I galatei fascisti

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A.D. MDLXII

U N I VE RS I T À

D E G LI S TU DI D I S AS S A RI D IPARTIMENTO DI S TORIA , S CIENZE DELL ’U OMO E DELLA F ORMAZIONE (E X F ACOLTÀ DI L ETTERE E F ILOSOFIA ) ___________________________

CORSO DI LAUREA M AGISTRALE IN SCIENZE DELL’EDUCAZIONE DEGLI ADULTI E DELLA

FORMAZIONE CONTINUA

I GALATEI FASCISTI

Relatore: PROF. FILIPPO SANI

Correlatore: PROF. FABIO PRUNERI

Tesi di Laurea di: ELENA DEGORTES

ANNO ACCADEMICO 2011/2012



INDICE INTRODUZIONE

pag. 3

1. LE BUONE MANIERE FASCISTE

pag. 8

1.1 Nuovi divertimenti 1.1.1 Treni popolari 1.1.2 Teatro 1.1.3 Cinema 1.2 Socialità e nuovi riti 1.2.1 Merenda all’italiana e nuove feste fasciste 1.2.2 I funerali 1.2.3 Natale 1.3 Donne 1.4 Sport e sessualità

pag. 11

pag. 19

pag. 25 pag. 33

2. FAS ET NEFAS

pag. 37

2.1 Portamento 2.2 Vesti 2.3 A tavola 2.4 Per la strada 2.5 In viaggio 2.6 Lo snobismo

pag. 38 pag. 40 pag. 44 pag. 49 pag. 53 pag. 56

3.FIDANZAMENTO E MATRIMONIO 3.1 Questione finanziaria 3.2 Corredo 3.3 La futura casa 3.4 Il gran giorno 3.5 Viaggio di nozze 3.6 Dopo le nozze

4. DOVERI E PIACERI DELLA CORTESIA 4.1 Marito e moglie 4.2 Parentele 4.2.1 Le parentele difficili 4.2.2 Le parentele spirituali 4.3 Ospiti 4.4 Visite 4.5 Inviti 4.6 Regali

pag. 59 pag. 62 pag. 64 pag. 67 pag. 72 pag. 79 pag. 80

pag. 88 pag. 88 pag. 93

pag. 99 pag. 109 pag. 116 pag. 123

1


4.7 Giochi e passatempi

pag. 129

CONCLUSIONE

pag. 137

BIBLIOGRAFIA

pag. 140

SITOGRAFIA

pag. 145

2


INTRODUZIONE

La tradizione dei galatei è antichissima. Il primo manuale di buone maniere fu scritto da Monsignor Giovanni della Casa tra il 1551 e il 1555 e fu pubblicato dopo la morte dell’autore nel 1558 col titolo di Galateo ‘o vero dei costumi. Dopo il Casa fiorì un vero e proprio genere letterario in cui venivano approfonditi i temi proposti dal monsignore, talvolta diversificando le norme in base al periodo storico, talvolta mantenendole costanti negli anni. Il compito che si assunsero i galatei in antico regime fu quello di proporre le tesi del Casa volgarizzandole e rendendole più accessibili al vasto pubblico, suddividendole in capitoli e paragrafi, sostituendo la prosa con il verso, compilando degli indici delle materie e curando l’approfondimento dei temi che dal Casa erano stati solo accennati.1 Alcuni galatei sembravano più coscienti di altri di concorrere a creare una piccola tradizione e molti sin dal titolo si richiamavano all’opera del Casa. Una caratteristica comune a tutte queste opere era l’uso del volgare, prova dell’intento pedagogico dei galatei di antico regime destinati a giovani o fanciulli usati anche per l’insegnamento scolastico. Nei galatei fascisti si tentava invece di omogeneizzare la società, di creare uno stile di vita nazionale, in modo da costruire il nuovo italiano, il buon fascista. Durante il ventennio furono pubblicati circa 50 galatei che dettavano standard per i ceti

1

I. Botteri, Galateo e Galatei: la creanza e l'instituzione della societa nella trattatistica italiana tra antico regime e stato liberale, Roma, Bulzoni, 1999

3


medi. Ora, a differenza del passato, l’importante non era riuscire a salire la scala sociale, ma acquisire importanza nel proprio ceto, imparare a vivere con decoro anche con stipendi bassi. “Si suppone, in generale, che non possano aver tratti gentili che le persone bennate e ben educate, e che appartengono piuttosto alle più alte classi della società che alle minori; non v’è tuttavia ragione perché anche gli individui delle più umili classi non debbano reciprocamente sapersi trattare con bei modi. Si può essere affabili e gentili anche senza aver molti quattrini.”2 Ormai l’italiano doveva fare ciò che il regime si aspettava che egli facesse. Ho diviso in quattro capitoli le notizie apprese dalla lettura dei galatei fascisti. Nel primo capitolo descrivo le buone maniere fasciste: i nuovi divertimenti, i nuovi riti, la figura della donna e il rapporto tra fascismo e sport. Nel secondo capitolo fas et nefas parlo di ciò che era consentito e ciò che non era dal regime. Già dalla prima parte si capisce che si entra in un’epoca in cui tutto era controllato, anche le parole. Illustro le norme del bel portamento, degli abiti idonei alle diverse situazioni, discuto di come si doveva stare e cosa si doveva dire a tavola e in viaggio. Nel terzo capitolo affronto il tema del fidanzamento e matrimonio, descrivendo le particolarità di questi due riti, partendo dalla questione finanziaria da discutere prima delle nozze, al cosa fare in seguito al gran giorno. Nel quarto e ultimo capitolo discuto dei doveri e piaceri della cortesia. Inizialmente parlo dei piaceri della cortesia tra marito e 2

L. Schiavi, Galateo Moderno, Sonzogno, Milano 1937 4


moglie, con i parenti e con gli ospiti; in seguito descrivo i doveri della cortesia in caso di visite, di inviti e di regali. I principali galatei da cui ho preso le informazioni sono stati scritti da donne. Di esse non sono disponibili numerose informazioni, anzi spesso usavano pseudonimi e non amavano parlare della loro persona all’interno dei trattati da loro scritti. Lea Schiavi ha scritto Galateo Moderno. È nata a Torino il 2 marzo 1907 ed è stata sostenitrice del fascismo fino al 1939 quando andò nei Balcani come corrispondente di alcuni giornali italiani, si rese conto dell’atrocità delle persecuzioni razziali e decise di opporsi al regime. Qui conosce il giornalista di guerra americano Winston Burdett con cui si sposa nel ’40. La giornalista è segnalata al Ministero della Cultura popolare come antifascista e viene invitata al rimpatrio, al suo rifiuto viene espulsa dalla Bulgaria e dalla Jugoslavia. In seguito i coniugi vivono in diversi paesi del Medio Oriente ed è qui che la Schiavi diviene propagandista del “Movimento Libera Italia”. A Teheran prosegue la promozione del movimento e viene segnalata da alcuni connazionali nazifascisti come “elemento antinazionale”

da

sorvegliare

strettamente.

Un

rapporto

riguardante i coniugi Burdett li descrive così: “Oltre all'attività giornalistica la coppia predetta svolge opera di persuasione nei campi di concentramento ove si trovano italiani - militari prigionieri di guerra o civili internati - per indurli ad aderire ad un movimento che si cerca di far credere in formazione con il nome di “Italia Libera”, a capo del quale, sempre a quanto tentato di far passare per vero dai propagatori di questa notizia, si sarebbero posti dei generali italiani attualmente in mani inglesi, tra i quali con maggiore insistenza viene fatto il nome del generale Bergonzoli. Dai connotati fisici che si riportano dei medesimi si crede possano questi

5


identificarsi con i protagonisti di altre attività sospette già svolte in Siria da una coppia costituita da un suddito americano di nome

William

Barush

[recte

Burdett],

nominalmente

rappresentante in articoli di gomma della Good Year e da sua moglie italiana, di razza ebraica, nata a Torino.”3 I servizi segreti italiani decidono di eliminarla tramite dei soldati curdi che il 24 aprile 1942 fermano l’auto nella quale viaggiava la giornalista e la uccidono. L’omicidio viene fatto passare inizialmente come una rapina e in seguito come incidente da parte delle autorità italiane alle quali il marito della Schiavi si appella per avere delucidazioni sull’assassinio della moglie. Ancora oggi non si hanno notizie ufficiali dell’evento.4 Anche Erminia Vescovi, autrice di Come presentarmi in società, dovrebbe essere nata negli stessi anni della Schiavi, ma di lei non si hanno notizie precise, se non la data della sua morte: il primo gennaio del 1940; e il luogo di sepoltura: il cimitero della Viletta di Parma. L’autrice acconsente alle nuove regole imposte dal regime e nel suo testo illustra le norme per una vita più civile.5 Oltre al galateo sopra citato la Vescovi ha scritto un racconto per ragazzi dal titolo: Robinson Miagolè; e due romanzi intitolati: Per l’onda avversa e : Gli uomini si agitano… e Dio li mena.6

3

Telespresso del Regio consolato di Adana al ministero degli Affari esteri, Oggetto: "Burdett (giornalista americano) - Propaganda tendenziosa", Adana, 8 febbraio 1942 , in Archivio di Stato di Roma, Corte d'appello di Roma - Sezione istruttoria, f. 121 in M. Franzinelli, L’impegno, anno XXIV n°2 dicembre 2004 4 M. Franzinelli, Il colonnello Luca e un omicidio politico impunito. L’assassinio della borgosesiana Lea Schiavi, in L’impegno, anno XXIV n°2 dicembre 2004 5 http://www.inmiamemoria.com/scatole_dei_ricordi/Vescovi/Erminia/ Vescovi_Erminia___1568247.php E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, Vannini, Brescia 1928 6


Della contessa Morozzo della Rocca non è nota la data di nascita. Il suo nome da nubile era Elena Muzzati, ed era tesserata del partito fascista. È stata dama di compagnia della regina Margherita di Savoia, ed è proprio qui che si pensa abbia imparato le norme di buona educazione descritte nel suo galateo. Ha sposato un generale decorato con medaglia d’oro, nel 1927 scrive Giovinsignore, norme di saper vivere e di mondanità e nel 1936 è diventata direttrice della rivista femminile Cordelia facendola diventare un giornale propagandistico. Nel 1938 muore improvvisamente.7 Per descrivere il suo trattato di buone maniere scrive: “Questo libro non è destinato alle milionarie, che sono in esigua minoranza nel nostro bel paese; è destinato alle signorine di modesta e di buona condizione finanziaria, che vogliono arrivare alla signorilità e sempre più praticarla.”8 Maria Vittoria Rossi, in arte Irene Brin, nasce a Roma nel 1912 e muore a Bordighera il 31 maggio 1969. Figlia di un generale in carriera e di una donna austriaca di origini ebraiche che insegnò alla figlia ben cinque lingue. Durante un ballo all’hotel Excelsior di Roma conosce Gaspero del Corso, un giovane ufficiale con cui si sposa dopo pochissimi incontri. Era giornalista, scrittrice, viaggiatrice e amante della cultura e dell’arte. Tra le scrittrici da me analizzate è sicuramente la più “ribelle”, infatti scrive nel suo Usi e Costumi di grandi classi aristocratiche che spendevano i loro soldi come ritenevano opportuno, e sembrava non curarsi della nuova borghesia tanto amata dal regime e delle nuove norme che esso imponeva.9

7

http://www.letteraturadimenticata.it/Cordelia.htm E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, Carabba, Lanciano 1927 9 I. Brin, Usi e costumi 1920-1940, De Luigi, Roma 1944 8

7


1. LE BUONE MANIERE FASCISTE

Nei vent’anni tra le due guerre mondiali molti modelli di comportamento

ottocenteschi

furono

spazzati

via,

si

rivoluzionarono i comportamenti e i codici di buone maniere tendevano a omogeneizzarsi in modo da creare stili di vita e di comportamento propriamente nazionali. In Italia andava formandosi un codice di comportamento misto di innovazione e conservazione anche se in realtà l’italianizzazione ostacolò l’elaborazione di nuovi modelli di comportamento. Il fascismo tentò di eliminare le opposizioni e le resistenze che si manifestavano negli stili di vita e tentò di apparire l’artefice di un grande rinnovamento dello stile di vita degli italiani. 10

“Si tratta di ridare a tutte le classi italiane il senso della forza, della virilità e della volontarietà. Si tratta di difendere la tradizione guerriera della nostra razza; degli italiani, stimati dagli stranieri come dei maccaroni, dei mandolinisti ecc., si tratta di farne dei maschi”.11

Mussolini

dichiarava

che

in

dieci

anni

avrebbe

reso

“irriconoscibile sia fisicamente che spiritualmente il volto della patria”.12

Il fascismo aveva avviato il processo di un vero cambiamento. Da un lato la produzione culturale del regime era permeata da un 10

G. Turnaturi, Signore e Signori d’Italia, una storia delle buone maniere, Feltrinelli, Milano 2011 (p.95) 11 M. Maccari, Squadrismo, in “Il Selvaggio. Battagliero fascista”, 1, 13 luglio 1924 cit., in G. Turnaturi, Signore e Signori d’Italia, una storia delle buone maniere 12 B. Mussolini, Opera Omnia, a cura di E. e D. Susmel, vol.22, La Fenice, Firenze 1958, p.246 cit., in G. Turnaturi, Signore e Signori d’Italia, una storia delle buone maniere 8


nazionalismo autocompiacente e narcisistico, dall’altro era condivisa l’idea che gli italiani avessero gravi pecche e dunque vi era una forte necessità di rigenerazione. Per vent’anni Mussolini si impegnò nel tentativo di “rifare” gli italiani.13

L’ambizione del regime era costruire il modello del perfetto fascista e vi era una forte attenzione alla pubblicazione di galatei e trattati di buone maniere che testimoniassero l’esistenza di un codice di comportamento fascista esaustivo e preciso. Fra il 1922 e il 1940 furono pubblicati circa cinquanta galatei che ebbero una forte diffusione. Poco importa quanto furono seguiti e applicati, ma importa che furono pubblicati e letti perché attraverso di essi fu tentata una “fascistizzazione” della vita quotidiana, si tentò di inseguire fin dentro le mura domestiche gesti e comportamenti individuali.

Tra le due guerre si formarono i nuovi signori del ceto medio ed è a loro che i galatei erano rivolti, escludendo il mondo aristocratico si affermava un costume piccolo-borghese che vuole prendere a modello solo se stesso. Ora il sogno è acquisire potere e importanza all’interno del proprio ceto. I galatei di questi anni insegnavano a tirarsi su, a vivere con decoro, a illudersi di vivere “elegantemente”, come signori pur con stipendi bassi. Scompaiono i riferimenti alla fastosa mondanità per far posto a norme da applicare sui treni popolari, sulle crociere a prezzi ridotti, sulle matinées teatrali, sul cinema, sulla radio e sulle gite del dopolavoro.14

13

S. Patriarca, Italianità, la costruzione del carattere nazionale, Laterza, Roma-Bari 2010 14 G. Turnaturi, Signore e Signori d’Italia, una storia delle buone maniere, cit., p. 100 9


Mentre i galatei celebravano i nuovi divertimenti aristocrazia e alta borghesia celebravano una socialità tutta loro fatta ancora di balli, di grandi ricevimenti, di viaggi intercontinentali, di una cultura esclusiva e cosmopolita. Gran parte dell’aristocrazia e dell’alta borghesia scelse stili e comportamenti internazionali, anche per prendere le distanze dal fascismo. Il bel mondo faceva a meno dei galatei fascisti.15 La distanza tra questi due mondi si nota se si legge Usi e Costumi di Irene Brin16 che, anche se scritto negli stessi anni, racconta di viaggi in America, di interventi di chirurgia estetica, di cocaina e di gran dame. C’è tutta la follia, la nevrosi e la disperazione di quegli anni mentre nei galatei più popolari domina un’aria di famiglia e una calma e tranquillità quasi mortali. La mediazione fra questi due mondi era affidata alla letteratura popolare che lasciava intravedere lussuosi appartamenti, conti e duchesse, finanzieri e dame del bel mondo, ma che finivano sempre con l’abdicare al loro stile di vita corrotto per abbracciare gli ideali piccolo-borghesi.

Elena Morozzo della Rocca fu autrice di due galatei che riscossero

molto

successo:

Giovinsignore

e

Signorilità;

quest’ultimo è uno dei primo galatei propriamente fascisti scritto con la volontà di compiacere il regime creando modelli di comportamento, per il ceto medio, di stampo fascista. Nella prefazione di Giovinsignore la contessa scrive:

“C’è un’aristocrazia a cui tutti possono appartenere: quella del sentimento. C’è una forma di vita che tutti possono praticare: quella della signorilità di modi, che porta -dal lato morale- a una signorilità di abitudini, di animo, di vita interiore; che porta –dal lato pratico- al “saper vivere” l’esistenza quotidiana nelle sue 15

G. Turnaturi, Signore e Signori d’Italia, una storia delle buone maniere, cit., p. 101 16 I. Brin, Usi e costumi 1920-1940, De Luigi, Roma 1944 10


manifestazioni familiari, sociali e mondane; che porta ad una sicurezza di tratto e di comportamento, che è pegno di sicuro successo. […] Aggiungo che non ho scritto per i giovani milionari, né per quelli che vorrebbero seguire la così detta moda americana. Anzitutto essi dovrebbero distinguere, anche per un rispetto ai nostri ex-alleati di oltre Oceano, fra cui c’è molta gente ben nata e ben educata, e dovrebbero precisare che vogliono scimmiottare quei volgarismi e odiosi arricchiti, il cui motto è: “io pago”, oppure: “me ne infischio di quello che non sia la mia comodità”. No; la cortesia tradizionale italiana e latina, la signorilità di marca mondiale, impongono spesso dei piccoli sacrificii, impongono il rispetto ai vecchi, ai deboli, la cortesia verso le donne, la tolleranza, la pazienza, l’amabilità… tutte doti che poi formano il carattere, e formano l’uomo forte e vincitore. Morale: chi vuol seguire “quelli” americani, bruci questo volume, o, meglio, chieda al libraio di riprenderlo colle pagine intatte.”17

Il fascismo entra così ufficialmente nei galatei. E ciò che si fa d’ora in poi verrà stabilito anche in relazione a ciò che il regime si aspetta dai veri italiani, o vorrebbe veder fare agli italiani.18

1.1 NUOVI DIVERTIMENTI “ La vita di oggi è dura, e questa durezza uguale per tutte le classi – se di classi possiamo ancora parlare, poiché effettivamente non esistono più sensibili differenze nella scala sociale – ha portato una notevole semplificazione in tutte le 17

E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, Carabba, Lanciano 1927 18 G. Turnaturi, Signore e Signori d’Italia, una storia delle buone maniere, cit., p. 107

11


manifestazioni del saper vivere… Il galateo non vuole prefiggersi altro scopo che insegnare le buone creanze, ma giust’appunto quando le esigenze del vivere impongono cure costanti

per

mantenersi

in

equilibrio,

e

urge

stillarsi

quotidianamente il cervello per provvedere ai propri bisogni, e occorre sorvegliare se stessi per essere sicuri di non andare o di non essere messi fuori strada, le “buone creanze” hanno da essere agili, sciolte, non debbono inceppare né chi le pratica né chi le sopporta”.19

Il regime voleva distinzione fra le classi ma con apparente solidarietà e nei galatei si trovano suggerimenti che invitano ad essere cortesi con gli appartenenti alle classi inferiori e allo stesso tempo prescrizioni per distinguersi dai “non-signori”.

Nel galateo della Piccini le buone maniere sono le maniere del regime, quelle che regolano non solo i rapporti fra gli individui, ma fra gli individui e il regime, e che al regime dimostrano obbedienza. Educato e signore è solo il vero fascista, è colui che frequenta i treni popolari e le matinées a teatro e soprattutto aiuta il regime a raccogliere consensi.20

1.1.1 Treni popolari Nell’agosto 1931 vennero inaugurati i treni popolari che permettevano agli iscritti al dopolavoro, grazie a piccoli sconti, di conoscere l’Italia. L’intento era di offrire svago ai lavoratori, di raccogliere consensi e di incentivare l’amore per la propria nazione. Nei galatei viene illustrato come ci si deve comportare sui treni: tutti dovevano mostrare entusiasmo e gioia, recitare la 19

V. Piccini, Nuove usanze per tutti, Mani di fata 1938 G. Turnaturi, Signore e Signori d’Italia, una storia delle buone maniere, cit., p. 110

20

12


parte dei signori in viaggio ma senza eccessi, gli abiti dovevano essere semplici e le maniere cordiali. “ […] In primo luogo bisogna vestirsi da viaggio. Parlo naturalmente alle signore. Un abito semplice di foggia sportiva di un tessuto che non si sgualcisca; un cappello di feltro floscio; un paio di scarpe a tacco basso; dei guanti, si, assolutamente sempre un paio di guanti, ed un soprabito, che potrete portare al braccio, è tutto quello che vi occorre, per non sembrare un provinciale che lasci per la prima volta il tetto paterno. È incredibile la quantità di donne che viaggiano con abiti di seta, cariche di fronzoli e di gale, che portano cappelli larghissimi e scarpe dai tacchi inverosimili, come se andassero ad un ricevimento […]”. La signora, la signorina, il giovanotto che desiderano approfittare di questo comodissimo mezzo per conoscere le città predilette, verso le quali si sentono attratti per aspirazioni culturali e sentimentali, quando abbiano deciso di partecipare a un viaggio popolare debbono considerarsi ‘uno della folla’ e perciò ogni idea di grado e condizione sociale si metterà da parte”. 21

La Piccini ribadisce che è nei treni popolari che si incontra la “gente veramente educata” e non nei treni di lusso dunque il piccolo-borghese non doveva cercare di imitare i gran-signori, ma essere fiero di sé:

“ Penetrare il mistero di tali cabine, tappezzate di turchino, dalle pareti ad intarsio sulle quali si svolgono temi fantasiosi di piante e di strani arabeschi, non è facile ai profani. Ma da una porticina socchiusa, è quasi sempre la stessa messa in scena che si può cogliere: una pelliccia, qualunque sia la stagione, attaccata ad uno dei ganci; cappelliere rotonde sparse sul pavimento, non 21

L. Schiavi, Galateo Moderno, Sonzogno, Milano 1937 13


avendo trovato posto sulle reticelle dei bagagli. Libri da per tutto. Chissà se poi saranno letti? Infine distesa nel fondo con i piedi adagiati sui cuscini e che giocano nervosi in un paio di adorabili pantofoline, la signora che viaggia nella cabina del grande espresso: Treno Blu, Freccia d’Oro, o Western Line. Il galateo qui non ha occasione di essere violato”22.

L’autrice sottolinea che anche i libri devono essere tenuti lontano in quanto simbolo di corruzione e ornamento di signore debosciate.

Nella realtà i treni popolari non erano frequentati né dall’alta borghesia, che li snobbava, né dagli operai, per il troppo alto costo del biglietto, e anche i dopolavoristi che li frequentavano non furono pienamente convinti che fossero alla loro altezza. Fra il 2 agosto e il 20 settembre 1931 più di mezzo milione di viaggiatori usufruì dei treni, la maggioranza proveniva dal settentrione. Ma appena svanì l’euforia iniziale i viaggiatori scesero a circa centomila l’anno.23

1.1.2 Teatro A partire dagli anni trenta speciali sconti furono offerti ai lavoratori anche per andare a teatro e furono inaugurate le rappresentazioni del sabato mattina dette matinées. Andare a teatro fu per molti un segno di promozione sociale e il fascismo si attribuì il merito di aver aperto a tutti un passatempo colto e raffinato.

22

V. Piccini, Nuove usanze per tutti, Mani di fata 1938 G. Turnaturi, Signore e Signori d’Italia, una storia delle buone maniere, cit., p. 112 23

14


“Il teatro , oltre ad essere un divertimento per lo spirito, è anche un ottimo mezzo di coltura. Prima di tutto, a meno che non si tratti di compagnie dialettali, c’è da imparare a pronunciare con maggior purezza il nostro bellissimo idioma, maltrattato e deformato da molti dialettismi diventati di uso comune. […] Oltre a questo vantaggio, c’è poi quello grandissimo di poter conoscere, per mezzo del teatro, tutte quelle opere classiche o moderne, di alto valore intellettuale, che diversamente non si verrebbero a conoscere che superficialmente. […] Genitori, se volete premiare un figliolo ubbidiente, una figliola gentile, portateli a teatro: portateli spesso a teatro.”24

Andare a teatro diventava anch’esso un modo approvato per trascorrere il tempo libero e i galatei ne incoraggiavano la frequentazione e prescrivevano un comportamento adeguato sia per le rappresentazioni popolari sia per quelle del teatro borghese e cercarono di fornire un tono raffinato e mondano anche alle matinées del sabato. Si trovano norme per tutto: come sedersi, come vestirsi, come comportarsi e si raccomandavano l’eleganza e la raffinatezza. I suggerimenti non sono molto diversi da quelli dei galatei ottocenteschi, ma ora l’attenzione era focalizzata sull’apparenza e sull’abbigliamento più che sul comportamento.

“Lo

spettacolo

a

teatro,

sia

esso

una

sfolgorante

rappresentazione d’opera, in cui tutte le arti concorrono armonicamente congiunte e fuse insieme nel nostro diletto, sia un severo dramma che ci faccia palpitare il cuore in un’ansia affannosa come a un pezzo di vita vissuta e tendere il pensiero alla soluzione di qualche alto problema morale, sia infine (e perché no?) un giocondo e onesto scherzo di costumi messi in 24

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 187 15


burla, è il più gradito dei divertimenti. E poiché ad esso concorre una folla mista d’ogni sorta di gente, diversa per età, per gusti, per condizione sociale,, diventa un luogo di palestra anch’esso per le buone usanze, per le reciproche cortesie, per quel riguardo ai diritti altrui che deve sempre stare accanto alla legittima tutela dei diritti nostri. Al teatro d’opera, si sa, ognuno che deva occupare un posto in palchetto o una delle prime file delle poltroncine, si reca in gran gala. Ed è giusto: perché invero il diletto della serata non consiste solamente nella rappresentazione che si dà sulla scena, ma anche nello sfavillio dei gioielli, nella varietà dei colori, nell’ondeggiamento delle sete e dei rasi che fanno spiccare la bellezza femminile, illuminata da un fulgore di lampade, troneggiate sullo sfondo dei palchetti, o fiorente giù nella platea, come in una splendida aiuola. […] L’eleganza d’una signora al teatro, è dunque parte del suo galateo, è il segno del rispetto che porta a sé, al pubblico, alla rappresentazione stessa, come opera d’arte. […] Nei teatri popolari, il pubblico si abbandona più facilmente alla manifestazione clamorosa delle sue impressioni. E passi pure per gli applausi e le esclamazioni, e non ci faccia sorridere di meraviglia scherzevole l’ingenua commozione di qualche buona donna che piglia proprio sul serio la faccenda, e piange e freme… Ricordiamo il grazioso sonetto di Tanfucio Neri, in cui il pubblico inveisce contro il tiranno, all’Arena. Fin qui niente di male. Ma il male è quando il popolo non abbastanza educato, tumultua, grida e fischia.”25

I galatei insistevano sul fatto che il livello culturale e di mondanità di questi spettacoli erano più che accettabili in una società in cui la divisione molto netta fra cultura alta e cultura

25

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, Vannini, Brescia 1928 16


bassa, cultura d’élite e cultura per la massa, si era già affermata a cominciare dai diversi insegnamenti scolastici sanciti dalla riforma Gentile per le scuole umanistiche e quelle tecniche.

Lea Schiavi nel suo Galateo moderno spiega il contegno che le signore debbono avere:

“ Come regola generale, a teatro, una donna non deve applaudire. Avete mai osservato che effetto sgradevole fanno quelle signore che si sbracciano per applaudire? Non parliamo poi delle signore acconciate da sera, che nell’agitarsi fanno tintinnare i bracciali e oscillare i ricciolini. È meglio lasciare questo compito alle mani vigorose degli uomini, e se proprio la commedia vi ha entusiasmato, o l’attore esaltate, fate soltanto il gesto di battere le palme, tanto più che le vostre mani, quasi sempre guantate, non aggiungerebbero vigore allo scroscio di applausi.”26

Le matinées del sabato non ebbero però l’effetto voluto dal regime in quanto i grandi borghesi non le frequentavano e gli operai non potevano permetterselo. Le sale vennero riempite dalla classe impiegatizia che le utilizzò per ristabilire le proprie gerarchie interne.

1.1.3 Cinema

Nei confronti del cinema il fascismo mantenne un atteggiamento ambivalente: promosse i nuovi spettacoli utili per fini propagandistici ma allo stesso tempo nutrì timore in quanto novità difficilmente controllabile. Inoltre al cinema erano

26

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 189 17


proiettati film americani, modelli di comportamento non accettabili che alimentavano sogni e fantasie proibite. I galatei non offrono modelli di comportamento precisi limitandosi ad un atteggiamento di paura e diffidenza. “Per le signore e specialmente per le signorine è prudente non andare sole, perché i maleducati sono sempre molti e il buio è un loro alleato. È forse pretendere un po’ troppo, oggi, dalla cavalleria maschile che si ceda il posto alla signora al principio della visione, è doveroso farlo se si è verso la fine. Per il resto regolarsi come in poltrona a teatro.”27 In Usi e costumi di Irene Brin è presente un capitolo dedicato alla moda nel cinema in cui si parla dell’influenza che avevano le grandi dive dell’epoca sulle signore dell’alta borghesia che osservavano e imitavano gli abiti delle attrici. “Nella ‘Via Senza Gioia’, Greta Garbo, candida e astrale, con i suoi veri denti, irregolari,[…] e le fossette sparse sul giovane volto, indossava una pelliccia petit-gris, pelliccia illustre intorno al 1925, e solamente allora. Ma per sbarcare in America, con Striller, portava una giacca scozzese, tagliata male, un cappellino calato sugli occhi, il suo sorriso restava timido, splendente, mentre già le sarte di Hollywood cucivano per lei innumerevoli abiti bianchi, perlati.[…] Dopo Greta anche Marlene aveva i pantaloni. Di flanella grigia, con giubba uguale, e berretto basco blù.”28

27 28

G. Bortone, Il codice della cortesia, Sei, Torino 1937 I. Brin, Usi e costumi 1920-1940, cit., p.99 18


1.2 SOCIALITA’ E NUOVI RITI “Qualche anno fa. All’Excelsior di Roma ad una tavola elegantissima, sedevano alcune signore italiane, che avevano trovato più comodo scendere all’albergo anziché mettere su casa, i cui vestiti si potevano definire - dalla cinta in su niente, dalla cinta in giù frange -”.29

La contessa Morozzo della Rocca si riferisce alla vita d’albergo e ai vestiti charleston molto in voga negli anni venti ma da lei e dal fascismo per nulla apprezzati. Gli alberghi di lusso erano diventati un punto di riferimento per l’alta borghesia: si cenava, si prendeva il tè, alcuni ne facevano la loro base. Per i galatei dell’epoca, e naturalmente anche per il fascismo, tutto questo era troppo elitario e promuoveva una socialità che andava al di fuori delle mura domestiche, per ciò era necessario rafforzare i divertimenti casalinghi, possibilmente con poca spesa.

1.2.1 Merenda all’italiana e nuove feste fasciste L’ora del tè fu trasformata nell’ora della merenda, al posto della bevanda inglese e dei biscottini si promuoveva il consumo di panini imbottiti al formaggio, vino e torte alla frutta fatte in casa. Anche la merende all’aperto erano ben viste dai galatei:

“Si chiama merenda all’aperto quella che in tempi di snobismo si voleva dire pique-nique, ma si tratta di una merenda a cui ognuno

contribuisce con qualche commestibile di

circostanza: chi porta i biscotti, chi le tartine, chi il telegelato, 29

E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.65 19


(un gelato che si prepara a Roma così ben confezionato che si conserva per ore), chi la frutta, chi dei pasticcini d’insalata russa, chi una torta. […] Durante la gita, ognuno dimentichi i suoi crucci personali, sia allegro e anche burlone, ma nei limiti della solita cortesia.”30

Non si può non considerare però che le merende all’italiana erano molto più costose rispetto al tè e alcune signore iniziarono a offrire delle bevande fatte in casa da loro con delle erbe aromatiche. I ricevimenti a base di tè erano la forma di socialità più diffusa, esisteva: il tè intimo, il tè danzante e il tè ponte (che si serviva tra una partita di bridge e l’altra), erano ricevimenti molto formali a cui partecipavano persone dello stesso ceto sociale e spesso della stessa professione o dello stesso ufficio. Questi ricevimenti non si protraevano mai fino a tardi, si intuisce che non fossero molto divertenti e non permettevano nessuno scambio tra ceti differenti. Nei galatei si promuove il saluto romano e vari tipi di divertimento propriamente fascisti:

“Ed eccone di carattere patriottico militare: berrettone a pelo degli antichi granatieri sulle ben lisciate teste dei ballerini e un’immensa fiamma (granata) di cartone, appesa a tracolla delle dame, mentre echeggiano le note della Marcia Reale; fez rossi e cappelli alla bersagliera, mentre suona la fanfara; fez neri degli avanguardisti e bandiere tricolori delle dame, mentre il grammofono intona Giovinezza”.31

30

E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.107 31 E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.10 20


1.2.2 I funerali Fu fatto un tentativo di mutare anche la ritualità dei funerali richiamando il popolo italiano a una maggiore austerità. Avvenne anche che il regime si appropriasse di morti che in vita erano stati dubbiosi verso il governo e si celebrasse il rito funebre secondo l’usanza fascista con urla e gagliardetti:

“Il fascismo abusava dei morti. Imponeva che si scrivesse l’anno dell’Era fascista sotto l’annunzio funebre: e pochi riuscirono ad eludere questa vilissima tra le sopraffazioni, che oltraggiava quanti tra i morti avevano sentita l’onta del fascismo e quanti tra i superstiti la sentivano ancora: lo zelo dell’ufficio di pubblicità aggiungeva, con una vera frode, la data mancante nel testo presentato dai congiunti.”32

Nei galatei si prescrivevano come norme di buona creanza le regole volute dal regime:

“E’ nel dolore che più si rivela la forza d’animo di un popolo, e possiamo dire che oggi in Italia i riti funebri - riassumenti la manifestazione esteriore del duolo per la dipartita d’una persona amata - sono improntati a quella dignità che dà alla mesta cerimonia il carattere austero che le è dovuto. Basti citare l’appello fascista, fatto dal gerarca al camerata scomparso, appello a cui rispondono a una sola voce i presenti; e se anche la marziale chiamata significante una spirituale continuità di vista è riserbata ai militanti nel Partito, pur così dimostra che quanto è più elevato il grado del defunto o riconosciuti i suoi meriti,

32

F. Flora, Ritratto di un ventennio, Macchiaroli, Napoli 1944 21


semplici e gravi sono le onoranze, e non perituro il ricordo delle benemerenze acquistate.”33

Si volevano dunque plasmare i riti della società su quelli del partito fascista preso come modello di semplicità, serietà e decoro, e si cercava di scoraggiare la celebrazione del rito funebre secondo le tradizioni:

“A questo principio s’informano generalmente i funerali civili. I lunghi cortei sfilanti per le vie della città, distratti o indifferenti, vanno pressochè scomparendo: infatti dove c’è folla raramente vi è raccoglimento e commozione. Musiche e bande, a scandire l’umano dolore, mentre passa la gente e si svolge il solito traffico della strada, è pure un’usanza che ben pochi praticano. Discorsi, orazioni funebri sono più di ieri che di oggi.”34

Il regime in realtà temeva che durante i funerali le orazioni funebri potessero trasformarsi in orazioni politiche e in manifestazioni di antifascismo.

In Galateo Moderno è presente un elenco di norme da rispettare in caso di lutto: “Se volete fare del lutto, s’impone il rinnovamento completo del vostro guardaroba; Gli abiti tinti di nero sono orribili a vedersi e sanno di rimediato frettolosamente; I guanti non devono mai essere di pelle, ma di seta o di filo; I gioielli sono proibiti anche se incastonati di nero o neri; Non si acquistano personalmente gli oggetti e i vestiti di lutto;

33 34

V. Piccini, Nuove usanze per tutti, cit., p. 89 V. Piccini, Nuove usanze per tutti, cit., p. 90 22


Non si fanno visite; Non se ne ricevono; Non si assiste ad un funerale; Non si va ad un matrimonio; Non si frequenta nessun luogo di divertimento.”35

1.2.3 Natale I galatei fascisti suggerivano anche di abolire l’albero di Natale e reintrodurre il presepe:

“L’albero incappucciato di neve, luccicante di argentei gingilli e di variopinti lumini, nulla ci narrava di ciò che forma l’incanto del mistero natalizio, e giustamente il nostro Paese ritornò alla tradizione del presepe […]. Così all’approssimarsi del Natale, ogni mamma concederà ai suoi figlioli il grato compito di allestire nella casa un presepio, aiutandoli a costruirlo secondo la tradizione cristiana. Le famiglie benestanti, spontaneamente, per mezzo delle loro creature, offriranno il loro obolo alle competenti sedi per il dono di Natale e della Befana fascista interpretando il comandamento del Capo – Andare verso il popolo -. Questo insegna il nuovissimo galateo della Patria.”36

C’era anche il Natale fascista:

“ Noi non vogliamo rimpiangere qui ciò che appartiene al passato, e che, se pure aveva una sua poesia delicata e profonda, beneficiava più i ricchi che i poveri in un quadro di benessere da cui questi ultimi erano per forza di cose esclusi. Oggi non è così. Il tono più elevato di vita delle classi lavoratrici contempla il

35

36

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 243 V. Piccini, Nuove usanze per tutti, cit., p. 65 23


diritto per ciascuna famiglia di celebrare queste ricorrenze in un’atmosfera di dolce benessere e pace serena. Ma v’è qualche cosa di più che dobbiamo mettere qui in rilievo giacchè è soltanto sullo sfondo dell’ordinamento fascista che possono imperniarsi le usanze nazionali. Il 24 dicembre, si celebra in tutta Italia la – Giornata della madre e del fanciullo -. Istituita dal duce nell’anno XI dell’era fascista […] per onorare ed esaltare nella madre e nel fanciullo la più consolante poesia della vita[…]. Non è senza un motivo ideale che Benito Mussolini ha scelto la vigilia di Natale per tale celebrazione. Egli ha inteso a porre le nuove generazioni sotto l’egida della più soave e più alta figura di donna e madre, di colei che partorì il divino fanciullo.”37

Nel gennaio 1928 fu istituita anche la Befana fascista. Il duce la preferiva a Babbo natale che riteneva un’usanza forestiera. Ad ogni bambino disagiato venivano offerti regali. Molte categorie commerciali e professionali raccoglievano doni e denaro da consegnare alle famiglie più povere. La gestione dei regali era curata dalle organizzazioni femminili e giovanili fasciste. “ Per avere i doni della Befana si doveva presentare domanda alle sedi del fascio o dei gruppi rionali, che si riservavano di controllare che i richiedenti, bambini appartenenti ai ceti più poveri urbani e rurali, ne avessero davvero diritto. I regali potevano essere un capo di vestiario, dei dolci e della frutta, un’immagine del Duce, e variavano anche in base alle disponibilità delle risorse disponibili e alla partecipazione di più o meno cospicue donazioni private.”38 37

V. Piccini, Nuove usanze per tutti, cit., p. 69 G. Gabrielli, D. Montino, La scuola fascista, istituzioni, parole d’ordine e luoghi dell’immaginario, Ombre corte, Verona 2009 38

24


A partire dal 1934 il nome mutò in “Befana del Duce”, per esaltare il culto della personalità di Benito Mussolini, il rito proseguì fino alla seconda guerra mondiale, e tornò a chiamarsi “Befana fascista” con l’instaurazione della Repubblica Sociale italiana nel 1943.

1.3 DONNE “Davvero un malinconico furore di vita animò le adolescenti 1920, in una confusione dove il coraggio delle Crocerossine, la futilità delle Madrine, l’indipendenza delle americane guidatrici di ambulanze, la frivolezza o la desolazione delle madri, si accordavano per creare inquietudini dense di fretta, di insolvenza, di offerta. Tutti i vincoli materiali e morali cedevano: non soltanto le istitutrici, le cameriere fidate, le custodi degli studi e delle passeggiate, erano scomparse, ma le famiglie vanitosamente si scomponevano, i padri reduci dalla guerra, le mamme ansiose di utilizzare qualche resto di giovinezza prendevano lezione di ballo, arricchivano o dichiaravano

fallimento.

L’improvviso

benessere,

come

l’improvvisa povertà, finirono di squilibrare fanciulle destinate, da lunghe tradizioni, e da istinti ancora tenaci, alla morigeratezza, alla modestia, ai matrimoni combinati, alle letture caste.”39

Lo squilibrio di cui parla la Brin nel suo galateo rispecchia l’incertezza e la contraddizione del regime fascista sul ruolo della donna. Il fascismo voleva che fossero: donne e madri esemplari ma anche sportive, cittadine e amministratrici dei beni famigliari. 39

I. Brin, Usi e costumi 1920-1940, cit., p.111 25


I galatei scritti appositamente per le donne rispetto all’ottocento erano pochissimi, probabilmente per dimostrare che la donna non era più un soggetto a parte, ma un elemento fondamentale per la nazione italiana. Le donne americane venivano additate come esempio di ciò che non bisognava fare, come la negazione della femminilità. La donna moderna non aveva più bisogno di farsi accompagnare da una dama di compagnia per passeggiare o viaggiare, in quanto l’educazione moderna le aveva messe in grado di distinguere il bene dal male. Apparentemente la donna del regime era libera:

“Non è più il tempo in cui una ragazza non poteva uscire sola, avere un proprio gusto, una propria opinione, una propria personalità. Ora essa ha coi suoi compagni dell’altro sesso comuni molti diritti e doveri […]. È dunque enorme l’importanza della educazione civica e patriottica della donna che si è voluta interessare in modo evidente, continuo e grandioso alla complessa vita della Nazione. Pur non essendo femminista il Fascismo apre alle donne orizzonti di sempre più vasti compiti. Dall’infanzia alla vecchiaia, la donna è considerata oltre che fanciulla, sposa, madre, nonna, è considerata dalla Nazione come piccola e giovane italiana, federata, corporata e fascista”.40

Si invitavano le signorine a non imitare le proprie madri troppo distaccate dalla società, portatrici di una cultura ormai sorpassata, ma allo stesso tempo non dovevano nemmeno imitare le donne straniere considerate, all’opposto, troppo moderne.

40

F. Castellino, Le belle maniere, Internazionale, Torino 1934 26


“Così fanno anche le altre! Si suole rispondere da quelle che non sono le peggiori. Ebbene non sarebbe opportuno, finalmente, imparare a fare quello che le altre non fanno? E distinguersi dalla massa non più colle vesti indecenti, colle mosse arrischiate, colla trasandatezza dei modi, colle affrettate monellerie, ma col garbo serio e riservato, colla signorile semplicità del tratto? Sarebbe una vera originalità ai tempi nostri e un’originalità finalmente di buon gusto.”41

La donna veniva responsabilizzata nel suo nuovo ruolo di cittadina, ma ricordandole che aveva una “responsabilità limitata”42alla vita di famiglia.

“Una vera signora incomincerà a dimostrare le doti che l’adornano nella intimità della sua casa. Una signora ( o anche signorina, non importa se essa sia nubile o coniugata, e si pensa soltanto alla sua condotta che deve essere nobile in ogni caso) penserà a come dovrà organizzare e ordinare la sua casa, riserbando almeno un cantuccio alle opere dei classici maggiori della letteratura italiana e di qualche importante autore moderno, di preferenza italiano. […] Leggerà, quanto più potrà, buoni libri di argomenti vari, e non soltanto per piacere personale o per curiosità, ma anche per imparare ad essere una compagna che sappia dire cose interessanti al marito, ai figli, agli amici. […] La perfetta signora studierà i problemi economici della casa, terrà conto di tutte le spese, cosa necessaria tento per l’economia domestica, quanto per la tranquillità del marito. A proposito di questo una buona moglie, conoscendo i suoi affari, cercherà di aiutarlo in tutti i modi, materialmente ed economicamente, 41

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 133 42 G. Turnaturi, Signore e Signori d’Italia, una storia delle buone maniere, cit., p. 137 27


incoraggiandolo e consigliandolo quando ve ne sia bisogno, comprendendolo e appoggiandolo con coraggio nei momenti difficili.”43

Anche

l’autrice Victoria de Grazia parla delle attese

contraddittorie nei confronti delle donne durante l’epoca fascista:

“Il complesso rapporto del fascismo con la gioventù femminile era condizionato in generale dalle attese contraddittorie delle donne, ma rifletteva essenzialmente il cambiamento del modo in cui le giovani crescevano in Italia dopo la prima guerra mondiale. Le generazioni del dopoguerra avevano occasioni di divertimento completamente diverse da quelle delle loro madri, in quanto la cultura di massa le metteva a contatto con costumi sociali

e

sessuali

maggiormente

commercializzati

e

apparentemente liberi. Specialmente nei ceti borghesi, le famiglie erano più piccole, e alle ragazze si prestava più attenzione e si chiedeva di più. Andavano a scuola più a lungo, e la dipendenza dalla famiglia veniva prolungata dalla difficoltà a trovare lavoro e dal matrimonio in età più avanzata. I genitori erano disorientati dal cambiamento dei costumi. […] C’era grande incertezza su come educare una ragazza. Il regime contribuiva alla diffusione con le sue contraddittorie richieste alle giovani, che si voleva fossero al contempo cittadine responsabili e membri subordinati della famiglia, persone attive nella vita pubblica dell’Italia nuova, ma sottomesse all’autorità paterna.”44

43

Il galateo di Donna Patrizia, Lucchi, Milano 1938 V. de Grazia, Le donne nel regime fascista, Marsilio, Venezia 1993 44

28


Nei galatei fascisti veniva esaltata la figura della donna dentro le mura domestiche, mentre le donne lavoratrici erano invitate quasi a nascondersi, a mimetizzarsi in quanto stimolavano un sentimento di pietà.

“La lotta per la vita, che si va facendo sempre più urgente, spinge spesso la donna fuori dalle pareti domestiche a guadagnarsi il suo pane, con un lavoro fisso e regolarmente retribuito, a preferenza del lavoro domestico. E così noi vediamo spesso anche delle giovanissime fanciulle, sbalestrate qua e là, e costrette ad assumersi responsabilità talvolta gravi, e a mettersi a contatto con ogni sorta di gente.”45

I lavori presi in considerazione dai galatei erano: la maestra, la conferenziera, la scrittrice e l’impiegata.

La figura della maestra spaventava, era vista come una donna sola che spesso doveva trasferirsi in una città sconosciuta e i galatei consigliavano di preoccuparsi più dell’onestà che della preparazione:

“La giovane maestra che si reca in un paese nuovo si trova in una condizione molto difficile, esposta a tutte le osservazioni, e spesso a critiche maligne. L’amore per il suo dovere, la serietà del contegno faranno però ch’ella riesca in breve a guadagnarsi la stima della gente. […] La maestra dovrebbe essere seriamente e gentilmente educata ancor più che istruita. Se dopo aver lasciato le panche della scuola, avrà dimenticato in breve le categorie d’Aristotele o la disposizione dei cieli danteschi, poco male; ma invece sarà malissimo se darà ai suoi scolari l’esempio

45

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 305 29


di una condotta leggera, o di modi triviali. Non sarà obbligata, specialmente se è giovane e di carattere allegro a far la vita di una suora, ma dovrà astenersi dai rumorosi divertimenti, da gare di vanità. […] Nel vestire la maestra deve essere modello di serietà elegante e semplice. Le scollature, le trine trasparenti, le gonnelle scarse piacciono a tutte le donne che vogliono essere rispettabili, ma in una educatrice rappresentano una colpa imperdonabile.”46

Per quanto riguarda le conferenziere invece “ Come presentarmi in società” recita così:

“Ora non è il caso che le conferenze sian tenute da donne. E allora attente, signore che vi esponete, attente più che mai. […] E si presenti con garbo e naturalezza e, sia che legga, sia che parli, tenga alta e ben modulata la voce, e in tutto il suo contegno, colla modestia e colla semplicità, cerchi di farsi perdonare quello che sta facendo e che non è cosa che soglia piacere è infine il sedere a scranna e il darsi ufficio di ammaestrare altrui. Il che mal si tollera negli uomini, può diventare in una donna ancora meno tollerabile alla comune vanità.”47

In realtà questi erano mestieri che già le donne svolgevano nell’ottocento, mentre il lavoro di impiegata era una vera novità per il mondo femminile e per questo Erminia Vescovi dedica un’appendice all’interno del suo galateo per spiegare alle donne le buone maniere da adottare in ufficio:

46

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 307 47 E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 205 30


“Le donne che stanno ai pubblici uffici hanno bisogno, oltre che di tutte le virtù dei loro colleghi maschi, anche d’una serietà a tutta prova, e di un vero spirito di sacrificio. È una vera tentazione stare da mane a sera in vista della gente, e spesso di gente che si fermerebbe volentieri a far ciarle di carattere tutt’altro che professionale. Le signorine devono, in tal caso, tagliar corto e mostrare di non gradire nessuna distrazione di questo genere. […] Ma nel recarsi all’ufficio non sfoggi un’eleganza di cattivo gusto, che fa voltar la gente e domandarsi chi è mai quella giovane donna, che alle otto o alle nove del mattino, corre le strade vestita di seta rosa o di velo celeste, colle braccia scoperte, e i tacchi alti cinque o sei centimetri… Ci guadagnerà la sua buona riputazione fra colleghi e presso i superiori. […] Ma il pubblico che si ritrova a contatto con le impiegate, ha un duplice dovere di cortesia, verso queste oneste e povere lavoratrici, la cui vita è spesso tutto un sacrificio. Se sono giovani, un rispetto scrupoloso alla loro possibile debolezza, un gran riguardo ai casi pericolosi in cui possono trovarsi. Se sono anziane, si abbia riverenza alla cumulata fatica, alla vita sfiorata, alla stanchezza precocemente giunta. E tutto ciò si traduca nel risparmiar vane parole, nel render più agevole l’opera loro, nel ringraziarle, con semplice cortesia.”48

Le donne presero sul serio il modello di “donna nuova” che il fascismo offriva, ma una volte uscite da casa cominciarono ad incuriosirsi un po’ troppo e a occuparsi di problemi per i quali non erano state ancora autorizzate, ecco che allora i galatei cercarono di rimetterle in riga e a farle rientrare nei limiti di una modernizzazione che veniva controllata dall’alto.49 48

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 309 49 G. Turnaturi, Signore e Signori d’Italia, una storia delle buone maniere, cit., p. 140 31


Anche nella musica del periodo fascista era molto presente la figura della donna. Nelle canzoni degli anni precedenti la figura femminile era sempre altolocata, misteriosa, affascinante, suscitatrice di grandi passioni, irraggiungibile e desiderata. Nel ventennio invece la donna era più definita, più aderente alla realtà, veniva rappresentata la donna comune:

“La donna ora si muove, cammina per le strade, la si incontra in tram, si veste non più di manti di stelle, di riflessi di sole o di raggi di luna, ma di abiti comprati ai grandi magazzini. Acquista un volto preciso: capelli, occhi, naso, bocca diventano materia di canto. I capelli, prima prevalentemente biondi, tendono a scurirsi. Gli occhi assumono tutta una serie di gradazioni di colore: occhi blu, occhi chiari, occhi color del mare, occhi azzurri, occhi verde mar, begli occhi di cielo. Non mancano gli occhioni neri e gli occhioni viola. Più rari gli occhi di sole, gli occhi di sirena, gli occhioni di gattina. La bocca è porporina, vermiglia, corallina, profumata come un fior, è una bocca di rosa. Il naso è preferibilmente in su. Le mani di velluto e bianche come la neve. Si scoprono le gambe, la cui presenza nelle canzoni come principale stimolo erotico, sta a testimoniare i mutamenti non solo del gusto maschile ma anche della moda. Una per tutte, tralasciando volutamente la conosciutissima Ma le gambe di Bracchi-D’Anzi (1938): Gambe di seta, / che, timide, passate per la via, / oh quanta frenesia / prova chi vi guarderà… / Gambe di seta, / voi siete lievi come una carezza / mostrate con dolcezza / un poco dell’intimità… / (…) / Gambe di seta, / voi siete il più bel dono della vita, / la dolce calamita / che ogni cuore avvincerà… / Tu puoi sognar le immagini più belle, / un dolce viso pieno di

32


bontà… / Tu puoi sognar le stelle… / Ma due gambine snelle, / ti fan dimenticare ogni beltà… (Pagano-Cherubini, Gambe di seta, CDR 16, s.d., p. 12) La donna incomincia a lavorare: Piccola signorina, l’alba è spuntata / l’ora è passata, / svegliati orsù. / Che freddo stamattina, l’acqua è gelata, / sei spettinata / corri di più. / C’è il capo ufficio che aspetta e se arrivi in ritardo / senza riguardo / ti sgriderà / (…) / Sei tu impiegata semplice, carina / seria, ma sbarazzina / che piace a me. (G. D’Anzi, Ogni mattina, CDR 36, 15 maggio 1942, p. 17).”50

1.4 SPORT E SESSUALITA’ “Il Regime Fascista ha ridato all’Italia e agli italiani il piacere delle fatiche sportive, dell’aria libera, dell’acqua, del sole e della salute. I bambini di oggi sono infinitamente più sani, più belli, più intelligenti di quelli di venti anni fa. Su questa linea di condotta igienica e fisica, fra venti anni ci saranno in Italia quegli esemplari di bellezza gagliarda che erano tipici nei tempi degli antichi Romani. Fate dello sport, dalla passeggiata quotidiana nel parco cittadino, che è il mezzo più economico per fare del moto, fino all’equitazione, il più completo degli sport. Avete a vostra disposizione tutti i mezzi per esercitare i vostri muscoli ed educare il vostro fisico.”51

50

M. Addis Saba, La corporazione delle donne, ricerche e studi sui modelli femminili nel ventennio, Valsecchi, Firenze 1988 51 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 179 33


Lo sport, oltre ad avere un’importanza fondamentale nella costruzione dell’ “uomo nuovo”, era un buon metodo per sfogare gli impulsi sessuali, temprare gli spiriti e allenare le emozioni, e i galatei lo proponevano come standard di signorilità.

Durante il fascismo cambia la rilevanza data alla sessualità, ora è intesa solo come attività riproduttiva e corpo e sesso nei galatei diventano semplicemente strumenti del dovere. La volontà doveva dominare gli istinti, trionfare su di essi.

“Ora ad aiutare questo compito difficile e delicato c’è la disciplina del Regime che si occupa della gioventù in grandissima parte.

I divertimenti sportivi, le istruzioni

paramilitari, la preparazione alla lotta, la scuola al coraggio, alla lealtà e alla disciplina, hanno il grande vantaggio, oltre quello di educare il fisico degli adolescenti, d’impedire le fantasticherie dannose e inutili. Dopo una giornata di attività fisica, il sonno profondo e riparatore prenderà i vostri figli fino al mattino dopo.”52

Gli sport che consigliavano i galatei nel ventennio erano principalmente: il tennis, il golf e lo sci, ma venivano anche considerati:

“La

scherma,

il

canottaggio,

l’equitazione,

la

caccia,

l’automobilismo, il calcio, il pugilato e l’aviazione sono sport praticati in maggioranza dagli uomini, specialmente il pugilato e il calcio; ma anche se la donna dovesse appassionarsi a questi generi di sport, non ecceda mai.”53

52 53

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 185 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 182 34


Nel galateo della contessa Morozzo della Rocca oltre agli sport citati in precedenza è presente un vero e proprio manuale di pronto soccorso utile per piccoli o gravi incidenti che si possono verificare mentre si pratica l’attività sportiva:

“Quello che ogni persona deve sempre portare con sé, praticando qualunque genere di sport, è una scatoletta di medicazione e un piccolo prontuario per soccorsi d’urgenza. Eccone uno, tolto da un opuscolo del Dr. Calvetti, che ognuno può dattilografare e tenere nel portafoglio… con l’augurio di non doversene servire mai. Avvelenamenti […]; Cura da prestarsi per morsicature […]; In caso di ferite […]; In caso di scottature […]; Assideramento […]; Svenimento […]; Colpo di fulmine […]; Asfissia.”54

In qualunque genere di sport i rapporti tra uomo e donna dovevano essere sempre premurosi e cavallereschi da parte dell’uomo e molto riservati da parte della donna.

In realtà questa apparente apertura al mondo dello sport per le donne era fittizia in quanto i galatei del periodo suggeriscono alle fanciulle che il migliore sport per loro è il lavoro domestico, al massimo era concessa loro una passeggiata o un po’ di giardinaggio.

Questo viene sottolineato anche in Le donne nel regime fascista: “[…]

Inizialmente

dimostrarono

gli

entusiasti

organizzatori della

sportivi

partecipazione

fascisti

si

femminile.

Modernità significava attività sportive tanto per le donne che per

54

E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.103 35


gli uomini. La politica dello sport prevedeva dunque il coinvolgimento delle donne nei circoli ricreativi e nei gruppi giovanili fascisti. Intorno al 1930, tuttavia, di fronte alle proteste della Chiesa e alla minaccia che le donne potessero servirsi dello sport per fare un passo verso l’emancipazione, il regime fece marcia indietro, promuovendo negli anni successivi un modello di

cultura

fisica

per

le

donne

altamente

regolato

e

medicalizzato.�

36


2. FAS ET NEFAS

“Ciò che è lecito e ciò che non è lecito… Ciò che conviene e ciò che non conviene di fare, tra persone che voglion mostrarsi urbane e corrette… Nel Galateo dei tempi passati la lista del nefas era molto lunga, e comprendeva atti a cui presentemente non c’è davvero bisogno di dar la proscrizione. Non allacciarti le calze quando ti trovi in compagnia. Non fregarti i denti col tovagliolo. Non mettere il naso nel bicchiere altrui. Non guardarti nel fazzoletto dopo esserti soffiato il naso… Non costringere altrui a fiutare cosa che abbia odore nauseante… Non grattarti il capo, non metterti le mani nelle orecchie e nelle narici…

Questi e altri simili ammaestramenti rivolgeva Monsignor Della Casa a’ suoi lettori, che pur erano ornatissimi gentiluomini; noi non abbiamo più bisogno di dirlo se non ai contadini, e talvolta anch’essi, per un istintivo pudore o per una reminiscenza della scuola, sanno che certe cose non si devono fare.”55 Nonostante queste premesse nei galatei fascisti la lista dei nefas in realtà non si era accorciata di molto. Durante il ventennio gli usi e le relazioni sociali erano mutate e le nuove idee e le nuove usanze rendevano necessaria l’aggiunta di molte altre norme rivolte per esempio ai fumatori, agli 55

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 29 37


automobilisti, ai ciclisti, a coloro che interrompevano i discorsi altrui e a chi si prendeva troppa confidenza. “Sarà meglio presentare le buone regole che si vengono ad ogni circostanza e caso della vita, e venir notando secondo l’occasione quello che si deve o non si deve fare da chi ha la giusta ambizione di mostrarsi uomo cortese o almeno urbano.”56

2.1 PORTAMENTO “Il portamento esteriore dice in quale società un uomo viva ordinariamente, quale educazione abbia ricevuto, quale rispetto abbia di sé e degli altri.”57 I galatei suggerivano di avere un portamento naturale e disinvolto, invitavano a non assumere mai atteggiamenti rilassati o negligenti come le spalle curve o le braccia dondolanti mentre si cammina, ma allo stesso tempo non volevano che si fosse troppo rigidi e sforzati. Insomma tutto doveva sembrare naturale e semplice. Il volto doveva avere un’espressione serena in quanto il viso stravolto era sintomo di abitudini morali egoiste e selvatiche. Le mani non si dovevano mai tenere in tasca, nei capelli, dietro il dorso e sulla schiena, non ci si doveva agitare mentre si parlava e camminando si doveva tenere un passo regolare e leggero,

nel sedersi, soprattutto le donne,

non

dovevano mai accavallare le gambe né abbandonarsi sulla spalliera: “Una donna saggia e onesta non si mostra mai in una posizione indecorosa, perché sa che sopra il capriccio momentaneo della 56

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 31 57 E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 33 38


moda, a cui ciecamente sacrificano le teste leggere, ci sono le leggi inviolabili del pudore e del riserbo. E sa anche che la vera eleganza sta nella compostezza e nell’armonia delle attitudini e delle movenze.”58 Anche la voce aveva grande importanza nelle relazioni sociali, mai doveva essere stridula o rimbombante, al contrario era considerato un grande dono una voce né troppo alta né troppo bassa, dal tono penetrante, a tratti soave a tratti squillante. Per educare la voce venivano consigliati corsi di educazione musicale da svolgersi fin da bambini, nei primi anni di frequentazione della scuola, in modo che né i maestri, né gli allievi usassero più, come era d’abitudine fare, toni troppo alti o sgarbati. Per il riso vi erano ugualmente delle regole da rispettare: “I fanciulli hanno sempre il riso sulle labbra: benedetto privilegio dell’età! Ma l’uomo adulto e il vecchio ridano solo quando sono in lieta compagnia, a qualche spettacolo ameno, e dimenticano per qualche tempo i loro affari e i loro guai. La donna ride forse più spesso e più facilmente dell’uomo. Ma l’estetica del riso ha le sue regole molto severe. […] Se brutta è la sguaiataggine del ridere sgangherato, se fende il cervello una il riso stridulo, se è vero che il riso abbonda nella bocca degli stolti, è vero altresì, però, che spiace anche un muso duro, una continua affettazione di malcontento.”59

58

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 36 59 E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 38 39


2.2 VESTI “- Sebbene l’abito non faccia il monaco, pure la maggior parte degli uomini, i quali hanno più occhi che intelletto, dall’abito giudicano la persona -. Così Melchiorre Gioia. Il quale poi aggiunge che Enrico III, re di Francia, cacciò da sé il duca d’Epernon perché gli si era presentato senza scarpini bianchi e con l’abito non bene abbottonato. E fece bene quel re! Ora a dir vero, simili casi non accadono più, e non possono accadere, col progresso che si è fatto negli usi civili e tanto più colla severa etichetta di corte. Ma se la trasandatezza negli abiti va diventando sempre meno comune, non è a dir però che nell’odierno vestire regni generalmente l’eleganza.”60 Con l’esempio citato sopra Erminia Vescovi vuole dimostrare l’importanza dell’ordine e dell’eleganza, che non dipendeva solo dalla qualità e dal taglio della stoffa, ma dalla convenienza dell’abito all’età, alla condizione sociale e alle circostanze in cui veniva portato. La scrittrice è convinta che in quegli anni regnasse una confusione generale in merito, dovuta alla smania di vanità dilagata nel regno femminile. “Ma in questa general confusione, la donna di buon senso, e che veramente sa il rispetto che deve a sé e agli altri, non perde la bussola, e sa scegliere e adoperare quel che meglio si conviene ad ogni circostanza in cui possa trovarsi. Usando dunque la semplicità pratica negli abiti da mattina, da passeggio, da campagna, potrà fare sfoggio di ricche toilettes ai pranzi, alle serate, agli spettacoli teatrali, ai balli, ecc. E qui non avrà altro

60

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 41 40


limite a imporsi se non quello segnato naturalmente dalle sue condizioni economiche e dalle esigenze del decoro.”61 La vera signora doveva quindi seguire la moda ma non diventarne schiava. “Ora, per esempio, siamo nel regno delle gonnelle corte. E fu una benefica e salutare riforma quella che liberò le signore dal fastidio di reggersi continuamente il lembo e di tornar a casa, ciò nonostante, quasi sempre impolverate e inzaccherate. Ma dalla caviglia si andò sempre più in su a mostrar gli stinchi e i polpacci, e ora si mostrano allegramente le ginocchia. Verrà il giorno, speriamo, in cui le gonnelle torneranno a conveniente misura, ma sarà doloroso a dirsi che le donne italiane, sorde agli ammonimenti del decoro, della religione, dell’estetica, del buon senso, hanno cambiato foggia solo quando ne è venuto l’ordine da Parigi.”62 Lea Schiavi dedica un capitolo del suo Galateo Moderno all’abbigliamento

dividendolo

in:

guardaroba

femminile,

maschile e dei figli. Per quanto riguarda il guardaroba delle donne ha una visione simile alla Vescovi anche se più ottimistica, in quanto riconosceva il fatto che le donne avessero imparato ad essere sempre a posto e in ordine anche in un periodo non idilliaco dal punto di vista economico. Consigliava di acquistare pochi capi ma classici al fine di poter variare a seconda dell’occasione e dell’ora. “Scarpe, giacche, colletti, cinture, ecc., ecc., sono a disposizione per trasformare nel modo più impensato un solo abito. In questo 61

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 44 62 E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 46 41


caso basterà che la signora abbia due borsette, una nera che potrà portare con qualunque aggiunta fantasiosa faccia alla sua toeletta, e una rossa, oppure verde, a seconda del colore di moda, che romperà con molta eleganza la monotonia del suo abito nero, anche se sarà ravvivato da un colletto bianco.”63 Nei galatei si parla anche di gioielli, veri o finti che fossero, ma di cui le donne non potevano fare a meno. C’erano istruzioni sui tipi di gioielli da usare a seconda delle occasioni e degli orari in cui si indossavano: “[…] Vi sono poi pietre semipreziose come la corniola, il lapislazzulo ed altri, veramente bellissime. Ma se avete brillanti e perle, non metteteli mai prima delle cinque del pomeriggio e fino alle nove di sera siano molto limitati. Soltanto sotto le luci sfavillanti di un teatro o di un ritrovo notturno, potrete togliere dal vostro forziere i più splendidi gioielli.”64 Gli uomini non dovevano seguire i capricci della moda ma erano invitati comunque a curare il proprio guardaroba, poiché la cultura dell’abbigliamento faceva parte di quel rispetto che tutti dovevano a se stessi e ai propri simili. “Che un uomo possa avere abiti da mattina o da sera o meno, dovrà comunque cercare di non vestirsi mai da cafone. Con due soli abiti, uno di tinta neutra e uno scuro, un uomo che non sia obbligato a partecipare a cerimonie o a feste eleganti potrà sempre essere in ordine, purchè sia sempre pulito. Alternando la giacca di un vestito con i pantaloni di un altro farà, con due abiti soli, quattro diversi abbigliamenti. Più che nella donna, un uomo

63 64

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 198 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 200 42


per essere elegante non deve farsi notare, né per il colore delle sue cravatte, né per la linea dei suoi abiti.”65 La cravatta per l’uomo era importantissima, doveva essere però sempre fresca e stirata, così come il colletto della camicia che doveva essere sempre pulitissimo. Le regole per gli uomini non erano ferree come per le donne; ad esempio per l’estate erano autorizzati ad andare in giro senza la giacca, solo con la camicia, purchè avessero un bel fisico e non sudassero. Un particolare importante del mondo maschile era la barba: “Un uomo che al mattino esca di casa con il viso sbarbato fresco e pulito, ha con sé il cinquanta per cento di quel che gli occorre per raggiungere il successo. Perché tutti gli uomini non si fanno la barba tutti i giorni? Una volta presa l’abitudine non se ne può più fare a meno e diventa una funzione automatica come quella di lavarsi i denti e il viso. Non ci vogliono più di cinque minuti per questo lavoro. Ebbene, voi, che reputate questo particolare della vostra toletta noioso e inutile, pensate che un viso con la barba di due giorni non solo allontana le donne, ma anche gli uomini con i quali il possessore di quel viso è in rapporto di lavoro e di affari.”66 Per i bambini l’abbigliamento era standardizzato: vestine, pagliaccetti, sottanine, calzoncini e magliette che si adattavano ai fanciulli di tutte le condizioni sociali. A scuola indossavano tutti un grembiule uguale e durante le parate sportive o commemorative le uniformi dei balilla e delle piccole italiane, in modo che tutti fossero uguali e ordinati. E da adolescenti avevano le divise da avanguardisti e piccole italiane. Era

65 66

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 201 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 203 43


considerato importante dai galatei che i bambini e soprattutto gli adolescenti non si agghindassero come gli adulti: “Sta alla mamma non lasciare che la figliola si agghindi da signora, poiché una fanciulla che non è vestita secondo la sua età fa una pessima impressione.”67

2.3 A TAVOLA La tavola è sempre stata considerata un luogo “pericoloso” fin dai primi galatei dell’ottocento. È il luogo in cui si è più naturali e spontanei e dal modo di comportarsi si possono dedurre posizioni sociali, patrimoni, sensualità, autocontrollo. Avviene una sorta di eccesso di comunicazione e i galatei insegnano come indossare maschere e celarsi. “I padroni di casa siano naturalmente gai. Non encomino il loro cuoco, non vantino la loro cantina, ma neppure mendichino lodi con ricercate scuse. […] I padroni di casa non s’adirino, in presenza dei convitati, né col cuoco né con la servitù. Veglino acciocchè fioriscano la conversazione e il buon umore.”68 Niente doveva essere lasciato al caso: l’ambiente abbondantemente illuminato, i fiori sempre freschi e non troppo odorosi, la biancheria pulitissima possibilmente di lino chiaro, le portate e ovviamente i posti che venivano assegnati secondo regole ferree: “L’arte di disporre a tavola i convitati non è molto difficile; tuttavia, offre ad una padrona di casa l’occasione di mostrare il suo saper vivere e la sua abilità a ricevere. […] I padroni di casa stanno l’uno di fronte all’altro, e gli ospiti sono 67 68

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 204 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 86 44


distribuiti in ordine di importanza e di sesso. I due uomini di maggiore riguardo siedono rispettivamente a destra ed a sinistra della signora; generalmente vi saranno motivi evidenti per assegnare la destra, il posto di onore, all’uno piuttosto che all’altro. Ma se questi motivi non esistono – autorità politica, titolo

accademico,

titolo

onorifico,

ecc.

vale come

discriminante l’età, di fronte al cui privilegio nessuno suol protestare. Piuttosto questo potrà avvenire dall’altra parte della tavola, dove, a destra e a sinistra del padrone di casa, prendono posto le signore di maggiore importanza. Le distinzioni che valgono per gli uomini qui non agiscono, per lo più, che di riflesso. La signora X ha la precedenza sulla signora Y, perché il signor X l’avrebbe rispetto al signor Y. Comunque anche per le signore, l’età è titolo d’onore, ma, come noto, solo quando… sia evidentissima, non altrimenti. Messi così a posto i quattro ospiti principali, gli altri vanno distribuiti col criterio di intercalare uomini e signore, e tenendo presente che quanto più ci si allontana dai due poli, i padroni di casa, tanto meno importante è il posto. Ricordiamo che, ad ogni modo, l’avere un grado di parentela coi padroni di casa, o anche solo una grande intimità, giustifica sempre un trattamento più confidenziale in confronto agli altri ospiti, e quindi, se per motivi di opportunità ne sarà il caso, un posto meno onorifico di quanto di per sé comporterebbero i titoli della persona. Del resto, nel costume italiano i pranzi e le colazioni molto numerose non sono frequenti, salvo quando la famiglia riunisca già di per sé una bella tavolata; ma allora non ci sono problemi difficili da risolvere.”69 Molta importanza avevano anche gli argomenti di conversazione da trattare a tavola. Non si doveva mai parlare di politica o religione ed evitare lunghe orazioni, erano preferiti 69

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 102 45


brevi discorsi, suggeriti dalle circostanze o dal caso. Solitamente era la donna che regolava il traffico verbale, cercando di coinvolgere e di non annoiare gli invitati. Nel caso in cui gli invitati fossero molti diveniva impossibile seguire un’unica conversazione e dunque importante che ognuno avesse con il vicino argomenti da poter condividere. “Quando i commensali ad una tavola passano i cinque, i sei, non è più possibile che la conversazione resti unica, perché o uno parla e cinque stanno ad ascoltare, oppure parlano tutti insieme e ne deriva un rumore, una confusione insopportabile. Bisogna dunque vedere che ognuno possa trovare col vicino argomenti per passare piacevolmente il tempo, e cioè si trovi accanto a persone con le quali è già affiatato o possa diventarlo; e invece evitare contatti fra conoscenti che non vanno di accordo, qualunque ne sia il motivo. Su questo terreno può svilupparsi l’arte vera della padrona di casa, che, come tutte le arti, è fatta d’intuizione, di fiuto istintivo, di tatto.”70 Le vivande dovevano essere portate in tavola una dopo l’altra, la padrona doveva informarsi sui gusti dei convitati in modo da accontentarli. Quando sono in maggioranza gli invitati uomini devono prevalere vivande sostanziose, mentre in caso di signore si preferivano alimenti leggeri. Anche per i vini le signore preferivano i più dolci e leggeri mentre gli uomini vini vecchi e più forti. “I padroni di casa debbono vegliare a che nulla manchi ai loro convitati. Ma nulla di più noioso e indelicato del voler costringere qualcuno a prendere ancora d’una vivanda della quale esso non voglia più mangiare. Basterà offrire due volte di

70

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 103 46


ogni portata. La padrona di casa non deve sotto nessun pretesto abbandonare la mensa.”71 Oltre al tipo di vivande da servire i galatei parlavano anche e soprattutto di come si doveva mangiare. La contessa Morozzo della Rocca pensava che ormai a quei tempi la gente avesse già interiorizzato le norme basilari, ma preferisce ribadirle: “In quanto al come si mangia, ognuno sa che deve masticare a bocca chiusa senza far rumore, sorbire brodo e caffè senza far rumore, maneggiare le posate senza far rumore, dividere il pane colle mani e non col coltello. Ognuno sa che, se si vede presentata una forchetta o una pinza di cui ignora l’uso, deve guardare come questa viene adoperata dai padroni di casa, ma senza farlo apparire… Colla sola forchetta si mangi il risotto, i maccheroni e tutte le minestre asciutte, tutte le fritture, gli sformati, i piatti d’uova, la verdura cruda e cotta, il pesce. […] Le ostriche si mangiano, al pari dei crostacei e dei molluschi, colla forchetta da pesce; le olive colla forchettina. Lo stecchino si adoperi poco e con garbo. […] Il burro ed il formaggio molle si mangiano, dopo averne tagliato un pezzo col coltello tenuto colla destra, appoggiandolo su di un pezzo di pane, tenuto colla sinistra. […] Le frutta si sbuccino e si mangino col coltello e colla forchetta da dessert, cosa non facile, che richiede costante pratica. […] Quando la padrona di casa si alza, tutti si alzino, mettendo il tovagliolo, non spiegazzato, sulla tovaglia, e passino nel salotto a fumare e a chiacchierare.”72 Era diffusa anche la pratica di mangiare in albergo, e i galatei fascisti spiegavano come comportarsi fuori dalle mura domestiche:

71

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 86 E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.80

72

47


“Non è vietato raccomandarsi al maggiordomo o al cameriere per un buon trattamento, ma si cerchi di accontentarsi, di non urlare i propri lagni e le proprie ragioni. Si sia cortesi con tutti quelli che si incontrano sempre, ma senza legarsi con loro, e si evitino soprattutto i paragoni regionali, che troppo spesso degenerano in un campanilismo antipatico. Sì; può essere che le mozzarelle di Cardito siano migliori dello stracchino lodigiano, che le zucche di Venezia superino in bontà quelle di Napoli o che l’abitudine friulana di far colazione alle dodici piaccia più di quella meridionale, che rimanda il pasto alle quindici e… ma è bene ricordare sempre i doveri di cortesia e le parole del Duce: Si livelli e scompaja quella differenza che, spiritualmente, non esiste più, perché l’unità della patria è un fatto compiuto, irrevocabile. Vi sono solo differenze dovute a eventi storici e a fattori geografici.”73 In ogni caso, che si fosse a casa propria, di altri o in albergo vi erano delle regole comuni da rispettare: “Gli uomini di casa non portino a tavola la polvere della loro giornata di lavoro e sport, e tutti mangino e facciano servire a tavola come avessero sempre ospiti di riguardo. Quando fanno degli inviti, non riuniscano degli amici o dei conoscenti che siano poco affiatati fra di loro, oppure che siano di altra religione o opinione politica o che siano dei propagandisti e dei politicanti, e siano anche sempre pronti a stornare una discussione politica o religiosa che si potrebbe convertire in lite.”74

73

E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.85 74 E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.87 48


Nel congedarsi il signore poteva baciare la mano alla padrona di casa, e scambiarsi solo una stretta di mano con le altre signore presenti.75

2.4 PER LA STRADA “Per istrada, un uomo educato, quando accompagna una donna o quando la incontra, deve sempre cederle il passo nella parte interna del marciapiede, cioè contro la facciata delle case. I rischi che le strade presentano devono sempre essere risparmiati ad ogni donna, qualunque sia la sua condizione sociale o la sua età.”76 Anche la contessa Morozzo della Rocca parla nel suo galateo dell’importanza del posto che deve avere la signora mentre passeggia: “Se un giovin signore incontra od accompagna una signora, le ceda la destra, oppure il lato del marciapiede, oppure il posto più comodo. Se passeggia su e giù con lei, o ogni dietro-front passi dal lato sinistro, senza ostentazione e rapidamente. Adesso, eccezione fatta per gli innamorati, nessuno, specialmente, per le vie di città, prende il braccio di una signora, neppure della moglie o della sorella. È sempre però, cortese il giovin signore che dia il braccio a una signora, o a un signore anziano sofferente. Quando una signora e due o tre uomini camminano in fila, la signora sta in mezzo, alla sua destra l’uomo, dirò così, più importante e alla sua sinistra il secondo in importanza. Entrando, dalla via, in un portone, in un negozio, in un caffè, la signora entra sempre per prima. Per via un giovane sia sempre pronto ad intromettersi, se vede maltrattare una donna, un 75 76

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 117 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 184 49


bambino, un vecchio, un animale, ma si allontani se vede rissare, e chiami una guardia. Ajuti volentieri un cieco, una signora male in gambe ad attraversare una strada, senza vergognarsi e senza guardarsi in giro spavaldamente come per dire:- vedete come sono cortese!”77 Lea Schiavi compila un vero e proprio elenco delle cortesie che un uomo deve rispettare quando si trova per la strada: “-

Per istrada un uomo che saluta si toglie sempre il cappello;

- Portare soltanto la mano alla tesa del cappello, come per un saluto militare, è un atto di scortesia; - Un uomo non deve mai salutare per primo una donna. Deve attendere che un sorriso della passante lo autorizzi a farlo; - Raddoppiate la vostra discrezione se la signora è accompagnata da un uomo. Non si sa mai! ; - Se qualche volta credete che un passante vi saluti, fate il gesto di togliere il cappello, gesto che sarete sempre in tempo a giustificare accomodandovi il cappello, se non ci fosse ragione di saluto; - Non aspettate con ostentazione il saluto di un uguale o di un inferiore. Preveniteli. Ciò vi renderà molto popolare; - Quando salutate, se state fumando, toglietevi assolutamente la sigaretta di bocca; - Se per istrada vi fermate con un conoscente di classe superiore alla vostra, o con una donna, non rimettetevi il cappello finchè non ve ne sia data licenza; - Toglietevi il guanto se chi vi saluta vi porge la mano nuda. Per istrada è permesso salutarsi con i guanti ma soltanto nel caso in cui li portino entrambi i conoscenti; - Per istrada non si bacia mai la mano a una signora.”78

77

E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.112 78 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 185 50


Se per la strada si incontravano soldati, mutilati o garibaldini bisognava guardarli con ammirazione, e occorreva essere sempre pronti laddove vi fosse pericolo rendendosi utili e non intralciando il traffico. A carnevale e nelle feste in cui si era soliti fare baldoria il signore educato non doveva unirsi all’eccitazione generale e mantenere costante il suo contegno.

In Giovin Signore è presente un tratto del galateo della strada, che l’autrice dice essere proveniente dalla Svizzera:

“Automobilisti. Non fate suonare il vostro klakson ad ogni proposito. Un conducente prudente ed esperto può circolare in città, facendo un uso moderatissimo del suo apparecchio d’avviso. Per avvisare la gente non è affatto necessario dare una serie di colpi di klakson. Un colpo basta. Non dimenticate, del resto, che l’uso abusivo del vostro klakson non vi esonera affatto da responsabilità in caso di investimenti. Fate sempre meno rumore che sia possibile. Motociclisti. Evitate l’impazzare degli scoppiettii (pétarades). Verificate spesso se il vostro scappamento è conforme ai regolamenti. Per i segnali d’avviso, fate come è raccomandato agli automobilisti. Proprietari di canotti a motore. Non seccate la gente che sta sulla riva col chiasso dei vostri motori. Usate il silenziatore. Radiofili. Godete della musica che vi viene da lontano, ma non obbligate i vostri vicini che vogliono riposare ad ascoltare i concerti. Non esponete gli altoparlanti sui balconi o nei giardini. Dopo le 22, abbiate la cortesia di chiudere le vostre finestre. Dilettanti di grammofoni. Fate come i radiofili.

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Tutti quanti. Agite da persone educate, che non intendono rovinare gli orecchi e il cervello del prossimo, creando una generazione di nevrastenici.”79

Anche per andare sui tram i galatei invitavano ad essere cortesi e cavalieri, insomma signori. Anche se le donne si stavano emancipando era comunque cortese che un uomo cedesse loro il posto a sedere e non le creasse noie:

“Fino a che delle signore tendevano a mascolinizzarsi, a diventare un terzo sesso e godevano del dubbio che lasciavano (uomo o donna?) non potevano pretendere i privilegi concessi in altre epoche alle signore, e gli uomini facevano benissimo a trattarle… da eguali e da camerati. Adesso però, […] moda e modi vanno raddrizzandosi, e la cortesia italiana e fascista, tornerà ad essere un dovere per la gioventù educata. Così ogni uomo cederà il suo posto, in tram, a dei vecchi di qualunque ceto, a una signora, a una donna che aspetti un figliolo, o che ne porti uno in collo. Un giovane educato nelle cosiddette ore di punta, che affollano tram e autobus, può cercare e trovare modo di non dar noja a nessuna signora e di evitarne anche l’apparenza; di scusarsi se, in una brusca fermata, succede un pigia-pigia (di cui non è responsabile), e, se ne è richiesto, deve aiutare qualche signora a scendere o a salire, allontanandosi poi con un cortese saluto impersonale, con un cortese prego, dopo aver fatto il piccolo favore.”80

79

E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.114 80 E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.112 52


2.5 IN VIAGGIO Con l’istituzione del sabato fascista era offerta ai lavoratori la possibilità di godersi ogni settimana molte ore di riposo e, per i più fortunati, di vacanza all’aria aperta.

“Coloro che posseggono una casetta, e là, in comitiva allegra, vanno a passare il tempo libero dal sabato pomeriggio alla domenica sera. Si capisce che in simili case non ci può essere che pochissimo comfort e quasi mai personale di servizio; così l’abitudine simpatica che ognuno porti il contributo per il pranzo e la colazione evita molte seccature. Ognuno è il cuoco e il cameriere di se stesso. La padrona di casa sarà aiutata dalle amiche e dagli amici a sbrigare quel poco di faccende necessarie. Queste gite, se fatte in comitiva affiatata, sono delle più divertenti. Chi non avesse la casetta, e neppure amici che offrano ospitalità, potrà divertirsi lo stesso scegliendo un punto qualunque collegato alle grandi città da treni e automezzi; e, riunito un gruppo di amici, andrà a trascorrervi le ore libere. A volte c’è chi s’incarica di fare le spese generali e, al ritorno in città, suddividerle in parti uguali.”81

La suddetta visione è di Lea Schiavi, il suo infatti era un galateo più popolare rispetto a quello di Irene Brin che nel suo capitolo dedicato ai viaggi parlava di lussuosi viaggi e vacanze: “Si viaggiò molto tra il 1920 ed il 1940. Anzi a chi guardi solamente i libri mondani e le riviste di moda, può sembrare che non si sia fatto assolutamente altro. Le donne si affacciavano, falsamente penose, alle sbarre d’ottone dei treni di lusso, guardando, ancora falsamente, nel vuoto. […] Le valigie dovevano 81

essere

costellate

di

etichette,

possibilmente

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 166 53


stravaganti. Singapore, Miami, Taormina, e come base Roma e Parigi, venivano considerate ottime: esisteva una vera borsa delle etichette, in certi negozietti di Parigi, dove si poteva comprare, a prezzo proporzionato, qualunque cartoncino ornato di palme o di pagode. Sulle loro macchine economiche, sulle Balilla, sulle Peugeot, sulle vecchie Ford, i borghesi di modeste risorse cercavano di raggiungere città comunque lontane. L’abitudine della villeggiatura, dei bagni, era venuta sparendo, nonostante il rammarico degli anziani: le madri, le nonne, che durante l’anno intero si rallegravano per il mese estivo da trascorrere in lunghe conversazioni ed in pigre passeggiate, erano costrette, ora, a restare in città, mentre i figlioli cercavano di accumulare il massimo numero di chilometri, inondando di cartoline gli amici. Non ci furono mai scambi così attivi di corrispondenza futile.”82 La Brin parla inoltre di viaggi transatlantici, crociere lunghissime, inverni trascorsi a St. Moritz nel lusso e estati in Costa Azzurra. Ovviamente questi racconti appartenevano all’alta borghesia italiana e non alla classe operaia o alla piccola borghesia che andava formandosi. In Galateo Moderno vengono fornite norme per tutti i tipi di viaggi: in treno, in automobile, in piroscafo e in aeroplano. Dei viaggi in treno ho parlato nel capitolo precedente. Dunque, non mi dilungo se non per accennare un piccolo paragrafo che tratta del modo di conversare all’interno di questo mezzo: “Chi non vuole chiacchierare in treno, e desidera evitare compagni chiaccheroni, si munisca di libri e giornali di modo che al primo attacco potrà trincerarsi dietro quel baluardo. Tanto è antipatico il viaggiatore attaccabottoni, altrettanto è poco 82

I. Brin, Usi e costumi 1920-1940, cit., p.194 54


simpatico il viaggiatore musone e restio. L’educazione vuole che, dovunque noi siamo costretti per un periodo tempo a fare vita in comune, dividiamo agi e disagi, con i nostri simili; la gentilezza ne governi l’andamento. La discrezione e il buon gusto devono essere di guida in questi estemporanei rapporti con il nostro prossimo.”83 I viaggi in piroscafo: “In piroscafo, le classi equivalgono alle categorie degli alberghi, poiché la vita a bordo, di qualunque durata sia, somiglia a quella di un albergo; anzi i passeggeri sono obbligati ad un contatto maggiore con i propri compagni di viaggio e quindi si stabilisce fra loro una relazione effimera. In nessun luogo come a bordo l’educazione e la correttezza hanno ragione di esistere. […] non adoperate la poltrona a sdraio o la coperta che appartenga ad altri. Non togliete dal salone di lettura i libri o i giornali per portarveli nella vostra cabina. Non fumate nella sala da pranzo; e se soffrite di mal di mare, cercate di fare in modo che nessuno se ne accorga. […] Durante la giornata trascorsa a passeggiare, a leggere, a pescare, a giocare o a fare i bagni in piscina, porterete i soliti vestiti bianchi sportivi; per l’ora del pranzo indosserete abiti da sera. Normalmente a bordo dopo pranzo si balla. E siccome tutto si svolge esattamente come se foste in villeggiatura, così, quando sbarcherete, potrete dimenticarvi dei vostri compagni di viaggio, senza per questo ledere le leggi della creanza.”84 Per i viaggi in aeroplano le norme erano severe: “Nel velivolo, più che in ogni altro mezzo di comunicazione, bisogna sapersi dominare e avere il sentimento di comunità

83 84

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 172 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 175 55


poiché tutti i presenti sono uniti in una sorte comune per il tempo del tragitto. […] Se vi dovete muovere e passare da uno scompartimento

all’altro,

tenete

presente

l’instabilità

dell’apparecchio e camminate con maggior cautela che se foste in treno. Non precipitatevi simultaneamente in dieci da una parte per vedere un panorama, poiché l’equilibrio dell’apparecchio potrebbe risentirne. Non sforzatevi a parlare con il vostro vicino; non udrebbe nulla. Non seccate il radiotelegrafista con continue domande; ricordate che il personale non deve assolutamente essere distratto. Insomma, se in treno dovete essere educati e cauti in un modo, in piroscafo e in automobile in un altro, in velivolo

unite

alle

regole

dell’educazione

quelle

della

prudenza.”85

2.6 LO SNOBISMO Snobismo divenne nel secondo dopoguerra sinonimo di arricchito, pescecane, arrogante, ignorante e presuntuoso. “Lo snobismo è quella cosa per cui un giovane trova volgare chiamarsi Giovanni e chiamare Giovanna o Caterina la fidanzata; così si firma John e si fa chiamare Gion, scrive alla fidanzata care Jane o cara Ketty e le chiama Gen o Chitti. Lo snobismo è quella cosa per cui un tale non va ad ascoltare una predica, se il predicatore non è di moda. Lo snobismo è quella cosa per cui uno, che abbia bisogno di un mese di cura marina per la propria salute e non abbia mezzi per soggiornare un mese in un palace hotel, ci sta solo dieci giorni e passa gli altri in un oscuro mezzanino a finestre chiuse, per far credere che si trova ancora in una villeggiatura di lusso. 85

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 177 56


È quella cosa per cui un industriale non risponde agli auguri di un modesto operaio e si affretta a rispondere agli auguri del nobile spiantato che glieli ha mandati per poi domandargli cento lire; per cui uno che si fa portare da un primo amico che vada a Parigi trenta cartoline illustrate, da un secondo trenta francobolli, e che fa impostare da un terzo, per farsi credere un elegante viaggiatore in lidi lontani; per cui uno ha sonno alle 22, ma si trascina fino a mezzanotte, perché non è elegante coricarsi presto; per cui un padre di famiglia resta in un quartierino antigienico, dove i suoi bambini intristiscono, pur di potere buttare là nel discorso le parole:- la livrea del mio portinaio, senza precisare che sta in un sesto piano verso il cortile; per cui non può giocare al tennis con racchetta italiana e non si diverte, in montagna, se i suoi sky non sono norvegesi autentici. Lo snobismo è quella cosa per cui un tale che viaggia in terza, fa, carico di valigie, un lungo tragitto nel treno per scendere dallo sportello di prima; per cui uno disdegna una ragazza dabbene, bella e ricca, perché non ha i cosiddetti quattro quarti di nobiltà (i quattro nonni paterni e materni di nascita nobile); per cui uno patisce il freddo, ma non indossa la giacca col collo di pelo nero, solo perché il vicino gli ha detto che il pelo nero è passato di moda; per cui, se trova un modesto compagno d’università in una strada recondita, lo ferma e lo abbraccia, e se lo trova al Corso, lo degna appena di un mezzo saluto; per cui un padre negoziante mette le figliole solo in un collegio dove vi siano delle ragazze nobili; per cui uno va ad ascoltare solo la Messa delle tredici, perché è la più elegante; per cui finge di non capire il barbiere che gli parla italiano, e risponde in francese. […] La loro presunzione poteva stare a pari solamente colla loro ignoranza. Perché avevano denaro e avevano potuto empirsi la

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bocca di denti d’oro, credettero che la loro ricca bocca potesse aprirsi a vari idiomi, anche se finora era abituata al solo volgare dialetto. Dopo venti lezioni di francese decisero d’andarsi a perfezionare a Parigi; là grazie alla radice comune delle due lingue e alla perspicacia dei parigini, furono presso a poco capiti, ciò che li elevò talmente nella loro considerazione da farli salire gli scaloni di personaggi importanti per proporre loro mirabolanti affari.[…] Spassosissime erano quelle madri che, parlando del loro erede, raccontavano:- mio figlio monta tre cavalli; come potesse montarli tutti assieme; che non sapevano parlare in buon italiano, ma sapevano l’intera genealogia di chi viveva in albergo con loro; spassosissimi erano quei giovincelli che scendevano a colazione collo smoking, o che avevano inventato degli smoking, multicolori, o che accendevano la sigaretta con biglietti da venticinque lire, e che poi, per una beneficienza non strombazzata, levavano dal loro portamonete di cuoio di Russia, colle cifre d’oro massiccio,… una lira.”86

86

E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.140 58


3. FIDANZAMENTO E MATRIMONIO “Quando un giovane è giunto all’età del matrimonio, quando s’è formato uno stato che gli permetta di guardar senza timore l’avvenire, quando sente in buona coscienza di poter dare alla sua futura compagna tutta quella felicità che dipende da lui, allora comincia a pensar sul serio all’amore e al matrimonio. E se tra le fanciulle ch’egli conosce c’è quella che gli sembra corrispondere, per l’età, per i gusti, per l’educazione, per le condizioni economiche, a quanto egli ragionevolmente desidera, allora il giovane serio non perde tempo e avanza la sua brava domanda. Generalmente però, non va lui in persona. Se ha il padre, e tanto più s’è persona autorevole, l’incarico spetta a lui: altrimenti alla madre o al più prossimo parente. E la domanda va fatta al padre della fanciulla, o a chi ne fa le veci, oppure al tutore. Solamente se l’aspirante fosse uomo ormai maturo, potrà andare direttamente a sbrigar da sé questo delicatissimo interesse. È di prammatica, per tale visita, un abito accuratissimo e di cerimonia. I genitori, generalmente, non sono colti alla sprovvista. Tuttavia, pur mostrando di gradire l’onorevole richiesta, si riservano di dare una risposta decisiva fra qualche giorno, e dichiarano di voler interpellare la fanciulla. Essa, naturalmente, non assiste al colloquio: deve ignorarlo… o fingere d’ignorarlo. Eh, si, probabilmente è nella stanza vicina, col cuore che le fa un gran tic tac… Il suo consenso, in generale, è ben presto ottenuto. Ma ci possono davvero esser dei casi in cui la principale interessata ignora il passo di cui è l’oggetto: ci può essere anche il caso, che pur sapendolo, sia affatto contrario a’ suoi desideri, e allora è suo diritto rispondere con un fermo e

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deciso e motivato rifiuto ai genitori, che lo trasmetteranno colla massima cortesia al non gradito pretendente. Dico è suo diritto perché in un caso grave come questo, i genitori possono bensì porger consigli, fare osservazioni, muover forse qualche rimostranza, ma non mai imporre la loro volontà. Siamo ben lontani dai tempi in cui le fanciulle venivano patteggiate nei colloqui

dei

padri,

che

non

si

sognavan

neppure

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d’interpellarle.[…]”

Una volta incontrata la famiglia:

“Appena accettato come futuro sposo, il giovane fa la sua prima visita da fidanzato. Sarà in abito da società, e si farà precedere da un bel mazzo di fiori bianchi. La sposina, vestita elegantemente di chiaro (ma non con troppo sfarzo) circondata dai parenti e dagli amici intimi che sono stati invitati per farle festa e conoscere lo sposo, gli stenderà la mano, cercando di frenare il soverchio della sua commozione, e di mostrarsi serena, disinvolta, schietta, nella sua letizia. Da quel giorno, egli può frequentar la casa, nelle ore e nei giorni che saranno fissati di comune accordo. La convenienza non permette che i due giovani rimangano soli nei loro colloqui, e la mamma o chi per lei non può sempre essere a loro disposizione: è bene dunque che le visite sian fatte con discrezione e quando meglio convenga alla famiglia. È permesso, però, al giovane dar una rapida capatina, anche ogni giorno, se vuole, e informarsi come sta la sua diletta. È anche uso, s’egli può, che ogni giorno le faccia un omaggio di fiori. Quand’egli poi si presenta in visita, può portar dolci, fiori, o qualche ninnolo: non troppo presto gioielli o doni molto preziosi. Non tarderà però molto a

87

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 151 60


consegnar l’anello di promessa, che sarà più o meno ricco secondo la sua condizione, ma nel quale cercherà di indovinare il gusto di lei. Una semplice gemma bene incastonata di un leggero cerchio è meglio adatta di ogni complicato lavoro d’oreficeria. C’è chi diffida dalle perle perché significan lacrime si dice in Germania, c’è chi guarda con orrore l’opale, come portator di disgrazia. Avviso a chi credesse di tenerne conto. La sposa potrà ricambiare con un regalo analogo: una spilla, un paio di gemelli ecc. non mai con un altro anello.

Usano in certi luoghi, partecipar il fidanzamento con annunci a stampa. Ognuno può far come crede, ma a mio parere, questo passo, non necessario affatto, può essere causa di dolore e vergogna maggiore nel caso che il matrimonio non accadesse. Si annuncia bensì agli amici e parenti con lettera o a voce, secondo i casi, e spesso l’annunzio ufficiale si dà in un trattenimento serale, o a un pranzo, unendo questa cerimonia colla consegna dall’anello. E comincia allora pei due giovani un periodo lieto e solenne, come auspicio della futura felicità; ma nel quale hanno nuovi doveri di convenienza a cui non possono venir meno.”88

“Generalmente i

fidanzati sono smaniosi di libertà e

indipendenza, e mal sopportano anche la poca sorveglianza che oggi si fa di loro. Secondo il loro concetto, è umiliante che qualcuno dei familiari li sorvegli, ma a questo proposito, come in altri moltissimi casi che regolano la nostra esistenza, si tratta di mantenere quelle forme esteriori che non sono soltanto ipocrite, ma che fanno parte dell’educazione. Sappiamo, conosciamo a memoria le solite frasi: se volessimo fare qualcosa di male, lo faremmo anche con tutta questa sorveglianza…;

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E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 152 61


oppure: è una mancanza di stima che ci offende. Niente di tutto questo: c’è una massima che in se stessa può sembrare cinica ma che invece è l’essenza stessa delle norme di civiltà. Eccola: per la gente ha importanza quello che sembra, non quello che è nella realtà. E la gente ha sempre ragione. Salvare la forma non vuol dire essere ipocriti, ma è semplicemente diplomatico.”89

3.1 QUESTIONE FINANZIARIA Anche nel colloquio iniziale tra i genitori dei futuri sposi ci doveva essere massima chiarezza e serietà per quanto riguardava la questione finanziaria, in modo che prima di dare o rifiutare il consenso le parti fossero in possesso di tutti gli elementi da valutare. “Non creda, giovin signore, che chi scrive qui per lei, sia vecchio stile o, come dicono i francesi, collet montant. Io anzi, trovo che da noi, della generazione anteriore alla vostra, avevamo

molto

sentimento

con

una

sfumatura

di

sentimentalismo. Al giorno d’oggi, il sentimentalismo non sarebbe più una forza e, quindi, quello che desideriamo per voi, è il sentimento, è il buon cuore, e non l’aridità e l’egoismo, non la serietà precoce e il calcolo, e non la musoneria. Né pretendiamo che voi passiate sopra alla questione finanziaria quando vorrete sposare. Anzi! Quando manca il denaro, l’amore umano (che ben di rado è sublime), rischia di diventare acido! Anzi, ora, cogli stipendi ridotti, colle rendite di tutti i generi falcidiate, sarebbe imprudente per sé, per la moglie, per i futuri figlioli, chi agisse senza una sicura base finanziaria. D’altronde, se il denaro, oggi, è molto, moltissimo, non è tutto, e la vita non consiste nel buttare il denaro; spesso chi credeva di trovare la 89

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 28 62


felicità nella dote della moglie, si trova sperduto, parassita, odioso a sé stesso, se ha sangue nelle vene. Dunque? … Dunque un giovane studii con lena, raggiunga una posizione e vi si consolidi, prima di pensare alle nozze. Una ragazza pensi a diventare una brava massaja, a saper fare da sé dei vestitini che sembrano dipinti, abbia una via dignitosa di lavoro e di guadagno e abbia poche pretese di lusso, di automobile, di villeggiature di moda, di pigiama da duemila lire. Entrambi abbiano un certo spirito di sacrificio e fiducia in Dio, che benedice e aiuta il sano e forte amore, le belle famiglie, la vita di lavoro e di affetti. Ma, purtroppo, tutti oggi respirano in una tale atmosfera di lusso e di piaceri, che non sanno che farsene di un’esistenza modesta, ristretta e borghese! … L’uomo pensa che, col suo stipendio e con una piccola rendita, può fare vita da signore e pretende una milionaria per poter seguitare quell’esistenza in due; la ragazza pensa che, colla sua occupazione e con una piccola rendita, può vestir bene e divertirsi, e pretende un milionario per seguitare una piacevole vita in due tutto sarebbe, quindi, risolto. Il guajo è che, oggi, la razza dei milionari e delle milionarie pare sulla via di estinguersi… Ci fu un momento, nell’immediato dopo-guerra, in cui le milionarie non mancavano; erano figliole di fornitori militari o d’industriali spesso poco scrupolosi. Ci furono, allora, decine di matrimoni fra di esse e quel tipo di nobili autentici, ma avariatissimi, che ci sono sempre sul mercato matrimoniale equivoco… nozze che ebbero l’amaro risultato di buttare il discredito su nomi che erano portati anche da molta gente veramente dabbene, e che portò ad una generazione con tutti i vizii dei padri e la ridicola boria arcivolgare delle madri. Eppure ci furono delle madri che ebbero il coraggio d’incoraggiare questi bei matrimoni! No; la prima condizione di un buon

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matrimonio è la parità di nascita e di educazione e tutto un insieme di equilibrio. Oggi, in cui abbiamo visto il Duce emanare personalmente un decreto che impone oltre che per gli ufficiali, anche per i diplomatici l’obbligo del Regio assentimento alle nozze e impone ai diplomatici mogli italiane, vediamo sanzionato un principio pel quale un uomo deve avere una moglie che faccia onore a lui e al suo Paese e che sia anch’ella nel suo campo familiare, e in quello non strettamente familiare, una forza e un esempio.”90

3.2 CORREDO “Durante il fidanzamento (che non dovrebbe mai esser meno di tre mesi o più di un anno, salvo specialissime circostanze) si procede in casa della sposa all’allestimento del corredo. Questo dev’essere adatto alla condizione della sposa, e alla vita che dovrà menare: si preferisca roba solida, di qualità fine e ben lavorata, a quel subisso di trine, di veli, di mussoline e di sete trasparenti che si è cercato di mettere in moda. E una eleganza frivola, costosa, e niente affatto pratica né conveniente. Una volta, la giovinetta cominciava ben presto a prepararsi il suo corredo, e se lo trovava pronto al momento delle nozze: ora si ordina, si compra, si commette di qua e di là, e talvolta con troppa fretta. Il corredo personale della sposa vien portato nella futura casa nei giorni imminenti a quello dello sposalizio, e dovrebbe esser tutto pronto e cifrato già colle sue iniziali. C’è poi il corredo della casa, che suol essere fornito dallo sposo o dalla sposa, secondo l’usanza del paese o secondo i comuni

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E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.177 64


accordi: questo deve portar le iniziali del marito ed esser pure composto di roba solida più che vistosa. S’intende però che la pompa delle tovaglie di Fiandra (benchè ora non siano più in gran uso) e dei ricchi lenzuoli di lino ricamato non è vietata a chi può procurarsela.”91

La contessa Morozzo della Rocca nel suo Galateo espone un vero e proprio elenco di ciò che il Giovin Signore doveva avere nel proprio corredo:

“Camicie 72; mutande (con orli di bei ricami) 48; calze diverse dozzine 12; calze di seta glauca, variopinta dozzine 2; cappelli 8; abiti completi 8; abiti da caccia 5; fracs 3; lodens 4; chemises dai timidi colori evanescenti 3; pellicce morbide 2; guanti jacintei 48; guanti villosi paja 4; foulards dipinti con asfodeli e cardi 3; bastoni 12; ombrelli violetti per pioggia, 8; pel sole (verdi) 10; fazzoletti tenui 20 dozzine; cravatte 50; gilets 20; stivali di pelle 14; per caccia, 4;

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E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 158 65


pantofole da casa silenziose, trepide un poco, paja 4.”92

Nel corredo maschile, come in quello femminile erano di fondamentale importanza i gioielli, con la differenza che le donne

potevano

averne

diversi

da

portare

anche

contemporaneamente, mentre per gli uomini:

“[…] è bene ricordare che è da arricchiti lo sfoggiarne molti. Un ragazzo, fino ai vent’anni non ne porti, e poi porti soltanto, alla mano destra, un anello collo stemma di casa, se lo possiede, o un altro bello e artistico, ma non troppo vistoso, come sarebbe un brillante. Dopo sposato porti, sopra l’anello nuziale, un altro solo; l’ideale sarebbe un unico brillante, ma non troppo vistoso.”93

Per gli ufficiali dell’Esercito invece:

“[…] anche se, dopo la guerra, la divisa grigio verde va per servizio e per parata. Ma bisogna farne confezionare una speciale con i pantaloni lunghi, che s’adopera solo per sera, o per ricevimenti dopo le 17 e parecchie con i pantaloni corti che s’adoperano cogli stivaloni. Ormai lo spencer s’adopera in tutte le armi, dai sottotenenti in su; ogni arma ha, oltre la mantellina grigia, anche un’altra da adoperare fuori servizio: turchino scuro per la fanteria, azzurra per le armi a cavallo, e un cappello grigio verde. Il tutto corredato da molti accessori. Il nuovo regolamento per l’uniforme, uscito durante la stampa di questo volume, stabilisce che vi sia la Grande uniforme militare e la Grande uniforme di cerimonia. La prima è eguale all’attuale 92

E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.194 93 E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.202 66


uniforme, e s’indossa nelle cerimonie di carattere militare e nelle riviste; colla seconda si portano i pantaloni lunghi, la giubba con i nastrini delle decorazioni, spalline, sciarpa e berretto. Essa va indossata quando i borghesi indossano l’abito da società, cioè per visite a autorità politiche o civili, per cerimonie nuziali, per funzioni, per rappresentanze, per serate, per balli, ecc. Morale: quanto denaro serve oggi per mangiare tre volte al giorno, per avere un tetto… e per prender moglie! ...”94

3.3 LA FUTURA CASA I due futuri sposi dovevano iniziare subito a pensare alla loro futura casa, a trovarla, ad ammobiliarla. In alcune parti d’Italia era lo sposo a dover pensare a tutto, mentre in altri luoghi ci si pensava assieme. Se poi uno dei due fidanzati avesse la possibilità economica poteva occuparsene di persona, senza badare alle usanze locali. L’importante era sempre fare ciò che le proprie possibilità permettevano, senza ostentare beni non propri. “In Signorilità, rivolgendomi alla fidanzata, le consigliavo di far mettere, se credeva, nel contratto nuziale un articolo comprovante la sua proprietà di tovaglie e di lenzuola, ma di non umiliare giorno e notte il marito, costringendolo ad asciugarsi le labbra con un tovagliolo colla cifra di sua moglie, o di posare la testa su di una federa idem idem. E, pure là, io consigliavo al fidanzato, giacchè a noi donne piace la biancheria

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E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.203 67


scelta da noi, di consegnare un assegno alla sua futura, per una provvista necessaria e sufficiente e di suo gusto.”95 Per quanto riguarda l’arredamento la Contessa Morozzo della Rocca suggeriva: “[…] Se gli sposi hanno tempo, gusto, passione e abilità, possono creare un insieme artistico e non banale, con poca spesa. Se hanno qualche bel mobile o se hanno una preferenza per uno stile, cerchino di intonarvi tutta la casa, ma ci pensino bene; per esempio il 400 o il 500 stonerebbe molto in un villino di architettura razionale. Per le solite case e per i soliti villini o per gli appartamenti di una villa, può sempre andare il 700, l’Impero, il Luigi Filippo; per quelle case di moda, le razionali, vanno mobili pure razionali che, però, non debbono essere disegnati e fatti da piccoli falegnami, col legno di vecchie casse. L’antipatia che godono, è dovuta al fatto di vederne troppe e troppo volgari imitazioni. […] Preferendo uno stile del passato, i fidanzati cerchino prima di tutto una bella stanza nuziale, che deve servire per tutta la vita, ma l’acquistino da una buona pulita famiglia, o da un ottimo antiquario o facciano fare una bella copia da un ottimo falegname. Per motivi d’igiene, non prendano mai quello che potrebbero trovare da un rigattiere, così pure rifiutino coperte, tende, sofà anche di prezioso broccato, ma che non vengano direttamente dalla fabbrica. In Italia possediamo a decine di fabbriche di stoffa da parati e da mobili con disegni artistici, materiale di prima scelta e, quindi, garanzia di durata. Se il fidanzato avesse una bella stanza da scapolo antica e autentica, oppure molto bella, anche se moderna, potrà ridurla a stanza nuziale, completandola con qualche altro mobile bene imitato o pazientemente cercato, come dissi sopra, facendo

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E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.204 68


fare un letto sul modello del suo lettino. Anche un letto d’ottone o un sommier, coll’intelajatura di legno, nello stesso stile dei mobili, può andare. Egli, poi, usufruisca sempre della sua stanza, trovandole posto nella camera accanto a quella nuziale, dove potrà essere preziosa in caso di una malattia o di un lieto evento, e dove potrà anche servire per ospiti, dato che nulla è meno simpatico delle gelide case, dove non si trattiene mai un amico a colazione o a dormire. Per bene ammobiliare la casa tutta, è bene intonarla allo stesso stile o, almeno, ad uno stile che non strida troppo col primo. Non danno nessuna impressione d’intimità quelle case dove, accanto all’anticamera del 400, si trova l’odioso liberty in salotto, lo stile bolognese in camera da pranzo, quello Regina Anna in biblioteca, e quello futurista nel fumoir. Anche le pareti abbiano la stessa tinta unita, tinta calda, ma non sfacciata. Il parato che, prima, per motivi igienici, non si adoperava più, adesso che ogni famiglia possiede l’aspiratore elettrico, è tornato di moda, e costa meno della carta da parato, specie se di provenienza estera. Quando i parenti chiederanno ai fidanzati qualche loro preferenza per i doni di nozze, essi dicano quale stile hanno scelto per la loro casa futura e avranno in dono tappeti, lampadarii, soprammobili intonati e si creeranno un ambiente caldo e simpatico. Molto spesso anche l’argenteria, la cristalleria, le porcellane sono doni di nozze; l’argenteria abbia sempre la cifra del marito, che, anche qui, se sposa una nobile, non si faccia canzonare, adoperando vasellame, argenteria ecc… colla corona di lei.”96 Lea Schiavi nel suo Galateo Moderno sostiene che il primo requisito di una casa elegante debba essere innanzitutto l’igiene.

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E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.206 69


Bisognava rendere pratici e funzionali gli ambienti, dotarli di grandi finestre che dovevano essere aperte in ogni stagione per il ricambio dell’aria e possedere gli impianti di acqua calda e fredda ormai indispensabili in ogni abitazione. Compie un percorso di analisi di ogni camera della casa in modo da consigliare al meglio i futuri sposi. Il salotto: “Via, via tutti i tendaggi di pizzo e di velluto! Via gli innumerevoli gingilli e porcellane traforate! Pochissimi quadri, e i fiori dovreste sempre tenerli sui davanzali delle finestre. E poi fate a meno di tutti quei centri e centrini, sparsi sui mobili a caso. Anche per i mobili siate molto parche. Due o tre pezzi di valore, senza intarsi o sculture, daranno, disposti con gusto, un’idea immediata della padrona di casa. Le sedie e le poltrone devono essere solide, confortevoli e comodissime. Non mettete nel vostro salotto quei mobiletti che sembrano dei trespoli e al minimo spostamento d’aria cadono a terra. I vostri amici, al pensiero di quei mobili, staranno lontani da casa vostra.”97 La sala da pranzo: “La sala da pranzo deve avere essenzialmente un’aria di nitore e freschezza. Se non possedete un salone a volta, fate a meno dei mobili massicci e delle grandi credenze con cristalleria. Togliete quegli enormi specchi dorati in cui si riflettono fissamente le luci dei lumi infissi alle pareti. Se volete decorare di piatti le pareti, non metteteli direttamente contro il muro, ma disponete qua e là delle lunghe mensole che li sosterranno. Siccome la funzione del piatto è quella di mangiarvi dentro, anche i piatti più preziosi devono avere l’impressione di venire adoperati. Senza ricorrere a grandi spese, arrederete simpaticamente una 97

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 194 70


sala da pranzo mettendovi contro una parete, un lungo tavolo refettorio e delle panche. La credenza, che deve poter servire anche da tavola-servizio, dovrebbe avere un piano ribaltabile, su cui appoggerete gli accessori durante l’ora del pranzo. Un mobile bar, oppure una madia, completerà l’arredamento. Più la vostra camera da pranzo sarà semplice e rustica, più simpatico sarà l’ambiente.”98 La camera da letto: “Gli armadi dovrebbero essere aboliti dalla camera da letto, come pure i comodini da notte. Un tempo, quando i gabinetti di toletta non esistevano, si poteva ammettere l’uso di un certo vaso, oggi assolutamente no. Il letto, anche se per una persona sola, deve essere ampio, comodo, confortevole. Un paio di poltrone, un tavolino, un inginocchiatoio, un cassettone di pregio, un grande specchio, e due o tre quadri formeranno l’arredamento. Negli appartamenti moderni, spesso la camera da letto serve di giorno da salotto o da studio. Se potete farne a meno sarà preferibile. Nella stanza da letto si deve soltanto dormire.”99 Lo studio: “La prima cosa in uno studio è il tavolo. Dovrà essere grande, solido e robusto. Che piacere doversi appoggiare per scrivere sopra un tavolo che traballa! Un tavolino, due poltrone, che vi permetteranno di fare la vostra siesta, di prendere il caffè o leggere un buon libro completeranno l’arredamento. Alle pareti scaffali pieni di libri.”100 Il gabinetto da toletta:

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L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 195 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 195 100 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 196 99

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“Generalmente il gabinetto da toletta è anche lo spogliatoio. Se è grande abbastanza, mettetevi un armadio in cui riporrete i mille accessori necessari alla vostra toletta. Sarà di mattonelle bianche lavabili e sempre lucide come uno specchio.”101 La cucina: “Le pittoresche cucine di un tempo, con le pareti decorate di rami lucenti, con il camino su cui girava lo spiedo, purtroppo non sono ormai che un quadretto del genere. Dico purtroppo perché di tutto quanto concerneva la casa di un tempo, quelle belle cucine davano proprio l’idea del focolare. Oggi, la cucina moderna è tutta un flesso di bianchi e di smalti. Dal fornello all’acquaio, dalla credenza al frigorifero, tutto è bianco, nitido e lucente. Anche le case popolari hanno i cucinini ricoperti di mattonelle di smalto.”102

3.4 IL GRAN GIORNO Prima del gran giorno occorreva sbrigare delle pratiche burocratiche, e scegliere accuratamente i testimoni. In Giovinsignore si spiega il modo corretto per farlo. “Avvicinandosi il gran giorno, i fidanzati vadano dal parroco, da cui dipende la zona dove abita la ragazza, per sapere quali documenti debbono presentare, e gli ufficiali e i diplomatici ricordino che debbono avere anche l’assentimento regio e governativo. Dopo il Concordato, le pratiche per le nozze si debbono iniziare in parrocchia e proseguire in Municipio. Alle due richieste, religiosa e civile, debbono assistere due testimoni residenti nel comune. La scelta dei testimoni alle nozze e,

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L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 197 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 197 72


nell’Italia meridionale, del compare d’anello, richiede molto tatto, perché oggi la questione economica ha una grande importanza, e un regalo e l’anello costituiscono una forte spesa, che non tutti possono affrontare senza grave sacrificio. È ben poco conveniente andare da uno e dirgli:- Senti fammi da testimonio o da compare, ma ricordati di non farmi il regalo. È anzi, una forma di ipocrisia, perché si sa che il malcapitato non può esimersene. È meglio aspettare chi si offre, o chiederlo ad un parente.”103 La mattina del gran giorno invece: “[…] Lo sposo faccia arrivare di buon’ora alla signorina un mazzo di fiori: non quello colossale di trent’anni fa, che seguiva gli sposi in treno e in albergo a denunciare poco simpaticamente la loro qualità, ma pochi lillà o pochi fiori fini candidi, legati con un nastro. Vi unisca due parole particolarmente affettuose. Poi faccia la più accurata toeletta e si presenti in casa di lei, dove avrà il privilegio di vedere la fidanzata per primo, quando ella avrà indossato il candido velo. Se la madre di lui possiede un velo di famiglia, che abbia servito a più generazioni si spose, egli lo avrà donato alla fidanzata, anche se è ingiallito, e lo avrà visto accogliere con gioia. Il mazzo di fiori del compare, che era una volta di prammatica, oggi o non si dona più o è invece mutato in un cestino di fiori bianchi, per evitare alla sposa la scelta fra i due mazzi o il portarli tutti due in mano… Quegli invitati che non prenderanno poi parte alla colazione o al rinfresco, vanno in chiesa per conto loro, senza nessun obbligo speciale di vestiario; quelli che, invece, resteranno poi cogli sposi, sono mandati a prendere, quando non posseggano automobile, dalla famiglia della sposa e condotti in chiesa. Se si

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E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.207 73


tratta di persone di riguardo, sia un parente della sposa a recarsi da loro. I testimoni e i parenti dello sposo possono essere condotti in casa della sposa, oppure in chiesa, dove aspetteranno sull’uscio il corteo nuziale. Nel primo caso, le automobili dovranno essere parecchie; nella prima salirà il padre di lei colla sposa e con i paggetti che sosterranno lo strascico; nella seconda, le due madri, quella di lui a destra col padre di lui e un testimonio; nella terza, l’altro testimonio con due signore e un signore, i più importanti della riunione. Scesi davanti alla chiesa tutti si comporranno in corteo nello stesso ordine con cui sono saliti in vettura. Se poi, invece, tutti attenderanno il corteo sull’uscio del tempio, allora basteranno due automobili; quella in cui salirà la sposa col padre e coi paggetti quella in cui salirà lo sposo colla futura suocera, e talvolta con uno dei nonni o qualche bambino. Quando in casa della sposa ci sia una cappella anche modesta, ma sufficientemente grande per contenere gli invitati strettamente indispensabili, abbia sempre la preferenza su qualunque chiesa pubblica, tanto più che gli invitati, dirò così, indifferenti, hanno ormai presentato i loro auguri nel ricevimento di nozze, e non sono indispensabili… molto spesso, nella buona società che rifugge da manifestazioni esteriori, le nozze hanno luogo nel salone di casa, previo permesso del parroco, che fa rizzare l’Altare e vi porta la pietra santa, senza la quale non è possibile la celebrazione della Messa. Allora la sala sia parata con fiori bianchi, abbia un bell’arazzo o un bel quadro sacro sull’altare, e tutte le tovaglie e i paramenti necessarii al rito. Vi sia l’inginocchiatoio per gli sposi, quello per i genitori e per i testimoni, e delle sedie per gli altri invitati. Tutti si mettano a posto, anche i genitori dello sposo, e, accolta da una festosa marcia nuziale, verrà la sposa, a braccio di suo padre, e lo sposo, che indosserà il frac e che darà il braccio alla suocera. Se poi la madre della ragazza avrà voluto essere in salone per ricevere gli

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invitati, la sposa entrerà a braccio del padre, e avendo a destra lo sposo. Ma torniamo in aure più modeste. Quando gli invitati, in una chiesa pubblica, sono molti, e gli sposi desiderano che non siano prestati dalle popolane, che accorrono sempre alle cerimonie nuziali, ottengano dal parroco il permesso di dividere con banchi e con piante la navata centrale della chiesa e di mettere sull’uscio centrale degli incaricati, che permetteranno il passaggio solo alle persone munite d’invito. Oppure, sempre d’accordo col parroco, possono riserbare uno spazio ristretto e chiuso del popolo. Gli sposi ricordino d’invitare in chiesa anche le loro balie, le loro governanti o istitutrici o maestre, e di far trovare un posticino anche alle domestiche fedeli. […] La sposa, condotta dal padre, s’inginocchi a sinistra dell’inginocchiatoio; lo sposo conduca al suo posto la futura suocera, e si metta a destra. I testimoni, spesso sono quattro anche se basterebbero due, si metteranno a destra e a sinistra degli sposi; i genitori di lei dalla parte della figliola e quelli di lui dalla parte del figliolo. Se lo sposo o la sposa sono orfani d’uno dei genitori, non facciano occupare da nessuno il posto che a Lui spetterebbe, bensì vi mettano un mazzo di rose colorate, mazzo che poi sarà portato in Camposanto e messo davanti al ritratto del caro perduto. Gli sposi toglieranno il guanto sinistro, e lo sposo consegnerà all’assistente del sacerdote le due fedi; esse siano d’oro bianco o giallo, più o meno alte, più o meno tonde a seconda della moda; ma sempre eguali e robuste. Esse porteranno incisa la data e il nome di battesimo dello sposo o della sposa. […] All’inizio della funzione i due devono alzarsi in piedi e rispondere con voce ben chiara alla domanda di rito. Poi si daranno le destre su cui cadrà l’acqua lustrale con la benedizione divina; infine il sacerdote infilerà la fede sino alla prima falange del dito della sposa con una commovente invocazione liturgica e il marito farà scivolare la fede sino in

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fondo al dito. La liturgia cattolica non parla dell’anello nuziale dell’uomo, ma ora tutti lo portano; la sposa lo mette al dito di lui immediatamente dopo ricevuto il suo. La messa venga ascoltata con devozione dalla sposa inginocchiata e dallo sposo che deve inginocchiarsi almeno all’Elevazione, e il discorso deve essere ascoltato in piedi. Né uno né l’altro dei due sposi chiaccheri, rida, si guardi in giro, mostri impazienza. A funzione finita, il giovane marito baci la mano della giovane signora, le offra il braccio e si rechi con lei a firmare l’atto in sagrestia, con i due testimonii, che si affretteranno a baciare la mano della sposa e a rallegrarsi con lui. […] Gli auguri vengono ormai fatti al ricevimento di nozze e sono rinnovati, senza parole, con bei sorrisi, quando gli sposi attraversano la chiesa a braccio, per raggiungere la propria automobile… quella regalata, quella di famiglia o quella da nolo. Il corteo si ricomponga e altre automobili siano state provviste per quelli che sono venuti per conto loro alla cerimonia. Gli sposi siano nella prima, soli o con i loro paggetti; i quattro genitori siano nella seconda e poi via via gli altri. […] Arrivati infine a casa o all’albergo dove avrà luogo la colazione, oppure il rinfresco nuziale, tutti seggano a tavola o alle piccole tavole che troveranno pronte. […] Quando i camerieri hanno portata la torta nuziale viene sturato lo spumante e tutti fanno un evviva senza parole, avvicinandosi in bell’ordine alla tavola o al posto degli sposi; poi la giovane signora distribuisce i confetti, che il giovane marito le reca in un vassojo, avvicinandosi ad ogni invitato. Dopo il caffè distribuisce anche ai presenti le bomboniere. Gli sposi italiani, della terra che ha insegnato al mondo la civiltà, non seguano la volgare usanza americana d’alzarsi ad un tratto e di andarsene, senza guardare in faccia nessuno. No; gli sposi italiani lascino la tavola dopo il caffè, salutino tutti e vadano a mutare vestito. Se la colazione ha luogo in un albergo, allora, sempre dopo il caffè,

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partano soli; lo sposo accompagni sua moglie alla casa di lei (dove verrà subito raggiunta dalla mamma), vada a mutar vestito, torni con le valigie e parta con lei.”104 Ermina Vescovi discute di alcune nuove usanze che lei non gradisce, e consiglia ai novelli sposi di fare tutto secondo tradizione: “In Francia e in certe città si usano le damigelle e i cavalieri d’onore, giovani amici e parenti, disposti a coppie (una o due) ed elegantemente vestiti. […] Ora si tende anche in queste cerimonie a una gran semplicità, anche da famiglie molto facoltose. Purchè gli sposi sian felici, si suol dire, che cosa importano tante pompe? Perché dar tanto pascolo alla curiosità? E taluni spingono questa teoria sino a celebrar il matrimonio quasi clandestinamente. E fanno male, perché questo atto, compiuto nel libero giubilo del cuore, segna l’inizio di una vita nuova e merita d’esser celebrato con quanto apparato si può. […] Agli assenti si donano fiori e si distribuiscono confetti. Le scatolette di dolci per amici e conoscenti devono però essere già dispensate nei giorni precedenti. Partiti gli sposi, si fa la spedizione

degli

annunzi

matrimoniali,

precedentemente

preparati. Generalmente sono i parenti degli sposi che figurano nella partecipazione; ma se gli sposi non sono più molto giovani, o se non hanno più i loro genitori, la comunicazione accade direttamente e colla formula più semplice:- Carlo X e Maria Y annunziano il loro matrimonio oggi avvenuto. Alla data si aggiunge l’indicazione del domicilio, affinchè si possano spedire i biglietti di congratulazione e d’augurio.”105 In Galateo Moderno si distingue tra matrimoni eleganti: 104

E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.225 105 E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 161 77


“In una chiesa parata di rosso echeggiano le note di una celebre marcia nuziale, mentre gli sposi compaiono in cima alla gradinata e scendono gli scalini coperti da un tappeto rosso, fra due ali di fiori e vanno all’automobile che aspetta, adorna di gigli e di fiori d’arancio. Per questi matrimoni la donna vestirà il candido abito da sposa dai lunghi veli, oppure, come si usa in America, vestirà d’azzurro. Comunque, quell’abito resterà sacro, com’è sacro il rito, e non sarà indossato in nessun’altra occasione e da nessuno. Soltanto il lungo velo di pizzo apparterrà di diritto a sua figlia, se un giorno ne avrà. L’uomo invece, che sarà vestito da cerimonia, potrà indossare anche domani quell’abito che potrebbe essere quello che ha messo ieri. Sei o dodici damigelle d’onore reggeranno il velo della sposa, e un paggetto porgerà il classico mazzo di fiori rotondo, a cerimonia ultimata, alla sposa.”106 E matrimoni modesti: “La signora è quasi sempre vestita da passeggio, e sempre più a posto dell’uomo infagottato nel suo abito nero e tirato a lustro come un manichino. Un gruppo disordinato di amici segue i due sposi sempre un po’ impacciati, i quali non sanno che contegno tenere, fino a casa, dove li aspetta il classico pranzo nuziale. Gli amici più vecchi fanno dello spirito, le donne danno dei consigli, i bimbi strillano ed infine si mettono a tavola. E qui, tra ogni ben di Dio, l’allegria si fa generale. E che festa è, se non si mangia?”107

106 107

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 33 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 34 78


3.5 VIAGGIO DI NOZZE La contessa Morozzo della Rocca consiglia ai novelli sposi viaggi tranquilli e rilassanti: “[…] Dico che un tranquillo riposante soggiorno è sempre da preferirsi a qualunque viaggio in aeroplano, o nello Zeppelin terrestre, che divora duecento chilometri all’ora… soggiorno che farà anche bene alla salute, dopo il periodo generalmente faticoso del fidanzamento e le giornate faticose dei ricevimenti e delle nozze. […] Il giovin signore col suo tatto, colla sua finezza, colla sua perfetta educazione, colla delicatezza delle sue maniere, col suo sentimento sincero, sappia lasciare a sua moglie un buon ricordo dei primi giorni d’intimità coniugale, ricordo che conta nella vita, e che spesso prelude o a una dolcissima comprensione, o a un’esistenza di musoneria, di disaccordo, di amarezza…”108 Lea Schiavi ha invece una visione diversa: “La cosa migliore sarebbe quella di abolire senz’altro il viaggio di nozze. Dopo la cerimonia e il pranzo, gli sposi dovrebbero sapere dove rifugiarsi, a seconda delle loro possibilità economiche, per passare quel periodo irriproducibile e indimenticabile che è la luna di miele. Ma ammesso che gli sposi non possano fare a meno di questo viaggio e siano decisi a portare a spasso, in città sconosciute, sotto gli occhi dei camerieri pettegoli e maliziosi di tutti gli alberghi, la loro nuova intimità, cerchino almeno il mezzo migliore. Evitate di portare alla stazione un corteo di amici e parenti rumorosi e ridanciani. Dopo il pranzo, salutate tutti in casa e, prese le valigie, salite su di un tassì. Lasciate a casa i mazzi di fiori che vi hanno mandati

108

E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.227 79


le amiche. Oggi, ogni ragazza, che sa come ci si veste, farà in modo che le sue valige contengano il necessario; oggi, ogni giovanotto, che ha percorso in lungo e in largo l’Italia, grazie ai viaggi popolari, sarà disinvolto e pratico come un perfetto viaggiatore.”109 Secondo l’autrice del Galateo Moderno è fondamentale divertirsi durante la luna di miele: “E durante il viaggio di nozze divertitevi il più che sia possibile. Non passate le vostre giornate nei musei e nelle pinacoteche; non vedreste nulla e non capireste nulla. Vi ridurreste a sera stanchi come due fattorini e… pieni di sonno. Dormite fino al mattino avanzato, poi andate a spasso, così a caso, guardate la città. Niente è più bello e più emozionante che vedere panorami nuovi e nuovi paesaggi con altri occhi che amiamo. Ma non stancatevi eccessivamente. Andate a colazione e riposate ancora, poi ci sono decine di luoghi simpatici per prendere il tè in ogni città, dove potrete anche ballare. E ballate molto. Dopo cena cambiatevi, fate una toeletta accurata e andate ancora a divertirvi. Teatri, cinematografi e ritrovi sono a vostra disposizione. Vedrete la città di notte, e il ricordo di quelle passeggiate notturne nella città nuova resterà sempre in voi. Divertitevi dunque, e siccome il vostro matrimonio è certamente un matrimonio d’amore, non c’è piacere che uguagli il piacere di divertirsi con la persona amata.”110

3.6 DOPO LE NOZZE “Ed ora comincia il più difficile: la vita a due. Per lungo tempo gli sposi si scopriranno reciprocamente delle abitudini diverse, 109 110

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 34 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 36 80


che cercheranno di conciliare in perfetto accordo. Quanti particolari, che prima non avevano notati, ora vengono a galla! Certi difettucci, certe manìe, certe abitudini, non si rivelano e non si scoprono che vivendo in comune. E non sarebbe nulla se in amore non accadesse questo processo di evoluzione: per un po’ di tempo, i difetti dell’uno e dell’altra non sono che divertenti e piacevoli espressioni del proprio carattere; dopo, le qualità diventano noiose e insopportabili fissazioni. Ecco cos’è l’amore. Quando l’amore c’è, i difetti della persona amata sono adorabili, ma quando non c’è più l’amore, anche le sue buone qualità sono insopportabili. A questo non devono arrivare due giovani sposi, intelligenti ed educati. Perché dopo qualche mese di matrimonio la sposa crede che non sia più necessario vestirsi accuratamente ed essere sempre in ordine e carina? Perché lo sposo, dopo qualche mese di matrimonio, non si preoccupa più di essere corretto nel modo di vestirsi e nel modo di comportarsi? Farsi amare da una creatura è cosa facile, difficile è conservare questo amore. Un marito deve trattare la propria moglie, anche dopo vent’anni di matrimonio, con tutte le norme di galateo che, se pur meno rigide di quanto possa prescrivere l’etichetta, sono sempre gradite a una donna; e una moglie, anche dopo vent’anni di matrimonio, deve essere sempre gentile e carina con il proprio marito, esattamente come lo era da fidanzata. Con grande soddisfazione una donna dice del proprio marito:- E’ educato con me, come il primo giorno che ci siamo conosciuti. E lo stesso per un uomo che possa dire:- E’ tanto cara con me, come il primo giorno che ci simo conosciuti.”111 In Giovin Signore vengono forniti anche consigli più pratici, per gestire i primi giorni di vita matrimoniale:

111

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 37 81


“Tornati nella loro abituale residenza, finito di mettere a posto la casa e di organizzare il suo andamento con tutta calma, accettate colazioni o pranzi dai parenti o dagli amici più intimi, gli sposi poi ricambino qualche visita, ma badino bene di non cominciare a vivere per gli altri, trascurando la dolcezza di un’esistenza a due… Approfittino del cambiamento avvenuto nella loro vita, per scartare con garbo le conoscenze banali, e per farsi intorno un gruppo di amici veramente fidi, veramente affiatati. Con gli inquilini dello stesso casamento non facciano mai intimità, pur vivendo in cordiale vicinato. In quanto alle visite, gli sposi vadano loro per primi dai superiori, dai padrini, dai parenti anziani e in più alta posizione sociale; fissino un giorno per ricevere le persone che hanno loro telefonato o espresso il desiderio di visitarli, e ricambino la visita (marito e moglie), quando chi è venuto da loro riceve. Dal lato materiale, poi, il giovane marito accetti dei materni consigli. Cerchi, specie se ha sposato una ragazza un po’ moderna e viziata, ma con un fondo di vita interiore, di toglierla da ambienti troppo mondani e anche troppo sportivi e di interessarla alla casa, alla lettura, al lavoro, alla beneficienza attiva e non solo mondana. Entrambi possono seguitare lo sport con passione, ma cum grano salis, dato che esso, poi, spinto all’eccesso, non favorisce certamente la maternità che è scopo del matrimonio. Il marito giuri poi guerra alla truccatura femminile, che è meno di moda del passato, ma che ha ancora molte fedeli. Un giovane marito della nostra bella razza, sana fisicamente e moralmente, voglia conservarsi una moglie fresca e bella fino all’età matura, e non un avanzo di pomate e rossetti; voglia avere una moglie di buon gusto, e tale non è, chi segue pedissequamente la moda, come un’artista di quart’ordine. Un giovane marito ricordi che, in fatto di truccature,

le

concessioni

vengono

una

dopo

l’altra,

insensibilmente, e guardi quale magnifica figura fanno quei

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mariti vecchi che trascinano qua e là certe vecchie mogli, che sembrano ripetere la nota quartina francese: Je suis la ruine flamboyante, mais approchez sans crainte, car la ruine est vivante mais la flamme est peinte… (Io sono la rovina fiammeggiante, ma avvicinatevi senza timore, perché la rovina è vivente ma la fiamma è dipinta).”112 Lea Schiavi illustra come dovrebbe essere la vita coniugale: “Se tra un marito e una moglie esistesse sempre quel senso di solidarietà che deve esistere in una società nominale in cui i soci hanno uguali diritti e doveri, quante unioni sarebbero più felici di quello che non sono! L’educazione, la gentilezza, la cortesia, la sopportabilità reciproca, farebbero il resto. […] Certo che al marito sta il compito di formare nella moglie l’ideale chiaro e preciso della famiglia nel significato puro della parola, e alla moglie sta il compito di custodire questa famiglia, di conservarla. Qualunque cosa possa commettere un uomo di extra-coniugale; quali che siano le ragioni che lo distraggano, o lo irritino quando è fuori di casa sua, non appena è rientrato deve dimenticarle. La casa è un luogo sacro che va rispettato come si devono rispettare le chiese e i cimiteri. Qualunque cosa possa aver fatto un marito, la moglie, anche a costo di soffocare i moti più istintivi della sua anima, deve pensare che è l’uomo di cui porta il nome, l’uomo che ha messo l’avallo nella cambiale della sua esistenza, che lavora per lei, e che, se non lo è ancora, diventerà il padre dei suoi bambini. Sopportazione reciproca ci 112

E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.228 83


vuole! Generosità da parte dell’uomo, e spirito di rassegnazione da parte della donna.”113 La gelosia viene vista come un demone, un vizio, addirittura paragonata ad una malattia: “Una delle più grandi nemiche della pace coniugale è la gelosia. Potremmo dire che la gelosia è un vizio. In nome della gelosia si è commessa la maggior parte dei delitti. Una persona che confessa di essere gelosa ispira altrettanta repulsione e pena, come chi proclamasse in pubblico di essere infetto. La gelosia è una malattia che potrebbe far parte dell’elenco delle malattie psicopatico-sessuali. Le scenate di gelosia sono disgustosissime. Un marito o una moglie gelosa, che ossessionano continuamente il loro compagno, lo spingono fatalmente al tradimento.”114 E davanti a un tradimento: “Se veramente vostro marito vi tradisce, non fate scene, non servono a nulla, anzi, potrebbero allontanare per sempre da voi l’uomo a cui siete legate per la vita. Non tenete il broncio. Nulla ha il potere di esasperare di più un uomo che il viso imbronciato di una donna. Cercate invece di riconquistarlo. Se egli ama follemente un’altra donna, sarà un’impresa difficile; ma siate certa, si tratta quasi sempre di un capriccio o di una curiosità. Pensate allora se la colpa non sia vostra. Di solito un uomo cerca in una donna quello che non ha saputo dargli un’altra. Tenete presente che l’uomo, in fatto di donne, non ne capisce ancora quasi nulla, e preparate le vostre armi di difesa. Fate in modo che non si accorga che voi sapete. Non cercate continuamente le sue tenerezza, gli dareste fastidio. Siate gentile, carina, elegante, accurata, e soprattutto siate in guardia per cogliere quella

113 114

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 5 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 6 84


frazione di minuto in cui egli sentirà il bisogno di confidarsi con qualcuno e allora siate comprensiva, romantica e appassionata. Insomma, sappiate portarlo alla confessione. Avrete vinto. Ed ora, dopo aver riconquistato vostro marito, fate in modo che egli non debba essere umiliato del vostro perdono. Sappiate seppellire in fondo al vostro cuore il dolore sofferto, e non dite mai:- Dopo il suo tradimento, non riesco più ad amarlo. Rovinereste la vostra vita, poiché ad un uomo sposato è permesso tradire la moglie, ma ad una donna è proibito di tradire il marito. E voi non vorrete rinunciare all’amore per tutta la vita. In principio, vi sembrerà di essere convalescente, di aver avuto una malattia strana; poi tutto diventerà più chiaro e sarete capaci di respingere i ricordi cattivi. Volete giocarvi la possibilità di felicità che è ancora davanti a voi, per un peccato che fa già parte delle cose superate? Se poi ci sono figli, voi sapete qual è il vostro dovere, signora. Voi dovete vivere per essi, accanto ad essi, anche se il rancore verso vostro marito vi farà male all’anima, anche se l’uomo della vostra vita si è costruito un altro nido altrove. Voi dovete restare e ricordarvi che l’infedele è il padre dei vostri figli.”115 Per una vita di coppia serena era fondamentale avere buoni rapporti con le rispettive famiglie dei due sposi, e in particolare con le suocere. La contessa Morozzo della Rocca spiega come gestire questo rapporto in passato molto conflittuale: “In quanto ai rapporti di un giovane marito colla famiglia di sua moglie, oggi è scomparso, grazie a Dio! Lo spauracchio della suocera. Oggi una donna di quaranta e anche di cinquant’anni, è ancora bella, elegante, ben vestita, fresca di animo e di impressioni, con idee moderne, dispostissima a voler un gran bene a suo genero, purchè questo renda felice sua figlia e abbia 115

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 8 85


una punta di amabile cavalleria e galanteria verso di lei. Oggi ella non s’immischia negli affari della giovane coppia, che per mettere dell’olio nel carro coniugale. Le difficoltà, se mai, verrebbero dalla parte della madre di lui colla nuora, dato che le due donne vanno più difficilmente d’accordo che un uomo e una donna. Il giovin signore pretenda poi nella sua nuova famiglia quel fondo di raffinatezza e di signorilità che si può avere anche in modeste condizioni; pretenda che sua moglie cooperi con lui, sia esternamente,

sia esteticamente, sia

moralmente,

a

conservare la poesia nella loro unione. Egli non soltanto voglia bene a sua moglie, a anche glielo dica, e ricordi che la donna vuole essere fiera del marito, vuole riconoscere e veder riconosciuto da tutti che egli le è superiore per bontà d’animo… Vuol essere indirizzata coll’autorità che può essere frutto soltanto di un’anima eletta: in una parola, vuole, a dispetto di ogni femminismo, e anche se non lo dice, trovare nel marito un signore e un padrone nel senso elevatissimo della parola.”116 Chi ha vissuto una vita di coppia serena, ma anche chi è stato meno fortunato e non ha vissuto una vita coniugale idilliaca, allo scoccare del venticinquesimo anno di matrimonio, doveva festeggiare le nozze d’argento: “Ad uno ad uno scorreranno più o meno piacevoli, gli anni del vostro matrimonio, e quando ne saranno passati venticinque, qualunque sia stata l’esistenza con vostro marito, celebrerete sempre con commozione le nozze d’argento. Ci sarà ancora un gruppo di persone intorno a voi, forse le stesse di venticinque anni prima e in più i figli e i nipoti. Ci sarà ancora la messa e la benedizione, e ci sarà anche il pranzo. La mamma sarà seduta tra il figlio maggiore e il più anziano dei generi, il padre tra la figlia

116

E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.230 86


maggiore e la meno giovane delle nuore. Ci saranno molti fiori e invece di quelli d’arancio, le spighe d’argento. Anche questa volta gli sposi apriranno il ballo danzando assieme.”117 I più fortunati e longevi festeggiavano anche le nozze d’oro: “Pochi sono i privilegiati che possono celebrare le nozze d’oro. Lo sposo vestirà una redingote e la sposa un abito di velluto viola. Le spighe d’oro sostituiranno quelle d’argento, ed i bimbi di venticinque anni prima porteranno alla festa i loro piccoli. E così due creature, legate da un sottile anello d’oro per tutta la vita, concluderanno l’esistenza felice. Tale è la forza del matrimonio e della famiglia.”118

117 118

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 38 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 39

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4. DOVERI E PIACERI DELLA CORTESIA Erminia Vescovi nel suo Come presentarmi in società distingue tra doveri e piaceri della cortesia. I doveri sono quelli da rispettare tra marito e moglie, tra parenti, tra ospiti, mentre i piaceri riguardano le visite, gli inviti, i regali, i giochi e le lettere. “Ogni diritto, scrisse Giuseppe Mazzini, è il frutto di un dovere adempito. Questa grande massima di giustizia sociale che ha una così larga portata, e che se fosse ben compresa taglierebbe corto a molte penose questioni, va applicata anche a quelle questioni spicciole di convenienza e di cortesia che pur hanno anch’esse tanta importanza nella tranquillità della vita. Ci piace che gli altri siano con noi riguardosi, gentili, previdenti? Ebbene, cominciamo noi col mostrar verso di loro e riguardi, e gentilezze e premure, e mettiamo le basi di uno scambio nel quale raramente o mai avremo da perdere. E che questo scambio si cominci nella famiglia, che della società è la base, e più precisamente tra marito e moglie che della famiglia sono il centro.”119

4.1 MARITO E MOGLIE “Un buon marito, una buona moglie non sono soltanto quelli che adempiono ai doveri sostanziali del loro stato, ma che cercano di rendersi bella reciprocamente la vita col rispetto, 119

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 241 88


l’amorevolezza, la sollecitudine. L’articolo 130 del Cod. Civile che il Podestà legge solennemente dinnanzi ai due sposi prescrive

l’obbligo

della

fedeltà,

della

coabitazione,

dell’assistenza reciproca. E va benissimo; ma anche adempiendo perfettamente questi obblighi, la coppia coniugale, può, dopo qualche tempo, sentir molto grave il peso della sua catena. Ci vuol qualche altra cosa che il codice non impone, ma che deve sgorgare dal profondo del cuore: una quantità di piccole avvertenze le quali servono mirabilmente a impedir che si senta il peso di quella tal catena, anzi riesce a mutarla in catene di rose. Ci sono dei coniugi che non solo, dopo molti e molti anni di unione, non han perduto nulla della poesia del loro amore, ma che l’han sentita farsi sempre più forte, più pura, più soave via via che il tempo passava e che diminuivano le attrattive fisiche, e si avanzavano i mali della tarda età. Il marito deve ben essere persuaso che colei ch’egli ha liberamente scelto, ha diritto, come padrona della sua casa, come madre dei suoi figli, ad ogni rispetto da parte sua. E come non deve tollerare che altri la offenda o la disgusti, così deve egli usar sempre per lei quel contegno deferente e cortese che si usa sempre, nella civile società, verso ogni signora. Egli non si permetterà mai attitudini volgari in sua presenza, né un parlare scorretto anche nell’intimità: le userà a tavola, a passeggio in conversazione, le piccole cortesie che il galateo impone, e che non si devono affatto trascurare anche colle persone di maggior confidenza. Cercherà di porgerle aiuto nei piccoli impicci domestici, prestandosi a qualche spesa, a qualche commissione a cui ella non possa attendere. In certi momenti di crisi ancillare è veramente prezioso l’uomo cortese che risparmia a una moglie l’uscir di casa per comprare ciò che occorre, che le porge la mano in qualche faccenduola, che va a sollecitare qualche fornitore. E non credano per questo, i signori uomini, di perder

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nulla del loro decoro. Le persone saggie non potranno che stimarli di più, e la moglie sentirà una tenerezza e una riconoscenza speciale per queste amorevoli e modeste prestazioni. E se qualche volta le cose non vanno proprio a modo suo, il marito non brontoli, non protesti, non s’indispettisca. Basta talvolta una parola opportuna, un consiglio chiaro e pratico per togliere un inconveniente, per rimediare a una irregolarità. E soprattutto bisogna ricordare che i modi acerbi e burberi feriscono inutilmente, mentre le belle maniere penetrano l’animo e persuadono: bisogna ricordare che la giovane donna esce talvolta da una famiglia in cui non si è avuto abbastanza cura di prepararla alla nuova vita, e che la sua inesperienza è scusabile. La buona volontà, il desiderio di corrispondere alla fiducia dello sposo riusciranno in breve tempo a farle acquistare le doti necessarie. Sommamente scortese si mostrerebbe quel marito che facesse a sua moglie delle osservazioni pungenti in faccia alle persone di servizio o dei figli. Eppure ci son degli uomini che non sanno frenarsi e che sfogano impulsivamente il loro malumore appena qualche cosa li irriti o li punga: le prime persone con cui inveiscono sono quelle di famiglia. E non badano se a torto o a ragione.”120 Erminia Vescovi sottolinea l’importanza delle buone maniere tra coniugi. Più volte spiega ai mariti che non è corretto sfogare i propri problemi di lavoro sulle mogli e suggerisce di lasciare fuori dall’uscio di casa ogni grattacapo. Anche e soprattutto a tavola si doveva essere gentili e rispettosi per non trasformare in un supplizio un momento di così importante intimità domestica. E si doveva essere ancora più educati e cortesi in presenza di ospiti:

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E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 244 90


“Preferirei cento schiaffi in camera, diceva una buona signora a cui il marito ( stimatissimo galantuomo del resto) si pigliava il gusto d’infliggere tale quotidiano supplizio, piuttosto di una mortificazione in presenza di altra gente.”121 Un marito bene educato doveva sempre mostrare di approvare ciò che la moglie faceva e doveva difenderla con gli altri anche se sapeva che aveva torto. Le disapprovazioni dovevano sempre avvenire a quattr’occhi e in presenza di invitati doveva pretendere da questi il massimo rispetto verso la consorte. “Vi son persino dei casi in cui il marito e la moglie, disuniti nell’animo da profondi dissapori, hanno così bene saputo osservar le convenienze reciproche da andar avanti anni e anni, colle apparenze di una pace domestica che riusciva a ingannare anche gli intimi. E chi oserebbe biasimare un tale inganno, che conservò ai figli il rispetto verso i genitori e risparmiò all’animo loro terribili impressioni in un’età in cui non si cancellano più?”122 Anche fuori casa il marito doveva sempre mostrarsi onorato e lieto di accompagnarsi alla moglie: nei teatri, nei balli, senza mai lasciarla a casa senza una valida ragione. Anche la moglie aveva però dei doveri da rispettare: “L’amorevolezza, il buon garbo, la cura della propria persona son doti assai più femminili che maschili: basta talvolta la mancanza di una di queste per mandar all’aria la pace domestica. Uno scrittore francese ha scritto che il primo dovere di una donna è quello di esser bella. Un paradosso, si capisce, ma che pure ha un fondo di verità. La fanciulla ha istintivo il 121

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 244 122 E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 245 91


culto della propria persona, il desiderio di abbellirsi. È la natura che glie lo ha messo nel cuore, come ha dato i petali variopinti ai fiori, e le ali screziate alla farfalla. […] Ma accade spesso che, dopo il matrimonio, la cura della propria persona, il desiderio di piacere cedano alla negligenza e alla svogliataggine. E allora la sposina, la giovane madre, girano per casa spettinate e mal vestite, o in pantofole e in veste da camera, scusandosi colle faccende domestiche, e dichiarando che non hanno ambizione… che ormai son piaciute a uno e basta così. Ma proprio quell’uno prova un senso di disgusto e di mortificazione nel veder così sciatta la bella personcina che aveva presentato, a lui, la incarnazione del suo ideale. È una caduta lagrimevole dalla poesia nella prosa! E sarà feconda di molti guai s’egli farà, forse anche involontariamente, il confronto colle signore che vede fuori, linde, agghindate, eleganti. La saggia sposa, dunque, non creda che soltanto le sue virtù domestiche possano bastare: procuri di conservar sempre le sue attraenze fisiche; si pettini con garbo e si mostri sempre con un vestitino accurato e grazioso. Se vuole attendere alle faccende domestiche, si copra di un ampio grembiulone, se non vuol sciuparsi le mani faccia uso di grossi guanti. Ma procuri di mostrare al marito, quand’egli la ritrova tornando dalle sue occupazioni, una donnina graziosa e piacente.”123 Nei modi, la moglie doveva essere sempre gentile, serena, affettuosa, accogliente e cercare di accontentare, per quanto possibile, il marito. La consorte doveva sempre informare il marito delle questioni domestiche e partecipargli ciò che riguardava la servitù o i figli, ma occorreva trovare il momento giusto, e farlo con modi discreti. Doveva cercare argomenti di conversazione

interessanti

e

piacevoli

per

entrambi,

e

123

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 248 92


ringraziarlo per le cortesie ricevute. Accondiscendere i desideri del marito anche per quanto riguardava le uscite, le serate o le visite, non lasciarlo andare mai solo. Anche in casa la moglie non doveva soddisfare solo le proprie personali inclinazioni, ma assecondare anche quelle del marito; sia per quanto riguardava l’acquisto di piante, fiori, oggetti d’arte, sia per la biancheria ma soprattutto doveva stare molto attenta al guardaroba del marito. Doveva assicurarsi che non mancasse mai nulla perché: “ Quando un uomo si presenta in società, si giudica spesso dal suo vestire, l’abilità della moglie e il grado del suo affetto per lui… Un bottone ciondolante, una camicia male insaldata sono stati origine, talvolta, di scene domestiche assai disgustose, e di commenti estranei molto… pungenti per la signora.”124

4.2 PARENTELE

In Come presentarmi in società l’autrice distingue tra parentele difficili e spirituali.

4.2.1 Le parentele difficili “Se una famiglia fosse composta solo dei due coniugi e dei figli, le probabilità di pace si potrebbero quasi affermare assolute. Ma spesso vi sono altri parenti, o trovati all’inizio del legame matrimoniale, o entrati poi a far parte della convivenza domestica. E allora la possibilità di discordanze fra umori troppo

124

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 251 93


diversi diventa minacciosa e spesso le grandi ali della pace batton via, con triste fruscio, dalle finestre spalancate.”125 Una tra le parentele considerate dalla Vescovi più difficili è quella con i suoceri: “Quali relazioni corrano tra suocera e genero lo dicono tutti i giornali umoristici e ne risuonano gli echi giocondi delle scene. Ma se questa coppia forzatamente avvinta si presta con tanta facilità agli spunti comici, (perché in generale la donna inviperita è ridicola, e il maschio impaurito è amenamente assurdo), ben diversamente vanno le cose tra suocera e nuora: spesso la commedia si muta in tragedia. Una tragedia nella quale la colpa è proprio del fato antico, e sembra non si possa attribuire personalmente a nessuno. Ci ha colpa la vecchia madre, se soffre nel vedersi soppiantata bruscamente nella direzione della casa, e , come sospetta talvolta, anche nell’affetto del figlio? Se soffre nel vedere intorno a sé, ogni momento, delle novità che turbano le sue abitudini, le sue idee, persino i suoi ricordi più cari? E ci ha colpa la giovane sposa se nella casa ove era entrata regina s’accorge di aver vicino e sé una potenza rivale, gelosa talvolta, tutta intenta a diminuir la sua autorità? Se anche nel cuore dell’uomo che credeva tutto suo, trova la resistenza d’un affetto precedente di lunga data, tenace, nutrito di elementi che a lei sono estranei? Se tollera mal volentieri che le sue innovazioni siano criticate, che le abitudini portate da casa sembrino inopportune?”126 Per raggiungere la pace occorreva da entrambe le parti un sincero buon volere. La suocera non doveva sentirsi più importante solo per il fatto di essere più anziana, ma anzi per 125

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 253 126 E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 254 94


questo motivo doveva essere più saggia e tollerante. Doveva concedere libertà alla nuora e non giudicare ogni sua azione. La nuora doveva accettare i consigli riguardo all’andamento domestico e all’educazione dei figli sempre evitando parole pungenti, dispetti e volgarità. Qualora la suocera fosse insopportabile era consigliato di soffrire in silenzio per amore del marito e dei figli. Per quanto riguardava i rapporti tra cognati: “ Anche tra cognati la convivenza è difficile, o per meglio dire, tra cognate. Alle ragioni di precedenza nel governo domestico e negli affetti, si aggiunge talvolta un senso di gelosia e di invidia, perché l’una delle due è più bella, più elegante, più colta e spiritosa. Talvolta il fratello intelligente se la dice più colla sorella simile a lui che colla sposina insulsa, di cui non è stato preso che per la bellezza, o per altre ragioni, e allora questa s’ingelosisce e s’impuntiglia. Talvolta la cognata è una povera zitella, senza bellezza e senza grazia, e la giovane sposa si crede in diritto di disprezzarla. Ma se due donne hanno press’a poco la stessa età e gli stessi gusti, se hanno un fondamento comune di bontà e di saggezza, può darsi che non solo vi sia tolleranza reciproca, ma si venga formando, a poco a poco, una dolcissima amicizia. E talvolta l’amicizia esisteva già prima della parentela, e allora tutta la cura deve essere nel conservarla intatta e fragrante.”127 Ma la parentela più difficile in assoluto era quella tra matrigna e figliastra. Spesso il contrasto era insito nella natura stessa della relazione. L’uomo rimasto vedovo si risposava e metteva i figli sotto la guida di un’altra donna. In molti casi i vedovi si risposavano in fretta e nei figli, naturalmente, era 127

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 258 95


ancora vivo il ricordo della madre estinta, e vedevano la matrigna come figura sostitutiva alla madre. I maschi erano più spesso distratti da studi o altre ragioni che li tenevano impegnati fuori casa, ma le ragazze spesso costituivano un’opposizione molto forte. “ La donna che accetta di diventar moglie di chi ha già altri figli si ricordi che assume un obbligo doppiamente grave e doppiamente sacro. Se ella entrasse nella nuova casa con animo ostile, se verso quei poveri orfani si disponesse già a una severità ingiusta, a una colpevole intolleranza, ah, darebbe una prova ben dolorosa della meschinità e della bassezza dell’animo suo. Se non può aver per loro il cuore di madre, specialmente nel caso che da queste nozze venisse altra prole, si ricordi almeno di usar quell’amorevolezza e quella tolleranza che si deve a creature innocenti e prive di appoggio. Non faccia sentir loro con troppa durezza la inferiorità della loro condizione: si guardi bene dall’aizzare verso di loro l’animo del marito, dal fomentar discordie tra i fanciulli. E se vi fosse di mezzo anche la terribile questione degli interessi, serbi coll’onestà e colla giustizia, colla tutela scrupolosa dei diritti, la possibilità che la differenza

di

condizione

non

influisca

ancor

più

sinistramente.”128 A volte però capitava che la matrigna fosse realmente di buon cuore e animata da sinceri buoni propositi verso i figliastri, ma trovava in loro un’animata opposizione. “ Fanciulla che leggi qui, se la sventura ti ha colpito togliendoti anzi tempo la mamma, non inacerbir la tua sorte vietando all’animo tuo la possibilità di un nuovo affetto. Serba pure il tuo culto verso la cara perduta, ma se una nuova donna 128

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 258 96


ne ha preso il posto, studiati di trovare in lei qualche ragione di benevolenza. Forse essa cercherà di accaparrarsi l’animo tuo… E tu allora corrispondi quanto meglio t’è possibile, e vedrai la tua vita rifiorire di qualche conforto. Ma se ella fosse la classica matrigna, dura, ingiusta, indiscreta, allora pensa che è il caso di mostrar tutta la tua virtù. Soffri paziente, non fare scene inutili e volgari, non tormentare il padre con recriminazioni di esito molto dubbio, e confida nella Provvidenza che saprà aiutarti colle sue vie misteriose. Casi simili sono però, ai nostri tempi, assai più rari, perché si va formando sempre più un concetto di larghezza e di tolleranza anche nelle relazioni difficili. E se guerra c’è talvolta, e guerra anche accanita, le volgarità e le villanie, e le durezze inutili vanno sempre più scemando, col crescere della buona educazione in tutti i ceti.”129 Spesso si avevano difficoltà anche nel gestire relazioni con i parenti anziani come nonni e zii. In questo caso erano i giovani ad avere maggiori doveri, dovevano rispettare l’età ed essere sempre cortesi nei confronti dei più grandi. I genitori, in quanto anello di congiunzione tra le due generazioni, dovevano vigilare affinché fossero usati tutti i riguardi e i più anziani fossero sempre rispettati.

4.2.2 Le parentele spirituali “I due testimoni del matrimonio, i padrini del battesimo e della cresima assumono, colla loro partecipazione a questi atti solenni, una grave responsabilità verso gli sposi e i figliocci. È una parentela spirituale, la quale dovrebbe esser ricordata, e produrre gli effetti a cui venne ordinata dalla Chiesa, ma in realtà, passato il momento della cerimonia, ben pochi se ne ricordano; oppure, se rimane qualche relazione ancora, è di 129

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 260 97


carattere del tutto materiale. In realtà, chi tiene al sacro fonte un bambino o chi lo presenta alla Cresima ne assume una paternità di secondo grado, che si palesa già nei nomi: compare, comare rispetto ai genitori, padrino o madrina rispetto al fanciullo che si chiama figlioccio. Esso risponde di lui in faccia alla Chiesa e alla società,

esso

deve coadiuvare la sua educazione

specialmente religiosa, esso dovrebbe supplire alla mancanza dei genitori. Chi ci pensa sul serio? Lasciamo stare!... E vediamo almeno quali siano i doveri materiali di questi parenti artificiali.”130 I testimoni dovevano porgere doni agli sposi in base alle loro possibilità economiche, nella cerimonia avevano il posto d’onore dopo i genitori e dovevano rimanere gli amici preferiti della giovane coppia. Il padrino di battesimo era di solito il nonno o lo zio e la madrina la nonna, la zia o una parente o amica intima. Questo perché il ruolo era molto dispendioso. Il padrino doveva fare un regalo alla madre, solitamente un gioiello, e un altro regalo alla balia o alla levatrice che portava il bambino in chiesa. Al bambino doveva regalare un servizio d’argento o una medaglietta con catenina, inoltre doveva comprare un dono alla madrina e anche le spese delle carrozze e della chiesa erano a suo carico. La madrina invece regalava una copertina, la veste battesimale o cuffiette e bavaglini. Il padrino e la madrina dovevano inoltre fare doni al figlioccio anche in occasione del compleanno, in caso di progressi negli studi e alla prima comunione.

130

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 263 98


I padrini di cresima facevano il loro dono solo al figlioccio, solitamente un oggetto di valore oltre ai dolci per la festa. I figliocci dovevano mostrare la loro gratitudine visitando i padrini, tenendoli informati dei progressi nello studio e scrivendo alle ricorrenze tradizionali biglietti di auguri. “Queste… si sa! Rappresentano un bel tormento pei fanciulli. Ma i savi genitori non devono transigere, e devono far comprendere per tempo ai loro figliuoli che non tutto quel che si deve fare è sempre gradevole: troppo bello sarebbe allora il vivere! E sarà anche doveroso e conveniente che i figliocci offrano, alla loro volta, ai loro parenti spirituali qualche modesto lavorino fatto dalle loro mani. Poiché devono imparare per tempo che se è piacevole il ricevere, dev’essere ancor più piacevole il dare.”131

4.3 OSPITI “Ricevere in casa propria un amico che giunge nella nostra città o viene a passar qualche giorno in campagna con noi, è uno dei piaceri più vivi della vita. E non meno grande è il piacere di chi viene, quando sa che il cuore gli è aperto come le braccia, e che la sua presenza non porterà nessun disturbo. Bisognerà pertanto andar molto adagio nell’accettare gli inviti. Talvolta son fatti per pura convenienza, talvolta son fatti con reale cordialità, ma al buon volere non corrispondono i mezzi, e la presenza d’una persona in più pesa un po’ troppo sul bilancio e turba le modeste abitudini di casa. È meglio resistere amichevolmente, in tal caso, anziché sentirsi poi a disagio. Ma 131

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 266 99


quando le condizioni richieste si presentano in realtà, tanto chi riceve quanto chi accetta deve manifestare con tutto il suo contegno, lieto, cordiale, espansivo, quanto sia grande la propria soddisfazione.”132 Erminia Vescovi, dopo questa introduzione sui doveri dell’ospite e di chi ospita, passa in rassegna gli aspetti più pratici su cui ci si doveva concentrare quando si decideva di ospitare in casa propria qualcuno. Inizialmente parla dell’arrivo dell’ospite, dell’accoglienza da riservargli e dell’importanza dell’ordine e della pulizia. “Chi riceve è in obbligo di recarsi alla stazione all’ora dell’arrivo, o di mandare qualcuno della famiglia. Se la stazione fosse notevolmente distante dalla casa, come accade spesso in campagna, e non vi è servizio pubblico, bisogna pensare a far trovar pronto un veicolo, sia noleggiandolo, sia mandandolo di proprio, se l’invitante ha la fortuna d’aver vettura o automobile! Condotto a casa festosamente l’ospite, dopo i primi saluti s’introduce nella camera a lui destinata, e lo si invita ad accomodarvisi, esortandolo considerarsi come in casa propria. Se l’ora del pasto è ancor lontana, si offra un ristoro di caffè, biscotti, bibite fresche o altro, secondo la stagione, poi si lasci in libertà, supponendo che abbia bisogno di riposarsi alquanto, o almeno di metter in ordine la sua roba. La camera dev’essere pulitissima, adorna della migliore biancheria, fornita di tutto ciò che può essere necessario, e deve spirare anch’essa, per così dire, l’allegrezza e la festa dei padroni di casa. E ciò non è difficile: bastano pochi fiori nei vasi, o qualche tralcio di verdura, chiare tendine ai vetri, qualche ninnolo di buon gusto sui mobili. La padrona di casa deve vigilare perché questo 132

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 287 100


aspetto giocondo del primo arrivo non venga poi meno, e deve insistere cordialmente presso l’ospite, perché manifesti ogni suo desiderio, se mai avesse bisogno di qualche altra cosa per sue speciali abitudini.”133 In seguito l’autrice spiega come l’ospite e il padrone di casa dovevano comportarsi a tavola, e illustra anche quali conversazioni erano da preferirsi al momento dei pasti. “A tavola gli va dato il posto d’onore, e si deve cercar di trattarlo meglio che sia possibile, indagando i suoi gusti e cercando di soddisfarli. […] La conversazione dev’essere vivace, serena, improntata al buon umore: non è permesso mostrare una faccia immusonita che faccia sospettare all’ospite di essere venuto a noia, o di dar qualche disturbo. Se i padroni di casa hanno dei pensieri fastidiosi loro particolari ( può capitare a tutti, purtroppo!) cerchino di dissimularli. E si guardi anche di evitar in sua presenza di sgridar i bimbi, di rimproverar i servi, di… discutere troppo vivacemente tra marito e moglie o tra altri membri della famiglia, di raccontar liti o pettegolezzi avuti coi vicini. Queste cose disgustano una persona di delicato sentire, e la mettono spesso in una condizione di penoso imbarazzo. Insomma, chi riceve in sua casa un amico, deve cercar di rendergli gradita quella dimora quanto gli è possibile, e di stornar da lui qualunque fastidio o dispiacere.”134 Successivamente si discute di come è preferibile far trascorrere all’ospite il tempo della vacanza. “Nel corso della giornata, si cerchi di tenergli compagnia senza imporsi in modo da privarlo della sua libertà, e s’egli 133

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 288 134 E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 290 101


desidera talvolta di rimaner solo, si rispetti il suo desiderio. Talvolta una persona si reca in una città per vederne le bellezze: se v’è nella famiglia qualcuno che abbia pratica e cultura sufficiente per essergli di guida gradita, è obbligo suo di farlo: altrimenti si lasci libero di provvedere in atro modo. Se poi viene per affari, basta contentarsi di dargli quelle indicazioni che eventualmente egli richiede: metterglisi alle costole sarebbe una vera indiscrezione. In campagna pii, si deve lasciargli ampia libertà di girare il parco e il giardino o i campi, e nel tempo stesso indicargli le passeggiate più gradevoli e accompagnarlo. I padroni di casa devono poi cercar di divertire gli ospiti, quando son giovani e vivaci, con qualche bella gita, con qualche invito ai vicini, con qualche partita di piacere secondo l’opportunità dei luoghi.”135 Anche l’ospite aveva naturalmente dei doveri da rispettare: “Anzitutto, non giunga con un corteo di valigie e involti che faccia supporre in lui l’intenzione di una lunga permanenza. Tuttavia, egli deve aver con se tutto ciò che serve al suo personale e alle sue speciali abitudini, giacché sarebbe sconvenientissimo che lo chiedesse; e deve anche aver seco quel tanto di vestiario che sia richiesto dalla svariate circostanze. Non potrà dunque mancare, oltre l’abito da passeggio o da casa, anche un abito elegante da serata, quando abbia da supporre che dovrà intervenire a qualche pranzo di gala, a qualche ricevimento, a qualche concerto o rappresentazione. Quantunque gli sia stato detto ch’egli può e deve considerarsi in casa sua, egli non prenderà alla lettera questa espressione, se proprio non fosse presso amici intimi o parenti cordialissimi. Invece bisognerà ch’egli cerchi di uniformarsi agli usi e ai costumi di

135

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 289 102


chi lo ospita, e senza parere di far un sacrificio. Che se realmente fosse tale per lui, se avesse delle abitudini alle quali non sa rinunziare, è meglio che non vada in casa altrui. Si astenga, per quant’è possibile, dal parlare inutilmente de’ suoi gusti e delle sue preferenze; quando ne fosse richiesto, bisogna regolarsi secondo i casi. Qualche precettista severo impone di non palesarli affatto, e ciò, evidentemente, per evitare il pericolo che gli ospiti troppo cortesi e premurosi si affrettino ad assecondarli anche con loro disturbo. Ma io credo invece che, se si tratta di cose non molto importanti e facilmente possibili, sia anzi un piacere per loro di sapersi come regolare, e che nulla dia noia quanto l’incertezza d’aver fatto o no cosa gradita.”136 Caratteristiche fondamentali di ogni ospite educato dovevano essere la tolleranza e la discrezione. L’ospite inoltre non doveva impicciarsi degli affari dei propri amici, e se questi non avevano abbastanza tempo da dedicargli era preferibile che restasse in camera a leggere o fuori a passeggiare, ma senza mai indagare sulle occupazioni della famiglia ospitante. Al momento della partenza i padroni di casa erano soliti insistere affinché l’ospite si trattenesse, ma egli doveva avere il buon senso di capire che tali insistenze venivano fatte per sola cortesia. L’ospite ringraziava tutti: i padroni di casa, la servitù, a cui lasciava una mancia in base ai servizi ricevuti, e gli eventuali altri componenti della famiglia. Appena giunto a casa propria l’ospite aveva il dovere di scrivere subito una lettera di ringraziamenti, in cui si rievocavano tutti i bei momenti passati insieme, a cui gli ospitanti dovevano rispondere subito, per non far credere all’ospite di aver fatto una brutta figura. Alla prima ricorrenza, inoltre, l’ospite doveva mandare un regalo,

136

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 291 103


proporzionato alle cortesie ricevute e ai gusti dei padroni di casa, alla famiglia che l’ha ospitato: solitamente un libro di valore una specialità gastronomica seguita da qualche giocattolo qualora in casa vi fossero bambini. I precetti sopra elencati valevano anche per chi aveva una pensione famigliare: “Chi tien pensione deve cercare di contentare in tutto i suoi clienti, che in fine son poi come ospiti, e di dar loro quegli agi e quel trattamento che si convengono ai patti stabiliti, mettendovi di più un’amorevolezza cordiale. E chi sta a pensione abbia riguardo anche al comodo e al gusto altrui: cerchi di esser puntuale ai pasti, non disturbi col rientrar troppo tardi in casa, non abbia esigenze irragionevoli. Gli è bensì consentito di esporre i suoi desideri e anche le sue preferenze: non gli è permesso brontolare e lamentarsi o per questo o per quello, ad ogni istante: piuttosto cambi pensione. Ha naturalmente l’obbligo di dar le mancie usuali alla servitù, nelle solennità, e quando lascia la casa, e, se gli sembra opportuno, farà cosa gentile offrendo tratto tratto qualche dono alla padrona di casa. Lasciando la pensione, non mancherà di ringraziare per le cortesie ricevute (o poche o molte che siano state!) e se veramente ha avuto da lodarsi di chi la teneva, scriverà almeno una volta dalla nuova sede, e si ricorderà poi con qualche biglietto o cartolina illustrata nelle ricorrenze festive.”137 Anche Lea Schiavi nel suo Galateo Moderno descrive come si dovrebbe comportare un ospite invitato a pranzo, sottolineando, anch’essa, l’importanza della pulizia, dell’abbigliamento e della puntualità.

137

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 295 104


“ In sala da pranzo, nel vestibolo, nella stanza dove le signore poseranno i loro mantelli, tutto deve essere in ordine per l’ora in cui arrivano gli invitati e così la padrona di casa potrà dedicarsi completamente a loro. Gli uomini lasceranno nel vestibolo soprabito, cappello e bastone, e se fossero in molti, un domestico trasporterà in altro luogo ogni indumento, per poi riconsegnarlo al rispettivo proprietario al momento della partenza. Per le signore invece è più gentile mettere a loro disposizione una stanza fornita di specchi, dove una cameriera è pronta a porgere aiuto, nel caso se ne presentasse la necessità. […] Bisogna arrivare non prima di quindici minuti dell’ora fissata per il pranzo, e neanche un momento dopo. Soltanto in casi eccezionali, il ritardatario telefonerà avvertendo i padroni di casa, i quali saranno sempre cortesi di rimandare di qualche minuto il pranzo. Nel breve spazio di tempo che precede il momento di mettersi a tavola, v’è l’opportunità per la padrona di casa di presentare l’una all’altro i convitati che non si conoscono. […] Durante le presentazioni gli uomini si saluteranno con una cordiale stretta di mano. Le donne non porgeranno mai in nessun modo la propria, e mentre il cavaliere s’inchinerà profondamente, essa accennerà un lieve inchino del capo. Anche due signore non devono stringersi le mani. Un sorriso e un inchino sono sufficienti.”138 Inoltre la Schiavi compila un elenco dei doveri dell’ospite: “- Occupatevi personalmente della stanza in cui passerà le notti il vostro invitato; - Se non possedete bagno, o servizio di acqua corrente nelle camere, fate trovare un’abbondante riserva d’acqua in camera, sapone, asciugamani, spazzole e spazzolino;

138

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 97 105


- Lasciate sempre una coperta di lana poiché in campagna certe persone hanno sempre freddo; - A meno che non sia in piena estate fate trovare nel letto una bottiglia di acqua calda; - Le candele e i fiammiferi devono sempre essere sul tavolino da notte nel caso d’interruzione della corrente; - Un vassoio su cui farete mettere la bottiglia dell’acqua da bere, un tubetto d’aspirina, una scatoletta di bicarbonato di soda, una cartina di sale inglese, una boccetta di lozione contro le punture degli insetti e una bottiglia di cordiale; - Nel caminetto farete mettere della legna pronta per essere accesa; - Un pigiama nuovo sarà a disposizione dell’ospite, sulla poltrona; - Qualche buon libro, e, perché no? Anche un orario ferroviario saranno a sua disposizione sul piccolo scrittoio.”139 E un elenco dei doveri dell’invitato: - Accettate un invito soltanto dopo mature riflessioni; - Portate con voi lo stretto necessario, in una valigia che non dia l’impressione al vostro arrivo che volete fermarvi più di qualche giorno; - Le sigarette di marca, i dolciumi e i giocattoli son le sole cose che dovete offrire al vostro arrivo; - Ricordatevi che il giardino e il frutteto del vostro ospite sono sacri;

139

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 160 106


- Non fate complimenti a tavola poiché l’ospite perfetto desidera che vi godiate allegramente i piaceri della sua mensa, ma se è grossolano da parte dell’ospite insistere perché vi impinziate di cibo, è altrettanto grossolano che vi impinziate come un otre. Comportatevi con tatto; - Non aspettate un piattino prelibato o i liquori di marca, con l’espressione ingorda che hanno i cani dinnanzi al cibo; - Fumate il sigaro dopo pranzo, soltanto se il padrone di casa fa altrettanto; - Non spargete la cenere in ogni dove e non bucherellate i tappeti e le coperte con il fuoco delle vostre sigarette; - Portate con voi abbastanza biancheria da non essere obbligato a farla lavare in casa se non vi trattenete più di otto giorni; - Se vi sono dei bambini cercate di occuparvi di loro e di farveli amici; - Diventate amico anche del cane di casa; - Una cosa che non dovete fare mai, assolutamente: presentarvi vestito in modo sommario; - Non adoperate il grammofono, il calesse o altro che si trovasse nella casa dei vostri amici. Potreste rovinare qualcosa e non c’è nulla che secchi di più un padrone di casa, che il vedersi fracassare gli oggetti di sua proprietà; - Non entrate in casa con le scarpe sporche, non insudiciate le poltrone, non appoggiate le mani, se non sono pulitissime, sulla coperta del vostro letto; - Se ci sono dei vecchi, rassegnatevi a fare qualche partita con loro e cercate di non vincere mai;

107


- Se il vostro amico ha una riserva di caccia non fate strage di selvaggina, e se avete l’opportunità di pescare non spopolate il laghetto; - Con la signora sarete galante, gentile e premuroso, ma guardatevi da farle la corte, anche se ne foste innamorato cotto; - Nel caso di qualche gita in automobile il vostro posto è a fianco dell’autista e ogni qualvolta si rifornisce il serbatoio di benzina, tocca a voi pagare.”140 La contessa Morozzo della Rocca in Giovinsignore dedica un paragrafo all’ospite in campagna: “ Spesso una famiglia invita volentieri un amico dei figlioli a passare qualche giorno o qualche settimana nella sua villa al monte, al mare, o in campagna; il giovin signore accetti volentieri, e sappia, col suo contegno allegro e cortese, farsi rimpiangere quando parte. Anzitutto, sia ordinato nella sua stanza, e non butti per aria un salotto col pretesto di un gioco di società; non pretenda troppo dalla servitù e sia pronto a coprirne le deficenze in quello che lo riguarda; mangi tutto e, se un piatto non gli va, ne prenda poco, ma non lo rifiuti. Non beva troppo, non chieda supplementi di cibo, passando per caso dalla cucina; se avesse un appetito… più forte del normale, non si faccia fare dai domestici qualche acquisto, che mortificherebbe i padroni di casa, quando venisse da loro risaputo. Non sequestri mai i padroni di casa, non li segua continuamente, non li affligga con i suoi dispiaceri, con le sue difficoltà, non chieda loro nulla, non entri nei loro affari, non discuta i loro gusti. […] Non occorre che un giovane porti ogni giorno a casa o dei fiori, o della frutta per ricambiare la ospitalità cortese; anzi sarebbe di poco buon gusto. Potrà farlo con calma il giorno onomastico dell’amico, o 140

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 163 108


dei padroni di casa e, intanto, se esce insieme cogli amici, offrirà il gelato, o un thè, senza ostentazione. Sia sempre vestito correttamente e opportunamente, e porti con sé in una buona valigia sufficiente biancheria. Tenga la sua scrivania e i suoi tiretti in ordine, segua scrupolosamente le abitudini dei suoi ospiti. Avverta qualche giorno prima gli amici della sua partenza, faccia la sua valigia, sia generoso nelle mancie, ma le dia

senza

farsene

accorgere

dai

padroni

di

casa.

Congratulandosi, assicuri della sua gratitudine, del suo rammarico, del lieto ricordo che serberà del soggiorno e degli amici. Anche prima di giungere a casa, se cambia treno o si ferma in qualche stazione, mandi un telegramma; appena giunto a destinazione, scriva una lettera calorosa di ringraziamento alla padrona di casa e mandi delle cartoline illustrate a tutti.”141

4.4 VISITE

“Le

visite

possono

essere

d’amicizia,

di

convenienza,

d’etichetta. Le prime appartengono indubbiamente ai piaceri più cari della vita civile; non così sempre potrà dirsi delle altre; ma, lasciando stare che l’adempimento d’un dovere qualsiasi lascia sempre un senso di soddisfazione, bisogna considerare che spesso vi si ha luogo di far qualche amabile relazione, di porre i germi di qualche vantaggiosa simpatia, di mostrar garbo e premura ossequiosa presso chi sta sopra di noi, e di cui desideriamo la stima; tutte cose che compensano del lieve sacrificio che pur è necessario. E qualche volta s’è visto anche una visita opportuna diradar le nubi d’una discordia, togliere

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E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 310 109


qualche pericoloso malinteso, reintegrare la stima di una persona.”142 “Per le visite d’amicizia non vi sono ore prescritte. Si va colla sicurezza d’essere accolti festosamente, e se la cameriera ci dice: la signore non è in casa, siamo sicuri che non è la solita scusa. Tuttavia discrezione vuole che si evitino le cose in cui suppone che la nostra presenza possa essere di qualche disturbo: nella mattinata, per esempio, giacché è facile che la signora abbia le sue occupazioni speciali, e tanto più nelle ore dei pasti. Presentarsi quando la famiglia è a tavola, non è lecito se non in casi specialissimi; come pure non si scusa con nessuna intimità il penetrare nelle stanze d’uso personale, se non siamo esplicitamente invitati.”143 “Le visite di convenienza si soglion fare nelle ore più tarde del pomeriggio: generalmente dalle quindici alle diciotto. L’uomo che si reca a far visita a una signora si vestirà di nero, o almeno di scuro, con abito chiuso e guanti chiari. Introdotto, depositerà nella stanza d’ingresso il cappello, il bastone o l’ombrello, il soprabito, ed entrerà nel salotto facendo un inchino generale, poi rivolgendosi direttamente alla padrona di casa, e inchinandosi a lei. Sedutosi, sosterrà con brio e con disinvoltura una conversazione che però non dev’essere lunga; giacché la visita di prammatica per un uomo non porta più dei quindici minuti. Indi, colto un momento opportuno, si alzerà accomiatandosi con brevi convenevoli, inchinandosi di nuovo, con ossequio, prima alla signora del salotto, indi alle altre persone, e uscirà rapidamente. Una signora che si reca in visita dovrà essere vestita colla massima accuratezza, e con una ben intesa 142

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 310 143 E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 313 110


eleganza, giacché questo è pur un modo di palesar il suo rispetto alla compagnia. Ma non usi un lusso sfarzoso, non si carichi di gioielli. Una signorina poi deve sempre unir la semplicità all’eleganza, altrimenti darebbe prova di pretensione e cattivo gusto. Non si devono nemmeno portar nei salotti le mode troppo originali, i colori troppo vistosi e tanto più le foggie troppo arrischiate. È raccomandabile anche di non far uso di profumi acuti, che possono dar fastidio alle persone delicate. […] La signora che entra saluterà sempre prima la padrona di casa; rivolgerà poi un lieve cenno alle altre persone, se le sono ancora sconosciute, e non si porrà a sedere se non dopo le presentazioni. In certe case però, si usa che il servo o la cameriera annunzino ad alta voce il nome dei nuovi venuti, così le presentazioni rimangono abolite. Se nel salotto vi fossero già persone di conoscenza, la signora entrata rivolgerà ad esse i suoi saluti, subito dopo che alla padrona di casa. Prenderà posto dove c’è libera una seggiola o una poltroncina, senza guardar tanto. […] La conversazione dev’essere sostenuta con garbo, e diretta specialmente alla padrona di casa. Quando poi è passata una mezz’ora circa, si può far l’atto di congedarsi, salvo a rimaner qualche munito ancora, se la signora ne farà gentile istanza.”144 La signora che riceveva doveva mostrare in tutti i modi il suo gradimento. Il suo salotto doveva essere sempre ordinato, pulito e gradevole. Doveva vestirsi elegante ma non con troppo sfarzo, per non umiliare le visitatrici. Doveva sempre essere sorridente e fare in modo che le conversazioni coinvolgessero tutti gli ospiti. Prima del ventennio era molto frequente l’usanza di fissare un giorno per ricevere le visite, ma con l’avvento del fascismo

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E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 316 111


questa usanza scomparve gradualmente, fino ad accettare le visite tutti i giorni nel tardo pomeriggio. Le visite d’etichetta erano quelle in cui si andava a trovare il Re, il Pontefice o il Vescovo: “[…] E ora diciamo brevemente delle visite d’etichetta a corte, giacché le odierne condizioni sociali rendono questo caso possibile a contemplarsi per molteplici ragioni. Chi desidera una presentazione a corte faccia la sua domanda per iscritto al gentiluomo di servizio o alla dama di servizio, secondo che è uomo o donna e chiede di esser presentato al Re o alla Regina. La risposta è quasi sempre affermativa, e fissa il giorno e l’ora. Si arriverà in vettura, per conservare ordinatissima la propria persona, e si farà in modo d’essere nell’anticamera reale dieci minuti prima dell’ora fissata. L’abbigliamento è fissato dal biglietto stesso d’invito: quello della signora dev’essere elegantissimo e serio: pizzo, velluto, raso, non mai lana. Colori scuri, non nero, salvo che la corte fosse in lutto. […] Al momento in cui è introdotta nella sala ove si trova S. Maestà la Regina, deve fare una prima riverenza, e ripeterla a metà del salotto, indi presso l’augusta persona. Questa generalmente l’attende in piedi, e le porge la mano che la visitatrice bacerà lievemente, indi si porrà a sedere, dopo invitata a ciò, e attenderà che la regina cominci la conversazione. Non si deve mai rivolgere alcuna domanda ai principi, ma rispondere a quelle che vengon fatte, brevemente e colla massima chiarezza. Appena l’Augusta Persona accenna con delicatezza a congedo, la signora si alza, ribacia la mano che le viene offerta, ed esce senza rivolgere le spalle, ripetendo i tre inchini. Pei ricevimenti degli uomini a S. M. il Re, il cerimoniale è lo stesso, eccetto il baciamano.

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Visitando il Sommo Pontefice l’uomo avrà l’abito nero da mattina, la signora sarà vestita di nero con velo. Non si portano guanti. Nell’inchino, il visitatore fa l’atto di baciare il piede al Sommo Gerarca, ma da Pio X la cerimonia è stata abolita: si bacia però la mano senza stringerla. Nell’intrattenersi e nell’uscire, si usano le stesse regole che nelle visite a corte. Le domande di udienza private si rivolgono al Ministro dei Sacri Palazzi o al Vescovo della propria Diocesi, che le trasmette alla Santa Sede. Nel visitare un Vescovo, la signora si presenta in abito nero o almeno scuro, ma non occorre il velo: l’uomo in abito chiuso. Si accenna una genuflessione presso la poltrona ove siede il Monsignore, il quale raramente permetta che si eseguisca, e bacia l’anello pastorale.” 145 Era usanza diffusa avere personali carte da visita in cartoncino bianco o finta pergamena con scritto nome e cognome della persona, i titoli e il grado. Si spedivano in caso di auguri o di condoglianze, quando non era possibile presentarsi di persona alla cerimonia. Secondo Lea Schiavi: “Le visite sono la pietra di paragone della buona creanza. Se arrivate in una città di provincia e appartenete a qualche amministrazione, alla magistratura o all’esercito, recatevi a presentare i vostri omaggi ai vostri superiori. Portare il biglietto da visita è troppo poco. Le visite agli amici si fanno senza cerimonie; ma ogni altra visita dev’essere corta. Non si deve abusare del tempo degli altri, né sprecare il proprio. L’ora dev’essere bene scelta; mai durante il pranzo, né troppo presto,

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E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 324 113


né troppo tardi. Una visita si rende come un saluto. I superiori sono dispensati però di renderla agli inferiori.”146 In Giovinsignore si dedica un intero paragrafo alle visite ai malati: “E’ anche un precetto della chiesa, ed è uno dei doveri più graditi di cortesia e di fraternità. […] Io raccomando specialmente alla gioventù questo piccolo atto di solidarietà umana. (Sono tanto lunghe le ore per un malato o per un convalescente, ed egli gradisce tanto una visita amica!). Anche qui, però, ricordi di telefonare prima e di chiedere in quale ora la sua venuta sarebbe più opportuna, di portare con sé, se è possibile, un fiore, un frutto, qualche dolce, sempre se il medico li concede al malato, di non parlare di sventure, bensì di persone facilmente e fortunatamente guarite, di un lieto avvenire, di speranze buone… Se il giovin signore ha un mezzo di trasporto privato, non lo goda egoisticamente quando va a trovare un convalescente; gli faccia godere con tutta comodità la gioia di una prima uscita al sole. Se ha molti mezzi, studii di farne parte all’altro con delicatezza, ecc. oggi troppo spesso mi sento dire che la generazione odierna non ha cuore, e io insorgo sempre. Piuttosto, oggi, come sempre, la gioventù, tutta intenta a godere i suoi vent’anni e le gare sportive, non pensa a tante piccole cose a cui pensiamo noi madri; bisogna suggerirgliele, e vedremo non solo la gioventù obbedirci, ma provare una vera gioia, un vero entusiasmo nel fare del bene… ; entusiasmo, che, ben diretto, è una forza immensa di vita e di fraternità.”147 Erminia Vescovi invece ha una visione molto diversa dalla Contessa Morozzo della Rocca e consiglia:

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L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 75 E. Morozzo della Rocca, Giovinsignore norme di saper vivere e di mondanità, cit., p.126 147

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“ Dai malati si vada poco e brevemente; si cerchi di infonder loro speranza e serenità, e si mostri una sincera premura per tutto ciò che li riguarda. Invitati a ritornare, se veramente si pensa che la nostra compagnia possa riuscir di conforto, si prometta e si mantenga”148 In seguito nel galateo della Vescovi si parla dei bambini e della presenza degli animali domestici durante le visite: “I bambini non si conducono in visita, e nemmeno si dovrebbero condurre le giovinette sotto i diciotto anni. In campagna, naturalmente si passa sopra a queste regole. E accade qualche volta che il visitatore o la visitatrice si tiri dietro il cane… cosa deplorevole per mille ragioni. Anche nella casa ove si va in visita c’è talvolta un cane ( e questo, pur troppo, accade anche in città). Ebbene, si consiglia alla padrona di tenerlo lontano dal salotto intimo. Queste amabili bestiole considerano, si sa bene, ogni ospite del loro padrone come un nemico personale, e gli vanno incontro ringhiando e abbaiando. La musica dura spesso un bel pezzo, e intanto il visitatore non può nemmeno scambiar una parola coi padroni di casa, che invano cercano di far tacere l’insolente, e spesso credono di giustificare dicendo questa bella ragione: non abbia paura, non fa nulla. Meglio tenerlo chiuso nel luogo suo, tanto più che simile diletto si rinnova spesso anche nel momento del congedo.”149

148

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 320 149 E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 322

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4.5 INVITI In Come presentarmi in società si distingue tra inviti ad una festa di ballo, ad un the pomeridiano e a pranzo che può essere di gala o alla buona. L’invito al ballo doveva essere fatto quindici giorni prima, al the e al pranzo di gala una settimana prima, mentre per un pranzo informale si poteva invitare anche due o tre giorni prima. L’invito poteva essere fatto a voce, consigliabile con le persone di grado superiore, o con un cortese biglietto elegantemente stampato: “La dicitura è press’a poco questa: I coniugi B pregano il sig. T. a onorare della sua presenza il ballo ( o concerto o trattenimento) ch’essi daranno in casa propria la sera del . . . . a ore . . . . .”150 Volendo, nel biglietto si poteva aggiungere anche: abito di società o abito nero, a cui corrispondeva l’abito scollato per le signore. In modo da far capire agli invitati di che tipo di ricevimento si trattasse. Per quanto riguardava le feste da ballo: “ Dare una festa da ballo è certo un grave impegno, e non ci si deve mettere chi non abbia il modo di cavarsela con molto onore. Bisogna anzitutto stabilire nel bilancio preventivo una spesa notevole, bisogna poi avere una casa adatta, e poter disporre di almeno tre sale libere e comunicanti, dopo l’anticamera. Nella prima sala, ch’è la più ampia, si svolgono le danze. Essa dev’essere abbondantemente illuminata, adorna secondo il gusto della padrona di casa, con ghirlande di fiori, tralci di edera che bellamente girano intorno agli specchi o 150

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 325 116


pendono dai lampadari. Nessun mobile, se non divani e sedie lungo il muro: una tela stesa a terra a guisa di tappeto. In un angolo, dissimulata tra i fiori e gli arbusti, l’orchestrina. Si capisce che in una vera festa di ballo si chiamano dei suonatori di professione, e non si pensa neppure d’inchiodar al piano qualcuno della famiglia, o magari di pregar qualche invitato. La seconda sala è ad uso delle mamme che non ballano, e in generale delle persone mature che stanno a discorrere fra di loro: qui vengono anche i danzatori a riposarsi. Abbonderanno poltrone, sedie, divani e ogni comodità. Per gli uomini però, sarà meglio, potendo, preparar una saletta apposita, perché vi stiano a fumare e trattenersi a loro agio; tanto meglio se c’è il biliardo. Finalmente c’è la saletta del buffet, che deve rimaner chiusa sin verso la mezzanotte. Essa avrà una lunga tavola centrale su cui stanno disposti cibi freddi e bevande, e piccole tavole ove siederanno gli invitati. Il trattamento deve essere finissimo: pollo in galantine, sformati, crostini assortiti, pesce in mayonnaise, arrosto di vitello ecc: paste dolci in quantità, biscotti e confetture, aranci e mandarini. Per bevande, vini bianchi, asciutti e dolci, e lo champagne che può benissimo essere sostituito dal nostro spumante d’Asti, come si fa anche a Casa Reale. Generalmente gli invitati si servono da sé, o per meglio dire i cavalieri servono le loro dame, dopo averle fatte sedere. Ci devono però essere almeno due domestici al servizio generale. […] Il padrone di casa, la sua signora, gli altri della famiglia devono dedicarsi esclusivamente ai loro ospiti. se sono in età ancor fresca, aprono il ballo rispettivamente coll’ospite di maggior riguardo: se così non è, tale ufficio spetta ai loro figli o nipoti. Avranno cura che nessuna signorina resti a sedere troppo a lungo, invitando e facendo invitare quelle che non avessero molti cavalieri desiderosi di loro: faranno buona compagnia alle mamme sedute, gireranno per le sale, osservando che tutto vada

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bene, e incoraggiando con piacevole serenità il divertimento comune. […] La festa suol finire generalmente verso le quattro o cinque del mattino, dopo il cotillon nel quale saranno distribuiti doni graziosi ed eleganti: talvolta anche di qualche valore.”151 Durante il periodo fascista era di gran moda il the pomeridiano: una via di mezzo tra gli inviti formali e intimi. “La prima cosa per offrire bene un the… è farlo buono, il che non è sempre facile. Un buon the dev’essere biondo, chiaro, caldissimo. Si prepara sotto gli occhi degli invitati stessi, dalla padrona o dalle sue figlie o nipoti: bisogna avere un samovar da cui si versa l’acqua bollente sulle foglioline già pronte e si mantiene caldo rivestendo la theiera di una elegante copertina di panno bianco ricamato. La padrona di casa serve il the ella stessa, facendosi aiutare dalle signorine o anche da qualche giovane intimo di casa. Sulla tavola coperta di una finissima tovaglietta a trine stanno la theiera, il bricco del latte o la caraffa del liquore; dolci e biscotti svariati e abbondanti. Soltanto se il numero degli invitati fosse molto grande, si servirebbe a gruppi, su piccoli tavolini. Altrimenti ciascuno rimane a suo posto. Ad ogni persona si chiede, servendola, se gradisce limone, panna o liquore coll’aromatica bevanda, si ripete poi il giro, offrendo una seconda tazza e magari anche una terza. Ma siccome non tutti hanno pel the una grande simpatia, sarà bene aver anche pronto un bricco di ottimo caffè, ed anche cioccolata, e liquori assortiti. Oltre ai biscotti, ai crostini (non mai paste con crema o panna) si suol mettere sulla tavola, seguendo l’uso inglese, un dolce di larghe proporzioni: torta, marzapane, plum cake o simili, che si taglia per ultimo. Si faranno poi circolare bibite svariate, caramelle e cioccolatini in eleganti coppe. La padrona di casa

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E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 327 118


che offre un the riceve con un abito elegantissimo, non però scollato; le visitatrici in abito da visita con qualche ricercatezza. Non si toglieranno il cappello nemmeno se la riunione terminasse con qualche giro di ballo.”152 Per quanto riguardava i pranzi: “I pranzi di gran lusso, quelli a cui si va in marsina e abito scollato, sono, più che altro, noiose parate di convenienza. Chi è al caso di offrirne, ha generalmente a sua disposizione anche un maggiordomo e un capo cuoco coadiuvato da numerosi vassalli e non ha bisogno dei consigli di questo libro. Parleremo invece di quei pranzi che riuniscono un certo numero di persone scelte, in amichevoli relazioni tra loro, o almeno coi padroni di casa, e in cui il lusso dei preparativi e la finezza del trattamento non esclude una piacevole libertà. E qui tutto il merito dev’essere della padrona di casa, anche se abbia a sua disposizione parecchie persone di servizio. La sala ove si darà il pranzo dovrà essere

ampia

in

proporzione

degli

invitati,

riscaldata

moderatamente nell’inverno, aereata nell’estate. L’illuminazione dev’essere abbondante. Generalmente pendono dal soffitto le eleganti lumiere o circondano i doppieri le pareti, ma qualcuno usa anche di mettere una elegante lampadina variopinta presso ad ogni convitato. Questione di gusti.”153 Lea Schiavi è più precisa della Vescovi sia negli inviti ai balli che ai tè. Per quanto riguardava i balli: “Gli inviti pei balli delle case aristocratiche e signorili devono essere fatti a stampa. Se un concerto musicale precede il ballo, 152

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 329 153 E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 332 119


nell’invito deve esserne inserito il programma. […] Non è assolutamente necessario rispondere con una lettera ad un invito. Ma quando non si voglia o non si possa accattarlo, si ha il dovere di scrivere, esprimendo il proprio rincrescimento. In ogni modo si deve una visita alla signora della casa, negli otto giorni che seguono la festa. In biglietto da visita non sarebbe sufficiente. Le sale da ballo devono essere senza tappeto; sul pavimento si deve stendere una tela. Ogni sorta di mobili devono essere levati; eccettuate le seggiole e i canapè stretti, disposti attorno alle pareti della sala. L’illuminazione a giorno è prescritta.”154 Negli inviti ai tè invece: “Se siete in confidenza con i vostri invitati, basterà che mandiate un biglietto o che facciate una telefonata il giorno prima di quello fissato per dare il vostro tè, ma se così non fosse, dovete far sapere nello stesso modo, ma con qualche giorno di anticipo, mettiamo quattro, alla persona che desiderate invitare, che il giorno tale avete alcuni amici a casa vostra per l’ora del tè. Il biglietto che scriverete dovrà avere un’intonazione scherzosa, poiché questo genere d’inviti sono sempre privi di formalità. L’invitato però è tenuto a rispondere subito ad ogni invito, tanto per accettare come per rifiutare. Fate il possibile di offrire ai vostri invitati maschili, qualche bella signora e alle signore d’età matura qualche autorevole personaggio avanti negli anni, e che per tante signorine ci siano quasi altrettanti giovinotti.”155 Dei posti a tavola e delle portate ho abbondantemente discusso nel secondo capitolo, dunque ora mi soffermerò su altri aspetti quali l’importanza della cortesia e della convivialità e i doveri degli invitati. 154 155

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 126 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 142 120


“ Nessuna eleganza di preparativi, nessuna squisitezza di cibi o bevande potrà valere quanto la cordiale cortesia degli invitanti. Essi devono tener presente che tutto, in quelle ore, deve contribuire alla gioia e alla serenità dei loro ospiti. l’accoglienza dovrà dunque essere improntata al desiderio di compiacerli e rallegrarli in tutto.”156 Anche gli invitati avevano dei doveri, e Lea Schiavi li illustra in un paragrafo a loro dedicato: “Gli invitati hanno dei doveri, oltre a quelli già accennati di rispondere all’invito, accettino o no, e di non farsi aspettare. Essi non debbono spiegare il tovagliolo o metter mano ai piatti prima che il padrone di casa ne abbia dato l’esempio. Il tovagliolo si mette sulle ginocchia. Non si debbono passare ad altri le vivande, i liquori, il caffè direttamente. Gli invitati non debbono mostrar predilezione per una vivanda piuttosto che per un’altra, né parlar molto di esse; non censurarle, non lodarle troppo, non scegliere i bocconi migliori, non magnificare altri pranzi, non tossire, non sputare, non soffiare sulle vivande o sul caffè, non fiutare le vivande, non raccontare casi pietosi, o tristi, o dolorosi, o ripugnanti. Gli invitati, per il solito, passano la sera dove hanno pranzato. Nel caso che fossero costretti ad andarsene subito, bisogna che ne dicano le ragioni, ne diano avviso prima del pasto, e partendo esprimano il dispiacere che provano per essere costretti ad andarsene.”157 Fondamentale era riuscire a intrattenere i propri invitati, e non farli mai sentire a disagio. Tutti dovevano sentirsi a proprio agio e avere la possibilità di divertirsi secondo i propri gusti.

156

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 336 157 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 90 121


Per concludere vorrei illustrare un breve passo di Lea Schiavi in cui si descrivono gli inviti alle feste di beneficenza: “Oggi le Opere Assistenziali del Regime si occupano mirabilmente dei derelitti e quindi i Comitati di beneficenza vanno scomparendo a poco a poco. Però si organizzano ancora molte feste di beneficenza con lotterie e le famose Pesche di beneficenza. Le signore che si prodigheranno per un certo banco manderanno ai loro conoscenti un biglietto d’invito affinché intervengano alla vendita. Sui biglietti sarà stampato il nome dell’Opera, l’indirizzo della sala dove avviene la pesca e il giorno e l’ora in cui avrà luogo. È bene aggiungere due righe a penna per dare maggiore calore all’invito. Una signora di tatto non manderà simili inviti alle persone poco abbienti. Una bella ed elegante signora può insistere presso qualche facoltoso acquirente, ma non deve esagerare nell’insistenza. Quando si tratta invece di spettacoli di beneficenza, si spediscono agli amici mazzi da dieci biglietti, di cui essi tratteranno un certo numero, cercando di vendere i rimasti o rendendoli con sollecitudine se non hanno tempo di occuparsi per collocarli. Non si può andare ad una vendita o ad una pesca di beneficenza senza lasciare il proprio obolo. Ci sono anche le recite di beneficenza e in questo caso le persone che gentilmente si prestano devono assumere a proprio carico le spese dei costumi. Fare questo genere di beneficenza è un lusso di pochi, ma ognuno, nel limite delle sue modeste possibilità, può fare del bene. È difficile saper fare un’opera di carità, ma è ancora più difficile saperla ricevere.”158

158

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 68 122


4.6 REGALI “Anche la scelta di un regalo può risultare una faccenda complicata e difficile. Ai bambini è abbastanza semplice mandare un dono gradito, fino ad una certa età: i negozi di giocattoli sono una vera risorsa; ma poi le cose si complicano. Quante volte restiamo perplessi, senza sapere come deciderci, per fare un regalo simpatico, bello e… economico. C’è chi consiglia di domandare alla persona a cui volete fare il dono, quello che desidera. Ma allora l’imbarazzo è anche maggiore, se i desiderata di quella persona sono costosi. Se non volete far la figura di esservela cavata a buon mercato, dovete rivolgervi a un pasticcere, a un fioraio di marca, e per le sigarette potreste correre il rischio di mandare una qualità che non è esattamente quella desiderata, ma mandate sempre le più costose. Se si tratta poi di una festa come Natale, Capodanno o Pasqua, in cui tutti mandano doni di questo genere, correrete il rischio di fare un duplicato di dono, che ingombrerà, deteriorandosi rapidamente, la casa della persona a cui intendevate rendere omaggio.”159 Erminia Vescovi suggerisce quando e come sia preferibile fare i regali: “Un dono non deve mai essere fatto nel momento in cui chiediamo un favore, e nemmeno subito dopo d’averlo ricevuto. Gravissima sconvenienza poi sarebbe chieder un favore a una persona poco dopo averle presentato o inviato un regalo. I regali si portano in persona, se è possibile, altrimenti si accompagnano con un biglietto gentile, a cui aggiungeremo anche dei fiori, pochi ma freschi e belli, se si tratta di una signora dimorante nella città. Chi poi riceve il dono è obbligato a dar una mancia al portatore. E riguardo al donatore deve mostrar la più cortese

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L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 232 123


riconoscenza, e gradire e lodare l’oggetto, anche se veramente non ne sappia che fare o non gli piaccia; bisogna che tenga conto della gentile intenzione e del sacrificio di spesa e di tempo che può anche essere costato. E se il dono non fu in ricambio di qualche importante servigio, egli si terrà obbligato a un contraccambio, che farà però con tatto e delicatezza, alla prossima occasione.”160 In Galateo Moderno si distinguono i regali: utili, in denaro, tradizionali e per la servitù. I regali utili: “Ai giorni nostri, in cui il denaro è aumentato di valore, sarebbe bene spenderlo con un certo criterio, poiché, col denaro prodigato in fiori, dolci e altre cose del genere, si possono comprare degli oggetti eleganti e piacevoli, che certamente sarebbero maggiormente graditi. Però i regali utili non devono sembrare ammonimenti per i vostri amici, quasi voleste significare le loro manchevolezze, e se anche fossero degli oggetti personali, mitigherete qualsiasi sgradevole impressione mandando una lettera cordiale e scherzosa di accompagnamento al dono. Oggi c’è un’infinità di oggetti utili e pratici che tutti desiderano, che vanno dalla valigetta necessario da viaggio alla macchina fotografica. Se poi dovete far un regalo ad una massaia, anche la più elegante e attrezzata sarà felice di poter possedere uno di quegli apparecchi per la casa, che vanno dalla macchinetta per fare il gelato all’aspirapolvere automatico. Se invece dovete fare qualche regalo ad un emerito ghiottone, il negozio delle primizie o quello delle specialità gastronomiche vi metteranno in condizioni di accontentare il più difficile dei palati. Abbiamo parlato di regali costosi, senza giungere però ai 160

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 342 124


gioielli, alle pellicce e alle automobili. Ma anche per i regali umili, il buon gusto ed il tatto dell’offerente possono trovare in uno di quei grandi bazar, dove si vende un’infinità di cose divertenti e graziose, tutto quello che è necessario. Quello che dovete sempre fare, sia che il regalo costi parecchie centinaia di lire o pochi soldi, è di mandarlo a mezzo di un fattorino, con un biglietto gentile di accompagnamento.”161 I regali in denaro: “In Germania ed in America, è diffusissimo l’uso di regalare del denaro, affinché chi riceve il dono possa comprarsi quello che più gli garba. S’intende che il denaro non sarà mai in contanti, ma invece un assegno, che di solito si trova in un cofanetto, in un portafoglio o in una borsetta, a seconda del caso. Da noi, soltanto i parenti e gli amici intimi fanno regali in denaro, poiché da altri non si può ammettere di ricevere una somma che non sia almeno di quattro cifre. Un’altra abitudine straniera è quella di regalare il biglietto per una crociera, l’abbonamento al palco dell’opera, la poltrona in teatro, o altro, il giorno del compleanno.”162 I regali tradizionali: “A seconda della circostanza, un tempo, si usava fare il regalo di tradizione. Il bimbo o la bimba comunicandi ricevevano il libro da messa, la coroncina del rosario legata in argento, o la Madonnina di porcellana. Oggi invece, il primo orologio a bracciale, o la penna stilografica, o la bicicletta. Ai primi esami superiori superati brillantemente, era un oggetto d’oro il premio. Oggi l’adolescente preferisce la moto, la macchina fotografica, o addirittura l’apparecchio da presa a passo ridotto. Il laureando,

161 162

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 233 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 234 125


generalmente, vedeva arricchirsi il suo guardaroba dell’abito da sera e dei gingilli d’oro occorrenti. Ora chiede di fare un viaggio all’estero

o

l’automobile.

All’ufficiale

appena

uscito

dall’Accademia, era la divisa fatta dal grande sarto o un oggetto prezioso, il suo premio. Oggi chiede anch’egli l’automobile oppure un cavallo. I fidanzati, poi, compongono addirittura la lista di quello che desiderano e la consegnano ai parenti e agli amici che cancellano via via dall’elenco il regalo che desiderano fare. Un tempo, anche i regali che si scambiavano i fidanzati erano tradizionali, e la famosa cesta di nozze, imbottita di raso e ornata di fiori, in cui c’era il grande scialle spagnolo, il pizzo di Venezia, il taglio d’abito lussuoso, il ventaglio di valore e anche i gioielli e le pellicce, è oggi sostituita da un regalo solo che il fidanzato sceglie a seconda della sua possibilità economica. Ad ogni anniversario delle nozze, il marito dovrebbe fare un regalo ed è quasi sempre un gioiello; ed ogni volta che sua moglie gli regala un bimbo, un anello di pregio va ad arricchire lo scrigno delle gioie della signora.”163 I regali per la servitù: “E’ abitudine regalare ogni anno un capo nuovo di vestiario alle proprie persone di servizio. Però questo non va considerato come un regalo natalizio, poiché il regalo natalizio dev’essere in denaro e corrispondere almeno alla metà del mensile. Se frequentate spesso una casa, non dovete lasciar passare le feste senza dare una buona mancia alla cameriera. L’abitudine che molti hanno, di dare ogni tanto un paio di lire alla persona di servizio della casa che frequentano, non è simpatica. È molto meglio mettere in una busta del denaro e darlo appunto a fine d’anno.”164

163 164

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 235 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 237 126


Il dono doveva sempre avere l’aria di una sorpresa, e rispondere a un desiderio determinato dall’età, dal carattere e dalle abitudini della persona che lo riceveva. “Un dono qualunque dev’essere sempre presentato con garbo e allora acquisterà un valore assai superiore a quello intrinseco, mentre in certi casi anche un oggetto di gran pregio può riuscire poco gradito e forse anche offendere. Non si creda di far bene, e dimostrar modestia, se nell’atto di presentar il nostro dono, si affetti di spregiarlo e considerarlo cosa da nulla: sarebbe anzi una vera indelicatezza. Non occorre poi dire che non tocca a noi di magnificarlo, e di esaltarne il gusto e l’arte, e magari di lasciarne indovinare il prezzo. Non si crederebbe possibile, ma c’è ancora della brava gente che cade o nell’uno o nell’altro di questi due eccessi.”165 Fondamentale, per chi riceveva il dono, era ringraziare: “ Ringraziate il donatore entro gli otto giorni, con un bigliettino in cui vi guarderete bene dallo scrivere cose esagerate, inadatte al dono, oppure di far trapelare dalle vostre parole la delusione. Se fare un regalo è difficile e complicato, ringraziare il donatore è un compito difficile e delicato. S’intende che, alla prima occasione, renderete il regalo, e se si tratta di un dono di Natale e Capodanno, farete immediatamente lo scambio.”166 Infine, in Come presentarmi in società, si parla dei favori e dei prestiti. “A proposito di doni, vien naturale anche qualche parola sui servigi che si possono richiedere e prestare tra amici. Vi son taluni dal carattere molto espansivo che largheggiano in

165

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 340 166 L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 234 127


offerte… Quando poi viene il momento, sembra che se ne siano dimenticati del tutto. Il meno che si possa fare con questi cotali è di considerarli come gente dal cervello leggero, e procurare di non mettersi mai nel caso di aver davvero bisogno di loro. Agli amici buoni si potrà chiedere, con discrezione, e quando si sappia che davvero lo facciano volentieri, e senza loro troppo grave

sacrificio,

una

raccomandazione

presso

qualche

personaggio, una presentazione a chi ci possa giovare, l’ospitalità per noi o per uno di nostra famiglia per breve tempo e condizioni imprescindibili, e anche l’imprestito di qualche oggetto: una bicicletta, un cannocchiale, uno spartito, un libro, ecc. Chi prende a imprestito una cosa qualunque assume l’obbligo di conservarne perfetta l’integrità. Se accade qualche guasto, deve ricomprar l’oggetto e far le sue scuse: restituirlo sciupato è una mancanza che non si può scusare nemmeno nella più stretta intimità. In quanto ai libri, ci sono due pessime abitudini imperanti anche tra persone agiate e civili: quella di chiederli a prestito, invece di comprarli, che è spilorceria e danno a chi scrive e stampa, e quello di non restituirli, che è ladreria bella e buona. Chi poi chiede a imprestito un oggetto personale, come oggetti di vestiario, gioielli, finimenti, ecc. mostra di non conoscere i limiti della discrezione che va rispettata anche fra gli intimi. La questione dell’imprestito di denaro esce veramente dai confini del galateo… […] Ricevendo una richiesta di qualsiasi favore, si rifletta un momento prima di negare o consentire: l’impulsività può farci errare talora. Promettere senza poter poi mantenere sarebbe spiacevole e mortificante; e nemmeno si deve dir un no reciso, mentre, pensandoci bene, può darsi che troviamo un modo di accontentare l’amico. E se il favore si concede, non si faccia con

128


aria d’importanza; se si nega, il rifiuto deve essere almeno addolcito con gentili parole e buone ragioni.”167

4.7 GIOCHI E PASSATEMPI “I tempi in cui dame e cavalieri, chini sulle loro carte strette gelosamente tra le mani, perdevano le nottate nell’ansia delle varie vicende, e spesso perdevano anche mucchi di zecchini, son passati ormai, per nostra fortuna. Nei nostri salotti, il gioco sopravvive ancora, è vero, ma assai limitatamente, e nessuno sogna di farne una speculazione. Per quelle, ci sono i luoghi appositi, tristemente celebri. […] La persona fine e saggia si comporta nel gioco con serenità e delicatezza, e non gli chiede più di quel che può dare, ossia un modesto svago, un piacere che però non deve essere soltanto suo. E perciò non mostra dispetto nelle perdite, e non imbaldanzisce vincendo: non lascia poi nemmeno lontanamente supporre che, oltre alla soddisfazione d’amor proprio, abbia anche la vogliuzza di quel poco guadagno. Se giuoca con un compagno poco avveduto, e che è causa delle sue perdite, si guarda poi bene dal mortificarlo con rimproveri e dal mettere muso. In caso di contestazioni, dopo esposte le sue buone ragioni, se vede che non valgono, preferisce cedere anziché dar motivo di incresciose questioni e magari di liti. Non occorre poi dire che nel giuoco, fosse anche colla posta di due soldi o nulla, si deve usare la più scrupolosa correttezza.”168 Molto di moda erano anche i giochi di società, occasione di risate e scherzi innocenti e simpatici. Ancora più in uso, 167

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 343 168 E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 346 129


specialmente in campagna, erano i giochi all’aria aperta come le racchette oppure le gite in bici o a piedi. Per questi passatempi occorreva vestire un modo semplice e comodo ma al contempo elegante. “In campagna, e specialmente in montagna, si fanno anche gite a piedi, oppure aiutandosi con muli, asinelli, ecc. Sono piacevolissime quando sono ben organizzate, e vi prendon parte persone valide, allegre e ben affiatate fra loro. Coloro dunque che non si sentono in forze, o non voglion assoggettarsi a qualche disturbo, o hanno delicatezze eccessive, rimangano a casa e non turbino il piacere degli altri. Coloro poi che vi prendono parte, uomini e donne devono stare al programma fissato dal capo della gita, presentarsi vestiti ed equipaggiati secondo che vien loro prescritto; portar nella compagnia tutta la migliore disposizione per contribuire all’allegrezza comune, ed esser tolleranti e servizievoli reciprocamente. Al capo gita si deve ubbidienza cortese e cooperazione in quello che egli domanda. Siccome poi l’organizzare una gita di qualche importanza richiede spesso tempo, preoccupazioni, ricerche, fatiche, è giusto che gli venga testimoniata riconoscenza da chi ne ha profittato. Ed è anche doverosissimo pagare colla massima sollecitudine la quota di spesa. I gitanti hanno il diritto e il dovere di essere allegri. Possono dunque ridere, scherzare, cantare all’aria aperta. Ma negli alberghi, nei ristoranti, nei rifugi, si devono astenere dalle chiassate che fanno distinguere la gente per bene da quella che non è tale. E si ricordino anche che la famigliarità dei due sessi durante questi innocenti piaceri non

deve

mai

trasmodare

in

confidenze

e

contatti

biasimevoli.”169

169

E. Vescovi, Come presentarmi in società, Galateo moderno della vita civile, cit., p. 349 130


In Usi e Costumi Irene Brin descrive chiaramente sette giochi di società in voga nel ventennio: il murder-party, la caccia al tesoro, il puzzle, lo yo-yo, il ping-pong, il bridge e il pinnacolo. Il murder-party: “La padrona di casa, ed il più fantasioso tra i suoi conoscenti, stabilivano, generalmente, un copione, una trama leggera e volubile: la conclusione, però, doveva essere specificata chiaramente, e, scritta a macchina, veniva riposta in un cassetto chiuso a chiave del salotto. Quindi gli invitati erano messi al corrente della situazione. […] Fu lady Mendl ad introdurre il gioco, americano d’origine, in Francia. Naturalmente un delitto, possibilmente due o tre, dovevano animare la serata, con grande consumo di inchiostro rosso, e di vesciche piene di sangue di porco. La vittima era trovata, truccata di funebre cipria lilla, esanime sopra un sofà, con traccie evidenti di scasso, rapina, fuga, tutto intorno. Si trattava di scoprire il colpevole, o i colpevoli: chi riusciva ad indovinare la soluzione stabilita in precedenza, vinceva, generalmente, un portasigarette. La murder-party decadde dopo che alcuni veri crimini si furono mescolati alle sue false piacevolezze.”170 La caccia al tesoro: “ Per la caccia, bisognava, generalmente, disporre di automobili, carica ognuna fino al massimo: il convegno era stabilito, verso mezzanotte, in una piazza centrale della città, e lì ogni capobanda, ovvero padrone di macchina, riceveva una busta chiusa, contenente altre buste successive, o un foglio piegato in modo che le istruzioni dovessero esser lette per ordine. Quindi si partiva con grande strepito di sirene e di scappamenti aperti, che facevano trasalire i borghesi addormentati, e subito vagamente 170

I. Brin, Usi e costumi 1920-1940, cit., p.170 131


invidiosi. Bisognava raggiungere un’osteria abbandonata, e poi un albero a due tronchi, e poi un fossato, e poi una fabbrica: le indicazioni si complicavano di indovinelli, spesso la pianta era tracciata secondo ricordi di Stevenson, con segni bizzarri. Solo verso il mattino la comitiva più intelligente raggiungeva il cespuglio dove stava nascosto l’accendisigaro, o la scatola per cipria, e, con urla di trionfo, si concludeva la bella nottata: generalmente si andava tutti a far colazione in una latteria sonnacchiosa, ciò che costituiva il fulcro del divertimento.”171 Il puzzle: “Parve improvvisamente che non ci fosse altro da fare al mondo. I giornali illustrati pubblicavano grandi pagine dove i quadrettini bianchi e neri venivano composti in disegni di croci, di stelle, di animali favolosi, e tutti, con una matita in bocca, si chiedevano pensosi:- Qual è un’isoletta di due lettere? Ed un lepidottero di quindici? Si stabilivano concorsi a premio: ci si telefonava tra amici, comunicandosi le scoperte, i dizionari venivano tratti dagli scaffali, i nonni e gli zii, blandamente disprezzati, si rivelano utilissimi. Presto i bravissimi impararono a costruire, personalmente, altre parole incrociate: si stabilirono premi anche per loro. Si fondarono giornali, basati unicamente sui puzzles, con posta tra i lettori, scambio di fotografie, raduni. Poi la passione venne calmandosi, senza, tuttavia sparire: qualche settimanale tipo la Settimana Enigmistica, si pubblica ancora, e per esempio i soldati, nei fortini, nelle trincee, negli ospedali, apprezzano molto simile possibilità di svagarsi secondo schemi insomma matematici.”172 Lo yo-yo:

171 172

I. Brin, Usi e costumi 1920-1940, cit., p.171 I. Brin, Usi e costumi 1920-1940, cit., p.173 132


“Tutti erano appassionati giocatori di yo-yo. Le vecchie signore si ricordavano del diabolo, i professori di poetici giochi greci, ed era facile, in campagna, incontrare gravi vecchi signori che, tenendo in mano i due capi del filo, bilanciavano, in fondo, lo yo-yo, tentando giochi difficili, saltelli e giravolte. I bambini diventavano bravissimi e suscettibili. Gli ottimisti assicuravano che l’umanità ci avrebbe guadagnato in grazia, i pessimisti giuravano che tutti sarebbero diventati loschi, acquistando, inoltre, andature sbilenche. Non successe proprio niente, solo ci si dimenticò dello yo-yo.”173 Il ping-pong: “Il secco picchiettare delle palle di ping-pong sopra il tavolo della sala da pranzo, sgomberato di tovaglia e piattini, scandì il massimo

divertimento

pomeridiano,

oppure

serale.

Si

organizzavano, naturalmente, dei campionati: premio, un portasigarette. I bambini esigevano, per Natale, la reticella, le racchette, la scatola di palline: i grandi, appena fatto il regalo, si appassionavano personalmente, ed i grassi zii, i nonni campioni di bocce, cominciavano, frivolmente, a contare i rimbalzi, a discutere le particolarità di un colpo mancino. Le regole erano le stesse del tennis: difatti in molti paesi lo si chiamò tennis da tavola, e le ragazze, per giocarlo nelle finali dei loro Club, si vestivano sportivamente, legandosi anche una sciarpa intorno ai capelli.”174 Il bridge: “Se anche il bridge non può considerarsi nato in questo ventennio, tuttavia la sua diffusione, la sua necessità, sono ancora recenti e, fino a qualche anno or sono, il bridge era

173 174

I. Brin, Usi e costumi 1920-1940, cit., p.174 I. Brin, Usi e costumi 1920-1940, cit., p.177 133


considerata un’occupazione privilegiata, raffinatissima. Non spetta a noi spiegare le profonde differenze fra i diversi sistemi del bridge, […] vogliamo solo rifarci alle ore, lunghissime, che i nostri contemporanei trascorsero intorno ad un tavolo, con il ventaglio delle carte in mano, dimenticando che, al di là della finestra, si trovavano le nevi di Cortina o le sabbie del deserto, le rivoluzioni o la fantasia. Si giocò a bridge in treno, in piroscafo, in aeroplano: a scusa o a lode di questo vizio modesto, ed insomma borghese, si disse che aboliva la conversazione con gente poco interessante, e che stimolava il cervello. Parole che ci sembrano, veramente, di condanna.”175 Il pinnacolo: “Il pinnacolo rappresenta, rispetto al bridge, la rinuncia moderata, la modestia non rassegnata. Tutti coloro che si riconoscevano incapaci di imparare le difficili regole del bridge, di seguire con attenzione il movimento delle carte ed il pensiero dell’avversario, ma non volevano privarsi della felicità salottiera di sedere ancora intorno ad un tavolo per ore ed ore, si ripiegarono sul pinnacolo, indubbiamente facilissimo. Il vocabolario del gioco si arricchì in Italia, di termini ispirati dal Bertoldo e dagli altri giornali umoristici. Non sappiamo se fuori dall’Italia il pinnacolo esistesse, e sotto quale nome.”176 Anche in Galateo Moderno si parla del bridge, considerato, oltre che un gioco elegante, anche un pretesto per riunire gli amici in casa. “I tavolini, ricoperti di panno verde, devono essere preparati con gettoni, marche, matite e due mazzi di carte nuove, a due colori diversi. I compagni di gioco devono essere tra loro cortesissimi

175 176

I. Brin, Usi e costumi 1920-1940, cit., p.175 I. Brin, Usi e costumi 1920-1940, cit., p.176 134


e l’irritazione che può procurare un compagno inesperto, disattento, non deve trapelare. In una casa per bene le puntate non devono essere forti e fin dall’inizio si può benissimo fissare una cifra che non deve assolutamente essere superata. Per le partite di gioco, la padrona di casa ha un compito molto delicato da assolvere. Deve sorvegliare, discretamente le tavole ed intervenire con molto tatto, non appena una disputa si accennasse e cercando di interrompere il gioco, in modo intelligente.”177 La Schiavi stilò anche delle regole per i giocatori e per i padroni di casa che organizzavano i tornei, in modo da mostrarsi sempre bene educati e cortesi: “-Il giocatore non conterà mai il denaro che ha innanzi a se; - I debiti di gioco, che vanno pagati nelle ventiquattro ore, non si fanno mai in una casa privata, dove non si deve giocare sulla parola, e se proprio si è costretti a farlo, si chiede un prestito al padrone di casa che si rimborserà immediatamente il giorno dopo; - Non si deve dimostrare né ingordigia, né desiderio di guadagno, come non si deve perdere per compiacenza; - Non dite barzellette o spiritosaggini al tavolo di gioco; - Se vincete non gettate urla di gioia. Chi perde potrebbe seccarsi. - Se avviene una controversia, non ostinatevi, ma provate con molta calma la legittimità del vostro gioco e del vostro guadagno;

177

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 156 135


- Se il vostro avversario è permaloso, non rilevate le sue parole, e, specialmente se si tratta di una signora, non badate ai suoi scatti; - Se avete degli invitati capaci di tenere una conversazione interessante, non confinateli ad un tavolo da gioco dove relegherete invece le persone noiose e prive di spirito; - Se sono i padroni di casa a guadagnare, è molto elegante, nel caso accadesse, condonare senz’altro i debiti contratti dai loro ospiti. È sottinteso che queste norme sono estensibili a tutti i giochi.”178

178

L. Schiavi, Galateo Moderno, cit., p. 158 136


CONCLUSIONE

Gabriella Turnaturi in Signore e Signori d’Italia sostiene che il galateo durante il periodo fascista abbia subito un cambiamento radicale, in positivo, lo ritiene uno strumento democratico, nel senso che i trattati di buoni maniere precedenti erano scritti per un pubblico aristocratico, altolocato, raffinato, trattavano di grandi balli, serate a palazzo e abiti da società. Con l’avvento del fascismo invece il galateo è rivolto alla nuova borghesia, agli operai che lavorano in fabbrica. Il fascismo era un regime totalitario che attraverso il galateo imponeva le proprie regole non solo alle classi alte della società, ma a tutti, era uno strumento per controllare rigidamente il mondo, ma in un modo apparentemente gentile e buono. Si voleva costruire il “nuovo italiano” rigorosamente fascista. L’autrice sostiene che i galatei siano libri multiuso, per risolvere dubbi su come comportarsi o su ciò che è permesso, toccano diversi argomenti, da come comportarsi a come vestire, da come apparecchiare la tavola ai discorsi da fare ad una festa, non ci sono situazioni che non compaiano nei galatei. Sono strumenti che permettono ad ognuno di trovare il proprio posto nella società e di mantenere le distanze da ciò che non si vuole essere. Mi trovo in accordo con quanto detto dalla Turnaturi; anch’io ritengo che il regime usasse i galatei come un modo “dolce” per diffondere le proprie norme da rispettare. L’assoluta novità è che durante il ventennio questi libri erano indirizzati alla gente comune, anche se in realtà gli operai non avevano le possibilità per svolgere le attività consigliate dai nuovi galatei per essere buoni cittadini. Un operaio semplice con famiglia non si poteva

137


permettere un biglietto per le matinèes a teatro, e nemmeno un viaggio con i treni popolari tanto amati da Mussolini. L’intento era comunque quello, anche se probabilmente i conti non furono fatti in maniera corretta. Durante il ventennio fascista sono stati pubblicati più di cinquanta galatei, la maggior parte dei quali tra il trentasette e il trentanove.

Questo significa che durante

quest’era era

fortemente sentita l’esigenza di rinnovamento e il bisogno di arginare un caos minaccioso per la società e principalmente per i piani del duce. Il buon comportamento fascista era quello mimetico, con cui non ci si faceva notare dagli altri, le buone maniere erano al tempo stesso strumento di distinzione e omogeneizzazione, non risaltavano, non pesavano.179 Nel post-fascismo continuarono a fiorire galatei, apparentemente con intenti diversi, ispirati alla spontaneità e all’essere se stessi, ma fondamentalmente l’intento era sempre uguale: insegnare a comportarsi in ogni situazione. Tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70 viene esaltata la spontaneità, il galateo da guida al modo di apparire diviene una guida al modo di essere, ma anche in questo caso la modernità che si voleva proclamare arriva fino ad un certo punto in quanto in questi trattati vengono regolamentati anche i comportamenti apparentemente spontanei. In verità anche la spontaneità era regolata, non si invitava ad essere se stessi, ma ad essere ciò che gli altri si aspettavano da noi. Oggi le buone maniere diventano strumenti da usare quando se ne ha bisogno. Dal 1980 a oggi sono stati pubblicati più di duecento galatei. Sono cambiate le classi sociali e attualmente si passa da un ceto all’altro molto velocemente, tutti hanno fretta 179

G. Turnaturi, Signore e Signori d’Italia, una storia delle buone maniere, cit., p. 15 138


di guadagnare e spendere e il tempo per educarsi è sempre meno. Si sono diffusi, anche grazie all’uso di internet galatei per ogni situazione, libretti in cui è possibile controllare velocemente qualche suggerimento per sapersi comportare o siti in rete in cui è possibile fare dei veloci test, rispondendo ad una serie di domande, per verificare se si è bene educati e pronti ad affrontare una situazione particolare. Spesso si allegano piccoli libretti anche alle riviste settimanali o mensili, specialmente in occasione delle feste o di occasioni particolari, che spiegano come agire in questi momenti. Ognuno crea il proprio modello da seguire fatto di una mescolanza di stili diversi, spesso contraddittori e ci si distingue dagli altri attraverso le merci, e non più con l’educazione. Molto in voga sono oggi i galatei che parlano

di

ecologia,

del

riscaldamento

globale

e

dell’inquinamento e che colgono i loro suggerimenti dalla psicologia e dalla filosofia di vita zen.

139


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