encomendados, y los demonios repasando sus tachas y procesos; al fin todos los defensores estaban de la parte de adentro y los acusadores de la de afuera. Estaban los Diez Mandamientos por guarda a una puerta tan angosta, que los que estaban a puros ayunos flacos aún tenían algo que dejar en la estrechura.168

Sources, in Jheronymus Bosch, His Souces, op. cit., pp. 145-156; J. Snyder, Hieronymus Bosch, Excalibur Books, New York, 1980, p p. 30-33. 166

Anche questa opera figura tra le proprietà di Felipe II e pare fu sottratta al duca d’Alba come parte del bottino di guerra. Con tutta probabilità rientra tra quelle trasportare da Felipe II all’Escorial nel 1574, come riferisce Justi (1889). Secondo il monaco Sigüenza, l’opera in questione serviva a conciliare le riflessioni religiose del sovrano che lo teneva appeso nella sua camera da letto. Oggi l’opera è custodita al Prado. Margarita Levisi la elenca (assieme al Carro di fieno, le Tentazioni di sant’ Antonio e il Trittico delle delizie tra le opere che probabilmente furono viste ed ispirarono Francisco de Quevedo. Cfr. M. Cinotti, op. cit., pp. 87-88; E. Larsen, op. cit., p. 114; L. Silver, op. cit., pp. 305-316; M. Levisi, op. cit., p. 172. 167 168

F. Quevedo, op. ci t., p.93. Ivi, pp. 106-107.

71


3.2 El alguacil endemoniado Elalguacil endemoniado, secondo sueño della serie, si rivela particolarmente interessante per la nostra analisi perché, oltre a contenere un’esplicita menzione a Bosch, della quale si è già parlato,

ci

propone

l’articolata

descrizione

del

LicenciadoCalabrés, la quale può essere divisa in due parti. La prima si sofferma sui suoi abiti: […] licenciado Calabrés, clérigo de bonete de tres altos hecho a modo de medio celemín, orillo por ceñidor y no muy apretado, puños de Corinto, asomo de camisa por cuello, rosario en mano, disciplina en cinto, zapato grande y de ramplón y oreja sorda, habla entre penitente y disciplinante, derribado el cuello al hombro como el buen tirador que apunta al blanco, mayormente si es blanco de Méjico o de Segovia. 169

Nella seconda sono invece sottolineati gli aspetti morali del personaggio: Este, señor, era uno de los que Cristo llamó sepulcros hermosos por defuera, blanqueados y llenos de molduras, y por de dentro pudrición y gusanos, fingiendo en lo exterior honestidad, siendo en lo interior del alma disoluto y de muy ancha y rasgada conciencia. Era, en buen romance,hipócrita, embeleco vivo, mentira con alma y fábula con voz.170

La divisione della descrizione in due parti separate non è casuale, attraverso di essa, infatti, Quevedo è in grado di sottolineare la doppiezza del personaggio e di accennare a quello che sarà il tema principale del penultimo sueño, la condanna dell’ipocrisia e delle false apparenze.171

169

F. Quevedo, op. cit. , p. 139. Ivi, p. 143. 171 Questo tipo di condanna Quevedo l’aveva già espressa nel El Buscón, che rappresentava una società di cavalieri rovinati, nuovi cristiani e picaros coi loro tentativi di scalata sociale, una società dove “el mundo todo es máscaras,y todo el año es carneval” Cfr. F. Lázaro Carreter, M. Molho, Lecturas del ‘Buscón’ : entre el ingenio y la sátira social, in C. Vaillo, La novela picaresca y otras formas narrativas, in F. Rico, Historía y crítica de la literatura española, vol. III, Editorial Crítica, 1983, p. 501. 170

72


Anche questo brano

permette un riferimento a Bosch. Se

consideriamo il Trittico delle tentazioni, e precisamente il pannello centrale, notiamo un gruppo di figure intente nella lettura di un testo sacro o nel canto di un inno. Una di queste, quella in primo piano, lascia intravedere le proprie interiora in putrefazione a malapena celate da un mantello. Margherita Levisi, nel suo saggio Hieronymus Bosch y los Sueños de Francisco de Quevedo, cita quest’esempio definendolo un perfetto antecedente grafico all’opera quevediana dato che entrambi i personaggi, sia il Licenciado sia il partecipante alla supposta messa nera, sono relazionati al culto religioso.172

172

Cfr. M. Levisi, Hieronymus Bosch y “Los sueños” de Francisco de Quevedo, in Filologia, 9, 1963, p.177.

73


3.3 Sueño del Infierno Il Sueño del infierno si caratterizza per un marcato cromatismo tra cui spicca la predominanza del colore rosso, indice di cattivi presagi e per la nutrita presenza di termini appartenenti al campo semantico delle arti figurative, i quali, ripetiamo, assieme all’abbondanza di descrizioni, testimoniano una speciale sensibilità di Quevedo per gli aspetti visuali e pittorici. A questo proposito riportiamo il frammento nel quale sono descritti i lamenti degli amanti, la cui passione peccaminosa nacque dalla contemplazione del ritratto della persona amata: “¡Oh,qué número dellos echaban la culpa de su perdición a sus deseos,

cuya

hermosuras!”.

fuerza

o

cuyo

pincel

los

mintió

las

173

In questo terzo sueño troviamo inoltre alcuni ritratti femminili. Nel primo, quello delle las dueñas, è contenuto ancora una volta il processo di animalizzazione, (di cui si è parlato a proposito del pastelero). La commistione uomo-animale è in Bosch come in Quevedo simbolo di degrado morale, perciò il corpo delle dueñas è per metà umano e per metà anfibio, con le gambe spalancate a simboleggiare la loro lussuria: Así supe cómo las dueñas de acá son ranas del infierno, queeternamente como ranas están hablando sin ton y sin son, húmedas y en cieno, y son propiamente ranas infernales, porque las dueñas ni son carne nipescado, como ellas. Diome grande risa el verlas convertidas en sabandijastan perniabiertas y que no se come sino de medio abajo, como la dueña,cuya cara siempre es trabajosa y arrugada.174

Un altro ritratto femminile è quello de las mujeres-fantoche175 che ricorrono a imbellettamenti di vario genere per migliorare

173

F. Quevedo, op. cit. pp.127-128. Ivi, pp. 203-204. 175 La satira contro le donne è uno dei temi ricorrenti in Quevedo tanto che la critica lo ha spesso definito misogino e antifemminista. Ritratti grotteschi come quello della dueña Quintañona del Sueño de la Muerte, sono in questo senso piuttosto eloquenti. Il suo soffermarsi sulla rappresentazione degli 174

74


il più possibile il proprio aspetto. Quevedo condanna senza appello queste pratiche vedendo dietro cosmetici e capelli posticci un modo per nascondere la propria identità e, allo scopo di chiarire la sua condanna, esaspera la descrizione del loro modo di imbellettarsi, nominando rammendi e suture: Y veo una muchedumbre de mujeres, unas tomándose puntos en las caras, otras haciéndose de nuevo, porque ni la estatura en los chapines, ni la cejacon el cohol, ni el cabello en la tinta, ni el cuerpo en la ropa, ni las manoscon la muda, ni la cara con el afeite, ni los labios con la color, eran los que nacieron con ellas. Y vi algunas poblando sus calvas con

cabellos que eransuyos solo porque los habían comprado. Otra vi que tenía su media cara en las manos, en los botes de unto y en la color.176 Anche in Bosch, nei Sette peccati capitali, è presente la condanna della vanità, la quale è rappresentata dall’immagine di una donna così intenta a farsi bella da non notare che è un demonio a reggere lo specchio nel quale ella si ammira. In questa immagine, come nel Carro di fieno, troviamo la rappresentazione dell’umanità troppo presa da interessi veniali ed effimeri177 (in questo caso la bellezza) per accorgersi che conducono sulla strada dell’Inferno.

Un altro punto che

l’opera quevediana ha in comune con l’iconografia di Bosch è quello dell’alchimia.178Il pittore brabantino è noto anche per la aspetti più degradanti della figura femminile è stata spiegata in vari modi, tra chi la attribuisce ai complessi di un innamorato troppo timido e chi lo ricollega al cattolicesimo e al disprezzo collegato alla figura di Eva, prima peccatrice. In realtà, come spiegano Arellano e Kuhne, la satira contro le donne, che fa parte della tradizione letteraria del Siglo de Oro, non è più violenta di quella rivolta nei confronti di taberneros, pasteleros o ministros corruptos. Inoltre, Quevedo fu autore di bellissimi sonetti amorosi. Nei Sueños, la satira è rivolta a varie tipologie di donna: la vieja, la dueña, la prostituta e la mujer artificial. L’uso dei cosmetici, attraverso i quali è possibile alterare le proprie fattezze anche in modo radicale, le rende esempi di ipocrisia e falsità. Inoltre, Kuhne osserva che gli unguenti utilizzati dalle donne erano fabbricati con grasso di maiale, e che il riferire della loro applicazione è un modo per accostarle indirettamente agli animali. Cfr. I. Arellano, Quevedo y las mujeres: del amor al odio o viceversa in Diario de Navarra, Universidad de Navarra, 1/12/2001 in http://www.unav.es/noticias/opinion/textos/op011201.html; A. Martinengo, op. cit., pp. 396-397 ; J. Kuhne, Quevedo y las mujeres. Misogenia en el “Sueno del Infierno” de Francisco de Quevedo,Editorial GRIN GmbH, Monaco, 2006. 176 F. Quevedo, op. cit., p. 214. 177 Non a caso, Larry Silver definisce questa opera simbolo dell “attachement aux biens de ce monde” Cfr. L. Silver, op. cit., pp.260-273.

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densa simbologia dei suoi quadri: l’albero cavo, le forme ovoidi e i frutti tondeggianti sono solo alcuni esempi dei simboli alchemici piuttosto frequenti in Bosch ed in particolare nel Trittico delle delizie. Anche Quevedo tratta il tema dell’alchimia, la quale è rappresentata da un gruppo di suoi cultori. Questi personaggi, descritti ed identificati per mezzo degli oggetti di cui si servono nei i loro esperimenti, sono messi in ridicolo da Quevedo che riporta i loro discorsi astrusi ed interminabili. L’alchimia, è quindi presente nelle opere di entrambi gli autori. Bosch la utilizza nella la creazione delle figure mostruose che hanno contribuito a renderlo famoso;179 Quevedo, invece, che può avvalersi delle possibilità che il mezzo letterario gli offre, riporta i loro discorsi illogici i quali sottolineano non solo la condanna morale dell’autore ma anche ma l’insensatezza delle loro sperimentazioni.180

178

Jacques Combe, già nel 1957, evidenziava che nei quadri di Bosch è presente un certo numero di elementi ispirati all’ alchimia. Più recentemente, anche Laurinda Dixon si è mossa in questa direzione, rintracciando in opere come il Trittico delle delizie o Le tentazioni di Sant’Antonio simboli alchemici. Le posizioni della studiosa si allontanano rispetto a quell’ala della critica (tra cui Combe) che ha visto in questo tipo di simboli la prova dell’eresia di Bosch o comunque la rappresentazione del male. Dixon sostiene che, a dispetto di quanto in molti hanno affermato, l’alchimia, ai tempi di Bosch, non era affatto una pratica illegale o eretica ma una scienza sacra che permetteva di curare le malattie e che si pensava avrebbe condotto alla salvezza spirituale. Inoltre, la grande quantità di libri e manoscritti sul tema, ancora oggi reperibili nelle biblioteche, testimoniano che si trattava di una scienza largamente diffusa ed accessibile. Lo stesso Felipe II, grande collezionista delle opere di Bosch, era dedito al suo studio tanto che commissionò varie traduzioni di testi sull’argomento. Ciò che di questi testi ci colpisce sono le loro illustrazioni, molte delle quali, appunto, ispirarono l’immaginario bosciano. Cfr. J. Combe, Hieronymus Bosch, Pierre Tisné, Paris, 1957; L. Dixon, Bosch’s “Garden of Delights tryptic”: Remmants of a “Fossil” Science, in Art Bulletin, March 1981, pp. 96-131;L. Dixon, Alchemical imagery in Bosch's “Garden of delights”,UMI Research Press, Ann arbor Mich, 1981;L. Dixon, Chemical Craft and spiritual Science in Bosch’s. St. Anthony Triptych, in Jheronymus Bosch, His Souces, op.cit.,pp. 128-143. Anche secondo Caterina Limentani Virdis una delle fonti necessarie a spiegare lo stravagante mondo di Bosch è rappresentata dall’alchimia, la quale, nel clima preriformistico che caratterizzò l’Umanesimo nordico, si legava a certe pratiche magiche, largamente diffuse e documentate, le quali impiegavano una simbologia ermetica ed esoterica. Cfr. C. L. Virdis, Settantamila veli di luce e di ombra, in Le delizie dell’inferno, op. cit., p.38. 179 Cfr. M. Levisi, op. cit., p. 185. 180

La condanna all’alchimia è un tema frequente nell’opera di Quevedo e si colloca all’interno della satira delle professioni. In particolare, ciò che Quevedo rimprovera agli alchimisti (e in questo aspetto

76


3.4 El mundo por dentro ElMundo por dentro ci offre una carrellata di descrizioni e ritratti di personaggi rappresentativi del motivo della doppiezza. Uno di questi è quello del sarto che si veste da hidalgo nei giorni di festa, nel tentativo di nascondere la propria umile condizione sociale. La descrizione dell’aspetto fisico e dei particolari del suo abbigliamento è ancora una volta piuttosto significativa: con l’apparenza si tenta di camuffare la realtà. La critica di Quevedo è mirata allo smascheramento della società fatta di false apparenze per cui non può esimersi dall’ utilizzare immagini e descrizioni per poi svelarne l’inganno che, in questo caso, è perpetrato dai capi di vestiario: Es hipócrita, y el día de la fiesta, con el raso y el terciopelo y el cintillo y la cadena de oro, se desfigura de suerte que no le conocerán las tijeras y agujas y jabón, y parece tan poco a sastre, que aun parece que dice verdad.181

Un altro ritratto di particolare interesse per la nostra analisi è quello di una donna alla quale Quevedo dedica varie pagine, mettendo in atto un processo di svelamento come nel caso del Licenciado Calabrés. Notiamo, infatti, che, a una prima descrizione, incentrata sull’aspetto fisico, segue la rivelazione della falsità del personaggio. In un primo momento la dama appare come emblema di bellezza e seduzione: “Venía una mujer hermosa, trayéndose de paso los ojos que la miraban y dejando los corazones llenos de deseos” ma la sua descrizione si conclude con la rivelazione degli artifici a cui ella, così come le donne già citate nel sueño precedente, ricorre per apparire bella. Assistiamo quindi al passaggio dall’immagine della mujer hermosa, origine della passione amorosa, alla non può che differenziarsi notevolmente da Bosch) è l’uso del linguaggio, oscuro ed incomprensibile Cfr. E. Martínez Bogo, Retórica y agudeza en la prosa satírico-burlesca de Quevedo, Universidad Santiago de Compostela, Santiago de Compostela, 2009, p. 422. 181 F. Quevedo, op. cit. p. 276.

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mujer-fantoche, che si veste di viso, collo e mani, come se fossero capi di vestiario intercambiabili e, abbandonando così ogni forma di umanità.182 E’ interessante notare che nella prima parte della descrizione sono presenti alcuni elementi che preludono al successivo svelamento e che consistono nel nascondere e nello svelare alcune parti del viso: “Iba ella con artificioso descuido escondiendo el rostro a los que ya le habían

visto

y

divertidos”.183Questi atteggiamento

descubriéndole aspetti,

seduttivo

più

a

los

che

anticipano

que

alludere il

estaban a

un

processo

di

muñequización e cosificación di cui il personaggio sarà protagonista.184 Si può concludere che allo stesso modo in cui osserviamo le opere di Bosch, cercando di interpretarne i simboli, è importante leggere le descrizioni di

Quevedo facendo

attenzione ai particolari. Per entrambi, infatti, l’apparenza può essere ingannevole. E’ noto l’ampio utilizzo di simboli nei quadri di Bosch, i quali riescono a chiarire il significato delle immagini solo se interpretati. Se ad esempio si prende in considerazione la prima tavola del Trittico delle delizie, che ha per tema il paradiso terreste, ci si accorge che, nonostante l’apparenza serena, non si tratta di una raffigurazione dai tratti puramente idilliaci. La lotta di alcuni animali per la sopravvivenza (il gatto sul fondo ha appena afferrato un topo) e la presenza, anche se in secondo piano, dell’albero del bene e del male, paiono suggerire gli sviluppi negativi delle tavole successive. Incarnando Quevedo “la doppia figura del poeta e

182

Cfr. B. Garzelli, Pinturas Infernales y retratos grotescos, in La Perinola, 10, 2006, p. 142. F. Quevedo, op. cit. pp.299-301. 184 Cfr. Garzelli, op. cit. 142. Segnaliamo che la reificazione dei personaggi è secondo Maria Luisa Tobar uno degli aspetti tipici della satira, cfr. M. L. Tobar,Para una edición de las comedias de Gil Vicente in La Edicion de textos, actas del I congreso internacional de hispanistas del Siglo de Oro, Tamesis, Londra, 1990, p. 480. 183

78


dell’intenditore di arti figurative�185 non ci sembra azzardato analizzare la sua tecnica nell’ottica di una prospettiva visiva.

185

B. Garzelli, Nulla dies sine linea: gli intrecci tra creazione letteraria e arti figurative, op. cit., p.

14.

79


3.5 Sueño de la Muerte Nel Sueño de la Muerte, ultimo della serie, ritroviamo una serie di micro ritratti incentrati sulla la satira delle professioni (medici, chirurghi, sarti…) presente anche in Bosch. Ognuna delle categorie criticate è, come nel caso del pittore brabantino, rivelata attraverso gli strumenti della professione. I chirurghi, ad esempio, sono così descritti: “cargados de pinzas, tientas y cauterios, tijeras, navajas, sierras, limas, tenazas y lancetones”.186 I medici costituiscono una delle categorie più bersagliate da Quevedo che li accusa di rappresentare una minaccia per la salute dei malcapitati pazienti. Anche Bosch nell’Estrazione della pietra della follia187 fa lo stesso tipo di satira sulla vanità dell’arte medica. Rappresenta, infatti, un intervento chirurgico schernito già nel Cinquecento come pratica ciarlatanesca, la quale consisteva nell’estrazione dal capo del paziente della cosiddetta ‘pietra della follia’. La rappresentazione del chirurgo chiarisce meglio il punto di vista di Bosch. L’uomo, infatti, per derisione, indossa l’imbuto della sapienza e porta una borsa trafitta da un pugnale, la quale indica il vero scopo del suo intervento, ovvero la truffa ai danni degli ingenui ed incauti. Un altro elemento accomunabile ai Sueños è rintracciabile nella presenza della monaca che pare meditare sulle follie e stupidità terrene con l’atteggiamento del testimone pensieroso che spesso ricorre nei quadri di Bosch.188

186

F. Quevedo, op. cit., p. 321. L’estrazione della pietra della follia è secondo Cinotti una delle opere che Felipe II acquistò dagli eredi di de Guevara. Pare che alla morte del sovrano fosse in cattive condizioni e questo ha portato una parte della critica a pensare che l’esemplare che oggi si conserva al Prado sia, nonostante l’eccellente qualità, una copia dell’originale andato perduto. Cfr. M. Cinotti, L’opera completa di Bosch, Rizzoli, Milano, 1977, p. 87. 188 Ibidem. 187

80


Lo stesso atteggiamento lo ritroviamo nei racconti di Quevedo, il cui protagonista non è altro che testimone e spettatore delle follie umane.189 Margherita Morreale, nel suo saggio Hieronymus Bosch y los Sueños de Francisco de Quevedo sottolinea un ennesimo punto in comune tra i due artisti, ovvero l’utilizzo di un’atmosfera di fantasia, la quale permette ad entrambi una libertà quasi completa nella scelta e nell’utilizzo dei personaggi.190 Attraverso l’espediente onirico Bosch riesce a rendere in modo plastico simboli alchemici puramente intellettuali mentre, per Quevedo è ad esempio un modo di accostare personaggi di ogni epoca come Giuda, Maometto e Lutero nel Sueño del Infierno. La critica ha riscontrato punti in comune ai due artisti anche in altre tecniche come l’accumulazione di personaggi diversi (che in Bosch è ben presente nel Trittico delle delizie191e in Quevedo nel Sueño del Juicio Final192) e la tendenza a creare figure mostruose la quale è ricollegabile all’uso dell’elemento fantastico.193 Per concludere il nostro discorso, è appropriato soffermarsi ancora una volta sulla comparazione tra il Carro di fieno e la morale espressa ne El Mundo por dentro. Il trittico bosciano rappresenta nella tavola destra l’origine delle sventure umane ovvero la cacciata dal paradiso terrestre, che segue alla creazione e al peccato originale. La conseguenza di tale 189

Arellano, nell’introduzione all’opera, lo descrive appunto come “testigo observador” Cfr. F. Quevedo, ed. Arellano, Los Sueños, op. cit., p. 20. 190 M.Morreale, op. cit. 189. 191 J. Koldeweij, A Man like Bosch, in Jheronimus Bosch, His Sources. op. cit., p. 20 192 L’ accumulazione, che in questo sueño non riguarda solo i personaggi ma anche le figure grammaticali, è una delle caratteristiche dello stile di Quevedo. Cfr. M. Levisi, op. cit., pp. 190-191; M. Trapero, Un tema y dos estilos, Lope y Quevedo, in Boletín Millares Carlo, 3, 1981 , pp. 189-204. 193 Cfr E. Orozco Díaz, in Homenaje a Quevedo, actas de la II Academia Literaria Renacentista, Ediciones Universidad de Salamanca, Salamanca, 1996, p. 419 e M. Levisi, op. cit., p. 191.

81


cacciata si trova nel pannello centrale nel quale vediamo uomini e donne di ogni classe che si affannano ad accumulare il fieno. Nessuno di loro si accorge che il carro è trascinato da mostri che lo conducono verso l’inferno. In questo modo Bosch raffigura il mondo e gli uomini visti nel loro attaccamento ai beni materiali, il fieno, erba secca, è appunto l’emblema della caducità194 e i personaggi del quadro rappresentano, nella loro varietà, l’umanità e le conseguenze della loro vita inconsistente. Quevedo sviluppa lo stesso tema: gli uomini credono nelle apparenze, nei beni terreni, siano questi la bellezza, la ricchezza o il potere. L’unica differenza sta nella descrizione del peccato. Quevedo ne precisa la radice, identificata nell’ipocrisia. Cercare di apparire più belli o più ricchi di ciò che si è realmente non è peccaminoso di per sé ma lo è la loro radice che sta nella falsità ed ipocrisia. Bosch, nonostante attraverso l’utilizzo di simboli e dettagli riesca a rappresentare con una certa precisione contesto e conseguenze del peccato, deve essere necessariamente più trasparente poiché il mezzo di cui dispone non gli consente un approfondimento psicologico come quello di Quevedo. La pittura, infatti, non permette di

descrivere la radice dei

comportamenti degli uomini ma si limita alla loro descrizione. Si può quindi affermare che, nonostante le differenze dovute al diverso mezzo espressivo, la loro visione del mondo coincide ampiamente: gli uomini inseguono l’accidentale, il fugace che ha come unico effetto quello di distruggerli nel corpo e nell’anima.195

194

“Le foin, vil et périssable, illustre l’aveuglement de l’humanité avide et viceuse qui s’y cramponne” Cfr. L. Silver, Bosch, op. cit., p. 270. 195 Cfr. M.Levisi, op. cit., pp. 196-197.

82


Al termine dell’analisi del ciclo completo dei sueños si può concludere che, per gli esempi riportati, è lecita una lettura dell’opera basata sull’importanza degli aspetti visivi ascrivibili all’arte di Bosch che, nella Spagna di Felipe II godeva di ampia accettazione e apprezzamento.

83


Capitolo 4 Baltasar Gracián Si è parlato del Barocco spagnolo come di un’epoca caratterizzata

dall’affermazione

dell’eloquenza

visiva.

Nell’opera di Gracián questa caratteristica è ben presente sia nell’uso costante di emblemi, imprese e

allegorie sia e

soprattutto per l’idea dominante che il senso della vista costituisce la base “para saber ser persona”.196 Attraverso ElCriticón, romanzo che rielabora temi e modi di tutta la produzione precedente, Baltasar Gracián mira a trasmettere insegnamenti, fornendo un esempio di apprendistato morale basato sull’osservazione attenta della realtà. ElCriticón non è che una vasta allegoria della vita umana, una “feria de todo el mundo”,come lo definisce José Manuel Blecua197 e come si intitola una delle crisis. Il nodo centrale del romanzo è costituito dal pellegrinaggio di Critilo e Andreino. Andreino rappresenta l’uomo istintivo, comune, mentre Critilo è il prototipo

dell’uomo riflessivo ed

equilibrato. I due personaggi lottano contro le insidie del mondo come simboli rispettivamente degli istinti e della ragione, della spontaneità e della riflessione, della passione e della volontà, trasformando il romanzo in un romanzo sulla vita, perché i due protagonisti invecchiano durante lo svolgimento della trama e in un romanzo sull’uomo poiché Andreino e Critilo rappresentano i due lati di ciascun

196

M. T. Cacho, Ver como vivir, el ojo en la obra de Gracián, in Gracián y su época, Actas de la I reunión de filólogos aragoneses, Zaragoza, 1986, p.117. 197 Cfr. G. Blecua, El estilo de "El Criticón", in Archivo de filología aragonesa. Serie B, 1, 16,1945, pp. 5-32.

84


individuo.198 Durante il viaggio i due personaggi incontrano i rappresentanti di tutti gli Stati e le professioni, i costumi e le istituzioni del loro tempo. Il loro pellegrinare si conclude con il termine della vita, simboleggiato dall’ingresso nell’isla de la inmortalidad. Il senso del romanzo, che Blecua199reputa più simile a un trattato moralista, consiste nella rappresentazione della corruzione sociale, della malvagità dell’uomo e dell’assenza di norme etiche, rappresentate dalle figure allegorico-mostruose; Quevedo e Gracián, scrive Roig200 “deforman con alusión grotesca lo real que muestra así su verdadero interior”. L’analisi

delle

fondamentale

immagini nell’affrontare

si

configura una

quindi

lettura

come

dell’opera

gracianesca, poiché è attraverso le figure che Gracián intende trasmettere il suo messaggio201. A riprova di quanto affermato, vi è l’ampio campo semantico riferibile all’ambito della percezione visiva che può essere rintracciato ne El Criticón. Basandoci sull’analisi di M.Teresa Cacho202 riportiamo una piccola rassegna delle circostanze in cui è utilizzata la parola “ojo”, le quali suggeriscono l’importanza delle immagini all’interno dell’opera.

198

Santos Alonso, Introduzione a “El Criticón”,Cátedra, Madrid, 1996, p.24. G. Blecua, op. cit. p. 14.Della stessa opinione sono Romera-Navarro e Checa. Il primo reputa Critilo l’alter ego di Gracián che intende con questa opera fare una critica della società ed esprimere le regole della prudenza morale mentre il secondo afferma che Gracián in questa opera “crea su peculiar teratología para significar el desorden moral contemporáneo a través de imágenes sorprendentes, por lo habitual basadas en asociaciones de elementos empíricamente dispares cuando no contradictorios” Cfr. J.Checa, Figuraciones de lo monstruoso: Quevedo y Gracián, in La Perinola, Revista de investigación quevediana, 2, 1998, pp. 195-212; M. Romera Navarro,Sobre la moral de Gracián, in Hispanic Review, vol. 3, num. 2, Apr., 1935, pp. 119-126. 200 José A. Roig,Gracián, el estilo y la obra, Murcia: Universidad, Cátedra Saavedra Fajardo de Literatura, Monteagudo, 1958, p. 7. 201 Secondo Camón Aznar “El pensamiento de Gracián es figurativo” Cfr. J. Camon Aznar, El monstruo en Gracián y en Goya, in Homenaje a Gracián, Institución Fernando el Católico, Zaragoza, 1958, pp. 57-63. 202 Ibidem. 199

85


Secondo Gracián l’anima si trova nella testa e gli occhi sono la sua manifestazione esteriore: “Quien quisiera verla, busquéla en los ojos”.203 Mentre nel Medioevo la vista era considerata ingannevole, Gracián riteneva che “Es el oído puerta segunda de la verdad y primera de la mentira. La verdad ordinariamente se ve; raramente se oye”.204 E’, infatti, attraverso l’osservazione attenta che Andrenio riuscirà a decifrare la realtà. L’inizio del suo lungo apprendistato alla ricerca della verità è così descritto: A oscuras llega y aun a ciegas quien comienza a vivir, sin advertir que vive y sin saber qué es vivir. [...] Cuando llega a abrir los ojos, dando en la cuenta de su engaño, vive empeñado sin remedio.205

Aprire gli occhi è quindi la prima regola del vivere, il primo passo del lungo cammino della vita e dell’esperienza dell’uomo. Gracián utilizza a più riprese l’espressione “abrir los ojos” e le attribuisce vari sensi. Vediamo quali. Argos, coi suoi cento occhi, è la metafora di chi vive con gli occhi ben aperti, dell’uomo in allerta. Gracián precisa che è necessario avere occhi ovunque: gambe, spalle, gomiti e via dicendo, addirittura occhi negli occhi perché i primi vigilino sui secondi: […] para poder vivir es menester armarse un hombre de pies a cabeza, no de ojetes, sino de ojazos, muy despiertos. Ojos en las orejas para descubrir tanta falsedad y mentira. Ojos en las manos para ver lo que da y mucho más lo que toma. Ojos en los brazos para no abarcar mucho y apretar poco. Ojos en la misma lengua para mirar muchas veces lo que ha de decir uno. Ojos en el pecho para ver en qué lo ha de tener. Ojos en

203

B. Gracián, El Criticón, Edición de Santos Alonso, op. cit. I, IX, p.190. B. Gracián, Oracúlo Manual y Arte de Prudencia, tratto da M. T. Cacho, op.cit. p. 119 205 Ivi, I, V, p.113. 204

86


el corazón, atendiendo a quien le tira o le hace tiro. Ojos en los mismos ojos para mirar cómo miran.[…]206

E’ inoltre fondamentale preservare i propri occhi poiché nel lungo

cammino

della

vita

vizi

e

passioni

possono

comprometterli, deformandone la percezione o addirittura accecandoli: El confiado no va a ciegas [...] el desvanecido no es un topo para sus menguas, el hipócrita no trae la viga en los ojos? El soberbio, el jugador, el glotón, el bebedor, ¿no se ciegan por sus pasiones?207

Come il mondo di Quevedo, anche quello di Gracián è dominato dalla dicotomia realtà/apparenza.208Nell’episodio della Fuente de los Engaños troviamo la chiave del pensiero gracianesco. Tutti coloro che bagnano i proprio occhi con l’acqua di questa fonte si ritrovano con la vista deformata nei colori o nella prospettiva. Comenzaron a bañarse lo primero y estregarse los ojos blandamente pero ¡cosa rara y increíble! al mesmo punto que les tocó el agua en ellos, se les trocaron de modo que, siendo antes muy naturales y claros, se les volvieron de vidrio de todas colores [...] No sólo se les alteraban los ojos en orden a la calidad, sino a la cantidad y figura de esos objetos209

206

B. Gracián, op. cit. II, I, pp.293-294. Ivi, I, IV, p.98. 208 José Antonio Maravall individua nel desengaño, una delle caratteristiche del pensiero del Barocco: “Given the idea that the world is a stage, a dream, fiction (with respect to transcendental essence) the disillusion that leads us to so that we might apprehend such a truth does not operate by postulating a renunciation or requiring it of whoever recognizes truth. If we all dream reality, this means that we must adequate our mode of behavior to this condition of the real. If in Quevedo, a writer who explored the theme of disillusion frequently and under the most varied forms we read passages like the following “I will show you the world as it is, which you do not succeed in seeing beyond what it seems’ […] Quevedo formulated the issue in this way to propose that the reader think about the beyond […] On the same basis, Gracián or Saavedra were striving to influence the modes of behavior that leads to success Cfr. J. A. Maravall, Culture of the baroque: analysis of a historical structure, Manchester University Press, Manchester, 1986, pp. 202-203. Lo stesso parallelo è tracciato da José A. Roig, che scrive: “El arte descriptivo de Quevedo tan ferozmente cambiante, […] constituye una de las más geniales expresiones del barroco español. Pero donde esa teoría del cambio llega a los más exarcebados extremos es en Gracián. Toda su estética literaria radica en la oposición del ser de la apariencia, y en sus trueques monstruosos se va revelando su auténtica realidad. Todo es paso y contraste. Es un mundo jánico como rostros doblados y evidencias encubiertas por sus antagónicos’’. In J. Roig, op. cit., p. 9. 209 Ivi, I, VII, p.155. 207

87


Alla distorsione del campo cromatico si aggiunge quindi la deformazione prospettica. Ai difetti percettivi corrisponde la decadenza morale dei personaggi, la cui vista è offuscata dalle torbide passioni. Solo gli sciocchi, secondo Gracián, cadono nelle trappole dell’apparenza, poiché non sanno utilizzare i propri

occhi,

sono

incapaci

di

trarre

dall’osservazione della realtà, giacché, come dirà Discreto

210

“El contemplar hace sabios”.

beneficio ne El

211

Un aspetto fondamentale de El Criticón, importante per chiarire il ruolo degli aspetti visuali all’interno dell’opera, risiede nel prospettivismo, secondo cui il mondo può essere analizzato da diversi punti di vista, ognuno dei quali concorre a comprendere meglio la realtà attraverso il proprio limitato, relativo ma imprescindibile apporto. I due protagonisti del romanzo, infatti, rappresentano rispettivamente lo sguardo vigile e disincantato dell’esperienza e quello incauto, ingenuo proprio degli inesperti sulle cose del mondo. Critilo e Andreino, scrive Mariano Baquero “ven el mundo, las cosas, los hechos, de diferente y hasta opuesta manera”.212 La seguente citazione, in cui i personaggi parlano della Verità, costituisce un esempio eloquente: Yo la besé -dixo Adrenio- la una de sus blancas manos, y la sentí tan amarga, que aun me dura el sinsabor. -Pues yo -dixo Critilo -la besé la otra al mismo tiempo y la bailé de azúcar. Más que linda estava y muy de día: todos los treinta y tres treses de hermosura se los conté uno por uno: 210

Si tratta di un trattato appartenente al genere della prosa didattica, nel quale Gracián descrive le qualità che ogni uomo dovrebbe possedere: intelligenza, educazione, prudenza e sagacia. Secondo Ricardo Senabre quest’opera anticipa i temi poi sviluppati ne El Criticón. R. Senabre, Gracián y El criticón, Ediciones Universidad de Salamanca, Salamanca, 1979, p. 27. 211 B. Gracián, El Discreto, tratto da M.T. Cacho, op. cit., p. 128. 212 M. Baquero Goyanes,Perspectivismo y sátira en ‘El Criticón’, in Homenaje a Baltasar Gracián, Institución Fernando el Católico, Zaragoza, 1958, p.28. Un’ossevazione molto simile è stata fatta anche da Roig che ritiene che lo sguardo ingenuo di Andrenio e quello disincantato di Critilo siano utili a rappresentare una visione del mondo il più possibile ampia ed esauriente. Parla infatti di “duplicar la mirada del lector para que pueda contemplar el mundo desde un ángulo nuevo” J. Roig, op. cit., p. 8.

88


ella era blanca en tres cosas, colorada en otras tres, crecida en tres, y assi de lodemás. Pero, entre todas estas perfecciones, excedía la de la pequeña y dulce boca, brollador de ámbar. -Pues a mí -replicó Andrenio- me pareció al contrario, y aunquepocas cosas me suelen desagradar, ésta por extremo -Paréceme -dixo el Descifrador-que vivís ambos muy opuestos en genio: lo que al uno agrada, al otro le descontenta213

Avendo chiarito quale sia l’importanza dell’ambito sensoriale visivo all’interno del romanzo, tenteremo ora di rintracciare le ragioni del noto paragone tra El Criticón e l’opera di Hieronymus Bosch. E’ noto, infatti, che il romanzo in questione è stato spesso comparato alla pittura bosciana sia per quanto riguarda lo stile, elaborato e minuzioso, sia per le immagini fantastiche che entrambi utilizzarono come soggetti per le loro opere214. Inoltre non si dimentichi che, come nel caso di Quevedo, fu lo stesso Gracián a citare Bosch. Nella sesta crisi della parte prima leggiamo: […] Oh què bien pintaba el Bosco!; ahora entiendo su capricho. Cosas veréis increíbles […] no hallaréis cosa con cosa. Y a un mundo que no tiene ni pies ni cabeza, de merced se les da el descabezado. Haced cuenta -dijo el Quirón -que soñáis despiertos. ¡Oh qué bien pintaba elBosco!; ahora entiendo su capricho. Cosas veréis increíbles. Advertid que los que habían deser cabezas por su prudencia y saber, esos andan por el suelo, despreciados, olvidados y abatidos; al contrario, los que habían de ser pies por no saber las cosas ni entender las materias, gente incapaz, sin ciencia ni experiencia, esos mandan. Y así va el mundo, cual digan dueñas: mejor fuera dueños. No hallaréis cosa con cosa. Y a un mundo que no tiene pies ni cabeza, de merced se le da el descabezado.215

213

B. Gracián, op. cit, III, IV, pp. 612-613. A proposito di immagini fantastiche, citiamo Aurora Egido, la quale oltre a sottolineare l’importanza del senso della vista nell’opera in questione, sostiene che molte delle immagini utilizzate da Gracián sono ispirate all’iconografia bosciana “ utilizará frecuentes referencias pictóricas […], recreará el mundo del Bosco” ; “Y la vista […] será sentido imprescindible para ver y descifrar el mundo” A. Egido, El arte de la memoria ne ‘El Criticón’, in Gracián y su época : actas de la I Reunión de Filólogos Aragoneses : ponencias y comunicaciones, Reunión de Filólogos Aragoneses, 1986, pp. 25-66. 215 B. Gracián, op. cit., I, VI, p. 133. 214

89


Questa citazione dimostra che Gracián era un conoscitore dell’arte di Bosch216 che qua è utilizzata come metro di paragone per la descrizione di figure strane e bizzarre di cui è fatto ampio uso. Attraverso la lettura dei tre libri che compongono l’opera, tenteremo ora di indicare una serie di elementi caratteristici della prosa di Gracián, molti dei quali sono già stati segnalati a proposito dei Sueños, cercando di chiarire le ragioni dell’accostamento alla pittura di Bosch. Una delle caratteristiche più note de El Criticón è senza dubbio l’abbondanza di figure mostruose.217 Il termine monstruo in sé è utilizzato dallo stesso Gracián già nelle primissime battute del romanzo: “Aquí, luchando con las olas, contrastando los vientos y más los desaires de la fortuna, mal sostenido de una tabla, solicitaba puerto un náufrago, monstruo de la naturaleza y de la suerte”.218Margarita Levisi e Jorge Checa segnalano219 che nel Seicento tale vocabolo era utilizzato per riferirsi ad esseri composti da molteplici parti, straordinari sia per l’aspetto sia per l’orrore che riescono a suscitare. Ancora Levisi precisa come anche per Gracián la parola in questione

216

Ignacio Gómez de Liaño riferisce che Gracián visitò l’Alcazár dove potè ammirare le opere di Bosch. Cfr. I. Gómez de Liaño, La variedad del mundo, Siruela, Madrid, 2009, p. 69. 217 Paul Ilie precisa che la tendenza al mostruoso nell’opera di Gracian è inquadrabile all’interno della tradizione del grottesco, nella quale colloca anche Bosch. Come nota Ilie, i mostri nell’opera di Gracian rappresentano l frutto della sovversione dell’ordine naturale che comprende i vari fenomeni di ibridismo, Inoltre Ilie precisa che nell’epoca di Gracian era ben noto il legame tra Bosch e il grottesco, come è evidente dalla lettura del Tesoro dela lengua castellana di Sebastian Corrubias che, ricordiamo, inseriva il nome di Bosch all’interno della definizione di grottesco. Che i mostri siano la rappresentazione del male è convinto anche Aznar: El monstruo en Gracián es es consecuencia de una visión concreta y figurativa con elementos naturales de anormalidades morales” Si ricordi, inoltre, che anche Stefan Fischer ha precisato che Bosch può essere inserito all’interno della tradizione del grottesco. Cfr. J. Camón Aznar, El monstruo en Gracián y en Goya, op. cit., pp.57-63; P. Ilie, Gracián and the Moral Grotesque, in Hispanic Review, vol. 39, num. 1, gen., 1971, pp.30-48; S. Fischer, Jheronimus Bosch’s Works of Art as allegorical and grotesque Moral, in Jheronymus Bosch, His Sources, op. cit., pp. 145-156. 218 B. Gracián, op. cit., I, I, pp. 65-66. 219 Nel secondo paragrafo della prima crisi, Critilo è definito “monstruo de la naturaleza y de la suerte” per sottolineare sia le sue straordinarie qulità che la potenza della fortuna che gli permettono di scampare ad un neufragio e di approdare vivo in un porto. Cfr. M.Levisi, Los personajes compuestos en “El Criticón” in Actas del VI Congreso Internacional de Hispanistas, Toronto, University of Toronto, 1980 e G.Checa, op. cit., pp.195-212.

90


riveste questo preciso significato poiché implica una combinazione anomala di fattori che permette a Critilo di salvarsi la vita.220 Inoltre, lo stesso personaggio dice di vedere: “unas montañas que vuelan, quatro alados monstruos marinos, si no son nubes, que navegan".221E’ quindi evidente che, nell’utilizzare questo termine, Gracián si riferisce a una commistione di elementi di natura diversa, le montagne sono infatti associate al volo e le nubi alla navigazione. Dall’accostamento

di

elementi

diversi

si

sviluppa

la

straordinaria varietà di creature bizzarre, di ibridi che Critilo e Andreino osservano durante il loro viaggio. Il personaggio di Falimundo è un buon esempio di ibrido uomo-animale, comune anche nelle pitture di Bosch: El rostro, que a primera vista parece verdadero, no es de hombre sino de vulpeja; de medio arriba es serpiente; tan torcido tiene el cuerpo y sus entrañas tan rebueltas que basta a rebolverlas; el espinazo tiene de camello, hasta la nariz tiene corcoba; el remate es de sirena […]No puede ir derecho; ¿no ves cómo tuerce el cuello? Anda acorbado...las manos tiene gafas, los pies tuertos, la vista atravessada.222

Nel saggio di Levisi è segnalata la straordinaria coincidenza tra questa figura e il mostro dal corpo d’albero, viso umano e gambe animali presente nell’Inferno musicale, il pannello destro del Trittico delle delizie. Il viso e lo sguardo del personaggio, eloquentemente rivolti verso l’osservatore del quadro, contrastano con la posizione del corpo, orientato verso il lato opposto, proprio come nel caso di Falimundo.223

220

M. Levisi, op. cit, p.451. B. Gracián, op. cit, I, IV, p. 99. 222 Ivi, I, VIII, pp.182-183. 223 “[…] en el panel que representa el Infierno en el Jardín de las delicias de Bosch, es notable el gran monstruo blanquecino formado por un tronco hueco, dos piernas aparentemente animales, y un rostro humano vuelto hacia el observador a pesar de que el cuerpo parece orientado en dirección opuesta. La posición de los miembros y su movimiento parece tan torcida como en el caso de Falimundo”, M. Levisi, op. cit., p. 452. 221

91


Falimundo costituisce quindi un ibrido, un’assurda mescolanza di elementi di natura diversa. Nell’iconografia bosciana si ritrovano numerosi esempi di ibridi uomo-animale, i quali abbondano nel romanzo in questione, li ritroviamo ad esempio nella descrizione degli uomini maturi i quali ricevono “pierna de grulla, pie de buej, oreja de gato, ojo de linze, nariz de rinoceronte y culebra de pellejo”224 oppure quando il Descifrador spiega che molti uomini sono in realtà “unos compuestos de fieras y hombres, otros de hombres y bestias, quál de político y raposo, y quál de lobo y avaro; de hombre y gallina muchos bravos”.225 Gracián non si limita alla creazione di ibridi uomo-animale ma, come Bosch, descrive ibridi formati dalla commistione tra esseri umani ed elementi inanimati.226Coloro che bevono alla Fuente de los Engaños: […] quedaron llenos de ayre, rebutidos de borra […] Los coracones se les bolvieron de corcho, sin jugo de humanidad ni valor de personas, las entrañas se les endurecieron más que de pedernales, los sesos de algodón, sin fondo de juízio, la sangre agua, sin color ni calor, el pecho de cera, no ya de azero, los nervios de estopa sin bríos, los pies de plomo para lo bueno, y de pluma para lo malo, las manos de pez que todo se les pega, las lenguas de borra, los ojos de papel.227

Un’ulteriore caratteristica dello stile e del pensiero di Gracián è il gioco di contrasti, difatti, accanto ai mostri per composizione,

troviamo

mostri

per

disgregazione

o

dissociazione, le cui parti costitutive “paiono voler fuggire

224

Ivi, II,I, p.305. B. Gracián, op. cit., I,IV, p. 615. 226 Cfr. C.Linfert, Hieronymus Bosch, Ed. italiana Garzanti, 1972, p.8 Linfert evidenzia che Bosch rinnova la tradizionale rappresentazione del demoniaco con la creazione di mostruosi ibridi formati da una commistione di elementi animali, umani ed ingranaggi. Un’opera esemplare in questo senso è Le Tentazioni di Sant’ Antonio in cui Silver ha visto la rappresentazione simbolica del male e delle tentazioni da cui il santo tenta di fuggire. Cfr. L. Silver, Bosch, op. cit., pp. 220-234. 227 B.Gracián, op.cit., I,VII, pp. 158-159. 225

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dalla totalità”.228 Una delle storie che fungono da incipit alle diverse crisis rappresenta molto bene questa tecnica. Il Valor, in punto di morte, è circondato dai rappresentanti delle diverse nazioni che aspirano a riceverne l’eredità: No tengo otra cosa que a mí mismo -les respondió- Lo que yo os podré dexar será este mi lastimoso cadáver, este esqueleto de lo que fui. Id llegando, que yo os lo iré repartiendo.229

Così gli italiani ricevono la testa, i francesi le braccia, gli inglesi il viso, e così via. Il Valor è distribuito come se il suo corpo fosse un oggetto. La reificazione dell’essere unita a un processo di smembramento, già osservato ne LosSueños230e rintracciabile anche in Bosch,231 è ben presente anche nel racconto umoristico del vecchio signore che, aiutato da un domestico, si spoglia non solo dei propri abiti ma anche dei diversi membri posticci. Liberatosi di denti, capelli, di un occhio e di una gamba, scatena la reazione allarmata del domestico, che domada “¿Eres amo o eres fantasma? ¿Qué diablo eres?” alla quale risponde: “‘De poco te espantas: dexa essa pierna y ase de essa cabeca’. Y al mismo punto, como si fuera de tornillo, amagó con ambas manos a retorcer y a tirársela”.232 Molti personaggi de El Criticón sono caratterizzati dall’assenza di una parte del corpo, in altri casi, invece, si osserva l’esistenza di un membro che agisce in modo indipendentemente dal resto del corpo, con un effetto visuale 228

M.Levisi, op. cit., p. 453. B. Gracián, op. cit., II,VIII, p. 453. 230 Nel precedente capitolo si è parlato dei morti che abbandonano i propri sepolcri nel Sueño del Juicio Final e della descrizione del dómine Cabra del Buscón 231 Vedi ad esempio lo sportello destro de Le Tentazioni di Sant’ Antonio , in cui osserviamo il corpo di un uomo privo della testa. Aggiungiamo inoltre che, secondo Castelli, lo smembramento è una caratteristica dello stile bosciano. “La sensación de desgarramiento dómina el arte no sólo del Bosco, sino de Bruegel, de Huys, de Hendrick Met de Bles y de los flamencos menores”. Cfr. E. Castelli, Lo demoníaco en elarte: su significado filosófico, Siruela, Madrid, 2007, pp. 77-81 (Ediz. orig. Il demoniaco nell’arte, Electa, Firenze, 1952). 232 B. Gracián, op. cit., III,I, pp. 549-550. 229

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piuttosto suggestivo. A questo proposito si può citare l’episodio in cui Critilo sorprende Andreino a dormire nella cueva de los lascivos in cui è presente una mano “que de la misma pared nacía, blanca y fresca, adornada de hilos de perlas’ e le cui dita… ardían […] como candelas”.233Anche nei quadri di Bosch osserviamo la raffigurazione di membra indipendenti dal corpo come ad esempio i ben noti padiglioni auricolari presenti nell’Inferno musicale. Le bizzarre figure prodotte della fantasia di Gracián non sono altro che simboli, allegorie di concetti racchiusi all’interno di ciascuna “crisi”. Molte crisis, come El estado del siglo (Libro I, crisi VI) sono organizzate attorno ad un tema centrale, simboleggiato da una precisa figura allegorica e composte da una serie di allegorie minori. Secondo Kassier,234 la formazione delle crisis, che variano nell’estensione e nel grado di elaborazione, ricorda lo schema compositivo delle pitture di Bosch. All’interno de El Criticón figure come la fuente de los engaños o la plaza dell’Estado del siglo (circondate rispettivamente da gruppi di fiere o bevitori, ciascuno espressione di un diverso aspetto dell’engaño) sono racchiuse all’interno dello spazio virtualmente illimitato di ciascuna crisi e rappresentano tutti i terribili effetti del vizio e della malvagità sull’esistenza umana. Allo stesso modo, nel Trittico delle delizie è presente un’immagine centrale, la fontana della giovinezza attorno a cui sfila la “cavalcata della lussuria”, che attraverso le figure che la attorniano (il bue simboleggiante

233

B. Gracián, op. cit., I,XII, p.261. Secondo Kassier tra l’opera dei due artisti ci sono notevoli somiglianze strutturali, nate dalla conoscenza di Gracián per l’opera del fiammingo. “Gracian displays an evident consciousness both of Bosch’s work and of his own work’s pictorial aspect” Cfr. T. L.Kassier, The Truth Disguised: Allegorical Structure and Technique in Gracián’s “Criticón”, Tamesis Books Limited, Madrid, 1986, p. 87. 234

94


l’egoismo, il cavallo la lussuria, il leone la superbia etc.235) comunica tutte le sfaccettature del peccato. Kassier precisa che, nonostante il mezzo espressivo utilizzato da Gracián, non garantisca una rappresentazione precisa tanto quella di Bosch, è presente un’ovvia coincidenza di intenti ed effetti tra la crisi e un dipinto allegorico quale quello in questione.236 In definitiva, ognuna delle allegorie de El Criticón possiede

qualità

visuali.

Critilo

e

Andreino

vengono

costantemente invitati ad osservarle,237 e così è implicitamente invitato a fare chi legge, attraverso un processo di immaginazione visuale che parte dalla descrizione dei dettagli fisici forniti da Gracián. La riproduzione mentale delle figure suggerite dal romanzo è la prima reazione, sostiene Levisi,238 che ci si aspetta dal lettore, reazione che lo prepara

al

fondamentale passo successivo, ovvero la ricerca di una corrispondenza tra le immagini e i concetti che queste veicolano. Una caratteristica comune sia a Gracián che a Bosch, e relazionata alla presenza di figure strane e bizzarre, sta nell’utilizzo di un’atmosfera fantastica. Bosch è famoso per la ricchezza di inventiva, per la creazione di figure insolite. Prima di lui esisteva già un’arte fantastica,239 simbolica, mostruosa

235

Per un elenco dei simboli presenti in questa tavola vedi I. Mateo Gomez, El Jardín de las Delicias y sus fuentes, op. cit., p. 74. 236 T. Kassier, op. cit., p. 86. 237 Vedi le frequenti esortazioni delle varie guide che i due protagonisti incontrano durante il loro viaggio. 238 M.Levisi, op. cit., p.454. 239 Isidro Gonzalo Bango Torviso e Fernando Marías, così come Keith Moxey , evidenziano la straordinarietà dell’ arte bosciana per quanto riguarda l’uso del fantastico, che conduce a quella proliferazione di figure che hanno reso famoso il maestro fiammingo. Aggiungiamo che l’uso del fantastico è nell’opera bosciana piuttosto esteso, Colenbrander, infatti, segnala che persino nella rappresentazione della flora e della fauna esotica de El Jardin de las Delicias, di per sé straordinaria, Bosch aggiunse dei dettagli fantastici. “It must be said that in rendering the fauna and flora Bosch did not follow nature exactly; we can even conclude that he intentionally made them rather fanciful” Cfr. H. Colenbrander, Exotica, in Jheronymus Bosch, His Sources, op. cit. pp. 73-89; I. Bango Torviso, F. Marías, Bosch: Realidad, símbolo y fantasia, Silex Ediciones, Madrid, 1982, p. 43; K. Moxey,

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ma questa non raggiunse mai la complessità o originalità della sua. L’utilizzo di un’atmosfera surreale gli permette la creazione di ibridi mostruosi e di trasporre in modo visuale simboli intellettuali. Per Gracián è lo stesso: le sue figure mostruose, fantastiche e mitologiche sono vere e proprie allegorie240 che veicolano concetti. Per cui si può affermare che in entrambi l’uso di un’ atmosfera fantastica costituisce un mezzo per poter usare liberamente immagini simboliche, per trasporre in maniera plastica concetti astratti. Si ricollega a questa tecnica l’accumulazione di figure,241 presente in entrambi gli autori. In Bosch è riscontrabile in quadri come ilTrittico delle delizie e il Carro di fieno, in Gracián nella gran quantità di fiere che affolla la Plaza Mayor.242 Ma in Gracián è presente anche l’accumulazione di funzioni grammaticali, la quale produce il medesimo effetto di sovrabbondanza di elementi. Leggiamo, ad esempio, che la Mentira corrompe l’uomo ingenuo: valiendose de sus invenciones, ardides, estratagemas, asechanzas, trazas, ficciones, embustes, enredos, embelecos, dolos, marañas, ilusiones, trampas, fraudes, falacias y todo género de italiano proceder.243

o che l’abbigliamento in uso nel regno di Falimundo consiste in “muchos dobleces, pliegues, forros y contraforros, senos, bolsillos, sobrepuestos, alforzas y capa para todas las cosas”.244 Come già accennato, Theodor Kassier245 osserva che ne El Criticón come nelle rappresentazioni bosciane è presente una

Hieronymus Bosch and the Wold “Upside Down” in A. Brynson, M. A. Holly, Visual Culture, Images and Interpretation, Wesleyan University Press, Hanover, NH, 1994, pp. 104-140. 240 Cfr. M. Romera Navarro, Las alegorías del Criticón, Hispanic Review, 9, 1, Crawford Memorial Number (Gen., 1941), University of Pennsylvania, pp. 151-175. 241 Jos Koldeweij parla di “scenes […] overloaded with innumerable figures” Cfr. J. Koldeweij, A Man like Bosch, in Jheronimus Bosch, His Sources. op. cit., p. 20 242 B. Gracián, op. cit., I, VI, p. 131. 243 B. Gracián, op. cit., I, VII, p.150. 244 Ivi, I, VIII, p. 177. 245 T. Kassier, op. cit. p. 74.

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tendenza a suddividere e classificare l’apparente illimitata proliferazione di immagini allegoriche attorno a un’immagine centrale. Nel romanzo di Gracián, ad esempio, le fiere si radunano intorno alla Fuente de los Engaños o all’interno della plaza, mentre, nei quadri di Bosch, figure umane, a loro volta

divise

in

sottogruppi,

si

riuniscono

intorno

a

un’immagine fulcro come il carro (nel Carro di fieno) e la fontana del Giardino delle delizie. Un ulteriore elemento stilistico de El Criticón, caratteristico del pensiero barocco, per cui il mondo si compone di elementi contrari, sta nell’uso sistematico della contrapposizione: […] todo este universo se compone de contrarios y se concierta de desconciertos. Uno contra otro […] no hay cosa que no tenga su contrario con quien pelee, ya con victoria, ya con rendimiento. Todo es hacer y padecer. Si hay acción, hay repasión.246

In frasi come “los pies, de plomo para lo bueno, y de pluma para lo malo”247 e “¡qué corta corte ésta!”248Gracián inverte le frasi che egli stesso usa, attribuendo ad ognuno degli elementi in questione un significato diverso da quello che aveva all’inizio. Si ottiene così un’apparenza di inversione e due significati diversi che però non compromettono l’unità della frase. Possiamo accostare questo tipo di contrapposizioni, osserva Margarita Levisi,249 agli ibridi dei quadri di Bosch in cui, come nel caso del cavallo dal corpo di brocca, presente nel pannello centrale de Le Tentazioni di Sant’Antonio, il corpo del cavallo è allo stesso tempo una brocca e una parte del corpo dell’animale, una figura doppia, composta da due elementi contrastanti ma allo stesso tempo congiunti. Gli elementi compositivi, figurativi o letterari, tendono a sovrapporsi e 246

B. Gracián, op. cit., I, III, p. 597. Ivi, I,VII, p. 615. 248 Ivi, III,III, p. 608. 249 M. Levisi, op. cit., pp. 197-198. 247

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contrapporsi al medesimo tempo, mantenendo però un’unità compositiva

e

di

significato

aldilà

dell’apparente

contrapposizione. Quindi, nelle frasi composte da significati contrastanti e nelle bizzarre creature dalla doppia natura troviamo un altro dei punti in comune tra Bosch e Gracián per ciò che attiene allo stile. Come si è detto, El Criticón, è una vasta allegoria della vita umana, il cui nodo centrale è il pellegrinaggio dei due personaggi.Segnaliamo che l’allegoria del pellegrinaggio viene espressa anche da Bosch in maniera piuttosto chiara nel il Carro di fieno, e precisamente nelle due facce esterne dei pannelli laterali. I pannelli in questione formano una composizione unica, quella del pellegrino che vaga per le vie del mondo seminate di eventi magici o peccaminosi, raffigurati nel paesaggio. Se per Cinotti ilpellegrino di Bosch è

il

testimone della “labile commedia umana”250si può dire che questa caratteristica lo avvicina molto ai pellegrini de El Criticón, testimoni allo stesso modo delle insidie che si 250

M. Cinotti, op. cit. p. 95. In questo trittico, così come evidenziato da Falkeburg, Bosch si avvale della metafora del pellegrinaggio, facilmente decifrabile dai suoi contemporanei. Nel Medioevo la vita era, infatti, concepita come un viaggio e l’uomo veniva considerato un viandante alla ricerca della propria casa. Inoltre, come rileva Van Dijck, “an artisti […] is the result of his heredity, family, friends and external influences” perciò è importante rilevare che i pellegrinaggi ai tempi di Bosch, e nella sua città in particolare, erano piuttosto frequenti. Riguardo alle sue fonti letterarie o figurative, nonostante gran parte della critica identifichi nel Pèlerinage de la vie humaine di De Diguilleville, Gómez ritiene che la fonte più probabile sia El Peregrino de la vida humana di Fray Vicente Mazuelo, pubblicato a Tolosa nel 1490 col quale presenta numerosi punti in comune tra cui il messaggio didatticomoralizzatore che si configura come una sorta di memento mori. Ricordiamo inoltre che esistono due versioni del Carro di fieno, una conservata al Prado e una all’Escorial. Nonostante non sia molto chiaro quale sia la versione originale, la versione del Prado è quella più studiata. La sua datazione, è incerta ma deve essere comunque compresa tra il 1485 e il 1490. Lo stesso soggetto è inoltre rappresentato da El vendedor ambulante, custodito a Rotterdam, in cui Bosch esprime la stessa metafora della vita umana come viaggio, col suo paesaggio irto di pericoli che ne rappresentano le varie difficoltà e tentazioni. Cfr. L. Van Dijck, Jheronimus Bosch inspired by People in his Environment: Research from the archival Sources, in Jheronymus Bosch, His Sources, op. cit., pp. 112-127; I. Mateo Gómez ; J. Mateo Viñes, El Peregrino de la Vida Humana del Bosco, in Archivo español de arte, 70, 1997, pp. 297-302;R.L. Falkenburg, Joachim Patinir, Landscape as an Image of the Pilgrimage of Life,Benjamins Pub. Co., Amsterdam-Phildadelphia, 1988, pp. 87-92; Y. Pinson, A moralized semi-secular Triptych by Jheronimus Bosch, in Jheronymus Bosch, His Sources, op. cit., pp. 265-277; Y. Pinson, Hieronymus Bosch: Homo viator at a Crossroads: A New Reading of the Rotterdam tondo, in Artibus et Historiae, vol. 26, num. 52, 2005, pp. 57-84.

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presentano lungo il cammino dell’uomo. I pellegrini dell’uno come dell’altro percorrono un cammino irto di pericoli, rappresentati dai simboli. Le simbologie di entrambi gli autori mostrano le deformazioni derivanti dal peccato e invitano alla ricerca della verità celata dietro le false apparenze, di modo che i lettori e gli osservatori delle opere in questione imparino a tutelarsi dai rischi del peccato e si convertano in uomini liberi dai vizi e dalle follie della caduca esperienza umana. Per via di questa similarità di messaggio e sulla base dei ricorsi stilistici fin qui esposti, è possibile escludere che l’accostamento tra El Criticón e le pitture di Hieronymus Bosch sia frutto di casualità o di forzature.

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Capitolo 5 Francisco Ayala Francisco Ayala, così come Camilo José Cela, appartiene a quella generazione di scrittori le cui nascenti carriere furono bruscamente interrotte dalla Guerra Civile (1936-1939) e si inserisce nel vasto gruppo di esiliati che a causa del conflitto furono costretti ad abbandonare il proprio Paese. Ayala in particolare trascorse gli anni dell’esilio tra Argentina, Porto Rico e Stati Uniti e fece ritorno in Spagna solo nel 1976, in seguito alla morte del Generalissimo Franco. La sua opera letteraria fu premiata nel 1991col Premio Cervantes. Il testo che prendiamo qui in esame, El Jardín de las Delicias, non solo è fondamentale per il nostro discorso sull’impatto di Bosch in Spagna ma è anche un testo esemplare per via delle relazioni tra letteratura e arti visive che in esso si intrecciano. Il libro, infatti, si compone di una serie di storie, divise in due parti, Diablo mundo e Días felices. Molte delle storie presenti nella seconda parte sono accompagnate da riproduzioni di famosi quadri e sculture. Nonostante non l’avesse mai sviluppata così come fa in questo testo, Ayala aveva già fatto uso di questa tecnica in lavori precedenti. In Los usurpadores, (1949), ad esempio, storie come San Juan de Dios e El Hechizado traggono ispirazione dall’atto di ammirare certi dipinti. Rosemary e Carlos Feal, nell’interessante saggio Painting on the Page: Interartistic Approaches to Modern Hispanic Texts, rilevano come ne El Jardín de las Delicias la relazione tra

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letteratura ed arti visuali sia molto esplicita. Leggiamo, infatti, che The plasticity of Ayala’s imagination stands out clearly when he employs the act of contemplating a painting as a departure point for a story […] the figure of the writer becomes inseparable from the painted figures that he animates and observes as a coparticipant in pleasure, pain, proximity to death, vehement desire, and nostalgie for paradise.251

Le parole dello stesso Ayala confermano quanto sostenuto dai due studiosi : Más de un crítico ha sugerido - y yo lo tengo por cierto - que mi imaginación literaria es una imaginación de índole plástica y, concretamente, que en ella hay una fuerte inflexión pictórica.252

Alla luce di queste affermazioni è opportuno citare anche Estelle Irizarry, la quale sostiene che le storie contenute ne El Jardín delas Delicias possono essere considerate illustrazioni dei dipinti che le accompagnano, i quali giocano un ruolo fondamentale poiché i racconti sono concepiti a partire dalle reminiscenze visive253, così come testimoniano le fotografie delle celebri opere d’arte poste all’inizio del volume, alle quali alludono i racconti che seguono. Anche Emilio Orozco Díaz, nel suo saggio Una Introducción a “El Jardín de las Delicias” de Ayala, è dello stesso avviso. Sostiene infatti che in quest’ opera è presente un forte influsso barocco sia nell’apparente frammentarietà dei racconti che compongono il volume, sia e soprattutto nell’utilizzo dell’elemento visuale che caratterizza ciascuno di essi. Leggiamo, infatti: “Creo plenamente acorde con un sentido 251

C. Feal, R. G. Feal, Painting on the page: Interartistic approaches to modern Hispanics texts, State University New York Press, Albany, 1995, p. XVI. 252 F. Ayala, El tiempo y yo, Espasa-Calpe S. A., Madrid, 1978, p. 21. 253 “The stories can be considered true illustrations of the paintings depicted, since the visual experience seems anterior to the literary creation” E. Irizarry, Francisco Ayala, Twayne Publishers, Boston, 1977, p. 258.

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barroco la especial valoración del elemento visual y plástico pictórico que nos ofrece la narrativa de Ayala”.254 Díaz osserva che Ayala valorizza gli elementi visivi e cura particolarmente la rappresentazione dei dettagli. Secondo il critico tale modus operandi era tipico dei pittori del Barocco, i quali privilegiavano gli elementi più vicini nello spazio rispetto a quelli lontani.255 In proposito occorre ricordare la formazione pittorica di Ayala e la sua passione per le arti visive. Egli stesso lo ricordò nella ben nota intervista con Amorós, sostenendo che praticò la pittura fin da bambino e che in campo artistico si riteneva abbastanza esperto.256 Le sue conoscenze pittoriche hanno evidentemente influenzato il suo modo di osservare la realtà, così aspetti pittorico-visivi sono evidenti non solo nelle sue descrizioni ma anche nella scelta degli elementi espressivi e nel gusto compositivo.257 Orozco Díaz procede rilevando che Ayala, si avvale degli elementi visivi ogni qual volta vuole conferire particolare intensità ad una scena. Gli effetti massimi, tanto nella descrizione degli aspetti degradanti come in quella dei più puri dell’uomo e della società, vengono da lui raggiunti attraverso l’utilizzo di un’immagine reale o artistica, ed è in questo modo che riesce a rendere l’idea della concretezza di una scena.

254

E. Orozco Díaz, Una introducción a “El Jardín de las Delicias” de Ayala, (Sobre Manierismo y Barroco en la narrativa contemporánea), Universidad de Granada, Granada, 1985, p. 44. In questo come in altri saggi Díaz tratta il tema dell’importanza degli aspetti visivi nel Barocco spagnolo. Sull’influsso del Barocco vedi anche A. Egido, Fronteras de la poesIa en el Barroco e E. Orozco Díaz, Lo visual y pictórico en el arte de Quevedo in Homenaje a Quevedo, Actasde la II Academia Literaria Renacentista , Universidad de Salamanca, Salamanca, 1982. 255 Cfr. Ivi, p.45 Questa affermazione di Diaz non tiene ovviamente conto del cosiddetto “sfondato”, modo di dipingere tipico delle pittura del Barocco dal Seicento in poi, che simula l’apertura di un vano al di là della parete e che quindi dà risalto agli elementi lontani nello spazio. 256 A. Amorós, Conversación con Francisco Ayala sobre “El Jardín de las Delicias”, in ĺnsula, Revista de Letras y CienciasHumanas, 718, Ottobre, 2006, p.5. 257 “ E. OrozcoDíaz,Una introducción a “El Jardín de las Delicias” de Ayala, (Sobre Manierismo y Barroco en la narrativa contemporánea), op. cit., p. 46.

102


A tale scopo non utilizzò mai espressioni crude, anzi, si attenne sempre ad un vocabolario abbastanza moderato “porque su recurso es otro”,258 sostiene Díaz. Non aveva, infatti, bisogno di utilizzare termini forti poiché riusciva a rendere l’intensità di una scena solo attraverso la descrizione di particolari dettagli. Un esempio di questa tecnica si può osservare in Un ballo in maschera, contenuto nella prima parte della raccolta. Il protagonista del racconto è un uomo ubriaco, caduto e disteso sotto un tavolo. Attraverso i suoi occhi, l’autore

ci permette di osservare le

gambe

che

“parecen de madera”259 di una vecchia “asquerosa”260 che si è tolta le scarpe e che ha una mano “llena de sortijas, percudida, con manchitas de color y de hoja seca, pero eso sí, muy cargada de anillos”261 la quale, nel racconto del protagonista ubriaco, “ha descendido y rasca perezosamente el muslo izquierdo dejando en el pellejo unas señales amarrillas, como si me rascara a mí la calva”.262 Un esempio ancora più rappresentativo si trova nel finale di un altro racconto, Gaudeamus, presente nella prima parte. La storia racconta di un giovane studente e poeta che in una taverna infastidisce una giovanissima e timida ragazza. La tecnica del narratore consiste nel presentare la scena quasi come una sequenza cinematografica, attraverso la quale il lettore si trasforma in spettatore che osserva e ascolta ciò che succede. La descrizione della scena si interrompe quasi bruscamente, il lettore, divenuto spettatore, non potrebbe sopportare oltre la visione di un mondo dove tutto è negativo: degenerazione, egoismo, crudeltà, menzogna e perversione.

258

Ibidem. F. Ayala. El Jardín de las Delicias, Madrid, Espasa-Calpe S. A., 1978, p. 77. 260 Ibidem. 261 Ibidem. 262 Ibidem. 259

103


Non si salva nessuno: né uomini né donne, né giovani né anziani, né colti né ignoranti. Di tutta questa scena ciò che resta nella mente del lettore non è lo sbiadito ricordo dell’ accaduto ma, ancora una volta,

delle immagini concrete,

capaci di raccontare la realtà come quelle di un pittore barocco, il quale avrebbe impiegato solo alcuni dettagli per descrivere tutta una realtà colta nel suo fluire. Come abbiamo già accennato, la valorizzazione dell’elemento visivo era presente in Ayala anche nella sua opera narrativa precedente. In Usurpadores troviamo esempi di grande forza visiva, paragonabili a una natura morta barocca o a un primo piano cinematografico. In San Juan de Dios, racconto tutto caratterizzato da un forte realismo, è presente un’ immagine centrale che si impone per la sua impressionante plasticità. Si tratta “unas manos cortadas”263 collocate in un “cofre de plata”.264 Sono le mani di un cavaliere che pensava di infliggere il castigo dell’amputazione ad un rivale che aveva sorpreso la sua dama mentre era intenta a misurare il vestito per la festa di fidanzamento. Per un tragico errore, avvenne che gli emissari tagliarono le mani del mandante invece di quelle del rivale e, ignorando l’errore, le presentarono alla dama “en un cofre de plata labrada”,265 come prova della vendetta nei confronti del cavaliere che l’aveva offesa. Un altro esempio di immagine che, avendo un ruolo chiave nella vicenda narrata, resta impressa nella mente del lettore, lo troviamo in un altro racconto di Usurpadores, El abrazo. In questa storia si racconta la morte del re, don Pedro, in lotta con don Enrique e si rappresenta il comportamento del servitore di quest’ultimo,

don

Juan

Alfonso.

Quest’ultimo

scappa

263

F. Ayala, Los usurpadores, Editorial Sudamericana, Buenos Aires, 1949, p. 41. Ivi, p. 42. 265 Ibidem. 264

104


velocemente “apenas hubo visto la mano de don Pedro abrirse en el suelo y soltar un cuchillo reluciente”.266 Questa immagine isolata, offertaci dal primo paragrafo, si ripete nelle ultime righe, precisamente

nel momento decisivo per la fuga,

“cuando vió el anciano servidor que la mano de don Pedro se abría y que soltaba su puñal, y que lo abandonaba en el suelo”.267 Nella valorizzazione degli elementi visivi Ayala si serve anche dell’inserimento di immagini di famose opere d’arte, che, ne El Jardín de las Delicias, precedono il testo vero e proprio e fanno da supporto ai racconti a seguire. In questo modo il lettore è portato ad associare alle parole le immagini precedentemente osservate, le quali rafforzano quanto narrato dall’autore.268 Citiamo in proposito due esempi. Il primo

è contenuto

racconto Magia I, in cui una coppia di innamorati entra in un orrido ristorante senza accorgersi dell’ambiente che li circonda. Quando però la ragazza racconta al suo fidanzato di un incubo ricorrente, il giovane realizza all’improvviso le condizioni del luogo in cui si trovano e si spaventa nell’osservare “las dos brujas que en un rincón engullan infaticablemente […] atroces elementos”.269 Rosemary e Carlos Feal assimilano questa scena ad un noto dipinto di Goya270, Dos Viejos comiendo sopa, che Ayala non a 266

Ivi, p.179. Ivi, p. 198. 268 Un atteggiamento analogo a quello di Ayala può essere osservato in nuce nel Tristam Shandy in cui Sterne fa un uso piuttosto originale degli espedienti tipografici. L’inserimento di pagine completamente bianche o nere, serpentine, linee arzigogolate o corsivi conferiscono una particolare intensità espressiva alle parole e sono un esempio di cooperazione tra le arti. Cfr C. Poletti, Lo scrittore e il suo doppio, saggio sul ‘Tristam Shandy’, Bulzoni Editore, Roma, 1999. 269 F. Ayala, El Jardín de las Delicias, op. cit., p. 165. 270 L’opera in questione, chefa parte delle famose Pinturas negras e fu realizzata tra il 1821 e il 1823, è oggi esposta al museo del Prado di Madrid. Rappresenta due anziani personaggi: quello a sinistra, è privo di denti e ha in mano un fazzoletto bianco, quello a destra l’aspetto di uno scheletro. 267

105


caso inserisce all’inizio del volume e che contribuisce all’impressione suggerita dalla descrizione della taverna. I due studiosi, inoltre, rilevano un’assonanza anche col dipinto che dà il nome al libro, il pannello destro del Giardino delle delizie, che ha per tema l’inferno. Al centro della rappresentazione osserviamo alcuni personaggi intenti a bere. De Tolnay271 osservava che la cameriera è in realtà una strega (“a witch is serving the sinners seated at the table”) e nel racconto Magia tratti stregoneschi o comunque demoniaci sono attribuiti al cassiere, chiamato “aquel diablo epiceno”,272 ai camerieri, “aquellos tres canguros que melancolicamente pasaban en fila por las tres mesas”273 e agli altri clienti. Le considerazioni che Tolnay fa su Bosch: “The earth itself has become hell”,274 si possono sicuramente applicare anche al racconto di Ayala. C’è un altro parallelo che è importante menzionare: così come il narratore del racconto di Ayala è allo stesso tempo protagonista e spettatore della miserabile scena della taverna, così, l’uomo corpulento, che si affaccia sull’abisso infernale, è parte

e

contemporaneamente

spettatore

sconsolato

del

paesaggio al quale appartiene.275

Le pennellate sono applicate in modo molto libero e rapido, la gamma cromatica si compone di tonalità ocra, terra, grigie e nere. 271 C. De Tolnay, Hieronymus Bosch, Reynal, New York, 1966, p. 32. 272 F. Ayala, El Jardín de las Delicias, op. cit. p. 165. 273 Ibidem. 274 C. De Tolnay, op. cit. p. 32. 275 L’uomo che si affaccia verso l’esterno, così come la testa del mostro che contiene all’interno del proprio corpo la taverna, introducono il tema del testimone pensieroso, ricorrente in Bosch. Buona parte della critica, tra cui Otto Benesch e Walter Gibson, hanno identificato nella testa del mostro, anche detto uomo-albero, il volto del pittore. O. Benesch,Hieronymus Bosch and the thinking of the late middle Ages, in Konsthistorisk tidskrift/Journal of Art History, vol. 26, 1957, pp.21-46; W. Gibson, Invented in Hell: Bosch's TreeMan, in Invention. Northern Renaissance Studies in Honor of Molly Faries, Julien Chapuis Turnhout, Brepols, 2008, pp.163-73.

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Il secondo esempio della tecnica di Ayala lo troviamo in un racconto di segno opposto, Angel de Bernini, MiAngel dove vediamo, a partire dal titolo stesso, l’associazione tra la creazione artistica e la realtà umana rappresentata da un bel giovane. All’inizio del volume lo scrittore inserisce la foto del ponte di Castel Sant’Angelo a Roma con le statue degli angeli che lo adornano sui due lati e che tante volte aveva contemplato estasiato. Una delle statue è così descritta: “radiante de blancura contra el azul del cielo, esa inociencia patetica, esos ojos impavidos y candorosos bajo una frente oprimida por la riqueza de tantos bucles”.276 Questa immagine è associata a un giovane “in carne ed ossa” in cui il narratore riconosce il proprio angelo: “Al encontrármela un día de pronto, en una ciudad tan lejana de Roma, reconocí inmediatamente en su mirada la del ángel que yo admiraba tanto […] pensé: “Tú, criatura hermosa eres el áangel de Bernini; tú eres mi ángel de Bernini”.277

L’immagine concreta dell’opera d’arte anche in questo caso non fa che esaltare e rafforzare la descrizione dell’autore. Tutte le citazioni finora inserite dimostrano una fine sensibilità pittorica. El Jardín de lasDelicias riesce ad esprimere questa caratteristica dello stile ayalino come nessun altro testo in precedenza. Con “gran acierto”,278 sostiene Díaz, il suo autore creò un libro con illustrazioni, fatto di interesse fondamentale poiché la presenza delle immagini è rivelatrice dell’importanza degli aspetti visuali per l’autore, il quale potenzia in questo modo le frequenti descrizioni presenti nell’opera.

276

F. Ayala, El Jardín de las Delicias, op. cit. p. 137. Ibidem. 278 Ivi, p. 52. 277

107


5.1 Assonanze tra l’opera di Ayala e quella di Bosch Dopo aver chiarito il ruolo degli aspetti pittorici nella prosa di Francisco Ayala ci soffermeremo ad argomentare in particolare l’associazione che la raccolta El Jardín de las Delicias ha con le pitture di Hieronymus Bosch. E’ molto chiaro che fu lo stesso Ayala, già scegliendo il suo titolo, a voler stabilire un contatto diretto con l’opera de El Bosco. E’ ovvio che non si tratta di una coincidenza, il che è confermato dalla riproduzione nella copertina del libro di due dei pannelli del trittico in questione. Possiamo quindi affermare, ancor prima di iniziare la lettura del testo, che esiste un collegamento sicuro con l’opera bosciana . Ancora, a pagina sette del volume, Ayala riporta due citazioni riferite a Bosch, una di Quevedo e l’altra di Gracián, autori dei quali abbiamo già parlato e che furono influenzati da Bosch.279 Il lettore non può fare a meno di cogliere in questa serie di riferimenti un richiamo ad esaminare l’opera di Ayala come parte di una tradizione. Il confronto tra un’opera letteraria e una pittorica non è affatto un’operazione semplice280 poiché i mezzi espressivi utilizzati

279

F. Ayala, El Jardín de las Delicias, op. cit., p. 137. Le citazioni in questione sono quelle di cui si è già parlato nei precedenti capitoli, ovvero “ No pintó tan extrañas pinturas el Bosco yo vi” in F. Quevedo, L’imbroglione, op. cit., p. 222 e “ Oh qué bien pintaba el Bosco! Ahora entiendo su capricho. Cosas veréis increíbles”in B. Gracián, El Criticón, op. cit. p. 133 A proposito delle citazioni in questione Ayala affermò: “Le he dado como lema general sendas citas de Quevedo y Gracián que aluden al Bosco, el título de cuya pintura he adoptado para mi libro” in A. Amorós, op. cit., p. 14. Le citazioni in questione dimostrano non solo che Ayala fa parte di una tradizione. Francisco de Quevedo è inoltre indicato da Ricardo Landeira come uno degli autori ai quali Ayala si ispirò maggiormente, vedi R. Landeira, Francisco Ayala y sus poetas dilectos, in Hispania, vol. 89, num. 4 (dic., 2006), pp. 792-801. 280 A proposito di questo tipo di confronto Mario Praz avverte che si può parlare di corrispondenza solo quando ai paralleli tematici si accompagnano strumenti tecnici affini e che il semplice fatto che uno scrittore abbia in mente un’opera pittorica nel momento in cui scrive non implica necessariamente che tra le due opere vi sia una comunanza tematica e stilistica.

108


sono molto diversi, ciò nonostante le due opere, come questo confronto dimostrerà, presentano una comunanza tematica e strutturale. La relazione in questione sarà più chiara se prima elencheremo le corrispondenze tra l’opera totale dell’uno e dell’altro. Per questa ragione, infatti, abbiamo organizzato la comparazione a seguire nella seguente maniera: 1.Caratteri generali delle opere di Bosch

riferibili alla

narrativa di Ayala 2.Caratteri generali dello stile di Ayala 3.Confronto tra El Jardín de las Delicias di entrambi 4.El Jardín de las Delicias di Ayala, come sintesi della sua visione del mondo281

1.Caratteri generali dell’opera di Bosch Lo storico dell’arte Ludwig von Baldass segnalò la stretta relazione tra l’epoca in cui Bosch visse e il contenuto delle sue opere. Il suo mondo interiore, ritiene Baldass, è popolato da allarmanti e strane figure che nascono dal pessimismo tipico della Riforma282. Vedremo come qualcosa di molto simile si verifica anche in Ayala. L’opera di entrambi è caratterizzata dalla rottura di norme e strutture precedentemente accettate e dalla rappresentazione del disorientamento sociale ed etico da

Anche Wellek e Warren sono dell’idea che tracciare dei paralleli di questo genere sia estremamente complesso: si tratta infatti di stabilire le linee di evoluzione tra le varie arti per poi verificarne corrispondenze e divergenze tra le opere in questione. Cfr.M. Praz, Mnemosine, op. cit., pp. 17-23; R. Wellek, A. Warren, Theory of Literature, Hartcourt, Brace & World, New York, 1963, pp. 180-181. 281 Per la trattazione di questa parte ci siamo rifatti all’analisi di Ricardo Arias, Relación entre “El Jardín de las Delicias” del Bosco, y el de Ayala en el contexto de sus obras,in Cuadernos Hispanoamericanos, 329-330, 1977, pp. 414-428. 282 “This inner world of Bosch is fraught with bizarre and alarming images of pessimistic age of the Reformation to which Bosch belonged, presenting us with a world of extreme psychic instability on man’s part in a landscape of violence and corruption”L. von Baldass, Hieronymus Bosch, Harry N. Abrams, New York, 1960, citato da J. Snyder in Bosch in perspective, Prentice-Hall, Englewood Cliffe, N. J. 1973, p. 4.

109


parte dell’individuo.283 Rotti i binari sui quali si muovevano le vite e le relazioni umane, l’uomo si lascia guidare dai suoi bassi istinti che “campean ahora sin freno ni control”.284James Snyder osserva che Bosch appare ossessionato dall’idea che il male genera il male con una velocità sorprendente. Una volta cominciato questo processo, tutto è corrotto, muta e degenera in forme ibride.285Come conseguenza di questa mutazione i suoi quadri sono popolati da esseri storpi,

deformi e

mostruosi, in diverse proporzioni di uomo e animale grottescamente combinate tra loro. Tale spettacolo provoca una certa ilarità ma l’osservatore attento avverte un intento moralista nascosto in queste immagini.286 Fray Jose de Sigüenza fu il primo a rilevare l’intento moralizzatore di Bosch. Egli scriveva infatti che le sue pitture: […] no son disparates sino unos libros de gran prudencia y artificio, y si disparates son, son los nuestros, no los suyos, y, por decirlo de una vez, es una sátira pintada de los pecados y desvaríos de los hombres.287

Quando poi confronta i suoi dipinti con quelli di altri autori afferma che: La diferencia es que, a mi parecer, hay de las pinturas de este hombre a las de otros, es que los demás procuran pintar

283

Anche Isabel Mateo Gómez argomenta come l’epoca in cui Bosch visse fosse caratterizzata dalla confusione di idee e valori la quale produsse un genere letterario conosciuto come “el mundo al revés”, mirato alla critica dei costumi e delle perversioni dell’epoca. Cfr. I. Mateo Gómez, El Jardín de las Delicias y sus fuentes,Fundación de Apoyo a la Historia del Arte Hispánico, Madrid, 2003 284 R. Arias, op. cit., p. 417. 285 “Bosch seems obsessed with the idea that devil deeds evil at an astonishing rate. Once the infection mating begins everything and everyone become corrupted, altered, or hybrid in body”.J. Snyder, Bosch in perspective, op. cit. p. 6. 286 Sulle immagini grottesche di Bosch possiamo citare Stefan Fischer che spiega come le figure deformi che paiono non avere nulla a che fare con intenti moralizzatori, come si è detto nel capitolo su Quevedo, fanno in realtà parte di una lunga tradizione che parte da Orazio e che da sempre ha avuto fini didattici. Cfr. S. Fischer, Jheronimus Bosch’s Works of Art as allegorical and grotesque Moral, in Jheronimus Bosch.His Sources., op. cit. , pp. 145-156. 287 J. De Sigüenza, Historia de la Orden de San Gerónimo, op. cit., in http://www.archive.org/stream/historiadelaord00lpgoog#page/n6/mode/2up.

110


al hombre cual parece por fuera; éste solo se atrevió pintarle cual es dentro.288

Il mezzo che il pittore ha per farlo altro non è che l’uso di simboli e motivi capaci di esprimere in forma grafica quelle realtà interiori. A proposito del Carro di fieno, spiega Fray José: Lo tiran siete bestias fieras y monstruos espantables, donde se ven pintados hombres medio leones, otros medio perros, otros medio osos, medio peces, medio lobos, símbolos todos y figura de la soberbia, de la lujuria, avarivia, ambición, bestialidad, tiranía, sagacidad y brutalidad.289

Le forme ibride utilizzate da Bosch sono, secondo Fray José, continuazione della tradizione dei poeti antichi. La cui intenzione moralizzatrice era ovvia poiché mostravano “los accidentes y formas que sobreponen edifican sobre este ser humano”, las malas costumbres y habitos siniestros.290 Le opinioni di Fray José de Siguenza sono importanti poiché ci presentano Bosch come erede della tradizione classica e allo stesso tempo lo mettono in relazione con movimenti letterari contemporanei. In secondo luogo, comincia con lui un modo di vedere e interpretare Bosch come moralista, che avrà gran fortuna in Spagna.

2.Caratteri generali dell’opera di Ayala Nel suo penetrante studio rispetto allo stile di Ayala, Estelle Irizarry afferma che il tema principale dello scrittore granadino proviene: de la sensación de desamparo ante un mundo caótico de estrago moral y crisis a partir de la primera guerra mundial,

288

Ivi. Ivi. 290 Ivi. 289

111


que ha traído un desmoronamiento del equipo de valores por los cuales el mundo habia guíado anteriormente.291

Lo stesso Ayala, applicando alla sua stessa opera ciò che aveva in precedenza detto di altri autori, afferma quanto segue: Es el caso también que, bajo el desorden de su diversidad formal, mis obras responden a una profunda unidad de motivación que les presta no poca congruencia intima.292

L’attenzione di Ayala si sofferma nella contemplazione di un mondo in rovina, di una situazione instabile, critica e caduca. Il tema di Bosch è lo stesso ma, mentre il pittore lo considera esclusivamente

in

termini

religiosi,

rappresentazione dei peccati capitali,

293

attraverso

la

Ayala si sofferma sulla

libertà individuale, le esigenze e gli obblighi dell’uomo. Il tema della libertà è visto essenzialmente sotto l’aspetto etico e sociale. Dice Irizarry: El delicado equilibrio entre la libertad individual y el orden social, lo ve Ayala como problema ético, ya que sólo una vigilancia moral en alerta puede garantizar el respeto hacia la dignidad del individuo.294

I racconti di Francisco Ayala riflettono la realtà dell’uomo contemporaneo nella quale l’ordine etico è rotto e la dignità dell’uomo è in pericolo. L’uomo, trasformato in bestia, è capace di mostruosità morali di ogni tipo. Il modo con cui Ayala rende questo spettacolo è molto simile alla tecnica narrativa utilizzata da Bosch. Spesso vengono create scene grottesche e nauseabonde, esseri mostruosi295. Per esempio sono moltissimi i personaggi ai quali vengono attribuiti caratteri animali che acquisiscono in seguito alla loro condotta. 291

E. Irizarry, Teoría y creación literaria en Francisco Ayala, Gredos, Madrid, 1971, p. 9. F. Ayala, Confrontaciones, Barcelona, Barcelona, 1971, pp. 109-110. 293 Bosch dipinse la I sette peccati capitali, (1500-1525) tavola che figura tra quelle fatte trasportare nel 1574 all’Escorial (Justi, op. cit) e che oggi è esposta al museo del Prado. La tematica dell’opera è quella della vita e della morte. Bosch dipinge le ultime fasi della vita umana (nei tondi agli angoli) e i sette peccati capitali nei settori circolari dell’enorme pupilla posta al centro. 294 E. Irizarry, op. cit., p. 49. 295 Irizarry sostiene che elementi come la degradazione e la satira sono delle costanti dello stile di Ayala. Cfr.E. Irizarry, op. cit., pp. 133-137. 292

112


Ecco alcuni esempi. In En otra vez los gamberros i protagonisti del misfatto sono “unos bestiales mozalbetes”296 che torturano don Martín perché “tenia las orejas tan grandes como un elefante”297 mentre in Exequejas por “Fifi” il marito è descritto un “burro” e un “grandisimo bestia”298 mentre la moglie è definita “perra”.299 Le qualità e attributi animaleschi dei personaggi sono simbolo di uno stato etico precario.300 In altre parole Ayala ce li presenta per come sono dentro, come Sigüenza diceva delle opere del Bosco. La conseguenza ultima del disordine etico è, secondo Ayala, la profonda solitudine nella quale si trova immerso l’uomo moderno.

L’egoismo

distrugge

tutte

le

possibilità

di

convivenza sociale. Senza amore non c’è la comunità. Per il pittore medievale “el amor de Dios mantenía al hombre en una comunidad de fe”301mentre per il romanziere moderno, l’amore, il rispetto per la libertà del prossimo è ciò “que hace posible el comercio social verdaderamente humano”.302Se questi elementi mancano, il destino dell’uomo sarà o l’inferno oltremondano o quello che lui stesso si è creato in questo mondo.

296

F. Ayala, El Jardín de las Delicias, op. cit., p. 48. Ibidem. 298 Ivi, p. 91. 299 Ivi, p. 92. 300 “[…] por un lado Ayala está abordando grandes temas existenciales, y por el otro los está rebajando a un nivel mundano, pedestre” in J. Zamora, Elementos de lo grotesco en algunas narraciones de Francisco Ayala, 1999, p. 95. 301 R. Arias, op. cit., p. 422. 302 Ibidem. 297

113


3.Confronto tra ‘El Jardín de las Delicias’ di entrambi Quanto finora detto servirà a rendere più semplice la comparazione a seguire. I paralleli finora citati vanno senza dubbio oltre le mere coincidenze e, secondo Arias, fanno riferimento a una visione del mondo molto simile. Se secondo quest’ultimo un parallelo strutturale tra le due opere non può essere tracciato, Emilio Orozco Díaz non è dello stesso avviso. Cominciamo quindi il nostro raffronto partendo dalla struttura delle due opere. Il quadro di Bosch si compone di tre pannelli. In quello sinistro troviamo l’immagine del Paradiso terrestre in cui Dio presenta ad Adamo la sua compagna appena creata. Nonostante le opere di Bosch sollevino sempre difficoltà interpretative, la critica propende per definire l’atmosfera di questo primo pannello armonica e serena. Il pannello centrale, invece, offre una carrellata di episodi che descrivono varie attività amorose le quali illustrano il peccato della lussuria. Infine, lo sportello destro, mostra gli esiti del pannello centrale. I peccatori subiscono il martirio per mezzo di strumenti musicali e congegni bizzarri.303 El Jardín di Ayala ha invece solo due sezioni, Diablo mundo e Días felices. L’assenza di corrispondenza con il trittico è evidente e inizialmente può lasciare perlessi. Non solo manca il pannello centrale ma, per via della corrispondenza con il trittico bosciano, ci aspetteremo Días felices come apertura del libro e Diablo mundo a seguire. Emilio Orozco Díaz rileva però che nonostante quest’apparente incongruenza esiste 303

A proposito delle varie interpretazioni che la critica ha dato di quest’opera vedi C. Limentani Virdis, M. Pietrogiovanna, Polittici, , Arsenale, San Giovanni Lupatolo, 2001; I.Mateo Gómez, El Jardín de las Delicias y sus fuentes, op. cit.; L. Silver, Bosch, Citadelles & Mazenod, Paris, 2006 .

114


comunque un’affinità strutturale tra le due opere. Secondo lo studioso, l’opera di Bosch si caratterizza per un certo pluritematismo per il quale nessun tema o motivo è quello fondamentale. L’attenzione per il dettaglio è precisa ed è la stessa per gli tutti gli elementi della rappresentazione, tanto quelli centrali che quelli in secondo piano. Un altro elemento importante, e del quale dobbiamo tenere conto, è che i due pannelli laterali, così come ciascuna delle scene, gruppi o elementi che lo compongono, nonostante abbiano una certa autonomia,304 dipendono strettamente l’uno dall’altro, tanto che sarebbe impossibile separarli senza privarli del loro senso più profondo. I due pannelli, anche solo considerati dal punto di vista compositivo, si contrappongono in modo molto netto. Infatti, mentre nel primo notiamo una certa armonia ed equilibrio, colori luminosi e soavi, nel secondo, agitazione e violenza si uniscono ad oscurità e cupi contrasti. Inoltre anche se in entrambi è presente una molteplicità di elementi, nel pannello del paradiso distinguiamo nella figura del Creatore e nella grande fonte posta alle spalle dei progenitori

una

sorta

di

“principio

ordenador”305della

composizione. L’atmosfera è tranquilla e tutti paiono godere della vita immensi in una luce e un’atmosfera soavi. La visione dell’altro pannello, invece, offre a tutti gli esseri, umani e diabolici, così come a tutti gli elementi reali o mostruosi ad essi legati, “el más revuelto y deslocado desorden ”.306 Tutto è lotta, tortura e distruzione, tra ombre oscure e luminosi incendi di sottofondo. Non vi è alcuna tranquillità, ogni cosa è in azione, in movimento. Si tratta quindi di due 304

E. Orozco Díaz, Una introducción a “El Jardín de las Delicias” de Ayala, op. cit., p. 53. Ivi, p. 54. 306 Ibidem. 305

115


mondi contrapposti ma che “se integran en su mismo enfrentamiento: un cosmos y un caos”.307 A seguito di questa analisi è più semplice vedere ne El Jardín de las Delicias di Ayala una somiglianza strutturale con il trittico di Bosch. La raccolta si distribuisce, infatti, in due parti contrapposte, contrapposizione messa in evidenza dai due titoli Diablo mundo e Días felices. Secondo Díaz, la volontà di Ayala nel strutturare il suo libro all’interno di una violenta contrapposizione tra un mondo diabolico e uno pacifico è un fatto piuttosto ovvio. Per questa ragione raggruppa Recortes de diario de las Noticias e Diálogos de Amor nella prima parte. Le due sottosezioni, suggerì Amorós nella sua intervista, avrebbero potuto essere divise, così che la seconda (Diálogos de Amor) avrebbe rappresentato la tavola centrale di Bosch, quella dedicata ai piaceri carnali. Ayala però senza indugi rispose ad Amorós che, data l’unità di tono delle due parti, non credeva che potesse stabilirsi una differenza tra queste e le ultime.308 Ciò che le accomuna, infatti, è la nostalgia per il paradiso “que se hace siempre presente en mis obras de imaginación”,309dichiarò. La nostalgia per il paradiso, oltre a stabilire una certa unità di tono, serve anche a spiegare il perché le due parti sono ordinate a partire da Diablo mundo. Cominciare da quest’ultima è necessario tramite questo ordine l’autore chiarisce la sua visione del mondo. Quando Ayala affermava: “Yo acepto como verdad basica el mito del pecado original, la naturaleza corrompida del hombre; pero -cuidado307

Ivi, p. 55. Amorós: “¿No hay en Días felices cosas tan atroces como en Diablo mundo? ¿Entonces por qué las ha colocado ahí? Ayala: “Sí, desde luego,; pero el tono es diferente. Y en literatura lo que importa no es el asunto por sí mismo sino el tratamiento a que se lo somete. […]” Amorós: “¿No sé podía dividir también Días felices en dos partes, la primera con lo que parecen ser recuerdos infantiles? Por qué no lo ha hecho? - […]el préterido remoto, el que usted llama “recuerdo infantil” aparece inserto en el presente[…] no creo que pueda establecerse una diferencia a este respecto[…]” Cfr. A. Amorós, op. cit., p. 14. 309 Ibidem. 308

116


también admito, y reflejo en mis escritos, la redención”310 stava dichiarando che l’umanità, dal suo punto di vista, non è inesorabilmente condannata a una vita disastrosa ma possiede i mezzi di salvezza. La nostalgia per il paradiso ha in quest’ottica un carattere dinamico, che

guarda al futuro e

rende possibile il rinnovamento dell’uomo. Quella di Ayala è una

concezione

del

mondo

che,

partendo

dalla

rappresentazione dell’uomo caduto e peccatore si muove nella speranza di restaurare l’armonia del paradiso, individuale e collettivo. Arias sostiene che il pessimismo di entrambi è qualcosa di molto relativo. Il quadro di Bosch è di grande nitidezza strutturale. L’opera di Ayala, d’altra parte, detto dal suo stesso autore “arroja algo asi como un complicado rompecabezas”311. Arias ritiene che però mentre il quadro è solo un’espressione parziale della visione del mondo di Bosch, El Jardín di Ayala è una sintesi completa della sua, così come ora spiegheremo.

4.‘El Jardín de las Delicias’ di Ayala come sintesi della sua visione del mondo. Per entrambi gli autori la stupidità e la cattiveria generano scene di insuperabile comicità312. Attraverso uno sguardo più attento

però

“las

jocoserias

dejan

de

ser

anédoctas

entremesiles”313 e si convertono in qualcosa di più serio. Bosch

310

Ivi, p. 15. R. Arias, op. cit., p. 424. 312 A proposito di effetti comico-grotteschi, si veda W. Kayser, Lo grotesco. Su configuración en pintura y literatura, Nova, Buenos Aires, 1964; S. Fischer,Jheronimus Bosch’s Works of Art as allegorical and grotesque Moral, in Jheronimus Bosch.His Sources. 2nd International Jheronimus Bosch Conference May 22-25, 2007 Jheronimus Bosch Art Center's, 's-Hertogenbosch 2010; E. Irizarry, Teoría y creación literaria en Francisco Ayala, Gredos, Madrid, 1971. 313 R. Arias, op. cit. p. 426. 311

117


e Ayala si concentrano entrambi sul proprio presente314, nel momento storico che in cui vivono e nel quale vedono manifestarsi l’universalità dell’uomo. L’uomo non è cambiato col passare dei secoli poiché la sua condotta non dipende dal progresso. Da lì la comunanza tematica: il paradiso, la caduta, la capacità di amare o odiare, la preoccupazione per il destino. Ne El Jardín di Ayala questi temi sono rappresentati con una brevità quasi schematica ma allo stesso tempo con grande intensità. L’anonimato di quasi tutti i personaggi

conferisce loro un’inevitabile valore

simbolico. Passiamo ora in rassegna i temi principali del testo allo scopo di mettere in rilievo il suo carattere di sintesi. La

felicità

paradisiaca

viene

descritta

con

un

tono

spiccatamente lirico in racconti come A las puertas del Eden o in minor grado in Latrocinio. La gioia descritta è però instabile e l’intervento di altri esseri la rompe bruscamente. In Un ballo in maschera e Gaudeamus, danze folli costituiscono dei veri e propri riti di iniziazione. In En otra vez los gamberros alcuni “mozalbetes” uccidono senza alcun rimorso un bambino innocente e persino l’istinto materno può trasformarsi in forza distruttiva, così come espresso dallo stesso titolo del racconto Por complacer a su amante, madre mata a su hijita. La follia e la bestialità sono evidenti. In questo mondo l’uomo è trasformato in bestia, per cui stabilisce con queste relazioni più stretti che coi suoi simili. Nel già citato Exequias por ‘Fifi’ Ayala ci offre un esempio illuminante: due omosessuali ricordano gli amari conflitti per ottenere l’affetto della 314

Su Bosch come uomo del suo tempo si veda I. Mateo Gómez in El Jardín de las Delicias y sus Fuentes, op. cit ;I. Gonzalo Bango Torviso, F. Marías, Bosch: realidad, símbolo y fantasía, Silex Ediciones, Madrid, 1982.

118


cagnolina Fifi. Tutto è

rovesciato. Uno offende l’altro

chiamandolo “perra” e questi reagisce definendo il proprio compagno

“grandísimo

bestia”.

Se

gli

uomini

si

autodefiniscono animali, la cagnetta, al contrario, è nel ricordo di entrambi un “angel” e un “inocente”. Se la lista delle atrocità è lunga, non mancano, d’altra parte, casi positivi. La visione di Ayala è ampia e, come già anticipato, in fondo ottimista.La malvagità esiste ed è concreta ma non manca la possibilità di un rinnovamento. Nella seconda parte della raccolta, infatti, si riscontrano momenti di autentica felicità, di vero amore. Alcuni si presentano come ricordi: “Señor! Qué días tan felices!”315 che, sebbene nostalgici non arrivano mai al cinismo o alla disperazione. È ovvio che nel panorama che Ayala ci offre del mondo moderno ci sono anche personaggi che vivono e muoiono in totale solitudine, senza speranza, così come accade in Musica para bien morir e Otra mendiga millionaria. Inoltre, per alcuni, l’atto d’amore, il dialogo umano più intimo e profondo, è ridotto alla gelida solitudine dell’uomo con una compagna artificiale, concepita proprio per “traer alivio a los penosos sentimientos de soledad que asaltan al hombre moderno”.316 La vita è però un labirinto di possibilità. Alcune si raggiungono pienamente, altre no. In Pascua florida Ayala ci presenta una serie di simboli: l’uovo di Pasqua “que està cerrado y que es una promissa”,317 la giovane Lisa “que es una promesa, cerrada también”318 e il narratore stesso “que hubiera querido escuchar […] el cantico seguro de una gloriosa

315

F. Ayala, El Jardín de las Delicias, op. cit., p. 115. R. Arias, op. cit., p. 426. 317 F. Ayala, El Jardín de las Delicias, op. cit., p. 169. 318 Ibidem. 316

119


resurreción”319 che non si trasformano in realtà perché mancano alla fine di un ultimo misterioso impulso. D’altro lato, colui che si apre all’ispirazione può arrivare alla più profonda comprensione del proprio destino, a una rigenerazione, a una vera e propria resurrezione. Questo è il senso del racconto Aleluja, hermano!, il suo protagonista vive solo e la relazione con la sua ragazza, Nives, non arriverà mai al matrimonio: lei è nera e lui non pensa di sposarsi. Al lavoro, i rapporti col capo sono difficili. La domenica in cui si svolge la vicenda, Nieves non c’è perché impegnata con i propri genitori. Il protagonista si sente abbandonato a sé stesso. La giornata è bella e il sole splende ma egli non ha idea di come trascorrerla. Alla fine decide di uscire comunque ma senza una meta precisa. Durante un giro in macchina, la sua automobile ha un guasto. Prova ad aggiustarla, ma, incapace di farlo, scoppia a piangere. Il suo pianto è interrotto all’improvviso da una voce “como venida del cielo”320 di un uomo desideroso di aiutarlo. Come poi dimostra la lettura della storia l’uomo non è altro che una sorta di messaggero celeste che, col suo intervento, permette al protagonista di aprire gli occhi, facendogli capire che “todo cambia aspecto desde la realidad de la muerte”.321 Attraverso questo incontro l’uomo riesce a vivere dei momenti di gioia immensa, speranza ed infinito giubilo. Questa storia costituisce un buon esempio dell’ ottimismo ayalino, basato nella possibilità di redenzione dell’uomo. Ayala, come Bosch, si è soffermato a descrivere una società macchiata dai disvalori ma, allo stesso tempo, ha suggerito che in questo mondo, apparentemente pessimista e privo di 319

Ibidem. Ivi, p. 143. 321 Ivi, p. 145. 320

120


alternative morali, non sono negate all’uomo possibilità di salvezza. Sappiamo che anche Bosch si soffermò soprattutto nella rappresentazione del peccato e delle sue conseguenze nefaste ma, nel repertorio dell’artista olandese, non mancano esempi positivi, come il pellegrino del Trittico del fieno, o le vite dei santi.322 Per cui si può affermare che, i due autori, vissuti a distanza di secoli, presentano un’affinità non solo stilistica, che abbiamo identificato nell’uso del grottesco, ma anche una visione del mondo molto simile, che, partendo dalla descrizione di una società in crisi, lascia comunque aperto uno spiraglio di salvezza.323

322

Nonostante la maggioranza delle opere di Bosch,attraverso la rappresentazione dell’umanità corrotta dal peccato, esprima un marcato pessimismo, non mancano esempi di segno opposto. Ad esempio il Carro di fieno, metafora del pellegrinaggio della vita umana, testimonia la fiducia di Bosch nel libero arbitrio e nelle scelte dell’uomo. Il viandante rappresentato sul retro delle ali del trittico, costituisce, infatti, un esempio di alternativa morale. Il pellegrino, così come rileva Yona Pinson, nonostante la chiara attrazione che il suo atteggiamento esprime nei confronti del peccato, si allontana da quest’ultimo. Altri esempi sono costituiti dalle vite dei santi, che un quadro come Le Tentazioni di sant’ Antonio, ad esempio nella versione conservata al Prado, esprime molto bene. In quest’opera vediamo, infatti, un esempio di fede vincente sul peccato, ben espressa dallo sguardo sicuro che l’eremita rivolge all’osservatore. Tutte queste opere rappresentano esempi di segno positivo. Y. Pinson, A moralized semi-secular Triptych by Jheronimus Bosch, in Jheronimus Bosch. His Sources. 2nd International Jheronimus Bosch Conference May 22-25, 2007, op. cit. p. 265-267 ; W. Bosing, Bosch 1450 ca.-1516, Between Heaven and Hell, Taschen, Kӧln, 2001, p. 91. 323 Ayala stesso ha negato il suo supposto pessimismo: "De mi pesimismo se ha hablado bastante" dice, "y creo que ello implica una confusión. El desechar falsas ilusiones, que tal vez hacen soportable la realidad por el fácil recurso de ignorarla, no significa ser pesimista" F. Ayala, Confrontaciones, Barcelona, Seix Barral, 1972, p. 79.

121


Capitolo 6 Camilo José Cela Camilo José Cela è stato uno degli scrittori contemporanei di lingua spagnola più conosciuti e premiati. Durante la sua intensa carriera letteraria, infatti, ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti tra cui, per citarne solo alcuni, il Principe delle Asturie (1987), il Nobel per la Letteratura (1989) e il Premio Cervantes (1995). Inoltre, a partire dal 1957 è stato membro della Real Academia de España. La sua opera è caratterizzata da un intenso sperimentalismo e, come afferma

Manuel Rigueiro, egli “fue un heredero

consciente de todo el valor y posibilidad que encierra la mejor tradición literaria”.324 Molti sono gli influssi che hanno parte nella sua produzione, tra i maggiori il Barocco, la Generazione del ’27, del ’98 e l’esperpento di Valle-Inclán. Una caratteristica importante dello stile di Cela, dalla quale non si può prescindere in un’analisi della sua opera, è l’interesse per la pittura e le arti in generale. A riprova di quanto affermato, citiamo i numeri monografici che una delle riviste da lui fondate, Papeles de Son Armadans, dedica ad artisti come Miró, Picasso, Gaudí ed altri. Inoltre, non dimentichiamo il discorso che pronunciò in occasione dell’investitura come dottore Honoris Causa per l’Università di Palma di Maiorca, in cui accennò al rapporto tra pittura e letteratura:

324

M. Rigueiro, Fuentes del mundo literario de Camilo José Cela, tesi di dottorato presso la facoltà del Texas, 2009 in http://etd.lib.ttu.edu/theses/available/etd-07042009-085840/.

122


¿Qué más cosa que arte y literatura puede ser la humana constancia de la conciencia o el corazón que precisan drenarse, vaciarse del pus con que lo anegaron el desengaño y el dolor propio y ajeno? […] recuérdese que la literatura, para Unamuno, no es arte de precepto sino de postconcepto; de la pintura y de las demás artes pudiera decirse lo mismo.325

Ancora, è importante ricordare il discorso di ingresso alla Real Academia de España, dedicato all’opera narrativa del pittore Gutiérrez Solana. In questa occasione, Cela spiegò più diffusamente la propria concezione del rapporto tra letteratura e arti figurative. Solana-bien claro non lo dice su labor- pinta, con el pincel y con la pluma, lo que ve delante de sus ojos […] Solan escribe como un pintor. [… ] Solana pinta como un escritor. Goya también lo hizo.326

Con queste affermazioni, Cela ha dimostrato di credere che il rapporto tra le due arti sia possibile, precisando che una certa visione del mondo, un concetto, un pensiero possono essere espressi, interpretati indifferentemente mediante l’una o l’altra arte. Abbiamo già accennato allo sperimentalismo e al cosciente debito nei confronti della tradizione letteraria come nota peculiare dello stile celiano. Un tratto tipico della sua produzione, sul quale la critica si è molto soffermata, è sicuramente il tremendismo.Prima di chiarire cosa si intende con questo termine, ne evidenziamo il

325

C. José Cela, Discúrso de un doctorando agradecido, in G. Ferret , F. González, Cela en Mallorca, Consell Insular de Mallorca, Mallorca, 1989, p. 127. 326 C. J. Cela, La obra literaria del pintor Solana. Discurso ante la Real Academia Española, inhttp://cvc.cervantes.es/literatura/escritores/cela/discursos/discurso_04.htm. Sull’interessa per Solana, Ortega ha scritto: “La visión trágico-grotesca de la realidad aparece en Solana, pintor y escritor favorito de Cela, y a quien este dedicó su discurso en la Real Academia. Los tonos negros, ocres de este pintor tratan de poner al descubierto la verdad que hay debajo de las cosas. Por esta senda de lo exagerado y grotesco trata Cela de expresar el sentido y filosofia de la vida en sus novelas”. J. Ortega, Antecedentes y Naturaleza del Tremendismo en Cela in Hispania, vol. 48, num. 1, 1965, p. 23.

123


legame con la tradizione, ricordando che fu lo stesso Cela a negarne la falsa modernità: El tremendismo, a mi entender, no tiene padre o por lo menos padre conocido. El tremendismo, en la literatura española, es tan viejo como ella misma.327

Raquel Asún, nell’introduzione a La colmena, romanzo pubblicato in Argentina nel 1951, rimarca la teoria della falsa modernità ed evidenzia il legame che il tremendismo ha col Barocco. Secondo la studiosa, la visione del mondo espressa dal romanzo è assolutamente pessimista: Se trata de una visión del mundo que enlaza con la filosofía barroca española e incluso con el pensamiento de Gracián […] Enlaza con esa tradición en la que la vida se contempla como un espectáculo desolado, ficción grotesca de individualidades aisladas, engañosas, tristes, caducas siempre. Ese mundo viso desde arriba puede parecer a un cuadro de El Bosco o a un desfile de títeres; pero en cualquier caso, será un espectáculo engañoso y desquiciado. […] Y Cela aceptó el compromiso de desvelar apariencias. Fue diseccionando comportamientos, motivos, para que nadie pudiera llamarse engaño. Y lo hizo con intención inplacablemente pesimista del barroco pero con las técnicas de los tiempos nuevos […]328

Attraverso questa citazione vediamo appunto che Raquel Asún colloca Cela all’interno di una tradizione che si rifà al pessimismo barocco, rappresentato dall’artista nei suoi aspetti più grotteschi. Secondo Asún, Cela, autore del nostro tempo, fa ciò che Quevedo, Gracián e Bosch fecero prima di lui, ovvero rappresentare un mondo in rovina, svelandone meschinità ed inganni. Castellet329

e

Ortega330

hanno

rintracciato

esempi

di

tremendismo nella tradizione letteraria spagnola ed indicato tra 327

C. J. Cela, La rueda de los ocios, Editorial Mateu, Barcelona, 1957, p. 15. R. Asún, Introduzione a “La colmena”, Castalia, Madrid, 1990, p.73. 329 J. M. Castellet, Iniciación a la obra narrativa de Camilo José Cela, in Revista hispánica moderna, vol. 28, num. 2/4, 1962, p. 141. 330 Cfr. J. Ortega, Antecedentes y Naturaleza del Tremendismo en Cela in Hispania, Vol. 48, num. 1 Mar., 1965, pp. 21-28. 328

124


i suoi

precedenti La Celestina,El coloquio de los perros,

l’opera di Quevedo e quella di Goya, intrecciando quindi opere letterarie e visive. L’inserimento di un pittore all’interno di questa breve lista non è un fatto casuale, infatti, spesso fenomeni artistici di varia natura presentano quella similarità di struttura di cui aveva parlato Mario Praz331, il quale attraverso l’osservazione di elementi comuni a manifestazioni artistiche diverse, sostiene che, aldilà delle differenze strutturali, esiste tra le varie arti una certa affinità di ispirazione e di intenti. Dopo aver evidenziato il rapporto tra lo stile di Cela e la tradizione, passiamo a definire il tremendismo. Con questo termine si intende una modalità letteraria tipica della posguerra,332 volta a sottolineare gli aspetti più tragici, grotteschi e angosciosi della realtà, modalità che si ricollega a quell’ossessione per il mostruoso che, da secoli, caratterizza la cultura spagnola. Tale ossessione, sostiene Castellet, “la trajeron a Espana los flamencos Brueghel y el Bosco que, aunque no espanoles, mostraron en sus cuadros una constante afición por lo deforme”.333 A proposito del gusto per il deforme, dell’ossessione per il mostruoso, ricordiamo che una delle fonti di ispirazione di Cela fu l’esperpento di Valle-Inclán. L’esperpento è la deformazione sistematica della realtà, rappresentata nei suoi aspetti grotteschi ed assurdi. La sua finalità è quella di smascherare tali deformazioni e distorsioni, secondo Valle-

331

Praz stabilisce numerosi paralleli tra manifestazioni artistiche differenti, e precisa che esiste uno stretto parallelo tra lo sviluppo della letteratura e quello dell’arte. Cfr. M. Praz, Mnemosine, op. cit., p. 223. 332 Per una definizione di tremendismo si veda anche J. Mallo, Caracterización y valor del "tremendismo" en la novela española contemporánea, in Hispania, Vol. 39, No. 1, Mar., 1956 “Se trata de relatos novelescos relativos a personas, hechos y situaciones verdaderamente terribles, de los que unas veces por la magnitud y otras por la acumulación de motivos de horror se recibe al leerlos una impresión "tremenda." p. 49. 333 Ibidem.

125


Inclán, infatti, solo palesandole si può arrivare ad un rinnovamento della società.334 In questa definizione, concezione dell’esperpento, notiamo un chiara presenza dell’elemento grottesco, categoria estetica alla quale Bosch sicuramente appartenne, così come spesso evidenziato dalla critica. Il nome di Bosch era già presente sotto la voce “grutesco” nel dizionario titolato Tesoro de la lengua castellana o española, di Sebastian de Covarrubias: Se dixo de gruta, y es cierto modo de pintura, remedando lo tosco de las grutas y los animalejos que suelen criar en ellas, y savandijas y aves noturnas. […] Este género de pintura se haze con unos compartimentos, listones y follajes, figuras de medio sierpes, medio hombres, syrenas, sphinges, minotauros, al modo de la pintura del famoso Gerónimo Bosco.335

In epoca contemporanea, Wolfgang Kayser336 ha indicato Bosch come uno dei maggiori rappresentanti della categoria del grottesco non solo in Spagna ma in tutto l’Occidente mentre, Francisco Cruz, ne Lo grotesco en “El Jardín de las Delicias”,337 esamina quali, tra le caratteristiche enumerate da Kayser, possono essere ritrovate nel celebre trittico. Infine, Stefan Fischer338, rileva l’uso del grottesco in Bosch, evidenziandone il fine didattico. Indicheremo ora una serie di elementi, comuni a Bosch e a Cela, in cui è osservabile la deformazione grottesca della

334

Per la definizione di esperpento vedi M. G. Profeti, L’età contemporanea della letteratura spagnola. Il Novecento, La Nuova Italia, Milano, 2001, p. 663. 335 S. de Covarrubias, Tesoro de la lengua castellana o española, Luis Sanchez, Madrid, 1611,p. 451 336 W. Kayser, Das Groteske in Malerei und Dichtung, trad. Lo grotesco. Su configuración en pintura y literatura, Nova, Buenos Aires, 1964. 337 F. Cruz, Lo grotesco en “El Jardín de las Delicias”, in Analecta: revista de humanidades, num. 2, 2007 . 338 S. Fischer, Jheronimus Bosch’s Works of Art as allegorical and grotesque Moral, in Jheronimus Bosch, His Sources. 2nd International Jheronimus Bosch Conference May 22-25, 2007, Jheronimus Bosch Art Center. 's-Hertogenbosch 2010, pp. 145-156.

126


realtà, che, come si è detto, ha caratterizzato l’opera di entrambi. Un primo elemento è sicuramente l’utilizzo dell’atmosfera onirica, fantastica. Già dal XVI secolo, la critica ha riscontrato la sua presenza nell’opera di Bosch. Il primo a fare un’osservazione in tal senso, riferisce Gombrich,339

fu

Marcantonio Michiel, il quale, in riferimento alla collezione del cardinale Domenico Grimani, scrisse di una “tela dell’inferno con la gran diversità de mostri” e una “tela delli sogni”

del

pittore

“Ieronimo

Bosch”.340

Con

queste

affermazioni Michiel diede via a una lunga tradizione che accosta l’opera di Bosch al mondo onirico, fantastico. Alla sue impressioni, infatti, seguirono a breve distanza quelle della vedova di Hieronymus Cock,341 di Paolo Lomazzo342 e di Vasari.343 In epoca contemporanea, Francisco Cruz ha osservato che un’opera come il Trittico delle delizie può essere considerata la rappresentazione del mondo visto attraverso gli occhi del sogno o della pazzia, in cui la distinzione tra le specie si perde e si assiste a quella

mescolanza di identità,344 che già

339

E. H. Gombrich, The Earliest Description of Bosch's Garden of Delight, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, Vol. 30 , 1967, pp. 403-406. 340 M. Michiel, Notizia d'opere di disegno nella prima metà del secolo XVI, esistenti in Padova, Cremona, Milano, Pavia, Bergamo, Crema e Venezia, Iacopo Morelli, Bassano, 1800, p. 77 341 La vedova del famoso editore di incisioni Hieronymus Cock nell 1572 diede alle stampe Effigies, una serie di ritratti di grandi artisti, accompagnati dai versi del poeta Domenicus Lampsonius, il quale descrisse Pieter Bruegel il Vecchio come il nuovo Bosch, capace di portare di nuovo in vita “ingeniosa magistri somnia”, i sogni di Bosch, suo maestro. Cfr.W. S. Melion, Shaping the Netherlandish canon: Karel van Mander's Schilder-boeck, University of Chicago Press, Chicago, 1991, p. 144 e p. 269. 342 Lomazzo definì Bosch “singolare e veramente divino” nella rappresentazione di “apparenze, e spaventevoli e orridi sogni” in G. P. Lomazzo, Trattato dell'arte della pittura, scoltura et architettura, Paolo Gottardo Pontio, Milano, 1585p. 348 . 343 Vasari descrisse un certo Frans Mostaert, imitatore di Bosch, abile nel rappresentare “fantasticherie, bizzarrie, sogni ed immaginazioni” in G. Vasari, Opere, Sezione letterario-artistica del Lloyd Austriaco, Trieste, 1857.p. 1177. 344 “La atmósfera onírica del panel central, la luz irreal, los colores brillantes, una cierta ingravidez en los movimientos y las extrañas formas desproporcionadas y a veces híbridas, se prolonga como un “sueño del pintor” en el ala derecha” p. 6.

127


Covarrubias, ricordiamo, aveva indicato come motivo tipico del grottesco. Anche Combe345 quando parla del cosiddetto “sonno delle anime”

offuscate

dal

peccato,

evidenzia

la

presenza

dell’atmosfera onirica, mentre Erwin Panofsky ha definito l’immaginario del maestro di ‘s Hertogenbosch “magnificent nightmares and daydreams”.346 In Cela l’elemento onirico, fantastico è presente in due delle sue opere teatrali, chiaramente ispirate al maestro brabantino. Si tratta di Homenaje al Bosco I e II, (1969 e 1999) “acquaforte feroce”347 la prima, salmodia onirica la seconda, basate

su una scrittura immaginativa, onirica che ricorda

Bosch e il suo mondo allucinato e deforme.348 Nel 1969 Cela si dedicò infatti al teatro, dando alle stampe Homenaje al Bosco I: El Carro de Heno o el Inventor de la Guillotina, il cui titolo fa esplicito riferimento all’opera bosciana. Il pannello centrale del trittico di Bosch mostra un carro trainato da un gruppo di mostri dall’aspetto grottesco, con teste di animali ed esponenti di ogni classe sociale al suo seguito, assetati di possesso e pronti a lottare per impossessarsi del fieno. La stessa violenza è osservabile anche nei personaggi della pièce di Cela i quali, osserva Martín Sabas “deambulan por el escenario como si se tratase de un lienzo del Bosco”.349 345

“Ici, c’est le thème de la folie, de l’incoscience de la vie humaine, du sommeil de l’àime, oublieuse de son origin et sa fin” in J. Combe, Jérôme Bosch,P. Tisné, 1957, Paris, p. 12. 346 Citato da K. Monxey, Hieronymus Bosch and the 'World Upside Down: The Case of The Garden of Earthly Delights, inN. Bryson, M. A. Holly, Visual culture: images and interpretations, Wesleyan University Press, Hanover, 1994, p. 104. 347 C. J. Cela, La palabra en libertad: homenaje a Camilo José Cela, Paraninfo, Madrid, 1991, p. 78 348 Cfr. V. García Ruiz, G. Torres Nebrera, Historia y antologia del teatro espanol de posguerra (1940-1975):1971-1975, Editorial Fundamentos, Madrid, p. 73. 349 M. Sabas Fuentes, Territorios del verbo, Ediciones IDEA, Santa Cruz de Tenerife, 2007, pp. 172173

128


Come nel quadro, infatti, si osservano personaggi di ogni tipo: morti e resuscitati, prostitute e chierici, guardie, zingari, angeli e demoni, tutti impegnati nella lotta per la sopravvivenza che ricorda la violenza insita nel quadro bosciano.350 Il teatro, per sua stessa natura, fa ampio uso di elementi visivi: basti pensare alla gestualità, agli abiti, allo scenario o alle luci. Ognuno di questi elementi, che Cela accuratamente descrive, permettono un accostamento con l’opera di Bosch. La descrizione scenografica è molto accurata: in una casa si trova la macelleria dei seguaci di Torquemada, in un’altra il bordello dei Re Magi sulla cui porta è appoggiata una vecchia megera. L’opera in questione, pur essendo stata selezionata dalla Direzione Generale dello Spettacolo, non fu mai messa in scena ma, quasi trenta anni più tardi, in un articolo apparso su ABC Cela scrisse: “Llevo unos dias escribiendo mi segundo homenaje al Bosco, que fue el pintor mas literario, mas teatral que jamas haya existido, y todo el reconocimiento que se le brinde serà siempre poco”.351Ed ecco che, nel 1999, il suo omaggio a Bosch ebbe un seguito con la pubblicazione di Homenaje al Bosco II : la Extraccion de la Piedra de la Locura o la Invención del Garrote. In questa seconda opera cielo e inferno sono spopolati. L ’uomo, infatti, non è né del tutto buono né del tutto cattivo, il suo posto è nel purgatorio, vegliato da angeli e demoni, luogo in cui risiede la memoria del popolo spagnolo, al quale la guerra fratricida ha minacciato di estirpare la piedra della locura (un altro elemento ispirato all’opera bosciana) nella

350

Un esempio palese di violenza è osservabile nel piano intermedio del pannello centrale in cui un uomo muore ammazzato. Oltre alla violenza fisica, non mancano esempi di personaggi pronti a tutto pur di approfittare della situazione: una zingara predice il futuro, un medico inganna i pazienti, persino monaci e suore (osservabili in basso a destra) abusano del proprio ruolo pur di ottenere vantaggi personali. 351 C. J. Cela, Mi segundo homenaje al Bosco, in ABC Sevilla, 06/07/1997, p.19.

129


quale risiede la felicità. Cela, reinterpretando i motivi di Bosch, si addentra nella memoria storica del suo Paese, perché non cada nell’oblio e fornisce allo spettatore la propria interpretazione dei fatti che vanno dalla perdita di Cuba alla Guerra Civile.352 Ancora

una

volta,

quindi,

Cela

si

lascia

ispirare

dall’immaginario bosciano e, facendo ricorso a un’atmosfera fantastica, riunisce personaggi reali e non, i quali apportano ciascuno la propria testimonianza per ricostruire i fatti più recenti della storia spagnola. L’atmosfera fantastica è un elemento stilistico fondamentale poiché consente a Cela una libertà nella scelta dei personaggi altrimenti impossibile, angeli e demoni svolgono infatti il ruolo di giudici che convocano i protagonisti della cultura spagnola come Valle-Inclán, Unamuno e Galdós. Il suo teatro è stato definito “alucinado”353 poiché mescola personaggi reali e fantastici, situazioni concrete ad astratte. I personaggi appaiono e scompaiono, a volte sono solo delle semplici voci fuori campo, le regole del tempo cronologico sono rotte. In queste trasgressioni e sperimentazioni ritroviamo le ragioni del dichiarato omaggio a Bosch. Lo stile di Bosch, sottraendosi all’iconografia tradizionale,354 ha da sempre affascinato il suo pubblico. Una delle sue

352

G. S. Salas, Cela, mi derecho a contar la verdad: por su estrecho colaborador, Belacqva, Barcelona, 2004, p. 220. 353 M. Sabas , Territorios del verbo, Ediciones IDEA, Santa Cruz de Tenerife, 2007, p.159. 354 Ricordiamo che Fray Sigüenza riteneva Bosch l’inventore di un nuovo stile e lo paragonava a Merlin Cocayo il quale diede inizio allo stile detto “macaronico” che prevede la mescolanza tra parole latine e volgari, espediente simile alla tecnica bosciana degli ibridi. Cfr. Fr. J. de Sigüenza, Historia de la Orden de San Gerónimo, Madrid, 1605 in http://www.archive.org/stream/historiadelaord00lpgoog#page/n6/mode/2up. Inoltre, Gonzalo Bango Torviso e Marías e Larry Silver evidenziano come l’arte di Bosch si sottraesse all’iconografia tradizionale. Cfr. “El Bosco se mantiene al margen del desarrollo de la pintura de los Países Bajos meridionales…” in I. Gonzalo Bango, Torviso, F. Marías, op. cit., p. 73 e ss.

130


caratteristiche più evidenti è la presenza di ibridi, che può essere ricollegata alla tematica folclorica, la quale fu una delle sua fonti di ispirazione. All’elemento popolare e tradizionale si ricollegano i proverbi, il cui ruolo è evidente in un’opera come il Carro di fieno355 ma anche festività come il Carnevale, le leggende orientali e le rappresentazioni di teatro popolare. Durante il Carnevale, infatti, dominavano i motivi del cosiddetto “mondo alla rovescia”, ovvero trasgressione, inversione e travestitismo mentre le leggende raccontavano di foreste incantate e le pièces teatrali descrivevano paesaggi infernali e diavoli dall’aspetto particolarmente grottesco.356 Questi motivi furono fonte di ispirazione artistica: basti pensare alle bordature dei codici miniati o alle sillerias de coro che spesso raffiguravano mostri, animali fantastici ed ibridi. Anche l’arte di Bosch risente del loro influsso: nelle figure da lui create elementi di varia natura (umani, animali, vegetali o meccanici) si mescolano tra loro357, creando mostri e figure dall’aspetto quantomeno bizzarro.

“ […] his very originality results from his profound sense of personal alienation of Bosch from the established heritage of Flemish painting he inherited.” In L. Silver, Jheronimus Bosch and the Issue of Origins, in Jheronymus Bosch. His Sources, op. cit., p. 15. 355 Secondo Tolnay si tratta della rappresentazione di un proverbio olandese che recita “il mondo è come un carro di fieno, ciascuno arraffa quel che può”. Cfr. C. De Tolnay, Bosch, Reynal, New York, 1966, p. 24. Riguardo al ruolo dei proverbi si veda De Bruyn e la sua analisi del Carro di fieno che si avvale della conoscenza dell’olandese antico, dei suoi proverbi e dei giochi di parole. E. De Bruyn, Hieronymus Bosch’s Garden of Delights Triptych, The Eroticism of its central Panel and Middle Dutch, in Jheronimus Bosch. His Sources, op. cit., pp. 94-106. 356 Ci riferiamo alle leggende orientali diffuse da libri come Livre des merveilles (Il Milione) di Marco Polo e il Roman d’Alexandre che riportavano storie di foreste incantate, di alberi parlanti antropomorfi e di piante carnivore dall’aspetto umano. Per quanto riguarda il teatro e la rappresentazione grottesca del diavolo si veda J.B. Russell, Lucifer, The Devil in the Middle Ages, Cornell University Press, Ithaca and London, 1984, trad. it. Il Diavolo nel Medioevo, Editori Laterza, Roma-Bari, 1987 . Russell precisa che lo sviluppo del grottesco in ambito artistico fu favorito da artisti come Bosch e che teatro, arti visive e letteratura si influenzavano vicendevolmente. Il desiderio di colpire gli spettatori attraverso un’immagine spaventevole del demonio, portò artisti di tutti i campi a rappresentarlo come un mostro per metà umano e metà bestiale. Cfr. C. Limentani Virdis, Settantamila veli di luce ed ombra, in Le Delizie dell’Inferno, op. cit. p. 40 357 Cfr. S. Fischer, op. cit., p. 148 “The use of hybrids and monstrous creations is one of the most remarkable elements of Bosch’s art. Although the principle of creating hybrids was common, Bosch dared to use them in panel painting on a large-scale. There are dozens, even hundreds, of hybrid

131


Tra i fenomeni di ibridismo rientra l’animalizzazione che consiste nella fusione tra elementi umani ed animali. Si tratta, come vedremo, di una pratica comune ad entrambi gli artisti, tra i quali esiste un’ovvia affinità estetica. Nei quadri del maestro di ‘s Hertogenbosch appaiono spesso personaggi con teste di topo, di iena o di pesce, come ad esempio le mostruose figure che trascinano il Carro di fieno o, per fare un esempio in cui la mescolanza è ancora più marcata, il cavaliere con ali di uccello, testa di cardo e gambe umane del Trittico delle tentazioni di Sant’Antonio. Anche nella produzione di Cela si osservano abbondanti esempi di animalizzazione che, in questo caso, si configura come l’attribuzione di caratteristiche animali ad esseri umani. Raquel Asún chiarisce che queste associazioni non sono altro che l’esemplificazione della “degradación sentimental”358 dei personaggi. Si tratta, riferisce la studiosa, di una antica, che conta

tecnica

numerosi antecedenti nella letteratura

spagnola, tra cui quelli già descritti nell’opera di Quevedo e di Gracián.359 Come nel loro caso, anche nell’opera celiana, l’avvicinamento dei comportamenti umani a quelli animali rappresenta il degrado e la meschinità sociale.360 Se prendiamo in esame La colmena, troviamo un esempio di questa tecnica a cominciare dal titolo stesso, “colmena”, che in italiano significa “alveare”, e che è riferito alla comunità di creations in his works” . Sulla concezione carnevalesca del grottesco cfr.M. Bachtin, Tvircestvo Fransua Rable I narodnaja Kult’ura Srednevekov’ja I Renessansa, trad. It. L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medieval e rinascimentale, Einaudi, Torino, 2001. 358 R. Asún, op. cit., p. 53. 359 Per citare solo un paio di esempi, ricordiamo las dueñas, col corpo metà umano e metà anfibio, incontrate nel Sueño del infierno (Los Sueños, op. cit., pp. 203-204) e il personaggio di Falimundo, il cui corpo è un misto di animali diversi: “El rostro, que a primera vista parece verdadero, no es de hombre sino de vulpeja; de medio arriba es serpiente; […]el espinazo tiene de camello, hasta la nariz tiene corcoba; el remate es de sirena […]” (El Criticón, op. cit., pp. 182-183). 360 R. Asún, op. cit., p. 54.

132


Madrid, alla “colmena umana”,361 così come la definisce Ilie, rappresentata nelle pagine del romanzo. Altri esempi di questa tecnica si trovano nella descrizione del gitanito: “El nino no tiene cara de persona, tiene cara de animal doméstico, de sucia bestia, de pervertida bestia de corral”,362 in quella di doña Asunción che ha “un condescendiente aire de oveja”363 e in quella di Elvira che “lleva una vida de perra”.364 Un’altra tecnica riferibile al grottesco e ai fenomeni di ibridismo ad esso connaturati, è la reificazione, per

cui i

personaggi sono ridotti a semplici automi o in cui è presente la fusione tra elementi umani e oggetti inanimati. Anche questa tecnica è riscontrabile nell’opera di entrambi gli autori. Se nel pannello centrale del Trittico delle tentazioni notiamo la presenza di un cavallo-orcio, esempio di mescolanza oggetto-animale, nell’ Inferno musicale, i corpi nudi dei vari peccatori sono semplici oggetti tra le mani dei diavoli che infliggono loro le torture. Come evidenziato da Kayser,365 le torture che si realizzano in questo pannello sono inflitte ai dannati con una calma sconcertante, ma ciò che più colpisce è l’indifferenza e la passività delle vittime rispetto alle tormenti subiti, un’indifferenza che li configura appunto come degli oggetti. Similmente, i personaggi de La colmena sono “fantoches trágicos”,366 impegnati nella lotta per la sopravvivenza, non padroni della propria vita. Essi, come osserva Henn,367 sono ridotti all’inerzia da una forza intangibile che li spinge a non 361

P. Ilie, op. cit., p. 124. C. J.Cela, La colmena, op. cit., p. 192. 363 Ivi, p. 159. 364 Ivi, p. 127. 365 “Es notable la calma con que se realizan todas esas torturas; a menudo, incluso las víctimas parecen indiferentes” in W. Kayser, op. cit., p. 35. 366 J. Moreiro, Introduzione a “La colmena”, EDAF, Madrid, 2002, p.15 . 367 D. Henn, op. cit., p.32. 362

133


pensare.

Ad esempio “don Jaime no solía pensar en su

desdicha; en realidad no solía pensar nunca en nada”.368 Per il lettore è difficile identificare e ricordare tutti i personaggi, percepiti come “descoloridas mascaras”369 i cui volti, come ha osservato Ilie, “pasan desapercibidos”.370 Wolfgang Kayser sottolineava il carattere terribile del grottesco, secondo cui il mondo conosciuto si trasforma in un luogo minaccioso e spaventevole. In un mondo come questo non mancano casi di smembramento dei corpi. Tale elemento nell’opera di Bosch è presente in un’opera come il pannello destro del Trittico delle delizie, in cui osserviamo le famose orecchie trafitte da una lama oltre a varie parti del corpo smembrate oppure, come nelle Tentazioni di Sant’ Antonio, pannello centrale, figure ai cui corpi mancano delle parti. La stessa caratteristica può essere osservata in Cela in un’opera come Homenaje al Bosco I, nella quale, tre condannati a morte vanno alla ricerca di un cuore sostitutivo presso un’orrida macelleria. L’accumulazione è un’altra caratteristica del grottesco, molto presente in Bosch, così come osservato da Jos Koldeweij: Characteristic of a significant portion of Bosch’s work is the enormous amount of detail: scenes are literally overloaded with innumerable figures, objects and small depictions which can certainly not be taken in at a glance.371

Esempi di questa tecnica sono osservabili nelCarro di fienoe nelTrittico delle delizie, i quali hanno per tema il percorso dell’ umanità assediata dal peccato. La stessa caratteristica è riscontrabile in Cela in un romanzo come La colmena. Dario

368

C. J. Cela, La colmena, Editorial Castalia, Madrid, 1990, p. 125. P. Ilie, op. cit., p. 125. 370 Ibidem. 371 J. Koldeweij, A Man like Bosch, in Jheronimus Bosch, His Sources. 2nd International Jheronimus Bosch Conference May 22-25, 2007, op. cit., p. 20. 369

134


Villanueva,

nella

nota

alla

prima

edizione,

definì

l’accumulazione un tratto caratteristico del romanzo: “La acumulación de personajes, congruente con el título de La colmena, es uno de los rasgos más característicos”.372 Inoltre, i personaggi sono estremamente numerosi, Cela riferì che il loro numero è di centosettanta,373 ma, a partire dalla seconda edizione, si fa riferimento a quanto affermato da José Manuel Caballero Bonald374 il quale ne contò ben cinquantasei reali e duecentonovantasei fittizi. Molti studi su La colmena, inoltre, hanno evidenziato l’assenza di un personaggio principale, ad esempio Jean Luis Alborg considera il romanzo in questione: […] una novela de composición sinfónica sin protagonistas ni personajes destacados, exáctamente como una orquesta, ninguno de cuyos elementos es superior a los demás-aunque, meta más o menos ruido-, pues todos contribuyen por igual.375

Secondo Ilie “La colmena es una novela sobre Madrid”,376 che è per Cela “una entidad organica”. I ritratti dei personaggi non sono che tante sfaccettature del protagonista collettivo che è la città in sé, in un momento storico sociale ben determinato, ovvero, la Madrid de la posguerra. E’ lo stesso Cela ad affermarlo: La colmena es la novela de la ciudad, de una ciudad concreta y determinada, Madrid, en una epoca cierta y no imprecisa, 1942” .377

372

D. Villanueva, La colmena comparada, in El Extramundi y Los papeles de Iria Flavia, 2002, anno VIII, num. XXIX, pp. 39-50. 373 C. J. Cela, Nota alla prima edizione, La colmena, Editorial Castalia, Madrid, 1989, p. 105 374 Henn si riferisce a José Manuel Caballero Bonald che fu una sorta di segretario dello scrittore. Egli compilò un elenco di personaggi, che venne incluso nell’ appendice del romanzo a partire dalla seconda edizione, Cfr. D. Henn, op. cit., p. 53. 375 J. L. Alborg, Hora actual de la novela española, Taurus, Madrid, 1958, p.91. 376 P. Ilie, op. cit., pp. 134-5. 377 D. Henn, op. cit., p. 11.

135


Anche Hieronymus Bosch scelse spesso come soggetto per le sue opere la società tutta. I soggetti dei suoi dipinti non sono singoli personaggi ma, quella che ci viene offerta, è la panoramica dell’umanità corrotta, di quel presente storico che lui stesso viveva e condannava. Isidro Gonzalo Bango Torviso e Fernando Marías chiariscono che Bosch fu un uomo del suo tempo e che i suoi quadri sono una mordace critica alla società nella quale viveva: “la critica social, el espiritu moralizador, he aquì la idea basica de las principales pinturas del maestro de ‘s Hertogenbosch’ […] Bosch a través de sus pinturas intenta corregir las instituciones, las costumbres”.378 Nella società dipinta da Cela tutti i personaggi lottano per la sopravvivenza: Pablo Alonso afferma che Martín Marco sta attraversando

“una

mala

temporada”,

altri

esempi

di

personaggi, vittime delle circostanze e impegnati nella lotta quotidiana, sono la giovane Victorita, Roberto González e sua moglie Filo, e l’anziana prostituta Elvira. Spesso la lotta per la sopravvivenza li porta a commettere azioni amorali, come nel caso emblematico di Victorita, che accetta di prostituirsi per poter pagare le cure al proprio fidanzato ammalato di tubercolosi. Abbiamo già accennato al fatto che tutti questi personaggi non sono altro che esempi di una società corrotta dalla caduta di valori. Secondo Henn: “The great majority of the characters found in La colmena are stereotypes receiving a varying degree of attention, who show a little development”.379Cela non sviluppa nessuno dei personaggi in modo approfondito, poiché ciascuno di essi rappresenta la una tessera di un puzzle, la pennellata di un quadro della società che egli intende raffigurare. 378 379

I. Gonzalo Bango Torviso, F. Marías, op. cit., pp. 138-139. D. Henn, op. cit., p. 66.

136


In Bosch osserviamo qualcosa di simile: il Trittico del fieno è il ritratto dell’umanità soggiogata dal peccato, considerata soprattutto nell’attaccamento ai beni materiali. Quest’opera mostra, come ha osservato Mia Cinotti “una ridda frenetica di gente di ogni classe […] disposta a dilaniarsi o a finire sotto le ruote per strappare una sola manciata di fieno”.380 La massa, troppo presa dalla lotta per appropriarsi del labile materiale ed incurante delle leggi divine non si preoccupa né dei rischi che corre né tantomeno della sorte che la attende. In questa rappresentazione Bosch ha considerato soprattutto uno dei peccati capitali, il desiderio di beni terreni o l’avidità, rappresentata dai vari gruppi di personaggi in tutte le sue varianti.381 Nel romanzo di Cela tutti i personaggi rappresentano la lotta quotidiana per i beni materiali, lotta che spesso li porta a commettere azioni immorali. Il personaggio che però raffigura più pienamente l’avidità è quello di doña Rosa. Si tratta di uno dei personaggi principali del romanzo, perché proprietaria dal caffè La Delicia, uno dei luoghi centrali per lo snodo della trama e punto di incontro dei vari personaggi. La sua descrizione è progressiva, , il lettore viene a conoscenza di dettagli legati al suo aspetto fisico e carattere nel corso della lettura. Poco a poco si forma l’impressione generale di una donna avida, collerica, despota, egoista e capricciosa, che non ha pena di nessuno. A questo carattere estremamenete negativo, si somma la descrizione del suo aspetto fisico che 380

M. Cinotti, op. cit., p. 95. Il pannello centrale raffigura il peccato di avidità in tutte le sue varianti. Ecco alcuni esempi: in basso a sinistra un uomo con due bambini al seguito si improvvisa mendicante, a destra, invece, un falso guaritore pratica un’operazione mentre un monaco dal ventre gonfio e con un bicchiere in mano osserva le suore che riempiono dei sacchi di fieno. Ognuna di queste piccole scene documentano le varianti del peccato di avidità, che, come osserva Bosing, conduce l’uomo a commettere varie azioni peccaminose tra le quali l’inganno, così come è evidente nel caso del mendicante e del guaritore. Cfr. W. Bosing, op. cit., pp. p. 45-51. 381

137


conferma i suoi comportamenti. Doña Rosa è, infatti, una donna grassa e trasandata. Come ha osservato Jorge Urrutia, se il romanziere del diciannovesimo secolo era un narratore onniscente “una especie de dios dominator del mundo que habia creado”382 del quale conosceva tutto, il narratore de La colmena, invece, lascia che la narrazione sia affidata alle azioni dei personaggi che egli stesso ha creato, i quali “se describen por sus gestos, vistos exteriormente”.383 Da qui l’importanza di soffermarsi sul loro aspetto fisico e descriverne gesti e modi. A conferma di questa ipotesi le parole di Henn riferite a doña Rosa: “Gross in both comportment and aspects, she is also shown to possess a nature as disagreeable as her outward appearance”.384 Doña Rosa grazie ai propri soldi e alla propria posizione, ha il potere di dominare e sfruttare gli altri: She directs a continual streaming of abuse at waiters, seizing upon any indication of a lack of thrift or diligence on their part as a justification for abuse or intimidation. She is intensely preoccupied with efficiency and profits, and forever eager to assert the power that she enjoys.385

Il Carro di fieno, abbiamo detto, è la rappresentazione dell’umanità corrotta, Bosch vi ha rappresentato tutte le classi sociali. Allo stesso modo, Cela racconta “un amplio grupo de personajes (propietarios,

representativos funcionaros,

de

todas

clases

camareros,

sociales criadas,

comerciantes)”386 i cui comportamenti denuncia e biasima. La condanna nei confronti della società corrotta è espressa in modo discreto, senza un intervento diretto da parte del suo

382

J. Urrutia, Introduzione a “La colmena”, op. cit., p. 19. Ivi, p. 21-22. 384 D. Henn, op. cit., p.55. 385 Ivi, p. 54-55 . 386 R. Asún, op. cit., p. 30. 383

138


autore. Cela, infatti, “does not make a moral judgement on what he presents”.387 D’altra parte, fa notare David Henn: whereas Cela does on some occasions intervene directly in the narrative, he also frequently insinuates his presence to the reader […] On various occasions the reader of La colmena is reminded of the presence of Cela when he quietly makes a comment in the first person, singular or plural388

Così, già dalle prime pagine del romanzo troviamo espressioni come “Yo creo que”389 o “A mí no me parece que”.390 Le intrusioni da parte dell’autore diventano meno frequenti mano a mano che la narrazione procede ma, in ogni caso, valgono le considerazioni di Henn secondo cui Cela, attraverso questo tipo di intromissioni, dimostra un certo coinvolgimento per i fatti da lui stesso narrati.391 Anche Bosch fa qualcosa di simile: introduce talvolta dei personaggi un po’ in disparte che, attraverso la mimica, suggeriscono dei commenti discreti alle scene rappresentate. Larry Silver ha appunto osservato che una delle costanti delTrittico delle delizie è lo sguardo che alcuni personaggi rivolgono verso lo spettatore. Nella tavola destra, quella che raffigura il paradiso terrestre, è presente una giovane figura di Cristo, il cui sguardo è appunto indirizzato verso chi ammira il quadro mentre, nella tavola sinistra, non si può non notare l’emblematico uomo-albero, in cui una parte della critica ha riconosciuto il volto del pittore,392 e il cui sguardo è palesemente rivolto verso chi guarda. Silver ricorda che gli 387

D. W. Forster, Forms of the Novel in the Work of Camilo José Cela, University of Missouri Press Columbia, 1967, p. 76. 388 D. Henn, op. cit., p. 69. 389 C. J. Cela, La colmena, op. cit., p. 119. 390 Ivi, p. 121. 391 “It would seem that Cela resist a certain involvement with many of his characters nor can he resist frequently nudging his readers in order to remind them of his presence” in D. Henn, , op. cit., p. 70. 392 Cfr. O. Benesch,Hieronymus Bosch and the thinking of the late middle Ages, in Konsthistorisk tidskrift/Journal of Art History, vol. 26, 1957, pp.21-46; W. Gibson, Invented in Hell: Bosch's TreeMan, in Invention. Northern Renaissance Studies in Honor of Molly Faries, Julien Chapuis Turnhout, Brepols, 2008, pp.163-73.

139


occhi costituiscono un’importante mezzo per sollecitare l’attenzione dello spettatore, sollecitazione che, in questo caso, comincia

nel

paradiso

e

termina

nell’inferno.

Non

dimentichiamo però la presenza di un terzo sguardo, meno evidente dei primi due ma allo stesso tempo fondamentale ovvero quello di un giovane rappresentato nell’angolo inferiore del pannello centrale attraverso il quale Bosch riesce ad accentuare la sensazione di minaccia comunicata da altri elementi della composizione.393 Da qui l’importanza dello sguardo che costituisce un’ invito all’osservatore affinché esamini le figure con attenzione e riesca ad interpretarne il vero significato.394 La condanna discreta al proprio presente storico e la serie di elementi fantastico-grotteschi a cui entrambi gli autori fanno ricorso, ci portano, anche nel caso di Camilo José Cela, allo stesso tipo di conclusioni che sono state tratte a proposito dell’opera di Quevedo, di Gracián e Francisco Ayala. Cela, scrittore appassionato d’arte e attento agli aspetti visivi, ha reinterpretato i motivi e i modi della tradizione spagnola di cui il fiammingo Bosch fa parte,

per raccontare una società

impoverita, miserabile, priva di ideali. Diversi elementi in comune con Bosch sono stati evidenziati in un romanzo come La colmena che tratta “los limites de las relaciones humanas, […] la moral individual y la colectiva”.395 Inoltre, la scelta dell’artista fiammingo come dichiarata fonte di ispirazione per le sue opere teatrali, in cui l’autore esprime

la propria

opinione sui fatti più recenti della storia del proprio Paese, testimonia ancora una volta il fascino che l’immaginario 393

Isabel Mateo Gómez fa notare che l’uomo a cavallo di un grifone che cattura un gigantesco rospo, il pesce cha cavalca il delfino e l’uomo che vola portando un frutto tra l mani possono essere interpretati come simboli di temerarietà, oltre che si lussuria o voluttà. Cfr. I. M. Gómez, El Jardín de las Delicias y sus Fuentes, op. cit., pp. 70-71. 394 Cfr. L. Silver, Bosch, op. cit. p. 58. 395 J. Urrutia, op. cit., p. 33.

140


dell’artista olandese esercita sulla cultura spagnola e che i suoi temi, cosÏ come disse De Salas, sono i motivi eterni a cui l’uomo cerca da sempre le risposte.396

396

X. de Salas, op. cit., p. 137.

141


Conclusioni Ciò che si è cercato di fare in queste pagine è stabilire l’esistenza di un “effetto Bosch” nell’ambito letterario spagnolo. A tale scopo, è stata inizialmente offerta una panoramica delle principali posizioni di scrittori, teorici della letteratura ed esperti d’arte che, partendo dall’antichità per arrivare fino ai giorni nostri, si sono interrogati sulla corrispondenza tra le arti, domandandosi se uno scambio del genere sia possibile e quale sia la sua natura. Ripercorrendo le posizioni dei trattatisti più rappresentativi del periodo storico nel quale vissero, si è visto come questo scambio sia in realtà possibile e che quando sussiste implica una comunanza sia stilistica che tematica che va aldilà delle ovvie differenze che caratterizzano ambiti artistici tanto diversi come pittura e letteratura. Si è poi passati a descrivere in che modo le opere di Bosch, enigmatico artista fiammingo, vissuto a cavallo tra Medioevo e Rinascimento, siano giunte fino in Spagna e qual è stata la risposta culturale alle sue pitture dal Seicento fino ai giorni nostri, soffermandoci in particolare sull’ambito letterario e citando coloro i quali hanno tenuto vivo il suo nome attraverso le loro opere letterarie. La continuità di queste citazioni è

prova del fatto che

l’interesse suscitato dalle sue enigmatiche figurazioni è, nonostante un periodo di parziale oblio dovuto al mutare dei tempi, piuttosto durevole, tanto che ancora oggi i suoi quadri sono fonte di ispirazione letteraria, come dimostrato le opere di Francisco Ayala e Camilo José Cela.

142


Dopo aver evidenziato il ruolo che le opere di Bosch hanno occupato nella cultura spagnola attraverso i secoli ci si è soffermati sull’analisi critica dei testi di quattro scrittori, scegliendone due di epoca barocca (Quevedo e Gracián) e due a noi contemporanei (Ayala e Cela) per rimarcare la durata dell’influsso della sua opera pittorica attraverso i secoli. Si è visto che ciascuno di questi autori presta particolare attenzione agli aspetti visivi e descrittivi e come spesso si interessino di pittura. Inoltre tutti e quattro dimostrarono di conoscere l’opera di Bosch tanto che lo citarono esplicitamente nelle opere prese in esame e spesso lo accostarono agli aspetti fantastici e al bizzarro delle proprie opere. Ciò che però ha permesso l’accostamento a Bosch non è la semplice menzione all’artista fiammingo bensì la presenza di precisi elementi stilistici come ad esempio la ricorrente animalizzazione

dei

personaggi,

la

quale

consiste

nell’attribuzione di caratteristiche animali agli esseri umani. È stato inoltre rilevato che nelle opere di ciascuno degli autori è presente, oltre all’interesse per gli aspetti e figurativi ed a un certo numero di elementi stilistici in comune con Bosch, una critica

alla

società

contemporanea,

resa

attraverso

la

descrizione dei suoi aspetti più degradanti. Ed è soprattutto quest’ultimo elemento che ci ha porta a fare una riflessione sulla durata del fascino esercitato dall’opera bosciana. La ricchezza di inventiva di questo artista dall’iconografia tanto enigmatica, che visse più di cinquecento anni fa in una piccola cittadina del Brabante, non solo è riuscita ad imporsi nel gusto e nella mentalità di un Paese chiuso come la Spagna dei re cattolici ma ha suscitato un

143


interesse tale da lasciare un’impronta anche in ambito letterario. L’interesse per la sua opera si è appunto conservato attraverso i secoli ed è giunto sino ai giorni nostri in cui continua ad essere fonte di ispirazione non solo per via di quel suo immaginario tanto esuberante che continua ad intrigare gli spettatori ma anche per via dei temi che le sue immagini in modo tanto originale riescono a veicolare. Le creature fantastiche e bizzarre che l’artista di ‘s Hertogenbosch ha portato all’attenzione del pubblico non sono, infatti, che i simboli degli eterni interrogativi sull’uomo e la società che non cambiano col mutare delle epoche e ai quali gli artisti di ogni tempo hanno sempre cercato di dare delle risposte, ovvero il senso della vita dell’uomo e del suo destino ultraterreno.

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