100 Designer , product, fashion, food, graphic & visual

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Nel numero quadruplo della rivista diid_disegno industriale_industrial design (n.33_34_35_36) è stata proposta un’antologia di tutta la serie storica della rubrica “Designer” (dal n. 1 al n. 32). In tal modo si è fornita ai lettori una rassegna del lavoro di oltre 100 designer che rappresenta l’espressione compiuta di un flusso di idee, linguaggi, ricerche, prodotti, forme d’innovazione, sufficiente a farci conoscere il trend del design contemporaneo.Il numero quadruplo è esaurito in poco tempo. Ciò ci ha convinto a riproporre l’antologia in questo volume, una edizione svincolata dalla rivista e rivolta ad un più amplio pubblico di lettori. Nel libro, curato da Tonino Paris con Sabrina Lucibello, un gran numero di autori analizza il lavoro di designer che operano nei vari campi d’applicazione del design i cui profili sono diversi per generazione d’appartenenza e per approccio tematico di ricerca. L’analisi viene espressa con saggi d’approfondimento o con interviste, in ogni caso gli autori, senza la pretesa di esaurire la lettura del profilo dei designer esaminati, ci forniscono sempre un’interessante ed originale chiave di interpretazione dei personaggi studiati. Per questo sentiamo l’obbligo di ringraziarli tutti: Gloria Arditi, Chiara Athor Brolli, Alberto Bassi, Alessandro Biamonti, Giulia Birindelli, Fiorella Bulegato, Federica Dal Falco, Maddalena Dalla Mura, Elda Danese, Barbara Deledda, Rosita de Lisi, Loredana Di Lucchio, Cinzia Ferrara, Ali Filippini, Alessandro Fiore, Mario Fois, Lorenzo Imbesi, François Jégou, Alberto Lecaldano, Sabrina Lucibello, Ezio Manzini, Carlo Martino, Anna Meroni, Attila Nemes, Lucia Nigri, Chiara Pagani, Anna Pasini, Clara Tosi Pamphili, Ines Paolucci, Federica Pesce, Lucia Pietroni, Marco Rainò, Adam Somlai Fisher, Giorgio Tartaro, Pablo Ungaro, Cézar Vega, Wu Xuesong. Ringraziamo i designer per la loro disponibilità e per la loro collaborazione. Si ringraziano inoltre Ines Paolucci e Paola Schiattarella che hanno contribuito all’impostazione dell’editing con grande disponibilità e creatività. Si ringraziano infine quanti hanno contribuito alle attività redazionali: Marco Chialastri, Alessia Longhi, Bruno Lanzi.

In the quadruple issue of diid_disegno industriale_industrial design (nos. 33, 34, 35 and 36), we proposed an anthology of the ‘Designer’ feature that had been published in the magazine’s early issues (from 1 to 32). We wanted to provide our readers with a review of the work of over 100 designers, representing the complete expression of a flow of ideas, languages, research, products and innovations, which together help us to better understand contemporary design trends. That quadruple issue sold out very quickly. This convinced us that it would be worthwhile to propose the anthology once more in this volume, a separate edition of the magazine addressing a broader readership. In the book, edited by Tonino Paris and Sabrina Lucibello, a large number of authors analyse the work of designers who operate in the various fields of application of design, whose different profiles are based on their different generations and topical research approaches. They are analysed through essays and interviews, and, while not presuming to exhaustively profile the designers being examined, the authors consistently provide us with an interesting and original key for interpreting the people studied. For this, we want to thank them all: Gloria Arditi, Chiara Athor Brolli, Alberto Bassi, Alessandro Biamonti, Giulia Birindelli, Fiorella Bulegato, Federica Dal Falco, Maddalena Dalla Mura, Elda Danese, Barbara Deledda, Rosita de Lisi, Loredana Di Lucchio, Cinzia Ferrara, Ali Filippini, Alessandro Fiore, Mario Fois, Lorenzo Imbesi, François Jégou, Alberto Lecaldano, Sabrina Lucibello, Ezio Manzini, Carlo Martino, Anna Meroni, Attila Nemes, Lucia Nigri, Chiara Pagani, Anna Pasini, Clara Tosi Pamphili, Ines Paolucci, Federica Pesce, Lucia Pietroni, Marco Rainò, Adam Somlai Fisher, Giorgio Tartaro, Pablo Ungaro, Cézar Vega, Wu Xuesong. We thank the designers for their availability and cooperation. We also thank Ines Paolucci and Paola Schiattarella who helped with the book’s layout with willingness and creativity. And finally, for their contribution to writing, we thank: Marco Chialastri, Alessia Longhi and Bruno Lanzi.


INDICE | INDEX

VII

PREMESSA | FOREWORD Caos_normalitĂ _eccezione | Chaos_Normality_Exception CAPITOLO uno | CHAPTER one PRODUCT DESIGN | OBJECTS

2

Adriano Design

6

James Auger - Jimmy Loizeau

Lucia Pietroni Lucia Pietroni

10

Masayo Ave Lucia Pietroni Lucia Pietroni

14

Ronan & Erwan Bouroullec

18

Thierry Boutemy

24

Daniel Brown

30

Elio Caccavale

Federica Dal Falco Federica Pesce Giorgia Giovannelli Lorenzo Imbesi

40

Humberto e Fernando Campana

54

Louise Campbell

60

Antonio Macchi Cassia

68

Antonio Citterio

Lucia Pietroni Loredana Di Lucchio Anna Pasini Carlo Martino

76

Franco Clivio

86

Paul Cocksedge

90

Carlo Colombo

96

Matali Crasset

Elena Brigi Lucia Pietroni Gloria Arditi Lucia Pietroni

100

Antonio Dal Monte

108

Lorenzo Damiani

114

Andy Davey - Tko Design

118

Michele De Lucchi

Sabrina Lucibello Lucia Pietroni Lucia Pietroni Fiorella Bulegato

126

Delineo Design

134

El Ultimo Grito

138

Dante Ferretti

Maddalena Dalla Mura Lucia Pietroni Lucia Nigri


VI

148

Bruce Fifield

156

Alex Gabriel & Willelke Evenhuis

162

Stefano Giovannoni

172

Alfredo Häberli

Ali Filippini Lucia Pietroni Carlo Martino Loredana Di Lucchio

180

Isao Hosoe

186

Hugo Kogan

192

Piero Lissoni

198

Ross Lovegrove

Carlo Martino Pablo Ungaro Giorgio Tartaro Carlo Martino

206

MM Design

212

Fabio Novembre

216

Gaetano Pesce

228

Ana Mir Prieto

Chiara Pagani Federica Dal Falco Carlo Martino Loredana Di Lucchio

232

Alvaro Rioseco

238

Claudio Ripol & Yeonju Yang

244

Marc Sadler

254

Matteo Thun

Sabrina Lucibello Lucia Pietroni Sabrina Lucibello Carlo Martino

260

Marcel Wanders Carlo Martino

CAPITOLO due | CHAPTER two PRODUCT DESIGN | LANDSCAPE 272

Uno sguardo sulle tendenze | A Window on Trends

284

Very Important Designer

Rosita de Lisi Loredana Di Lucchio

296

Il tecnico inventore | The Inventor Technician

304

Processi di decorazione genetica | Genetic Decoration Processes

316

InteractivEAST

324

Made in China

Carlo Martino Lorenzo Imbesi Adam Somlai Fisher | Attila Nemes Xu Xuesong

332

Design contemporaneo | Contemporary Design Alberto Bassi

CAPITOLO tre | CHAPTER three GRAPHIC DESIGN 338

Rodolfo Fernàndez Alvarez

344

Saul Bass

Federica Dal Falco | Cézar Vega Mario Fois


352

Ruedi Baur

360

Connexine

364

Esterni

368

Antonio Romano

Mario Fois Lorenzo Imbesi Lorenzo Imbesi Carlo Martino

376

Leonardo Sonnoli

384

Studio Azzurro

392

Studio Tapiro

398

Oliviero Toscani

Cinzia Ferrara Alessandro Biamonti | Giulia Birindelli Fiorella Bulegato Federica Dal Falco

408

Walter Tournier

414

Why Not Associates

418

Roman Graphics

426

Buenos Aires Graphics

Rosita De Lisi Alessandro Fiore Alberto Lecaldano Ines Paolucci | Chiara Athor Brolli

CAPITOLO tre | CHAPTER three FASHION DESIGN 436

Giorgio Armani

444

Roberto Capucci

454

Caterina Crepax

Lucia Pietroni Barbara Deledda | Loredana Di Lucchio Lucia Pietroni

460

Danilo Donati

468

Maurizio Galante

474

Issey Miyake

484

Ayala Serfaty

Clara Tosi Pamphili Barbara Deledda Elda Danese Lucia Pietroni

490

Valentino

496

Fifties Fashion in Rome

504

Fashion and Advertising

Sabrina Lucibello Federica Dal Falco Clara Tosi Pamphili

CAPITOLO quattro | CHAPTER Four FOOD DESIGN 514

Davide Scabin

524

Il disegno del gusto | Designing the Shape of Taste

534

Un sistema alimentare | A Food Chain

Marco Rainò Ali Filippini Ezio Manzini | Anna Meroni | François Jégou


VIII

Tonino Paris

premessa | foreward

Caos_normalità_eccezione Chaos_ Normality_Exception

Quando la scelta e l’analisi di oltre 100 designer è attribuita a diversi autori con diverse personalità e diverse visioni della disciplina del design, è impossibile che il risultato sia un racconto organico. Pertanto, qualsiasi sforzo per restituire a posteriori una rappresentazione unitaria delle diverse esperienze, risulterebbe vano. Infatti l’antologia presenta prodotti di design dai mille stili e per mille usi, realizzati con tutti i materiali e con tutte le forme, da quelle organiche a quelle geometriche. Oggetti che nell’insieme sembrano appartenere al mondo dell’imprevedibile e dell’irregolare. Oggetti che fluttuano nella vaghezza dell’espressività figurativa eclettica. Oggetti che sembrano fatti per meravigliare piuttosto che per essere usati. Oggetti in cui è difficile rintracciare il senso della loro storia e la prospettiva del loro futuro. Insomma un moltitudine “disordinata”. In una parola il Caos. Ma forse è proprio Caos la cifra, il fil rouge che tiene insieme tanti designer e tante esperienze che rappresentano comunque l’espressione del design nella condizione attuale. Non è forse Caos quanto generato dal flusso di prodotti che invade il mondo in cui viviamo? E non è Caos la molteplicità delle forme espressive degli oggetti d’uso che ci circondano generando un diffuso inquinamento visivo? E non è Caos la sovrabbondanza di prestazioni presenti in un singolo oggetto tecnico fino a generare una quantità d’usi ingestibili? È caotico l’ambito operativo del designer, che è costretto a misurarsi con la progettazione in tutte le sue moltissime declinazioni: dalla produzione di prodotti materiali o immateriali, alla progettazione dei prodotti destinati allo spazio domestico o al corpo; dalla progettazione destinata al tempo libero al lavoro o al gioco o alla mobilità, alla progettazione di prodotti fabbricati in grande numero o a quella destinata a prodotti “unici” basati su procedimenti di carattere artigianale. Nel Caos il design, con i suoi attori e i suoi prodotti, esprime un sistema di valori etici ed estetici che si diffondono invasivi nell’ambiente artificiale, condizionando i comportamenti sociali e le scelte e gli usi degli oggetti di cui omologa il gusto, il tempo di consumo e gli stili figurativi. Il design diventa in tal modo, autoreferenziale, si rappresenta come un valore aggiunto. I suoi prodotti si ammantano della patina dell’eccesso, del superfluo. Oltre l’utilità l’oggetto si propone di sollecitare sensi e desideri divenendo esso stesso veicolo di comunicazione, totem di identificazione per uno specifico gruppo sociale, fino a spettacolarizzarsi nei tanti prodottigadget dall’estetica che sconfina nell’inquinamento visivo. Insomma è evidente come al prodotto di design si attribuisce una “sacralità” usurpata al prodotto d’arte, che rende superfluo ciò che dovrebbe essere utile ed effimero ciò che dovrebbe essere duraturo. Questa nozione di design è l’ordine nascosto che ricuce le molte


esperienze illustrate nel libro, dove prevale appunto il Caos, dove gli oggetti d’uso hanno tante e diversissime connotazioni formali: una costellazione di prodotti a cui non corrisponde alcuna unità stilistica, bensì una molteplicità di linguaggi. Manca quell’esplorazione che crea un “gusto” dominante, manca quella linea di ricerca finalizzata a formalizzare un linguaggio egemone o contrapposto ad un altro che egualmente vuole affermare il proprio primato. Ma è proprio la coesistenza e la compresenza di tanti e diversi linguaggi la caratteristica del “gusto” dominante. Ciò che può sembrare una ricchezza, è certamente condizione di disorientamento, infatti è l’esito di una mutazione antropologica che ha investito non solo la società occidentale, ma l’intero pianeta. È come se una moltitudine di stili, sradicati da contesti geografici e storici più diversi, si fossero disseminati in frammenti per riproporre un ibrido di tanti linguaggi. È il Global Style ovvero la connessione semantica nella quale tutte le espressioni figurative delle tante tradizioni culturali del mondo, vengono annullate in una forma espressiva omologata a cui tutte le differenze vengono ricondotte. Global style è la connessione semantica che esprime lo scenario della contemporaneità dove il rapporto tra cultura e produzione in un contesto, ovvero il peso della tradizione, si sfuma geograficamente e temporalmente per “analizzare” quelle forme d’espressione che, non più influenzate dal contesto fisico ma sempre più trasversali, sono rilevanti per il loro ruolo sociale e rappresentano le nuove “etnie”. Global style insomma, è quella dimensione dei prodotti, che si esprime con i linguaggi che risultano da contaminazioni di stili delle più diverse culture e tradizioni del pianeta. Via via che i luoghi più lontani sono divenuti accessibili, si sono prodotti linguaggi ibridi, nati dalla commistione delle più distanti espressioni stilistiche e figurative. Linguaggi che le mode consumano rapidamente per riproporne di nuovi, sempre più ricchi di contaminazioni e di riferimenti alla tradizione di contesti lontani. Linguaggi universali che sintetizzano e semplificano, procedendo per stereotipi, verso forme d’omologazione culturale. Le differenze riguardano solo il diverso modo di raccontare i temi della producibilità, del consumo, della sostenibilità, della produzione di artefatti in una società sempre più “ibridata”. In questo scenario, il successo del prodotto industriale è misurato dalla sua diffusione e dal favore che incontra presso il pubblico. La grande diffusione del prodotto, potrebbe far immaginare l’insorgere piuttosto di un sentimento in contrasto con il desiderio di possesso, ovvero ad un impulso che si coniuga con il desiderio di ciò che è “raro”, “esclusivo”, destinato a pochi, e quindi non compatibile con forme di produzione basate sul grande numero, come sono appunto quelle industriali. Eppure, non è così. Nella società sempre più ibridata la qualità dell’oggetto non è più basata sull’unicità del pezzo, sul valore dato da


X

Tonino Paris

premessa | foreward

quel complesso di attributi di un prodotto, come la qualità e la ricercatezza dei materiali impiegati, la competenza delle maestranze utilizzate per l’esecuzione, tale da farne anche opera artisticamente compiuta, ma è sostituita dalla “griffe” e dal suo valore simbolico ed è condizionata da fattori come la comunicazione multimediale globalizzata, le strategie del marketing, il costume. Diventano più importanti l’associazione dell’oggetto a chi lo possiede, al desiderio di emulazione, piuttosto che ai valori peculiari dell’artefatto. I suoi specifici contenuti, tecnici, formali, funzionali vengono surrogati dal fatto che possederlo diviene condizione emblematica dell’appartenenza ad un gruppo e ad una condizione sociale. L’aspirazione al possesso di un oggetto, può scaturire quindi da un “desiderio condizionato” dai mezzi di comunicazione e dalla pubblicità, che agiscono appunto su quei delicati meccanismi mentali, sociali e antropologici e che influenzano le nostre scelte in funzione di una marca, tanto da spingerci non solo verso l’acquisto di un prodotto senza verificarne l’utilità o la qualità, ma addirittura fino a farci diventare collezionisti. Il possesso e l’esibizione di un oggetto rappresentano uno status symbol, e allora diventa affannosa la ricerca della griffe, della moda, dell’oggetto di design “firmato”, all’interno della galassia di prodotti che ci circonda, inquinata dal caos del Global Style. Nel Caos dell’inquinamento visivo, così come appare anche nei prodotti e nei sistemi di prodotti illustrati nell’antologia, si ritrovano tuttavia alcune forme d’interpretazione del design molto interessanti. La prima è una nozione di design che si esprime nell’eccellenza dell’azione di grandi maestri per i quali la progettazione di un prodotto è l’istanza di misurarsi con l’eccezione, l’opera unica, la testimonianza di rappresentare nell’oggetto una concezione del mondo. La seconda è una nozione di design che si esprime nella normalità del mestiere dell’homo faber. Nel primo caso il designer, senza mai rinunciare ad una ricerca artistica basata sulla creazione di pezzi unici, interpreta il suo lavoro come continua invenzione di forme per opere da destinare all’uomo per il piacere di tutti i suoi sensi, per opere emblematiche di un’interpretazione colta dell’estetica dell’artefatto. In questo caso il designer finalizza la sua sperimentazione a testimoniare la possibilità di applicare agli artefatti che progetta nuovi materiali, nuovi sistemi di fabbricazione, a proporre nuove tipologie di prodotti, spesso opere uniche, prototipi che generano nuovi linguaggi che hanno la forza di “fare scuola”. Spesso si tratta di opere che anticipano il futuro e spesso sono vere e proprie opere d’arte, testimonianze visibili della cultura contemporanea.


Fra i tanti esempi ricordati nell’antologia, mi sembrano particolarmente significate le esperienze di Humberto e Fernando Campana che basano la loro ricerca sull’uso di materiali poveri o di scarto industriale, per progettare oggetti unici per efficacia espressiva; significativa è l’osservazione dell’esperienza di Ross Lovegrove, il cui lavoro rappresenta un punto privilegiato da cui studiare e capire come ci si muove verso il futuro; emblematica è l’esperienza di Roberto Capucci, autore di abiti sculture, opere d’arte in tessuto; o quella di Gaetano Pesce, straordinario sperimentatore dell’uso di nuovi materiali per prodotti di “serie diversificata”; o quella di Issey Miyake, il cui lavoro esprime un continuo riesame e rinnovamento delle tecniche . Nel secondo caso il designer, facendosi interprete dei bisogni dell’uomo, con il suo ingegno trasforma di volta in volta nuovi bisogni in nuovi prodotti scarnificati dal superfluo, essenziali nella forma e nell’uso a cui sono destinati, studiati per minimizzare lo spreco dei materiali impiegati, per semplificare i processi di fabbricazione, per fornire nuove opportunità alle attività dell’uomo. Fra i tanti esempi ricordati nell’antologia, particolarmente significative appaiono le esperienze di Antonio Citterio, raffinato nel minimalismo formale, quanto efficacie nella ricchezza delle soluzioni tecnologiche utilizzate; o quelle di Matali Crasset, attenta ad interpretare le ritualità quotidiane dell’uomo, per ideare nuovi prodotti per i suoi nuovi comportamenti; o quelle di Marc Sadler, Bruce Fifield, Hugo Kogan, Andy Davey, Michele De Lucchi, impegnati ad applicare le più avanzate innovazioni a prodotti tecnici come attrezzature elettromedicali, apparecchiature diagnostiche, prodotti destinati all’illuminazione o alla comunicazione o infine, attrezzature destinate alle pratiche sportive; o quelle di Ronan e Erwan Bouroullec, la cui ricerca è basata sulla flessibilità, la molteplicità, la reversibilità, la modularità e la combinazione degli elementi. Quanto più ci si dedica alla sperimentazione e alla progettazione di prodotti ad alto contenuto tecnologico e prestazionale, tanto più è il designer della normalità che trova spazio per esprimersi. Quanto più ci si dedica alla progettazione a basso contenuto tecnologico e funzionale, tanto più il designer tende ad esprimersi solo per stupire, progettando oggetti che non riescono a sfuggire all’estetica e all’etica del Global Style e al carattere effimero del prodotto. Tanto nel primo quanto nel secondo caso, come è evidente, il design rende un servizio all’uomo perché ne migliora la qualità della vita, rappresentando un effettivo volano per l’innovazione del sistema produttivo e un importante fattore di progresso.


XII

Tonino Paris

premessa | foreward

When you ask a number of authors with different personalities and different visions of design to select and analyse over 100 designers, it’s almost impossible to obtain an coherent result. So, it would be vain to try to derive a cohesive representation of the many experiences. The anthology presents design products with a thousand different styles and a thousand different uses, made of all types of materials, and in all shapes: from organic to geometric. As a group, these objects seem to belong to an unpredictable and irregular world. They fluctuate in the vague universe of eclectic figurative expression. They appear to have been made to amaze rather than to be actually used. It is difficult to trace the meaning of the past or the prospects for the future in these objects. They are a ‘disorganized’ multitude. In a word: Chaos. But could Chaos be exactly what links so many designers and so many experiences that represent the expression of design in its current form? Don’t we live in a state of Chaos, generated by the flow of products invading our world? Isn’t the multiplicity of expressive forms of the useable objects which surround us Chaotic, generating widespread visual pollution? And isn’t the overabundance of features present in a single technical object Chaotic, with so many functions that the quantity of uses becomes unmanageable? The world of designers is chaotic, as they are forced to contend with design in all its facets: from producing material or immaterial product, to designing products for the home or body; from designing for free time, or work or play or mobility, to designing products produced in large quantities or design that is intended for ‘unique’, handcrafted products. In this Chaos, design, with its players and products, expresses a system of ethical and aesthetic values which invade the artificial environment, it conditions social behaviours and how we choose and use objects, and it standardises tastes, consumption times and figurative styles. In this way, design becomes self-referential, and claims to be an added value. Its products wear the patina of excess. Besides being useful, the object aims to stimulate the senses and desires, becoming itself a means of communication, a totem of identification for a specific social group, to the point of becoming a spectacle in the glut of aesthetic gadgets that cross the line into visual pollution. It’s obvious that design products are considered almost ‘sacred’, a characteristic stolen from the arts that renders superfluous that which should be useful, and ephemeral that which should be long-lasting. This notion of design is the hidden order that links the many experiences described in the book, where Chaos prevails, and where useful objects have a vast array of formal connotations: a constellation of products lacking stylistic unity, but with a multiplicity of languages.


What is missing is an exploration which creates a dominant ‘taste’, a line of research aiming to formalise a dominant language or one which opposes another while also seeking to affirm its own supremacy. But this very coexistence of many different languages is characteristic of the dominant ‘taste’. What might appear to be a wealth certainly causes confusion, resulting from an anthropological mutation that has invaded not only western society, but the entire planet. It’s as if a multitude of styles, uprooted from the most diverse geographical and historic contexts, were torn apart and recombined to create a hybrid of many languages. This is Global Style, the semantic connection in which all the figurative expressions of many of the world’s cultural traditions are cancelled out by an approved expressive form to which all the others refer. Global Style is the semantic connection which expresses a contemporaneity, where the weight of tradition is blurred in space and time in the relationship between culture and production. It is used to analyse those forms of expression which, no longer influenced by the physical context but increasingly transversally, are relevant for their social role and represent new ‘races’. In short, Global Style is that dimension of products which is expressed through the languages that are created by contaminations of styles from the most diverse cultures and traditions on the planet. As the farthest-flung places become accessible, hybrid languages are created, born by combining the most remote stylistic and figurative expressions. Fads consume these languages rapidly in order to propose new ones, which are increasingly contaminated and enriched by references to the traditions of far-off contexts. These universal languages use stereotypes to synthesise and simplify, moving towards forms of cultural approval. The differences lie only in the different way of referring to productibility, consumption, sustainability, and the production of artefacts in an increasingly ‘hybridised’ society. In this scenario, an industrial product’s success is measured by its distribution and by its popularity with the public. One might think that the broad diffusion of a product would conflict with the desire to own it. This sentiment is associated with that which is ‘rare’ and ‘exclusive’, therefore intended for but a few, and is therefore incompatible with forms of mass production, like industrial manufacturing. And yet, that’s not the case. In an increasingly hybridised society, an object’s quality is no longer linked to it uniqueness, or to the value assigned to it by its attributes, such as quality and the worth of the materials used, or the skill and talent used to make it, those things that make it artistically complete. Rather it is replaced by a ‘designer label’ with its symbolic value, and is conditioned by factors like global multimedia communication, marketing strategies and customs. The object’s association with its owner and the desire to emulate become more important than the object’s own unique values.


XIV

Tonino Paris

premessa | foreward

The value of its technical, formal and functional specificities is replaced by the knowledge that owning the object becomes an emblematic condition for belonging to a group or a social condition. So, the aspiration to possess an object can arise from a desire that is ‘conditioned’ by the media and advertising. These act on those delicate mental, social and anthropological mechanisms that lead us to choose a product based on its brand name, and even incite us to not only purchase products without first verifying their usefulness or actual quality, but to even collect them. The ownership and exhibition of an object represent a status symbol, so we expend great effort seeking a name, a fashion or a ‘designer’ object from that galaxy of products surrounding us, polluted by the chaos of Global Style There are still a few very interesting design interpretations in the Chaos of visual pollution, as we discover in the products and product systems illustrated in the anthology. The first is a concept of design expressed in the excellence of the work of great masters who see designing a product as a way of measuring themselves against the exception, the unique work, the testimony of representing a conception of the world in the object. The second is a concept of design which is expressed in the ordinary work of the homo faber. In the first case, without ever abandoning their artistic quest to create unique pieces, designers see their work as a continuous creation of forms intended to please all of our senses, works that are emblematic of a cultivated interpretation of the aesthetic of the artefact. In this case, designers’ experiments aim to reflect the possibility of applying new materials and new manufacturing systems to the artefacts they design, to offer up new types of products, often one-of-a-kind pieces, prototypes that generate new languages which have the power to be ‘trendsetters’. These items are one step into the future, and are often veritable works of art, visible witnesses to contemporary culture. I believe that some of the most significant examples mentioned in the anthology are the experiences of Humberto and Fernando whose research is based on using poor materials or industrial scrap to design objects that are unique for their expressive efficiency; Ross Lovegrove whose work is examined to understand how to move into the future; Roberto Capucci, the author of sculptural clothing that are works of art in fabric; Gaetano Pesce an extraordinary experimenter into the use of new materials for ‘diversified series’ of products, and Issey Myake whose creations express a continuous technical re-examination and renewal. In the second case, designers act as the interpreters of people’s needs, using their ingenuity to transform new needs into new products while


eliminating the superfluous, products that are essential in their form and in the use for which they are intended, designed to minimise waste of the materials used, to simplify the production process, and to provide new opportunities for people’s activities. Of the many examples included in the anthology, I believe some of the most noteworthy are Antonio Citterio, who is as refined in his formal minimalism as he is efficient in the wealth of technological solutions he implements; Matali Crasset, who attentively interprets our daily rituals in order to devise new products for our new behaviours; Marc Sadler, Bruce Fifield, Hugo Kogan, Andy Davey and Michele De Lucchi, who apply the most advanced innovations to technical products, including home appliances, diagnostic equipment, lighting and communication products, and even sporting equipment; and Ronan and Erwan Bouroullec whose research is based on flexibility, multiplicity, reversibility, modularity and combinations of elements. The more they dedicate themselves to experimenting and designing products with a high technological and functional content, the more room ‘normal’ designers find to express themselves. And, the more they dedicate themselves to designs with a low technological and functional content, the more designers tend to express themselves just to astonish us, designing objects that are unable to free themselves from aesthetics, from the ethic of Global Style and from the ephemeral character of the product. In both cases, it’s obvious that design renders a service because it improves our quality of life, because it represents a driving force for innovation in the productive system and is an important factor for progress.



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visual & graphic design

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Federica Dal Falco | Cézar Vega

338 Rodolfo Fernàndez Alvarez 34 Segni | Signs Mario Fois

344 Saul Bass 34 Design per i titoli cinematografici | Designing Film Credits Mario Fois

352 Ruedi Baur 34 Variazioni sul tema | Variations on a Theme Lorenzo Imbesi

360 Connexine Partecipare è vincere | Participate = Success Lorenzo Imbesi

364 Esterni 34 Situazioni di design | Design Situations Carlo Martino

368 Antonio Romano L’importanza della relazionalità | The Importance of Relationships Cinzia Ferrara

376 Leonardo Sonnoli Lettere dal confine | Letters from the Edge Alessandro Biamonti | Giulia Birindelli

384 Studio Azzurro Le radici di un’evoluzione | The Roots of Change Fiorella Bulegato

392 Studio Tapiro Il cantiere dell’occhio | Workshop of the Eye Federica Dal Falco

398 Oliviero Toscani La creatività non ha passaporti | No Passport for Creativity Rosita De Lisi

408 Walter Tournier Fra artigianato e tecnologia | A Combination of Craftsmanship and Technology Alessandro Fiore

414 Why Not Associates Tradizione e modernità british | Tradition and British Modernity Alberto Lecaldano

418 Roman Graphics Inventario | An Inventory Ines Paolucci | Chiara Athor Brolli

426 Buenos Aires Graphics Digital Patagonia


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visual & graphic design

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rodolfo fernández alvarez

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Segni Signs

Federica Dal Falco Cesar Vega

Alvarez lavora per industrie nel settore alimentare, cosmetico, farmaceutico, automobilistico e del fashion design. I suoi prodotti - molto richiesti anche in ambito informatico, editoriale, educativo e formativo - coprono un vasto mercato: Paraguay, Argentina, Uruguay, Colombia, Messico, Spagna, ecc. La sua attività progettuale è integrata dal costante impegno nell'area formativa del design come docente di Packaging presso la Facultad de Ciensas y Tecnología de la Universidad Católica de Asunción con la partecipazione a convegni e a workshop multidisciplinari tenuti nelle più importanti Università del Sud America e della Spagna (Universidad Americana in Paraguay, Universidad Nacional de Tucumán e Universidad de Morón in Argentina; Universidad Pontificia del Estado de Paraná in Brasile, Universidad Tecnológica Metropolitana di Santiago del Cile). Inoltre collabora con diverse Istituzioni culturali sul progetto di valorizzazione dei prodotti di divulgazione e informazione del Mercosur nell'ottica di rafforzare l'identità del design sudamericano. La vasta esperienza professionale di Alvarez si incentra soprattutto nel campo della comunicazione visiva e dell’identità di marca di impresa, nel packaging e nel brand concept, nella cura dell’immagine di brochures e posters, ma anche nel web design. Le componenti che permeano i suoi progetti sono la creatività e il valore concettuale delle idee. Secondo Alvarez il designer deve analizzare, interpretare e proporre segni e forme in grado di soddisfare le esigenze fisiche e visive del consumatore e del committente. Il progetto della comunicazione visiva per le imprese viene sviluppato con immagini forti caratterizzate da obiettività e chiarezza, nella


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convinzione che la bellezza di un oggetto sia insita nelle sue reali performances piuttosto che in astratti valori meramente estetici. L’applicazione di tale principio comporta lo studio minuzioso delle esigenze e dei comportamenti del fruitore ed un’accurata analisi del contesto con l’obiettivo di valorizzare al massimo le caratteristiche dei prodotti ed indurre le imprese ad investire sempre di più sull’immagine. L’approccio analitico è integrato e calibrato dalla capacità di costruire immagini attraverso la manipolazione e l’interpretazione di suggestioni e sensazioni che sono la materia prima su cui si basa il progetto. La componente sperimentale e creativa della ricerca progettuale di Alvarez, che si esprime nei più diversi ambiti del progetto grafico (dal packaging alla corporate identity) è permeata da contaminazioni artistiche quali serigrafie, incisioni, sperimentazioni digitali. La sua attività può essere così schematicamente suddivisa: design di corporate identity (dai cataloghi agli indumenti), di logotipi per imprese, istituzioni e marche di prodotti; del packaging e delle etichette di prodotti alimentari e cosmetici; design di brochure, manifesti, cd e copertine di libri; design di caratteri tipografici e un importante lavoro sperimentale su immagini geometriche costruite con i più avanzati programmi informatici. Nei progetti di corporate image design e di brand concept sviluppati per industrie alimentari come Palmitos San Diego, la comunicazione è incentrata su immagini a forte impatto visivo in cui i prodotti (mais, carote, peperoni…) sono rappresentati in modo realistico con una grande attenzione al colore originale e alla morfologia dei vegetali. Analogamente nel packaging per nutrition line vengono proposte immagini dai contrasti cromatici netti: una sorta di iperrealismo che sembra trovare i suoi riferimenti nelle pubblicità


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americane degli anni ’50. Anche gli studi sul lettering sono improntati da questo gusto per la comunicazione marcata: il corpo e il carattere hanno un certo spessore e i bordi delle lettere e dei numeri vengono spesso messi in evidenza da accentuati contrasti cromatici o da ombreggiature. Nel design per logotype e booklet di cd, il progetto è invece caratterizzato da immagini surreali delle quali si cerca di esaltare graficamente l’aspetto suggestivo. Il linguaggio figurativo di Alvarez presenta quindi matrici diverse che fanno riferimento a un variegato sistema di segni riconducibili sia alla cultura locale sia a tipologie grafiche di stampo internazionale. Le immagini di Alvarez, risultato della manipolazione e reinterpretazione di elementi anche molto distanti fra loro, ben rappresentano la tendenza della contemporanea ricerca progettuale del design latino americano tesa alla costruzione di identitĂ cariche di ibridazioni, fatte di riferimenti locali ridisegnati in chiave globale.


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Rodolfo Fernández Alvarez is a person who stands out in the complex panorama of Latin American design. His designs are always up-to-date thanks to his ongoing commitment in the educational field. He is a teacher of packaging at the Facultad de Ciensas y Tecnología of the Universidad Católica de Asunción. He also takes part in multidisciplinary conferences and workshops in the most important Universities of Latin America and Spain (Universidad Americana in Paraguay, Universidad Nacional de Tucumán and the Universidad de Morón in Argentina; Universidad Pontificia del Estado de Paraná in Brazil and the Universidad Tecnológica Metropolitana in Santiago del Cile). He also collaborates with a number of cultural institutions to promote information and publishing products in Mercosur, with a view to strengthen the identity of Latin American design. Alvarez’s vast professional experience focuses mainly on the field of visual communication and company brands, on packaging, the brand concept, the publication of brochures and posters as well as on web design. Creativity and the conceptual value of ideas are what inspire his projects. According to Alvarez, the designer should analyse, interpret and propose signs and forms that can satisfy the physical and visual needs of the client and consumers. His visual communication projects for enterprises use strong, clear-cut, objective images. He is convinced that the beauty of an object lies in the way it performs, rather than in merely aesthetic abstract values. To apply this principle, he carefully studies the needs and behaviour of the final user as well as carrying out an accurate study of the context in which it will be used: his aim is to boost the product’s characteristics as much as possible and force companies to invest more in the image of the product. He combines his analytical approach with his ability to create


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images by manipulating and interpreting ideas and feelings, the core elements of his designs. The experimental and creative feature of Alvarez’s design research – expressed in the diverse graphic fields he works in (packaging and corporate identity) – is artistically contaminated by serigraphs; engravings and digital experimentation. His work can schematically be divided as follows: corporate identity design (catalogues, clothing etc.), company logos, product creation and brands, packaging, food and cosmetics labels, brochure design, posters, CDs, book covers, lettering design and an important experimental job involving geometric images generated by most advanced IT programmes. In his corporate image design and brand concept projects for the food industry, such as Palmitos San Diego, communication focuses on high visual impact images in which the products (corn, carrots, peppers,…) are realistically depicted; he pays great attention to the original colour and the morphology of the vegetables. Similarly, in the nutrition line packaging, the images that are proposed have sharp chromatic contrasts: a sort of hyperrealism that seems to be based on the American publicity of the fifties. His studies on lettering exploit his penchant for strong communication: the body and type are rather thick and often the edges of the letters and numbers are highlighted by strong chromatic or shadowed contrasts. His logos and CD booklet designs are, instead, characterised by surreal images; here he tries to graphically emphasise the evocative aspect.Alvarez’s figurative style comes from different sources and is inspired by a multifaceted system of signs linked to local culture and international graphic types. His images, created by manipulating and reinterpreting even very different elements, typically reflect the trend of contemporary design research in Latin American design. This trend aims at building identities full of hybridisation, with references to local, globally redesigned designs.


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