Anoressia e ippoterapia: l'equitazione integrata e i disturbi del comportamento alimentare

Page 1

A.D. MDLXII

U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ

DI

L ETTERE

E

F ILOSOFIA

___________________________

CORSO

DI

LAUREA

IN

SCIENZE

D E L L ’E D U C A Z I O N E E D E L L A

FORMAZIONE

ANORESSIA E IPPOTERAPIA: L’EQUITAZIONE INTEGRATA E I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE

Relatore: PROF.SSA GAVINA CHERCHI

Tesi di Laurea di: A LESSANDRA M ASIA

ANNO ACCADEMICO 2010/2011


A mio figlioccio


INDICE Introduzione

3

Capitolo I

5

La Pet Therapy

5

 1.1

Origini e nascita della Pet therapy

5

 1.2

Il rapporto uomo-animale

9

 1.3

Pet therapy come nuovo supporto terapeutico

13

 1.4

Cos’è la Pet therapy

16

 1.5

Applicazioni della Pet therapy

20

 1.6

Controindicazioni della pet therapy

22

 1.7

Le figure professionali coinvolte

23

 1.8

Luoghi della Pet therapy

27

 1.9

Le emozioni

28

 1.10 Diffusione della Pet therapy in Italia

32

Capitolo II

34

L’Ippoterapia

34

 2.1

Cenni storici

34

 2.2

Le patologie affrontabili con l’ippoterapia

37

 2.3

I benefici dell’ippoterapia

38

 2.4

L’area destinata all’ipporiabilitazione

41

 2.5

Il cavallo ideale per la riabilitazione equestre

42

1


 2.6

Fasi dei programmi di Riabilitazione Equestre

46

 2.7

Finimenti e andature

50

 2.8

Figure terapeutiche e competenze

55

Capitolo III

58

Una patologia specifica: L’anoressia

58

 3.1

I disturbi del comportamento alimentare

 3.2

Come si può affrontare l’anoressia attraverso

l’ippoterapia  3.3

Il volteggio terapeutico

 3.4

L’approccio di Equitazione integrata in un caso

di anoressia  3.5

La testimonianza

59

65 67

71 75

Conclusioni

78

Bibliografia

79

Sitografia

81

Ringraziamenti

82

2


Introduzione In questo mio lavoro di tesi ho voluto affrontare il tema dell’ippoterapia in quanto da qualche anno ho scoperto la complessità del mondo dei cavalli. Questa scoperta mi ha permesso in qualche modo di vedere il mondo da un’altra prospettiva. In relazione a questa “terapia” ho ritenuto necessario affrontare alcune patologie legate ai disturbi del comportamento alimentare, in particolare l’anoressia. La scelta di approfondire questa specifica patologia in relazione all’ippoterapia, è spinta dal fatto che, su questo argomento sfortunatamente c’è poca informazione e poca ricerca nonostante le grandi potenzialità di questa attività. Molti non sanno che una patologia come l’anoressia, in forte crescita nei paesi industrializzati, può essere affrontata attraverso l’uso del cavallo. Il mio lavoro si è basato essenzialmente sulla ricerca di materiali che potessero dimostrare questo. Partendo dalla descrizione generale della pet therapy, terapia con il supporto animale, ho affrontato le linee guida per poter capire il suo svolgimento. L’ippoterapia si colloca all’interno della pet therapy e utilizza come supporto terapeutico il cavallo. Ho potuto integrare la mia argomentazione, grazie alla testimonianza di una ragazza, che è riuscita a combattere l’anoressia attraverso l’aiuto del cavallo. Questa testimonianza è stata rafforzata da una relazione stilata da alcune operatrici di Equitabile, a me pervenuta, che hanno potuto seguire questo caso da vicino e monitorare i successi e gli sviluppi. Oltre a questo caso, ho potuto trovare riscontri, legati all’anoressia nell’ippoterapia, attraverso il manuale di riabilitazione equestre curato dalla 3


F.I.S.E., che propone un percorso alternativo, rappresentato dal volteggio terapeutico, per il recupero fisico e spirituale legato all’anoressia. È possibile avere ottimi risultati, sia dal punto di vista fisico, ma soprattutto dal punto di vista sociale e relazionale. L’anoressia oltre ad essere una patologia che debilita il corpo, in quanto porta la persona ad una costrizione talvolta prossima alla morte per denutrizione che annulla la voglia di vivere in relazione al mondo esterno. Con l’aiuto del cavallo è possibile prendere coscienza delle proprie capacità e ritrovare la voglia di vivere che era stata perduta. Il cavallo riesce ad ascoltare senza giudicare attraverso “un rapporto silenzioso che ti riempie in assoluto gli occhi, il cuore, la mente, l’anima …”1 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 




























































 1 
 Cit.
 testimonianza
 www.equitabile.it/equitazione‐integrata/anoressia‐una‐ testimonianza
 4


Capitolo I 1. La Pet Therapy 1.1 Origini e nascita della Pet therapy La storia dell’uomo, strettamente legata a quella degli animali, passa attraverso una connessione socio-culturale definita “rapporto uomo-animale”. Un rapporto istintivo che ha trovato la sua massima espressione nella società contemporanea, passando da un livello di percezione ad un altro per arrivare ad una considerazione differenziata in cui gli animali, da elementi di supporto alla sopravvivenza, dalla produzione di sostanze medicamentose per prevenire e curare processi infettivi ed infestivi, diventano vere essenze farmacologiche indicate nella terapia del corpo e dell’anima2. Tra l’uomo e l’animale da compagnia si è instaurato un rapporto affettivo ed emotivo molto forte. Osservando questo legame, sin dai tempi più antichi si è intuito che poteva svolgere anche un importante ruolo terapeutico grazie agli effetti positivi sull’umore e sulla salute generale delle persone, in particolare di quelle con problemi di salute fisica o psichica3. Gli animali, accostati alle pratiche mediche sin dall’antichità, hanno avuto da sempre una loro centralità: basti pensare alla cultura greca e a quella del bacino del mediterraneo in cui gli animali da compagnia, cani, gatti, uccelli e cavalli godevano di una grande considerazione, testimoniata da numerosi documenti presenti nell’arte, nella storia e nella letteratura. Il cane, sacro al 




























































 2

A.

Pugliese,
Pet
therapy:
strategie
di
intervento
e
linee
guida, Messina,
A.
Siciliano,
2005,
 p.13.
 3 G.
Settimo,
Pet
therapy:gli
animali
che
curano.
Terapie
svolte
con
l’aiuto
degli
animali
per
 la
salute
fisica
e
psicologica,
Red
edizioni,
Milano,
2011.

5


dio Anubis nell’Egitto dei faraoni, diventò protettore della medicina, mentre il gatto, identificato con la dea Bast, simbolo di fertilità e buona salute per le piante e per la donna, veniva mummificato e sepolto con gli stessi rituali riservati all’uomo4. Un primo vero approccio terapeutico lo troviamo già nel Medio Evo, precisamente nel IX secolo, a Gheel, in Belgio, dove gli animali vennero introdotti per curare i disabili, costituendo il primo importante tentativo di animal assisted activity theraphy della storia. Ma una vera documentazione storica con valenza scientifica la si trova alcuni secoli dopo, precisamente nel 1792, quando in Inghilterra, presso lo York Retreat Hospital, lo psicologo infantile William Tuke, insieme ad alcuni suoi collaboratori, cominciò a curare i propri pazienti (malati mentali e lunatici) con dei metodi “umani” e non più barbari. La premessa da cui partivano questi studi preliminari sulla animalfacilitated therapy era che le persone mentalmente malate e disturbate potevano ritornare in possesso delle loro ordinarie facoltà se venivano stimolate e incoraggiate verso attività alternative che permettessero di recuperare quell’autocontrollo che era stato perso, attraverso le tecniche di giardinaggio e di cura degli animali, fonte di stabilità e equilibrio. Inizialmente ci si avvalse di piccoli animali che potevano adattarsi facilmente all’ambiente ospedaliero e che non esigevano cure impegnative, come conigli e gallinacei domestici: polli, anatre ed oche5. Ma il termine “pet therapy” venne coniato nel 1953, in America, dallo psichiatra Boris Levinson. La scoperta di questa terapia non è dovuta a ricerche di laboratorio, ma a un episodio personale che 




























































 4 5

A.
Pugliese,
Pet
therapy:
strategie
di
intervento
e
linee
guida
op.
cit.,
p.17.
 
Ivi,
op.
cit.
p.31.

6


capitò a Levinson durante la sua attività professionale. Aveva infatti in cura un bambino autistico, con il quale non riusciva a stabilire un rapporto terapeutico e i risultati dei loro incontri erano piuttosto scarsi. Un giorno Levinson, casualmente, portò in studio Jingles, il cane randagio da lui adottato e così praticamente nacque la pet therapy (dal verbo inglese to pet, cioè “coccolare”, “vezzeggiare”, “accarezzare”). Infatti Jingles, visto il bambino, cominciò a giocare con lui e il piccolo paziente per la prima volta mostrò l’emozione della gioia, grazie allo scambio ludico e affettivo con il cane. Lo psichiatra colse immediatamente l’opportunità di utilizzare il suo cane come co-terapeuta, per semplificare e rendere piacevoli le sedute con il bambino. Secondo Levinson, l’efficacia terapeutica del rapporto con il cane consisteva nel confronto che esso fornisce, grazie alla sua capacità di stabilire un legame empatico con i bambini. Trasse dunque spunto da questo episodio per iniziare a fare ricerche nel campo della terapia con animali domestici, per cui coniò poi la definizione di pet therapy nel suo libro “Il cane come coterapeuta”, pubblicato nel 1961. Da quel momento vennero utilizzati a scopo terapeutico non solo i cani, ma tanti altri animali, come gatti, scimmie, piccoli uccelli, pappagalli, cerbiatti, delfini, cavalli, pesci rossi. Si cominciò a sperimentare la terapia non solo per curare i casi di autismo, ma anche di depressione, ansia, disagio esistenziale e perfino disturbi cardiovascolari6. Effetti simili furono notati da altri medici americani; i coniugi Corson studiarono l’interazione tra un gruppo di giovani pazienti affetti da turbe psichiche ed alcuni cani che vivevano presso 




























































 6

G.
Proietti,
W.
La
Gatta,
La
Pet
therapy,
Xenia,
Milano,
2005.

7


l’ospedale di degenza dove essi operavano. Quanto avveniva tra paziente, animale e terapeuta veniva registrato su videotape e ciò consentiva

di

analizzare

sistematicamente

gli

incontri,

evidenziando un miglioramento dei rapporti interpersonali tra pazienti e personale e tra gli stessi co-degenti. La conclusione che i due studiosi trassero da questa esperienza pratica fu che i cani rappresentavano uno strumento terapeutico aggiuntivo, in grado di facilitare la socializzazione7. Psicologi come Bowlby, richiamano l’importanza dell’affetto e del sentimento per la salute umana, ed è proprio questo il ruolo che l’animale riveste interagendo con l’uomo. Un approccio si è avvalso appunto della teoria dell’attaccamento di Bowlby come spiegazione teorica della relazione uomo-animale. “L’interazione tra due o più esseri viventi diventa legame affettivo quando subentra

un

elemento

tanto

speciale

quanto

comune:

l’attaccamento”8. I pet hanno moduli comportamentali simili a quelli che determinano l’attrazione dell’uomo verso il bambino, anche per quanto riguarda la propensione al gioco e la necessità di cure. L’intensità dell’attaccamento è determinata dalle varie esperienze

emozionali

vissute

dall’individuo,

da

fattori

ambientali, dai segnali tattili e visivi e dal tempo trascorso insieme. Il comportamento che si instaura tra esseri umani e animali si basa sulle stesse stimolazioni che si riscontrano tra individui della stessa specie. Le interazioni con gli animali da compagnia offrono soprattutto supporto emozionale e di stima e questo spiega i benefici effetti sulla salute. 




























































 7

A.
Pugliese,
Pet
therapy:
strategie
di
intervento
e
linee
guida
op.
cit.,
p.
32.
 
G.
Ballarini,
Animali
amici
della
salute:curarsi
con
la
pet
therapy,
Xenia
edizioni,
Milano
 2005.
 8

8


Molti studi successivi hanno confermato l’efficacia della pet therapy e dagli anni ’70 in poi questo tipo di terapia ha trovato numerosi campi di applicazione, dagli anziani ai cardiopatici, ipertesi, tossicodipendenti, reclusi in carceri e manicomi, fino ai portatori di handicap fisici e psichici e ai bambini con problemi relazionali, senza trascurare le persone sole e i bambini normodotati9. 1.2 Il rapporto uomo-animale La necessità dell’uomo di avere animali è strettamente collegata al principio di benessere fisico e psichico. Questo ha come punto di origine il rapporto affettivo al quale si associano o sovrappongono rapporti di altro genere. Gli animali da compagnia o affezione hanno un ruolo importante nella scala per il soddisfacimento dei bisogni umani che caratterizzano la società, la famiglia e l’individuo. La prima fase del rapporto uomo-animale fu di tipo magicototemico, come nella civiltà egizia o nei sistemi totemici. Gli animali erano considerati divinità o loro messaggeri, o figure ancestrali e iniziatrici di una stirpe umana e quindi da venerare e commemorare. La seconda fase del rapporto uomo-animale diventa di impronta economico-funzionalista. Gli animali sono resi schiavi e sfruttati, come fornitori di alimenti, di altri beni più o meno preziosi, di lavoro e altri servizi. L’impiego degli animali definiti “da reddito” copre ogni attività umana. Il rapporto dell’uomo con l’animale muta completamente: l’uomo è padrone assoluto degli 




























































 9

A.
Pugliese,
Pet
therapy:
strategie
di
intervento
e
linee
guida
op.
cit.,
p.33.

9


animali che non sono altro che cose, come le piante o gli oggetti inanimati. Gli animali, ai quali non viene riconosciuto un intelletto, non sono persone e quindi non hanno alcun diritto, per cui l’uomo non ha verso di essi alcun dovere o responsabilità. Immediatamente dopo vi è la necessità del soddisfacimento del bisogno di sicurezza e compagnia: compaiono gli animali da guardia, nelle greggi, nelle abitazioni, ecc. Quando l’uomo ha soddisfatto i bisogni elementari e si sente sicuro, deve appagare il bisogno d’amore, d’affetto e di legami interpersonali. È qui che vi è un mutamento radicale in cui si assiste alla parità e alla solidarietà tra uomo e animali. Quest’ultimi non sono più visti come oggetti e strumenti completamente asserviti all’uomo ma, in quanto viventi, sono anche depositari di diritti e vengono avvicinati al livello umano, con un confine che diviene sempre più indefinito nelle specie biologicamente più vicine all’uomo. Un confine che viene spesso scavalcato o superato soprattutto negli animali familiari10. Il soddisfacimento del bisogno di attaccamento è alla base della pet therapy e interviene soprattutto nella formazione di un buon equilibrio fisico e mentale, in particolare nei bambini, negli anziani e nelle persone sole in genere. La scala dei bisogni prosegue verso l’alto con il bisogno di stima, che oggi trova il suo soddisfacimento anche nel rapporto con un animale particolarmente

affettuoso,

capace

di

esprimere

incondizionatamente stima e affetto per il padrone meglio degli esseri umani11. 




























































 10

R.
Fossati,
Giuda
alla
pet
therapy:
verso
il
benessere
psicofisico
con
gli
animali
da
 compagnia,
Olimpia,
Sesto
fiorentino,
2003.
 11 
C.
Scheggi
(a
cura
di),
Pet
therapy:
i
soggetti,
le
terapie,
le
esperienze
cliniche,
Olimpia,
 Sesto
Fiorentino,
2006.

10


La diversificata posizione nel rapporto uomo-animali nella scala non deve essere intesa come assoluta o esclusiva. I diversi bisogni possono coesistere, sia pure con differente intensità, ma il mancato soddisfacimento di un bisogno può essere la causa di disturbi comportamentali o comunque di non salute. Un tempo era tenuta in considerazione soprattutto la salute fisica dell’individuo, oggi la posizione degli studiosi è notevolmente mutata ed emerge una notevole attenzione per il benessere psichico dell’individuo e la sua prevenzione. Il piacere di una compagnia è una motivazione generalmente indicata come ragione prevalente per giustificare la presenza di animali in famiglia. Il rapporto che si instaura con essi dà origine ad un affetto gratuito e incondizionato. I pet offrono un importante

senso

di

protezione

e

aiutano

a

diminuire

l’alienazione. Questo piacere ha una valenza reciproca in quanto anche all’uomo piace constatare o almeno credere che l’animale goda della compagnia che lui gli fornisce. In questo legame affettivo sono spesso implicati alcuni processi inconsci che possono aiutare l’individuo a maturare un equilibrio vitale a livello psichico. Il più delle volte sono meccanismi attraverso i quali il nostro io reagisce a tensioni e conflitti. Questi meccanismi sono positivi, ma proprio perché sono forme di equilibrio costruite, possono essere causa di allontanamento dalla realtà oggettiva: il bambino, attraverso il meccanismo della proiezione, può acquisire sicurezza e stabilità emozionali. Il cane o il gatto diventano strumenti con cui dominare situazioni di ansia e paura che insorgono inevitabilmente durante la crescita. Il processo di identificazione permette invece di acquisire il senso della propria identità: è un efficace mezzo attraverso cui il 11


bambino può riuscire a esprimere sentimenti che altrimenti non sarebbe capace di esternare in modo diretto. In questo senso il cane viene usato dagli psicologi come perfetto specchio dell’identificazione. L’animale molto spesso facilita i contatti interpersonali agendo come spunto per la conversazione. I pet possono aumentare i contatti tra gli individui e favorire l’avvio di un’interazione anche tra sconosciuti. Gli animali interagiscono anche attraverso un meccanismo innato, evocando nelle persone risposte universali di attenzione e di premura analoghe a quelle che suscita il bambino; fanno anche da rompighiaccio, facilitando una situazione capace di aprire un varco nella diffidenza della gente. Alla base di questo rapporto ci sono ragioni emotive, sociali e di relazione, che hanno tutte implicazioni psicologiche. Sono ragioni che assumono un’importanza notevole nella società odierna, perché la vita sociale è sempre più povera di contatti intraspecifici; inoltre, il fatto che oggi, soggetti come anziani e handicappati vengono emarginati, risulta necessario instaurare rapporti sociali validi con elementi come cani, gatti e altri animali domestici12. In un momento storico e sociale in cui inevitabilmente dilaga la solitudine, l’uomo affida sempre più frequentemente la propria socializzazione ad un animale domestico, che assume il ruolo di “promotore sociale”, in grado di stimolare rapporti e attività. Inoltre l’animale riesce a colmare il bisogno da parte dell’uomo di donare e ricevere affetto e protezione in un ambiente ormai povero di sentimenti. Tale bisogno è ancora più forte nell’età evolutiva dove è presente un certo disagio legato alle difficoltà di 




























































 12

E.
Del
Negro,
Pet
therapy:
un
metodo
naturale:
un
programma
di
riabilitazione
e
 rieducazione
psicoaffettiva,
Franco
Angeli,
Milano,
1998.

12


rapportarsi con gli altri ed alle paure di interagire con la società. Oggi molti animali costituiscono una parte integrante della famiglia e come tali vengono definiti animali d’affezione. Recenti indagini statistiche stanno a dimostrare che l’amore per gli animali d’affezione tende a diffondersi ed affermarsi sempre più. Nella maggior parte delle famiglie italiane è sempre presente un cane, un gatto, un canarino, una tartaruga etc., un animale qualunque con il quale è possibile instaurare un valido e insostituibile rapporto di reciprocità affettiva. Gli animali sono entrati così a tutti gli effetti all’interno del nucleo familiare, rappresentando un amico per gli adulti e un compagno di giochi per i più piccini. Questa è la dimostrazione del bisogno da parte dell’uomo dell’animale. Un fenomeno particolare che all’interno della società dei consumi, trova la sua giusta allocazione come manifestazione di uno stato patologico emergente e dilagante: la solitudine. Difatti, per quanto la presenza di un animale può essere considerata una moda, fondamentale è l’espressione dell’uomo alla ricerca di affetto. Dal contatto con l’animale scaturisce un rapporto sereno, spontaneo, sincero, corrisposto e tanto appagante da diventare un aiuto al benessere psichico e fisico, specialmente in quelle situazioni in cui i contatti interpersonali sono alquanto limitati13. 1.3 Pet Therapy come nuovo supporto terapeutico Prima di tracciare le linee guida sull’applicazione di una terapia emergente e innovativa destinata a coadiuvare la riabilitazione dell’uomo affetto da particolari entità sanitarie, è bene delineare 




























































 13

A.
Pugliese,
Pet
therapy:
strategie
di
intervento
e
linee
guida
op.
cit.,
p.p.
34‐35.

13


alcune caratteristiche generali sulla terapia medica, che nell’arco dei secoli è stata la più soggetta a determinate modificazioni. La terapia come metodo per attenuare le sofferenze e curare gli stati patologici, passa attraverso tappe importanti, dalle droghe animali e vegetali, alla chimica farmacologica fino a giungere ai nostri giorni alla psico-neuro-endocrino-farmacologia14. La pet therapy è un presidio terapeutico costituito non da farmaci, bensì da animali, che con la loro presenza sono in grado di indurre nell’uomo delle modificazioni dello status. Lo stesso Ippocrate (IV sec. a.C.) sosteneva che il farmaco è una sostanza estranea all’organismo e come tale in grado di modificare lo stato del presente. La terapia assistita con gli animali rientra in un contesto autofarmacologico. Un istintivo rapporto tra uomo e animale che, trascurando i fenomeni fisici e riabilitativi, riesce a determinare nell’uomo quello stato soporifero di un legame indiscusso. Questo inscindibile rapporto trova maggiore spazio nell’era contemporanea allorquando i rapporti tra i simili diventano sempre più insostenibili. Così l’animale si ritrova vicino non solo per aiutare, come presidio terapeutico, alle variazioni neuroriabilitative, ma per aiutare o sostenere attraverso la sua presenza la variazione dello spirito o meglio dell’anima. Diversi sono stati i campi di applicazione e diverse le finalità proposte. Dalle modalità che in epoche remote riguardavano un meccanismo d’azione prettamente fisico, come l’ippoterapia, la delfinoterapia come gioco nell’acqua, la passeggiata in 




























































 14

La
psico‐neuro‐endocrino‐farmacologia
è
lo
studio
di
alcune
sostanze
prodotte
nel
 nostro
organismo
tipo
ormoni
che
agiscono
a
livello
centrale,
ovvero
sul
sistema
nervoso,
 determinando
effetti
anche
a
livello
psichico.
La
serotonina,
ad
esempio,
è
sia
un
 neurotrasmettitore
che
un
farmaco
e
si
una
per
curare
la
depressione.

14


compagnia di un cane, si passa a meccanismi associati che vedono coinvolti il soma e la psiche in una congiunzione indivisibile dominata da una guida affettivo - emozionale. Parlare oggi di terapia con gli animali non è più una novità; l’animale si ritrova vicino all’uomo, non solo per aiutare come presidio terapeutico alle variazioni neuro-riabilitative fisicamente indotte, ma per aiutare e sostenere, attraverso la sua presenza, le variazioni dello spirito. L’attività assistita vede i “pets” nella scuola, come elemento educativo al mondo della natura, per passare oltre quello che è il mondo stereotipato e irreale dei cartoni animati. Un diverso modo di fare cultura senza tralasciare i valori dell’etica15. Negli interventi di pet therapy, si vanno quindi a prescrivere specifiche attività di relazione, in base alle esigenze e caratteristiche del fruitore, analizzando attentamente i suoi bisogni e le sue vulnerabilità. Una nuova branca della medicina si occupa proprio di questo: la Zooantropologia, che connette fra loro temi propri dell'antropologia, zoologia, etologia, psicologia, medicina umana e veterinaria. Essa distingue tra relazione e rapporto: la relazione è una sorta di dialogo in cui avviene uno scambio, mentre il rapporto può essere anche di semplice utilizzo, come accade in zootecnica. Questo nuovo approccio, sancito con un documento ufficiale – Carta Modena del 2002rappresenta un passaggio fondamentale nell’ambito della pet therapy, pur facendo proprie le acquisizioni storiche sui benefici del rapporto uomo - animale16. 




























































 15

A.
Pugliese,
Pet
therapy:
strategie
di
intervento
e
linee
guida
op.
cit.
p.
29.
 
G.
Settimo,
Pet
therapy:gli
animali
che
curano.
Terapie
svolte
con
l’aiuto
degli
animali
 per
la
salute
fisica
e
psicologica
op.
cit.,
p.25.
 16

15


Per applicare un protocollo terapeutico del genere è necessario un gruppo di lavoro, che non può essere identificato in una sola figura professionale, ma deve vedere intersecarsi la competenza di più operatori, in modo che ciascuno possa dare l’apporto dovuto alla risoluzione del problema. I professionisti dunque, dalla

formazione

diversificata

e

con

finalità

operative

apparentemente divergenti, lavoreranno insieme, creando delle cooperazioni di intervento, per raggiungere gli obiettivi preposti17. 1.4 Cos’è la Pet therapy Il termine pet therapy indica una serie complessa di utilizzi del rapporto uomo-animale in campo medico e psicologico. Occorre distinguere tra : • Animal-Assisted Activities (AAA) • Animal-Assisted Therapy (AAT) • Educazione assistita da animali (EAA) Animal-Assisted Activities (AAA) viene tradotta in “Attività Assistite con Animali”. Le attività hanno l’obiettivo primario di migliorare la qualità della vita di alcune categorie di persone (anziani, ciechi, malati terminali etc.)18. Si tratta di interventi di tipo educativo, ricreativo e/o terapeutico, effettuati con determinati animali, destinati a persone che vivono difficoltà emotive o fisiche, affette da disabilità o malattie 




























































 17

A.
Pugliese,
Pet
therapy:
strategie
di
intervento
e
linee
guida
op.
cit.,
p.p.
35‐38.
 
G.
Settimo,
Pet
therapy:gli
animali
che
curano.
Terapie
svolte
con
l’aiuto
degli
animali
 per
la
salute
fisica
e
psicologica
op.
cit.
p.
52.
 18

16


croniche, oppure che si trovano in condizioni di disagio, quali, per esempio, il ricovero ospedaliero, la permanenza in una casa di riposo, la detenzione ecc. Il disorientamento dovuto alla perdita delle consuetudini e dei punti di riferimento della vita quotidiana può, infatti, incidere negativamente sul benessere psicofisico del soggetto ospitato in strutture residenziali o variamente istituzionalizzato. In questi ambiti gli interventi di AAA contribuiscono a ricreare il senso di normalità, a rinforzare l’autostima del fruitore e a coinvolgerlo in esperienze positive, ricche di significato. Possono essere erogati in ambienti di vario tipo, da professionisti o conduttori di animali o volontari opportunamente formati. Per mettere in pratica gli interventi di AAA non è sempre necessaria un’équipe multidisciplinare e di solito queste attività vengono proposte a diversi individui contemporaneamente, in quanto non legate a vere e proprie terapie prescritte in base alle condizioni cliniche del singolo paziente. Non richiedono generalmente un’impostazione strutturata e hanno una valenza di tipo prevalentemente educativo - ricreativo e di supporto emotivo - affettivo. Non prevedono la programmazione di obiettivi specifici per ciascun intervento, né viene prefissata la durata del trattamento, ma si punta sostanzialmente al rafforzamento delle risorse interne della persona, con un aumento del suo benessere generale. In pratica, le AAA si propongono di dare al fruitore più risorse per affrontare la sua situazione di problematicità, ma non intervengono su di essa. Rientrano tra le AAA anche alcune attività a valenza pedagogico - formativa rivolte ai più giovani, per esempio nelle scuole o nei 17


reparti

pediatrici

degli

ospedali;

oppure

nelle

strutture

residenziali per ragazzi e adulti con comportamenti devianti (carceri minorili, penitenziari, ospedali psichiatrici giudiziari). Le AAA trovano applicazione in diverse situazioni quali: • Patologie che comportino prolungata ospedalizzazione o ripetuti ricoveri in strutture sanitarie; • Difficoltà

dell’ambito

relazionale

nell’infanzia,

fanciullezza e adolescenza; • Disagio emozionale; • Difficoltà comportamentali e di adattamento socio ambientale; • Situazioni di istituzionalizzazione di vario tipo (istituti per anziani e pazienti psichiatrici, orfanotrofi, comunità per minori, carceri); • Condizioni di malattia o disabilità che prevedono un programma di assistenza domiciliare integrata. Animal-Assisted Therapy (AAT) viene tradotta in “terapie assistite da animali” o uso terapeutico degli animali da compagnia. Sono attività che si inseriscono in un progetto terapeutico ampio, con obiettivi specifici predefiniti per il singolo paziente, come il miglioramento delle funzioni fisiche, sociali, emotive, intellettive e cognitive. Si tratta di attività focalizzate sulla disabilità e finalizzate a ottenere un miglioramento delle capacità adattive del paziente, tale da fargli raggiungere, compatibilmente con la patologia da cui è affetto, il massimo grado possibile di sviluppo delle sue potenzialità motorie, psichiche e sociali. Presentano una maggiore complessità

18


procedurale e come tutti i trattamenti terapeutici, si basano su una diagnosi effettuata dal medico. Comportano la determinazione di obiettivi di salute ben definiti, nonché una precisa pianificazione della loro somministrazione. Gli obiettivi perseguibili possono essere classificati come: • Fisici (abilità motorie, equilibrio ecc.); • Educativi (linguaggio, memoria, apprendimento ecc.); • Di salute mentale e psicologica (attenzione, autostima, riduzione dell’ansia e del senso di solitudine ecc.); • Motivazionali ( coinvolgimento in attività collettive, capacità di interagire con gli altri ecc.). Le AAT devono essere considerate coterapie, che si affiancano alle tradizionali terapie riabilitative e che non possono sostituirle in alcun caso. Praticate individualmente o in gruppi, in diversi ambienti, devono essere sempre progettate, seguite, documentate e valutate da un’équipe multidisciplinare, che può comprendere, di volta in volta e a seconda dei casi, varie figure professionali, che vanno a coprire le esigenze relative al beneficio umano (medici, psicologi, terapisti), alla modalità di impiego dell’animale (comportamentalisti, conduttori cinofili), alla salvaguardia della salute e del benessere degli animali (veterinari). L’équipe dovrà valutare il paziente, stabilire se esiste o meno l’indicazione

a

una

terapia

con

animali,

valutare

le

controindicazioni, porsi degli obiettivi terapeutici ed elaborare un progetto individualizzato per quella persona in quello specifico contesto. Successivamente, il raggiungimento o meno degli obiettivi andrà verificato periodicamente.

19


Il numero delle figure professionali coinvolte, il costo degli animali, del loro mantenimento in condizioni ottimali, della loro preparazione e del loro impiego limitato, per evitare fenomeni di stress, fanno si che le AAT possano implicare costi economici piuttosto elevati e questo può a volte costituire un ostacolo alla loro scelta. Educazione assistita da animali (EAA) mira al miglioramento delle facoltà cognitive, con interventi che hanno obiettivi specifici predefiniti, in cui l’animale e il suo conduttore, opportunamente formato, sono parte integrante del trattamento. Viene gestita o diretta da un insegnante o da un educatore e può essere praticata in diversi ambienti, con persone di qualsiasi età, ma soprattutto con bambini e adolescenti. Il percorso terapeutico viene sempre documentato e valutato in base ai risultati ottenuti. 1.5 Applicazioni della Pet Therapy Numerosi sono i benefici della pet therapy, riscontrabili in più ambiti • Cognitivo o Miglioramento

di

alcune

abilità

mentali,

in

particolare la capacità di memorizzazione e di alcune forme di pensiero riflessivo o induttivo; o Acquisizione della capacità di leggere e utilizzare linguaggi simbolici e gestuali; • Emotivo o Creazione di vissuti emotivi positivi, che aiutano a combattere

emozioni

e

sentimenti

negativi, 20


sviluppando alcune doti dell’intelligenza emotiva, come l’empatia e il controllo emotivo; o Crescita affettiva di bambini e adolescenti; o Rinforzo di comportamenti emotivamente adeguati; o Superamento delle tendenze egocentriche tipiche dell’infanzia; o Sviluppo di comportamenti responsabili e di comprensione dell’animale-terapeuta; o Sviluppo di buoni livelli di autostima, attraverso la costruzione di un’immagine positiva di sé; • Comportamentale o Rilassamento corporeo; o Riduzione dell’iperattività e dell’aggressività; o Acquisizione di regole e comportamenti adattivi, in modo piacevole; • Psicosociale o Miglioramento delle capacità di comunicazione e relazione; • Psicopatologico o Superamento di alcuni tipi di fobie, legate a situazioni che vengono evitate per paura o insicurezza in seguito a eventi traumatici, e che possono essere affrontate gradualmente grazie al senso di sicurezza indotto dalla presenza di un animale terapeutico; o Riduzione dello stress e dell’ansia, soprattutto quelli legati a condizioni di istituzionalizzazione (carcere, istituti per l’infanzia o per la terza età) o alla

21


necessità di sottoporsi per lungo tempo a cure mediche; • Psicomotorio o Riabilitazione di schemi motori e abitudini posturali; o Stimolazione del tono muscolare in situazioni di atrofia; o Miglioramento della motricità fine in soggetti portatori di handicap; 1.6 Controindicazioni della Pet Therapy È possibile che vi siano anche delle controindicazioni all’applicazione della pet therapy in quanto le AAA e le AAT sono sconsigliate nelle patologie organiche in cui andrebbe evitato il contatto con gli animali come per esempio l’ipocondria (per molti ipocondriaci gli animali sono portatori di virus o malattie), il disturbo ossessivo compulsivo (mania dell’igiene), l’oligofrenia grave (deficienza mentale congenita o acquisita nella prima infanzia), psicopatie e malattie mentali gravi (il rischio di incolumità per gli animali sarebbe enorme, in quanto questi

soggetti

sfogherebbero

sull’animale

tutta

la

loro

aggressività) e infine la zoofobia (cioè la paura del contatto con gli animali)19. Un altro problema che pone dei limiti all’uso degli animali come co-terapeuti è la presenza di allergie, ferite aperte o la carenza di difese immunitarie nel paziente: gli animali, specialmente se non ben curati, ospitano spesso parassiti e germi, innocui per i portatori,

ma

pericolosi

se

trasmessi

all’uomo.

Altre

19

G.
Proietti,
W.
La
Gatta,
La
Pet
therapy,
op.
cit.
p.7.

22


controindicazioni riguardano programmi con pazienti che non sono in grado di prendersi cura di altri esseri viventi, a causa delle loro condizioni psicofisiche, o gruppi di persone che, in presenza dell’animale, entrano ad esempio in competizione per il suo possesso. Per gli anziani l’interazione con un animale troppo vivace potrebbe essere pericolosa, in quanto potrebbe produrre cadute accidentali o infarti in caso di arrabbiature con l’animale. 1.7 Le figure professionali coinvolte Poiché la pet therapy si effettua su pazienti affetti da varie patologie, è necessaria un’équipe multidisciplinare che assiste la coppia formata dal conduttore e dal suo animale. È fondamentale anzitutto la presenza del medico e dello psicologo, che indicano gli obiettivi da conseguire per il miglioramento delle condizioni fisiche o psicologiche delle persone malate. Qualora il problema sia di tipo fisico e riguardi le capacità di movimento è utile che nell’équipe vi sia anche un terapista della riabilitazione. Non può inoltre mancare uno specialista delle problematiche che riguardano l’animale: il veterinario, che dovrebbe avere una specifica formazione nel settore; il conduttore che guida l’animale. In casi particolari, può essere necessario aggiungere all’équipe altre figure professionali, come per esempio un assistente sociale, un infermiere, un insegnante, un pedagogista, un etologo20.

20

Ivi,
p.55.

23


Il veterinario Nella pet therapy il veterinario si occupa di tutelare il benessere e la salute dell’animale. Fino a poco tempo fa le cure nei confronti dell’animale venivano prestate in una prospettiva incentrata sull’interesse del paziente, mentre ultimamente, l’accresciuta attenzione per gli animali ha portato a una valutazione anche del loro interesse, come elemento fondamentale in chiave bioetica. Il bilanciamento di questi due fattori è essenziale anche perché, se l’animale coinvolto in terapia si trovasse in una condizione di disagio non potrebbe neppure giovare al benessere e alla salute della persona coinvolta. Il compito del veterinario è dunque quello di vigilare sull’intero processo, garantendo all’animale uno stato di persistente benessere. Nel caso di un animale che debba seguire il padronecompagno in una struttura sanitaria o di ricovero, il compito del veterinario consiste anche nel garantirgli le condizioni migliori nel nuovo ambiente. Al momento di scegliere il pet da coinvolgere in un progetto di AAA, AAT o EAA, il veterinario, in accordo con l’équipe, dovrà individuare quello più idoneo a operare nella struttura e nel contesto ambientale di riferimento, dal punto di vista sia sanitario, sia del benessere dell’animale, in modo da favorire il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il medico Chi suggerisce di optare per la pet therapy è solitamente il medico di base, che conosce bene il paziente e la sua storia clinica, oppure uno specialista o in alcuni casi specifici, uno psicologo, uno psicoterapeuta, un educatore. Solitamente, dopo 24


aver valutato, in base alla patologia e alle caratteristiche del paziente, l’opportunità di una terapia con animali, si costituisce l’équipe che seguirà il progetto in tutto il suo percorso. Ogni terapia deve mirare a un miglioramento della situazione clinica del paziente, in modo verificabile e documentabile con i metodi della pratica clinica. Il medico proscrittore deve perciò conoscere le caratteristiche del trattamento, la sua reale efficacia, i sintomi o le patologie su cui può avere effetto e come ciò sia stato documentato. Deve sapere come, quando e con chi questo si possa

verificare;

conoscere

le

caratteristiche

fisiche

e

comportamentali dell’animale con cui viene condotta la terapia per meglio finalizzarla e naturalmente essere disposto alla piena collaborazione con gli altri specialisti che formano l’équipe multidisciplinare, elemento cardine della terapia. Il conduttore o pet partner Il conduttore o pet partner è colui che guida l’animale da utilizzare nella pet therapy. Egli garantisce il benessere del proprio animale, comprende al volo il suo bisogno di interagire, oppure di riposarsi o allontanarsi. L’intesa, l’affiatamento e la fiducia reciproca fanno della coppia cane-conduttore una “squadra” eccezionale. Tutto questo si raggiunge attraverso una formazione specifica, con il supporto di istruttori specializzati. L’etologo È colui che conosce in modo approfondito il comportamento degli animali e ha il compito di selezionare quello più adatto (cane, gatto, cavallo ecc.) alla tipologia di percorso che si vuole intraprendere. Ha inoltre il compito di istruire le persone 25


coinvolte. In collaborazione con il veterinario, terrà sempre sotto controllo lo stato di benessere psicofisico dell’animale, valutando il lavoro che questo può svolgere agevolmente, evitando di subire stress e vivendo la terapia come un gioco. Lo psicologo Lo psicologo che prende in carico il paziente analizza attentamente i processi relazionali che si vengono a instaurare nel corso degli incontri con l’animale coterapeuta. Altri operatori Il compito di monitorare le attività di relazione e interazione del fruitore con l’animale, in base al tipo di attività, può essere svolta a seconda dei casi, da educatori, psicologi, laureati in scienze motorie, operatori socio sanitari. Possono entrare a far parte dell’équipe

figure

professionali

aggiuntive

(fisiatra,

fisioterapeuta, neuropsichiatra infantile) individuate su specifiche esigenze del progetto che ne condivideranno le responsabilità in funzione del ruolo svolto. Il personale che occupa nel campo delle AAA, AAT, EAA necessita di una formazione adeguata e di un perfezionamento continuo, affinché ogni progetto possa essere ideato, pianificato e realizzato nel modo più efficace possibile, nel pieno rispetto delle esigenze dell’utente e dell’animale. Ogni professionista che prende parte a un progetto di pet therapy presso le strutture pubbliche deve essere abilitato a operare, previa frequenza di un

26


corso formativo specifico, nel campo degli interventi assistiti dagli animali21. 1.8 Luoghi della pet therapy La pet therapy, nelle sue varie forme, trova applicazione presso numerose strutture: ospedali, ambulatori, scuole, case di riposo, istituti che ospitano persone disabili, centri di assistenza, strutture riabilitative, istituti che accolgono bambini che mostrano gravi disagi psichici, comunità di recupero per tossicodipendenti, carceri, case famiglia e fattorie sociali. Gli interventi assistiti dagli animali devono essere svolti presso strutture sanitarie, residenziali o educative in regola con le vigenti normative veterinarie relative all’accreditamento per questo specifico ambito operativo. In particolare le AAT, necessitando di condizioni operative rigidamente controllate e standardizzate, possono essere svolte solamente presso strutture sanitarie (ospedali, strutture riabilitative per pazienti disabili, strutture riabilitative per pazienti psichiatrici ecc.) o presso strutture residenziali per animali (centri cinofili, centri equestri e maneggi,

fattorie

sociali

ecc.)

che

abbiano

ottenuto

l’autorizzazione sanitaria. La terapia viene svolta presso il domicilio dell’utente solo nell’ambito di programmi di assistenza domiciliare integrata22.

21

G.
Settimo,
Pet
therapy:gli
animali
che
curano.
Terapie
svolte
con
l’aiuto
degli
animali
 per
la
salute
fisica
e
psicologica
op.
cit.,p.p.,
29‐32.
 22 
Ivi,
p.33.

27


1.9 Le emozioni Il più importante meccanismo d’azione salutare del rapporto uomo-animale, sul quale si basa gran parte delle applicazioni della pet therapy, è di tipo affettivo ed ha una più o meno forte base emozionale. Anzi, quanto maggiore è il legame emozionale, tanto più intensi sono i risultati benefici. Le emozioni sono il momento saliente nelle relazioni sociali e umane e tra uomo e animale. Queste non sono solo umane ma anche animali ed è soprattutto una delle principali vie attraverso le quali si è sviluppato il rapporto dell’uomo con gli animali. Tra queste, le più

antiche

sono

quelle

dell’addomesticamento

e

della

familiarizzazione animale, mentre tra le più recenti vi è quella degli aspetti salutistici23. Le emozioni non sono accompagnate soltanto da mutamenti psichici, ma anche biologici: le variazioni dell’attività psichica, i particolari atteggiamenti mimici, i fenomeni viscerali (variazioni del ritmo cardiaco e respiratorio), le reazioni della muscolatura somatica, il tutto collegato da modificazioni neuro-ormonali. Le emozioni, pur essendo note da sempre, solo in tempi relativamente recenti hanno dato origine a dibattiti sulla loro origine. Il problema della genesi delle emozioni costituisce un argomento tra i più dibattuti della psicologia. Gli approcci teorici delle emozioni si ricollegano a due filosofi: Cartesio e Hobbes, che hanno affrontato questo problema. Cartesio si basa sull’idea che le emozioni sono un fatto soggettivo e privato. “ Le passioni sono la ripercussione dell’anima (psiche) di reazioni spontanee al nostro corpo a certe 




























































 23

A.
Pugliese,
Pet
therapy:
strategie
di
intervento
e
linee
guida
op.
cit.,
p.
40.

28


circostanze esterne. Le emozioni non hanno nessun valore cognitivo e non ci dicono nulla sul mondo, ma solamente che l’anima è stata emozionata dalla collera, dalla paura e così via. Le emozioni sono delle modificazioni dell’anima che rinviano all’anima stessa”(La passion de l’ame, 1649). Hobbes è centrato sull’idea che le emozioni non sono uno stato soggettivo, ma un momento saliente nella relazione tra gli attori24. In conformità a recenti ricerche, tra emozione, rilassamento ed effetti sanitari benefici (come quelli indotti dalla pet therapy) vi sono stretti legami. Con il rilassamento si ha una diminuzione del ritmo cardiaco e respiratorio, della pressione arteriosa e del tono muscolare,

con

modificazione

anche

delle

onde

elettroencefalografiche. La diminuzione della pressione arteriosa è stata ben studiata e molte volte confermata nel rapporto uomo-animale amico e posta alla base di alcuni benefici effetti della pet therapy, soprattutto nelle patologie cardiocircolatorie. La diminuzione del tono muscolare interessano

spiega

come

l’apparato

diverse

patologie

locomotorio

sono

croniche

che

beneficamente

influenzate dalla pet therapy. Recenti ricerche hanno meglio chiarito il rapporto che vi è tra un’emozione positiva ed il rilassamento neuro-psichico e somatico. L’effetto rilassante ottenuto anche in ambito di pet therapy ha importanti effetti sulla salute e secondo alcune ricerche di Herbert Benson25 risulta un miglioramento del 75% dell’insonnia, del 34% delle sindromi dolorose ed anche una certa diminuzione dell’infertilità femminile. 




























































 24

Ivi,
p.
45.
 
H.
Benson
dell’Harvard
University
(Usa),
The
Relaxation
Response,
1975.

25

29


La pet therapy almeno in parte opera attraverso le vie biochimiche della risposta di rilassamento: in altri termini un rapporto uomo-animale tranquillante, rassicurante, positivo e quindi rilassante interviene diminuendo la produzione di adrenalina ed altri ormoni corticosteroidi od “ormoni dello stress”, con il risultato finale di una minore pressione arteriosa, un ritmo cardiaco e respiratorio più lento e tutta una serie di altri benefici. Recentemente si è scoperto che le endorfine, molecole che il cervello elabora sotto l’influsso di emozioni, aumentano le difese immunitarie e quindi migliorano la resistenza contro le infezioni. Tutto ciò spiega come, attraverso meccanismi emozionali oggi si ha una sufficiente spiegazione dei risultati ottenuti, con la pet therapy, nella riduzione della durata della convalescenza di malattie infettive26. Di particolare interesse, si stanno rivelando le ricerche che riguardano le persone “senza emozioni” o

con

scarsa

emozionalità, ed il caso indicativo è quello dell’autismo. Questo è un complesso disturbo del comportamento che comprende un’ampia varietà di sintomi. I bambini colpiti d’autismo sono incapaci di interpretare le emozioni degli altri e non riescono a riconoscere la rabbia, la tristezza o l’inganno. La mancanza di un rapporto emozionale con gli altri è profondamente invalidante e si rivela in una serie di conseguenze. Le capacità verbali dei bambini autistici sono spesso limitate e riesce loro difficile incominciare o sostenere una conversazione con altre persone, mentre può essere più facile una comunicazione semplice con gli animali. Lo studio dei bambini autistici, a parte le applicazioni 




























































 26

A.
Pugliese,
Pet
therapy:
strategie
di
intervento
e
linee
guida
op.
cit.
p.
49.

30


della pet therapy, utilizzando stimolazioni sensoriali ed emotive più semplici di quelle interumane, si dimostra molto importante per comprendere l’importanza sociobiologica delle emozioni, non solo nell’evoluzione della socialità nell’ambito quindi di una stessa specie, ma anche tra specie diverse27. Le emozioni, nei loro aspetti psicologici e biologici, moti della psiche, sono anche elementi di socialità, non soltanto umane, ma anche animali. Dei rapporti emotivi in ambito di socialità animale, si occupò, a metà del secolo diciannovesimo, anche Charles Darwin. Un qualcosa da non sottovalutare, soprattutto per quanto riguarda il ruolo delle emozioni nel rapporto che l’uomo ha stabilito con gli animali, o che gli animali hanno indicato all’uomo come via di un rapporto intenso e privilegiato. Se è vero che molto di quanto riscontriamo nell’uomo lo troviamo, seppure in misura ridotta, anche negli animali, non possiamo considerare le emozioni solo umane, ma anche animali e soprattutto in una delle principali vie attraverso le quali si è sviluppato il rapporto dell’uomo con gli animali, in particolare nell’addomesticamento e nella familiarizzazione animale. Attraverso le emozioni, dunque, l’uomo sviluppa rapporti con altri uomini e con gli animali, in particolare con quelli a lui particolarmente più vicini o che a lui si avvicinano manifestando segni di emozione. Attraverso le emozioni l’uomo e gli animali soddisfano esigenze psichiche e calmano la “fame emozionale” della psiche, ma al tempo stesso la sviluppano e l’affinano. Nella nostra specie gli animali sono cibo della psiche, mano a mano che non lo sono più per il corpo. A riguardo ogni società sviluppa 




























































 27

Ibidem

31


una serie di tabù, riti e regole che per ciascuna specie identifica se e quando l’animale è nutrimento del corpo o dell’anima. Nelle odierne società occidentali, ad esempio, il cane e il gatto sono solo l’oggetto di attenzioni psichiche e sorgente di emozione, quindi nutrimento della psiche. In altre società, come quella della Cina meridionale, il cane è anche nutrimento del corpo. Riconoscere che gli animali sono un nutrimento della psiche umana, apre nuovi orizzonti interpretativi delle strutture sociali attuali e passate, ma al tempo stesso pone una serie di problemi. La zooantropologia e la storia dell’addomesticamento degli animali fornisce una corretta risposta al problema, che è anche alla base della pet therapy o di una zooterapia della psiche e del corpo. La zooterapia della psiche non è sostitutiva di carenze affettive umane ma affonda le sue radici nelle nostre lontanissime origini preumane. Questa è studiata oggi in ambito di pet therapy e ha valenze salutistiche non solo curative ma soprattutto preventive. Come per il corpo una completa e corretta nutrizione è indispensabile per la salute, anche per la salute della psiche è necessaria una sua nutrizione variata, che non comprende solo i rapporti interumani, ma anche quelli più ampi, soprattutto con gli animali28. 1.10 Diffusione della pet-therapy in Italia In Italia la pet therapy è approdata solo nel 1987, a seguito del convegno interdisciplinare tenutosi a Milano su “il ruolo degli 




























































 28

Ivi,
p.p.
51‐53.

32


animali nella società”. Qualche anno dopo, sempre a Milano, nel 1991, c’è stato un altro convegno internazionale: “Antropologia di una passione” che sottolineava il ruolo terapeutico degli animali nella vita umana in genere e non solo nei soggetti psichiatrici. Nel 1996 è apparso in Italia uno dei primi programmi di terapia con gli animali, presso la fondazione Robert Hollman di Cannero Riviera (Verbania), utilizzato su bambini con deficit visivo e plurihandicap. Anche a Padova c’è stato immediato interesse per questa terapia, con un progetto dal nome provocatorio “La fattoria in ospedale” che portava per la prima volta gli animali domestici nelle corsie29. In Italia la terapia assistita dagli animali è stata riconosciuta come cura ufficiale dal decreto del Consiglio dei ministri del febbraio 2003 all’interno del servizio sanitario nazionale. Tale decreto, che rappresenta un importante riconoscimento del valore terapeutico dell’animale nell’ambito di programmi ben definiti, permette anche di superare numerosi ostacoli e pregiudizi, che impedivano agli animali l’accesso in ospedali, istituti di cura e case di riposo30.

29

G.
Proietti‐W.
La
Gatta,
La
Pet
therapy
op.
cit.
p.
43.
 
G.
Settimo,
Pet
therapy:gli
animali
che
curano.
Terapie
svolte
con
l’aiuto
degli
animali
 per
la
salute
fisica
e
psicologica
op.
cit.
p.
20.
 30

33


Capitolo II “ Il motivo per il quale un maneggio svolge un’azione così benefica sulle persone dotate di ragione è che qui, unico posto al mondo, è possibile comprendere con lo spirito e osservare con gli occhi l’opportuna limitazione dell’azione e l’esclusione di ogni arbitrio e del caso. Qui uomo e animale si fondono in un tutt’uno, in maniera tale che non si saprebbe dire chi dei due effettivamente sta addestrando l’altro”. Goethe, 1801

2. L’ippoterapia Ho voluto inserire come incipit di questo capitolo una frase, a mio parere molto significativa, letta tantissime volte durante le mie ricerche su questo argomento, che introduce proprio cosa è l’ippoterapia. A molti sembrerà scontato come argomento, ma altri non sanno proprio di cosa si tratta. Innanzitutto l’ippoterapia è una tecnica riabilitativa che si prefigge attraverso l’uso del cavallo, la cura e la riabilitazione dei soggetti affetti da handicap psico-fisici. Il contesto ideale per svolgere questa pratica è il maneggio: in questo luogo non oppresso da muri, cavallo e uomo si incontrano, si scambiano emozioni, si fondono diventando un'unica cosa. 2.1 Cenni storici L’ippoterapia non è una pratica recente ma sin dai tempi più antichi il cavallo è stato considerato un essere vivente con alte caratteristiche relazionali nei confronti dell’uomo. 34


Tra gli antichi Greci, Ippocrate di Kos (458-370 a.C.), padre della medicina, aveva dimostrato che l’andare a cavallo fosse un ottimo rimedio contro l’insonnia e per rigenerare la salute31. Aschepiade di Prusia (124-40 a.C.), scrisse un trattato “Il moto a cavallo” in cui consigliava di montare a cavallo ai malati di epilessia, paralitici, apoplettici, letargici, frenetici. Anche la scienza Araba descrive i benefici dell’attività equestre32. L’utilizzo del cavallo come mezzo per rimanere in forma e soprattutto l’utilizzo delle arti mediche, ebbero un fiorente sviluppo durante il massimo splendore dell’Impero Romano ma alla sua caduta (476 d.C.), queste pratiche vennero quasi dimenticate. Dopo varie e brevi riprese dell’utilizzo del cavallo come terapia, si iniziò a parlare di ippoterapia, nell’accezione in cui la consideriamo oggi, solo a partire dalla II Guerra Mondiale. L’Inghilterra dopo i combattimenti si ritrovò con numerosi reduci affetti da gravi patologie sia fisiche che psichiche. I medici inglesi sperimentarono la riabilitazione attraverso attività equestri che diedero ottimi risultati e questa, infatti, nel mondo Anglosassone, è ancora tutt’oggi praticata. Nei paesi europei in cui era presente la cultura equestre, vennero approfonditi gli studi sul cavallo come mezzo terapeutico e si accorsero che il campo di intervento di disabilità che poteva essere affrontato con l’aiuto dell’animale, risultava molto più ampio. Comprendeva disabilità fisiche, psichiche, mentali, comportamentali e sensoriali. 




























































 31

G.
Settimo,
Pet
therapy:
gli
animali
che
curano.
Terapie
e
attività
svolte
con
l’aiuto
degli
 animali
per
la
salute
fisica
e
psicologica,
Red
Edizioni,
Milano,
2011,
op.
cit.
p.
61.
 32 
S.
Cerino,
M.
Frascarelli,
Testo
giuda
[guida]
di
riabilitazione
equestre
F.I.S.E.,
D&S
 Grafica,
Roma,
2011,
op.
cit.,p.
29.

35


Nel corso degli anni nacquero, soprattutto in Francia e Inghilterra, numerose associazioni riguardante l’equitazione per disabili o come viene anche chiamata, sulla Riabilitazione Equestre. Nel 1974 in particolare, anno storico per la Riabilitazione Equestre, ad Amburgo vi fu il I° Congresso Internazionale su questo argomento. Nello stesso luogo ma qualche anno più tardi, nel 1982, in un altro Congresso vennero codificate le quattro forme di Riabilitazione Equestre, da cui poi derivano quelle attuali33: • Equitazione Terapeutica (Ippoterapia) • Fisioterapia con e su il cavallo (Ippoterapia) • Rieducazione Equestre e volteggio • Equitazione e volteggio come attività sportiva per disabili In Italia ci si avvicina a queste pratiche solo a partire dagli anni ’70. A Milano nel 1976, presso l’ospedale Niguarda, iniziano i primi approcci terapeutici. Nel 1977 viene fondato l’A.N.I.R.E., Associazione Nazionale Italiana Riabilitazione Equestre che ha come scopo la rieducazione e la riabilitazione di soggetti portatori di handicap mediante l’uso del cavallo e di promuovere la pratica equestre a scopo riabilitativo e sportivo. L’associazione, istituendo corsi di formazione nel settore, promuove così la diffusione dell’ippoterapia a livello nazionale. A oggi l’A.N.I.R.E. è una delle organizzazioni riabilitative più attive in tutta Italia34.

33

Ivi,
p.
11.
 
Ivi,
p.
12.

34

36


2.2 Le patologie affrontabili con l’ippoterapia Quando si parla di ippoterapia la prima associazione mentale che in ciascuno di noi si crea, è costituita dalla persona handicappata che viene curata attraverso l’aiuto del cavallo. Con il termine handicap, si fa riferimento a numerose situazioni che possono rendere svantaggiata, soprattutto dal punto di vista fisico, una persona in rapporto alle altre35. La riabilitazione equestre ha a che fare sia con questi casi ma anche con altri. L’ippoterapia è indicata36 : • a livello neurologico per traumi cranio-encefalici, per controllare la postura e per favorire movimenti coordinati e precisi; è utile per migliorare le difficoltà cognitive e l’emotività; in casi di sclerosi multipla al fine di migliorare il controllo del tono posturale; in caso di paralisi cerebrali infantili si riesce a migliorare il controllo del tronco e degli arti inferiori e a favorire l’equilibrio; • a livello psichiatrico è indicata per migliorare le attività cognitive, relazionali, comportamentali e del linguaggio in casi di autismo, schizofrenia, sindrome di Down, iperattività; • nei casi di persone con disagi sociali come anoressia, bulimia e tossicodipendenza; • per persone con disturbi psicotici e schizofrenici37;

35

R.
Lambruschi,
I
segreti
dell’equitazione
integrata:il
lavoro
educativo
attraverso
la
 mediazione
animale,Equitabile
sei,
2011,
p.
13.
 36 
V.
Tondi
Della
Mura,
E.
Del
Gottardo
(a
cura
di),
Ippoterapia
e
formazione
emozionale,
 op.
cit.
p.
117.
 37 
S.
Cerino,
M.
Frascarelli,
Testo
giuda
di
riabilitazione
equestre
F.I.S.E.,
op.
cit.
p.99.

37


Lo scopo dell’ippoterapia, come tecnica di riabilitazione neuromotoria, è di far si che il soggetto , acquisisca le competenze posturali e motorie riferibili alle diverse patologie. L’assetto del cavallo è il più corretto ed è adatto per migliorare gli schemi posturali patologici. Il solo montare a cavallo è un beneficio, in quanto la posizione obbliga l’apertura obbligata delle anche e il raddrizzamento del bacino. Il movimento ritmico e oscillatorio del cavallo determina nel paziente numerosi stimoli sensoriali e sensitivi38. L’ippoterapia, nonostante riesca ad affrontare una molteplicità di patologie nella sua terapia, ha delle limitazioni che vanno valutate a seconda del caso. Generalmente si afferma che la riabilitazione equestre è controindicata nei soggetti che hanno instabilità o malformazioni del rachide e nei casi di scoliosi grave; è controindicata nei casi in cui siano presenti fobie sia per l’animale che per l’altezza. Sconsigliata in casi di lussazione dell’anca, fragilità ossea e decalcificazione39. 2.3 I benefici dell’ippoterapia “L’ippoterapia è un complesso di attività di riabilitazione valida per casi di deficit sia motori che psichici. In particolare la riabilitazione equestre è indicata nel trattamento di numerose patologie: dalle paralisi celebrali infantili a quelle centrali o periferiche conseguenti a encefalopatie, poliomielite o ictus, dalle lesioni midollari conseguenti a traumi della spina bifida, dalla schizofrenia all’autismo, alle psicosi infantili e a numerosi 




























































 38

V.
Tondi
Della
Mura,
E.
Del
Gottardo
(a
cura
di),
Ippoterapia
e
formazione
emozionale,
 op.
cit.
p.
119.
 39 
S.
Cerino,
M.
Frascarelli,
Testo
giuda
di
riabilitazione
equestre
F.I.S.E.,
op.
cit.
p.30.

38


disturbi sia del comportamento che dell’equilibrio. Dal punto di vista motorio tale attività migliora la coordinazione dei movimenti, il mantenimento dell’equilibrio, il controllo del tronco, l’orientamento spazio-temporale e permette un uso parziale degli arti inferiori. Nell’ambito psichico l’ippoterapia ha il pregio di migliorare gli aspetti relazionali, comportamentali socio-affettivi ed emotivi, di acquisire la coscienza del proprio schema corporeo, di accrescere il senso di responsabilità e di autostima al fine di sviluppare l’autonomia del paziente40.” Questa definizione sull’ippoterapia e sui suoi benefici, si evince dalla relazione svoltasi il 27 maggio 2008 da parte della commissione di Igiene e sanità, riguardante il disegno di legge: “Norme sulla riabilitazione attraverso l’uso del cavallo”41. Questo d.d.l. e numerosi altri successivi, vennero stilati con lo scopo di riconoscere la terapia per mezzo del cavallo come una vera e propria terapia riabilitativa, distinguendola dalla semplice attività ludico-ricreativa. I benefici attraverso questa attività sono molteplici ottenuti grazie all’alternarsi di gioco e attività fisica che permettono di sfruttare al meglio le potenzialità residue della persona. Lo scopo della riabilitazione equestre è quello di condurre la persona diversamente abile a raggiungere la migliore qualità di vita sia sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale. Dunque attraverso questa terapia si cerca di recuperare le competenze funzionali che il paziente ha perso a seguito di una

40

V.
Tondi
Della
Mura,
E.
Del
Gottardo
(a
cura
di),
Ippoterapia
e
formazione
emozionale,
 op.
cit.
p.
58.
 41 
Ibidem

39


patologia ed è necessario che le metodologie di recupero siano specifiche e ben definite42. Vengono utilizzati due approcci alla riabilitazione43: • approccio meccanicistico utilizza l’esercizio fisico al fine di recuperare la forza e l’articolarità attraverso movimenti passivi sul dorso del cavallo e attraverso la contrazione muscolare. Attraverso questo approccio si considera il movimento come lo spostamento di leve scheletriche e grazie alle contrazioni muscolari che utilizzano le forze fisiche si ottengono effetti fisici. • approccio cognitivista attraverso questa prospettiva si utilizza l’esercizio come uno strumento che porta a dare significato al mondo. Il recupero, in questo caso, consiste in un percorso di apprendimento in cui i processi mentali come memoria, linguaggio e attenzione, hanno un ruolo determinante. L’uomo, in questo caso, non viene considerato come un sistema di parti indipendenti ma come una totalità e dunque l’esercizio viene sviluppato secondo le competenze del paziente attraverso obiettivi singoli. La riabilitazione equestre cerca di mettere in crisi gli atteggiamenti comportamentali di tipo adattivo e compensativo in modo che il controllo del movimento diventi un processo di apprendimento in condizioni patologiche di una persona diversamente abile. Attraverso la riabilitazione il paziente deve riuscire a riconquistare l’autonomia e con l’aiuto del riabilitatore, cercare i modi più adeguati per poter vivere una vita soddisfacente. Questo 




























































 42

R.
Lambruschi,
I
segreti
dell’equitazione
integrata:il
lavoro
educativo
attraverso
la
 mediazione
animale,
op.
cit.
p.69.
 43 
S.
Cerino,
M.
Frascarelli,
Testo
giuda
di
riabilitazione
equestre,
op.
cit.
p.
68.

40


è possibile grazie a un buon lavoro d’èquipe in cui si è cercato, da una parte di curare la patologia e dall’altra di fornire alla persona spunti per affrontare le situazioni quotidiane e prendere fiducia in sé. L’obiettivo più difficile da raggiungere è appunto l’autonomia , considerata non solo come autonomia motoria ma soprattutto come autonomia emotiva e mentale44. 2.4 L’area destinata all’Ipporiabilitazione L’ippoterapia, non svolgendo il suo trattamento in un ambiente clinico, riesce a capovolgere le tradizionali cure, immergendo il paziente disabile in un contesto naturalmente aperto. Attraverso questo tipo di attività si da la possibilità all’utente, di interagire con un’èquipe d’intervento costituita da più figure professionali, di avere una relazione aperta con i coetanei e di vivere una rapporto con un animale straordinario: il cavallo45. Il disabile diventa il protagonista della terapia e attraverso i tramiti del cavallo e dell’operatore, riesce ad avere adeguati slanci emozionali integrati con l’attività senso-motoria. Il cavallo e l’operatore spingono il paziente a potenziare le risorse di cui è dotato, lo indirizzano all’autosufficienza incrementando i livelli di autostima. L’esercizio ipporiabilitativo richiede interventi mirati e multipli in modo da poter ridurre nel paziente infermità cliniche, sia dal

44

N.
Angelini,
F.
Marino,
Ippoterapia:
istruzioni
per
l’uso.
Il
modello
delle
attività
equestri
 integrate,
Equitare,
2006,
p.196.

 45 
V.
Tondi
Della
Mura,
E.
Del
Gottardo
(a
cura
di),
Ippoterapia
e
formazione
emozionale,
 Armando
Editore,
Roma,
2010,
p.
98.

41


punto di vista dell’equilibrio e della postura ma anche a livello psicologico e relazionale46. È necessario che il luogo dove si svolge la terapia, il maneggio per l’appunto, abbia delle caratteristiche fondamentali. Innanzitutto deve essere adeguatamente attrezzato sia per le esigenze del paziente e del cavallo e sia per quelle degli operatori che vi lavorano; deve avere un ampiezza adeguata e deve trovarsi a debita distanza da concentrazioni abitate. Gli spazi all’interno del maneggio devono essere ben definiti in quanto, come qualsiasi attività terapeutica/ educativa, è necessario che l’utente riconosca i luoghi e i momenti della terapia: spazio riservato al vero e proprio intervento riabilitativo, scuderie, box, selleria/finimenti, magazzino/supporti strumentali, fienile47. 2.5 Il cavallo ideale per la riabilitazione equestre Il cavallo, mezzo attraverso il quale si svolge la terapia, è fondamentale che possegga delle caratteristiche particolari per ottenere dei buoni risultati. Quest’animale non è solo il “mezzo” attraverso cui si svolge la terapia, ma viene definito un vero e proprio co-terapeuta. Essendo un animale facilmente addestrabile, riesce in poco tempo a fare le cose che l’uomo gli chiede, nonostante non siano nella sua indole di comportamento. Il cavallo ha però bisogno di avere fiducia nella persona che ha cura di lui e non si sentirebbe sicuro nel caso in cui venisse montato da un cavaliere inesperto. 




























































 46

N.
Sole,
L’ippoterapia:Neuropsicomotricità
in
età
evolutiva
e
patologia
neuro
 psicomotoria,Franco
Angeli,
Milano,
2003,
op.
cit.
p.
92.
 47 
Ivi,
p.
94.

42


Il cavallo è un animale intelligente, molto sensibile e paziente nei confronti dell’uomo e nei casi di maltrattamento non dimentica e reagisce mordendo, tirando calci e fuggendo. In questo tipo di approccio è necessario che il cavallo possegga alcuni requisiti in quanto dovrà far montare sulla sua groppa persone non esperte nel campo dell’equitazione48. Alcuni esperti49 hanno cercato di elaborare linee comuni per delineare quali potessero essere le caratteristiche principali di un cavallo adatto alla riabilitazione che si possono sintetizzare in: • Taglia medio con altezza non superiore ai 150-155 cm per agevolare il lavoro dell’operatore; • Garrese

non

eccessivamente

pronunciato

per

non

determinare danni ala spina dorsale del cavaliere; • Incollatura larga e muscolosa per fornire maggior sicurezza al terapeuta; • La groppa dovrebbe essere larga per facilitarne i movimenti; • Arti anteriori e posteriori sicuri e solidi, senza lesioni o traumi per evitare di intaccare la fluidità del movimento; • La schiena ben proporzionata; • Età non inferiore agli 8/10 anni in quanto i soggetti più giovani hanno un temperamento vivace e necessitano di un periodo di addestramento più lungo; • Il sesso dell’animale non è determinante: sia femmine che castroni;

48

A.
Pasquinelli,
P.
Allori,
M.
Papini,
Manuale
di
riabilitazione
equestre:
principi,
 metodologia,
organizzazione,
Sorbello
editore,
Millesimo
(Savona),
2009.
 49 R.
Lambruschi,
I
segreti
dell’equitazione
integrata:il
lavoro
educativo
attraverso
la
 mediazione
animale,
op.
cit.
p.
51.

43


Molto spesso queste caratteristiche non vengono pienamente rispettate in quanto, avere un cavallo adatto ad ogni singolo caso, comporta soprattutto molte spese per chi deve prendersene cura. I cavalli oltre ad essere sfamati, devono essere tenuti in allenamento e curati, sia prima che dopo le sedute, in modo da mantenere il loro potenziale elastico e cinetico come qualsiasi cavallo sportivo. È vero anche che molti cavalli ritenuti “non idonei”, in base alle caratteristiche elencate, si rivelano comunque degli ottimi coterapeuti in casi in cui l’utente presenta deficit riconducibili alla sfera intellettiva o relazionale. È molto importante che il cavallo sia affidabile e dunque è necessario prepararlo al meglio, alternando lavoro montato o alla corda con le attività di riabilitazione equestre vera e propria e permettendogli un periodo di svago all’aria aperta. In quest’animale sono state riconosciute delle doti quasi umane che pochi animali possiedono: sensibilità, tranquillità, capacità interpretativa, affettività, oltre alla forza, al valore, alla perseveranza50. Per questo è stato scelto nelle attività riabilitative nelle quali ha dimostrato di possedere doti specifiche e rilevanti:  ha la capacità di instaurare una relazione con il cavaliere facendo distinzione tra le persone; riesce ad accorgersi quando una persona è debole, come accade con i bambini e i disabili;

50

V.
Tondi
Della
Mura,
E.
Del
Gottardo
(a
cura
di),
Ippoterapia
e
formazione
emozionale,
 op.
cit.
p.
86.

44


 riesce ad accettare con tranquillità le limitazioni dei pazienti che molto spesso danno dei comandi non del tutto adeguati;  rispetta il cavaliere che gli sta in groppa ed evita le situazioni di pericolosità;  esprime il suo stato d’animo, le sue opposizioni e i suoi rifiuti;  dimostra curiosità e una partecipazione attenta e questo è positivo in quanto stimola i cavalieri ad avere lo stesso atteggiamento;  a seconda della situazione è molto energico, è sicuro e ha capacità di prestazioni delicate o intense, a seconda della situazione51. Il cavallo, grazie a queste doti, è stato riconosciuto come un valido co-terapeuta per un attività complessa come quella dell’ippoterapia. Quest’animale, oltre ad offrire un aiuto terapeutico dal punto di vista prettamente fisico e psicologico, riesce ad offrire un aiuto anche dal punto di vista del reinserimento sociale delle persone con disabilità. Infatti, al termine del percorso riabilitativo, dopo un’adeguata preparazione, ai soggetti disabili potrà essere affidato un lavoro all’interno del maneggio: pulizia degli ambienti, cura degli animali, manutenzione dei campi52. La riabilitazione equestre, dunque, appartiene all’ambito delle terapie assistite con animali: la pet therapy per l’appunto. Questa tecnica è caratterizzata da qualità che la rendono affine al percorso riabilitativo di un soggetto; il cavallo innanzitutto 




























































 51

V.
Tondi
Della
Mura,
E.
Del
Gottardo
(a
cura
di),
Ippoterapia
e
formazione
emozionale,
 op.
cit.
p.
86.
 52 
Ibidem

45


stimola il soggetto, lo motiva e interagisce con lui attraverso il gioco. Una delle caratteristiche di questa pratica, che la rende differente da qualsiasi altra cura riabilitativa, è il contesto in cui si svolge. Un luogo naturale e aperto, non ospedalizzato: il maneggio.

2.6 Fasi dei programmi di Riabilitazione Equestre L’intervento riabilitativo deve inserirsi all’interno di un progetto individuale elaborato dall’èquipe che deve tener conto, in maniera globale dei bisogni del paziente, delle sue menomazioni e disabilità e definire quali sono gli esiti desiderati e in quali tempi. Questo tipo di intervento necessita di personale medico e tecnico specializzato, di una disponibilità di spazi adeguatamente attrezzati, di un’organizzazione del lavoro, in modo da poter garantire un idonea funzione di supporto, finalizzata alla protezione e alla stimolazione delle capacità funzionali e relazionali dei soggetti in terapia53. Il programma riabilitativo viene strutturato dall’èquipe e coordinato dal medico responsabile: il fisiatra-neuropsichiatra. È necessario innanzitutto avere alcuni punti per l’organizzazione della riabilitazione:  definire il motivo per cui il paziente necessita in quel momento di quel determinato trattamento;  stabilire quali sono le aree di intervento specifiche durante il periodo della terapia; 




























































 53

S.
Cerino,
M.
Frascarelli,
Testo
giuda
di
riabilitazione
equestre
F.I.S.E.,
op.
cit.
p.
69.

46


 individuare gli obiettivi che ci si pone di raggiungere, sia immediati che a lungo termine;  definire i tempi necessari per l’effettuazione degli interventi;  individuare gli operatori coinvolti negli interventi;  verificare e aggiornare periodicamente, durante il periodo della riabilitazione, gli obiettivi preposti in partenza; La riabilitazione ha come scopo quello di portare la persona disabile a raggiungere il miglior livello di vita possibile; questo si ottiene anche grazie all’aiuto e alla collaborazione della famiglia senza la quale qualsiasi intervento risulterebbe più difficoltoso. Per il diversamente abile, l’ippoterapia diventa lo strumento attraverso cui prendere coscienza delle proprie capacità, non solo vedendola come una vera e propria terapia, ma mediando attraverso il gioco e la disciplina, alla pari degli altri coetanei, in un contesto non ospedalizzato54. Il percorso terapeutico e le diverse fasi da seguire, saranno adattate alle caratteristiche del soggetto. Uno degli obiettivi di questo percorso è l’introduzione graduale del soggetto all’interno di un gruppo, nel quale può condividere l’esperienza della pratica equestre. La riuscita terapeutica della riabilitazione equestre è correlata al buon lavoro d’èquipe, composta da specifiche personalità con compiti ben definiti. Questo garantisce la qualità del progetto terapeutico e il mantenimento dei contatti con il paziente e la sua famiglia.

54

M.
Fascarelli,
D.N.
Citterio,
Trattato
di
riabilitazione
equestre,
Roma,
Phoenix,
2001.

Op.
 cit.
p.
70.

47


La presenza di un’animale, il cavallo, costituisce una motivazione in più per frequentare il percorso riabilitativo, in quanto esso interagisce utilizzando un linguaggio non verbale e il gioco. La durata e la frequenza degli incontri di ippoterapia, viene stabilita dall’èquipe, in relazione alla situazione generale del paziente. Ogni fase del lavoro viene video monitorata e valutata per garantirne la qualità e la correttezza. In relazione alle diverse patologie, sono consigliati specifici approcci e metodologie. Il rispetto delle controindicazioni è necessario, quindi è bene, prima di accettare un paziente, analizzare il caso in tutte le sue parti55. L’approccio con il cavallo è ricco di contenuti psicologici, pertanto è necessario che il primo incontro si sviluppi in modo tranquillo ma significativo. Inizialmente il paziente viene avvicinato all’animale da terra in modo che possa avere un contatto almeno visivo. Successivamente e con il passare del tempo, gli da il cibo e lo accudisce, sempre nella scansione del tempo prefissato e supportato dal terapeuta. Dopo che inizia a stabilire un rapporto da terra, attraverso la conduzione con la corda, il paziente viene fatto montare in sella. Accudire il cavallo, richiede regole e tempi precisi e governarlo implica l’utilizzo di diversi materiali, che stimolano il paziente sotto la linea fisica e psichica56. La scelta della bardatura è correlata all’esigenze del paziente; il fascione permette di privilegiare il contatto diretto con l’animale

55

N.
Sole,
L’ippoterapia:
Neuropsicomotricità
in
età
evolutiva
e
patologia
neuro
 psicomotoria,
op.
cit.
p.
129.
 56 
N.
Angelini,
F.
Marino,
Ippoterapia:
istruzioni
per
l’uso.
Il
modello
delle
attività
equestri
 integrate,
op.
cit.
p.5.

48


favorendo la scoperta e il ricompattamento corporeo, mentre la sella è utile per delimitare tra il se e il non se. L’interazione tra il cavallo e il cavaliere è basata su uno scambio di informazioni fisico-sensoriali e qui il paziente attraverso la conduzione con le redini, sperimenterà la sua capacità di gestione e indipendenza. 57

Il movimento del cavallo

si basa su tre andature: passo, trotto e galoppo. La scelta

dell’andatura

è

connessa allo stato del paziente, ma solitamente, nella fase dell’ippoterapia, viene utilizzato il passo: con questa andatura il cavaliere

subisce

una

spinta postero-anteriore, una verticale dal basso verso l’alto e viceversa e una laterale di lieve intensità. Se il paziente si trova in una corretta posizione, subisce un movimento tridimensionale, con la trasmissione di stimoli corretti a livello spinale, cerebellare e corticale. Il paziente instaura con il cavallo un dialogo attraverso il corpo, in quanto il movimento lento e ritmico ha un effetto rassicurante. È attraverso la corporeità e la scoperta del corpo che la riabilitazione equestre accede alla psiche. La consapevolezza del proprio corpo è fondamentale per poter avere uno sviluppo fisico e psicologico. E dunque attraverso il contatto corporeo con il 




























































 57

P.
J.
G.
Au,
Zen
and
the
horse:
body,
mind
and
spiritual
unity
through
the
art
of
 equitation,
Xlibris
Corporation,
U.S.A.,
2010,
p.
69.

49


cavallo e senza parole, il cavaliere si fa guidare attraverso un percorso di cambiamento e di crescita58. 2.7 Finimenti e andature Prima di montare a cavallo è necessario conoscere ciò che serve per la bardatura. Il primo rapporto in sella che il cavaliere ha con il cavallo è dato dall’emissione dei comandi attraverso le redini (in sardo vengono chiamate sos bancos de briglia). Queste segnano la dipendenza del rapporto tra uomo e animale a partire dall’imboccatura (sa mossa e sa briglia). È infatti attraverso l’imboccatura che il cavallo riceve i comandi. Queste sono i filetti e i morsi. Con il termine “filetto” si intende il complesso di imboccatura esente da leve, mentre il “morso” è l’imboccatura caratterizzata dalla presenza di leve. La scelta dell’imboccatura è determinante nell’esecuzione dei comandi, in quanto, a seconda di quella che viene utilizzata, il cavallo sente più o meno i comandi. Il materiale delle imboccature ha variato nel tempo: dal legno si è passati all’acciaio che vennero sostituiti in seguito dal rame, a cui si riconobbe la capacità nel cavallo di una più completa masticazione e una maggiore morbidezza. Viene privilegiato infine il cuoio, gradito al cavallo, in quanto non interferisce con la masticazione59. Il filetto è composto da varie parti:  Il sopracapo  Il sottogola 




























































 58

S.
Cerino,
M.
Frascarelli,
Testo
giuda
di
riabilitazione
equestre
F.I.S.E.,
op.
cit.
p.
31.
 
N.
Sole,
L’ippoterapia:
Neuropsicomotricità
in
età
evolutiva
e
patologia
neuro
 psicomotoria,
op.
cit.
p.
111.
 59

50


 La testiera  Il frontale, inserito al sopracapo mediante appositi spazi  La capezzina  I montanti, fissati sia alle anelle del filetto che al sopracapo  Il filetto, ovvero l’imboccatura  La redine, attraverso cui vengono trasmessi i comandi al cavallo. Il morso, ben rappresentato dalla tipica briglia sarda (sa briglia) presenta la stessa composizione del filetto ma si differenzia da esso per la presenza di un imboccatura curvata. A quest’ultima è agganciata una catenella (s’avule) che nel momento in cui vengono dati i comandi fa pressione sul muso dell’animale rendendo l’ordine più efficace.

60

60

La
prima
foto
è
di
un
Filetto,
la
seconda
di
un
Morso
sardo.

51


Un altro supporto correlato all’equitazione è rappresentato dal feltro (su battile). Si tratta di un lembo di fibre di lana, con uno spessore di 3-4 centimetri, di dimensioni un po’ più grandi della sella, che viene posizionato al di sotto di essa, direttamente sul dorso del cavallo. Questo ha la funzione di attutire il peso e le sporgenze della sella, che deve essere comoda sia per il cavallo che per il cavaliere: in caso contrario potrebbe fiaccare il cavallo e provocarli dolore e quindi mettere a rischio l’incolumità del cavaliere. In base ai vari tipi di monta e alle caratteristiche del cavallo e al suo temperamento, viene utilizzato un certo tipo di sella61:  la sella col pallino o sella mista, di origini spagnole, è molto solida con una struttura portante in fico e con dei rinforzi in ferro. Questa presenta un pomo di legno non molto rilevato: il “pallino” da cui la sella prende il nome. Va ancorata al cavallo a doppi sistemi: ha il fissaggio sottostante alla coda, nel pettorale e nel sottopancia tramite fibbie di cuoio; caratteristica di questa sella è il “bardellino”, un cuscinetto imbottito che fissato al sottocoda evita lo sfregamento del finimento di cuoio sulla groppa dl cavallo; le staffe sono di ghisa o di ferro, di piccole dimensioni;  molto simile a questo tipo di sella è la tipica sella sarda “su seddazzu”. Questa, interamente in legno, viene ancorata al cavallo allo stesso modo, attraverso il sottocoda (sa latranga), il pettorale (su pettorale) e il sottopancia (sa chingia). Non presenta rinforzi in ferro ma un imbottitura 




























































 61

Ivi,
p.
115.

52


in paglia di fieno nella parte inferiore per attutire il peso sul cavallo; come sella risulta molto leggera e sicura in quanto ancorata in tre punti del cavallo e anche se il cavaliere dovesse sbilanciarsi, sarebbe quasi impossibile cadere; è una sella molto resistente in quanto nata come sella da lavoro.  la sella scafarda è una sella molto comoda, in quanto presenta un arcione, ovvero un’ampia superficie di allocazione del cavaliere, con dei cuscini sottobanda che amplificano la comodità di adattamento al dorso del cavallo; il sottopancia con le fibbie viene sostituito con un sottopancia a giro;  la sella western, risulta più pesante e massiccia, ma molto comoda per il cavaliere; ha un pomolo pronunciato sul davanti; l’arcione risulta elevato e privo di sporgenze: adatto per rendere più pratica la salita e la discesa; le staffe molto ampie e tenute lunghe per facilitare la salita;  La sella inglese, molto più leggera di quella precedente, non presenta pomelli; ha una struttura molto piccola e sotto il seggio presenta due cuscini imbottiti con lana o altro materiale che permettono l’aderenza alla groppa del cavallo e dona un appoggio morbido; il rivestimento è in cuoio e le staffe sono in ferro. Una volta che il paziente è entrato in contatto con il cavallo, ha avuto modo di conoscere i finimenti che servono per poterlo montare e supportato dall’operatore, ha bardato il cavallo in modo adeguato, è pronto per salire in groppa62. 




























































 62

Ivi,
p.
116.

53


Le andature utilizzate in campo di riabilitazione equestre sono solitamente due, sempre in riferimento alla patologia del soggetto. Quella che viene maggiormente utilizzata è il passo soprattutto con soggetti che presentano patologie psichiche o motorie sia lievi che gravi, in quanto questa andatura produce reazioni ritmiche sul corpo del cavaliere63. Il passo è utilizzato anche per armonizzare e migliorare la deambulazione di soggetti con sindrome distonica64 anche attraverso l’accompagnamento a terra del cavallo. Tra le tipologie di passo, la più utilizzata in riabilitazione equestre è quella definita “ordinario”, caratterizzato da spinte anteriori, posteriori e velocità moderate, che risulta idoneo per tutte le patologie. Il passo detto “allungato”, si utilizza invece quando si vuole ottenere una maggiore mobilizzazione del bacino, in quanto l’apertura degli arti del cavallo risulta maggiore e dunque il baricentro del cavaliere si sposta in minor tempo. Il passo “raccorciato” serve per ottenere un maggiore controllo del tronco, in quanto, diminuendo la velocità, il cavallo costringe il paziente ad avere un maggior controllo dell’assetto posturale. L’altra andatura utilizzata è quella del trotto, in cui si predilige quello “ordinario”in quanto ha un’andatura naturale con un ritmo uniforme. Il trotto “medio” e quello “allungato” 




























































 63

V.
Tondi
Della
Mura,
E.
Del
Gottardo
(a
cura
di),
Ippoterapia
e
formazione
emozionale,
 op.
cit.
p.
119.
 64 Definizione
 generale:
 La
 distonia
 rappresenta
 nell’uomo
 il
 terzo
 più
 comune
 disordine
 del
 movimento
 e
 comprende
 un
 ampia
 gamma
 di
 differenti
 sindromi
 cliniche.
 E’
 caratterizzata
 da
 alterazioni
 nel
 controllo
 del
 movimento
 con
 forti
 spasmi
 e
 contrazioni
 muscolari
 involontarie
 accompagnati
 in
 alcuni
 casi
 anche
 da
 forti
 dolori.
 Possono
 essere
 colpiti
 singoli
 muscoli
 (es
 palpebre),
 gruppi
 muscolari
 piu
 ampi
 come
 quelli
 degli
 arti
 inferiori
 e
 superiori,
 o
 l’intero
 organismo.(Tesi
 di
 dottorato
 di
 Ricerca
 in
 Neuroscienze,
 Università
degli
studi
di
Roma,
Giuseppe
Sciamanna,
A.A.
2008/2009).

54


presumono un’intensa attività da parte del disabile in quanto si tratta di un’andatura di maggiore intensità. Un’altra tipologia è quella del galoppo che solitamente non viene utilizzata in riabilitazione equestre, nonostante sia provato che i soggetti che sono capaci ad utilizzarla, riescono ad ottenere ottimi risultati, sia grazie al miglior equilibrio ma anche a una maggiore coordinazione e all’indipendenza dei movimenti. Soprattutto in soggetti con problemi psichici, il galoppo risulta efficace, in quanto aiuta al recupero dell’autostima e del coraggio. Il contatto con il cavallo da terra e la conoscenza delle bardature, serve per stimolare la motricità delle mani; l’attività a cavallo riduce gli stati di ansia e di agitazione, grazie al movimento del cavallo che gradualmente, dona rilassamento e benessere. La riabilitazione permette il rafforzamento della personalità e in seguito

alle

attività,

una

maggiore

autonomia

e

responsabilizzazione65. 2.8 Figure terapeutiche e competenze Il processo di riabilitazione equestre è molto complesso e non si riduce all’interazione tra specialista paziente e cavallo ma presenta un’èquipe più articolata, in base alle esigenze di ogni singolo caso. Questa non è semplicemente un gruppo di professionisti che interagiscono al fine di raggiungere un obiettivo, ma è soprattutto

65

V.
Tondi
Della
Mura,
E.
Del
Gottardo
(a
cura
di),
Ippoterapia
e
formazione
emozionale,
 op.
cit.
p.
120.

55


un gruppo di lavoro, che deve collaborare attivamente per il benessere del paziente. Un’èquipe d’intervento può essere composta da un pedagogista, un educatore, uno psicologo, un fisioterapista, un istruttore di equitazione e un neurologo. All’interno di questo gruppo di lavoro è necessario che tra i membri ci sia coesione e una stretta collaborazione. Altre figure professionali, alla pari delle precedenti, come il fisiatra, il neuropsichiatra infantile e il veterinario; quest’ultimo fondamentale, in quanto deve monitorare costantemente la salute del cavallo, che è il membro fondamentale di tutta l’azione terapeutica66. I ruoli delle figure professionali della riabilitazione equestre, sono gli stessi di una generica pet therapy, mentre la figura che si differenzia

da

qualsiasi

altro

intervento,

è

la

figura

dell’ippoterapeuta. L’area di intervento a cui questo specialista fa riferimento, va dai pazienti psicotici e autistici ai disabili del funzionamento neuro psicomotorio, dai depressi e socialmente disadattati a persone affette da tossico vizi. L’ippoterapeuta è una figura professionale, dotata di potenziali d’intervento diagnostico-terapeutici a risonanza specialistica. Egli deve studiare ogni singolo caso e intervenire attraverso obiettivi mirati, sia a livello funzionale che motorio e stabilendo le modalità d’inizio, della durata e della conclusione dell’attività riabilitativa. È essenziale che l’ippoterapeuta, venga a conoscenza delle informazioni inerenti il vissuto familiare del disabile e di quello 




























































 66

Ivi,
p.
144.

56


scolastico; è qui che il soggetto entra in relazione con un contesto extrafamiliare ed è qui che si forma la sua personalità. L’ippoterapeuta dovrà tener conto del temperamento e del carattere del disabile, in quanto è consapevole che dovrà accostare il soggetto a un animale che ha una propria indole comportamentale e da questo dipenderà appunto la scelta del cavallo. Accostandosi all’animale, dovrà procedere evitando bruschi movimenti, dovrà parlargli con tono basso e l’approccio alle attività richieste, sarà scandito gradualmente nel tempo. Lo specialista

informerà

gli

assistiti

sulle

caratteristiche

comportamentali del cavallo in determinate situazioni e cercherà far stabilire una relazione nel migliore dei modi possibili67.

67

N.
Sole,
L’ippoterapia:
Neuropsicomotricità
in
età
evolutiva
e
patologia
neuro
 psicomotoria,
op.
cit.
p.
130.

57


Capitolo III “Un rapporto silenzioso che ti riempie in assoluto gli occhi, il cuore, la mente, l’anima … Il vero oro non tintinna e non brilla. Luccica al sole e nitrisce al buio …”

3. Una patologia specifica: l’anoressia La citazione proviene dall’articolo di una giornalista che racconta la storia di una ragazza anoressica, che è riuscita a superare la malattia attraverso l’aiuto del cavallo. La testimonianza, anonima, venne pubblicata sul sito di Equitabile68. La ragazza è riuscita ad affrontare una malattia come l’anoressia, sia attraverso terapie mediche ma soprattutto attraverso l’aiuto dei cavalli, che “senza nessun camice bianco, nella loro spontaneità e sincerità, erano riusciti a darmi l’aiuto silenzioso di cui avevo bisogno”69. 




























































 68

www.equitabile.it/equitazione‐integrata/anoressia‐una‐testimonianza/
 
Ibidem

69

58


Molte persone non sono a conoscenza del fatto, che è possibile trovare un rimedio all’anoressia o ai disturbi del comportamento alimentare in generale, attraverso la riabilitazione equestre. In effetti se cerchiamo informazioni sulla malattia e le possibili cure, attraverso il mezzo di comunicazione più utilizzato, internet, troveremo rimedi come psicologi, farmaci, cliniche ma niente che possa rimandare a un cavallo. Il problema fondamentale della malattia è prenderne coscienza. Molte ragazze negano di essere malate e dunque rifiutano qualsiasi tipo di aiuto. Si parla di ragazze in quanto sono quelle più soggette, ma nel 2011 sta diventando anche un disturbo maschile. La modernizzazione è alla base di tutto, forse si da più attenzione alle mode del momento e ad apparire, piuttosto che pensare di stare bene con se stessi e con gli altri. 3.1 I disturbi del comportamento alimentare I disturbi del comportamento alimentare, D.C.A., aumentano la loro

incidenza

e

diffusione,

soprattutto

nel

periodo

adolescenziale e giovanile e sono attribuibili alle società industrializzate. Eccezioni storiche risalgono a quando l’obesità era uno status symbol delle persone benestanti e l’anoressia un’espressione di sublimazione mistica70. Nella società contemporanea, i mass media hanno un influsso notevole, proponendo canoni di bellezza che vanno oltre la soglia 




























































 70

R.
Bell,
La
santa
anoressia:
digiuno
e
misticismo
dal
medioevo
a
oggi,
Oscar
Mondadori,
 Milano,
1992.

59


dell’umano. Anche il nuovo tenore di vita, soprattutto nelle città industrializzate,

ha modificato i ritmi di assunzione di cibo,

riducendo i pasti da tre giornalieri ad uno, molto spesso sregolato. Il fenomeno dei disturbi alimentari è pertanto correlato a fattori dell’ambiente socioculturale e familiare di appartenenza e dunque è qui che si dovrebbe impostare un intervento preventivo71. I disturbi del comportamento alimentare sono essenzialmente tre:  Anoressia  Bulimia  Obesità L’anoressia è una patologia caratterizzata, dal rifiuto di mantenere il proprio peso corporeo al di sopra o uguale al peso minimo normale, dalla paura di acquistare peso o ingrassare e dall’alterazione con cui la persona vive il peso o la forma del corpo, rifiutando di ammettere la gravità della propria condizione di sottopeso72. Questa patologia si presenta come una progressiva perdita dell’appetito e dalla dieta iniziale si passa prima al digiuno e poi alla fame vera e propria, con un continuo controllo del cibo e delle calorie. Si ha la fobia di ingrassare e la propria immagine corporea è alterata, in quanto ci si sente “troppo grasse”, nonostante il corpo sia indebolito. Eventuali trasgressioni caloriche alla dieta, vengono recuperate con digiuni e spesso con

71

G.
Nuvoli,
A.
Uccula,
Attaccamento
e
rappresentazioni
della
realtà:
organizzazione
della
 conoscenza
ed
emozioni
nel
ciclo
di
vita,
EDES
Editrice,
Sassari,
2007.
 72 
S.
Cerino,
M.
Fascarelli,
Testo
guida
di
riabilitazione
equestre
F.I.S.E.,
op.
cit.

60


l’uso del vomito autoindotto, lassativi, clisteri, esercizi ginnici e sportivi73. All’inizio la sensazione del controllo sul cibo può dare un senso di eccitazione, successivamente il tono dell’umore cala, diventando depressione. La patologia ruota attorno a fattori psicologici, evolutivi e biologici. Al centro le problematiche collegate alla forma e al peso corporeo: infatti l’anoressia può sorgere nel periodo della pubertà, 13-14 anni e può estendersi fino all’età adulta. Il sesso femminile ne è colpito in prevalenza e sfiora il 95% dei soggetti diagnosticati74. L’ossessione per il cibo e per il raggiungimento di una forma corporea perfetta, sono associati alla costruzione dell’identità personale. Si cerca di evitare i problemi della vita di tutti i giorni, concentrandosi sul proprio corpo e sul cibo. Le ragazze con tali disturbi, provenienti prevalentemente da famiglie agiate, durante il loro sviluppo provano sentimenti di inadeguatezza e si sentono incapaci di essere padrone del proprio destino. L’adolescenza è il momento critico, in quanto periodo di cambiamenti e di scelte ed è qui che spesso inizia il periodo della dieta ferrea. Di fronte a crisi di insicurezza, vissuti come momenti drammatici, si affronta tutto con un dimagrimento, positivamente accettato nella nostra società, che dona un sentimento di potere e di superiorità. Molto spesso il tutto è accompagnato da un difficile rapporto con la

73

G.
Nuvoli,
A.
Uccula,
Attaccamento
e
rappresentazioni
della
realtà:
organizzazione
della
 conoscenza
ed
emozioni
nel
ciclo
di
vita,
op.
cit.
p.
137.
 74 
N.
Sole,
L’ippoterapia:Neuropsicomotricità
in
età
evolutiva
e
patologia
neuro
 psicomotoria,
op.
cit.
p.
153.

61


madre, una relazione di conflitto e la conseguente difficoltà ad accettare la propria identità femminile75. Un’altra caratteristica della malattia è la visione distorta che si ha del proprio corpo. Anche se ridotte “a pelle e ossa”, le anoressiche continuano a vedersi e sentirsi grasse. Quindi la prima cosa da fare dovrebbe essere quella di aiutarle ad avere una percezione più precisa del proprio stato corporeo76. La fenomenologia dei disturbi scatenati dalla sindrome anoressica presenta segni e simboli che richiamano a77:  precaria tolleranza alle basse condizioni climatiche;  momenti di spropositata energia alternati da stati di vera e propria letargia;  frequente comparsa di una colorazione gialla nella cute;  ipertrofia delle ghiandole salivari;  progressiva erosione dello smalto dentale a seguito del vomito autoindotto, con insorgenza di lesioni sul dorso delle mani a causa dello sfregamento con la parte dentaria nell’intento di provocare il vomito; Casi limite, come la storia di Ellen West, ci mettono al corrente che la patologia dell’anoressia, può subentrare sin dalla più tenera età. La famiglia di Ellen, secondo la storia clinica, affrontò disturbi depressivi sia nel ramo paterno che in quello materno. Ellen fin da piccola ebbe problemi alimentari, rifiutando il latte a nove mesi. Ebbe un trascorso di vita colmo di vuoti e oppressioni, nonostante da bambina fosse brava a scuola. Nel periodo adolescenziale nella sua testa vi era solo l’obiettivo di 




























































 75

S.
Cerino,
M.
Fascarelli,
Testo
guida
di
riabilitazione
equestre
F.I.S.E.,
op.
cit.
p.
95.
 
A.
Favaro,
P.
Santonastaso,
Anoressia
&
Bulimia.
Guida
pratica
per
genitori,
insegnanti
e
 amici,
Positive
press,
Verona,
2002,
p.
26.
 77 
N.
Sole,
L’ippoterapia:Neuropsicomotricità
in
età
evolutiva
e
patologia
neuro
 psicomotoria,
op.
cit.
p.
154.
 76

62


dimagrire. Il suo scopo era perdere peso. Le diagnosticarono schizofrenia. Nel suo percorso affrontò la bulimia e l’anoressia e soprattutto molte crisi depressive. Dopo un periodo di ricovero all’età di 32 anni, al ritorno a casa, decise di togliersi la vita con un veleno78. La bulimia, considerata simile all’anoressia, è costituita dalla paura morbosa di diventare grasse, in cui il peso e la forma influenzano la valutazione e la stima di sé. Dopo ripetuti tentativi di dieta, che solitamente falliscono, la bulimica trova la soluzione alla sua perdita di peso nel vomito. Vomitando riesce ad eliminare il senso di colpa per aver mangiato troppo. La bulimia (fame da bue) consiste in un disordine alimentare caratterizzato dal senso di vuoto e dalla perdita di controllo durante gli attacchi di fame. La fame del bulimico diventa insaziabile, soprattutto nei confronti dei cibi ipercalorici. Si assumono quantità di cibo smisurate in un brevissimo arco di tempo, solitamente di nascosto da altri. Questi periodi di “abbuffate” si alternano a periodi di diete ferree, al vomito autoindotto, all’uso di diuretici e lassativi che provocano cambiamenti di peso superiori ai 5 Kg79. L’abbuffata è preceduta e seguita da uno stress emotivo molto forte. Quindi nonostante l’eccessiva assunzione di cibo il peso corporeo risulta inalterato. La differenza tra una persona bulimica e una anoressica è che la prima non si fa mancare il cibo, anzi ne assume in quantità incontrollate, mentre la seconda se ne priva proprio.

78

P.
Santonastaso,
G.
Favaretto,
Ascetismo
digiuno
anoressia:
esperienza
del
corpo
esercizi
 dello
spirito,
Masson,
Milano,
1999,
p.179.
 79 
G.
Nuvoli,
A.
Uccula,
Attaccamento
e
rappresentazioni
della
realtà:
organizzazione
della
 conoscenza
ed
emozioni
nel
ciclo
di
vita,
op.
cit.
p.
137.

63


Questa patologia, come l’anoressia, colpisce principalmente i soggetti di sesso femminile e anche in questo caso si ha un’immagine distorta della propria corporeità80. Con il passare del tempo, quando la malattia potrebbe diventare cronica, il bulimico trascorre stati di sofferenza e di tensione simili a quelli dell’anoressia. Si crea una disfunzione nei meccanismi che regolano l’equilibrio tra fame e sazietà e questo provoca l’aggravamento della malattia81. Nell’obesità accade che la quantità di cibo ingerita fornisce un apporto calorico e nutrizionale maggiore di quello metabolizzato o espulso, a causa degli eccessi di alimenti assunti durante e fuori pasto. È una patologia multifattoriale tipica, ma non esclusiva, delle società dette “del benessere”. A questa malattia sono spesso correlate altre patologie tra cui disfunzioni cardiocircolatorie e diabete. Come causa dell’obesità influisce molto la vita sedentaria ma può essere legata anche a condizioni genetiche, fattori ambientali, disfunzioni ormonali e alla psiche del soggetto82. Una delle caratteristiche che accomuna queste patologie è il disagio che la persona prova nei confronti della propria persona. Il fatto di sentirsi brutte o grasse incide profondamente e negativamente sull’autostima. I disturbi del comportamento alimentare sono considerati patologie della psiche ma incidono profondamente anche a

80

E.
Faccio,
Il
disturbo
alimentare:
modelli,
ricerche
e
terapie,
Carocci,
Roma,
2001,
p.
53.
 
S.
Cerino,
M.
Fascarelli,
Testo
guida
di
riabilitazione
equestre
F.I.S.E.,
op.
cit.
p.
96.
 82 
G.
Nuvoli,
A.
Uccula,
Attaccamento
e
rappresentazioni
della
realtà:
organizzazione
della
 conoscenza
ed
emozioni
nel
ciclo
di
vita,
op.
cit.
p.
138.
 81

64


livello

organico.

Spesso

richiedono

interventi

medici

e

presentano una mortalità elevata83.

3.2

Come

si

può

affrontare

l’anoressia

attraverso

l’ippoterapia La terapia dell’anoressia è difficile e complessa a causa soprattutto dei livelli su cui si deve agire. Oggi si predilige affrontare

la

malattia

attraverso

psicoterapie

familiari,

accompagnate da un supporto farmacologico mirato a risolvere i problemi fisici innescati dalla malattia. Per far si che l’intervento sia efficace il soggetto deve essere partecipe, scoprendo le proprie capacità e risorse. Se il paziente fa le cose volentieri aumenta la propria consapevolezza e la fiducia in sé. Nonostante abbiano un corpo fragile, gli anoressici sono in grado di svolgere alcune attività, che permette loro di interagire con il mondo esterno e cercare di uscire dal tunnel del cibo-peso-corpo. Uno degli approcci può essere il volteggio terapeutico che risulta un valido aiuto in quanto permette di incidere su una serie di fattori determinanti rispetto alla malattia. L’avvicinarsi ad un’animale come il cavallo, con il suo corpo imponente, può far riflettere sulla propria corporeità. Per effettuare l’attività del volteggio è necessario che si abbia consapevolezza della propria immagine corporea, della sua posizione nello spazio e della sua relazione con l’altro. 




























































 83

A.
Favaro,
P.
Santonastaso,
Anoressia
&
Bulimia.
Guida
pratica
per
genitori,
insegnanti
e
 amici,
op.
cit.
p.
30.

65


La paziente dovrà relazionarsi con diverse figure. Il terapista impone delle regole che devono essere osservate e apprese. Questo contribuisce al rafforzamento della percezione di identità della paziente. Una volta eseguiti gli esercizi ci sarà un rafforzamento delle proprie sicurezze, si troverà una propria dimensione spaziale e interiore che si andrà ad opporre alla sensazione di vuoto e di incapacità. Si riuscirà a sbloccare una postura fissa e il sentimento di negativismo, rimettendo in moto le energie che porteranno il soggetto a riappropriarsi dei propri spazi, dei vissuti e dei sentimenti84. Il contatto corporeo che si instaura con il cavallo è un importante canale emozionale attraverso cui il paziente acquisisce fiducia in sé tramite stimoli sensoriali. È un valido impulso affettivo ed un incentivo alla comunicazione. Il disturbo alimentare non ha un rapporto alterato solo con il cibo ma coinvolge aree più ampie del comportamento. Vi è una tendenza all’isolamento sociale e familiare. L’anoressica trascura le attività di gruppo e gli amici, dedicandosi ad una ferrea attività sportiva per “migliorare” la sua immagine corporea; presenta reazioni impulsive, una maggiore irritabilità, un tono dell’umore instabile e la comunicazione familiare diventa problematica85. L’essere a contatto con un animale, di natura imprevedibile che reagisce ai segnali inconsci di chi lo guida, stimola una serie di attività intellettive, come la concentrazione, la memoria, la tranquillità e la fermezza di carattere. Ed è attraverso la scoperta 




























































 84

S.
Cerino,
M.
Fascarelli,
Testo
guida
di
riabilitazione
equestre
F.I.S.E.,
op.
cit.
p.
96.
 
Ibidem

85

66


di queste doti che l’allievo riesce a migliorare il rapporto con se stesso e con gli altri e ad acquistare una maggiore autonomia. Si ha dunque un approccio con il cavallo da terra, in cui la conduzione dell’animale, conduce il soggetto a migliorare i tempi di attenzione e di reazione. L’effetto terapeutico della riabilitazione equestre si basa sul rapporto dialettico che si instaura tra il soggetto e il cavallo, fondato su un linguaggio motorio, ricco di sensazioni piacevoli e rassicuranti, coinvolgenti dal punto di vista emotivo. Fin dalle fasi iniziali a terra, con la conoscenza del cavallo e del suo ambiente, si contribuirà ad instaurare il senso di fiducia e di sicurezza, che troveranno maggiore stimolazione nella successiva fase del montare a cavallo. L’equitazione è uno sport a parte, in quanto unisce due entità, uomo e cavallo. Cavalcare significa fare squadra con l’animale. Cavalcare fa bene sia al corpo che allo spirito: aiuta a superare le paure, a restare calmi di fronte ai problemi e ad acquistare autostima. Il cavallo può essere imprevedibile ed è necessario essere pronti ad affrontare qualsiasi situazione. Questa disciplina richiede capacità come il rigore, la perseveranza e la capacità di concentrazione. 3.3 Il volteggio terapeutico Da sempre l’uomo ha desiderato muoversi con abilità e naturalezza sul dorso di un cavallo e questo desiderio ha antiche origini come il rapporto tra uomo e cavallo. Le origini del volteggio risalgono alla preistoria, quando l’uomo metteva alla prova le sue abilità per motivi quali il puro piacere, per 67


spettacolo o motivi religiosi. Si trovano testimonianze di questa pratica in alcune raffigurazioni rupestri86. Il volteggio equestre è una disciplina identificata generalmente come una “ginnastica artistica” su un cavallo in movimento che si può presentare sotto varie forme. Il volteggio può essere utilizzato come:  introduttivo all’equitazione, svolto in forma ludica per avvicinare i bambini piccoli al mondo del cavallo;  sport agonistico indipendente con gare e campionati propri;  attività riabilitativa per soggetti in situazioni di disabilità; Il volteggio è un’attività prevalentemente giovanile, ma non esistono limiti di età per praticarla. L’età ideale per iniziare è compresa fra i 4 e 9 anni in quanto risulta il periodo più idoneo per gli apprendimenti motori, come del resto in tutte le discipline sportive87. Questa disciplina costituisce uno strumento efficace per avvicinare i bambini al cavallo ma anche un punto di arrivo fondamentale per soggetti con problematiche o deficit di tipo psichiatrico, sensoriale e con difficoltà sul piano motorio, intellettivo ed affettivo/relazionale. È infatti indicata nei casi in cui bambini e ragazzi presentino condizioni di svantaggio sociale o situazioni di deprivazione affettiva e cognitiva, in quanto consente di promuovere concrete opportunità di integrazione. Il volteggio aiuta a socializzare, mettendosi in gioco nella dimostrazione delle varie abilità

86

Ivi,
p.
33.
 
Ibidem

87

68


raggiunte, in relazione sia con il cavallo che con gli altri partecipanti all’attività. Gli obiettivi principali di questa attività sono:  dal punto di vista psico-emotivo attraverso il rispetto dell’animale e dei compagni, la condivisione e il rispetto delle

regole,

accompagnati

da

uno

spirito

di

collaborazione, si stabilisce un corretto approccio con il cavallo; si superano le paure, aumenta la capacità di concentrazione ed essendo svolto in gruppo, favorisce la socializzazione e l’accettazione delle differenze;  dal

punto

di

vista

dello

sviluppo

psicomotorio

quest’attività favorisce lo sviluppo e il consolidamento dello schema corporeo; mettendo in funzione le parti del corpo e della muscolatura, si creano solide basi per la disciplina, come la coordinazione, l’equilibrio, l’agilità, il senso del ritmo, la creatività e l’espressività motoria88. Il volteggio è uno sport complesso che richiede all’atleta una preparazione fisica riconducibile a quella della ginnastica artistica, più la preparazione specifica che riguarda la parte da eseguire sul cavallo. È necessario un lavoro metodico e sistematico che offra nuovi stimoli, per mantenere viva la motivazione a proseguire. La preparazione del volteggiatore deve essere:  fisica  tecnica  acrobatica  coreografica  psicologica 




























































 88

Ibidem

69


in cui l’obiettivo deve essere quello di creare atleti di cui vengono sviluppate la flessibilità e la mobilità articolare, la tenuta e il controllo del corpo in situazioni sia statiche che dinamiche, l’equilibrio, la coordinazione e il consolidamento degli schemi corporei. L’esercizio di volteggio prevede, oltre una parte acrobatica, anche una parte coreografica, che consiste nel mantenere un’armonia del corpo, attraverso una comunicazione gestuale dello stato d’animo e del temperamento dell’atleta. Gli elementi del volteggio hanno lo scopo di far lavorare il volteggiatore in situazioni statiche e dinamiche, imparando a muoversi con il cavallo nelle quattro direzioni possibili, sfruttando la spinta data dal galoppo. Prima di riportarli sul cavallo, è necessario che il volteggiatore abbia acquisito la tecnica, appresa sia al suolo che sul cavallo finto. È bene partecipare ad evoluzioni anche in gruppo che richiedono attenzione, precisione e il rispetto delle regole. La preparazione psicologica contribuisce a mettere a fuoco la differenza che intercorre tra il partecipare ad una gara, in cui vi è competitività, e puntare a un determinato risultato. Per il raggiungimento degli obiettivi prefissati è necessaria una buona conoscenza di se stessi, una buona autostima e la piena espressione delle proprie capacità. Il cavallo da volteggio deve avere una bardatura particolare in modo da poter eseguire gli esercizi in sicurezza. Il fascione è l’elemento essenziale per il volteggiare, composto da un arcione rigido e dall’anima in metallo, in modo da supportare gli sforzi del volteggiatore senza premere sul garrese del cavallo89. Il fascione possiede due maniglie rigide e una centrale morbida. 




























































 89

Ivi,
p.
37.

70


Inoltre devono esserci due staffili laterali, regolabili in lunghezza e numerose campanelle in cui poter agganciare le redini fisse. Le redini devono essere in cuoio provviste di un anello in gomma nella parte mediale e si agganciano all’imboccatura tramite un moschettone non girevole, in modo che rimangano piatte lungo l’incollatura. Il sottopancia è solitamente indipendente, di varie misure e può essere o di corda o di cuoio. Altri elementi importanti per l’esecuzione di questa attività sono il copertino da volteggio, il sottofascione, la testiera per il cavallo; questi elementi devono essere a norma di regolamento. Nell’attività di volteggio è importante l’utilizzo del cavallo finto: aiuta ad apprendere maggiormente i nuovi esercizi e ad affinare esercizi che si ripeteranno poi sul cavallo90. Il volteggio visto nell’arte e il volteggio oggi in forma agonistica.

91

90

Ivi,
p.
38.
 Dipinto
di
George
Seurat
“Le
Cirque”,

1891,
Musée
d'Orsay
Paris.

91

71


3.4 L’approccio di Equitazione integrata in un caso di anoressia Un altro approccio alla patologia dell’anoressia è stato elaborato dagli operatori Equitabile. Essi propongono, per questo genere di casi, un lavoro di grooming92, lavoro a terra e lavoro in campo di Equitazione integrata. Innanzitutto bisogna precisare perché Equitazione integrata. Con questo termine, gli operatori Equitabile, promuovono un tipo di equitazione che si basa sui tradizionali principi fondanti l’ippoterapia e la riabilitazione equestre ma secondo l’aspetto educativo, relazionale e del pre-sport. Propongono un equitazione che “viva la relazione con il cavallo, nel rispetto delle diversità e delle alterità, per una piena inclusione sociale e per abbattere anacronistici muri del pregiudizio”93. Questi operatori equestri hanno scelto di sostituire con il termine “Equitazione integrata” le pratiche terapeutiche che vengono svolte con l’ausilio del cavallo. Questo perché, come cita Roberto Lambruschi94 (uno dei fondatori di Equitabile), “quando ci si riferisce ad attività rivolte a persone cosiddette deboli, spesso si utilizza il termine terapia”. La terapia molto spesso rimanda a pregiudizi di diversità, qualcuno che è diverso e ha bisogno di aiuto. Il loro scopo è quello di abbattere i pregiudizi della diversità e mettere tutti sullo stesso piano, per vivere 




























































 92

Il
governo
del
cavallo
o
grooming,
è
l’insieme
delle
operazioni
quotidiane
per
il
 mantenimento
della
pulizia
e
quindi
per
l’igiene
del
cavallo.
Il
grooming
serve
per
pulire
il
 corpo
del
cavallo
da
sporcizia
e
sudore,
per
facilitare
la
normale
traspirazione
della
pelle,
 per
stimolare
la
circolazione
e
per
ristabilirne
il
ph
naturale,
oltre
a
rendere
più
gradevole
 il
mantello.
Per
effettuare
questa
pratica
sono
necessari
diversi
strumenti.
 93 
www.equitazioneintegrata.com
 94 
R.
Lambruschi,
I
segreti
dell’equitazione
integrata:
il
lavoro
educativo
attraverso
la
 mediazione
animale,
Equitabile
sei,
2011,
p.7.

72


l’emozionante esperienza dell’equitazione. Il lavoro che questo gruppo ha realizzato con un caso di anoressia, incentrato innanzitutto sulla persona, si è sviluppato attraverso attività di grooming, lavoro a terra e lavoro in campo95. È necessario innanzitutto che la persona sia consapevole della propria condizione e dunque accetti l’aiuto proposto. Il soggetto deve essere coinvolto nell’attività senza però sottolineare le differenze con i cavalieri che svolgono la normale attività equestre, altrimenti si percepirebbero differenze che invece di aumentare l’autostima la diminuirebbero. È consigliabile un lavoro coinvolgente con attività in campo, ma con un lavoro anche a terra e di grooming, considerato parte integrante del percorso. Sarà più semplice impostare un percorso del genere quando il soggetto sarà disposto a farsi aiutare. In questo

caso

ci

sarà

forza

di

volontà,

disponibilità,

consapevolezza e collaborazione da parte della persona per svolgere l’attività. Partendo dall’attività di grooming si impara a prendersi cura di un altro essere vivente e il soggetto sposta l’attenzione del suo io verso qualcun altro da sé. Imparando a conoscere il cavallo il paziente si rende conto di quanto sia importante per l’animale l’alimentazione, in quanto dovrà essere forte per affrontare le molteplici attività che dovrà fare. I compiti principali consistono nel:  sistemare il cavallo  manutenzione delle selle e dei finimenti  riordino delle stalle e degli ambienti annessi 




























































 95

A.
Barbieri,
M.Bruni,
G.
Caselli,
D.
De
Bortolo,
E.
De
Pasquale,
G.
Mariozzi,
C.
Sottoriva
 (Gruppo
assistenti
di
Equitazione
Integrata
Equitabile),
Relazione
su:
I
disturbi
alimentari
e
 l’equitazione
integrata,
2011.

73


 somministrazione del cibo questi lavori servono soprattutto ad arricchire l’esperienza affettiva attraverso il rapporto con il cavallo. La sua pulizia comporta saper utilizzare gli strumenti adatti che richiedono conoscenza, abilità, forza, coordinazione e equilibrio ma soprattutto un trasporto affettivo verso il cavallo. Avviene un continuo scambio relazionale sia con gli animali che con gli operatori, con lo scopo di favorire un integrazione con l’ambiente e un recupero nel relazionarsi con gli altri. Attraverso queste attività si sviluppa la consapevolezza di essere capaci di svolgere un compito. Oltre all’attività di grooming, è necessario che il soggetto svolga anche attività in campo, in modo da non sentirsi differente rispetto a coloro che lo praticano come sport. Affrontare prove di abilità per rafforzare il rapporto con il cavallo e aumentare così l’autostima. Il lavoro in campo potrà comprendere le tre andature, il base alle caratteristiche e alle potenzialità del soggetto. Sarebbe bene infondere fiducia e sicurezza, senza umiliare la persona, ma incoraggiandola nell’attività e coinvolgendola. Lo svolgimento di esercizi sempre diversi e nuovi stimolano l’attenzione e infondono autostima per la conquista di buoni risultati. Attività possibili sono i giochi pony, come ad esempio spostare delle tazze da un paletto all’altro, bandierine e sassi. Queste sono attività che oltre a distrarre il soggetto da pensieri fissi quali il cibo e il corpo, lo fanno divertire e donano un senso di soddisfazione e realizzazione incrementando il livello di autostima. 74


In base alle reazioni alle diverse attività e ai progressi del soggetto, la sua integrazione all’interno di un gruppo di cavalieri, potrebbe essere stimolante. Questo potrebbe favorire un confronto, delle nuove conoscenze e possibili amicizie e permette di entrare a far parte di un gruppo96. L’anoressico scopre nel cavallo un mezzo su cui esercitare la propria volontà di espressione, lontana da restrizioni e rimproveri spesso portati da genitori ansiosi e invasivi: è l’inizio della riscoperta del sé attraverso un percorso caratterizzato da avanzamenti, fughe, attraverso il quale il soggetto si rende partecipe e attivo del percorso formativo e trasformativo. 3.5 La testimonianza Come ci si ammala di anoressia?? Non lo so … E come si guarisce dall’anoressia?? Anche questo non so … Avevo 22 anni quando riuscii ad ammettere di avere un problema. Non poteva essere vero: io, proprio io, avevo questo problema! Ottimi risultati a scuola, sempre perfetta, gentile ed educata, una figlia (quasi) perfetta, un’amica (quasi) perfetta, una fidanzata, anzi ex fidanzata, (quasi) perfetta, così vitale, allegra … ma così rigida ed esigente con me stessa. Tre lunghi anni di un triste sopravvivere prima di dire “basta, così non posso vivere, così non voglio vivere” ma soprattutto tre lunghi anni prima di dire “da sola non ce la posso fare” … 40 kg per 1.70 mt di altezza, uno stomaco troppo vuoto ed una mente troppo stanca; non c’era più quel sorriso, non c’era più quella 




























































 96

Ibidem

75


vitalità, ero morta, morta dentro .. e forse anche fuori. Niente più mi entusiasmava, neppure i miei cavalli, neppure le belle passeggiate … Ricordo la prima visita al centro, le parole dei medici furono “ricovero”… io mi opposi e la mia famiglia mi appoggiò assumendosene la responsabilità … venni privata di tutto quello che, in quel momento, per me, potesse essere pericolo, qualsiasi sforzo fisico mi fu proibito … su richiesta di mio padre mi venne dato il permesso “solo” di cavalcare (nella maniera più tranquilla possibile), ma non perché questa attività non rappresentasse un pericolo per il mio corpo troppo fragile e sottile, ma perché si resero conto che, nonostante la mia apatia di quel momento, i cavalli, il mio rapporto magico con questi meravigliosi animali, mi avrebbe aiutato. Con il passare dei giorni gli ostacoli da superare erano sempre più grandi, quasi insormontabili; riabituare lo stomaco e la mente a mangiare, ad accettare il cibo, sembrava un’impresa impossibile … ma ancora più difficile fu ricominciare a vivere, ricominciare a fidarmi delle persone, ricominciare a fidarmi di me stessa, smetterla di colpevolizzarmi e punirmi per quello che io in prima persona stavo vivendo, ma soprattutto per quello che alla mia famiglia stavo facendo subire … ed i momenti che trascorrevo con Spring erano gli unici istanti in cui la mia mente riusciva a distrarsi, in cui il mio pensiero non rimaneva fisso, bloccato, imbalsamato, verso quello che al pasto successivo avrei dovuto mangiare … verso tutto quello che stavo vivendo ed affrontando. Ritrovai tutto l’amore che provavo per le mie creature, e forse ancora di più proprio perché mi rendevo conto dell’aiuto che mi 76


davano, della tranquillità e della serenità che mi trasmettevano; a loro riuscivo rivolgere quella fiducia che alle persone invece negavo per paura di essere ferita nuovamente. Io non credo che a salvarmi sia stato il rapporto con i miei cavalli … solo la forza che ognuno di noi nutre dentro la propria anima, e le persone che ti sono accanto, possono permetterti di rimanere in superficie in una situazione così drammatica … ma i cavalli sono un’esauribile fonte di energia e forza, sono una valida ragione per cui continuare a sognare … sognare, chi è malato di anoressia smette anche di sognare. La sensazione di libertà che il montare dona, l’aria fresca tra i capelli, il tepore del sole sulla pelle, hanno alimentato le mie speranze per un futuro diverso, migliore. E fu così che tornai a sorridere, a gioire per le piccole cose di tutti i giorni, che ricominciai a sognare … e mi innamorai dei cavalli più di prima perché loro, senza nessun camice bianco, nella loro spontaneità e sincerità, erano riusciti a darmi l’aiuto silenzioso di cui avevo bisogno97.

97

www.equitabile.it/equitazione‐integrata/anoressia‐una‐testimonianza/

77


Conclusioni Poter affrontare questa patologia attraverso il supporto silenzioso di un animale come il cavallo, che ascolta senza parlare, capisce senza giudicare, per molti può sembrare un’assurdità ma in realtà accade. Il fatto che l’anoressia è affrontabile dal punto di vista sia psicologico che motorio attraverso l’Equitazione, non è abbastanza conosciuto. Nel mio lavoro di reperimento di informazioni ho trovato numerose difficoltà nel trovare il materiale adatto. Ho potuto constatare che in Sardegna questa pratica è addirittura sconosciuta. Sarà dato dal fatto che anche la posizione geografica ci rende un po’ “isolati” rispetto al resto dell’Italia, sarà dato dal mancato interesse o dallo scarso bisogno d’informazione. La realtà è questa. Sarebbe bene che anche i mass

media,

divulgassero

notizie

e

dati

relativi

a

quest’argomento. Con la mia tesi mi auguro di aver dato un piccolo contributo conoscitivo e un impulso alla divulgazione di una tecnica di guarigione col cavallo che coinvolge in un unico nesso corpo e mente, pensiero e passione.

78


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Ringraziamenti Ringrazio la mia famiglia per il sostegno datomi in questi anni. Un ringraziamento particolare alla mia relatrice, la prof. Gavina Cherchi, perché ha creduto nel mio lavoro e mi ha sostenuta, condividendo la passione per i cavalli .

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