wayup_1

Page 1

diari di bordo di Valeria Merlini


Diari di Bordo: il luogo dove viaggi immaginari e reali s’incontrano

IL VIAGGIO CHE FARO’…ovvero LA MIA GERUSALEMME LIBERATA di Valeria Merlini Mi concederò un paio di giorni. E sarà un viaggio intenso, con molto da fare e da visitare, da conoscere, da assimilare e, sempre, da portare nel cuore. Sarà un viaggio che, al solito, non verrà mai preparato nei minimi dettagli. Non fa per me, perché è sempre bello lasciarsi stupire. Perché non si potrà decidere a priori se visitare i luoghi ebraici a discapito di quelli cristiani o viceversa. Sarà l’istinto del momento la mia guida. Gerusalemme. L’arrivo. Quindi l’inizio del viaggio che sarà. La città che non si potrà non toccare con mano, la Gerusalemme d’oro che non ha paragoni in tutta la terra. Sacra alle tre grandi religioni monoteiste (Ebraismo, Cristianesimo ed Islam), e contesa per millenni da una varietà di popoli e nazioni, la si potrebbe tranquillamente definire come il centro del mondo. Sarò molto combattuta. Amante del kitsch sarà difficile impedirmi, anche per riposarmi dalle lunghe camminate, di salire sul bus 99, il turisticissimo bus a due piani, il city sightseeing per farla breve. E scenderò alla Porta di Jaffa. Gerusalemme Vecchia è circondata da mura erette nel XVI secolo dal sultano turco Solimano il Magnifico e oggi patrimonio dell’UNESCO. Non completerò per intero il chilometro della loro lunghezza, ma comunque vi salirò per camminare sui suoi bastioni e avrò due possibilità: da Jaffa fino alla Porta di Damasco (zona est del muro) oppure da Jaffa fino alla Porta del Letame (il lato del Monte Sion). Da quest’ultima scenderò al famoso muro Occidentale, il muro del pianto. Qui incontrerò gli Ebrei giunti da ogni angolo del mondo mentre eseguono le preghiere rituali quotidiane e lasciano i loro messaggi rivolti a Dio, scritti su pezzi di carta e nascosti tra le pietre del muro. Vedrò dagli anziani Ebrei in abito tradizionale hassidico, alle teenagers che si avvicinano alla sezione femminile del muro. Se capiterò al muro di sabato (ma anche di lunedì o giovedì) potrò anche assistere alla celebrazione di un Bar Mitzvah. Chiederò poi a due passanti come arrivare al Monte del Tempio, al di là del muro e giace sulla spianata del Tempio o delle Moschee, uno dei luoghi religiosi più contesi al mondo, uno dei luoghi noti per gli scontri che scaturiscono dalle proteste dei giovani Palestinesi. Si metteranno a discutere tra loro perché uno dirà che non si può andare, mentre l’altro, quello con il cappello nero, dirà che i non Ebrei possono accedervi. Mi manderanno quindi verso un’entrata dove verrò controllata al metal detector, ma alla fine sarà un posto di blocco a fermare il mio avanzamento. E allora ritenterò. Non mi resterà altro da fare che passare quindi attraverso i vicoli della Gerusalemme araba, simili ad un suq, sui quali si affacciano innumerevoli botteghe con i loro venditori che cercheranno di attirarmi e con i quali non potrò sottrarmi dal contrattare per questo o per quell’oggetto. Mi fermerò a bere una spremuta d’arancia, buonissima e densa di polpa.

bookavenue n.1

pag.20


E allora andrò sulla Via Dolorosa, cioè il cammino percorso da Gesù dall’orto del Getsemani al Calvario, attualmente dalla Porta dei Leoni fino al Santo Sepolcro. La Basilica del Santo Sepolcro, chiamata anche Chiesa della Resurrezione, è una chiesa cristiana costruita sul luogo che la tradizione indica come quello della crocifissione, unzione, sepoltura e resurrezione di Gesù. Ripercorrerò, all’interno, le ultime stazioni della Via Crucis di Gesù. E l’emozione aumenterà fino ad arrivare alla sua tomba. Dove la principale preoccupazione del sorvegliante ortodosso, oltre a quella di regolare il traffico, sembrerà essere quella di pulire con uno straccetto la bava lasciata dai baci dei pellegrini sulle reliquie e redarguire le ragazze con pantaloni troppo stretti. Davanti all’entrata vedrò la pietra rettangolare levigata sopra la quale si prostrano i pellegrini, baciandola e accarezzandola. Alcuni strofinano sopra delle candele per farle diventare benedette. È la pietra dell’unzione, sulla quale secondo la tradizione fu deposto il corpo di Gesù per essere preparato alla sepoltura. Mi fermerò, a questo punto, a pranzare su una terrazza dominante la piccola piazza da cui si accede alla Basilica. La temperatura lo permetterà. Mangerò l’hummus, la famosa purea di ceci con sopra l’olio piccante, i felafel, le polpettine fritte a base di ceci e fave, poi insalata e degli involtini di spinaci. Starò bene qui. La visuale su tutta Gerusalemme Vecchia sarà a mia disposizione: la Cupola della Roccia (o Moschea della Roccia) spiccherà in tutto il suo splendore dorato verso est, mentre con lo sguardo rivolto in basso osserverò la piccola piazza brulicante di tavolini dei bar all’aperto, della fiumana di gente che passeggerà e sentirò il suono dell’acqua che ricade nella fontana. Volgendo invece lo sguardo verso sud non potrò fare a meno di notare le sterpaglie, la spazzatura e le case diroccate, Gerusalemme è una città antichissima, traboccante di vita, di storia e di tragedie, non una cittadina leccata in attesa dei turisti. Terminerò il pranzo e mi rimetterò in marcia. Uscirò dalla Porta Nuova diretta verso il quartiere ultraortodosso di Mea Shearim, situato fuori dalle mura. Mea Shearim, il cui nome significa le cento porte, è uno dei più antichi centri abitati costruiti dagli Ebrei residenti in Palestina prima della nascita del movimento sionista. La sua popolazione è aumentata vertiginosamente, sia per l’immigrazione massiccia soprattutto dall’est Europa, sia perché le famiglie degli haredim (gli Ebrei ultraortodossi) fanno molti figli, secondo l’ammonimento biblico di moltiplicarsi. Non sarà la classica visita ad un quartiere turistico. E lo apprezzerò ancora di più per questo. Man mano che mi avvicinerò al quartiere vedrò andare verso la città vecchia uomini, donne e bambini vestiti nella foggia degli haredim. Le donne con vestiti lunghi o a mezzo polpaccio e camicie con maniche lunghe, quelle sposate nascondono i capelli, spesso rasati, con un foulard, una retina o addirittura una parrucca. Gli uomini con pastrani neri, cappelli neri a larga tesa. Quasi tutti hanno i payot, le lunghe ciocche sulle tempie, che scendono arricciate ai lati della faccia, o arrotolate dietro le orecchie. Le differenze nella foggia dei vestiti, dei cappelli e dei payot fanno riferimento alle diverse provenienze e sette. E una miriade di bambini sarà il loro seguito. Sentirli parlare sarà strano. Non ancora avezza alla lingua, noterò comunque una sensibile differenza. Infatti gli haredim tra loro non parlano l’ebraico, che considerano troppo sacro per essere usato nella vita di tutti i giorni, ma l’yiddish, quel misto di ebraico e tedesco che dall’alto medioevo diventò la lingua degli Ebrei tedeschi e dell’est europeo.

bookavenue n.1

pag.21


Durante lo Shabbat, essendo il giorno di riposo del signore dopo i sei giorni della creazione, agli haredim sono vietate 49 attività, tra cui lavorare, guidare, accendere fuochi (quindi cucinare), e in generale qualsiasi tipo di azione che indichi un’intenzionale attività di produrre qualcosa, anche schiacciare un bottone per accendere una lampada. Tant’è vero che esiste tutto un settore della scienza israeliana che produce apparecchi per aggirare le regole, come lampade con sensori che si accendono quando ti avvicini, ascensori che si fermano automaticamente a ogni piano, temporizzatori che scaldano le bevande. Agli haredim è vietato guardare la televisione (non solo al sabato), hanno giornali propri dove spesso le foto delle donne (ad esempio le rappresentanti femminili del parlamento) sono rimosse digitalmente, ma sembra che non si riesca a tenere la gente lontana da internet, nonostante gli anatemi dei rabbini. Proprio per le rigidissime regole che vigono durante lo Shabbat, seguirò il consiglio di non avventurarmi per il quartiere in questa giornata. Pena, non tanto l’essere guardata male, ma nei casi estremi, dover evitare lanci di pietre o sputi, per la motivazione che se anche mi aggirerò per le sue vie adeguatamente vestita, il solo portare la borsa sarà visto ai loro occhi come un lavoro. Per tutti questi motivi mi sembrerà di essere in un altro mondo. La visita al quartiere varrà in ogni caso la pena negli altri giorni, dove potrò assistere alla vita quotidiana, con le scuole, le piccole botteghe e le vie di tutta Mea Shearim. Uno dei divertimenti, delle cose da fare, delle cose che non concepisco non si facciano in un viaggio, sarà intrattenersi alla prima occasione con questo o con quello. La gente vera. E scoprirò così che gli ortodossi non saranno molto propensi a parlare, al contrario degli Ebrei, gentilissimi e molto disponibili al colloquio, che siano essi tassisti, proprietari di negozi di antiquariato o ristoratori. A tutti porrò domande sulla situazione in Israele e sul loro pensiero nei confronti dei Palestinesi. E mi verrà detto di tutto, ognuno avrà la sua versione. Ma ciò che prevarrà sarà il parere unanime verso quel muro costruito a dividere i Palestinesi dagli Ebrei (dal Monte degli Ulivi si potrà vedere chiaramente il muro di confine). E il mio solo rammarico sarà non aver avuto l’occasione di superare quel muro per chiedere ai Palestinesi il loro pensiero. Come ristorante per questa prima cena mi affiderò al consiglio di esperti e al fedele Tripadvisor: la scelta cadrà su Olive and Fish. E non sbaglierò. Il secondo giorno ritornerò sui miei passi. Non sarà facile entrare alla spianata del Tempio (Monte del Tempio, o spianata delle Moschee). I vari accessi risulteranno tutti sbarrati da soldati che mi daranno indicazioni non sempre chiare sull’entrata davvero agibile. Alla fine non mi resterà altro da fare che ritornare al muro del pianto, attraversare tutta la piazza e salire su una lunga passerella coperta per arrivare alla sommità del muro. Qui un altro minuzioso controllo con perquisizione delle borse e metal detector, mi permetteranno di accedere finalmente sul Monte del Tempio, sotto custodia musulmana. Sempre se indovinerò le tempistiche. L’accesso alla spianata è infatti dal 2000 consentito solo dalla domenica al giovedì in orari molto ristretti, vale a dire dalle 7 alle 11 del mattino. Gerusalemme è una città di colline e qui mi troverò sulla sommità di una di esse. Il luogo più sacro agli Ebrei. Secondo la tradizione qui si trova la Grande Roccia su cui Dio fondò il mondo, su cui Adamo, Eva, Caino e Abele compivano i sacrifici rituali e su cui Abramo avrebbe dovuto sacrificare il figlio Isacco. Attorno a questa pietra Salomone, secondo la Bibbia, fece costruire il I tempio intorno al 1000 a.C., ponendo al suo interno l’Arca bookavenue n.1

pag.22


dell’Alleanza, la cassa di legno rivestita d’oro che Dio donò a Mosè come prova della sua esistenza, dentro la quale erano custodite le tavole della legge, il bastone di Aronne, fratello di Mosè e sommo sacerdote, e la manna, il cibo divino che sostenne gli Ebrei nelle peregrinazioni nel deserto. Gli Ebrei non salgono in questo luogo perché non essendo chiara l’esatta ubicazione del tempio di Salomone, temono di calpestarne la sacralità del suolo. Il Monte del Tempio è oggi una vasta spianata lastricata disseminata di cipressi. Rispetto alla confusione della città vecchia, per non parlare della massa brulicante del Santo Sepolcro, qui troverò una pace assoluta, pochissimi turisti, alcuni arabi dalla lunga veste azzurra. Una donna velata scivolerà silenziosamente, quasi senza ombra, sul bianco pavimento di arenaria. Ed ecco che in fondo, sopraelevato su una scalinata, potrò ammirare la maestosa e armoniosa mole della Cupola della Roccia. La moschea più antica del mondo ancora oggi esistente è rotonda e la sua cupola dorata è diventata il simbolo di Gerusalemme, stagliandosi come un sole contro l’azzurro del cielo. Nella parte della spianata direttamente opposta alla Cupola della Roccia vedrò una costruzione senza grosse attrattive architettoniche, ma il vero e proprio luogo di culto: la Moschea Al-Aqsa, in grado di accogliere fino a 5000 fedeli. Nel Corano sta scritto che in un viaggio durato una sola notte Maometto volò su un cavallo alato dalla Mecca fino alla moschea più lontana, dove salì in cielo e incontrò Allah. Non sta scritto che questa moschea fosse a Gerusalemme, dove al quel tempo non c’erano ancora moschee, ma chissà perché circa 100 anni fa, all’epoca dell’immigrazione degli Ebrei in Palestina, cominciò a diffondersi la credenza che Maometto fosse asceso al cielo nella moschea Al-Aqsa. Al-Aqsa diventò da allora, come se lo fosse sempre stato, il terzo luogo più santo dell’Islam, dopo Mecca e Medina. Il guardiano nella sua allabiyah azzurra, con lo zucchetto in testa, mi inviterà infine ad andarmene. Giungerà anche il momento di arrivare alle pendici del Monte degli Ulivi, costellato di chiese che ricordano gli ultimi avvenimeti della vita di Gesù e di Maria raccontati dai vangeli. Il sole picchierà, ma io affronterò la salita per ammirare il panorama. Da qui andrò poi verso Yad Vashem, il museo dell’Olocausto. Tappa irrinunciabile e imperdibile per me, che ogni anno puntuale per il 27 gennaio preparo lo speciale sul Giorno della Memoria. Il tassista sarà un palestinese loquace che si dimostrerà una guida perfetta. Attraverseremo il quartiere residenziale di Rehavia, con belle ville, ambasciate, giardini. Mi mostrerà la residenza del primo ministro Netanyahu, una normalissima casa cubica di cemento grigio. Chiederò al tassista per chi ha votato e lui mi risponderà: “…tanto cambiano le facce, ma le idee sono le stesse”. Mentre io replicherò che da noi non cambiano nemmeno le facce. Il museo dell’Olocausto, situato a circa 10 chilometri dalla città vecchia in una foresta di cedri, è un vasto complesso di architetture moderne, giardini e sculture. Yad Vashem, che in ebraico significa un memoriale e un nome, è stato inaugurato nel 2005 per raccogliere le testimonianze dell’Olocausto e onorare le sue vittime. La struttura triangolare dell’edificio principale penetra la montagna da una parte all’altra, con le due estremità drammaticamente sospese nell’aria

bookavenue n.1

pag.23


Il triangolo simboleggia una delle due metà della stella di David, perché l’Olocausto ha dimezzato la popolazione ebraica nel mondo. Il museo raccoglie migliaia di documenti storici, lettere, fotografie, testimonianze dei sopravvissuti, descrivendo la storia dell’Olocausto in un crescendo di angosciante brutalità che lascia totalmente schiacciati. Il mondo si divideva in due parti: quella in cui gli Ebrei non potevano andare e quella in cui non potevano stare. Nel museo vedrò anche il Giardino dei Giusti, dedicato ai Giusti tra le nazioni che nel mondo si sono prodigati nell’aiutare il popolo ebreo, come l’italiano Perlasca e il tedesco Schindler. Avviandomi verso l’uscita passerò di fianco alla grande cupola luminosa con incisi i nomi dei milioni di Ebrei scomparsi (la Sala dei Nomi), quindi verso la luce e infine, oltrepassando una porta di cristallo, su una terrazza sospesa sopra Gerusalemme. E resterò senza fiato, per il sole, il vento e le splendide colline. Il ricordo del milione e mezzo di bambini morti nell’Olocausto è custodito invece nel Children’s Memorial, scavato nella roccia. Nel buio assoluto, la luce di una singola candela si riflette in centinaia di specchi, come se mi trovassi sotto la volta di un limpidissimo cielo stellato, mentre una voce pronuncia il nome del bambino, la sua provenienza e l’età in cui è morto. Sarò sola qui dentro, l’emozione sarà enorme, tanto da farmi considerare questo come il vero Santo Sepolcro di Gerusalemme. All’uscita troverò la scultura che raffigura un vecchio che abbraccia dei bambini, Janus Korczak, il nome di penna del pediatra-scrittore direttore dell’orfanotrofio per bambini Ebrei di Varsavia. Una calma indefinibile calerà qui fuori. Il silenzio e il rispetto per chi non c’è più. A questo punto della giornata mi ricorderò che non potrò lasciare Gerusalemme senza un passaggio in questa piccola gemma, che potrebbe sfuggire a chi non sa dove cercarlo: Barood. Non un vero ristorante, piuttosto un bar con squisiti assaggi di cucina sefardita, molta atmosfera, musica non assordante e alcuni deliziosi liquori di frutta fatti in casa. Ogni viaggio che si rispetti per la sottoscritta merita una visita o ad un museo della fotografia o ad una vecchia biblioteca. Sceglierò invece l’Israel Museum e al suo interno visiterò solo il Santuario del Libro, dove sono conservati i famosi rotoli del Mar Morto, una raccolta di documenti religiosi, rituali e mistici, quasi tutti in ebraico, alcuni in aramaico. Il pezzo più importante è il grande rotolo di Isaia, scritto 2200 anni fa, lungo 7,5 metri, formato da 17 pezzi di pergamena cuciti insieme, contenente tutti i 66 capitoli del libro di Isaia. All’esterno il Santuario del Libro ha la forma del coperchio di una giara (come quella in cui furono ritrovati i rotoli, nel 1947), di un bianco candido, che si staglia contro una scultura quadrata nera, a simboleggiare la luce che emerge dalle tenebre. Un taxi mi riporterà, a questo punto della mia giornata, davanti alla Torre o Cittadella di David, subito al di là della Porta di Jaffa. La Torre di David è una cittadella difensiva circondata da possenti bastioni e torri, ma delle tre torri edificate da Erode rimangono solo i resti della più grande. Leggerò che all’interno della cittadella è allestito un museo che in modo molto semplice e accattivante descrive la storia di Israele con plastici, animazioni, modelli, descrizioni, disegni e cartine. Ma il tempo sarà tiranno. Dovrò proseguire. Uscita dalla cittadella di David affronterò un altro capitolo non meno strano e interessante: il quartiere armeno. La comunità armena di Gerusalemme conta circa 3000 persone, ha una struttura molto chiusa, con bookavenue n.1

pag.24


proprie scuole, chiese, seminari e biblioteche, con il quartiere residenziale circondato da mura. Gli Armeni hanno avuto una storia per molti versi simile a quella ebraica, fatta di persecuzioni, piccoli e grandi massacri, fino al genocidio perpetrato dai Ottomani nel 1915, cui seguì la diaspora in cui parecchi Armeni fuggirono anche qui a Gerusalemme. Il quartiere è austero, molto pulito, rallegrato dai negozi di ceramiche. Il nonno della ragazza che mi venderà i sottopentola dipinti a mano da lei è appunto arrivato a Gerusalemme intorno al 1920. La storia continua a grondar sangue dappertutto, e al tempo stesso la vita va avanti. Andrò poi verso il quartiere ebraico, totalmente distrutto durante la guerra arabo-israeliana del 1948, e completamente riedificato dopo la riunificazione di Gerusalemme nel 1967. Non avendo ancora visitato nessuna sinagoga mi dedicherò a cercare una delle più caratteristiche. Troverò così una piccola sinagoga con la particolarità di essere l’unica a non essere stata distrutta durante la guerra del 1948. Potrò entrare liberamente e nessuno farà caso a me. Mi troverò così in una stanza semplice, anche abbastanza piccola, con dei banchi, una biblioteca, un armadio addossato ad una delle pareti contenente la Torah. Le sinagoghe decorate e artistiche sono una caratteristica dell’Europa, dove gli Ebrei subivano l’influenza e la competizione del culto locale. Sarò colpita dall’osservare un vecchio mentre pregherà cantilenando appoggiato alla finestra, dondolandosi avanti e indietro. Ma uscirò subito, vergognandomi un po’ per averlo spiato in questo suo momento così privato. Mi fermerò in un bar sulla piazza principale per un buon tè alla menta prima di decidere dove cenare. E la scelta cadrà su quel ristorante molto carino adocchiato nel quartiere armeno. Dove la cena sarà accompagnata dal lustro per gli occhi: scenderò infatti nel suo seminterrato decorato con dipinti e candelabri, pieno di mobili antichi, vecchie lampade di bronzo, vetrinette con esposti gioielli. E così terminerà il mio viaggio che sarà… Un’amica prima della partenza mi dirà: “Gerusalemme è intrisa di lacrime, sangue, storia e martiri. E come ci giungi, senti tutto. Che tu creda o meno”. E io, con questo viaggio, lo sperimenterò sulla mia pelle. Anche a costo di bruciarmi. Uno degli aspetti più affascinanti di Gerusalemme sarà realizzare come in essa si intreccino gli avvenimenti storici. Nessuna città al mondo ha avuto una storia così complicata e interessante, legata agli avvenimenti storici e alle credenze religiose di oriente e occidente. E dove finisca la storia e inizi la pia o la losca invenzione è difficile dire. Fine.

bookavenue n.1

pag.25


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.