[Je Suis Cenacolo 2015®]

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Word_user

Contest Letterario a "colpi di Bic" tra Blogger di Digiland

Un Evento in 40 Post "Tu, l'altro. Forse CittĂ "

Raccolta di racconti brevi


Je Suis Cenacolo’ 2015© Un Evento in 40 Post

Progetto Word_user & misteropagano http://blog.libero.it/WORDU/ In copertina: “Gabbie” di misteropagano

Tutti i diritti di Autore sono riservati. Ogni violazione sarà perseguita a norma di legge


Scivolavano tra i Righi percorrenti Srotolate snocciolate meditate o sofferte Ricercate apprese e rapprese di Vuoti di Laceri strappi di Memoria e Lampi improvvisi di tagli e Visioni Estratte calde dal Reticolo sanguineo Pompate e aspirate nebulizzate Trasmutate in Incanto di dolore e Canto di amore Sillabario musicale di parole che ti fanno fermare

otevo cercare penne per mesi. Quelle giuste, le più adatte, le meno pericolose. Quelle degli effetti speciali, ma è quel pesce che naviga nello sconfinato spazio web, attratto dall'esca, che decide di consegnarsi. Lui non altri. Pescati come idonei, a un contest virtuale. Una metafora spontanea. Per un primo tratteggio degli autori di Digiland che si sono riuniti nel convivio letterario di Je Suis Cenacolo' e chi ha aderito, poi, ha deciso di andare fino in fondo. Come sia nato questo Contest a colpi di bic è dinamica dell'alchimia, come il processo di trasmutare piombo in oro, così le querelle in progetti. Perchè Far Web e War flames o superbie e convinzioni caratteriali estreme minano le aggregazioni tra utenti on line. La stessa natura del blogger è impermanente in virtù dello strumento mediatico utilizzato: pagine modificabili, nomi d'arte, impegno alla libera espressione senza scadenze, fuori da regole e programmi. Che senso avrebbe una dimensione parallela del tutto simile a quella di tutti i giorni. Spesso il divertimento - assenza di lavoro - è l'unico obiettivo di un blogger e il rifiuto di alcune capacità di confronto, come se queste attendessero solo alla vita reale. Eppure allo stato della blogosfera si ascrivono penne sublimi, opinionisti equilibrati e accattivanti, critici, artisti, creativi di ogni maniera senza che la teatralità linguistica o grafica venga intesa come ipocrisia o boutade. Giocare con 11 scrittori di Libero o aspiranti tali - maschere, profili ironici, consci e inconsci - proiettati in un Contest con vincitori, lettori e critici, tutto ciò sfiora, nella sua boutade, persino Pirandello e un certo verismo che oserei dire virtuale, nella convinzione che non siamo solo Avatar o indistinti ego virtuali, ma forma comunicativa. Passerella anche giocosa di personalità e rappresentazioni. L'esperimento condotto, perchè di questo si tratta, è stato di valorizzare una kermesse virtuale con la pubblicazione di un libretto di raccolta dei brani degli autori che hanno partecipato. Si dirà, non bastano i post? No. A mio avviso meritano un Ebook. E se blogger di contenuto e di algido e sosfisticato piacevole aspetto non si "mescolano" a iniziative interessanti con un loro contributo come se queste rappresentassero insidie (e forse a volte non si ha proprio nulla da dire, se non dobbiamo piacerci, senza ipocrisia), chi si mescola invece si mette alla prova e crede in un sogno comune concorrendo, a dir poco, ad un’opera ciclopica. in punta di penna wU


ella storia della scrittura oggi, senza dimenticare i segni rupestri, il rossetto sullo specchio, il ti amo sulla sabbia e carta e penna, ci sono gli amanuensi digitali, quando diviene importante la connessione piuttosto che l'inchiostro. WORDU, il blog aperto per ospitare l'evento di scrittura in Libero Digiland [JE SUIS CENACOLO'] è detto a colpi di Bic in ragione di uno strumento che tutti abbiamo avuto per le mani, il cui sviluppo, da attrezzo a prolungamento del pensiero in punta di penna, appartiene all’alfabetizzazione di massa e soprattutto agli scrittori. Il fulcro di questa iniziativa è stata di incontrare e far incontrare gli stili delle Penne di Libero in un agglomerato partecipato di narrato scritto, tendenze e forme di pensiero con racconti brevi su un tema comune: “Tu, l’Altro. Forse città”. In punta di penna resta il saluto e il gesto emblema della scrittura anche dell'era informatica e come il mondo di parole usate rappresenta la possibilità di liberarsi in volo, tutto ciò che è alato, dal labile confine di cielo e terra, si libera in volo e il grifo, araldica chimera di custodia e vigilanza delle Arti, un Opinicus di perfezione e potenza, resta il simbolo della raccolta. Tu, l’Altro. Forse città

Meteora d'identità ammantata di leggende Un favo d'alveare l'alveolo all'alveolo Agglomerato urbano dal cuore antico Suburbia prepotente prima del vasto mutevole amazzonico deserto di campagna e l'immenso Architettura complessa/caotica di viandanti Di pietra locale/Somma di snodi/Oasi del tempo Un vasto sogno comune Scorcio d'intimo incrocio d'umani l'Altro è la città stessa Siamo in viaggio o nativi/o entrambi in Spazi impraticabili di realtà inaccessibile poi d'emozione che si fa fluida L'impatto con un odore dal sentore sotterraneo di un flusso di energie Entità che trasale dal lembo del ricordo che transita in un attimo


Il Cenacolo virtuale Tu, L’altro. Forse città.

manti della scrittura e della narrazione e dei generi, siamo quel che leggiamo, siamo quel che raccontiamo di noi stessi, attraverso la scrittura o raccontiamo dell'Altro: l'incontro, l'esperienza comune, le differenze, il transito nelle dimensioni affettive, nei luoghi, nei ricordi. Il Concept di JE SUIS CENACOLO’ è l’Altro e Altro è la città stessa. Scorcio intimo d'incrocio umano, stranieri appartenenti e nativi transitanti di una città di byte che supera ogni retaggio per fare delle differenze un momento dialettico di confronto; per costruire una Città ideale: passeggeri e cittadini di un mondo di parole. Spesso sono gli attimi fugaci a darci grandi informazioni. Riusciamo a cogliere sensazioni profonde in un incontro improvviso con Altro diverso da noi, che restano sopite, non elaborate, non proseguite. Attraverso il ricordo o il suo esercizio riemerge a distanza l'intuizione e il motivo dell'Entità apparsa. Questo il leit motiv del tema proposto: la fugace intuizione che risale dal ricordo di un'esperienza con l'altro a somma di acquisita personalità. I racconti brevi presentati al Cenacolo’, il cui Visual è una rielaborazione dell’Ultima Cena di Leonardo con dialoghi tra blogger, sembrano appartenere al plot narrativo di una trama come fossero capitoli di un romanzo. Tutte le attività degli autori, le votazioni, i commenti, si sono sviluppati, poi, decisi come subtrama di questo romanzo ideale e immaginario chiamato WORDU'. L'Ultima città. Un intreccio di viandanti che si avvicinano ad una città che galleggia in un’Idea. Quella di attingere le differenze, gli Uni dall'Altro, per tramutarle in sogni comuni, stabilizzando il vissuto di un transito all'interno della struttura architettonica della Città raggiunta, costruita e difesa, tenuta viva, vissuta e vivente con ogni capacità ammessa. Tra le attività de Contest si sono inserite la votazione degli undici brani presentati e un momento ludico di catering virtuale, con piatti descritti e offerti nell’attesa della premiazione e pubblicazione dell’EBook; il brano più votato Gabbie di L_Occhio_del_Falco ne ha guadagnato la copertina. “Gabbie” è un’opera breve che assorbe il moto stesso del narrato, il piano mentale di una evasione da una gabbia, disciplina nipponica e cuore di vento, nulla di più esilarante e inebriante del senso di libertà. Gabbie mentali, Peregrinus, guardando il suo osservatore lo vede fisicamente dietro la rete e lo considera al pari in una prigione. Pare consequenziale, a questo punto, rispondere che l'uomo libero è colui che sa vivere nella propria creatività interiore . Buona lettura wU


Contest Letterario a colpi di bic in Digiland Digiland JE SUIS CENACOLO’

Il Cenacolo virtuale Tu, L’altro. Forse città. 40 post : L’ultima città


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Blogger L_Occhio_del_Falco Gabbie mi.descrivo Se Amoon_rha_gaio Orgoglio e pregiudizio deteriora_sequor Redingote Seppuku ElettrikaPsike Divertissement katartica_3000 Altrove Amithiel Pezzi di ricambio Marcel_Miu Una roccia sul mare fatamatta_2008 La fuga

MrJakowski La mia nuova costosa amichetta Lubopo Libero

Il Catering virtuale

Aggregazione Culinaria SALAME (AL TROLL) DI CIOCCOLATO La torta perfetta per un Contest: torta Cenacolò La torta dell'atleta. Di David ::::::::::::[JE SUIS CENACOLO'] Entrèe Sensuelle SACHERELETTRIKA

Proposta di menu stralunato

Special Guest Autori Note bibliografiche

Il cenacolo


in punta di penna wU


Gabbie urakami lo scrittore prima di accingersi a scrivere rinforza il suo corpo liberandolo dalle incombenze materiali con una corsa nel parco della sua città. Dopo averlo reso elastico ed efficiente nella forma come un tempio, torna al suo studio e si apre alle visioni da narrare. Ma P. Lui, l'altro, invece, al contrario se non suda non scrive, così sudava. E più sudava più le parole, ad ogni colpo dei muscoli, puntuali, si trascrivevano sul foglio della sua memoria costretta a dirsi: non dimenticare questo passaggio. Sotto la potenza allenata delle sue membra il piano mentale, un solido iceberg di acqua, tornava all'acqua. Il racconto prendeva una forma fluida, bastava non scordarlo. 14 chilometri da percorrere sulle collinette gli valevano un incipit ben impresso. Aveva già in mano la chiave per aprire. "Solo sapessi cosa!" - si domandò. L''intuizione, nascosta in un luogo di non facile accesso, doveva essere sfrondata come un rosaio da polloni e rami improduttivi prima che una sagoma univoca di quella storia si stagliasse con la stessa precisione con cui lo perseguitava da tempo. Continuava a osservarla con ogni dubbio. Eliminava le infauste coincidenze e gli ostacoli di materia corporea, insieme, e per fortuna, anche le nubi che lo trascinavano in fantasticherie del tutto inutili al suo obiettivo. In troppi voli pindarici. Nemmeno l'acqua, gli abbeveratoi, le docce di pioggia, i vapori di una fabbrica esausta attraversata erano riusciti a focalizzare il labirinto di pensieri che si alleavano pronti al canapè di un palio immaginario: Il tiro all'Altro. Come le fazioni, erano pronti come piattelli lanciati allo sparo di carabine attente. Lanciamoci! D'un tratto temette di perdere il controllo della sequenza, della logica narrativa. Registrò i contorni della cupola semisferica dell'ultimo movimento ripetendolo più volte, marcando i punti di collegamento della mappa di orientamento. Lo Zenit, l'azimut, la magnitudo delle luminose, Crux, Draco,Triangulum, puntò lo sguardo sullo gnomone per un ultimo istante e si lanciò. Anzi spiccò il volo. Dietro di sé la gabbia lasciata spalancata come un sorriso senza denti. Peregrinus si era lasciato guardare a becco chiuso per lungo tempo attraverso una rete. Tra le maglie imprigionato, la sua vista rapace incontrava quella umana senza porre mai fine alla stessa identica domanda: Chi è in gabbia, tu od io? Chi è in gabbia, tu ..

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Se on esiste una parola più potente di "se". Non mi riferisco al pronome ma alla congiunzione o forse alla cognizione.

"Se". Due caratteri che sottintendono un bivio, una scelta, una decisione. E' infatti con l'invenzione del "se" che un animale si solleva dal suo stato, abbandona la stupidità e dimostra intelligenza. L'evidenza di questo bivio mi è apparsa in un vicolo stretto ed un poco oscuro della mia città, dove i lampioni sono radi, di sera. Una stupida falena, sbatteva contro il vetro di una finestra dentro ad una casa, attratta dalla luce di uno di quei lampioni. Mi sono fermato ad osservarla perché le ripetizioni sono ipnotiche; tutta notte a rimbalzare sul vetro. Ha un cervello che, evidentemente, non concepisce il "se". Attratta dalla luce, la sua mente, ripete sempre la stessa frase:"volerò verso quella luce"; quello lei farà. Non riuscirà nel suo intento e non se ne chiederà la ragione; semplicemente eseguirà il compito che si era assegnata, senza nessuna traccia di spirito critico, senza nessun barlume di intelligenza. Sino a sfinirsi, sino forse pure a morirne. Sino a quando, quella luce, qualcuno o l'alba spegnerà. La lascio tamburellante sul vetro, attratto da un micio che salta per far cadere qualcosa da un cestino. Il suo sforzo viene premiato. Cade un contenitore, trasparente guscio protettivo, difficile da aprire, che imprigiona un oggetto colorato. Ci si accanisce come la falena; solo per pochi istanti però. Poi si arresta; osserva. Si stacca dall'oggetto e retrocede; testa rasente al selciato, culo all'aria, coda in verticale. Retrocede con una lentezza estenuante; apre completamente i suoi occhioni gialli, piega un po' la testa di lato tenendola sempre rasente al suolo. Ed ecco che "accende il se". Non so che tragitti percorra la sua mente; so solo che, di lì a poco, torna a lottare con la scatola che lo separa dal suo sogno. Le unghiette affilate escono dalle loro sedi e penetrano il contenitore. Sarà una dura e lunga lotta; si inarcherà su di lei, rotolerà con lei, la graffierà, aprirà la bocca ed userà pure i denti. Non è detto che ogni sua nuova strategia sarà vincente; forse naufragherà alcune volte assieme alle sue incomprensibili deduzioni. Di certo, alla fine, quel gatto, se esistesse anche una sola possibilità di farcela, ce la farà. Lo lascio alla sua lotta. Pochi passi dopo il vicolo termina; due vie dinnanzi a me. Ora tocca al mio "se".

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Orgoglio e pregiudizio i sono accorto di Marco una mattina di settembre quando mi sono iscritto in palestra. Per poterla raggiungere serviva la macchina e il percorso obbligato mi faceva percorrere sempre una piccola stradina. Proprio lì mi accorsi di lui: non bello, un ragazzo come altri. La sua particolarità che, di fatto, lo rendeva "diverso" era il suo abbigliamento. A dispetto dei suoi 17 anni Marco si vestiva come un uomo dell'ottocento. Qualcuno lo paragonava a Napoleone, altri al conte Vlad quello di Dracula. Capelli raccolti a coda di cavallo ad incorniciare un viso pallido impreziosito spesso da piccoli occhialini scintillanti. Era solito girare per la piccola città di provincia indossando una sorta di doppio petto con bottoni in stoffa, dello stesso colore, e un grande mantello di panno scuro, quasi a voler sottolineare il contrasto con quella sua carnagione chiara. Quando l'ho visto per la prima volta io, gay, mi sono detto: "ma guarda quello come si è conciato". E ogni volta che lo notavo un sorriso di scherno mi si dipingeva sul volto. E così per mesi durante i quali però la mia mente non ha potuto però sottrarsi dal fare una riflessione: quel ragazzo vestito come uno di quelli che si leggono sui libri di storia non si curava minimamente degli altri. Camminava fiero, orgoglioso come se fosse proprio Napoleone Bonaparte, assecondando quella che era evidentemente una sua passione. Marco mi ha fatto pensare alle volte precedenti in cui ero stato io, che spesso parlo e scrivo di diritti e di pregiudizi verso gli omosessuali, ad essere superficiale nei suoi confronti. Lui invece, nonostante i 17 anni e la vita in una città di provincia, spesso noiosa e bigotta, aveva saputo dare un pizzico di eccentricità e brio al suo essere, sfidando il pregiudizio anche di quei coetanei che spesso riescono a ferire neanche avessero delle lame di coltello al posto della lingua. Qualche giorno fa Marco ha perso la vita in un incidente. Chissà se mai saprà che quel modo bizzarro di vestirsi è servito da insegnamento a molti come me.

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Redingote Seppuku erlin. Friedrichshain 2003. Tobias fiuta un pò di colla da falegname. Mi viene da ridere: nell'organismo si è sbattuto di tutto e ora viene a ricercare un po' della vita infantile con questa trovata. Fa il pianista alla Filarmonica di Charlottenburg e gli parlo mentre navighiamo tra graffiti e case occupate. Mi racconta di suo padre scappato quando Lui aveva dieci anni, il sacchetto di plastica gli si gonfia intorno alla bocca poi lo rilascia. Ha mollato tutto: cocaina, smack, cristalli di crack, lsd, ecstasy e speed. Tutto per ritrovarsi bohémienne con la sua colla o sniffando le parti interne dei modellini di aerei. "Sarà, Tobias, un bisogno di ritornare a quando giocavi con tuo padre, se lo ha mai fatto?". Lui soffia nel sacchetto bolso poi tira fuori la bocca. E’ in tiro perfetto, pantaloni a coste di velluto, cardigan, capelli biondi corti scriminati da una parte, scarpe Prada e calzini Washington, camicia Rosière e cintura Diesel. Eppure non posso fare a meno di catturarlo bambino solo con i suoi tanti balocchi e un bisogno infinito di attenzione da parte di qualcuno che somigliasse a un maschio autorevole. "E Tu, Georg?". Sorride deformato mentre insuffla. "Io ho avuto un papà semplicemente assente, nemmeno un cattivo diavolo, c'era ma non c'era." Prendiamo Zellestrasse fino a Forckenbeckplatz con il suo parchetto, ci sediamo su una panchina, transita qualche passante che se ne frega, mentre Tobias continua a colmarsi i polmoni di ossigeno incrostato a merda. L'aria della Città si fa sottile, sento l'esigenza di un parapluie perché tra poco diluvierà. E mi metto a piangere silenziosamente con il groppo alla gola. Lo stesso che di lì a qualche giorno avrebbe strozzato Tobias. Con più forza e il marchio di un qualche suicidio rituale a me sconosciuto.

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Divertissement pesso ritorno a quella che è L’età dell’innocenza in un mondo che ha Il profumo del mosto selvatico e ripercorro Le verità nascoste di luoghi dove il Sol levante stinge Il colore viola dei fiori preferiti dalla ragazza che già forse amavo. Ma chi sa dirlo, se qualcuno la conosce mi dica La verità, vi prego, sull’amore perché ancor oggi, alla fine del percorso in questa vita, l’ultimo volto che vorrei rivedere prima di andarmene è proprio il suo, della bambina che sospingeva i pensieri Al di là dei sogni. Mi ricordo i suoi occhi di allora e di quando, anni dopo, mi guardava vestita di bianco. Il silenzio degli innocenti gridava, facendomi maledire per Le parole che non ti ho detto. Non mi sentivo Il testimone dello sposo ma di un Assassinio allo specchio. Era Il matrimonio del mio migliore amico ed io ero senza passato, futuro, senza più vita. Niente mi avrebbe fatto presagire La scelta di Sophie in quei pomeriggi al fiume. Inseparabili, allora ci credevamo eterni, Creature del cielo senza domani. Con la fame dei nostri quindici anni sgranocchiavamo Pomodori verdi fritti alla fermata del treno e promesse di amicizia Per sempre. Non c’era possibilità di unione tra noi e Gli altri; eravamo liberi perché la nostra vita era un Fantasma, un enigma irrisolto per chi aveva archiviato, in cambio della logica, ogni volontà d'Amore e incantesimi. Sicuri di ciò che contava, interpretavamo le stelle vivendo di Pane e tulipani. Eravamo Le fate ignoranti che già molto sapevano ma smisero di sapere solo quando non si credettero più fate. Spesso sono stato sul punto di tornare a quegli anni senza avere mai il coraggio di superare La sottile linea rossa che divide il mondo reale da quello delle fate. Le Vite sospese a lungo sulla terra non sanno più quali movimenti fare per sopravvivere in mare, era questo il senso della storia che mi ripetevano da bambino e La leggenda del pianista sull’oceano adesso era diventata la mia vita. La sera in cui ti scorsi danzare tra gli alberi ti limitasti a sorridermi. Inclinasti un po’ la testa e senza aggiungere altro spiegasti Io ballo da sola. Tu, L’amante che non ho mai avuto, la mia migliore amica. Eri già tutto allora quando non credevo in un futuro diverso da quell’eterno presente e lo sei adesso in tempi senza vita, ora che Non ci resta che piangere le persone che abbiamo perduto. Ho capito cosa vorrei da te, Sophie mia. L’ultimo bacio. Soltanto Un bacio, prima di morire.

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Altrove prire la mente, allargare i confini: quasi una missione, pensò tra sé, mentre risoluta varcava l’accesso del velivolo diretto a Malaga. Allarga la mente, apri i confini: Marta sorrise di quello strano mantra. Si può giocar con la Parola e le metafore, come anche con la Vita e la sua essenza, e non sentirne affatto rimorso. Proseguì fino alla seduta assegnatale, accanto al finestrino, rigorosamente area non fumatori. Pur non conoscendo un solo vocabolo di spagnolo, aveva deciso d’istinto, abbandonato una professione, un amore, una figlia…Oppure, a voler essere sinceri, si era ritrovata sola, senza essi, a dar la colla ai cocci di una vita infranta! Ma nel nome sta il proprio destino, e la sua anima guerriera non poteva più celarsi dietro quella maschera di perbenismo. A portellone chiuso, l’hostess si impegnò con un sorriso artificiale a indicare in multilingua le procedure di emergenza. Marta non le prestò la minima attenzione. Lei e il pericolo avevano trascorso assieme tante di quelle notti da poter giurare di conoscerlo nel profondo: sapeva come sedurlo, come piegarlo al suo volere, tra un lenzuolo ed un caffè insonne. Sapeva sempre lei, come rialzarsi da una catastrofe. Prima di disattivare il cellulare, indugiò sulla galleria delle immagini: lo sguardo si posò su una foto, scattata mentre spirava il vento degli innamorati in un’assolata Sicilia. Vi era ritratto il particolare di una fontana: un cavallo maestoso, con le zampe anteriori sollevate, sicure contro il cielo, ribelli a qualsivoglia guida. Quell’immagine l’affascinava e la intimoriva: era uno sprone subliminale alla sua inerzia, un richiamo alla libertà, all’autonomia, a mostrarsi davvero ”rampante”, come la stessa vita richiedeva. Ora, stava provando ad alzar le zampe contro chi l’aveva imbrigliata ed umiliata. Cercava un Altrove, un luogo geografico dove ricominciare, dove cambiar numero e anche immagine sul profilo. Si domandò se quella fuga era da codardi: ma fu un attimo, un istante tacitato dall’ambizione di risorgere, novella fenice, dalle sue ceneri, in un luogo dove respirare aria buona. Altrove, valeva la pena di tentare : Altrove, sarebbe andata meglio… “ALLACCIATE LE CINTURE E RIMANETE SEDUTI AL VOSTRO POSTO” Marta guardò fuori dall’oblò, socchiuse gli occhi e giurò che quella sarebbe stata l’ultima volta: sì, l’ultima volta in cui rimaneva inchiodata per volontà altrui. Mister Altrove l’attendeva già, dall’altra parte della Libertà. La sua parte migliore.

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Pezzi di ricambio ttese che il rumore della barella si affievolisse, inghiottito dal tetro corridoio del piano inferiore, solo allora, Allan Varney smise di lavarsi braccia e mani col sapone asettico. Scrollò l'acqua dalla folta peluria che ricopriva la rosea epidermide e afferrò una salvietta per asciugarne l'eccesso. Stava ormai per uscire dalla piccola anticamera quando l'occhio gli cadde sul sigaro scuro che giaceva quasi spento ai bordi del minuscolo lavandino. Non riuscì a resistere alla tentazione di tirarare almeno un'ultima boccata da quel delizioso nettare di foglie di tabacco imbevute nel brandy. Chiuse la bocca per qualche secondo prima di espellere il fumo e tuttavia sentì un senso di appagamento incompleto. Infilò la mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse una scatolina in argento. - "Giusto un pizzico" - pensò. Accostò il mignolo alla narice. La magica polvere di stelle gli entrò in circolo quasi subito. Sorrise. Indossò il camice e si diresse alla destra del corridoio. Il corpo dell'uomo giaceva nudo sul tavolo operatorio. Era stato accuratamente depilato e presentava, in diversi punti della cute, enormi chiazze di liquido scuro. Allan Varney infilò i guanti e afferrò il bisturi che le tendeva con un sorriso inquietante la sua assistente. Strinse l'affilato arnese fra le dita inguantate, socchiuse gli occhi ed infine, poggiò la lama sul fianco sinistro dell'uomo. - "Casta Diva prego"- pronunciò, mentre con attenta precisione affondava la lama che recise i primi strati di tessuto; poi toccò al grasso così viscido e giallognolo e ancora giù fino alla carne che ricopriva l'osso del femore. La struggente voce della Callas rimbombava tra le pareti insonorizzate di vernice bianca. Unico raggio di sole in quella luce asettica, rosa profumata, in quel groviglio di odori composto da disinfettanti e viscere decomposte. Segò abilmente le ossa di entrambe le gambe. Con l'aiuto di un coltello da macellaio grattò via i lembi di carne che erano rimasti attaccati, infine cosparse i macabri resti con della soluzione fisiologica prima di abbandonarli non troppo delicatamente dentro a sacchetti da freezer, muniti di etichetta. Pezzi di ricambio da vendere al mercato nero per parecchie migliaia di dollari ai fanatici di qualche istituto di anatomia nell’ipotesi migliore. Nella peggiore, i resti sottratti ai clienti, venivano usati come protesi per trapianti da effettuare su pazienti ancora in vita. - "Ci sarebbe anche la pelle signor Varney"- disse Peter osservando ciò che rimaneva del cadavere. - "Per la miseria Peter, questo rottame è morto di cancro e io ho un appuntamento urgente” - rispose Varney guardando l'orologio appeso alla parete - meglio non rischiare, terminate il lavoro con i tubi di pvc nel caso qualcuno voglia dare un'ultima occhiata al vecchio prima della cremazione e dopo, richiudete tutto. Mi fido di voi ragazzi." Detto questo, sfilò cautamente guanti,camice e copriscarpe ed uscì fuori dalla sala. L'aria viziata lo rendeva nervoso e paranoico o forse era soltanto l'effetto della cocaina che iniziava a sparire.

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- "Zuccherino!” - La voce squillante di Amy lo raggiunse prima che potesse infilarsi sotto la doccia. Maledizione, quante volte ti ho ripetuto che non devi chiamarmi a quel modo? Era furioso ed irritato e spaventato all'idea che qualcuno potesse aver udito quel nomignolo stupido. Lei lo guardò. Prima con occhi increduli e straordinariamente grandi per quel viso, poi via via, ritornò a farsi strada il consueto luccichìo malizioso che lo fecero sciogliere. Si disse che forse avevano tutto il tempo per una sveltina. Si disse che, al Diavolo, quella era Amy la sua bambolina gothic che per amore era disposta a sporcarsi le mani e non solo quelle. Un rumore improvviso pose fine al loro tubare. Un uomo grande e grosso se ne stava con la testa reclinata da un lato e osservava i due con l'atteggiamento tipico di colui a cui manca qualche pezzo del servizio. - "Hey Burk, non devi stare qui mi hai capito? I parenti dei clienti si spaventano se ti vedono, mi hai sentito? - gli urlò contro Varney. Ma l'energumeno sembrò non capire. Teneva un enorme sacco con una mano sola e con l'altra si spazzolava di tanto in tanto gli umidi capelli oramai radi che scendevano simili a ragnatele sulle spalle. Per tutta risposta tirò una buona dose di muco con il naso ma non lo sputò per terra. Nella sua mente difettata capì che quello non era luogo adatto per simili porcherie. Inghiottì il boccone sotto gli occhi disgustati della coppia si diede l'ultima grattata alle tempie e poi scomparve, trascinando il suo maleodorante e misterioso bottino. - "Quel tizio mi fa paura Allan, perchè lo tieni qui? Mandalo via" - cinguettò Amy rifacendosi il trucco. - "Non posso - risposeVarney - mi occorre qualcuno che faccia il lavoro sporco. Aspetta, forse vuole farlo quel genio senza palle di Peter? O magari tu dolcezza, che ne dici? Ci stai bene in queste cose!" La ragazza fece di no con un impercettibile movimento della testa rossa e tornò a sorridegli. - "Brava bambina” - mormorò l'uomo, allungando la grossa mano verso quel viso minuto tinto di nero. “Questa storia non durerà per molto - le disse - quando avrò abbastanza soldi chiuderò l'impresa funebre e smetterò con tutta questa merda. Andremo via da questa città e ti giuro, ti giuro dolcezza che avrai il tuo riscatto sociale.

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Una roccia sul mare a sempre lo stesso profumo qui il vento, sul mio scoglio di roccia; il golfo dei poeti, il mare turchese e azzurro che brontola e risacca quattro metri sotto i miei piedi. Sulle rocce è scritta la mia vita, quel pino marittimo, ricordo che lo vidi la prima volta molto tempo fa e mi domandai come avesse potuto nascere aggrappato con unghie e forza fra due rocce a picco sul mare; è cresciuto fino a diventare potente, d’una natura unica; ora è sostenuto da un cavo. Ha i suoi anni, come si dice per gli anziani un poco claudicanti. La prima volta venni qui a pescare con mio padre che il pescatore lo faceva per mestiere; ore ed ore qui. “Lascia che parli il mare” - mi diceva, ascoltalo, lascia che ti entri dentro, non se ne andrà mai più. Ricordo un giorno, pioveva; fu il giorno della morte di mio padre, venni qui su questo scoglio a cercare un poco di lui nel vento. Gocce salate scivolavano indecise e lente dalle guance, si univano al mare mosso e roboante; il vento freddo, come un cavallo imbizzarrito e fiero, solcava il cielo grigio cupo e fomentava il mare. Il giorno prima della leva, con la pancia contratta e i piedi su questa roccia fiutai il mare, con lo sguardo cercavo mio padre così da mostrargli che mi ero fatto un uomo. Ci portai qui l’amore della mia vita a fare l’amore una notte di luglio che il mare brillava di luna; ci baciammo al mondo non vi era altro che le nostre labbra. Ulivi, cicale fino al grosso fico d’india - che a ripensarci ancora rido - ma fu stupendo, avevo il mondo fra le mani con lei e fu la prima volta anche per me. Gli urlai contro a questo mare quando mi portò via senza dignità i suoi occhi azzurri che si erano fatti piccoli nella malattia che l'aveva sfinita. Mai un lamento. Quando li chiuse portò via il mare. Imprecai dio per ciò che mi aveva fatto ed urlai con forza! Così che mi sentisse bene. Eppure il mare è sempre qui col suo profumo, amo questo mio golfo dei poeti; Shelley e Byron rapiti dal blu, forse proprio qui scrivevano la bellezza rivelata. - Ma eccolo, si - sotto il sasso dei tuffi c’è ancora il buco nel quale infilavo il bastone con le esche appese - che fatica rialzarsi. Scorgo me stesso e mi rassereno, quando mi unirò al mare e al cielo e guarderò il mio scoglio con l’amore mio per mano, sarò fra i ricordi di qualcuno. I suoi pensieri del passato. “Nonnooooooo!?” – trasalii, il piccolo Marco mi cercava. “Sono qui, attento, aiuta il nonno a scendere”. (A lui, si, affiderò i ricordi miei, a lui). Guardo di nuovo il mare, non pare essere lo stesso, da quassù il turchese dell’acqua e della spuma, propone sfumature di sole crudo da accecare la vista, nello sguardo che cerca l’orizzonte.

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La fuga n quella specie di tana costituita da lamiere e teli di nailon, costretto nella squallida periferia della città, il ragazzo ogni sera ricorda! Ricorda il villaggio, con le case bianche di calce, le acacie dalle lunghe spine, che regalavano ombra al modesto giardino in cui la madre, cantilenando una nenia, intrecciava le ceste che poi avrebbe venduto al mercato. Rivive le ore scandite dalla luce del sole, trascorse nell'umile scuola, la maestra una suora sempre pronta al sorriso; la chiesa, minuscola oasi di pace e frescura. Ma improvvisa un giorno è arrivata la morte! Uomini armati hanno portato il terrore. Urla di bimbi afferrati, dilaniati da bestie più feroci, del pur feroce leone eccitato dal sangue, mentre divora la preda. Le giovani donne avvolte nei veli sgargianti, ridotte a inermi farfalle violate. Il ragazzo è intento ad accudire le capre, nel mezzo del campo non viene notato, si fa Niente tra le zolle di terra! Finiti gli spari comprende che tutto è concluso, che la furia è passata e allora...corre! Corre con il cuore che scoppia nel petto, inseguito dall'eco di urla strazianti! Quando scende la notte è ancora in cammino, ormai solo, con l'orrore nel cuore e sopra la testa un cielo lucente di stelle. Cammina e intorno...il deserto. Per giorni e giorni ha per compagne la sete, la fame, la voglia di accasciarsi sulla sabbia infuocata, nella calura terrificante che gli brucia i polmoni, ad aspettare la morte. Incontra altri fuggiaschi, che lo spingono ad andare avanti, dietro non esiste più nulla, più casa o famiglia ogni certezza è svanita. Cammina con i piedi coperti di piaghe, la bocca riarsa, dimenticando l'orrore vissuto laggiù, solo il dolore del suo povero corpo è presente. Finalmente un giorno la speranza diventa realtà... il mare. Il mare gli incute spavento, ma non ha scampo deve salire sull'infido gommone. Per alcuni la vita si spegne tra le onde, per altri stremati dalle pene subite il destino è segnato. Ma lui arriva alla fine del viaggio raggiunge la terra. Ancora una corsa con stretto nel pugno un foglietto con scritto un nome, un numero, di un parente o un amico, chissà. Infine arriva alla terra promessa una immensa distesa di tetti e di torri. La città con le strade affollate di gente, come un branco di gazzelle impazzite, che corre qua e là fuggendo da un ignoto pericolo. Un mondo che si dilata a perdita d'occhio, riempiendo ogni piccolo spazio con intrecci di luci, rumori, immagini. Al suo arrivo in città qualcuno gli ha dato un borsone dicendo: - Va e vendi e avrai da mangiare! -

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Ma il ragazzo percepisce il rifiuto, di chi veloce distoglie lo sguardo dalla sua offerta di cianfrusaglie di fasullo folclore, o di chi quasi con vergogna si fruga nella tasca, ma poi ripensandoci prosegue con un gesto di stizza. Poter raccontare il dramma che gli pesa sul cuore, i rimpianti per le cose perdute, per gli affetti scomparsi! Diversi solo la lingua e il colore, non il suo essere umano. Ma non sa come fare, lui è solo un'ombra nera sperduta, nell' immenso groviglio di strade. Un labirinto d'asfalto costeggiato da case, da muri anneriti di fumo, dal continuo via vai di gusci metallici, che trasportano un'umanità indaffarata somigliante a formiche, verso altri gusci di cemento e di ferro. La città è un mostro crudele, così, lui straniero la vede. Solo la notte la città si assopisce, rallenta il suo ritmo convulso, incalzante, si veste di sonnolenta dolcezza. Il ragazzo, ne ha meno paura in quel buio, la sente più umana, più amica e le racconta del suo bianco villaggio, del sole splendente e della vita trascorsa laggiù.

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La mia nuova costosa amichetta uando sono arrivato lei era davanti alla vetrina ad aspettarmi. Mi ha sorriso in maniera elegante nonostante il ritardo, mi ha invitato a salire sulla sua roboante automobiletta e attraverso strette strade di campagna si è diretta verso il nostro obiettivo... Era eccitante mentre indossava quel vestito attillato, di un color verde acquamarina incontaminato, una fascia bluastra a fare da cinta legata all'altezza dell'ombelico, un profumo espanso di pesca e vino bianco Muscat... Non era certo miss Emilia Romagna e il suo peso stile palla di cannone non l'aiutava di certo. I suoi occhi però erano grandi, come i suoi seni, chiari e brillanti, quasi lontanamente attraenti... E con quello che mi sarebbe costata la sua compagnia di circa mezz'ora era il minimo che potessi accettare. Dopo cinque minuti di viaggio, di afa, risate e frasi spezzate lei parcheggiava in un spiazzo privato e m'invitava a seguirla oltre la strada, oltre il giardino, oltre l'androne e oltre le scale fino all’ultimo piano, davanti alla porta di un bell’appartamento con un nome strano sul campanello. Mi ha guardato ancora una volta e sorriso, invitato ad entrare scuotendo le anche sinuose, ondeggiando come nave in tempesta; contraeva gli angoli della sua bocca in maniera automatica e a scatti ruotava il collo e le spalle, cinguettava continuando a saturarmi la testa di tanti discorsi, tanti fino a disfarmi... Poi a passo lento e imbarazzante siamo arrivati davanti alla camera da letto. Io l'ho guardata ancora titubante, diciamo tremante e le ho fatto una delle tante domande che ogni persona normale farebbe in un contesto del genere. Lei mi ha risposto convinta ed estranea, quasi meccanica toccandomi il braccio: "Guarda, noi di Tecnocasa prendiamo il 3% di provvigione ma se vuoi possiamo metterci d'accordo per pagare un po' meno l'iva."

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Libero acco Ameno è il più piccolo comune dell’isola d’Ischia. Si propaga tra il mare e le pendici del monte Epomeo, vulcano quiescente: ipotetico punto d’accesso al mitico mondo sotterrano di Agarthi. Il luogo non è però noto per il Mito, bensì per le antiche terme Regina Isabella arricchite negli anni ‘50 di un complesso alberghiero che, in breve, rese il centro termale polo d'attrazione di una mondanità cosmopolita. Fin dall’infanzia trascorrevo lì le mie vacanze stupendomi al cospetto di quella bizzarra scultura naturale chiamata Fungo: un masso di tufo verde sputato dalle viscere della terra e precipitato poco distante dalla riva. Il Tempo l’avrebbe poi plasmato con le onde del mare e con il vento. Nell’estate del ΄73 raggiunsi i miei solo a fine Luglio. Rientravo da una meravigliosa vacanza trascorsa ad Alghero con la mia amata Karin, più grande di me di otto anni e conosciuta ad Ischia l’estate prima. “É arrivato Luigi! É arrivato Luigi!”. Le urla di gioia erano dei miei amici che da settimane si chiedevano che fine avessi fatto. Di slancio Salvatore mi strinse a sé, a sottolineare il grande affetto da me sempre ricambiato. “Com’è andata? - mi chiese - Abbiamo saputo ch’eri in giro con la svedese...”. “Finlandese Salvato’, fin-lan-de-se! Poi ti racconto...” - risposi con un pizzico d’orgoglio e una prossemica tipica dei miei diciott’anni. Prendendomi sotto braccio e trascinandomi per i cinque scalini che separano l’asfalto dalla sabbia cocente della spiaggetta del Fungo, mi disse: “Vieni, ti faccio conoscere una nuova amica.” “Anna torna a riva che ti presento il mitico Luigi” - urlò con lo sguardo rivolto allo scoglio di tufo verde che si ergeva dal mare, preceduto da una folta ed indistinta schiera di bagnanti. “Il mitico?” - rimuginai tra l’imbarazzato e il compiaciuto. Anna si materializzò dinanzi ai miei occhi come una visione: una sirena che affiorava dall’acqua trascinandola con sé per poi lasciarla scivolare, come una carezza, sulla sua pelle vellutata restituendola al Mare pregna della sua fragranza. Nera come la notte. Neri gli occhi, i capelli, la pelle. Una tintarella da far invidia alle miglior foto pubblicitarie di abbronzanti. Un nero profondo come i suoi occhi, che contrastava con il rosso delle labbra e con quel radioso sorriso che lasciava intravedere il candore dei suoi denti, mentre mi diceva: “Ahhh... sei tu il famoso Luigi di cui tutti parlano!” Le sue labbra e tutto ciò che le circondava, emanavano una sensualità che mi si irradiò dentro sconvolgendomi i sensi. Dopo un lungo fidanzamento ed un matrimonio durato trent’anni, mai avrei immaginato che nella chat di Libero avrebbe cercato, e poi creduto di aver trovato, il suo nuovo Principe Azzurro.

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l mio, piÚ che un menu si potrebbe dire un parvenu: appena giunto si è assiso sul desco,

apparecchiandosi a lasciarsi declinare dalle bocche fameliche dai palati sopraffini. Esso consta di portate e portatine. Insomma un menu completo per iniziati all'alta cucina. Dunque per cominciare: Antipasti a base di perifrastiche attive e passive, condite con paradigmatiche all'aceto balsamico manzoniano dell'Arno, ottimo per i risciacqui e gargarismi. Ipotetiche aromatizzate all'aneto, Bruschette di indicativi stagionati

Primi piatti:

Linguine di trapassato prossimo al pesto di gerundio e pignoleria Trofie di perfetto e pomodorini con gerundio al seguito grigliato

Secondi piatti:

Brasato di participio con polenta di aggettivi Lesso di condizionale con patate lessicalmente gratinate Spezzatino sillabico con aggiunta di metrica con endecasillabi sciolti

Dolci:

Versi alessandrini in glassa di gerundivo Sonetti di marroni annegati in rum colombiano Gabo Frutta di stagione neoclassica E per chi se la sente, alla fine, un bel caffè Pisciotta, corretto con un urlo e tanto furore.

I vini

Lapis rosso di maestra del Monferrato d'annata Bic verdicchia Reisling dell'Oltrepo pavese(cantina Maestro di Vigevano) Stilografica cardinale Ruffino della cantina dei conti di Salina Becchino Per il dolce consiglio un bel congiuntivo passito di Pantelleria... Buon appetito .............W...........

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ITALIANOinATTESA arcobaleno di ali spezzate nella fiamma di rabbia rappresa o repressa con la paura ingoiata nella soffusa tristezza del cuore per la vana gioiosa ricerca .. ma se senza “pregiudizio" riesci a cercare "altrove" il "sé" che è in te nella matrioske di "gabbie" ritrovi quella con le tue ali come fosse un arcobaleno fluido che riflette il tramonto immaginando di poterlo catturare M@

misteropagano

legrillonnoirdestael

IL CENACOLO DEGLI DEI ALLA SALUTE DEI DUE DIOSCURI DI LIBERO i fratellini wU’ e gU’

Siamo per alcuni il pane che li sfama. Estensioni. Di una idea originaria, il fuoco di prometeo, tutti lo vogliono tenere per le mani, qualcuno lo ingoia, ma resta di Zeus e degli Dei che ne sanno fare il miglior uso^

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Katartica_3000 Pubblicazioni Poesie, Volumi: Solamenente Stella Petalie e sillabe Di parole è intrisa la mai vita Graffiti

Lubopo

~ JE SUIS CENACOLO’

MrJakowski

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deteriora_sequor

amoon_rha_gaio

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fatamatta_2008 Pubblicazioni Poesie, Volumi: Cuori nel Blog Il Magico mondo delle Fiabole Dedicato a...Poesie per ricordare Parole d'autunno/1 Lucia e il ferragosto

~ JE SUIS CENACOLO’

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ElettrikaPsike Pubblicazioni Medico-scientifiche e articoli di bioetica. Saggi e dispense di filosofia estetica, retorica, antropologia ed ermeneutica per il dipartimento Luigi Pareyson,di Ermeneutica filosofica dell'Università di Torino. Ha inoltre curato contenuti per Dizionario Bompiani Opere, personaggi e letterature. Ha collaborato con il Centro di Documentazione di Storia Contemporanea e della Resistenza “Nicola Grosa” e scritto Articoli e recensioni arte e letteratura su diverse testate online.

mi.descrivo Amithiel

~ JE SUIS CENACOLO’

Marcel_Miu

~ JE SUIS CENACOLO’

L_OCCHIO_DEL_FALCO Pubblicazioni, Poesie, Volumi Tre Voci L'Albero Quaderni 3/4

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JE SUIS CENACOLO’ rielaborazione grafica del Cenacolo di misteropagano


Finito il 7 di giugno 2015 da WU Pubblicazione ISSUU TUTTI I DIRITTI RISERVATI©


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