Xaltro n. 8

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n. 8

settembre - dicembre 2015

ETICA E LEGALITÀ L’INTERVENTO di Claudio Cerasa LA CORRUZIONE IMPOVERISCE PRIMA DI TUTTO LA POLITICA Intervista a Salvatore Vassallo PER UNA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA DEL TERZO MILLENNIO Intervista a Pierluigi Mantini LA CORRUZIONE NON È MAI UN BUON AFFARE Intervista a Mauro Gori

Periodico della Cooperativa Sociale Società Dolce Poste Italiane Spa - spedizione in abbonamento postale 70% – CN BO Bologna. Iscrizione al tribunale di BO del 28/05/1991 n° 5988


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MAURO SPINATO

Direttore Responsabile

G

ustavo Zagrebelsky giudice della Corte Costituzionale, in un passaggio del

suo libro La domanda di giustizia, 2003 ha scritto “il Giudice che è solo scru-

poloso osservante della legge non è un buon giudice”. Una affermazione che fa molto riflettere e che a mio avviso ci pone davanti ad un bivio. Deve prevalere l’Etica o la Giustizia quando entrambe non coincidono? Capita spesso di far coincidere la nozione di giustizia con quella d’ideologia. In questo caso il pericolo è quello di giustificare in nome di valori l’ingiustizia perpetrata ai danni di innocenti. Un esempio per tutti e molto attuale che ci porta ad una riflessione è quello di giustificare una guerra compiuta per esportare valori come libertà e democrazia al prezzo di innumerevoli vite umane. Ma altri casi, alcuni di questi apparsi recentemente sulle cronache, ci portano a fare ulteriori riflessioni. Quando ci si attiene scrupolosamente alla forma, può capitare che pericolosi assassini siano scarcerati a causa di cavilli burocratici o ancor peggio che non subiscano una giusta pena. Viene da pensare allora che la giustizia sia solo un’idea per così dire astratta vanificando pertanto ogni sforzo di chi si oppone alle ingiustizie. E vorrei concludere ancora con una frase di Zagrebelsky “L’idea di giustizia nasce dall’idea di una ingiustizia subita, subita da noi o da chi ci è caro. Per un discorso comune si può partire da qui, non dalle speculazioni astratte, che, invece, di unire, hanno sempre diviso”.

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Andrew Testa/Contrasto


“Io sono per la chirurgia etica: bisogna rifarsi il senno.” ALESSANDRO BERGONZONI


“La vita è quella cosa che ci accade mentre siamo impegnati a fare altri progetti.” Anthony De Mello

Periodico della Cooperativa Sociale Società Dolce Iscrizione tribunale di Bologna n. 5988 del 28/05/1991 Numero 8, Settembre - Dicembre 2015 Bologna, chiuso in redazione il 16/12/2015

Sede e Redazione Via C. Da Pizzano, 5 40133 Bologna Tel. 051 6441211 Fax 051 6441212 Email: redazione@xaltro.it

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Coordinamento organizzativo Annamaria Ponti Hanno collaborato: Cristina De Angelis, Alida Ghisellini, Emanuela Giampaoli, Isa Grassano, Federica Pagliarone, Sara Saltarelli, Mariarosa Vaira, Marco Zazzaroni. NGR_LPG_Xaltro21x12_def.pdf 1 23/07/15 13:17

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SOMMARIO L’INTERVENTO

di Claudio Cerasa

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Direttore del Foglio Quotidiano

DIALOGANO CON NOI

LA CORRUZIONE IMPOVERISCE PRIMA DI TUTTO LA POLITICA

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TOGLIERE ALLA MAFIA PER RIDARE ALLA COMUNITÀ

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RATING DI LEGALITÀ PER LE IMPRESE VIRTUOSE

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MINORI E REATI: UN’EMERGENZA EDUCATIVA Intervista a Giuseppe Spadaro

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Presidente del Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna di Silvia Vicchi

Intervista a Salvatore Vassallo Politologo

SENZA PREVENZIONE LA CORRUZIONE NON SI VINCE

RUSSIA E DOPING IN ATLETICA LEGGERA: LA IAAF SOSPENDE MOSCA A TEMPO INDETERMINATO

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BREVI DAL MONDO E DALL’ ITALIA

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COOP, È TEMPO DI RIFORME

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Intervista a Andrea Ferrarini Filosofo

PER UNA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA DEL TERZO MILLENNIO

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Intervista a Pietro Segata

Presidente Cooperativa Sociale Società Dolce

Intervista a Pierluigi Mantini

Politico e giurista, nel Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa di Federica Pagliarone

QUANDO L’ECCESSO DI BUROCRAZIA ACCRESCE L’ARBITRIO DEI POTERI INTERNI

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Intervista a Giuseppe Acocella

VACANZE CHE ISPIRANO. DESTINAZIONE UMANA, UN NUOVO MODO DI VIAGGIARE Isa Grassano

Ordinario Università di Napoli “Federico II” e Coordinatore OSLE

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NEL PAESE DEI TRUFFATORI E ALTRE STORIE Emanuela Giampaoli

LA CORRUZIONE NON È MAI UN BUON AFFARE

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Intervista a Mauro Gori Presidente della CPL

NOTAIO E CITTADINI, UN RAPPORTO DI FIDUCIA E TRASPARENZA

Intervista a Luca Donegana

Notaio e segretario di Federnotai Lombardia

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58 SOCIETA’ DOLCE NEWS 62

ETICA E LEGALITÀ di Zazza

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L’INTERVENTO di Claudio Cerasa Direttore del Foglio Quotidiano Etica, nel mondo della politica ma soprattutto nell’universo della giustizia, è una parola complicata da maneggiare e lo è ancora di più se l’etica la si affianca alla parola legalità. In Italia, l’etica della legalità è un’espressione solo apparentemente innocua e gioiosamente ovattata. Dietro questa formula si nasconde infatti un concetto pericoloso e del tutto arbitrario fatto proprio da quella parte di paese che per molto tempo ha sognato (e sogna ancora oggi) una sorta di via giudiziaria al socialismo: l’Italia del moralismo. Da questo punto di vista, il rapporto incestuoso tra etica e legalità ha portato, nel nostro paese, alla nascita di un fenomeno unico in Europa che chi ha dimestichezza con il mondo della politica e della giustizia non farà fatica a riconoscere: la trasformazione di una parte della magistratura in una grande forza dedita non soltanto a perseguire tutto ciò che è illegale ma anche a rincorrere tutto ciò che è immorale. Se in Italia la legalità non è un concetto neutro, depurato cioè da una qualsiasi veste ideologica, lo si deve proprio al fatto che esiste una forte e strutturata classe dirigente che nel nostro paese ha delegato alla magistratura il compito di occuparsi non solo dei reati ma anche dei fenomeni. E per fare questo ha permesso a giudici e pm di avere un potere discrezionale molto forte, supremo, totalitario. L’affermarsi dell’etica della legalità, concetto fumoso ma non per questo volatile, ha avuto anche l’effetto non secondario, soprattutto negli anni a cavallo tra la prima e la seconda repubblica, ai tempi di tangentopoli, di trasformare il potere giudiziario in una forza intoccabile, identificato, per le ragioni che abbiamo detto, come un’infallibile macchina da guerra a servizio non solo del rispetto della legge ma anche del rispetto dell’etica. E in virtù di questo grande equivoco, da anni assistiamo a un paradosso clamoroso, che ha portato i professionisti del moralismo ad essere così accreditati nel ruolo di custodi della morale da sentirsi legittimati a utilizzare ogni mezzo possibile pur di smascherare l’immoralità. Anche quelli al limite della legalità. L’esempio più clamoroso di illegalità combattuta con strumenti di dubbia legalità, o se volete di dubbia etica della legalità, coincide con l’utilizzo scellerato che in Italia si fa delle intercettazioni telefoniche. E basta leggere in un qualsiasi giorno i contenuti delle registrazioni telefoniche in un qualsiasi giornale e su un qualsiasi tema per rendersi conto che le costanti violazioni delle privacy dei cittadini non indagati sono legittimate da una norma non scritta del nostro paese: la necessità per molti magistrati di essere custodi non solo della legge ma anche e più semplicemente del moralismo. Se questa è etica, vedete voi.

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DIALOGANO CON NOI Qual è il tuo libro preferito? “Lezioni americane” di Italo Calvino

Il prossimo viaggio che farai? Mi piacerebbe a Cuba

Un pregio Sono spigoloso

Un difetto Lo stesso. Sono spigoloso

Qual è il tuo libro preferito? Fania Cavaliere,”Il Novecento di Fanny Kauffman”, Passigli editori, 2012

Il prossimo viaggio che farai? Thailandia-Bali-Hong Kong

SALVATORE VASSALLO Professore ordinario all’Università di Bologna e membro della Camera dei Deputati dal 2008 al 2013, Salvatore Vassallo, classe 1965, è considerato tra i massimi politologi italiani. I suoi principali ambiti di ricerca riguardano i sistemi elettorali, l’analisi dei comportamenti di voto, il legame tra le caratteristiche della competizione politica, il funzionamento e il rendimento delle istituzioni di governo, le trasformazioni organizzative dei partiti, la governance delle regioni. L’ultimo libro pubblicato è: “Liberiamo la politica” (ed. Il Mulino).

PIERLUIGI MANTINI Innamorato del diritto “invisibile”, del tennis, dell’arte contemporanea, delle donne, delle new town umanitarie.

Un pregio Essere passionale

Un difetto Essere passionale

Qual è il tuo libro preferito? “La trilogia della città di K” di Agota Kristof

Il prossimo viaggio che farai? In Sicilia

Un pregio La determinazione a risollevare la CPL

Un difetto Ne ho troppi. Scegliete voi

Qual è il tuo libro preferito? Ho molti libri preferiti

Il prossimo viaggio che farai? Firenze, Torino, Catania

Un pregio Detesto e ritengo intollerabile l’ipocrisia

Un difetto Frettoloso, intollerante

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MAURO GORI Mauro Gori, bolognese, classe 1948, dal 29 aprile 2015 ricopre il ruolo di presidente di CPL. Sino a giugno 2015 è stato Presidente di Cooperfidi Italia. Entrato nella cooperazione nel 1985, è stato componente della Presidenza Nazionale di Legacoop dal 1991 al 2002, e dal 2003 al 2014 è stato Responsabile dell’Area Economico Finanziaria di Legacoop Nazionale.

LUCA DONEGANA Coniugato con due figlie, Professore Ordinario di Filosofia del diritto nella Università di Napoli “Federico II”, VicePresidente dell’Istituto di studi politici “S. Pio V” di Roma – presso cui coordina il Consiglio scientifico dell’Osservatorio sulla legalità – è stato Magnifico Rettore della Università Roma LUSPIO nel triennio 2009-2012, e Vicepresidente dell’organo costituzionale Consiglio Nazionale dell’Economia del Lavoro dal 2005 al 2010 (VIII Consiliatura).


Intervista a SALVATORE VASSALLO

Politologo

LA CORRUZIONE IMPOVERISCE PRIMA DI TUTTO LA POLITICA Salvatore Vassallo, politologo e tra i padri fondatori del PD, fa il punto sulle nuove norme anticorruzione. “La strada è quella giusta, ma occhio agli eccessi di giustizialismo”

«Che cosa sappiamo veramente rispetto a questa impressione diffusa dell’Italia come un paese corrotto? Non esistono modi sicuri. Di solito si prende come indicatore il numero dei reati legati alla corruzione. Ma non è un indicatore certo. Si tratta solo di indizi». Salvatore Vassallo, tra i massimi politologi italiana, dà conto delle conseguenze dell’illegalità sulla vita politica del Paese, lanciando però una provocazione. Scusi Vassallo sta dicendo che l’Italia non è un Paese in cui esiste un problema legato alla corruzione? Temo che la corruzione in Italia sia un problema oggettivo. Lo conferma anche una ricerca recente di Transparency International, una delle organizzazioni non governative più accreditate nello studio della corruzione, che fornisce un quadro desolante: il nostro

Paese risulta tra i più corrotti in Europa, al pari di Grecia e Romania, e nella classifica mondiale viene dopo il Sudafrica. Però è giusto interrogarsi su quanto nella nostra percezione dell’Italia come un Paese corrotto finisca per pesare anche l’attitudine tutta nazionale all’autocritica. Quali sono secondo lei le ricadute sulla vita politica del Paese? Credo che se da un lato l’aver sollevato la questione sia stato naturale in una fase in cui la politica è sotto pressione e non solo in Italia a causa della crisi economica, al tempo stesso ha favorito la nascita di una nuova ideologia basata sull’anti-corruzione. Un’ideologia condivisa dal Movimento 5 stelle, per citare il caso più ovvio, ma che tocca tutto l’arco parlamentare

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e che a volte è pericolosa. A cui fa gioco enfatizzare il problema, che ripeto esiste, della corruzione. In che senso? Ci sono effetti positivi, come l’aver innescato un tentativo di rinnovamento, ma ci sono anche conseguenze negative ed è quello di aver svuotato la classe politica di credibilità. Con il rischio di impoverirsi. Ma i tentativi di introdurre principi di trasparenza sono ovviamente sacrosanti. Quali sono i più rilevanti? Dalla legge Severino in poi si è cercato di intervenire per prevenire la corruzione. Magari si è agito un po’ troppo in preda all’ansia, all’ambizione alla trasparenza totale con risultati talvolta paradossali. Il caso di De Luca rispetto alla norma sull’incandidabilità ne è un esempio. Ha evidenziato un problema. Un altro importante provvedimento è il Codice etico dei dipendenti pubblici, che invece va nella giusta direzione e prima non esisteva. Insomma la strada imboccata è quella giusta, ma occhio agli eccessi di giustizialismo. Che cosa resta da fare? Innanzitutto occorre che di pari passo all’iniziativa legislativa per rendere più stringenti le norme contro la corruzione si proceda con un lavoro di semplificazio-

ne rispetto al nostro sistema normativo talvolta troppo complesso. Altrimenti il principio etico della trasparenza rischia di contrastare un altro principio etico che è quello di rispondere al bene della collettività. In questo senso il limite della Severino è nella difficoltà oggettiva dell’applicazione delle norme. Con quali conseguenze? Quest’ansia di rendere tutto trasparente rischia di paralizzare lo Stato, a partire dalle opere pubbliche che da anni in questo Paese sono bloccate. Non dimentichiamo che le finalità di una Pubblica Amministrazione dovrebbero essere quelle di aumentare i diritti e il benessere dei cittadini. A questo proposito speriamo che la riforma della Pubblica Amministrazione vada in questa direzione. Credo che la questione si chiarirà con la pubblicazione dei decreti del Ministro Madia attesa per la fine del 2015. Che cosa si aspetta? In questi anni abbiamo assistito a un ricambio innegabile della classe politica. Però bisogna che al meccanismo effettivo di ricambio dei politici ne corrisponda un altro, equivalente, di ricambio tra i dirigenti della PA. È infatti dimostrato che l’inamovibilità dei dirigenti favorisce l’annidarsi di patologie connesse con la corruzione. Poi, più in generale, bisogna che la componente penale vada a braccetto con quella preventiva.

Quest’ansia di rendere tutto trasparente rischia di paralizzare lo Stato, a partire dalle opere pubbliche che da anni in questo Paese sono bloccate. Non dimentichiamo che le finalità di una Pubblica Amministrazione dovrebbero essere quelle di aumentare i diritti e il benessere dei cittadini

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Intervista a ANDREA FERRARINI Filosofo

SENZA PREVENZIONE LA CORRUZIONE NON SI VINCE Andrea Ferrarini è il capofila di Agenda 190, progetto nato per promuovere nei piccoli comuni della Lombardia la cultura della legalità, a partire da un dato: è più facile per la malavita organizzata infiltrarsi negli enti locali

Andrea Ferrarini è un filosofo, prestato però alla vita civile del Paese. Da sempre impegnato a difesa della legalità, è autore per l’ANCI Lombardia e Retecomuni delle “Linee guida operative ANCI”, per i piani triennali di prevenzione della corruzione nelle amministrazioni comunali. È anche tra i fondatori di Agenda 190, nata allo scopo di diffondere l’etica pubblica nel Paese. A partire dai piccoli comuni lombardi Ferrarini, ha senso distinguere tra etica e legalità? Certo, non sono la stessa cosa, si tratta di due concetti distinti ma in relazione tra loro. La legalità richiama la necessità di conciliare la libertà di scelta con l’esigenza di regole e norme. Di questo conflitto tra libertà e regole la filosofia si interroga sin dai tempi di Socrate. E lei, che l’etica pubblica cerca di insegnarla, da dove parte?

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L’illegalità è un rischio che dipende dalle scelte degli individui e delle organizzazioni. Le persone possono scegliere “bene” o “male”. E i valori etici possono aiutare a valutare le scelte e programmare le scelte future. Cerco di orientare le regole della convivenza a partire da una condivisione reale dei valori. Per evitare che si rimanga su un piano formale e teorico, che cosa pensa della Legge anti-corruzione approvata dal Governo Renzi? Che si tratta di un piccolo passo per il Parlamento, ma per l’Italia è un grande risultato. È davvero un grosso salto culturale, anche se la legge in sé ha grandi limiti. Per esempio quali? In origine era una legge ben scritta, che però è stata



accorpata in due articoli per evitare di essere approvata senza eccessivi emendamenti e chiedendo la fiducia. Il risultato è che ha subito un numero di tagli tale da impoverirne la struttura. Si capisce che dietro manca un iter parlamentare serio. A partire da un punto fondativo: da nessuna parte si spiega che cosa si intenda per corruzione. Tanto che per avere una definizione giuridica ci si rifà a una circolare (la 1/2013) del Dipartimento di Funzione Pubblica in cui si legge che è: “l’abuso di un potere pubblico per favorire interessi privati”. E che una legge dello Stato rimandi a una circolare è di per sé, come è facilmente intuibile, una debolezza. Un vizio di forma insomma? Dietro cui si nasconde molta sostanza. Un altro tema è non aver affrontato sufficientemente la questione legata agli enti locali. È una legge che si intuisce pensata per i Ministeri, riferita allo Stato centrale, rimandando alla Conferenza Stato-regioni tutte le articolazioni che riguardano la Pubblica Amministrazione. In particolare il quadro normativo in tema di prevenzione della corruzione e di trasparenza nelle società pubbliche non è di facile interpretazione. Dal controllo sulle società partecipate e controllate. Pensiamo alla sanità, da sempre uno dei terreni più fertili per i fenomeni corruttivi. Quali profili di vulnerabilità possono emergere, in

particolare, nei piccoli Comuni? È stato provato che i comuni a maggior infiltrazione mafiosa sono quelli più piccoli. Anzi, più piccoli sono meglio è. E qui entra in campo lei con il progetto Agenda 190. Di che cosa si tratta esattamente? È un progetto avviato da ANCI Lombardia, con il cofinanziamento di Fondazione Cariplo, per supportare i piccoli comuni nelle attività di prevenzione della corruzione, promozione della trasparenza e nel dialogo con i cittadini e con le imprese. Prevede attività di ricerca, formazione, comunicazione con il territorio e ha, come obiettivo finale, la definizione di Linee Guida per la Prevenzione della corruzione nei comuni. Forniamo strumenti univoci per comprendere la corruzione, coinvolgendo e sensibilizzando la cittadinanza, le scuole, gli amministratori, i dipendenti pubblici. È importante? È fondamentale. Da tangentopoli in poi la repressione è sembrata l’unica strada per combattere la corruzione, il che era anche normale tenendo conto che tutto è partito dal pool di giudici di mani pulite. Da allora però in questo senso sono stati fatti pochi passi in avanti. Noi ci proviamo e stiamo cercando di portare il progetto su scala nazionale.

L’illegalità è un rischio che dipende dalle scelte degli individui e delle organizzazioni. Le persone possono scegliere “bene” o “male”. E i valori etici possono aiutare a valutare le scelte e programmare le scelte future

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Intervista a PIERLUIGI MANTINI

Politico e giurista, nel Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa di Federica Pagliarone

PER UNA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA DEL TERZO MILLENNIO La giustizia amministrativa è spesso nell’occhio del ciclone: ultimo caso la sentenza del Consiglio di Stato sulle unioni civili e le “esternazioni” del giudice Deodato. Abbiamo rivolto qualche domanda a Pierluigi Mantini, politico e giurista, attualmente nel Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa

Dott. Mantini, Lei ha una vasta esperienza giuridica come avvocato, docente universitario, legislatore. Cosa ne pensa delle ultime polemiche relative alla giustizia amministrativa?

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Le polemiche sono inevitabili, la critica costruttiva è di per sé utile. La sentenza sulle unioni civili sconta l’ingiustificata assenza di una legge sollecitata anche dall’Europa e dalla Corte Costituzionale. È vero che il giudice ha un particolare obbligo di riservatezza e, nei casi più evidenti, di astensione, come pure è previsto un divieto deontologico di rilasciare interviste su sentenze proprie. Ma l’esempio citato mi sembra un caso limite, i giudici amministrativi sono per tradizione molto più riservati di quelli ordinari. Sulle critiche più generali alla giustizia amministrativa occorre distinguere.

ziona assai meglio di quella ordinaria quanto a celerità delle decisioni, che sono nella media europea. Si tratta di un giudice molto specializzato, che si occupa di diritto europeo, appalti, energia, concorrenza, abusi quotidiani dei pubblici poteri nei confronti di cittadini ed imprese, materie molto delicate per l’efficienza e l’equità sociale. In Italia sono meno di 500, un numero che si ridurrà a 400 circa con i pensionamenti di fine anno, a fronte dei 1300 in Francia e dei 2400 in Germania. Il Consiglio di Stato poi, secondo Costituzione, ha anche sezioni consultive sugli atti regolamentari e amministrativi del governo, funzioni delicatissime che oggi vanno interpretate alla luce del principio di semplificazione previsto dalla riforma costituzionale. Se con le critiche si vogliono invece evidenziare le cose che possono migliorare o che devono cambiare, allora sono bene accette.

In che senso?

In quale direzione?

Innanzitutto, la giustizia amministrativa in Italia fun-

In primo luogo, si può sempre migliorare l’efficienza


della giustizia, al servizio dei cittadini. Per combattere l’arretrato, si possono introdurre “sezioni stralcio monocratiche”, ossia fatte da un solo giudice anziché da un collegio, riservate alle cause più risalenti e per le quali è venuto meno l’interesse, segnalate in un’udienza annuale di “rottamazione” dei fascicoli più vecchi. Ciò in collaborazione con l’avvocatura, che ha manifestato disponibilità in cambio di una fissazione ravvicinata delle udienze per le cause più attuali. Ancora, si potrebbe utilizzare il “giudice monocratico” per i ricorsi più semplici, come quelli in materia di silenzio della p.a. o di accesso agli atti e, in parte, anche per i giudizi di ottemperanza. In tal modo si

risparmierebbero energie a vantaggio della celerità complessiva dei processi. Nella legge delega sugli appalti vi è poi un punto che riguarda la semplificazione delle controversie per accelerare l’esecuzione dei lavori: si potrebbe anticipare la fase dei giudizi su esclusioni e ammissioni alle gare, che oggi è pari al 70% del contenzioso in materia di appalti e che porta a litigare, spesso in modo strumentale, più sui requisiti soggettivi dei primi in graduatoria che sulle illegittimità dell’aggiudicazione. Ma occorrono anche riforme “interne” all’ordinamento. Una più efficace responsabilità disciplinare per i


magistrati poiché il regime attuale è addirittura precedente alla Costituzione. Una più netta delimitazione degli incarichi extragiudiziari, anche se l’eliminazione degli arbitrati ha assai ridotto la materia. Ed anche una più chiara disciplina dei conflitti di interesse e degli obblighi di astensione per i magistrati che si trovano a giudicare questioni su cui hanno pur legittimamente espresso pareri in sede consultiva. Per queste riforme occorre la collaborazione del governo e del legislatore, in un rapporto costruttivo: né conservazione né rottamazione. Ora siete alle prese con la nomina del nuovo presidente del Consiglio di Stato, un passaggio indubbiamente delicato. Quale è la sua opinione a riguardo?

Ecco, proprio perché si tratta di un passaggio delicato, mi permetto di non esprimere la mia opinione. Certamente, come è noto, io ritengo che il solo criterio dell’anzianità per le nomine direttive sia ormai desueto, è stato superato anche nelle altre magistrature e nella società più in generale. Le garanzie di terzietà e di indipendenza derivano dalla legge e vanno tutelate. Ma le personalità chiamate a guidare un’istituzione devono esprimere anche idee, programmi e capacità di relazioni istituzionali. La sfida è quella di far vivere un diritto e una giustizia amministrativa del terzo millennio, nella scena nuova del diritto globale, all’insegna della semplificazione e dell’effettività dei diritti. Il Consiglio di Stato è un luogo ricco di eccellenze, dunque sono ottimista.


Intervista a GIUSEPPE ACOCELLA

Ordinario Teoria generale del diritto, Università di Napoli “Federico II” e Coordinatore Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla legalità – OSLE

QUANDO L’ ECCESSO DI BUROCRAZIA ACCRESCE L’ARBITRIO DEI POTERI INTERNI Etica e pubblica amministrazione: un rapporto sempre più delicato e un problema socialmente rilevante. Ne parliamo con Giuseppe Acocella, Ordinario di Teoria generale del diritto – Università di Napoli “Federico II”, Coordinatore Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla legalità – OSLE

Professore Acocella, qual è l’obiettivo dell’Osle? L’Osservatorio sulla legalità è stato costituito nel 2013 a conclusione di una ricerca promossa dall’Istituto di Studi politici “S. Pio V” nella quale emergeva che il principio di legalità – fondamento dello Stato di diritto e dunque delle democrazie contemporanee – vive nei nostri tempi una condizione difficile che induce a definirla come legalità ambigua. Da questa amara constatazione nacque l’iniziativa di indagare questa categoria - che costituisce comunque l’architrave della civiltà giuridica contemporanea per la convivenza pubblica nelle società avanzate - con un Centro di ricerche (l’Osservatorio – OSLE) che documentasse e studiasse gli aspetti ed i problemi che accompagnano l’esperienza della legalità, la quale, pur sbandierata come un vessillo da esibire in tempi di crisi come unico presidio di democrazia e progresso, spesso viene deliberatamente fraintesa ed utilizzata a fini personali o di

schieramento. La produzione annuale dei Materiali per una cultura della legalità presso un prestigioso editore risponde all’obiettivo di proseguire nell’indagine di carattere scientifico, il sito raccoglie indicazioni e attestazioni circa il fenomeno nei suoi aspetti storico-pratici, mentre gli interventi promossi in collaborazione con le istituzioni formative mirano a coltivare e valorizzare una cultura della legalità diffusa nei territori. Il nostro Paese è ultimo nella classifica mondiale tanto per qualità che per i tempi della giustizia erogata: i dati sono davvero così catastrofici? Lei fa riferimento ai dati elaborati dall’Ufficio statistico del Ministero della Giustizia sulla base del Rapporto Doing Business della Banca mondiale nonché del rapporto European judiacial systems del CEPEJ, che però, voglio ricordare, sono riferiti – il primo in modo prevalente – alla valutazione dell’efficienza giudiziaria

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in relazione a parametri di “libertà” economica. Ciò penalizza spesso sistemi che limitano la mano libera in economia per la salvaguardia di finalità sociali, premiando sistemi che semmai lasciano molta libertà economica agli investitori ma sopportando tassi di ingiustizia interna, economica e non, che risulterebbero intollerabili a paesi con maggiore equilibrio tra libertà di intrapresa e sistemi di giustizia sociale. Questo non toglie certamente che la lentezza del sistema giudiziario, in specie per le controversie di diritto civile, risulti indigesta per una sana vita economico-sociale nel nostro paese, così come l’incertezza in campo penale (l’obbligatorietà dell’azione penale si risolve spesso in totale discrezionalità su quali casi indagare e perseguire, creando un potere fuori controllo, come spesso viene denunciato, giacché il mito dell’efficienza non è sempre garanzia di imparzialità) generi di frequente un vulnus preoccupante al principio di legalità (come l’ OSLE, insieme ad altri, cerca di documentare nelle sue ricerche e come le istituzioni europee denunciano a spese dell’Italia). Quindi non vi è solo una questione di lentezza della giustizia, ma soprattutto un problema di qualità, e le due esigenze non vanno sempre di pari passo. Etica e pubblica amministrazione: un rapporto sempre più delicato e un problema socialmente rilevante. Esiste una soluzione? Questo tema è stato uno degli assi portanti della elaborazione scientifica portata avanti dall’OSLE in questo

triennio con i suoi Materiali, i quali documentano uno sforzo rilevante in atto da parte nostra per esaminare criticamente il problema. La questione della legalità costituisce la prospettiva corretta per affrontare i nodi che ci sono dinanzi, dal momento che spesso la contestazione degli eccessi burocratici si trasforma in una inquietante (e spesso non disinteressata) rivendicazione di abolire i vincoli che la legalità impone all’amministrazione (con gli esiti corruttivi che tutti conosciamo). La soluzione, pertanto, non può consistere nel liquidare le misure che la legge prevede a tutela dei cittadini e del buon andamento della pubblica amministrazione, ma certamente l’eccesso di burocrazia accresce l’arbitrio dei poteri interni alla casta degli uffici e mina alle basi la fede nelle istituzioni stesse, favorendo a sua volta la corruzione. Il tema può dunque essere affrontato perfezionando le misure di controllo, come si sta facendo, ma anche ammodernando la macchina pubblica con una intensa formazione professionale ed etica dei pubblici funzionari. Parliamo di food: anche in questo settore si annida la criminalità, a partire dagli appalti fino alle frodi alimentari passando per il mancato rispetto dei capitolati, la non conformità di alimenti seppure certificati e lo sfruttamento dei lavoratori. Da qui l’importanza di una filiera etica: rimarrà un’utopia? Acutamente lei pone un tema che riguarda gli

...non vi è solo una questione di lentezza della giustizia, ma soprattutto un problema di qualità, e le due esigenze non vanno sempre di pari passo

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aspetti più intricati e meno superficiali della questione della comprensione della legalità per garantirne la salvaguardia. Infatti gli attentati alla salute attraverso le frodi alimentari non solo sono gravi (e sono in misura crescente fonte di allarme per la opinione pubblica) per i danni diretti dell’avvelenamento dei cibi e dell’ambiente, ma anche perché si allargano a macchia d’olio investendo più ambiti delittuosi e palesemente illegali: lo sfruttamento dei lavoratori nell’intero ciclo, dalla coltivazione alla trasformazione fino alla distribuzione dei prodotti; la corruzione degli apparati pubblici preposti alle autorizzazioni ed ai controlli; infine il delicato nodo degli appalti pubblici. L’OSLE ha rivolto la sua attenzione, attraverso i Materiali, anche alla questione degli appalti e delle relative responsabilità della pubblica amministrazione, perché ivi si annida un più raffinato livello di illegalità, spesso nascosta nelle pieghe di un formalismo legale piegato agli interessi degli stessi che – tradendo la fede pubblica - formulano i capitolati d’appalto con l’intento non di garantire la salute della comunità, come richiederebbe il loro dovere, ma di violare, a proprio profitto, le tutele attraverso lo strumento amministrativo messo invece a loro disposizione a nome e per conto di tutti. I temi dell’integrità, della trasparenza e della legalità rappresentano uno snodo centrale per il sistema sanitario pubblico. Non solo per assicurare un buon uso delle risorse in un settore che vale quasi l’8% del Pil, ma anche perché la corruzione riduce l’accesso ai servizi e peggiora (a parità di altre condizioni) gli indicatori di salute, rappresentando la forma peggiore di inefficienza della P.A. Se potesse lei cosa farebbe per risolvere il problema? Il sistema sanitario pubblico appare, come viene documentato con preoccupante continuità, un settore nel quale - per afflusso di risorse ingenti e per disparità

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consentite proprio dalla gestione da parte delle autonomie regionali - risultano più alte le occasioni di corruzione e più inquinate le procedure per l’assegnazione di ricchi appalti. A questo si aggiunga che – come accade in genere per la aggiudicazione delle opere pubbliche in base a bandi di gara – il livello di inefficienza generato dalla illegalità (che è sempre un gravame per il patrimonio pubblico e per cittadini contribuenti) spesso viene ulteriormente appesantito non solo dalle lungaggini burocratiche ma persino da quelle inevitabili nella proliferazione dei giudizi amministrativi. Alla giusta esigenza delle imprese (nel settore edilizio come in quello sanitario) di tutelarsi da possibili inganni ed illegalità nella aggiudicazione dei bandi, o di fronte agli aggravi delle modifiche in corso d’opera dei capitolati e delle modificazioni di spesa (talvolta giustificati proprio con i ribassi previsti nei bandi), la risposta della magistratura amministrativa genera la dilatazione degli spazi di intervento, con l’inevitabile conseguenza - grazie anche a tempi incoerenti con le necessità di realizzazione delle opere - di rendere la richiesta di legalità incompatibile con l’esigenza di efficienza, fino a rendere vana, e puramente formale, la stessa certezza del diritto, svincolata dai fini etici e sostanziali che la norma deve perseguire. Tutto ciò - traducendosi in costi maggiorati per un sistema sanitario già di per sé inevitabilmente costoso - genera una riduzione drastica della disponibilità pubblica a garantire la sanità comune e garantire a tutti l’accesso alle cure necessarie. Ciò provoca un vulnus alla democrazia, dal momento che una differenza di reddito può tradursi in una diseguale difficoltà di accesso alla fruizione del diritto alla salute, che è diritto individuale ma da fruirsi nelle condizioni pubbliche date e possibili nel momento storico richiesto. Il principio di legalità entra dunque nel corpo vivo della democrazia e ne offre la più vera e sostanziale qualificazione per restituire significato allo Stato di diritto nell’età contemporanea.


Intervista a MAURO GORI

Presidente della CPL

LA CORRUZIONE NON È MAI UN BUON AFFARE Mauro Gori, il nuovo presidente della CPL, la coop coinvolta nello scandalo della metanizzazione di Ischia, spiega perché il malaffare non conviene mai. Nemmeno a esser cinici

Oltre 430 milioni di euro. Tra costi diretti, commesse perse, consulenze legali, ricadute economiche e sociali sull’indotto. A tanto ammonta il conto del caso di corruzione che ha travolto Cpl Concordia, il colosso cooperativo modenese sotto accusa per gli appalti della metanizzazione di Ischia. Mauro Gori, nuovo presidente di Cpl Concordia, che nel frattempo ha girato pagina ed è stata re-inserita nella “white list”,ha fatto i conti scoprendo che “la corruzione non conviene”. Quanto è costata la vicenda di Ischia? Chiudendo il bilancio 2014, ci siamo resi conto di dover accantonare molte risorse a fronte di quanto è accaduto. Parliamo di 5,2 milioni solo per rischi fiscali o penali cui vanno aggiunti le spese legali e circa1,4 milioni per i dipendenti sospesi, tra cui gli ex dirigenti che continuiamo a retribuire e che, fino

a quando non sarà fatta chiarezza processuale, non possono essere reintegrati. Senza contare le commesse perse. Tra maggiori spese e minori utili parliamo di 15 milioni. Dunque l’imprenditore corrotto non è un buon imprenditore? L’imprenditore corrotto è un pessimo imprenditore. La corruzione può sembrare la via per aumentare i ricavi senza spingere troppo sull’efficienza eper risparmiare sui costi, ma fa correre rischi tali da mettere a repentaglio il futuro dell’azienda. Il primo compito del manager, per di più se cooperativo, è salvaguardare la continuità aziendale per trasferirla ai nuovi soci. La corruzione è immorale e illegale, ma parlando per paradossi non è un buon affare. Ed è l’opposto dell’idea di cooperazione. Non so quante aziende in Italia di fronte a quanto accaduto sarebbero rimaste

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L’imprenditore corrotto è un pessimo imprenditore. La corruzione può sembrare la via per aumentare i ricavi senza spingere troppo sull’efficienza eper risparmiare sui costi, ma fa correre rischi tali da mettere a repentaglio il futuro dell’azienda

in piedi. CPL aveva da parte molte risorse, economiche e morali, altrimenti avremmo chiuso.

Secondo un recente sondaggio di Swg, il 58% degli italiani, ritiene che le imprese operino illegalmente “perché il sistema lo permette”. È d’accordo?

E per quanto riguarda i costi ‘umani’? Quando siamo entrati in carica Elio Cirelli ed io abbiamo trovato un clima interno, tra i lavoratori, molto pesante. Un sentimento non tanto di rabbia quanto di sconforto, affiancato da un atteggiamento di impotenza rispetto agli eventi. Smarrimento, tristezza, umiliazione. Ad aggravare l’atmosfera, già di per sé cupa, sono arrivati pacchi di lettere anonime.Tra le nostre prime azioni c’è stata quella di convocare l’assemblea dei soci, a cui ne sono seguite altre, al ritmo di una ogni tre mesi per raccontare,in termini molto chiari, i numeri, i problemi, le risposte che abbiamo intenzione di dare. E soprattutto le sfide che abbiamo davanti. Ovvero? La sfida è tornare in utile per il 2017, sapendo che il 2016 sarà un anno durissimo.

Il rapporto tra impresa e legalità è complesso. Certamente c’è un fattore culturale, che gioca a sfavore di entrambe le parti. L’impresa vive molte disposizioni normative, anche con buone ragioni, come inutili appesantimenti burocratici, quelli che un tempo si definivano lacci e lacciuoli. Ciò genera l’idea che il soggetto pubblico abbia una visione molto lontana da chi si confronta quotidianamente con la realtà lavorativa. L’impresa quindi tende a rispettare gli aspetti formali, non quelli sostanziali, delle norme. D’altro canto il pubblico si ritiene totalmente altro rispetto all’impresa e talvolta rischia di perdere di vista l’interesse per la collettività. Le imprese che operano nella legalità invece sono beni collettivi. Ecco, bisognerebbe che queste due visioni fossero un po’ più armoniche, che l’imprenditore sentisse lo Stato come partner e lo Stato sostenesse le imprese che operano correttamente.

Si aspettava tutto questo quando ha accettato l’incarico?

Come vede il futuro da questo punto di vista?

La ragione per cui siamo venuti qui, Cirelli ed io, è l’appartenenza a una comunità, al mondo cooperativo e la consapevolezza che rischiavano di pagare per colpe che non avevano commesso famiglie intere. Ma la verità è che, pur sapendo chel’impresa era difficile, non pensavamo sarebbe stata così complicata.

A me sembra che stia crescendo una cultura della legalità. Tante forze sociali, i sindacati, le associazioni imprenditoriali, il movimento cooperativo sono impegnate in questa direzione. Anche il quadro normativo si sta modificando. E in ogni caso, davvero la corruzione non conviene.

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Intervista a LUCA DONEGANA

Notaio e segretario di Federnotai Lombardia

NOTAIO E CITTADINI, UN RAPPORTO DI FIDUCIA E TRASPARENZA Il notaio ha un ruolo sempre più presente nella società civile, di cui segue attentamente le trasformazioni. Un ruolo che lo pone come un prezioso consulente al fianco del cittadino a garanzia dei suoi diritti. In seguito alle profonde trasformazioni sociali caratterizzate anche dalle nuove tecnologie, oggi Federnotai, l’associazione sindacale più rappresentativa dei notai italiani, è impegnata su molti fronti, anche di concerto con le associazioni dei consumatori. Abbiamo chiesto al notaio Luca Donegana, segretario di Federnotai Lombardia, esperto giuridico di spessore che ha collaborato con scuole notarili ed Università, cosa ne pensa dell’ipotetica creazione di un Codice Etico del notariato a tutela della clientela

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Dott. Donegana, la filosofia di un notaio dovrebbe essere quella di porre il cliente in primo piano e di soddisfare le sue richieste, attraverso risposte su misura, altamente qualificate, nonché di offrire dei servizi innovativi volti ad anticipare le sue esigenze future. Non crede che la costruzione di un Codice Etico rivolto alla tutela dei clienti possa rispecchiare esattamente questo orientamento? A suo avviso, quali dovrebbero essere gli obiettivi di tale Codice Etico? E a chi dovrebbe rivolgersi?

statale a livello nazionale. Quindi la predisposizione e il varo di un codice etico senza dubbio va nella direzione da lei indicata, a patto però che il Codice Etico sia inteso in maniera diversa dall’accezione comune. Per i rapporti tra notai esistono già norme deontologiche ad hoc riunite in un codice. Inoltre gli atti notarili sono sottoposti ogni due anni ad una severa ispezione da parte degli Archivi notarili, che sono organi del Ministero della Giustizia. Occorrerebbe invece implementare la “disciplina” del rapporto notaio-cliente e farlo da un punto di vista etico.

Sicuramente il notaio deve cercare di recuperare sempre più il ruolo di consulente di fiducia del cliente, perché il contatto diretto con le parti è la sua dimensione ontologica, la sua linfa vitale. Tutte le grandi imprese hanno un codice etico. Ma il notaio non è un imprenditore, è sì un libero professionista, ma è anche e prima di tutto un pubblico ufficiale che ha superato un concorso

Solitamente tra i principi generali di un codice etico spiccano valori come professionalità e competenza, segretezza e riservatezza, correttezza e lealtà: nel caso di un Codice Etico dedicato alla clientela, cosa ritiene debba essere rispettato dai destinatari? Il codice etico penso che debba anzitutto avere come


principi guida quelli dell’assoluta personalità e della qualità della prestazione (almeno la minima) che ciascun notaio deve fornire al cliente; fondamentale è poi che il notaio presti la propria consulenza valorizzando al massimo gli aspetti peculiari di una fattispecie concreta, individuando la miglior soluzione possibile anche dal punto di vista tributario, curando per questo in maniera continuativa il proprio aggiornamento professionale. Penso poi alla necessità che il notaio, al momento dell’assunzione dell’incarico professionale, dettagli per iscritto al cliente, in accordo col medesimo, quale sarà il contenuto della sua prestazione. Penso in altre parole, ad una sorta di carta dei diritti del cittadino. Al fine di assicurare l’effettività e l’efficacia del Codice pensa che debba essere predisposto un sistema sanzionatorio formale e dissuasivo? In caso di viola-

zione dei principi in esso contenuti, quali dovrebbero essere, secondo la sua esperienza, le conseguenze per chi ha adottato comportamenti in contrasto con i principi etici descritti? Ancora una volta, considerata la natura del notaio, a metà tra pubblico ufficiale e libero professionista, ritengo che un Codice Etico, nell’accezione in precedenza estrinsecata, non debba essere dotato di sanzioni. Il solo fatto della sua esistenza e della sua pubblicizzazione presso la cittadinanza fungerebbe da sufficiente deterrente nei confronti dei notai rispetto a possibili violazioni. E’ ovvio che il Codice Etico verrebbe predisposto a tutela del cittadino, ma sarebbe nell’interesse dei notai rispettarlo ed anche farlo conoscere alla clientela. Del resto le sanzioni per la violazione del codice deontologico, al quale ho fatto riferimento in precedenza, già esistono e sono anche abbastanza severe.


TOGLIERE ALLA MAFIA PER RIDARE ALLA COMUNITÀ La legge 109/96, che regola la destinazione sociale dei beni confiscati alla mafia, compirà tra poco vent’anni. Molte cose sono state fatte, da allora, tante sono le cooperative sorte, numerosi gli immobili dati alla società civile, affinché li utilizzino per fini sociali, ma altrettanto resta da realizzare.Accorciare i tempi di assegnazione, ad esempio, trovare i fondi per le ristrutturazioni, rafforzare la rete tra cooperative, associazioni, istituzioni, contro i frequenti tentativi di intimidazione

Una legge scomoda, per chi di mafia vive, perché tocca simboli e status del potere criminale: poderi, abitazioni lussuose, palazzi, colpendo chi dell’ostentazione ha fatto la propria forza. Già nel 1995, l’associazione Libera, guidata da don Luigi Ciotti, lanciò una raccolta firme per introdurre il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati e oggi è capofila nella promozione e nel controllo del buon uso dei beni, in collaborazione con l’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei beni sequestrati. Il riutilizzo sociale prevede l’assegnazione dei patrimoni e delle ricchezze di provenienza illecita a associazioni, cooperative, enti locali, affinché li restituiscano alla società, attraverso servizi, lavoro, attività di interazione. Si va dal denaro, alle case, ai terreni, fino alle aziende, in maggioranza ristoranti e pizzerie, o locali notturni. Molti i beni di vocazione artistica, culturale ed educativa, dalle opere d’arte, a edifici storici, che sono

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stati confiscati alla mafia, per i quali è attivo il progetto “L’Etica Libera la Bellezza”. Avviato in Calabria e Campania, promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e dall’associazione Libera, in collaborazione con l’Agenzia nazionale, vuole riqualificare i territori e accrescere il senso di appartenenza dei giovani attraverso la cultura. Tra i soggetti indicati dalla normativa come idonei per la gestione dei beni confiscati, la cooperazione sociale è al primo posto, grazie alla progettazione cui sono finalizzati i beni assegnati. Difficile riassumere in poche righe le numerose esperienze attive sull’intero territorio nazionale, ma tutte sono caratterizzate da obiettivi di inclusione, ad esempio di persone disabili, o ex tossicodipendenti, o minori che hanno commesso reato. Prodotti agricoli, o alimentari, spazi per i giovani, aziende restituite alla legalità, sono tra le attività realizzate. In Sicilia, oltre a Libera, opera il Consorzio Ulisse, sorta di grande madre per le cooperative interessate


alla gestione di beni confiscati. Tra esse, troviamo NoE, No Emarginazione, che a Partinico, in provincia di Palermo, gestisce un terreno confiscato, dove lavorano soggetti svantaggiati. O la cooperativa Apriti Cuore, che gestisce una comunità alloggio a Torretta. O ancora, il centro culturale polivalente Cambio Rotta, sorto a Altavilla Milicia, nel villino a strapiombo sul mare di un esponente del clan di Bagheria, aperto al territorio e ai giovani. Il consorzio Ulisse vanta anche la prima esperienza italiana di azienda confiscata alla mafia, produttrice e distri-

butrice di caffè, tolta ai Graviano e rilevata in cooperativa Conca d’Oro dagli ex dipendenti, che oggi la gestiscono. Sempre in Sicilia, ricordiamo l’esperienza delvigneto del feudo Verbumcaudo, confiscato al boss Michele Greco a Polizzi Generosa, è stato assegnato alle cooperative Placido Rizzotto, Lavoro e Non Solo e Pio La Torre, aderenti a Legacoop e già attive su altri fondi agricoli appartenuti un tempo a Cosa Nostra. In Puglia, dal 2008 un gruppo di giovani selezionati con bando pubblico, formati e guidati dal progetto


Libera Terra dell’associazione Libera, gestisce i beni confiscati alla Sacra Corona Unita. Venti ettari di terreno a grano biologico, con cui si producono i tarallini pugliesi con marchio Libera Terra, diffusi presso gli ipermercati Coop e circa trenta ettari di vigneto tipico, in via di recupero dopo anni di abbandono anche grazie al lavoro di agronomi del circuito Slow Food. Una legge perfetta, quindi? Risponde Elena Leti, politica e architetto, con un Master in Gestione e riutilizzo di beni e aziende confiscati alle mafie, presso l’Università di Bologna: “Una legge unica a livello mondiale, che ha portato successi, ma presen-

ta anche problemi. Al momento della confisca, i beni vengono affidati a un amministratore giudiziario, ma non possono essere assegnati fino al terzo grado di giudizio, quindi passano anni e un bene lasciato in abbandono va a pezzi. Per non parlare delle aziende, per le quali spesso è preferibile la chiusura. Una soluzione? Occupazioni temporanee e sedi regionali dell’Agenzia nazionale, con gruppi di lavoro composti anche da professionisti, perché servono competenze, dall’agronomo, all’ingegnere. Parliamo di una realtà potenzialmente ricchissima, ma ancora poco conosciuta e utilizzata”.

cooperativa

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RATING DI LEGALITÀ PER LE IMPRESE VIRTUOSE Tra gli strumenti con cui l’istituzione e il legislatore intendono distinguere tra buoni e cattivi, tra virtuosi e chi si limita a fare il proprio dovere, c’è il Rating di legalità, riconoscimento di buone pratiche ed eccellenza

C’è lavoro e lavoro. Lo stesso servizio, l’identico prodotto, possono essere il risultato di processi molto diversi, spinti da immoralità e avidità di guadagno, o motivati da etica e valori. Utilizzare personale retribuito in nero, o non qualificato, esporlo a rischi per inottemperanza dei requisiti di sicurezza, servirsi di fornitori che non operano nella legalità, presentarsi per convenienza con una forma giuridica a cui non si ha diritto, sono solo alcuni dei comportamenti che fanno la differenza, tra un’azienda e l’altra. Dopo i fatti di Roma, che hanno messo in luce un mondo imprenditoriale sommerso, formato da false cooperative, emerge il bisogno di distinguere tra realtà spurie e chi ha diritto a presentarsi come tale. Tra gli strumenti con cui l’istituzione e il legislatore intendono distinguere tra buoni e cattivi, tra virtuosi e chi si limita a fare il proprio dovere, c’è il Rating di legalità, riconoscimento di buone pratiche ed eccellenza, con attenzione alle corrette modalità di lavoro, lontani da ogni forma di riciclaggio, corruzione e infiltrazioni mafiose. Il bollino blu di impresa virtuosa sul piano economico e della legge è stato assegnato fino ad oggi a 1.154 azien-

de italiane, con una valutazione che va da una atre stellette e che mira a sostenere i migliori. Solo nei primi nove mesi del 2015, sono state in totale 1.077 le richieste presentate dalle imprese, con 778 attribuzioni (pari all’81%), contro 43 dinieghi (4,4%) e quattro revoche (04%). Per il resto, si contano 16 conferme (1,6%), 10 incrementi di punteggio (1,0%) e 85 archiviazioni (8,8%). Approvato dal Parlamento tre anni fa, il Rating di legalità ha come interlocutori aziende che fatturino più di due milioni di euro, con specifici requisiti: nessun precedente penale per illeciti amministrativi, né reati tributari, o di stampo mafioso, nessuna condanna per reati legati all’Antitrust, o verso i consumatori, ma anche tracciabilità dei pagamenti erispetto delle leggi per la tutela e la salute sul lavoro e l’adozione di forme di corporate social responsability. Cosa implica ottenere le stellette del Rating di legalità? Non solo onore, o mera formalità, ma benefici concreti: condizioni più favorevoli per l’accesso al credito e ai finanziamenti, agevolazioni nell’accesso ai bandi di gara pubblici e privati, fondi per le imprese operanti in regime di accreditamento istituzionale e una novità nell’asse-

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gnazione dei finanziamenti pubblici, dove dev’essere previsto un punteggio aggiuntivo negli appalti e una quota di riserva, per aziende decorate con le stelle del Rating. La cooperativa sociale Società Dolce di Bologna ha ricevuto, prima in Italia nel suo genere, il bollino blu di impresa virtuosa, premiata dall’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato con le tre stelle, a dimostrare che la cooperazione è nata per fare etica, oltre che impresa. Ad oggi, in Emilia Romagna, sono solo due le cooperative sociali ad avere ottenuto il massimo punteggio dal Garante. Pietro Segata, presidente di Società Dolce, precisa: “Lavorare con etica significa anche porsi di fronte al cliente e al committente con assoluta trasparenza. Bisogna

agire secondo elevati standard etico sociali e di governante. Il malaffare, la mafia, ma anche la piccola corruzione locale possono essere combattute e vinte grazie al lavoro congiunto di istituzioni, imprese, collaborazione tra imprese, istituzioni, forze dell’ordine e magistratura”. Un percorso obbligato per chi lavora in modo cristallino e vuole riaffermare i principi di solidarietà e mutualità di un mondo imprenditoriale da sempre ricco di valori e buone storie. L’elenco della aziende italiane che hanno ottenuto il Rating di Legalità è consultabile al link http://www.agcm. it/rating-di-legalita/elenco.html, sul sito dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (http://www. agcm.it/)


Intervista a GIUSEPPE SPADARO

Presidente del Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna di Silvia Vicchi

MINORI E REATI: UN’EMERGENZA EDUCATIVA In questi ultimi anni appaiono in crescita i segnali di disagio che provengono dagli adolescenti, con un progressivo dilatarsi dell’allarme sociale intorno ad essi, fino a ritenere di essere di fronte ad una cosiddetta “emergenza educativa”

Cosa accade a un giovane minorenne che commette reato? Dal punto di vista del Tribunale che presiedo, il giovane dev’essere messo senz’altro nelle condizioni di comprendere cosa e perché ha sbagliato e di riflettere su quali conseguenze comporta il reato commesso, sia per lui che per la vittima. Detto questo, la “filosofia” dell’intervento penale in ambito minorile prevede – come scriveva uno dei padri fondatori del diritto minorile nel nostro Paese, Alfredo Carlo Moro – la messa in campo di validi strumenti per tentare un recupero del minore cosiddetto deviante, agevolando invece la possibilità di una rapida fuoriuscita dal circuito penale per coloro che non presentano gravi deviazioni nel percorso di crescita e socializzazione. Sono molti e frequenti, infatti, i comportamenti penalmente rilevanti, tali da costituire reato, che possiamo considerare occasionali e comunque da ritenere collocati nel periodo evolutivo attraversato da un soggetto in formazione – qual è un giovane o una giovane che deve innanzitutto acqui-

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sire una sua autonomia personale e raggiungere una responsabilizzazione matura delle proprie azioni, per sé stesso e per la società in cui vive. Ovviamente, la materia penale è davvero molto vasta e articolata per tentare facili sintesi e, giustamente, costituisce il settore del diritto minorile maggiormente regolamentato da norme giuridiche. Basti pensare che, purtroppo, il nostro sistema penale non prevede delle pene minorili specifiche e questo significa che ai minori si applicano le stesse pene previste per gli adulti, sia pure ridotte quanto all’entità e alla durata, ed espiate in appositi istituti penali, se detentive, come il nostro IPM di Via del Pratello. Vorrei comunque sottolineare che il contesto principale che un minore imputato di reato affronta è un processo a lui espressamente “dedicato”: infatti, il processo penale minorile – regolato dalla fondamentale riforma contenuta nel D.P.R. 448/1988 – presenta finalità specificatamente educative, con la ripresa dell’iter formativo, che l’evento reato ha in qualche modo interrotto; è un processo “specializzato”, nel senso che tutte le componenti, nelle diverse fasi del


suo svolgimento, hanno a vario titolo una competenza sulle dinamiche dell’età evolutiva; è un processo che non è celebrato contro, ma per e con il minore,che così diventa un soggetto di diritti, nonché di doveri,anche attraverso il coinvolgimento in funzione educativa delle parti coinvolte, ad iniziare dai genitori. Quali sono a suo parere gli interventi di prevenzione più efficaci rivolti ai giovani a rischio di reato? Dato anche il tema di questo numero della rivista, un esempio consolidato di best practice ritengo siano i progetti di educazione alla legalità e alle regole di convivenza civile, che sono ormai da anni sempre più diffusi in ambiti scolastici e associativi, per come possono contribuire alla formazione integrale delle persone minori d’età. Corrado Alvaro, un grande scrittore della mia Calabria, scriveva che «la disperazione peggiore di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile». Innanzitutto dobbiamo dissipare e abbattere insieme ai giovani questo dubbio, uscendo dall’ambivalenza, se non dalla contraddittorietà, con la quale il mondo adulto in generale si pone rispetto al tema delle regole e dell’educazione alla responsabilità, in particolare nei confronti degli adolescenti. In questi ultimi anni appaiono in crescita i segnali di disagio che provengono dagli adolescenti, con un progressivo dilatarsi dell’allarme sociale intorno ad essi, fino a ritenere di essere di fronte ad una cosiddetta “emergenza educativa”. Tuttavia, ripeto, la difficoltà di costruire azioni preventive serie e adeguate è legata anche ad un sistema culturale di riferimento per gli adolescenti, che propone loro, costantemente, un modello di vita basato proprio sul rischio vissuto come una componente positiva della vita degli individui. Per loro è difficile comprendere certe preoccupazioni dei “grandi”, quando giocare d’azzardo, bere smodatamente e poi guidare, avere rapporti sessuali non protetti, consumare sostanze psicotrope, sono azioni

ammesse se a compierle sono adulti e non più tollerate quando riguardano gli adolescenti. Ovviamente, il tema costituisce un importante snodo nello sviluppo della riflessione e delle prassi inerenti le politiche sociali di prevenzione del disagio e della devianza. Si tratta, per così dire, di metterci anche la faccia. Vorrei citare, in proposito, l’esperimento scenico del regista Paolo Billi nell’ambito del Progetto Dialoghi,che il 16 ottobre scorso, nell’Aula Magna dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, ha presentato agli studenti lo svolgimento di un processo minorile in piena regola, dove i panni dell’imputato, però, li vestiva proprio il Presidente del Tribunale: ecco, ritengo che esperienze di questo tipo – già svolte anche a Ferrara – possano contribuire ad aprire il Tribunale ad una conoscenza diretta dei ragazzi sul funzionamento della giustizia minorile e facilitare, in termini preventivi, una presa d’atto che la realtà della devianza non è affatto lontana dalla propria quotidianità. L’obiettivo dev’essere un coinvolgimento dei ragazzi, che accresca la loro consapevolezza cognitiva dei rischi e al contempo quella emotiva dell’esperienza dei comportamenti, aprendo una possibilità di dialogo suidiversi significatie sfaccettature del rischio,per consentire loro di rileggere la propria esperienza, individuale e di gruppo. Reputa importante la partecipazione di differenti professionalità ed esperienze, di un lavoro di rete, ad un percorso di recupero? Direi fondamentale, in particolare in una realtà come l’Emilia-Romagna, dove sono presenti servizi e risorse professionali di alto profilo che, nonostante le difficoltà economiche perduranti, consentono di facilitare l’interscambio di esperienze tra settori di intervento che si occupano trasversalmente della stessa tematica, siano queste in capo ad assistenti sociali, neuropsichiatri, psicologi, educatori o pedagogisti. Ritengo che attraverso queste collaborazioni possano svilup-

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parsi pratiche e percorsi che non riducano le risposte dei servizi solo ad un’ottica emergenziale, senza il tempo necessario per la realizzazione di un progetto riabilitativo e di recupero psicosociale adeguato alla storia e al contesto del minore. Sono quindi, anche dal punto di vista del Tribunale, sempre più necessari percorsi mirati attraverso interventi multidimensionali, in particolare nella definizione e nella gestione dei cosiddetti casi complessi in età evolutiva. Inoltre, non si può trascurare il legame sociale con la comunità ed il territorio di appartenenza del minore, sostenendoanche pratiche che consolidino quella connessione ed una rete informale di contatti e relazioni sociali, che possano accompagnare la cura e la crescita del cittadino minore di età. Che ruolo ha la cooperazione sociale nel recupero e nelle rieducazione dei minori autori di reato? Può descrivermi brevemente qualche esperienza di progettazione che abbia ottenuto buoni risultati? La cooperazione sociale svolge un ruolo di primaria importanza nel determinare la qualità sia del sistema dei servizi alla persona in generale, che delle attività preposte alla rieducazione e al recupero dei minori autori di reato. Penso, nello specifico, alle molte comunità di accoglienza per minori residenziali in relazione all’età, al genere, ai problemi vissuti dagli ospiti, pur operando in modo integrato con l’USSM e con i servizi sociali territoriali oltre alle comunità ministeriali e del

terzo settore, in cui sono collocati i minori sottoposti alla specifica misura cautelare prevista dall’art.22 del D.P.R. 448/1988 (collocamento in comunità). Come esempi di progettazione che portano spesso a buoni risultati, potrei citare i progetti di messa alla prova nei casi di sospensione del processo, che, quando hanno un esito positivo, portano all’estinzione del reato. Si tratta dell’istituto più innovativo ed originale previsto dal codice processuale minorile e rientra tra quelli diretti ad evitare la condanna e, di conseguenza, l’esecuzione della pena detentiva. Il collegio può decidere sulla richiesta di sospensione solo quando viene presentato un progetto educativo, elaborato dai servizi sociali dell’amministrazione della giustizia che ne sono titolari, con l’eventuale collaborazione dei servizi socio-assistenziali degli enti locali e con il coinvolgimento anche di soggetti della cooperazione sociale. Tale progetto è predisposto generalmente prima dell’udienza, con il consenso dell’imputato, in quanto solo attraverso un contatto diretto tra i servizi ed il minore possono essere valutate le risorse che egli è in grado di investire nel percorso. Inoltre, è fondamentale che vi sia un’adesione volontaria e consapevole all’impegno che viene proposto, in quanto ciò costituisce la garanzia della riuscita dell’intervento. I contenuti del progetto sono adeguati alla personalità e alla capacità del soggetto, nonché dell’ambiente familiare e sociale di riferimento, tendendo conto delle risorse presenti sul territorio.

La cooperazione sociale svolge un ruolo di primaria importanza nel determinare la qualità sia del sistema dei servizi alla persona in generale, che delle attività preposte alla rieducazione e al recupero dei minori autori di reato

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LA RIEDUCAZIONE SOCIALE PER I MINORI IN MESSA ALLA PROVA Gaetano ha sedici anni, tra un mese terminerà il suo periodo di messa alla prova in comunità, con un fresco attestato da elettricista in tasca, ma con molto di più nel cuore: “È stato l’anno più importante della mia vita – racconta – e mi ha insegnato cose che non conoscevo, come il rispetto, le regole, l’amicizia. Fin da bambino ho sbagliato, ero violento, rubavo, rompevo. Ho dato fuoco a sei auto e le ho distrutte, così, solo perché ero arrabbiato. Ma dall’errore è nata questa esperienza che mi ha cambiato”. Gaetano è uno dei 3.261 ragazzi sotto i diciotto anni, che nel 2014 ha goduto del provvedimento di messa alla prova, un’alternativa al carcere, che nell’ultimo decennio ha visto una crescita dell’85%. Nel 2014 hanno collaborato al regime di messa alla prova 2.746 realtà del privato sociale, con attività di volontariato e socialmente utili (2.621), di studio (1.475), di lavoro (804), sportive (540), di socializzazione (327). Le permanenze in comunità sono state 708. Ma cosa accade a un minore che commette reato? Quali alternative alla detenzione ha? Solitamente può accedere a un Centro di prima accoglienza, dal momento dell’arresto, all’udienza di convalida, dove sarà seguito da assistenti sociali, educatori e psicologi, che gli forniscono informazioni e sostegno. Dopo il giudizio, può esserci una misura alternativa, con affidamento al servizio sociale, per un reinserimento attraverso attività lavorative, o di studio e formazione. In sede di giudizio, il processo può essere sospeso e, come per Gaetano, può scattare la messa alla prova, l’inserimento del minore autore di reato a un progetto del Servizio Sociale Minorenni, con i servizi socio-sanitari del territorio e soggetti del Terzo settore, comprese le cooperative sociali. Nel 2014, i giovani presi in carico dal servizio sociale per i minorenni sono stati 20.195, prevalentemente italiani (79% circa) e maschi (88% circa). Si tratta di ragazzi e ragazzi che hanno commesso furti e rapine, reati contro il patrimonio (46%), la persona, le lesioni personali volontarie, le violenze private e le minacce, o hanno violato norme sulla detenzione e l’uso di stupefacenti. Gli ingressi nei Centri di prima accoglienza sono stati 1.548, per il 70% giovani tra i sedici e i diciassette anni, per il 28% tra i quattordici e i quindici anni, con una diminuzione del 23% rispetto all’anno precedente. I collocamenti in comunità sono stati invece 1.716, per il 57% minori italiani. E 992 giovani, anch’essi in maggioranza italiani, hanno invece varcato le soglie dell’Istituto penale per i minorenni, a seguito di ordinanza di custodia cautelare (70%). I dati parlano chiaro: c’è una netta tendenza a rieducare il minore autore di reato e non solo a punirlo. La rieducazione è fondamentale per un giovane che ha sbagliato, ma con un’intera vita davanti a sé e magari alle spalle un contesto di degrado e buone relazioni. Così come è importante la prevenzione. Educazione, sostegno psicologico, valori di solidarietà, sono elementi imprescindibili per il recupero e lo è anche la stretta rete tra istituzioni, enti locali, terzo settore, dalla quale nascono progetti individuali e spesso vincenti. La rieducazione è talmente importante, che il programma di intervento sul ragazzo prosegue anche al compimento della maggiore età, fino al raggiungimento degli obiettivi di recupero. A Bologna, i ragazzi dell’Istituto Penale per i minorenni e i loro coetanei delle scuole superiori, partecipano insieme a laboratori teatrali sui temi della legalità e della solidarietà. Perché se è vero che la pena deve essere rieducativa e non punitiva, è altrettanto importante non arrivarci e prevenire il reato. Promosso da Regione Emilia Romagna e Centro per la Giustizia Minori, l’iniziativa si chiama Dialoghi e si conclude ogni anno in uno spettacolo teatrale.

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LA RIEDUCAZIONE SOCIALE PER I MINORI IN MESSA ALLA PROVA Anche l’agricoltura biologica si mette in gioco per la formazione e l’inclusione sociale e lavorativa dei minori sottoposti a misure penali. “Ricomicio dal Bio” è un progetto dell’Aiab, associazione italiana per l’agricoltura biologica, con la collaborazione del Ministero di Giustizia, realizzato in Toscana, Lazio, Abruzzo, Sicilia, Campania: “Prendersi cura di animali e piante – spiega Anna Ciaperoni, responsabile del progetto e ideatrice degli orti sociali - aiuta a prendersi cura di sé. L’obiettivo è di responsabilizzare i minori che hanno commesso reato e offrire loro una formazione di orticoltura biologica e un’esperienza di lavoro.” Giulio Baraldi è coordinatore delle comunità educative della cooperativa sociale CSAPSA 2, che per lungo tempo si è occupata di inserire nelle proprie strutture, minori in regime di messa alla prova: “Ci siamo concessi una pausa di riflessione – dice – perché sono venuti a mancare alcuni presupposti di lavoro iniziali. Per una compressione dei tempi di permanenza nella comunità filtro ministeriale, si trascura l’osservazione, che permetteva una prima conoscenza del ragazzo e dopo un paio di esperienze pesanti, abbiamo scelto di non continuare.” Ma ogni esperienza che si chiude è un fallimento per l’intera società, se è vero che per il Dipartimento per la Giustizia Minorile del Ministero di Giustizia, oltre l’80% delle messe in prova ha esito positivo, come confermano gli stessi operatori: “Su una ventina circa di casi seguiti – racconta Alessandra Malucelli, coordinatrice di una comunità di Csapsa 2 – solo due sono falliti. Un successo, se pensiamo che molti arrivano senza che vi siano vera consapevolezza e intenzione, quindi senza presupposti. Posso dire che è l’educatore a fare la differenza.

Nasce UNIFICA

Il Consorzio di Imprese Artigiane più grande d’Italia

Con oltre 1.250 impresa associate specializzate in vari settori imprenditoriali, UNIFICA svolge la propria attività sull'intero territorio italiano impiegando operativamente oltre 10.000 addetti. UNIFICA, nato della volontà di CIPEA, CARIIEE e Co.Ed.A, ha un volume d’affari dell’intero gruppo, per l’anno 2011, superiore ai 150 milioni di euro.

UNIFICA rappresenta la forza del gruppo artigiano ed opera nei seguenti settori: - Edilizia pubblica / privata e restauri conservativi - Impianti tecnologici e risparmio energetico - Infrastrutture - Global Service e Facility Management - Project Financing


RUSSIA E DOPING IN ATLETICA LEGGERA: LA IAAF SOSPENDE MOSCA A TEMPO INDETERMINATO Ventidue voti contro uno: a causa dello scandalo doping in atletica leggera, Mosca è fuori dalle competizioni a tempo indeterminato

Si tratta di una vera e propria stangata per lo sport russo e per le ambizioni della Russia di Putin. L’organo che governa l’atletica leggera mondiale, la Iaaf, con un verdetto netto, ha infatti deciso per la «sospensione temporanea» e senza limiti di tempo dell’atletica leggera di Mosca. Senza contare che c’è una forte possibilità che il bando, senza precedenti per lo sport mondiale, duri fino alle Olimpiadi di Rio 2016, con ripercussioni politiche e sportive difficili da calcolare. Per far rientrare la decisione del consiglio della Iaaf, Mosca dovrà fare pulizia al suo interno, a cominciare ovviamente dai controlli antidoping, clamorosamente mancati, come ha messo in luce il rapporto choc della Wada, l’agenzia mondiale antidoping. Il lungo pomeriggio della Iaaf e del doping di Stato russo è cominciato con una teleconferenza, secondo la Bbc condotta da Lord Sebastian Coe da un luogo segreto a Londra. «Abbiamo preso la decisione più dura possibile, ma abbiamo discusso tra

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di noi e siamo stati d’accordo che il sistema di controllo ha fallito, non solo in Russia ma in tutto il mondo», questa l’amara constatazione di Coe. «È un punto vergognoso e siamo stati chiari: non ci possiamo più perdere in chiacchiere, la nostra determinazione è cambiare direzione per riportare fiducia nel nostro sport». A sua volta il ministro dello Sport russo, Vitali Mutko, sottolinea: «la Federatletica mondiale (Iaaf) ha nascosto dal 2008 i risultati di 155 test antidoping, e gli atleti russi sono coinvolti solo in 15 di questi casi. Il problema del doping quindi non riguarda un solo paese, e neanche la sola atletica leggera, ma è un problema di tutto lo sport e risolverlo è possibile esclusivamente se si decide di lavorare insieme». A questo punto al Cremlino non resta che far cadere le teste dei dirigenti sportivi accusati dalla Wada, difendere i responsabili sportivi, ammettere alcune colpe, rendersi disponibili a collaborare con la Wada e il Cio,


rifondando l’antidoping interno. Intanto, mentre Putin ordina un’inchiesta interna, arriva l’ultimatum del Cio sul fronte antidoping ad una serie di Paesi - tra i quali Russia, Francia, Brasile, Kenya, Ucraina e Spagna - che non rispettano i parametri dell’agenzia mondiale Wada. «Si mettano in regola entro il 18 marzo 2016 - ammonisce il Cio – e intervengano anche i governi». La lotta al doping, alla luce degli ultimi episodi come quello russo, è stato uno degli argomenti dibattuti nella tre giorni del comitato esecutivo del Cio a Losanna: sotto la lente diversi Paesi il cui sistema ha mostrato più di una falla. Nello specifico, è stato chiesto ai comitati nazionali di Russia e Kenya di garantire un efficiente programma di test fuori dalle competizioni. E sempre per rimettersi in riga con le normative Wada vi-

genti, il Cio ha sottolineato che sta «esortando i governi di Andorra, Argentina, Bolivia, Israele, Russia e Ucraina, le cui Organizzazioni Nazionali Antidoping (Nado) sono state dichiarate non conformi dalla Wada, di intraprendere con la massima urgenza tutte le misure necessarie per riguadagnare credibilità». E monito anche ad altri Paesi come Belgio, Brasile, Grecia, Messico, Spagna e Francia, i cui Nado sono stati temporaneamente dichiarati non conformi, di mettere in atto tutte le misure necessarie atte a garantire la conformità entro il 18 marzo 2016. Una corsa contro il tempo per la Francia che ospiterà il prossimo europeo di calcio e che è candidata con Parigi per le Olimpiadi del 2024: le norme del Cio sono chiare, chi non rispetta il codice Wada non può organizzare eventi internazionali, tanto meno i Giochi olimpici.


BREVI BREVI DAL DAL MONDO MONDO E E DALL’ITALIA DALL’ITALIA

LA FILIERA DELLA LEGALITÀ SECONDO CIR FOOD ll “Cibo giusto, esente dalle contaminazioni di una mafia liquida che si infiltra ovunque”, è stato l’argomento al centro della tavola rotonda organizzata da CIR food dal titolo “La filiera della legalità”, tenutasi il 12 ottobre nel corso di Expo, nella CIR Vip Lounge. Insieme a Chiara Nasi, presidente CIR food, hanno preso parte al dibattito il Magistrato Gian Carlo Caselli; il vicepresidente UNISG Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Silvio Barbero; il responsabile Relazioni Istituzionali Novamont, Andrea Di Stefano e il presidente della cooperativa Libera Terra, Alessandro Leo. Ad introdurre e moderare il convegno è stato il giornalista Luca Ponzi, il quale ha subito richiamato l’attenzione degli ospiti sull’attuale natura dell’organizzazione criminale mafiosa: “Si tratta di un sistema che ha ormai una natura imprenditoriale, con un giro di affari di 220 miliardi di euro. Anche l’agroalimentare e la ristorazione non sono esenti da questo fenomeno. Basti pensare che, per quel che riguarda quest’ultimo settore, sono ben 5.000 le imprese in odore di mafia”. Osservazione subito ripresa dall’intervento del Magistrato Gian Carlo Caselli, secondo il quale: “Oggi la mafia è liquida, si infiltra ovunque, anche e soprattutto nell’agroalimentare: un settore che ha grande appeal per l’organizzazione criminale. Il motivo? La grande ricchezza generata annualmente dall’Italian Food”. “Se la mafia è liquida, bisogna anzitutto tappare i buchi in cui si infiltra”, sostiene Alessandro Leo, presidente della cooperativa Libera Terra, realtà che coltiva terre confiscate alla mafia per farle rinascere in un circuito virtuoso grazie al lavoro di giovani agricoltori.

CARCERI: A BOLLATE NASCE IL PRIMO RISTORANTE APERTO A CLIENTI ESTERNI Per la prima volta in Italia un ristorante in un carcere, con cuochi e camerieri detenuti, accoglierà i clienti esterni. Inaugurato il 26 ottobre, “InGalera” è il primo ristorante nato all’interno di un carcere, la II Casa di Reclusione di Milano-Bollate. L’idea è nata dall’incontro di più voci: PwC Italia, parte del network professionale leader nei servizi alle imprese, che ha ideato il progetto e ha messo le proprie competenze economiche e finanziarie a sostegno del “ristorante sociale”; ABC La sapienza in tavola, cooperativa sociale nata all’interno della Casa di Reclusione di Bollate, che si occupa di catering solidale, e la Direzione della Casa di Reclusione, che concede in comodato d’uso nella propria struttura gli spazi per la realizzazione del ristorante.

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LA BIBLIOTECA DELLA LEGALITÀ LAVORA PER SALVAGUARDARE IL SENSO CIVICO La Biblioteca della Legalità nasce per diffondere la cultura della legalità e della giustizia tra le giovani generazioni attraverso la promozione della lettura, nella convinzione che le storie e le figure abbiano un ruolo fondamentale nella comprensione della realtà e siano strumenti indispensabili per costruire un immaginario che pone al centro di tutto, il senso civico. Fin dall’inizio, la Biblioteca della Legalità è stata pensata come un progetto da replicare ovunque possibile. Sono già diversi i territori che si sono messi in moto per replicare questi piccoli presidi di cultura. Tra questi c’è Ancona, che si è mossa su iniziativa dell’Associazione Agorà Dorica e dove, anche quest’anno, la Biblioteca della Legalità organizza un corso di formazione per gli insegnanti che vogliono ospitare la BILL presso la propria scuola. Per maggiori informazioni: Michele Altomeni (email: m.altomeni@ altraofficina.it; cell. 335.7312544).

DON LUIGI CIOTTI: IL 61% DEI DISOCCUPATI È DISPOSTO A RICEVERE UN AIUTO DALLA CRIMINALITÀ “Secondo una ricerca della Coldiretti, il 61% dei disoccupati intervistati è disposto ad accettare un posto di lavoro dove la criminalità organizzata ha investito per riciclare del denaro; una persona su 10 è disposta a commettere consapevolmente delle azioni illegali pur di avere un lavoro; e una su 5 non avrebbe problemi a recarsi in un bar gestito dalla criminalità. Tutto questo ci dimostra come le dinamiche criminali riescano ad interferire nelle nostre vite”. Lo ha detto don Luigi Ciotti intervenendo alla presentazione a Palermo dell’Associazione nazionale criminologi e criminalisti italiani (Ancrim) alla caserma Lungaro. “Per ricordare le vittime di mafia non basta onorare la memoria - ha aggiunto don Ciotti - ma travasare nelle nostre vite la loro ricerca di verità e impegno per la giustizia. Una memoria formale senza impegno è una memoria friabile, contingente, una memoria ingannevole non meno offensiva dell’oblio”. Don Ciotti ha anche affrontato il tema della lotta alla corruzione. “La legalità per molti è diventata un concetto malleabile. - ha detto - Dopo Tangentopoli sognavamo una svolta nel nostro Paese, eppure proprio dopo Tangentopoli sono uscite delle leggi che nella lotta alla corruzione sono andate nella direzione opposta, senza contare che il falso in bilancio è stato messo nel cassetto”.

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BREVI BREVI DAL DAL MONDO MONDO E E DALL’ITALIA DALL’ITALIA

LEGALITÀ: UNA SCUOLA DI PORDENONE SI AGGIUDICA IL CONCORSO NAZIONALE La scuola primaria ‘IV Novembre’ di Pordenone si è aggiudicata il primo premio del concorso nazionale indetto dalla Guardia di Finanza e dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca sul tema della legalità economico-finanziaria. Alla classe vincitrice dell’iniziativa, denominata ‘Insieme per la legalità’, sono stati consegnati cinque mappamondi multimediali. Nel corso della cerimonia di premiazione hanno suscitato la curiosità fra i ragazzi i due cani antidroga delle Fiamme Gialle che si sono esibiti in una simulazione di ricerca di sostanze stupefacenti.

DALLA FONDAZIONE FALCONE ARRIVANO BORSE DI STUDIO PER RICERCHE IN CRIMINOLOGIA Scambi culturali e borse di studio tra l’Italia e gli Stati Uniti: è quanto prevede l’accordo accademico triennale siglato tra la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, la commissione Fulbright e la National Italian American Foundation (NIAF), che finanzierà le spese del progetto di ricerca nato con lo scopo di perpetuare la memoria e le opere del giudice Falcone e della moglie Francesca Morvillo. Grazie all’accordo siglato, il progetto di studio “Fulbright - Fondazione Falcone - NIAF” offrirà nel triennio 2016-17, 2017-18 e 2018-19 tre borse di studio per cittadini statunitensi fino a 12.700 euro per attività di ricerca e studi in criminologia presso la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, e tre borse di studio per cittadini italiani provenienti da atenei siciliani fino a 12.000 dollari per attività di ricerca e studi in criminologia presso l’università degli Stati Uniti. Il bando e i dettagli per accedere alla borsa di studio sono disponibili al link http://www.fulbright.it/fulbrightfalcone-niaf/. La Commissione per gli scambi culturali fra l’Italia e gli Stati Uniti è l’ente bilaterale che su mandato del Dipartimento di Stato statunitense e del Ministero degli Affari esteri gestisce dal 1948 il programma Fulbright in Italia: programma di scambio culturale rivolto a cittadini italiani e statunitensi interessati a cogliere opportunità di studio, ricerca ed insegnamento in Italia e negli Usa. In particolare, la fondazione Niaf, con sede a Washington D.C., rappresenta oltre 20 milioni di cittadini italo-americani che vivono negli Stati Uniti.

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Intervista a PIETRO SEGATA Presidente COOPERATIVA SOCIALE SOCIETA’ DOLCE

COOP, È TEMPO DI RIFORME Pietro Segata, presidente di Società Dolce, lancia un appello al mondo cooperativo: se non lo vogliamo subire, il cambiamento deve avvenire dall’interno

Cominciamo con le buone notizie. Società Dolce ha ottenuto tre stelle nel Rating per la legalità. Prima cooperativa sociale in Italia ad aver conseguito il massimo punteggio. Come si diventa i primi della classe? È da un po’, ovvero da prima che venissero alla luce i vari scandali legati al mondo cooperativo, ed in particolare sulle cooperative sociali, che come Società Dolce ci interroghiamo su quali siano i processi necessari per garantire principi come trasparenza, etica, legalità con diffusione a tutti i livelli. Dall’uso residuale del denaro contante a favore della moneta elettronica, all’istituzione di un comitato etico che dal 2014, in accordo

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con i soci, affianca il Consiglio di Amministrazione Società Dolce come si comporta in proposito? e l’Organismo di Vigilanza, sono diverse le iniziative che abbiamo intrapreso in questa direzione. Noi non ricorriamo al prestito sociale. Ci farebbe comodo, ma preferiamo chiedere finanziamenti alle Forse avrebbero dovuto agire in questa direzione banche. Non mettiamo a rischio l’interesse dei nostri anche altri all’interno del Movimento cooperativo soci. Ma per allargare il discorso, il punto è che il Movimento Cooperativo è un ‘vecchio arnese’ del No… Al di là dei casi eclatanti, in effetti sono dell’idea vecento che se vuol sopravvivere e magari non solo che il Movimento Cooperativo non abbia fatto ab- sopravvivere deve cambiare cassetta degli attrezzi. bastanza per autoriformarsi, con il risultato che le riforme sono state imposte dall’esterno. E quando le Il primo attrezzo da cambiare? riforme arrivano dall’esterno finisci per subirle. Ma la responsabilità è dei cooperatori. Una delle questioni di cui si dibatte è il controllo interno che è poco incisivo. Sta però nascendo l’AlNella sua esperienza le è capitato di trovarsi in leanza delle Cooperative Italiane, il coordinamento situazioni per così dire ambigue? nazionale costituito dalle associazioni più rappresentative della cooperazione italiana, ovvero Legacoop, Diciamo che mi sono capitate tante situazioni in cui Confcooperative e AGCI con l’obiettivo di migliorare lavorando con la Pubblica Amministrazione ho as- il sistema di controlli, promuovendo legalità tra i prosistito ad esiti di gare in cui la mancata aggiudica- pri associati. Questo potrebbe essere uno strumento zione mi è sembrata legata a criteri non oggettivi. molto utile per cominciare. Ambienti ostili, li chiamo. E magari è capitato di lì a poco che l’assessore di turno sia stato inquisito per Basterà? fatti analoghi…. Oltre ai controlli bisogna rifondare il Movimento coTornando al Movimento Cooperativo quali riforme operativo sui valori in cui abbiamo sempre creduto. auspica? Come Etica e Legalità per restare in tema. Una è sotto gli occhi di tutti ed è quella del credito cooperativo. È indubbio che le banche popolari siano state meno soggette ai controlli di garanzia rispetto agli altri istituti bancari, con la conseguenza che oggi c’è un numero rilevante di commissariamenti. Un aspetto peraltro strettamente connesso al prestito sociale, altra questione da riformare urgentemente. Non si possono mettere a rischio i capitali dei soci in maniera così disinvolta. In tanti sono anziani, che investono i risparmi di una vita. E devono essere garantiti.

Un’ultima questione riguarda la reputazione del movimento cooperativo pesantemente danneggiata dagli scandali recenti. Qual è la percezione da parte dei soci di Società Dolce? Di recente abbiamo affidato a SWG, un sondaggio al nostro interno su questi temi. E il risultato, devo dire, ha sorpreso persino me: l’80% dei nostri soci ha confermato di avere piena fiducia nell’operato della cooperativa.

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ISA GRASSANO

Giornalista

VACANZE CHE ISPIRANO DESTINAZIONE UMANA, UN NUOVO MODO DI VIAGGIARE Un tempo la vacanza era sinonimo di dolce far nulla. Oggi è sinonimo di “esperienze”, di autenticità, di avere un contatto diretto con la natura, con le cose, ma soprattutto è sinonimo di “conoscenza” delle persone che vivono nel luogo scelto per le ferie. Al piacere di staccare si unisce il desiderio di voler condividere momenti, fare un’at-

Destinazione umana, Fienile Fluo

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Destinazione umana, Ca’ del Sasso, Lunigiana

Destinazione umana, Silvia Salmeri

Destinazione umana, Albero di Eliana

tività, praticare meditazione, ritrovarsi, per dare senso a quei giorni (pochi o molti che siano) davvero liberi che ci concediamo in un intero anno. Tanto che si parte sempre di più per una “Destinazione Umana”. Si chiama proprio così il portale di turismo ispirazionale (www.destinazioneumana.it) che mette in rete strutture ricettive come agriturismi, bed and breakfast, locande e case vacanza in tutta Italia, ribaltando completamente il concetto di viaggio. A idearlo, tra gli altri, Silvia Salmeri di Bologna, che tre anni fa ha lasciato un posto fisso in azienda e che propone un’ispirazione al viaggiatore chiedendogli “cosa sta cercando”, in base a quattro categorie (Cambiamento, Innovazione, Ruralità, Spiritualità), e solo successivamente “dove vuoi andare”. E lo guida attraverso la scelta di una meta che sia adatta e perfetta per i propri desideri, basandosi sulla relazione umana, l’innovazione sociale, lo sviluppo di valori di sharing economy, tutto formulato secondo il cambiamento positivo, e quindi della ricerca della felicità personale e professionale. Una modalità,

© Marco Trombini 2014

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inoltre, più sostenibile e responsabile di valorizzazione del territorio. Le storie raccontate su Destinazione Umana sono tante e per contattare le strutture del portale basta un click. Ad accogliere gli ospiti ci sono host come Federica e Andrea dell’agriturismo “Podere San Giuliano”: lei studiava come architetto, lui esperto di comunicazione, ora cucinano, coltivano la terra, organizzano eventi e corsi di cucina immersi nella campagna. O Francesca e Marco che dopo una vita nella ristorazione hanno mollato tutto per realizzare il sogno di una casa completamente costruita in paglia, nella quale hanno anche aperto l’agriturismo “Il filo di Paglia” e la relativa azienda agricola bio. In Umbria, in provincia di Terni, tre amici (Maurizio, Alessandro e Maria Chiara) hanno dato avvio ad un parco dell’energia rinnovabile. Qui mancava persino l’acqua, ora i turisti possono sperimentare, toccare con mano uno stile di vita a impatto zero ma non per questo privo di comfort. Spesso organizzano anche incontri formativi su come cambiare esistenza e lavoro. Positiva la storia di Giuliana che quando è rimasta vedova ha capito che non c’era più tempo per aspettare a realizzare i sogni che aveva coltivato insieme al marito. Con il nuovo compagno, ha iniziato a cercare in ogni destinazione in cui andavano in vacanza, quella che sarebbe stata la loro nuova casa dove aprire un b&b. Hanno scelto Pantelleria e hanno lasciato Milano per i “Due Gatti” proprio sul mare, dove propongono escursioni di trekking e anche cene vegetariane o vegane. Alla fine, il valore aggiunto è il forte elemento emozionale che ha un impatto sul ricordo. Ricordi che restano indelebili proprio grazie alla forza dell’emozione e che, passato il tempo, si ripropongono piacevolmente ogni qualvolta si racconta a amici e parenti quel viaggio. IL DECALOGO DEL VIAGGIATORE ETICO 1. Viaggiare è mettersi in discussione; 2. Viaggiare è aprirsi alla conoscenza del mondo, della natura, degli altri, del diverso da noi; 3. Viaggiare è condividere con chi ci accompagna, con chi ci guida, con coloro che incontreremo, il rispetto e la responsabilità per la vita e gli uomini; ma anche stare nel silenzio e nella solitudine; 4. Viaggiare è riportare a casa la consapevolezza della necessità impellente di fare ogni giorno qualcosa, anche di piccolo, per la salvaguardia della biodiversità e della natura, del paesaggio e delle culture umane; 5. Viaggiare è rimanere umili nei luoghi che visitiamo; 6. Viaggiare è tornare cambiati dalla scoperta; 7. Viaggiare è avere la capacità di adattarsi a ciò che si incontra senza volerlo adattare a ciò che conosciamo; 8. Viaggiare è avere cura della natura e della bellezza che si incontrano; 9. Viaggiare è fare nuove amicizie, scoprire nuovi affetti; 10. Viaggiare è dimenticare i ritmi di tutti i giorni, per abbracciarne altri che permettano di assaporare gli incontri in un modo nuovo.

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EMANUELA GIAMPAOLI

Giornalista

NEL PAESE DEI TRUFFATORI E ALTRE STORIE Di solito le opere di finzione sono accompagnate dalla dicitura che i fatti narrati sono puro frutto della fantasia degli autori. Quando però si tratta di etica e legalità succede il contrario. Perché la realtà supera di gran lunga la fiction Per dire a che punto siamo (e non è un bel punto) basterebbe cominciare dal nuovo libro di Sergio Rizzo, firma del “Corriere” che insieme a Gian Antonio Stella è stato tra i primi a denunciare nel nostro Paese i privilegi della “casta”. Stavolta si è lasciato tentare dalla fiction pubblicando un romanzo. Anche se l’autore mette in guardia il lettore: gli eventi narrati “non sono frutto della fantasia”, ma “traggono tutti spunto da fatti accaduti o circostanze reali”. A differenza dei personaggi, i quali “invece sono immaginari”. A cominciare naturalmente dal protagonista e narratore della storia che poi dà anche il titolo del libro: “Il facilitatore” (Feltrinelli). Chi è? Lo spiega lui stesso: “Per il mio mestiere non c’è una definizione precisa. Non c’è uno stipendio. Non ci sono contributi previdenziali. Non ci sono nemmeno tasse da pagare. Ma di soldi ce ne sono tanti. Dappertutto, e dove nemmeno te lo immagini” spiega lo stesso protagonista. Solo che stavolta Adolfo Ramelli è a fine corsa. Perché si trova in casa sveglio, nel cuore della notte, ad aspettare i carabinieri che stanno arrivando per arrestarlo. Così, mentre attende, ripercorre trent’anni e passa di illegalità, malcostume, scandali. Ha iniziato come giornalista, ma presto ha capito che per far soldi veri ci voleva ben altro. Così Stella ci restituisce il ritratto del potere italiano, passato e recente, una storia di fantasiale cui radici sono però ben piantate nelle inchieste di un grande cronista. L’indignazione è anche il sentimento che attraversa il nuovo spettacolo di Neri Marcorè, in tour per tutto il mese di gennaio in giro per la penisola (date e luoghi su www.archivolto.it). Si intitola “Quello che non ho” e si tratta di un’originale produzione di teatro-canzone, ispirato a due figure fondamentali del nostro passato, Pier Paolo

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Pasolini e Fabrizio De Andrè, da cui l’attore con la regia di Giorgio Gallione, va cercandorispostesulle grandi questioni del presente. Lo fa raccontando storie emblematiche, anche in chiave satirica, che mettono a nudo le contraddizioni della nostra società globalizzata, dove – come affermava Pasolini – continua ad esserci sviluppo senza progresso. In questo tessuto narrativo, si intrecciano le canzoni di Fabrizio De Andrè, eseguite con l’aiuto di Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini. Il risultato è un dialogo vivissimo, etico e politico, sul nostro tempo. Ripercorre una delle pagine più buie degli Stati Uniti d’America il film “La vera storia di Dalton Trumbo”, con la storia dello sceneggiatore, regista e scrittore statunitense che finì sulla lista nera del governo Usa perché comunista e fu costretto per molti anni a lavorare sotto pseudonimo. Diretto da JayRoacha interpretarlo è invece Bryan Cranston, che dopo anni come protagonista della celebre serie “Breaking bad”, ora presta il suo volto allo sceneggiatore statunitense messo all’indice durante la famigerata caccia alle streghe che dice a proposito della parte:“Fu un momento oscuro nella storia di Hollywood ma ancor più un momento inquietante nella storia americana”. La pellicola prende il via negli anni Quaranta, quando Trumbo è all’apice della sua carriera nonché lo sceneggiatore più pagato di Hollywood. E, forse anche per questo, finisce nella Hollywood Ten, ovvero la lista dei dieci autori inquisiti nel 1947 per il proprio rifiuto a rispondere alle domande della commissione McCarthy. La pellicola racconta anche dell’attivismo di Trumbo a favore dei sindacati contro l’azione reazionaria della Motion PicturesAlliance, l’associazione in difesa dell’americanismo che poteva contare tra i suoi sostenitori John Wayne, Ronald

Neri Marcorè in “Quello che non ho”

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Bryan Cranston in “La vera storia di Dalton Trumbo”

Reagan, Walt Disney e la cronista Hedda Hopper, magnificamente interpretata da Helen Mirren. Dopo la proscrizione, Trumbo come molti altri, continuò a lavorare in incognito, vincendo tra l’altro due Oscar, per “Vacanze romane” nel ’53 e per “La più grande corrida” nel 56, che vennero assegnati a prestanome e solo successivamente riconosciuti come suoi. A riabilitare Trumbo definitivamente furono invece Otto Preminger e Kirk Douglas che rispettivamente per“Exodus” e “Spartacus”inserirono il suo vero nome nei titoli di coda. L’opera si conclude con il discorso di riconciliazione di Trumbo davanti all’associazione degli sceneggiatori in cui disse: “Non ci furono innocenti o ferite ma solo vittime”.

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Hellen Mirren e Bryan Cranston in “La vera storia di Dalton Trumbo”


SE LA RIVOLUZIONE INDOSSA L’ABITO BIANCO La disobbedienza contro le leggi ingiuste per la prima volta indossa l’abito bianco. La storia ha inizio quando un poeta palestinese siriano e un giornalista italiano incontrano a Milano cinque palestinesi e siriani sbarcati a Lampedusa in fuga dalla guerra.Decidono di aiutarli a proseguire il loro viaggio clandestino verso la Svezia, ma per evitare di essere arrestati mettono in scena un finto matrimonio coinvolgendo un’amica palestinese che si presta a indossare l’abito da sposa. All’avventura si uniscono una ventina di falsi invitati, tra amici italiani e non, che li accompagneranno per quattro giorni e tremila chilometri attraverso mezza Europa.Un film documentario ma anche un’azione politica. “Io sto con la sposa” è tutte queste cose insieme. Firmatoda Gabriele Del Grande, Antonio Augugliaro, Khaled Soliman Al Nassiry, arriva in dvd per Real Cinema accompagnato dal booklet: “Storia di un matrimonio” e altri scritti con ulteriori approfondimenti sul tema. Scena tratta dal film “Io sto con la sposa”


SOCIETA’ DOLCE NEWS www.societadolce.it

Bologna - Nidi in comune Dieci anni di integrazione tra pubblico e privato nei servizi educativi per l’infanzia - 30 ottobre 2015 Lo scorso 30 ottobre presso il Chiosco di San Domenico a Bologna si è svolto il seminario Nidi in comune, organizzato in occasione del primo decennale del Consorzio Karabak. Il progetto Karabak (promosso da Società Dolce, Cadiai, Camst, Manutencoop e Unifica) si occupa di progettazione, costruzione e gestione di nidi d’infanzia a Bologna città e provincia. Un progetto cooperativo per l’educazione che da 10 anni sposa un approccio pedagogico-gestionale integrato, studiato per favorire la crescita dei bambini e andare incontro ai mutevoli e molteplici bisogni delle famiglie. Ad oggi sono stati realizzati 8 nidi e 2 poli d’infanzia, con l’accoglienza di oltre 700 bambini. L’incontro ha messo in luce il valore della partnership pubblico privato partendo dall’esperienza bolognese che ha consentito al comune di ampliare l’offerta; la capacità progettuale, gestionale e il potenziale economico e finanziario del movimento cooperativo hanno contribuito al raggiungimento dei risultati di eccellenza e qualità. Questa gestione combinata dei nidi d’Infanzia è un’esperienza che ha dato molto alla città metropolitana di Bologna dove le amministrazioni hanno saputo interpretare l’opportunità attivando un processo virtuoso.

Spazio gioco per i piccoli tifosi della Fortitudo Domenica 1 Novembre, all’interno del Paladozza di Bologna, è stato inaugurato lo Spazio Gioco, un’area attrezzata gestita da Società Dolce e destinata ad accogliere per tutta la stagione sportiva 2015/2016 i bambini dai 3 ai 6 anni presenti alle partite casalinghe della Fortitudo Eternedile. Il servizio, attivo da mezz’ora prima del fischio d’inizio fino a 15 minuti dopo il termine della partita, permette ai genitori di affidare i propri figli in forma totalmente gratuita al personale educativo attento e qualificato di Società Dolce. I bambini hanno così la possibilità di divertirsi insieme alle animatrici cimentandosi in attività ludiche e laboratori didattici, tutto mentre mamma e papà assistono indisturbati sugli spalti al match della propria squadra del cuore.

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In Società Dolce è tutta un’altra musica I soci rappresentati come i musicisti diretti dal Maestro d’orchestra dove i suoni di tanti strumenti diversi si fondono con sapiente equilibrio per dar vita ogni volta ad un’esecuzione armonica. Una metafora da orchestrali, quindi, quella che ha ispirato il nuovo calendario di Società Dolce per l’anno 2016. L’idea nasce dalla volontà di mostrare come l’armonia tra le persone che compongono e lavorano nella cooperativa sia un’interfaccia vincente per promuovere in maniera univoca all’esterno i valori della cooperazione sociale. Ogni musicista con il suo strumento, il suo talento e la sua preparazione, ogni socio con il suo lavoro, la sua dedizione e la sua professionalità: entrambi rappresentano una parte di qualcosa più grande, ma al contempo diventano protagonisti nello specifico della loro attività. I soci coinvolti, provenienti da aree e funzioni differenti tra loro, hanno partecipato al servizio fotografico con molta allegria, divertendosi a giocare con gli strumenti musicali e ad “interpretarli” in chiave creativa e non convenzionale.

Lo Spazio Gioco a Mondo creativo Il 20, 21 e 22 novembre si è tenuta presso la Fiera di Bologna l’edizione autunnale de “Il Mondo Creativo – Fiera Creativa e del fai da te”. Società Dolce ed in particolare l’Area Integrazione Minori ha gestito lo Spazio Gioco rivolto ai bambini dai 3 ai 12 anni. Un servizio, gratuito, offerto da Società Dolce che è rimasto aperto tutti i giorni della manifestazione fieristica dalle ore 10.00 alle ore 18.00. Sono stati tre giorni di full immersion nel mondo della creatività ricchi di attività e gioco. Lo spazio gioco anche per questa edizione ha avuto un grande successo accogliendo più di 200 bambini! All’interno dello Spazio Gioco, i bambini hanno potuto cimentarsi con allegria in numerose attività. Non solo quindi la possibilità per i genitori di curiosare tra gli stand lasciando i propri figli in un ambiente professionale e protetto ma tale spazio ha rappresentato soprattutto l’occasione per i baby visitatori di imparare tante cose divertenti attraverso percorsi creativi e laboratoriali differenziati per età e creare addobbi natalizi da portarsi a casa.

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Festeggiati i 10 anni del Melograno Il Centro Diurno Il Melograno di Bologna ha compiuto i suoi primi 10 anni di attività. Quando la struttura aprì gli ospiti erano solo 3, oggi sono ben 40: un lungo cammino partito dal privato ed arrivato prima alla convenzione e poi all’accreditamento. Nel 2005 a tagliare il nastro, oltre all’allora assessore alle politiche sociali Franco Pannuti ed all’ex presidente del quartiere San Vitale Claudio Peghetti, c’erano per Società Dolce il presidente Pietro Segata e la responsabile dell’area assistenza alla persona Sara Saltarelli. Per rendere merito a chi ha creduto nel progetto fin dall’inizio, all’epoca considerato innovativo e pionieristico, il 24 settembre 2015 presso il Melograno si è tenuta una grande festa a cui hanno partecipato gli anziani ospiti con le loro famiglie, i presidenti dei quartieri San Vitale e San Donato, Milena Naldi e Simone Borsari, ed il sindaco di Bologna Virgilio Merola. Quest’ultimo ha elogiato la passione di coloro che hanno lavorato per realizzare il Centro Diurno, sottolineando l’importanza della sussidiarietà come valore per migliore la qualità della vita dei cittadini. Società Dolce ha colto l’occasione per consegnare un regalo alla città: 10 anziani a rischio di istituzionalizzazione (1 per ogni anno di attività) saranno “adottati” per 12 mesi dalla cooperativa, che si occuperà gratuitamente di loro con interventi personalizzati, tutoraggio e monitoraggio.

Il 5xmille a Società Dolce Lo scorso 27 Novembre 2015 l’Agenzia delle Entrate ha comunicato l’elenco complessivo degli enti, indicati dai cittadini in fase di pagamento dell’IRPEF relativo all’anno finanziario 2013, che sono risultati beneficiari della quota del 5xmille. L’importo complessivo delle donazioni devolute a Cooperativa Sociale Società Dolce dai contribuenti che hanno accolto il nostro invito è di euro 7.979,03. Vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno scelto di sostenere la nostra O.N.L.U.S. collaborando alla realizzazione di progetti sempre nuovi tesi a favorire la cooperazione sociale ed il supporto alle fasce più deboli, dall’infanzia ai minori, dai disabili agli anziani. Questo apprezzamento stimola ulteriormente il nostro impegno a perseguire gli obiettivi che ci siamo posti nel rispetto della “cultura del fare insieme”. Ci teniamo infatti a ricordare che il 5xmille rappresenta una quota di reddito che verrebbe acquisita in automatico dallo Stato nel caso non si indicasse un’organizzazione specifica a cui destinarlo.

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Consultati i soci per la riforma del regolamento interno Nel mese di ottobre 2015 Società Dolce, attraverso un questionario di SWG somministrato a campione con interviste sia online sia telefoniche, ha avviato una consultazione tra i soci dipendenti al fine di comprendere a fondo le loro conoscenze, preferenze ed esigenze in termini, soprattutto, di welfare interno. L’iniziativa ha preso spunto dalla necessità, espressa da più parti, di rielaborare il regolamento interno che disciplina l’organizzazione del lavoro nella cooperativa, snellendolo in alcuni punti ed integrandolo con le direttive del nuovo CCNL in altri. Motivata anche dall’alto tasso di fiducia, espresso nel questionario, che i soci ripongono nel mondo della cooperazione (oltre l’80%), Società Dolce ha deciso di migliorarsi ancora definendo un insieme di regole e procedure finalizzate alla creazione di scambio mutualistico e valore aggiunto per i soci. Rilevate ed analizzate le esperienze e le opinioni dei lavoratori, sono stati istituiti 2 distinti gruppi di lavoro, uno prettamente sul regolamento interno e l’altro focalizzato sul tema del ristorno, che incontro dopo incontro stanno tarando le decisioni sulle reali esigenze dei destinatari degli interventi, rendendoli così ulteriormente partecipi ai processi decisionali.

Milano - Destination Europe: How to Cope with the Migrant Crisis Università degli Studi di Milano 14, 21, 28 ottobre 2015 Lo scorso ottobre Società Dolce è intervenuta al convegno Destination Europe: How to Cope with the Migrant Crisis tenuto a Milano, presentando la propria decennale esperienza sul tema. Società Dolce si è occupata di servizi di accoglienza migranti fin dai primi anni ’90 con progetti via via più articolati, in collaborazione con i comuni e le prefetture dei territori in cui opera. La scelta della Cooperativa è stata quella di circoscrivere il proprio ambito di intervento e di mettere a sistema tutte le proprie competenze, professionalità e risorse per qualificare la propria risposta a favore di persone con bisogni complessi e vulnerabilità specifiche come ad esempio donne, bambini soli e persone con situazioni sanitarie complesse. Attualmente Società Dolce è impegnata a Bologna e provincia nella gestione di tre progetti di accoglienza per richiedenti asilo (Centri di Accoglienza Straordinaria - CAS) e in HUB per richiedenti asilo adulti e minori, a livello comunale e regionale. L’intervento di Milano ha portato una focalizzazione su Casa Mila, il Progetto Gold e l’esperienza al nido d’infanzia della Croce Rossa Italiana a Milano come esempi particolarmente significativi delle nostre proposte di accoglienza, caratterizzati dalla forza del far insieme, e dell’integrazione tra servizi infanzia e prevenzione/ trattamento delle fragilità sociali delle famiglie.

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ETICA E LEGALITÀ

di Zazza

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